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Il cinema a mollo- le dive nude sotto la doccia

Uno degli espedienti più usati in campo cinematografico per attrarre spettatori è l’utilizzo del nudo; come abbiamo già visto in un precedente articolo, molti registi hanno scelto in passato e  ancora oggi, in misura minore, di mostrare le attrici protagoniste dei loro film senza veli.

Il gatto
Dalila Di Lazzaro in Il gatto

C’è un posto deputato, in particolare, al nudo integrale; un posto dove ovviamente si è nudi , in cui è possibile mostrare il corpo dell’attrice in tutto il suo splendore.
Questo posto è il bagno, luogo deputato per eccellenza all’igiene intima.
Un posto che stimola adeguatamente i sensi dello spettatore, che viola un’intimità artefatta, perchè ricreata per finzione, ma che ottiene in fondo il risultato di tirar fuori il voyeur che alberga in ognuno di noi.

Suggestionata
Eleonora Giorgi in Suggestionata

L’espediente della doccia, del bagno nella vasca hanno origini antiche nel cinema; ma se fino alla metà degli anni sessanta le attrici venivano riprese al massimo attraverso i vetri opachi di pudiche cabine o mentre facevano casti bagni in specchi d’acqua, al mare o in qualsiasi posto che prevedesse l’uso dell’acqua, dopo la seconda metà dello stesso decennio l’utilizzo di questo espediente andò man mano intensificandosi, raggiungendo l’apice con l’avvento della commedia sexy, in concomitanza anche con l’allentamento dei rigori censori.

Emanuelle nera orient reportage
Laura Gemser e Ely Galleani in Emanuelle nera orient reportage

Così ben presto le attrici mostrarono dapprima timidamente il seno, per poi arrivare al nudo integrale, di prammatica sotto la doccia o in una vasca; del resto, chi si sognerebbe mai di lavarsi integralmente con addosso indumenti intimi o altro?
Agli inizi le scene di nudo sotto la doccia furono funzionali al film, nel senso che le scene venivano inserite in un contesto che giustificava la loro presenza, come nel caso di Nude si muore, film del 1968 diretto da Margheriti; all’interno del film compare una sequenza in cui una delle studentesse viene aggredita e uccisa proprio mentre è intenta a farsi una doccia.La scena è molto castigata, in quanto il regista riprende l’attrice solo di schiena e parzialmente di lato.

Ma è un inizio importante, perchè viene sfatato il tabu del nudo ripreso in un momento di intimità.
Poichè la commedia sexy è ancora lontana nel tempo, i film di fine anni sessanta mostrano qualche timido segnale di apertura sopratutto in pellicole drammatiche, thriller, horror e comiche.
E’ curioso pensare che in effetti è proprio il cinema drammatico ad inserire per primo l’espediente del nudo “acquatico”; a far scuola era stato naturalmente Hitchcok, che nel film Psyco aveva girato la scena di nudo sotto la doccia più famosa di sempre, protagonista Marion alias Janet Leight uccisa da Norman Bates proprio mentre è indifesa, occupata a lavarsi.Il cinema di stampo thriller o giallo utilizza spesso questo tipo di situazioni; spesso le vittime, quasi sempre donne, vengono uccise nella vasca da bagno, o mentre sono sotto la doccia perchè sono più vulnerabili.

Funziona la sorpresa, così come funziona l’elemento dell’impossibilità a difendersi.
Alle volte ci sono anche scene abbastanza paradossali, con la vittima minacciata dall’assassino di turno che tenta, in uno strano quanto improbabile tentativo di difesa del proprio pudore, di coprirsi le parti nude, quasi che il pudore avesse il sopravvento anche sull’istinto di conservazione.

Incontro d'amore
La doccia di Ilona Staller in Bali, incontro d’amore

Se negli anni sessanta questo tipo di situazioni restano sporadiche o comunque limitate a poche pellicole, con l’avvento degli anni settanta si assiste ad una crescita vertiginosa dei nudi “acquatici”, a sequenze ambientate nel luogo tabù per eccellenza, la toilette.
Lenzi, in Paranoia, fa spogliare la diva Baker; è ancora una volta un giallo, ma ben presto l’uso della macchina da presa verrà esteso a tutti gli altri generi.
In La calata dei barbari, peplum di buon livello diretto da Robert Siodmak a mostrarsi parzialmente nude in una vasca da bagno sono Sylva Koscina e Honor Blacman, l’attrice che aveva lavorato in 007 Goldfinger; è un altro tabù che cade, ben presto il nudo in vasca o sotto la doccia arriverà anche in altri generi cinematografici, come il western.
La nascita della commedia sexy e contemporaneamente del filone dei decamerotici portano ovviamente ad una sovra esposizione di docce, bagni e quant’altro.
In particolare il filone decamerotico mostra insospettabili qualità igieniche dei nostri antenati del 300; le donne sono impegnatissime a bagnarsi in stagni e specchi d’acqua, oppure in tinozze di legno o in vasche marmoree.

W la foca
Lori Del Santo in W la foca

Anche i film mutuati dai peplum, quindi con ambientazioni in epoca romana, fanno largo uso del nudo “acquatico”; in per amore di Poppea il bagno è in una piscina colma di latte, mentre in Quel gran pezzo dell’Ubalda la Schubert si lava in una tinozza dalle doghe di legno.
Le dive e le starlette si adeguano ben presto alle richieste dei registi, e fra loro spicca Edwige Fenech, quella che un critico sarcastico definì l’attrice più pulita dello schermo, visto l’utilizzo metodico della ripresa sotto la doccia della bellissima attrice.
La Fenech si lava nel filone parentale, come nel Vizio di famiglia o in Grazie nonna, in Mia nipote la vergine oppure nel filone dei thriller all’italiana, come Lo strano vizio della signora Wardh e in Nude per l’assassino.

Quel gran pezzo della Ubalda

Bagno in tinozza per Karin Schubert in Quel gran pezzo della Ubalda

Quando in seguito la commedia sexy virerà verso il filone soldatesse, poliziotte dottoresse, la Fenech sarà ancora presente, con il suo splendido corpo inquadrato maliziosamente dal regista di turno, come in La vergine il toro e il capricorno; ma ovviamente non mancano altre attrici riprese in scene acquatico/igieniche.
Gloria Guida sarà utilizzata nello stesso modo, sia che partecipi alla serie dei film scolatici, sia a quelli della commedia sexy; si parli di La liceale, o di L’affittacamere, la doccia per la Guida è quasi un trademark; la presenza della bella e bionda attrice significa con quasi assoluta certezza la presenza di una scena acquatica.

Orgasmo nero

Susan Scott in Orgasmo nero

Altre bellissime attrici scelgono di apparire in costume adamitico in film che presentano questo genere di situazioni; tra loro vanno citate la Baker, che fece il bis in Paranoia e in altri film, la Cassini,Susan Scott, che accettò di comparire nuda sotto la doccia anche in età abbastanza avanzata, come mostra in Orgasmo nero.
Poi ancora la Strindberg, Laura Antonelli, più nelle vasche da bagno o in tinozza, come nel film Mio dio come sono caduta in basso, Femi Benussi, altra attrice prodiga di nudi acquatici, sia che partecipasse a decamerotici, oppure a thriller quand’anche a film ambientati nell’epoca romana.In Cuore di mamma troviamo Carla Gravina, poi ci saranno Monica Guerritore, Lori Del Santo, Carmen Russo, la Rizzoli ecc.

In pratica in moltissimi film in bagno ci si va per lavarsi e di conseguenza per mostrare la diva di turno senza veli; in bagno ci si muore, come già ricordato, che si tratti di Cosa avete fatto a Solange o in Nude per l’assassino, ci si va anche a piangere, come la Giorgi in Nudo di donna, oppure ci si fa l’amore, situazione scabrosa in cui il regista è costretto a fare i salti mortali per non inquadrare i genitali maschili.
Oppure ci si fa dei discorsi impegnativi, come nel caso della sequenza che vede protagoniste Charlotte Rampling, vestitissima e con la sigaretta in mano e Agostina Belli, immersa nell’acqua nel film Un taxi color malva.
Ci si mangia, in vasca, mentre sotto la doccia ci si lava e basta; in vasca si muore anche per colpa di un’omicida scaltro, come in Roma bene, oppure per disgrazia, come accade a Sabina Ciuffini in Oh mia bella matrigna.


Martine Brochard in Gatti rossi in un labirinto di vetri


Olga Karlatos in Zombie 3

Insomma, la toilette allarga le sue porte alla macchina da presa, che indugia, spesso morbosamente, su corpi cosparsi di bagno schiuma, oppure lavati metodicamente con il sapone; le attrici hanno la cuffia alle volte, per non bagnare i capelli non solo per motivazioni personali.
Spesso, dopo la doccia l’attrice deve uscire, e non si può certo aspettare che faccia la sua toilette per intero, così come lavarsi i capelli provoca il rallentamento del film; molte pellicole avevano budget limitatissimi, e perdere tempo significava far levitare i costi della pellicola stessa.

Strana la vita
Monica Guerritore in Strana la vita

L’orgia visiva delle docce durò fino a quando durò l’exploit della commedia sexy; inevitabilmente, sul finire degli anni settanta, con la crisi del cinema il fenomeno andò attenuandosi, pur rimanendo presente in molte pellicole.
Venne fatto un utilizzo più razionale dello stesso; non più docce e bagni a gogo, ma inserite in contesti più consoni, ovvero in situazioni in cui le scene fossero attigue al film, che avessero un minimo di significato per l’economia della pellicola.

Oggetti smarritiMariangela Melato in Oggetti smarriti
Il tutto in un’ottica anche di profondo cambiamento del cinema stesso; la presenza sul mercato di migliaia di pellicole hard svuotò di qualsiasi significato la doccia come espediente.

In alcune pellicole comparvero nudi maschili, in seguito amplessi anche descritti con dovizia di particolari, mentre alcuni film varcavano il confine divenuto nel frattempo labilissimo tra cinema erotico e pornografico.
In questo modo divennero obsolete le docce, con il loro carico erotico pervaso però di un certo candore.
In Vestito per uccidere Angie Dickinson appare in una celebre sequenza di autoerotismo; non era una novità, ma la mano di De Palma crea un’atmosfera morbosa, che farà scuola.

L'assistente sociale tutto pepeNadia Cassini in L’assistente sociale tutto pepe
Finito il periodo d’oro della doccia, del bagno e della nudità ad essa ispirata, si ritorna all’antico, quasi che nel cinema ci sia bisogno di qualche altra frontiera per catturare l’interesse dello spettatore aldilà del fascino che questa o quella pellicola può provocare e indurre.

Ma questo, al solito, è un altro discorso.

Il buio intorno a Monica
Il buio intorno a Monica

Il regalo
Clio Goldsmith, Il regalo

La collegiale
Femi Benussi nel rarissimo La collegiale

La vedova del trullo
Rosa fumetto in La vedova del trullo

L'onorevole con l'amante sotto il letto
Janet Agren in L’onorevole con l’amante sotto il letto

La dottoressa ci sta col colonnello

Nadia Cassini in Tutta da scoprire

Scusi lei è normale

Annamaria Rizzoli in Scusi,lei è normale?

Prigione di donne

Doccia di gruppo in Prigione di donne

Lo strano vizio della signora wardh

Edwige Fenech in Lo strano vizio della signora Wardh

L'insegnante va in collegio

Ancora la Fenech in L’insegnante va in collegio…

La vergine il toro e il capricorno… e in La vergine,il toro e il capricorno

La ripetente fa l'occhietto al preside

Annamaria Rizzoli in La ripetente fa l’occhietto al preside

La ragazza dalla pelle di luna

Beba Loncar in La ragazza dalla pelle di luna

Io e Caterina

Io e Caterina

Felicity

Felicity

Enigma rosso

Enigma rosso

Dimenticare venezia

Mariangela Melato in Dimenticare Venezia

Classe mista

Dagmar Lassander in Classe mista

Amore piombo e furore

Jenny Agutter in Amore piombo e furore

Un sussurro nel buio

Lucrezia Love in Un sussurro nel buio

aprile 5, 2010 Pubblicato da: | Box office | | Lascia un commento

L’impero dei sensi (Ecco l’impero dei sensi)

L'impero dei sensi locandina

Amore e morte, Eros e Thanatos in salsa nipponica, con Eros gran protagonista e Thanatos in attesa paziente.
Il succo, l’essenza di questa opera di Nagisa Oshima è in sintesi questa; un racconto tratto da una storia vera, portato sullo schermo attraverso una visione teatrale della vicenda, con i tempi e i ritmi tipici del cinema orientale.
Nulla è risparmiato nel film, l’Eros è rappresentato in maniera visiva senza alcuna barriera, attraverso il rapporto che si instaura tra i due protagonisti, visti nei loro ossessivi, compulsivi accoppiamenti in ogni luogo e davanti a tutto, quasi che Abe e Kichi san, lei e lui, siano un universo parallelo a se stante, immersi nella quotidianità reale solo perchè non è possibile un’astrazione da essa.

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Un rito ripetuto all’infinito, quello dell’accoppiamento, il sesso visto come comunicazione, come spazio intimo a se stante, che estranea i due amanti e li trasporta nel vortice, nell’impero dei sensi, prima del drammatico finale.
La storia di Abe, una ragazza con un oscuro passato di prostituzione, si mescola a quella di Kichi san, un ricco albergatore sposato con una donna sensuale; dal momento in cui Abe arriva a servizio della coppia, cambia tutto nelle vite dei protagonisti, anche se la percezione che lo spettatore ha della vicenda in realtà riguarda solo la fortissima attrazione sessuale che si stabilisce sin dall’inizio come un trait d’union tra la coppia.

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Abe e Kichi scelgono di isolarsi dal mondo, per esplorare fino in fondo i loro sensi attraverso l’uso più completo dei corpi, involucri utilizzati e spinti fino al punto più estremo; Abe porta il suo amante in un alberghetto dove ripete all’infinito il gesto dell’accoppiamento, ritornando a prostituirsi con un vecchio magistrato quando i mezzi di sussistenza iniziano a mancare. L’Impero dei sensi, come recita il titolo giapponese, richiede anche questo, un estraneamento dal rapporto di coppia inteso come unione anche di anime. Per il sesso si può tradire il partner con il corpo, perchè tutto deve essere finalizzato al possesso completo dell’amante. Anche Kichi tradisce Abe per sesso, quando prende con la forza una vecchia geisha.

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Ma anche questo gesto estremo fa parte del rituale che unisce i due; in un vortice continuo, inteso però solo come rappresentazione figurata della cosa, visto che i tempi sono dilatati in maniera abnorme, Abe e Kichi consumano ritualmente i loro accoppiamenti fino a quando i sensi non sono più appagati dal sesso consueto.
Così Abe, che vuole essere padrona in tutto del corpo e dell’essenza stessa dell’amante, durante un rapporto sessuale finisce per strangolare il suo amante; poi, in maniera rituale, lo evira e mette il membro virile di Kichi in una borsetta e con la massima indifferenza va a sdraiarsi nuda in un parco.

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L’impero dei sensi è opera oggettivamente di grande qualità visiva ma non solo; Oshima non indugia sul sesso estremo per ragioni voyeuristiche , bensi per dare l’esatta dimensione del paradossale rapporto che si instaura nella coppia, un rapporto in cui la morbosità è solo apparente. I due si impadroniscono dei corpi unendo le anime, anche se la carnalità sembrerebbe escludere un senso di affetto profondo tra Abe e Kichi.
Ma l’unione dei corpi ad un certo punto sembra trascendere tutto, trasformandosi in una idealizzazione del rapporto stesso.

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Ma se i sensi sono predominanti, quanto resta dell’amore, del complesso meccanismo che regola l’affinità e i sentimenti di coppia?
Oshima non lo dice.
Il taglio teatrale, documentaristico quasi della vicenda porta lo spettatore a scegliere una morale, ammesso che una morale ci sia, che appaghi il senso di compiutezza che ricava dal film stesso.
I dialoghi sono scarni, essenziali, la musica orientale soffusa, gli scenari tipici delle case giapponesi, le geishe, le donne che assistono con risatine di sufficienza all’exploit erotico dei due, il mendicante a cui Abe pratica una masturbazione sommaria, la vecchia geisha con le gambe piene di vene varicose, sono elementi che in teoria potrebbero disturbare lo spettatore poco avvezzo ad una rappresentazione talmente esplicita del sesso e in definitiva di una cultura cosi differente dalla nostra.

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Ma in Oshima non c’è alcun compiacimento, non c’è alcun tentativo di modificare la realtà: la storia è quella, visivamente deve riportare tutto, quasi fosse la descrizione della vita sessuale di una coppia qualsiasi di capre, o per restare in ambito animale, di conigli.
Attenzione, però: gli accoppiamenti, il sesso, sono funzionali alle storie dei due protagonisti.
Il sesso è il tramite, è il mezzo, è il fine, ma è anche un’esasperazione della solitudine dell’uomo.
Attraverso di esso possiamo illuderci di controllare la persona amata, o anche la persona bramata.
L’impero dei sensi, uscito nelle sale cinematografiche italiane nel 1976 ebbe immediatamente vita tormentata; il film venne pesantemente censurato e circolò pertanto in una versione sforbiciata di almeno una ventina di minuti. Venne eliminata la scena della fellatio, che tra l’altro era costata tanto a Oshima in termini di ricerca di un’attrice che fosse brava artisticamente e che accettasse un ruolo cosi scabroso, in cui i rapporti sessuali non erano simulati ma reali.

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La trovò in Eiko Matsuda, che rivelò un sorprendente talento drammatico;la scena più difficile del film, la fellatio con eiaculazione praticata a Tatsuya Fuji, impassibile mentre fuma una sigaretta, è una sequenza che risulta talmente fredda da non lasciare nessun spazio alla morbosità.

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In definitiva, un film simbolo di un cinema elegante, quasi algido nella sua rarefazione linguistica, in cui ci si trova immersi in una vicenda che riesce a essere appassionante e non didascalica: il finale, con Abe che non riesce più a essere appagata dal suo ormai stanco amante, sembra inviarci verso una soluzione amara della vicenda.
Anche l’erotismo deve arrendersi, trovando come unica alternativa di proseguimento la fine fisica.
Ecco l’impero dei sensi, un film di Nagisa Oshima. Con Tatsuya Fuji, Eiko Matsuda, Taiji Tonoyama, Aoi Nakajima, Meika Seri Titolo originale Ai no Corrida – L’Empire des sens. Drammatico, durata 120 (104) min. – Giappone, Francia 1976.

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L'impero dei sensi banner personaggi

Eiko Matsuda: Sada Abe
Tatsuya Fuji: Kichizo Ishida
Taiji Tonoyama: vecchio mendicante
Akiko Koyama: geisha
Kanae Kobayashi: vecchia geisha
Kyoji Kokonoe: vecchio professore
Melka Seri: serva
Kazue Tomiyama: governante

L'impero dei sensi banner cast

Regia:     Nagisa Oshima
Sceneggiatura:     Nagisa Oshima
Produttore:     Anatole Dauman
Produttore esecutivo:     Kôji Wakamatsu
Casa di produzione:     Argos Films
Fotografia:     Hideo Itoh
Montaggio:     Patrick Sauvion e Keiichi Uraoka
Musiche:     Minoru Miki
Scenografia:     Jusho Toda
Costumi:     Masahiro Katô e Jusho Toda

Con tre anni di ritardo e dopo molti andirivieni in censura arriva sugli schermi italiani il film di Oshima che inaugurando la Quinzaine des réalisateurs fu lo scandalo di Cannes nel maggio 1976. La non attrice Eiko Matsuda e l’attore Tatsuyo Fuji, lei nella parte di una cameriera, lui nella parte del padrone dell’albergo, fanno all’amore per quasi due ore con visibile trasporto reciproco e secondo varianti nevroticamente fantasiose. Al Festival impressionò moltissimo il finale della giostra amorosa, in cui la giapponesina strangola il partner e gli taglia gli attributi, così da tenerli sempre con sé; ma forse fece ancora più effetto la scena vagamente surreale in cui l’uomo introduce un’ uovo sodo nella vagina della donna che poi provvede a espellerlo accucciandosi come una gallina. In realtà la vicenda dei due amanti folli è notissima in Giappone, tant’è vero che un altro regista, Noboru Tanaka, ha preceduto Oshima nel film Abesada – L’abisso dei sensi (1974), non così scadente da non reggere il confronto. Se Tanaka, ricorrendo a cinegiornali d’epoca, sottolineava in maniera più insistita la cornice storica del fattaccio cercando di spremerne un significato, Oshima esaspera il più privato dei rapporti privati in un cerimoniale delirante, attraversato dal sentimento della distruzione fisica, della vecchiaia e della morte. Benché in tutto il mondo L’impero dei sensi sia finito nei cinema dalle luci rosse, confuso tra i prodotti della bassa pornografia, il film è tutt’altro che compiacente verso la platea, anzi piuttosto spietato. Oshima è un immoralista confesso che nasconde dietro le sue provocazioni e i suoi furori una risentita carica di moralità.
Da Tullio Kezich, Il nuovissimo Mille film. Cinque anni al cinema 1977-1982, Oscar Mondadori

Il film insegna poco o niente ai disinformati, qualche sbadiglio ci scarpa (il troppo stroppiando), e le femministe hanno ragione d. arrabbiarsi per la misoginia di Oshima, che non avrebbe potuto esprimere meglio la sua paura della donna castratrice. E tuttavia il film è, fra i “porno d’autore”, uno dei memorabili. La sua compostezza formale è la spia d’uno stile che sublimando il melodrammatico e il romantico del tema nell’estasi della carne trae molto partito dall’eleganza delle immagini fotografate da HideIto e dall’essenzialità della messinscena. Se non sapessimo che il film è anche il frutto di una speculazione commerciale favorita dalla legge francese che liberalizzò la pornografia, si potrebbe dire che Oshima rapisce l’osceno nel cielo del mistico. Nonostante i frequenti primi piani degli strumenti sessuali in perenne funzione (miracoli della tecnologia nipponica) e dei volti grondanti esotica lascivia, gli elementi figurativi sono comunque di grande castità. E nell’aria che circola si respira la tradizione dell’erotismo orientale, compreso qualche tocco di ironia che lo sdrammatizza, combinata con la moda culturale del sadomasochismo. Ennesimo ma strenuo ricamo sul motivo “amore e morte”, subito imparentato al solito Bataille (e Pieyre De Mandiargues paragona la spulzellatissima Sada addirittura a Giovanna d’Arco), Ecco L’impero dei sensi è insomma meno indecente di quanto l’hanno reso i suoi censori. Mentre conferma che anche un regista di grande talento è costretto ad arrendersi alle smanie del mercato sperando di salvarsi l’anima con la purezza del linguaggio e col fare della sua eroina un simbolo dell’opposizione al militarismo dominante ieri e oggi in Giappone, serve allo spettatore adulto un’immagine cruda ma stilisticamente molto coerente della passione distruttiva, vissuta da una donna la cui vocazione è il cannibalismo e da un uomo per il quale l’adulterio è l’amore della tomba.
Non c’era bisogno di Oshima per sapere che nella sessualità c’è una componente funeraria. Il suo film rappresenta però col massimo di rigore, impastando Artaud alla carta di riso, l’assolutezza macabra di un rapporto che, a porte chiuse, debellate la ragione, la morale e la storia (ma non la polemica sociale, se Sada è una serva che mangia il padrone), si compie nella sacralità del rito corporale. La cultura spiritualista occidentale si inalbera, e si sente incoraggiata a diffidare della sessualità – sicché per certi aspetti Oshima è il più cattolico degli erotomani – ma al “cinéphjle” bene educato la tragedia offre più d’un orgasmo visivo. Dando a Sade quanto è di Sada.

Giovanni Grazzini, Da Il Corriere della Sera, 6 aprile 1979

Film ad alto tasso di erotismo (che a tratti sfocia nell’hard puro senza però mai avere la volgarità che solitamente appartiene al genere) in cui il maestro giapponese Oshima si occupa, con classe e stile, dell’intreccio tra Eros e Tanatos. Da un punto di vista formale inappuntabile mentre è meno solido da un punto di vista narrativo sotto il quale non aggiunge nulla di nuovo sul tema. In ogni caso decisamente apprezzabile e meritevole di essere visto.

Tra i migliori film erotici mai realizzati. Abbastanza lento e lineare, ma ossessivo, affascinante e molto coerente nello sviluppo dei rapporti tra i personaggi. Regia, fotografia e recitazione sono di livelli altissimi, e le musiche, anche se non sono particolarmente memorabili, risultano in perfetta sintonia con il clima del film. Non mancano alcune scene molto forti, ma sono tutte realizzate con grande intelligenza. Da non perdere.

Un “porno d’autore” che la critica ha elevato al rango di opera di livello. In realtà la protagonista è l’unica attrice degna mentre per cosa fa ed esprime lui bastava un simil-Siffredi. La scenografia è bella ma claustrofobica, le musiche (punto di forza di diversi film orientali) piatte. Situazioni e dialoghi interessanti ma ripetitivi mentre abbondano posizioni e amplessi (mai volgari, ma un paio di partner l’erotomane se le poteva risparmiare) che poco aggiungono all’attrazione morbosa dei due protagonisti.

aprile 2, 2010 Pubblicato da: | Erotico | | Lascia un commento