I diabolici amori di Nosferatu (El gran amor del Conde Drácula)
Un’antica clinica abbandonata.
Due uomini, visibilmente terrorizzati, devono consegnare una cassa.
Ma cedono alla tentazione di aprirla.
all’interno non ci sono tesori o ricchezze ma qualcosa di terrificante, e i due, assaliti da una figura avvolta nell’ombra, muoiono entrambi.
La scena cambia completamente.
Una carrozza percorre un bosco ad andatura elevata.
All’interno di essa c’è un uomo con quattro donne, che terrorizza con racconti sinistri.
Durante il percorso, la carrozza subisce danni ad una ruota e i cinque sono quindi costretti a scendere e a proseguire a piedi in cerca di un riparo per la notte.
Siamo in Transilvania; poco lontano il gruppetto si imbatte in una costruzione.
Vengono ricevuti dal dottor Wendell, che si offre di ospitarli per la notte.
E’ l’inizio di un incubo, per i cinque, perchè sotto le mentite spoglie del presunto Wendell, si nasconde nientemeno che il conte Dracula, un vampiro che si nutre di sangue umano per poi nascondersi di giorno in attesa che torni la notte.
Dracula vampirizza tutti, rendendo le donne sue schiave ad eccezione della bella Karen;
Paul Naschy, il conte Dracula
lei sola riuscirà a rubare il cuore del vampiro, che per amore ucciderà le sue complici perendo proprio in virtù della debolezza d’amore.
Uscito nel 1972 con il titolo originale spagnolo di El gran amor del Conde Drácula, I diabolici amori di Nosferatu (titolo italiano) diretto da Javier Aguirre è un horror tradizionale basato sulla figura del conte Dracula, per una volta incline al sentimento dell’amore.
E’ questo che differenzia il film di Aguirre dai numerosi cloni del primo Dracula, oltre 160 che seguirono al primo leggendario film datato 1931, con protagonista il principe delle tenebre all’epoca interpretato dal grande Bela Lugosi.
Un film che ha una sua dignità, ben girato e sopratutto equilibrato, una miscela molto difficile da trovare in altri prodotti similari; gran merito va, oltre alla sceneggiatura ben congegnata, alle atmosfere che Aguirre ricrea.
E che si avvale della gran professionalità di Paul Naschy,
che elabora la figura del conte Dracula a modo suo, conferendogli una dolente caratterizzazione, rendendo il conte Dracula più schiavo di un destino tragico del quale è tristemente consapevole che simile ad una sinistra entità malefica.
Come già detto, il film è ben congegnato; l’idea di creare un’atmosfera lugubre sin dall’inizio, con Imre Polvi (l’attore Vic Winner) che terrorizza le ragazze in sua compagnia con lugubri racconti proprio mentre la carrozza viaggia tra i sinistri boschi della Transilvania, non è originale ma è ben diretta.
Rosanna Yanni
L’abbandono della carrozza, con le quattro ragazze che sembrano quasi presagire la sorte alla quale andranno incontro fatalmente, l’incontro stesso con il rassicurante Wendell/Dracula, l’atmosfera cupa eppure non opprimente della casa che ospita il gruppo sono le parti migliori del film.
Ben congegnato è anche il sistema adottato da Aguirre per illustrare gli attacchi di Dracula alle sue ospiti, con le stesse che sembrano quasi sognare in bianco e nero, emblema di una sorte che per loro sarà terribile.
Le attrici del film ovvero la splendida Haydee Politoff che interpreta Karen, Rosanna Yanni che interpreta Senta, Ingrid Garbo che interpreta Marlene e infine Mirta Miller nella parte di Elke sono ben assortite anche fisicamente e risultano alla fine credibili.
Riuscito anche il tentativo di Aguirre di non rendere il film banalmente erotico, ma di lasciare all’immaginazione le varie seduzioni che il conte opererà sulle sue vittime, fino alla fatale decisione di risparmiare la donna della quale è ormai innamorato, Karen.
L’atmosfera gotica è quindi ben resa, così come sono ben rappresentati i tormenti del conte Dracula, una volta tanto visto non come un’essere assetato di sangue, ma tormentato da quello che è il suo essere anche umano, in una specie di dicotomia tra la rappresentazione dell’eterno dualismo in lotta del bene e del male, con un finale una volta tanto rassicurante.
Il bene trionfa sul male, Dracula vince la sua battaglia contro il destino e sceglie la morte alla vita eterna fatta però di morte e distruzione.
Haydée Politoff , Karen
Uno dei migliori prodotti di sempre dedicati al principe delle tenebre.
I diabolici amori di Nosferatu, di Javier Aguirre, con Paul Naschy, Haydee Politoff, Rosanna Yanni, Mirta Miller, Victor Alcazar, Ingrid Garbo, Julia Pena, Susana Latour Horror, Spagna 1972
Paul Naschy … Conte Dracula / Dr. Wendell Marlow
Haydée Politoff … Karen
Rosanna Yanni … Senta
Ingrid Garbo … Marlene
Mirta Miller … Elke
Víctor Alcázar … Imre Polvi
Álvaro de Luna … Conducente
Susana Latour … Vittima del sogno di Karen – Immagine in negativo
Julia Peña … Paesana
Loreta Tovar … Vittima bionda
Il commissario Lo Gatto
Natale Lo Gatto è un commissario delegato al posto di polizia all’interno della città del Vaticano; dopo un misterioso delitto avvenuto ai danni di un sacerdote, il commissario indaga all’interno dell’ambiente ecclesiale, ma spinge il proprio zelo troppo in là, finendo per chiedere un alibi niente meno che al Santo Padre.
Questa leggerezza gli costa il trasferimento in Sicilia, nell’isola della Favignana.
“Mi scusi la domanda, ma lei dov’era ieri sera?”
Isabel Russinova è Maria Papetti / Wilma Cerulli
Qui non accade assolutamente nulla, e Lo Gatto, affiancato dal fido agente Gridelli deve solo guardarsi dalla più grande di tre sorelle che gestisce la pensione dove il commissario alloggia, mentre l’agente Gridelli ha una relazione con la sorella più giovane.
L’arrivo dell’estate porta naturalmente un grosso flusso turistico e con esso ecco arrivare uno strano caso.
L’agente Gridelli trova in casa di una bella donna, Wilma, delle lenzuola sporche di sangue e un coltellaccio anch’esso con tracce di sangue.
Natale Lo Gatto fiuta finalmente la sua occasione, e si dedica a indagini a tutto campo.
L’agente Gridelli e la bella turista Brigitte
Scopre così che nell’isola, a dispetto della quiete apparente, quasi tutti hanno un segreto da nascondere; c’è il bagnino che presta servizi particolari sia a uomini che a donne, c’è il professionista con annessa bella moglie, che ha una relazione con un altro uomo, c’è la ragazzina di casa che ama farsi vedere nuda la sera e via dicendo.
sul posto arriva anche uno scalcinato giornalista dell'”Eco di Trapani”, che inutilmente cerca di carpire informazioni al poliziotto.
Licinia Lentini è la signora Bellugi
Alla fine Lo Gatto, anche se involontariamente, arriva alla soluzione del caso.
Wilma ricompare, viva; non è stata uccisa, ma si è concessa una scappatella con, nientemeno, il Presidente del consiglio.
La notizia scoppia come una bomba, grazie anche a Vito Ragusa, che carpisce il segreto di Lo Gatto con uno stratagemma.
Lo scandalo però aiuta il commissario, che così viene promosso dal nuovo Presidente del consiglio, succeduto al precedente in virtù dello scandalo.
Lo Gatto viene inviato quindi ad una conferenza internazionale, dove è incaricato di vigilare sulla sicurezza dei sette più grandi uomini della terra.
Qui, vista spuntare da una tenda quella che sembra la canna di u fucile, fa tuffare i sette in una piscina; in realtà la canna del fucile è solo il tubo di un aspiratore, e questa volta Lo Gatto viene inviato in una località sperduta della Sicilia, in mano alla mafia.
Li, infatti, qualche giorno prima il vice questore è stato ucciso da una bomba.
Dino Risi dirige, nel 1986, Il commissario Lo Gatto usando la sua ironia garbata e tranquilla, girando un film gradevole tutto incentrato sulle epripezie di Natale Lo Gatto, commissario maldestro e anche un tantino sfigato alle prese con vicende più grandi di lui.Ad interpretare il funzionario di polizia viene chiamato Lino Banfi, reduce da una serie interminabile di commedie sexy; qui, per una volta, abbandona il caratteristico accento pugliese e assume un ruolo diverso, anche se chiaramente orientato sul comico.
Aiutato da una valida spalla, quel Maurizio Ferrini lanciato da Arbore nel suo fortunato programma Quelli della notte, Banfi sfoggia di un discreto repertorio, mostrando di sapersela cavare anche in ruoli diversi dai soliti.
Il film, ambientato per la massima parte nella splendida Favignana, è anche un occasione per alcune belle caratteriste del cinema italiano; si va dalla bella e sexy Isabella Russinova (Wilma) a Licinia Lentini, che interpreta il ruolo della signora Bellugi, moglie cornificata di uno stimato professionista, passando per Renata Attivissimo e Nicoletta Boris, le sorelle Patanè che gestiscono la pensione in cui alloggia il commissario.
Nel ruolo del giornalista Ragusa, che farà la sua fortuna proprio grazie all’imperizia di Lo Gatto c’è Maurizio Micheli.
Ironia, un sottile sarcasmo caratterizzano il film: Risi capovolge i canoni del classico giallo trasformandolo in una gradevole farsa, puntando bonariamente il dito sui tanti vizietti italici.
Il giallo non è più giallo, quanto una commedia degli equivoci; i vari personaggi sembrano ritratti sfocati dell’italietta provinciale, in bilico tra bigottismo e un’ardita e improbabile immoralità.
Film discreto, quindi, con qualche sprazzo divertente, qualche spunto di riflessione e, cosa che non guasta, una discreta presenza di belle donne.
Maurizio Micheli, il giornalista Ragusa
Il commissario Lo Gatto, un film di Dino Risi. Con Lino Banfi, Maurizio Micheli, Maurizio Ferrini, Galeazzo Benti, Licinia Lentini,Armando Marra, Andrea Montuschi, Isabel Russinova, Valeria Milillo, Nicoletta Boris
Commedia, durata 100 min. – Italia 1986.
Lino Banfi commissario Natale Lo Gatto
Maurizio Ferrini agente Gino Gridelli
Licinia Lentini signora Bellugi
Isabel Russinova Maria Papetti / Wilma Cerulli
Maurizio Micheli il giornalista Vito Ragusa
Galeazzo Benti Barone Fricò
Renata Attivissimo Addolorata Patanè
Nicoletta Boris Annunziata Patanè
Albano Bufalini il farmacista
Armando Marra il barbiere
Andrea Montuschi il prete don Giacomo
Valeria Milillo Manuela Bellugi
Roberto Della Casa architetto Arcuri
Regia Dino Risi
Sceneggiatura Dino Risi, Enrico Vanzina, Carlo Vanzina
Produttore International Dean Film per Medusa (Pepite) – Pentavideo
Fotografia Sandro D’Eva
Montaggio Alberto Gallitti, Claudio Risi
Musiche Manuel De Sica
Costumi Silvio Laurenzi
Gianluigi Pizzetti ingegner Bellugi
Non è certo gran cosa, ma l’incipit è straordinario. Incaricato di indagare su un omicidio avvenuto nel Vaticano, Lo Gatto viene ricevuto da Papa Woityla, cui si presenta come “cattolico praticante”. Il Sommo Pontefice lo esorta ad andare ad indagare, ma Lo Gatto, imperterrito, chiede: “Dove si trovava Sua Santità la notte in cui fu commesso il delitto?”. E l’altro: “Sbaglio, figliolo, o tu vuoi sapere se Sua Santità ha un alibi?”. Fosse rimasto a questo livello, sarebbe stato un capolavoro.
Tentativo ad opera di un regista “nobile” di sdoganare l’umorismo a forte connotazione regionale del comico Lino Banfi che interpreta il personaggio del titolo in modo piuttosto misurato ma che in questo modo snatura la propria comicità e risulta meno efficace del solito. Il film è comunque vedibile anche per la bella ed insolita ambientazione (le isole Egadi).
Non è il film per cui ricorderemo il comico pugliese, e di certo nemmeno quello per cui ricorderemo Dino Risi; insomma è stato un tentativo onesto ma solo parzialmente riuscito di nobilitare la straordinaria maschera comica di Lino Banfi costruendoci sopra un film un po’ più ragionato dei suoi soliti. Il problema è che già dopo 20 minuti della sottotrama gialla non frega più niente a nessuno, e il fatto che il protagonista contenga la sua esuberanza contribuisce ad annacquare il tutto. Formalmente è un’opera discreta, ma non c’è il vero Banfi.
Non così male. A partire da un inizio culto, con Banfi commissario che chiede l’alibi al Papa, riesce a mantenersi in modo più che sufficiente anche nella seconda parte della pellicola, con Banfi che indaga su un omicidio in una località isolana. Bravi Ferrini brigadiere e il cast di contorno (c’è pure l’imitazione di Andreotti). Buona prova registica di Risi.
Commedia banfiana isospettabilmente diretta da un regista di classe quale Dino Risi, solitamente non avvezzo a prodotti di questo genere. Risi riesce però a dare un taglio alla pellicola diverso dai soliti standard della commediaccia all’italiana dei primi ’80, creando un discreto incrocio tra la trama poliziesca (all’acqua di rose) e i momenti di comicità slapstick di un Banfi ispirato. Buono il cast di contorno, con un Ferrini divertente e un rodato Micheli, così come l’interessante location siciliana. Si ride moderatamente, ma è gradevole.
Riuscita commedia sperimentale di Risi. Buona la prova di Lino Banfi, a partire dal clamoroso incipit, in cui il commissario Lo Gatto mette sotto torchio addirittura il santo padre (da qui l’esilio nella strepitosa ma angusta Favignana). Il contrasto comico nasce proprio dalla discrasia Banfi-“ferreo tutore della legge”. Le parti comiche ci sono e funzionano bene (con acide puntate satiriche contro l’arrapata borghesia vacanziera). Il tocco è al contempo sofisticato e demenziale (ha un che di Zucker e Abrahams, vedi i flashback parigini). Da rivalutare!
Ultimi fuochi per Dino Risi, costretto a fare da mestierante al servizio di Banfi (l’anno dopo dovrà addirittura occuparsi di Serena Grandi). Un (finto) giallo-rosa-brillante i cui momenti migliori sono nell’incipit e nel finale. Nel mezzo (ovvero il film) qualcosa di riuscito c’è, ma la sceneggiatura è troppo indecisa su che registro addottare, così come Banfi che alterna momenti misurati ad altri slapstick fuori contesto. Colonna sonora nazional-popolare che sciorina innumerevoli hits estive. Al di là delle sue imperfezioni, è comunque un film gradevole.
Uno dei più brutti di Banfi. La partenza non sarebbe stata male, cosi come il finale, ma è la parte centrale che delude. Una commedia gialla dagli sviluppi prevedibili, dialoghi risibili e personaggi figurine che non riescono a strappare che una debole e ben poco convinta risata. Banfi è bravo ma non salva la baracca. Cosi come Ferrini e sopratutto Micheli.
Sottovalutato, forse perché Banfi nel 1987 non era più onnipresente come ai tempi di Vieni avanti cretino. In realtà il film è tutt’altro che anacronistico, la location siciliana (tra bigottismo manifesto e tragressione serpeggiante) fornisce un bel contrasto con l’avvento di una politica contaminata da triangoli amorosi, tradimenti e quant’altro. In tutto questo, la coppia LoGatto/Gridelli funziona e ricorda palesemente Auricchio/DeSimone di Fracchia la Belva Umana. Da non sottovalutare.
Ottima prova di Banfi, misurato ed elegante in questa commedia che ha il suo punto di forza nella splendida location. La storia parte benissimo e si sviluppa in modo interessante anche quando l’azione si sposta sull’isola. Ottimi Ferrini e Micheli, che regalano due caratterizzazioni credibili e divertenti. Bellissima la Russinova, strepitose le tre sorelle Patané e riuscite le musiche. Da rivalutare. Un Banfi diverso, maturo e memorabile.
Dirige Dino Risi e si vede. Meno volgarità gratuita, meno battute folgoranti a doppio senso, meno parolacce… e questo alla fine nuoce al film perché Banfi sembra avere sempre il freno a mano tirato. Se avesse avuto più spinta e l’antica verve dei vecchi personaggi banfeschi (pensiamo al commissario Auricchio di Fracchia la belva umana) il Commissario Lo Gatto sarebbe stato un capolavoro. È comunque una buona commedia, misurata e ricca di ottime caratterizzazioni (Micheli, Ferrini, Marra e le strepitose sorelle Patanè). Non male.
Commedia comica gradevolissima, con un Banfi che regge benissimo il ruolo da protagonista, aiutato anche da ottimi comprimari. A riguardarlo oggi non possiamo non notare l’attualità di questo film: o Risi è un indovino o le cose non sono affatto cambiate… battute e situazioni sempre molto divertenti; da notare l’uso molto disinibito del nudo femminile (praticamente non ne manca mai).
Zombie lake
Un anonimo paesino della Francia.
Una ragazza dopo essersi spogliata, fa il bagno in uno stagno; quello che non sa è sul fondo dello stesso si agita minacciosa la sagoma di un soldato trasformato in uno zombie, che la afferra e la trascina sul fondo.
E’ l’inizio di una serie di tragiche morti, che vedranno coinvolte bagnanti incosapevoli.
All’interno del lago, sul suo fondale, ci sono zombie che una volta erano soldati.
Tedeschi, per la precisione, trucidati dai partigiani del paese e gettati sul fondo.
Uno di loro aveva avuto una relazione con una ragazza del posto, dal quale era nata una figlia.
Sarà grazie a lei che l’incubo finirà.
Parlare male di Zombie lake, regia di Jean Rollin con la collaborazione nientemeno che di Jesus Franco è molto più facile che sparare sulla Croce rossa; un film che vorrebbe essere un horror e invece è comico, un film pretenzioso e senza senso, con una sceneggiatura tagliata con una sega da alberi, recitazioni parrocchiali ed effetti speciali un tanto al chilo.
Tutto appare chiaro dopo qualche minuto; Rollin indugia con sguardo lubrico sul bel corpo di una ragazza completamente nuda. La scena dura alcuni minuti, vediamo infatti la ragazza sguazzare in uno stagno dove una persona sana di mente non entrerebbe nemmeno per una grossa somma.
Lo zombie che afferra la ragazza e la trascina sottacqua sembra preso di petto dai fumetti di Hulk; è verde come un ramarro o come un pisello in piena fioritura.
A questo punto lo spettatore, dopo aver visto un altro zombie uscire dall’acqua, azzannare una povera donzella e lasciarla morta si rassegna.
Ma non ha visto il peggio; gli abitanti del paese prendono la ragazza morta e la depositano davanti alla casa del sindaco, che sconsolato scuote la testa.
C’è spazio ovviamente per il racconto della nascita dell’allegra combriccola di crucchi zombie; vediamo con dovizia di articolari, l’amplesso tra il teutonico e biondo soldato e la bellezza locale, unione dalla quale uscirà una bimba che qualche anno dopo sarà la soluzione del caso.
Dopo di che vediamo un nutrito gruppo di ragazze spogliarsi (ovviamente), farsi il bagno (molto meno ovviamente) ed essere tirate sul fondo dai cattivissimi zombie; che essendo tedeschi, sono ancora più incazzati del solito (ovviamente)
Taccio, per carità di patria,sul finale, che assomiglia tanto ad una presa per i fondelli; come del resto assomiglia ad una presa per i fondelli tutto il film, costruito attorno ad un folto gruppo di ragazze completamente nude e a poco altro.
Davvero nulla da salvare in un film sconclusionato come pochi, capace di far apprezzare altre porcate come La bestia in calore o qualche z movie dedicato ai soliti zombie; su Rollin ho già espresso, in passato, ampie riserve, confortate da questa sciagurata prova.
Recitazione prossima o uguale allo zero, location poco meno che dignitosa;ma davvero non c’era un lago meno schifoso e pieno di vegetazione in cui ambientare una storia di per se balzana?
Quale cervello malato può scegliere di bagnarsi in un laghetto cosparso di ninfee e di radici?
Nel paese dove è ambientato il film la percentuale di belle figlile è talmente elevato da chiedersi se non sia il paradiso degli islamici con le famose 36 vergini.
Il resto è noia assoluta, totale.
Un film assolutamente, totalmente e irrimediabilmente inguardabile.
Zombie lake, un film di Jean Rollin. Con Howard Vernon, Pierre-Marie Escourrou, Anouchka. Horror, Francia 1981
Howard Vernon … Il maggiore
Pierre-Marie Escourrou … Soldato tedesco
Anouchka … Helena
Antonio Mayans … Morane
Nadine Pascal … Madre di Helena
Youri Radionow … Chanac
Burt Altman
Gilda Arancio … Ragazza bionda del lago
Marcia Sharif … Katya
La storia, a base di zombi nazisti, è leggermente più lineare del solito ma ad ogni modo bizzarra così come la sceneggiatura, che serve allo spettatore dialoghi leggermente più “corposi” del solito e meno deliranti. Recitazione sotto il livello di guardia. Noia, un po’ di divertimento. Insomma è Rollin!
Nonostante fosse un film su commissione, si può comunque parlare di una tipica “rollinade”. Infatti permangono alcuni elementi tipici del cineasta, tipo i nudi del tutto superflui e la lentezza del narrato; mancano invece gli effetti psichedelici. Il film è una storia di ex-soldati “ritornanti” (resi come uomini pitturati di verde, sic!), che richiama alla mente La morte dietro la porta di Clark (lo zombi succhiasangue che vuole ricongiungersi con la famiglia), ma con risultati nemmeno paragonabili. Noiosetto, anche se nel finale si risolleva.
Le starlette e il cinema sexy, il cinema di genere-Seconda parte
Nella prima parte di questo excursus sulle starlette che hanno popolato il cinema anni 60-70, in particolare il cinema di genere e il cinema sexy, abbiamo visto come molte attrici abbiano iniziato la propria carriera nei modi più disparati, provenienti cioè dalla tv, dalle pubblicità, dal mondo dei fotoromanzi o della moda ecc. Una diva televisiva, divenuta tale grazie allo straordinario successo dello sceneggiato televisivo Sandokan, centrato sulle avventure della tigre della Malesia, personaggio creato da Salgari, è Carole Andrè.
Carole Andrè in Morte a Venezia di Visconti…
Quando nel 1975 Sergio Sollima le affida il personaggio di Marianna, la perla di Labuan, donna amata da Sandokan, Carole ha già alle spalle una ventina di film, eppure è poco conosciuta dal grande pubblico. Nata nel 1953 a Parigi, Carole partecipa anche a film rilevanti, come Morte a Venezia di Visconti, ma solo in piccole parti. Del resto quando appare sul set del film di Visconti, la giovane attrice ha solo 18 anni, è acerba anche se in possesso di un bel volto. La sua carriera alla fine conterà una quarantina di film, nei quali per la stragrande maggioranza l’attrice francese non avrà mai la parte da protagonista, con le eccezioni del Sandokan versione cinematografica oppure di Violentata sulla sabbia (1971) e nel film di Sollima Il corsaro nero (1976), ancora una volta tratto da un romanzo di Salgari. Un’altra attrice molto sottovalutata e sopratutto utilizzata poco è Carla Romanelli;
Carla Romanelli nel poco conosciuto Steppenwolf…
volto espressivo, molto brava, la Romanelli ha girato una trentina tra film e sceneggiati tv in circa 15 anni di carriera, prima di eclissarsi subito dopo lo sceneggiato tv I racconti del maresciallo. La Romanelli ha al suo attivo partecipazioni a film rilevanti come Sono stato un agente C.I.A (1978) e l’affascinante Steppenwolf (1974), poco conosciuto e visto; una delle sue parti più sensuali è quella di Tosca nel film L’infermiera, una commedia sexy di buon livello datata 1975. Cristina Lindberg,
Cristina Lindberg in uno dei suoi tanti film sexy, Exponerad
attrice svedese classe 1950, specializzata in film a sfondo erotico, ha conosciuto da noi una certa popolarità grazie al film Thriller-A cruel picture; curiosamente differente dagli stilemi tipici delle svedesi, tutte bionde e eneralmente prosperose, la Lindberg, bruna e poco appariscente ha lavorato in una ventina di film, molti dei quali arrivati in Italia in versioni uncensored attraverso il mercato parallelo dei film in super 8 e 16 mm. Nel cinema di genere, in particolare tra le pellicole horror e thriller, spicca il nome di Alessandra Delli Colli,
Alessandra Delli Colli in Zombie Holocaust
classe 1957, presente in Zombie 3 (1980), nel buon Lo squartatore di New York (1982) e in Il fascino sottile del peccato (1987); la Delli Colli è una delle tante starlette finite nel dimenticatoio, pur essendo graziosa e indubbiamente espressiva. Figlia d’arte, Romina Power ,
La Power in Justine di Jesse Franco
Una giovanissima Romina Power in I caldi amori di una minorenne
nata a Los Angeles nel 1951 da Tyrone Power, divo hollywoodiano e dall’attrice Linda Christian, rappresenta il prototipo della classica attrice arrivata al grande schermo senza possedere particolari doti. Fisico esile e volto d’angelo, la Power esordisce a 14 anni nel film Ménage all’italiana di Franco Indovina (1965), per poi interpretare I caldi amori di una minorenne di Julio Buchs (1969) e il film di Jesse Franco Justine ovvero le disavventure della virtù che il grande (1969), che le da grande notorietà anche in virtù di alcune scene di nudo che l’attrice interpreta. Dopo alcuni musicarelli e in seguito al matrimonio con il cantante Albano Carrisi, la Power crea un sodalizio di lunga durata con il marito, che le darà molta più fama e notorietà del cinema, che abbandonerà dopo aver interpretato una dozzina di film.
Qualche dote va invece riconosciuta a Daniela Poggi,
Due film distanti diversi anni per Daniela Poggi: L’ultima orgia del Terzo reich…
attrice ligure nata nel 1956, interprete cinematografica, teatrale e in seguito televisiva, diventata poi anche conduttrice televisiva. Bellissima, con un fisico in stile pin up, anche se ben più armonico e slanciato delle classiche maggiorate, la Poggi ha interpretato circa 30 film, i più interessanti dei quali paradossalmente dal 1990 in poi, quando la ua bellezza è maturata lasciando spazio al talento più che alle doti fisiche. Difatti la bella attrice fino a quella data si è segnalata in pellicole appartenenti al genere della commedia sexy, come il nazisploitation L’ultima orgia del III Reich, regia di Cesare Canevari (1977), Prestami tua moglie, regia di Giuliano Carnimeo (1980),La gatta da pelare, regia di Pippo Franco (1981),Il paramedico, regia di Sergio Nasca (1982) Nel caso della bella attrice di Savona, una carta fondamentale l’ha giocata l’indubbio talento, fino ad allora sacrificato in ruoli secondari. La tv e le fiction, che dal 1990 hanno avuto sempre maggior importanza per il pubblico televisivo l’hanno consacrata al successo. Attrice dal grande talento, sacrificata inspiegabilmente dai registi nostrani ,Teresa Ann Savoy,
Una bravissima Teresa Ann Savoy in Caligola
La Savoy interpreta Salon Kitty
londinese purosangue classe 1956 ha esordito con il boom nel film di Lattuada Le farò da padre, dove interpreta una ragazza ritardata. Il ruolo, ricoperto alla perfezione, ne esaltò la bellezza quasi adolescenziale, permettendole di lavorare subito dopo nel controverso film di Brass, Salon Kitty, oltre che in Vizi privati, pubbliche virtù di Miklós Jancsó del 1975, film molto discusso sulla tragedia di Mayerling. I ruoli che ricoprì erano quasi tutti molto scabrosi, tanto da relegarla, nonotante la bravura, in un clichè che la voleva dolcemente perversa, in virtù proprio delle sue caratteristiche fisiche ed espressive. Alla lunga il cinema si interessò di lei solo per affidarle ruoli scopertamente erotici, come in La disubbidienza di Aldo Lado (1981), oppure in Caligola, di Tinto Brass, film discusso in cui la Savoy interpretava la sorella amante di caligola, Drusilla. Alla fine del 1986 sparì dagli schermi, dopo aver interpretato 10 film e lasciato un ricordo molto profondo, quello di una’ttrice capace, brava ma utilizzata malissimo. Esordio con il botto anche per la splendida Simonetta Stefanelli,
Una splendida Simonetta Stefanelli in Non commettere atti impuri
nata a Roma nel 1954. A soli 17 anni Coppola la chiama per interpretare il ruolo di Apollonia, moglie di Michael Corleone nel Padrino; la celebre scena in cui la bella attrice resta a seno nudo è una delle più ricordate del film. Prima del Padrino, l’attrice si era segnalata per la sua fresca bellezza in Non commettere atti impuri regia di Giulio Petroni (1971),in Homo Eroticus regia di Mario Vicario (1971) e sopratutto nel piccolo ruolo della figlia di Santenocito/Gassman in In nome del popolo italiano, regia di Dino Risi (1971). Dopo aver interpretato la figura di Lucrezia Borgia in Lucrezia giovane, regia di Luciano Ercoli (1974), l’attrice rimase invischiata in ruoli al limite del pecoreccio nella solita commedia sexy all’italiana, in film come La nuora giovane, regia di Luigi Russo (1975) e Peccati in famiglia, regia di Bruno Gaburro (1975) Il matrimonio con l’attore Michele Placido, la nascita di sua figlia Violante, anche lei attrice di ottimo successo la distolsero dal cinema; l’ultimo ruolo lo interpretò nel film Le amiche del cuore, regia di Michele Placido (1992). Una carriera da vera starlette è quella della bionda Sabrina Siani,
La Siani in Incontro nell’ultimo paradiso
attrice nata a Roma nel 1963; fisico esplosivo, capelli biondi e viso molto bello, l’attrice esordisce giovanissima con Napoli… la camorra sfida, la città risponde (1979). Si specializzerà in b movies, che porteranno i tioli di Dove vai se il vizietto non ce l’hai? (1979),Gunan il guerriero (1982),Pierino medico della Saub (1981) Unico film di un certo livello è il mal riuscito Dagobert di Dino Risi, film del 1984 caratterizzato dallo splendido cast ma anche dal clamoroso fiasco ai botteghini. Classicissima starlette è Patricia Webley,
conosciuta anche come Patrizia De Rossi, 17 film interpretati quasi tutti b movies; dopo l’esordio con La sanguisuga conduce la danza (1975), arriveranno Le calde notti di Caligola (1977) ,Classe mista (1976),Malabimba (1979). Appariscente, seno probabilmente ritoccato, la Webley si è segnalata solo per parti di contorno fino alla conclusione della sua carriera, avvenuta con il mediocre Un ombra nell’ombra (1979), nel quale, nemesi finale, interpreta una prostituta, ricoprendo in pratica un ruolo con il quale aveva esordito. Parlando di Simonetta Stefanelli, ho accennato al famoso “esordio con il botto”, ovvero la possibilità data, ad alcune attrici, di esordire con film e con autori di grande fama, dirette da registi molto famosi; è quello che accadde a Ines Pellegrini,
Ines Pellegrini in Salò di Pasolini
Una bella governante di colore
attrice italiana con madre eritrea nata a Milano nel 1954. Dopo una prima piccola apparizione in Il brigadiere Pasquale Zagaria ama la mamma e la polizia, regia di Mario Forges Davanzati (1973) al fianco di un non ancora famoso Banfi e dopo una particina nell’esotico Noa Noa di Ugo Liberatore, la Pellegrini venne chiamata da Pier Paolo Pasolini per interpretare la principessa Zumurrud in Il fiore delle Mille e una notte.Pur non mostrando particolare talento, Ines Pellegrini, grazie al suo fascino esotico per qualche anno lavorò con buona frequenza, anche sopratutto grazie a Paolini che la chiamò ancora per il discusso Salò, le 120 giornate di Sodoma e Gomorra, dove l’attrice interpretò il ruolo di una cameriera. Anche lei, come molte delle sue colleghe, rimase prigioniera di ruoli secondari in film thriller o della commedia sexy, come Gatti rossi in un labirinto di vetro, regia di Umberto Lenzi (1975),La fine dell’innocenza, regia di Massimo Dallamano (1976),Le evase – Storie di sesso e di violenze, regia di Giovanni Brusadori (1978) Da segnalare il buon Una bella governante di colore, regia di Luigi Russo (1976), nel quale rivaleggia con la splendida Orchidea De Santis. La sua ultima apparizione cinematografica la fa nel film Sono un fenomeno paranormale, regia di Sergio Corbucci (1985), accanto al grande Alberto Sordi. Carriera degna del passaggio di una meteora quella di Antonia Santilli,
La Santilli in Fratello homo sorella bona
nata in provincia di Latina nel 1949;arrivata relativamente tardi nel mondo del cinema, a 23 anni grazie ad un produttore che la vide in un servizio di nudo per la rivista maschile sexy Playmen, la Santilli esordì nel decamerotico Fratello Homo Sorella Bona (1972), lavorando in seguito in produzioni come Decameroticus (1972),Ancora una volta prima di lasciarci (1973). Dopo una breve parte in Roma bene di Lizzani, ecco la grande occasione con Il boss di Fernando Di Leo, a cui però segue solo il declino, dopo l’interpretazione di Una matta, matta, matta corsa in Russia (1974), regia della coppia Franco Prosperi, Eldar Ryazanov. Carriera curiosamente lunga ma anche caratterizzata da lunghe pause quella di Beryl Cunningham,
Beryl Cunningham in Decamerone nero
La Cunningham in Così dolce così perversa
attrice di colore nota in Italia sopratutto nel periodo tra la fine degli anni 60 e gli inizi degli anni 70, quando gira film di discreto successo come Una storia d’amore (1969), Le salamandre (1969), il thriller La morte risale a ieri sera (1970), il divertente e misconosciuto Concerto per pistola solista (1970), uno dei film più innovativi dell’intero decennio settanta e il famoso Il dio serpente (1970), qualitativamente mediocre ma caratterizzato da una splendida colonna sonora e dalla presenza della conturbante Nadia Cassini. In ultimo citerei Magda Konopka,
Magda Konopka nel western Blindman, il pistolero cieco
attrice polacca nata a Varsavia nel 1943; in Italia è nota sopratutto per aver interpretato il ruolo di Marny Bannister in Satanik di Piero Vivarelli, film del 1968 tratto dall’omonimo fumetto della premiata ditta Magnus e Bunker, maldestro tentativo di far vivere in carne e ossa la splendida protagonista del fumetto femminile più bello degli anni sessanta. La Konopka, poco espressiva e legnosa, non ebbe poi molta fortuna, anche se alla fine della sua carriera si conteranno circa una trentina di film, quasi tutti però di bassa qualità. A parte l’incredibile Blindman (1971), film ispirato dalle gesta di un pistolero cieco! e Canterbury proibito (1972), una piccola particina in Lucky Luciano (1973) e una parte stravagante nell’ancor più stravagante Superuomini, superdonne, superbotte (1975), della Konopka ormai non resta traccia se non nella memoria dello spettatore cinefilo più incallito. Per molte delle attrici che possono essere etichettate, anche se alla larga come starlette, il destino fu proprio quello dell’oblio. Non sono state poi molte quelle che hanno saputo ritagliarsi ruoli alternativi, che hanno saputo approfittare del prepotente affacciarsi della tv o che hanno saputo adeguarsi (in molti casi non hanno potuto, non avendo le qualità necessarie) ai cambiamenti a cui il cinema stesso è andato incontro. Nella prossima puntata vedremo il caso di alcune di queste attrici, che in mancanza di alternative, sono andate incontro a tristi vicende personali.
Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno
Ricciardetto è un giovane, sfrontato e incallito donnaiolo di professione pittore.
Ricevuto l’incarico dal podestà del paese di ritrarre la bella moglie di costui, Violante, Ricciardetto si dedica anima e corpo, e con molto entusiasmo, al lavoro ricevuto.
Ma il giovane non si occupa di sedurre soltanto donzelle e dipingere; è sempre alla ricerca di un sistema per far rivivere il suo borgo, e renderlo di conseguenza meta di transito per pellegrini e viandanti.
L’occasione arriva in concomitanza con l’avvio dell’anno santo, proclamato da Bonifacio VIII; il paese di Ricciardetto rischia di essere tagliato fuori dalle rotte di pellegrinaggio, a tutto favore del paese vicino, concorrente di
quello del giovane pittore.
Margaret Rose Keil
Ricciardetto, astutamente, distrugge il ponte che collega il paese rivale, costringendo i viandanti a dover passare obbligatoriamente per quello del pittore.
La mossa gli vale la gratitudine dell’intera popolazione, e la fama del pittore dongiovanni cresce.
Ma l’ultima avventura, proprio con la moglie del podestà, rischia di privarlo del bene a cui più tiene, la virilità.
L’uomo infatti, da sempre convinto della fedeltà della bella moglie, lo scopre in flagrante adulterio proprio con donna Violante.
Ricciardetto viene condannato quindi ad essere evirato, e sarà l’intervento di una dama, incapricciatasi del pittore, a salvare gli attributi dello stesso.
Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno appartiene, come si deduce anche dal titolo, alla folta schiera dei decamerotici.
Questa volta il regista, Bitto Albertini,specializzato in B movies, evita il solito saccheggio di pseudo novelle di Boccaccio e basa tutta la storia sulle avventure in salsa erotica di Ricciardetto, maldestramente interpretato da Antonio Cantafora.
Raccattato un cast di belloccie disponibili a mostrare quello che all’epoca si poteva mostrare, misurato in centimetri di epidermide (siamo nel 1973), Albertini affida le varie parti femminili ad attrici poco note come Margaret Rose Keil,Piera Viotti, Melinda Pillon, la bionda e ben fatta per la verità Madonna Violante.
Film ovviamente senza pretese, da inquadrare nella solita ottica del filmetto di grana grossa, Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno è in pratica assolutamente indistinguibile dalla marea di film cloni che caratterizzarono la vasta produzione dei decamerotici.
Ancora una volta la cosa migliore è la location, ovvero il più volte utilizzato Castello di Balsorano,in provincia dell’Aquila, generalmente utilizzato proprio per la sua bellezza e per i dintorni davvero spettacolosi.
Girato in tre settimane, un autentico record, il film si avvale delle vignette iniziali di Mordillo, che ovviamente non compare con il suo nome e delle musiche di Stelvio Cipriani, che fornisce la base agli stornelli dell’attore Musy, impegnato in battutacce sconce e pecorecce che non meritano nemmeno di essere citate.
Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno, un film di Bitto Albertini. Con Antonio Cantafora, Margaret Rose Keil, Luca Sportelli, Fortunato Arena, Mimmo Baldi,Piera Viotti, Melinda Pillon Erotico, durata 93 min. – Italia 1972.
Antonio Cantafora … Ricciardetto
Melinda Pillon … Monna Violante
Margaret Rose Keil … Amalasunta
Piera Viotti … Monna Elisa
Renate Schmidt … La Taverniera
Mario Frera … Frate grasso
Mimmo Baldi … Martuccio
Luca Sportelli … Geppino
Mario De Vico … Cardinale
Regia Bitto Albertini
Sceneggiatura Bitto Albertini, Marino Onorati
Produttore Wolfranco Coccia
Fotografia Pier Luigi Santi
Montaggio Bitto Albertini
Musiche Stelvio Cipriani
Costumi Adriana Spadaro
Le starlette e il cinema sexy, il cinema di genere-Prima parte
Il termine cinematografico “Starlette” indica generalmente quella pletora di attrici che non hanno mai raggiunto la piena notorietà, pur avendo fatto spesso una lunga gavetta quasi sempre però ai margini del cinema che conta.
Un termine volutamente riduttivo, mutuato dal ben più altisonante e importante star, che indica invece l’attrice diventata stella di prima grandezza nell’universo cinematografico.
Un mondo, quello delle starlette, costellato di figure di vario genere, in cui compaiono alla rinfusa attricette con uno o due film girati e poi eclissatesi nel nulla, oppure oneste mestieranti che hanno partecipato a molte pellicole senza però mai ruoli di primo piano, salvo qualche debita eccezione.
L’attrice ceca Zora Kerova in La ragazza del vagone letto
Sonia Viviani in Incubo sulla città contaminata
Starlette è anche l’attrice proveniente dai più svariati mondi dell’universo spettacolo; si va dall’attrice televisiva, diventata famosa per uno sceneggiato, per una pubblicità televisiva o per un varietà all’attricetta proveniente dal mondo della moda, eletta miss in una delle miriadi di concorsi regionali, cittadini o addirittura paesani, per finire alla cantante divenuta famosa per un solo disco.
A guardar bene, la stragrande maggioranza delle starlette ha in comune l’oblio a cui è destinata la categoria; come per le cicale, usando un parallelo con il mondo della natura, cantarono per una sola estate.
Impiegate in tutti i generi cinematografici, le starlette ebbero però il massimo della visibilità proprio con il tema di questo articolo, ovvero la partecipazione a film sexy o appartenenti a opere cinematografiche quasi sempre di livello inferiore.
Parliamo quindi dei decamerotici, il genere esploso dopo il successo del Decameron pasoliniano, che fu involontario capostipite del prolifico filone delle pellicole clone a base di racconti tratti, spesso in maniera assolutamente arbitraria, dai racconti di Boccaccio, Pietro Aretino, Masuccio salernitano e persino Ruzante e Caucher.
La bellissima Silvia Monti, in Giornata nera per l’ariete
Patrizia Adiutori in Ragazza tutta nuda assassinata nel parco
Naturalmente parliamo della commedia sexy all’italiana, degenerazione di quella che era stata la commedia all’italiana, in cui vizi e virtù della gente italica erano stati bersaglio di caustica, ironica o sarcastica visione da parte dei padri del genere, da Risi a Monicelli, da Comencini a Scola, così come parliamo di altri generi cinematografici in gran auge nel periodo che va, grosso modo, dal finire degli anni sessanta al finire degli anni settanta.
Molta critica cinematografica spesso inserisce in questo elenco attrici con alle spalle una lunga e onorevole carriera in svariate produzioni, con poche presenze in ruoli di primo piano, ma generalmente ottime caratteriste, impiegate come sicurezza di professionalità, simpatia e bravura da registi di ogni genere.
Monica Zanchi attrice svizzera, in Emanuelle e gli ultimi cannibali
E’ il caso, cito alla rinfusa, di Gabriella Giorgelli, di Orchidea De Santis,di Femi Benussi, di Malisa Longo e di Marilu Tolo, considerate discrete professioniste ma alla stessa stegua delle starlette; il che è un errore grossolano, vista la partecipazione delle citate attrici ( e di molte altre) a produzioni non solo dignitose, ma spesso di ottimo livello, trascurate solo per quella classica miopia che a mio giudizio caratterizza larga parte della critica cinematografica, pronta ad esaltare solo le figure di primo piano, che si chiamino Loren o Vitti, Melato o Cardinale.
Mariangela Giordano in Eroticon
Il solito equivoco tra quello che vede il critico e quello che vede lo spettatore, che alla fine è il vero arbitro, visto che è colui che paga il biglietto al botteghino, stabilendo da buon giudice quale sarà il prodotto che ha gradito di più.
Naturalmente è meglio non infilarsi nel tunnel infinito della discussione sul cinema di qualità e il cinema con riscontri al box office; limitiamoci a parlare delle starlette, di questo universo assolutamente straordinario popolato da bellezze e da attrici anche brave, da bellezze degne solo di uno sguardo furtivo alle loro forme fisiche e di quelle bellezze assolutamente inadatte a recitare anche in una rappresentazione di bambini per il Natale.
Maria Grazia Buccella in After the fox
Uno dei canali da cui il cinema anni sessanta e settanta attinse a piene mani per lanciare attrici fu quello del fotoromanzo; verso la metà degli anni sessanta settimanali come Bolero o Grand Hotel, a cui si sarebbe aggiunta la famosa casa editrice Lancio, divennero il sebatoio naturale per attingere a volti e personalità variegate, per una serie di motivi.
Il principale consisteva nella fama che riuscivano a guadagnarsi nelle edicole; l’attrice di fotoromanzi spesso diventava una star, per cui la sua visibilità aumentava in maniera esponenziale proprio grazie alle vendite di questo genere specializzato di riviste.
La sfortunata Jenny Tamburi in La seduzione
Erna Schurer in Nude per l’assassino
Non solo; per partecipare ad un fotoromanzo era necessaria anche una certa espressività, oltre a qualche dote di recitazione, per cui i fotoromanzi stessi divennero una specie di fucina per tutta una serie di aspiranti attrici.
Molte di loro utilizzarono il fotoromanzo come trampolino di lancio per il cinema, vero miraggio o punto di approdo dei sogni di tante ragazze aspiranti attrici.
Non dimentichiamo che Sofia Loren o Ornella Muti Laura Antonelli e Gina Lollobrigida, partirono proprio dai fotoromanzi, anche se va detto che lavorarono quasi in contemporanea anche per il cinema.
Cristina Galbò, interprete di La residence
Uno dei nomi più noti emersi proprio dai fotoromanzi è quello di Beba Loncar, attrice nata a Belgrado nel 1943, che passò dal successo dei fotormanzi interpretati per Grand Hotel ad una carriera abbastanza onorevole a livello cinematografico. Fra le sue opere più importanti si possono citare Pussycat, Pussycat, I Love You (1970), La ragazza dalla pelle di luna (1972), Terza ipotesi su un caso di perfetta strategia criminale (1972), Quella strana voglia d’amore (1977) oltre al Decameron 3 . Una cinquantina di film interpretati, una bellezza particolare, di stampo slavo, buone doti recitative ed una carriera onorevole sono le caratteristiche della bella attrice ex jugoslava.
Brigitte Skay in Isabella duchessa dei diavoli
Beba Loncar, interprete di Signori e Signore
Un’altra attrice che fece il salto dal mondo del fotoromanzo, con minor fortuna della Loncar, fu Angela Covello; pur disponendo di una bellezza non comune e di discrete doti recitative, la Covello fu mal impiegata e sopratutto poco utilizzata, tanto che alla fine della sua carriera si conteranno solo 12 pellicole interpretate, far le quali vanno segnalate Baba yaga (1973), I corpi presentano tracce di violenza carnale (1973), Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile (1972), oltre a qualche decamerotico, come Fiorina la vacca (1972).
Un passato da fotomodella, attrice di fotoromanzi anche per Erna Schurer, bionda e affascinante interprete di oltre 25 pellicole di film di genere, fra i quali spiccano Le salamandre (1969), Valeria dentro e fuori (1972), Nude per l’assassino (1975).
Una seducente Barbara De Rossi in Angela come te
Pigra in maniera quasi patologica, la Schurer, pur disponendo di buone doti, non divenne mai famosa abbastanza, in virtù anche di una situazione economica personale molto agiata, che sicuramente la frenò nella carriera. In poche parole, non aveva fame abbastanza, cosa che unì alla sua pigrizia e alla scarsa propensione al sacrificio.
Una delle più famose attrici lanciate dai fotoromanzi è senza dubbio la bellissima Barbara De Rossi; volto espressivo e mobile, grande bellezza, fisico sexy caratterizzano la personalità della De Rossi, che ebbe la fortuna di recitare subito in ambito cinematografico in un’opera di Lattuada, La cicala.
Nonostante le doti però, la De Rossi a livello cinematografico non è mai esplosa del tutto, restando un’eterna incompiuta. Il grosso del suo successo infatti arriva dalle fiction televisive, che le hanno dato una notorietà sicuramente più ampia.
Angela Covello interprete di Baba Yaga
Jenny Tamburi in Voglia di guardare
Lara Wendel con la Sandrelli in Desideria la vita interiore
Accanto alle attrici provenienti dai fotoromanzi ci sono poi attrici arrivate al cinema quasi per caso, in tenera età, e che poi hanno dovuto attendere qualche anno prima di acqusire una certa notorietà, pur non riuscendo a diventare stelle di prima grandezza.
E’ il caso di Barbara Magnolfi, volto molto particolare, attrice versatile che però ha raccolto davvero molto poco dalla sua esperienza cinematografica, rimanendo alla fine un talento inespresso; impiegata (male) in film di genere, la Magnolfi ha lavorato in film come Morte sospetta di una minorenne (1975), Suspiria (1977) prima di accettare parti discutibili come nel pessimo La sorella di Ursula (1978). Un vero peccato, sopratutto alla luce di quanto aveva lasciato intravedere.
Un’attrice molto bella, divenuta famosa nel 1969 grazie ad un discreto lavoro di Corbucci,Isabella Duchessa Dei Diavoli è Brigitte Skay; prototipo della starlette a tutto campo, la Skay ha lavorato in film di buon livello, come Reazione a catena di Bava e San Babila ore 20,00 un delitto inutile di Lizzani, prima di specializzarsi in pellicole del b-movies, come l’orrendo La bestia in calore. Bella, capelli rossi, la Skay è la tipica ragazzona vichinga, che fa la sua parte decorativa nei film, non essendo in possesso di particolari doti recitative.
Mariangela Giordano, splendida 45 enne, in La bimba di Satana
Silvia Monti in Sai cosa faceva Stalin alle donne?
Patrizia Adiutori, bel volto, notevole presenza scenica resta uno degli enigmi irrisolti della cinematografia. Indiscutibilmene in possesso di buone doti, gira 13 film in 4 anni, tra il 1969 e il 1973, prima di scomparire misteriosamente nel nulla. Dalla sua, la partecipazione a discrete pellicole come L’istruttoria è chiusa: dimentichi (1971), Ragazza tutta nuda assassinata nel parco (1972) e I corpi presentano tracce di violenza carnale (1973). Buone premesse, quindi, prima di Giovannona coscialunga, disonorata con onore (1973) , film che sancisce la sua scomparsa misteriosa dalle scene.
Sempre a proposito di starlette, vorrei citare Cristina Galbò, bella attrice di origini spagnole, nata a Madrid nel 1950, che ebbe ruoli importanti in discreti successi come Cosa avete fatto a Solange?(1972), Non si deve profanare il sonno dei morti (1974), L’assassino è costretto ad uccidere ancora (1975), rimasta attiva fino al 1988, così come degna di citazione è Maria Grazia Buccella, attrice di origini milanesi con una lunga e onorata carriera trentennale alle spalle, in cui spiccano film come Basta guardarla di Salce (1970) e La violenza: Quinto potere di Florestano Vancini (1972), oltre alla partecipazione all’Armata Brancaleone di Monicelli.
Monica Zanchi nel film Suor Emanuelle
Sonia Viviani in Napoli si ribella
Attrice quasi sempre impiegata in ruoli di svampita dal corpo statuario, la Buccella non riuscì mai a sfondare veramente, pur realizzando nel corso della sua carriera ben 50 film, appartenenti però in gran parte al filone western o della commedia sexy.
Scorrendo l’elenco, ci si può imbattere anche in nomi poco conosciuti sopratutto oggi, in cui larga parte dei b-movies anni 60-70 è stata dimenticata, come quello di Zora Kerova, attrice di origini Cecoslovacche (oggi Repubblica Ceca). 70 anni quest’anno, Zora Kerova ha interpretato 25 film, molti dei quali autentici cult come Cannibal ferox, Antropophagus (1980) e La vera storia della monaca di Monza (1980).
La Kerova è il prototipo perfetto dell’attrice di secondo piano, visto che salvo sporadiche eccezioni, limitate a film di secondo piano, non ebbe mai ruoli principali, come del resto l’attrice svizzera Monica Zanchi, 12 film girati in globale, tra i quali l’ottimo L’uomo la donna e la bestia di Avallone e l’altresi ottimo Autostop rosso sangue di Pasquale Festa Campanile; la Zanchi, specializzata in ruoli apertamente erotici, lavorò anche in Incontri molto ravvicinati del quarto tipo, film culto del genere trash, in Suor Emanuelle (1977), Emanuelle e gli ultimi cannibali (1977) e Porco mondo (1978)
Una delle più brave e belle starlette è Sonia Viviani; volto angelico, fisico aggraziato, l’attrice romana ha interpretato oltre 30 film.
In nessuno di essi è stata la protagonista assoluta, ma il suo curriculum è di tutto rispetto, spaziando tra I guappi (1974) , Yuppi du (1975) fino a Da Corleone a Brooklyn (1979).
Maria Grazia Buccella, dal film Basta guardarla
Cristina Galbò, Cosa avete fatto a Solange?
La bella attrice ha poi conosciuto un lusinghiero successo nella ex Jugoslavia, prima di chiudere la sua più che dignitosa carriera con il film Le nuove comiche (1994).
Un’altra attrice affascinante, bellissima e aristocratica è la veneziana Silvia Monti;in soli 5 anni, tra il 1969 e il 1974 interpretò una trentina di film, alcuni dei quali di notevole spessore.
Il suo volto straordinariamente bello, dai lineamenti fini, le sue notevoli doti espressive vennero sfruttate però ,ancora una volta, in maniera limitata.
Le sue partecipazioni più importanti sono Metti, una sera a cena (1969), Le regine (1970), Una lucertola con la pelle di donna (1971), Giornata nera per l’ariete (1971) prima di concludere la sua carriera nel 1974 con Milano: il clan dei Calabresi. La bella attrice sposò l’imprenditore Carlo De Benedetti.
L’elenco delle starlette non può non includere Mariangela Giordano,attrice ligure classe 1937, che esordì nel cinema con Dramma nel porto (1955) e che continua, a distanza di oltre 45 anni dall’esordio, a lavorare con discreta fortuna nel cinema.
Patrizia Adiutori in Giovannona coscialunga
Brigitte Skay, Morte sul Tamigi
Dopo essersi fatta le ossa con i peplum, la Giordano lavorò per tutto il decennio settanta specializzandosi in ruoli secondari nei più svariati filoni; l’attrice lavorò nei decamerotici Decameron No. 4 – Le belle novelle di Boccaccio (1972) ,Decameron No. 2 – Le altre novelle di Boccaccio (1972) ,Quant’è bella la Bernarda, tutta nera, tutta calda (1975) e nella commedia sexy, interpretando film come Le impiegate stradali – Batton Story (1976) e Che dottoressa ragazzi (1976), nei thriller horror come Malabimba (1979) e negli horror sexy Giallo a Venezia (1979), Patrick vive ancora (1980), Le notti del terrore (1981), La bimba di Satana (1982), nel quale compare nuda, mostrando un’invidiabile forma fisica alla bella età di 45 anni.
Un’attrice bella e simpatica, che nel corso dei decenni successivi ha conosciuto una terza giovinezza, dopo l’epopea dei peplum, quella dei western all’italiana e della commedia sexy attraverso i film di Verdone.
Barbara De Rossi con Clio Goldsmith in La cicala
A lanciare Lara Wendel, ovvero Daniela Barnes da Monaco di Baviera fu un film diventato un cult, quel Maladolescenza che la mostrò integralmente nuda, in una parte molto scabrosa.Va detto che la Wendel aveva esordito da bambina con un piccolo ruolo in Mio caro assassino (1972), per lavorare successivamente nell’ottimo Il profumo della signora in nero (1974), quando aveva appena 9 anni, essendo nata nel 1965.
Il ruolo maledetto di Maladolescenza può essere definito condizionante per tutti i lavori successivi; l’attrice tedesca, dal volto infantile, rimase prigioniera di un clichè che la vedeva eterna adolescente e film come Un dramma borghese (1979), Ernesto (1979) e Un ombra nell’ombra (1979), culminati in Desideria: La vita interiore (1980), tutti film dove è la classica adolescente un tantino perversa un tantino ingenua.
La sfortunata Jenny Tamburi, scomparsa nel 2002 all’età di 54 anni ha avuto una carriera per certi veri molto simile a quella della Wendel, anche se caratterizzata dalla presenza in pellicole di miglior livello qualitativo.
Volto da eterna adolescente, la Tamburi, dopo l’esordio nell’ottimo Splendori e miserie di Madame Royale (1970) al fianco di Tognazzi, entrò in svariate produzioni di generi opposti.
Angela Covello nel film I corpi presentano tracce di violenza carnale
Beba Loncar in Terza ipotesi su un caso di perfetta strategia criminale
Tra questi si segnalano il nunspoitation Le scomunicate di San Valentino (1974), l’ottimo La seduzione (1973), il thriller Morte sospetta di una minorenne (1975),Liquirizia (1979) per passare all’erotico Voglia di guardare (1986)
Talento eclettico, la Tamburi raccolse sicuramente molto meno di quanto mostrato, prima di morire per un male incurabile nel 2002, 5 anni dopo il buon successo della serie tv Professione vacanze.
Ilsa la belva del deserto
Ilsa, ex SS e capo di un campo di concentramento, viene assunta dal dissoluto e crudele sceicco El Sharif per reclutare con le buone o con le cattive donne che poi finiranno nell’harem personale dello sceicco.
Non tutte le donne però finiscono nell’harem; alcune vengono messe all’asta e vendute dallo sceicco a suoi compiacenti amici.
Aiutata da due crudeli ragazze di colore, Ilsa si da da fare con torture inenarrabili per convincere le riottose; ma alla fine pagherà il solito conto salato.
Un anno dopo Ilsa, la belva delle SS torna il personaggio della pettoruta e sadica ex comandante delle SS, divenuta nel frattempo una specie di mercenaria; una resurrezione in piena regola, visto che nel film precedente Ilsa viene uccisa da un soldato russo e fatta a pezzi nel campo di concentramento.
Ma nel cinema, si sa, i personaggi non muoiono mai, così Don Edmonds nel 1975 pensò bene di far rivivere il personaggio impersonato dalla pettoruta Dyanne Thorne, attrice di scarsissimo se non nullo talento, la cui unica dote risiedeva nel robusto apparato mammario.
Ilsa la belva del deserto ripercorre pedissequamente il corollario di uccisioni, stupri, violenze et similia di Ilsa la belva delle SS, senza nessun elemento di novità; la miscela è quella classica, ovvero tanto sangue, tanta violenza e un bel mucchio di donne discinte.
Qualche scena di combattimento, come quella fra le due aguzzine al soldo di Ilsa e un soldato, poco altro.
I dialoghi sono di una povertà assoluta, gli scenari al massimo risparmio; spicca la presenza di un elicottero, che deve esser costato alla produzione quanto tutto il film.
Difficile trovare qualcosa di buono in un film splatter, ed infatti in questo caso è impossibile.
Lo spettatore meno accorto dovrà consolarsi con le ipertrofiche mammelle della Thorne, alla quale va aggiunta un’altra maggiorata, la star dei film di Russ Meyer, Uschi Digart.
Inguardabile.
Ilsa, la belva del deserto,un film di Don Edmonds. Con Dyanne Thorne, Uschi Digart,Michael Thayer, Sharon Kelly, Haji Cat Titolo originale Ilsa, Harem Keeper of the Oil Sheiks. Erotico, durata 92 min. – USA 1975.
Dyanne Thorne: Ilsa
Max Thayer: comandante Adam
Jerry Delony: El Sharif
Uschi Digard: Inga Lindström
Sharon Kelly: Nora Edward
Haji: Alina Cordova
Tanya Boyd: Satin
Marilyn Joi: Velvet
Su Ling: Katsina
Richard Kennedy: Kaiser
George Flower: Beggar
Regia Don Edmonds
Soggetto Langston Stafford
Sceneggiatura Langston Stafford
Produttore Don Edmonds
Produttore esecutivo Don Behrns
Casa di produzione Mount Everest Enterprises Ltd.
Distribuzione (Italia) Cambist Films
Fotografia Dean Cundey, Glenn Roland
Montaggio Idi Yanamar
Scenografia J. Michael Riva
Costumi Frances Dennis
Bloodsucking freaks
Difficile parlare di un film come Bloodsucking freaks senza usare termini forti.
Tutti spregiativi, tra l’altro.
Forse quello che più può descrivere questo autentico delirio cinematografico è ignobile, perchè è un termine che ne racchiude altri ugualmente forti ma settari, come misogino, violentissimo, spregevole.
Potrei continuare a lungo usando il peggio del vocabolario, ma nessuno riuscirebbe ad esprimere meglio il concetto insito nel termine ignobile.
Siamo di fronte ad un film che disonora il cinema, spinto com’è ai confini dello snuff movie, intriso di una violenza raccapricciante, insensata e gratuita che disgustano il malcapitato spettatore, lasciandolo alla fine con una gran voglia di aria fresca.
Un film maledetto, tra l’altro, vittima di un giusto ostracismo sin dalla sua comparsa nelle sale, in sordina, nell’anno 1976.
Uscito in America con il titolo di The Incredible Torture Show (acronimo TITS, che tradotto letteralmente indica il seno femminile), il film restò confinato in proiezioni illegali, prima di tornare sullo schermo nel 1978 con il titolo con cui è ancora oggi conosciuto.
Un film in cui la violenza, lo splatter, il gore, la misoginia, l’insensata gratuiticità delle scene si alternano ad una regia folle, tutta tesa ad inquadrare le parti più disturbanti della pellicola stessa, che è cosparsa da un campionario di nefandezze senza precedenti.
La trama, scarna e povera, parla di Sardu, una specie di guru da avanspettacolo che si esibisce in compagnia di un nano idiota e preda di isteriche risatine, su un palco sul quale fa salire ragazze sottoposte a torture inenarrabili.
Il pubblico è convinto che si tratti di finzione, ma così non è; le povere malcapitate, rapite dal nano malefico Ralphus, una volta seviziate in scena, finiscono in una gabbia nei sotterranei del teatro, dove, rinchiuse in anguste celle, vengono nutrite con carne umana.
Strappata ovviamente ad altre sfortunate colleghe.
Accade così che le sventurate, oltre a subire le torture del sadico Sardu, siano anche vittime di un dottore amico e complice dello stesso, che si diverte a torturare ancora di più le malcapitate.
Un critico, che ha osato dissentire sull’osceno spettacolo, viene rapito e costretto ad umiliazioni di ogni genere, incluse una serie di torture infami.
La diabolica coppia rapisce poi una ballerina, Natasha, che viene costretta a ballare sul palco; la ragazza ha però un fidanzato, che riesce a scoprire la turpe attività di Sardu; alla fine, l’uomo e il suo diabolico assistente finiscono divorati dalle donne rinchiuse nello scantinato, mentre Natasha, succube di Sardu, uccide il suo fidanzato e corre follemente verso le prigioniere.
Mentre scorrono le immagini della delirante storia, tra l’altro anche claustrofobica perchè girata esclusivamente all’interno del teatro, con luci cupe tipiche dei film dell’orrore, assistiamo al campionario più malato che la mente di un regista potesse concepire.
Si passa da amputazioni di dita ad arti tagliati, passando per freccette da tiro al bersaglio lanciate verso le natiche di sventurate, attraverso ragazze usate come tavolini umani per finire alle due massime espressioni di volgarità che io abbia visto sullo schermo.
Ovvero, il dottore/nazista che pratica un foro nella testa di una delle sventurate utilizzando un trapano, per poi succhiarne il cervello con una cannuccia e l’altra scena raccapricciante in cui il diabolico e informe nanerottolo si cuoce una padella gli occhi di alcune delle ragazze seviziate e uccise.
Alla lunga, il campionario di sconcezze e orrori sortisce nello spettatore una specie di effetto di assuefazione; alcuni, invece, i più furbi, vista la mala parata, decisono di lasciare il tutto e si dimenticano in fretta di aver visto la pellicola.
Va da se che in questo contesto, abbellito da nudità di ogni genere (le ragazze sono tutte nude, dall’inizio alla fine), si finisce anche per stramaledire la misoginia che traspare da ogni singolo fotogramma; le donne del film sono senz’anima, sono soltanto vittime sacrificali, e pertanto su di loro l’uomo può sfogare i peggiori istinti.
Il ruolo subalterno delle donne viene ridotto a rango di schiavitù senza nessuna via d’uscita; quando alla fine le prigioniere si vendicano del malefico sardù, sono ormai abbruttite e la protagonista del film finisce per uccidere il fidanzato e unirsi alle prigioniere, nelle quali è sparito anche l’ultimo barlume di umanità.
Un film intriso del peggio e girato in maniera dilettantistica, con occhio lubrico attento soltanto a spiazzare lo spettatore attraverso l’utilizzo di immagini scioccanti; non c’è eros, nel film, nonostante le vittime siano nude dal primo all’ultimo fotogramma.
Non sono oggetto di piacere, non servono a soddisfare le voglie di Sardu, ma solo a colmarne e a saturarne l’istinto bestiale.
Il che porta davero alle estreme conseguenze il film, che di per se non ha già nulla per cui consigliarne la visione.
Detto questo, lascio ai malcapitati o ai curiosi, il desiderio di visionare questa pellicola; ignoro se esista una versione italiana del film, io ho avuto la ventura di vederlo in lingua originale, quindi con i rumori raccapriccianti che costellano la pellicola stessa.
Posso solo sconsigliare lo spettatore dal gettare al vento due ore della sua vita per stomacarsi o arrabbiarsi contro un film becero, volgare e misogino.
Bloodsucking freaks, un film di Joel M. Reed, con Seamus O’Brien,Viju Krem,Niles McMaster, Dan Fauci, Alphonso DeNoble,Ernie Pysher Horror splatter, Usa 1976
Seamus O’Brien … Sardu
Viju Krem … Natasha
Niles McMaster … Tom Maverick
Dan Fauci … Sergente John Tucci
Alan Dellay … Creasy Silo
Ernie Pysher … Il dottore
Luis De Jesus … Ralphus
Helen Thompson … Assistente di Sardu
Saiyanidi … Assistente di Sardu
Alphonso DeNoble Schiava bianca
Le cinque giornate
Cainazzo è un ladruncolo, in prigione per reati comuni; siamo nel 1848, a Milano, alla vigilia delle famose 5 giornate.
Una cannonata sfonda il muro del carcere, così Cainazzo ha la possibilità di fuggire.
Dopo aver incontrato i suoi vecchi compari di ruberie, l’uomo si imbatte in Romolo, un giovane romano a cui una cannonata distrugge invece il laboratorio di panetteria in cui lavora.
Cainazzo (Adriano Celentano) in carcere
I due così prendono a vagare per la città, mentre infuriano i moti popolari di ribellione contro gli austriaci.
Romolo e Cainazzo si imbattono in un’umanità variegata, fatta di cialtroni, nobili ansiosi di cavalcare la ribellione popolare, approfittatori, ladri,avventurieri, sinceri patrioti e doppiogiochisti.
Dopo aver aiutato a partorire una giovane donna, si imbattono in una contessa libertina che costruisce una barricata con i mobili del suo palazzo, in un nobile debosciato che vive in un palazzo depredato dai rivoltosi (solo i libri sono rimasti al loro posto, simbolo di una ottusa concezione della ricchezza), poi in un barone che guida un gruppo di poveri ignoranti e altro ancora.
Cainazzo e Romolo riescono a passare indenni, pur tra molte peripezie, tra i disordini, la reazione austriaca, i processi sommari; ma il giovane romano pagherà con la vita la ribellione ad uno stupro perpetrato ai danni di una ragazza milanese sorpresa a letto con un austriaco.
Con gli occhi gonfi di pianto, Cainazzo sale sul palco degli effimeri vincitori della battaglia, e davanti ai milanesi radunati in piazza, ridendo grida loro “Ci hanno fregati!”
Unico lavoro di Dario Argento che non presenti una trama thriller, Le cinque giornate, diretto dal regista romano nel 1973 ebbe un’accoglienza tiepida sia a livello di critica sia a livello di pubblico.
Marilù Tolo, una contessa davvero speciale
Un vero peccato, perchè il film è di ottima fattura, pur risentendo di una trama spesso avviluppata e contorta, con troppi personaggi e troppi incontri dei due protagonisti con gente di ogni risma, il tutto condensato in soli 5 giorni di battaglia, quanto durarono i moti antiaustriaci del 1848
Un film che si regge sopratutto sulle figure ben caratterizzate dei due protagonisti, Cainazzo interpretato da Adriano Celentano e Romolo, interpretato dal compianto Enzo Cerusico.
I due si muovono in una Milano irreale, popolata da gente di ogni risma; la loro saggezza popolare li porta a diffidare dei vari personaggi che incontrano, tant’è vero che man mano che la loro amicizia si sviluppa e conslida, sembrano quasi diventare due corpi estranei in quella rivoluzione che non solo sentono lontana da loro, ma che vedono come velleitaria e spronata da gente con interessi luridi da difendere.
La visione del regista, che a tratti usa l’arma della comicità con buona mano, come nel caso del surreale parto che vede protagonisti i due amici, è sicuramente ironica e amara; non sembrano esserci personaggi degni di stima, nella storia.
Dalla contessa che appoggia la rivoluzione e che si comporta quasi fosse ad un pranzo di gala, passando per il barone rivoluzionario che stuprerà la povera ragazza colpevole di amare un austriaco, passando per Libertà, uno dei compagni di ruberie di cainazzo, che da un lato è il capo dei rivoluzionari, dall’altro un venduto agli austriaci, tutte le figure che compaiono nel film sono miserabili e arriviste.
La rivoluzione, per loro, è fonte di arricchimento, di conquista di potere mentre il popolo, quello che ci lascia la pelle sulle barricate, è carne da macello, sacrificabile in nome del proprio abietto obiettivo.
Questa visione pessimistica è stemperata in molti casi dalla sarcastica ironia che Dario Argento fa affiorare nel film; che diventa però, in alcuni casi, abbastanza irritante.
Comunque il film rimane di buon livello; sicuramente preziosa è l’opera dei due attori principali, ai quali va aggiunta la bellissima Marilu Tolo, che all’epoca del film era la compagna del regista romano e che tratteggia perfettamente il ruolo della contessa un tantino ninfomane.
Buona la fotografia e la ricostruzione storica di un film che avrebbe meritato ben altra sorte, che resta un buon esercizio di un regista che ha dimostrato di avere un’ottima conoscenza del mezzo cinematografico.
Le cinque giornate, un film di Dario Argento. Con Marilù Tolo, Adriano Celentano, Glauco Onorato, Enzo Cerusico, Luisa De Santis, Carla Tatò, Emilio Marchesini, Stefano Oppedisano, Fulvio Mingozzi, Loredana Martinez, Sergio Graziani, Ivana Monti, Ugo Bologna, Renato Paracchi, Luca Bonicalzi, Salvatore Baccaro, Guerrino Crivello
Commedia, durata 124 min. – Italia 1974.
Adriano Celentano – Cainazzo
Enzo Cerusico – Romolo Marcelli
Marilù Tolo – La contessa
Luisa De Santis – Donna Incinta
Glauco Onorato – Zampino
Carla Tatò – La Vedova
Sergio Graziani – Barone Tranzunto
Salvatore Baccaro – Garafino
Ugo Bologna – Ufficiale
Tom Felleghy – Mariano
Emilio Marchesini – Prigioniero
Fulvio Mingozzi –
Ivana Monti – La donna stuprata
Stefano Oppedisano –
Dante Maggio – Vecchio
Dario Argento – Regista
Dario Argento – Sceneggiatore
Nanni Balestrini – Sceneggiatore
Luigi Cozzi – Sceneggiatore
Enzo Ungari – Sceneggiatore
Salvatore Argento – Produttore
Claudio Argento – Produttore
Giorgio Gaslini – Compositore Della Musica
Luigi Kuveiller – Direttore Della Fotografia
Franco Fraticelli – Montatore
Elena Mannini – Costumista
Infelicissima escursione argentiana fuori dai suoi territori, benché generose dosi di violenza certifichino che anche in vacanza Darione pensava comunque al core business. Sceneggiatura di Balestrini confusa e velleitaria, attori non all’altezza, cattivo o nullo governo dei registri (con prevalenza di un grottesco un po’ troppo conclamato), insomma un ciofecone che si può tranquillamente accantonare, o guardare solo per documentazione.
Per capire il senso del film, basta fare riferimento alla frase di Celentano, rivolto al compare: “E ora andiamo a vedere che cazzo è ‘sta rivoluzione”. Trattasi infatti della rivolta contro gli austriaci vista dagli occhi di due poveracci ignoranti (da piegarsi la scena dell’esplosione della panetteria, col fornaio illeso). Ne vedranno un po’ di tutti i colori, anche se Argento (qui decisamente fuori dai suoi abituali binari) la butta anche sul ridere, pur distribuendo sangue e violenza. Troppo lungo e pasticciato (misto-generi), ma vedibile.
Unica escursione di Dario Argento al di fuori del genere giallo/horror. Dopo la trilogia degli animali (che gli fruttò successo e notorietà mondiali), il regista romano provò a cambiare decisamente rotta ma il pubblico non premiò questa scelta e così torno rapidamente sui suoi passi (il film successivo fu il capolavoro Profondo rosso). Argento comunque sforna un prodotto più che dignitoso (anche se indubbiamente il thriller gli è molto più congeniale), in cui abbondano scene di notevole violenza. Buona l’interpretazione di Celentano e Cerusico.
Comunemente definito come un incidente di percorso o dun’opera minore nella filmografia di Dario Argento, è invece un singolare film storico pieno di ironia, realizzato con una regia deliziosa. Fra i suoi pregi maggiori si evidenzia una funzione ritmica del montaggio, il rigore cromatico e le inquadrature di alcune scene girate a 18 fotogrammi al secondo, la stessa velocità usata dalle macchine da presa nel cinema muto (un chiaro omaggio del maestro a Charlie Chaplin). Rivisto oggi da chi non guarda solo horror lo rivaluto grandemente.