Allonsanfan
La fine dell’era napoleonica, con conseguente restaurazione, seguita all’esilio di Napoleone a Sant’Elena è lo sfondo di questo dramma storico diretto nel 1973 dai fratelli Paolo e Vittorio Taviani. Vi si narra la storia di Fulvio Imbriani, nobile italiano aderente alla setta dei Fratelli sublimi, ex appartenente all’esercito napoleonico ed ex giacobino; l’uomo viene rilasciato dopo la prigionia seguita alla fine dell’era napoleonica, rientra in famiglia e sembra intenzionato a dimenticare il passato, godendosi finalmente la famiglia, la bella casa e gli ozi.
I buoni propositi di Fulvio vanno a rotoli nel momento in cui, nella sua vita, ricompare la bella Charlotte, la donna con la quale ha avuto una relazione, dalla quale è nato il piccolo Massimo. La donna ha con se una grossa somma, destinata ai patrioti italiani del sud Italia; Fulvio ruba i soldi, con l’intenzione di usarli per il figlio, per garantire allo stesso un futuro di studi e renderlo economicamente indipendente. Eshter, sorella di Fulvio, denuncia il complotto, con conseguente morte della povera Charlotte.
Bruno Cirino
Ma la situazione è destinata a complicarsi quando irrompe nella vita di Fulvio la giovane Francesca, che costringe l’uomo a riprendere i contatti con i ribelli, che sognano la liberazione del sud Italia. Fulvio e i ribelli arrivano nel sud, dove ancora una volta si consuma il tradimento del nobile; finale amaro.
Allonsanfan è un film sul tradimento, sia quello dell’amicizia, quindi umano, sia su quello degli ideali; ideali di giustizia, libertà uguaglianza e pace sociale, che erano stati, almeno nelle intenzioni, il cardine principale su cui si era mossa la rivoluzione francese, e che Napoleone aveva in qualche modo tradito, esportando un’idea di uguaglianza sulla punta delle baionette, finendo per sradicare, in alcuni stati europei, un potere tirannico per sostituirlo con un alto non molto diverso. C’è questo, nel film dei fratelli Taviani, ma non solo.
C’è un evidente parallelo tra la storia ottocentesca del nostro paese riportata in parallelo con i tempi in cui fu girato il film, la prima parte del decennio settanta, con le sue contraddizioni irrisolte, figlie del decennio sessanta, fatto di speranze disilluse. Un film amaro, in fin dei conti, che simboleggia la fine degli ideali, le speranze disilluse, l’egosimo e molto altro. Grande Marcello Mastroianni nel ruolo di fulvio, l’uomo che tradisce un pò tutti, e alla fine, cosa più importante, tradisce se stesso e i propri vecchi ideali.
Mimsy Farmer
Molto brave le due interpreti principali femminili, Lea Massari nel ruolo di Charlotte e Mimsy Farmer in quello di Francesca; brava anche Laura Betti, che interpreta Esther, sorella di Fulvio. Asciutta la regia dei fratelli Taviani, il commento sonoro, delicato, è di Ennio Morricone.
Claudio Cassinelli
Allonsanfan, un film di Paolo Taviani, Vittorio Taviani con Marcello Mastroianni, Lea Massari, Laura Betti, Claudio Cassinelli, Bruno Cirino, Mimsy Farmer
Italia, 1973
Lea Massari: Charlotte
Mimsy Farmer: Francesca
Laura Betti: Ester Imbriani
Claudio Cassinelli: Lionello
Benjamin Lev: Vanni “Peste”
Renato De Carmine: Costantino Imbriani
Stanko Molnar: Allonsanfan
Luisa De Santis: Fiorella
Biagio Pelligra: il prete
Michael Berger: Remigiano
Alderice Casali: Concetta
Bruno Cirino: Tito
Ermanno Taviani: Massimiliano
Regia Paolo e Vittorio Taviani
Sceneggiatura Paolo e Vittorio Taviani
Produttore Giuliani G. De Negri
Casa di produzione Una Cooperativa Cinematografica
Fotografia Giuseppe Ruzzolini
Montaggio Roberto Perpignani
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Gianni Sbarra, Adriana Bellone
Costumi Lina Nerli Taviani
Una donna di seconda mano
Firenze, anni 50. Luca, uno studente orfano di entrambi i genitori, vive con suo zio Augusto, un donnaiolo cinquantenne, proprietario di un negozio di scarpe. L’uomo è legato sentimentalmente a Clelia, una sua dipendente. La donna ha una figlia, Simona, che è la ragazza di Luca. Un giorno suo zio, per svezzarlo sessualmente, lo porta in un bordello, dove il ragazzo conosce Nerina, una matura ma seducente prostituta.
Enrico Maria Salerno è Augusto
Il giorno dopo, in seguito all’ennesimo rifiuto di Simona di avere rapporti con lui, la violenta. La ragazza racconta tutto alla madre, che decide di vendicarsi. Istruisce la figlia a dovere, con l’incarico di sedurre il maturo Augusto. Il piano riesce, e Simona circuisce Augusto. Un amico di Luca scopre la ragazza mentre è in auto con il suo amante e informa il giovane, che reagisce male. Ritorna al bordello e si fa consolare da Nerina. Nerina però ha un suo piano: è stufa di essere una donna di seconda mano, come si definisce durante un colloquio con una collega, e medita di farsi sposare.
Senta Berger
Nel frattempo Simona si sposa con Augusto, e il giovane per un pò riesce a consolarsi tra le braccia di Nerina. Ma un giorno la donna scompare, e sarà un amico camionista di Luca a scoprirla casualmente a Venezia: la donna è riuscita nel suo intento, ha sposato un ricco uomo d’affari. Luca, dopo aver respinto la corte di Simona, segue Nerina a Venezia, dove riesce a riallacciare la relazione. Ma la donna non vuol perdere quanto faticosamente conquistato, dichiara al giovane di non amarlo e lo lascia, prende un vaporetto e guarda in direzione del giovane, con uno sguardo appena velato dalla nostalgia, mentre Luca urla dal ponte che non la ama.
Nonostante l’ottimo cast, che include Enrico Maria Salerno (Augusto), Senta Berger (Nerina), Macha Meril ( Clelia), Rena Niehaus (Simona), Stefano Satta Flores (l’autista amico di Luca), Stefano Amato (Luca), Una donna di seconda mano, film del 1977 diretto da Pino Tosini e sceneggiato da Renato Izzo, scorre sullo schermo nella più assoluta indifferenza dello spettatore. Colpa principalmente di una trama scontata sin dall’inizio, di una sceneggiatura raffazzonata e sopratutto della scarsa volontà mostrata dal cast, che sembra svogliato e impigrito, quasi anestetizzato da ruoli senza spessore.
Luca alla ricerca di Nerina nel bordello
A salvarsi è il solito Salerno, in parte la deliziosa Niehaus e parzialmente anche Senta Berger, troppo sorridente e poco incisiva. Un film che penzola tra il dramma e la commedia e che forse aveva l’ambizione di mostrare uno squarcio del mondo dei bordelli prima della legge Merlin. Alla fine tra qualche casto nudo, qualche amplesso una volta tanto mostrato con pudore, si arriva senza scossoni alla parte finale, che forse è la più interessante, non fosse per la fretta e per la scarsa incisività degli attori, tra i quali spicca in senso negativo proprio il protagonista principale, Stefano amato, che piattamente interpreta Luca.
Poca roba, alla fine, forse l’unica cosa da rimarcare è la location, parzialmente ambientata a Firenze nelle parti iniziali e a Venezia in quelle finali. Un’altra nota dolente è il fiorentino di Augusto-Enrico Maria Salerno, davvero poco credibile anche nel doppiaggio.
Una donna di seconda mano, un film di Pino Tosini con Stefano Amato, Senta Berger, Macha Meril, Rena Niehaus, Enrico Maria Salerno, Stefano Satta Flores, Bruno Valente, Italia 1977
Senta Berger- Nerina
Enrico Maria Salerno:Augusto
Macha Meril:Clelia
Stefano Amato:Luca
Rena Niehaus:Simona
Stefano Satta Flores:l’autista
Regia Pino Tosini
Soggetto Sergio Perillo
Sceneggiatura Renato Izzo
Casa di produzione Boxer Films
Fotografia Tonino Nardi
Montaggio Massimo Ferlicco
Musiche Michele Francesio
Scenografia Massimo Lentini
W la foca
Il film di Cicero, del 1981, segna la fine malinconica di un’epoca e l’inizio di un’altra. La commedia all’italiana è morta, e lo stesso cinema italiano è in debito d’ossigeno. Le sale si riempiono di prodotti nazionali di dubbio gusto, con titoli espliciti, come questo di Cicero che strizza l’occhio alla foca protagonista del film ma anche ad una parte anatomica femminile, con il semplice cambio di una vocale.
Lori Del Santo
Film a suo modo nemmeno da bocciare in toto, non fosse altro che per il tentativo di Cicero di gettarlo sulla goliardata pura, attraverso non sense e qualche buono spunto,che però sono solo sprazzi. Il resto è comicità davvero becera, sguaiata e di bassissima lega, ruotante tra l’altro attorno alle grazie di Lori Del Santo, fresca del successo ottenuto con il Drive in televisivo, epsoste in tutte le maniere possibili. Sulla trama ci sarebbe da glissare su, ma della recensione resterebbero solo le immagini, per cui provo ad esporla con poche parole, essendo anche scontata in maniera triste.
Andrea, una giovane infermiera, si trasferisce a Roma, per sfuggire alla noia, ma anche per affrontare una nuova sfida lavorativa. Finisce per trovare lavoro presso la famiglia del dottor Patacchiola, uno strano tipo di medico che spende una fortuna in sostanze afrodisiache, famiglia che include anche una moglie più che ninfomane, un nonno satiro e allupato, una figlia beatamente ingenua che si concede al primo che capiti e un figlio che è così ritardato da non sapere nemmeno cosa si fa con una donna.
Dagmar Lassander
a destra: Michela Miti
Dopo aver vinto un concorso fotografico, Andrea si ritrova per casa una foca, premio del concorso stesso; nella famiglia ne succedono di tutti i colori, così come alla stesa Andrea capitano situazioni surreali. Alla fine, dopo aver fallito anche una prova televisiva, Andrea viene assunta da una signora molto ricca, che intende creare una clinica per ricchi obesi ; sarà la sua fortuna.
Se la trama appare scontata e in carta carbone con tante altre pellicole girate sul finire degli anni settanta, al regia di Cicero cerca di salvare il salvabile, imbastendo un’improbabile storia attorno a Lori del Santo; ma la triste realtà finale è quella di un film che più che surreale diventa grottesco, ma senza alcun senso positivo. Le battutacce dell’onnipresente Bombolo, il nonno eccitato, la moglie ninfomane sono le ennesime, stanche repliche dei vecchi film della commedia sexy.
Il tentativo di rinverdirne le gesta naufraga totalmente, di fronte all’assoluta inconsistenza di una trama degna di menzione o di qualche situazione che susciti un minimo di ilarità. Siamo ormai negli anni ottanta, il risultato si vede, purtroppo.
W la foca, un film di Nando Cicero. Con Lory Del Santo, Michela Miti, Riccardo Billi, Bombolo, Victor Cavallo, Franco Bracardi, Dagmar Lassander, Moana Pozzi, Alfredo Adami, Angelo Pellegrino, Fabio Grossi, Giovanni Attanasio, Sergio Di Pinto, Enio Drovandi, Anna Fall, Carmine Faraco, Vito Fornari, Bobby Rhodes, Carlo Marini
Lory Del Santo: Andrea
Michela Miti: Marisa
Victor Cavallo: L’Imbianchino
Franco Bracardi: Il Barbone
Giovanni Attanasio: Il Portinaio
Sergio Di Pinto: Il Barista
Enio Drovandi: Il Tassista
Anna Fall: Domenica, cameriera straniera
Carmine Faraco: L’Amico di Marisa
Antonio Spinnato: Amante+Operaio
Vito Fornari: L’uomo che deruba Andrea
Carlo Marini: Michele
Bobby Rhodes: L’Amante di Domenica
Dagmar Lassander: La Moglie di Patacchiola
Bombolo: Il Dottor Patacchiola
Riccardo Billi: Il Nonno
Fabio Grossi: Il Figlio
Enzo Andronico): L’Esibizionista
Antonella Angelucci: La Donna sadica in Hotel
Ennio Antonelli: Il primo controllore
Maurizio Mattioli: Il secondo controllore
Angelo Pellegrino: Il Professore
Martufello: L’impiegato del Comune / Addetto alla Clinica
Giulio Massimini: Mario, alla reception dell’Hotel
Moana Pozzi: La ragazza del treno
Italo Vegliante: Uomo con il tic al cinema
Alfredo Adami: Paziente con 18 figli
Regia Nando Cicero
Soggetto Galliano Juso
Sceneggiatura Nando Cicero, Francesco Milizia, Stefano Sudriè
Fotografia Giorgio Di Battista
Montaggio Daniele Alabiso
Musiche Detto Mariano
Scenografia Claudio Cinini
Il gatto
Ugo Tognazzi e Mariangela Melato
Amedeo e Ofelia, due fratelli, hanno ricevuto in eredità dal padre uno stabile fatiscente con diversi appartamenti, tutti locati a canone fisso. I due, gretti, avidi, meschini, tiranneggiano gli inquilini, sopratutto dopo la proposta di un’immobiliare, che vuole acquistare lo stabile per una somma enorme, 500 milioni pro capite, con l’unico vincolo del palazzo libero da inquilini. La morte sospetta del loro gatto porta i due all’azione: spiando i condomini, cercano di capire quali vizi possano nascondere, in modo da trovare finalmente il casus belli che permetta loro l’agognato sfratto. Il primo a fare le spese della perfida e laida coppia di guardoni è un disgraziato commissario di polizia, che finirà per passare attraverso una montagna di guai sia con i suoi superiori sia con la stampa.
Dalila Di Lazzaro
Amedeo e Ofelia iniziano così un’attività voyeuristica, che li porta a scoprire un piccolo bordello installato in uno degli appartamenti, frequentato da insospettabili avventori e da altrettanto insospettabili prostitute, fino alla scoperta (non casuale, ma costruita) di una improbabile centrale dello spaccio della droga, gestito da un gruppo di orchestrali in pensione.
Con il ricatto e con altri mezzi sporchi, i due riescono a mandar via quasi tutti gli inquilini. Sarà la scoperta di un omicidio a provocare un’ accelerazione degli eventi, e alla fine i due finalmente si ritrovano con lo stabile sgombro. Ma il diavolo fa le pentole, dimenticando i coperchi…….
Il gatto è un film grottesco, un classico lavoro alla Comencini, che assomiglia in maniera sinistra a Fratelli coltelli, film di molti anni successivo. Un prodotto in cui è difficile trovare un solo personaggio raffigurato in chiave positiva, a cominciare dai due avidi e amorali protagonisti, Amedeo-Ugo Tognazzi e Ofelia-Mariangela Melato, che si odiano, si disprezzano ma trovano nell’interesse un legame più forte del vincolo del sangue. I due usano mezzi bassi per muoversi comunque tra bassezze e miserie, in un universo costellato solo da persone alle quali non fanno difetto di certo le peggiori caratteristiche degli uomini.
Meschinità, grettezza, arrivismo, tutto il peggio delle qualità negative racchiuse in un microcosmo, uno stabile che è decrepito e fatiscente come la moralità di coloro che lo abitano, proprietari inclusi. La storia del gatto diventa quindi un pretesto per una frustata generale, inferta da Comencini nel suo classico stile, anche se non così appariscente come per esempio nel citato Fratelli coltelli o nel ben più nichilista L’ingorgo, storia in cui proprio le qualità negative dei protagonisti diventano il centro della storia. La similitudine più azzeccata potrebbe essere, fatta salva l’ambientazione, il sottoproletariato, con il film di Scola Brutti sporchi e cattivi: un’umanità resa cinica ed egoista, vista attraverso quella che sembra essere la molla principale delle mosse umane, l’interesse. Comencini forse non graffia come altre volte, scegliendo di rimanere in bilico tra la commedia nera, la farsa, infarcita di grottesco e di situazioni al limite del surreale.
Il gatto ha il suo limite proprio nell’essere monocorde, nel suo volere ad ogni costo dipingere in grottesco i personaggi del film stesso, rendendoli una massa amorfa di gente senza scrupoli, dignità o valori. Alla fine proprio le situazioni che si vengono a creare nel film diventano troppo macchinose: l’onorevole con la villa al mare accusato di aver avuto una relazione gay con un suo cameriere e di averlo ucciso, la ragazza dell’attico, cinica e amorale, che alla fine esce unica vera vincitrice dalla storia, i due stessi protagonisti principali, per i quali lo spettatore prova immediatamente repulsione e antipatia, caricaturizzati come sono, sin dal loro odioso dialetto milanese importato nella capitale. Un film quindi riuscito in parte, in cui le situaioni comico grottesche si accavallano, ma senza un ritmo ben definito. Un discorso a parte lo merita il cast, di rispetto: se Ugo Tognazzi e Mariangela Melato riescono, in qualche modo, a dare l’esatta dimensione della meschinità e dell’avidità ai loro personaggi, lo stesso non si può dire di Dalila Di Lazzaro, davvero a disagio nel ruolo della complessa inquilina dell’attico, così come poco convincente appare Philippe Leroy nei panni di in equivoco sacerdote. Il resto del film è popolato da caratteristi, che svolgono come possono il lavoro richiesto.
Film quindi in bilico tra luci ed ombre, comunque da vedere, come ogni prodotto del grande regista
Il gatto, un film di Luigi Comencini. Con Ugo Tognazzi, Philippe Leroy, Mariangela Melato, Dalila Di Lazzaro, Aldo Reggiani, Michel Galabru, Jean Martin, Matteo Spinola, Mario Brega, Adriana Innocenti, Armando Brancia, Raffaele Curi, Fabio Gamma, Bruno Gambarotta
Commedia, durata 115 min. – Italia 1977.
Ugo Tognazzi: Amedeo Pegoraro
Mariangela Melato: Ofelia Pegoraro
Dalila Di Lazzaro: Wanda
Michel Galabru: commissario Francisci
Jean Martin: avv. Legrand
Aldo Reggiani: Salvatore
Adriana Innocenti: Principessa
Armando Brancia: capo della polizia
Philippe Leroy: Don Pezzolla
Angelo Matacena: Garofalo
Bruno Gambarotta: l’avvocato dell’immobiliare
Luigi Comencini: vecchio violinista
Mario Brega: killer barbuto
Raffaele Curi: se stesso, telecronista
Fabio Gamma: la guardia del corpo di Garofalo
Matteo Spinola: speaker televisivo
Vittorio Zarfati: anziano al processo
Pino Patti: portiere dello stabile
Franco Santarelli: il brigadiere
Nerina Di Lazzaro: sig.ra Tiberini
Lino Fuggetta: sig. Tiberini
Regia Luigi Comencini
Soggetto Rodolfo Sonego
Sceneggiatura Rodolfo Sonego, Augusto Caminito, Fulvio Marcolin
Produttore Sergio Leone
Casa di produzione Rafran Cinematografica
Distribuzione (Italia) United Artists Europa
Fotografia Ennio Guarnieri
Montaggio Nino Baragli
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Dante Ferretti
Costumi Danda Ortona
Malizia
Malizia,diretto da Salvatore Samperi,rappresenta una pietra miliare per il cinema targato anni settanta. Non di certo per il suo valore artistico,quanto meno basso,ma per la fenomenologia a cui diede inizio. Un film costato poche centinaia di milioni di lire e che si trasformò in un trionfo al botteghino,un film che lanciò la figura sexy-casalinga di Laura Antonelli,un film che ridiede fiato al cinema erotico,in debito di ossigeno dopo la stagione dei decamerotici.
Alessandro Momo ( Nino) e Angela Luce (la vedova Ines)
Laura Antonelli
Malizia ebbe il merito (se naturalmente di merito si può parlare) di aprire la stagione del sexy casalingo,in cui zie,sorelle,fratelli cugine e parentame vario si trasformano in allupati personaggi in cerca di soddisfazione sessuale casereccia.
Malizia racconta la storia di un vedovo con tre figli,che prende in casa una cameriera giovane,bella e sexy: sia i tre ragazzi sia l’uomo le mettono subito gli occhi addosso. Il commerciante vorrebbe sposarla,ma la ragazza pone come condizione che i tre figli siano d’accordo. La ragazza,dopo essersi barcamentata tra le lascive attenzioni,cederà proprio a quelle del giovane Nino,in una sera di pioggia.
La bellissima Laura Antonelli è Angela
A parte la Antonelli e a parte il povero Alessandro Momo,che avrebbe avuto la sua affermazione nel successivo Profumo di donna,prima di morire in un incidente stradale, Malizia rappresenta solo una commedia all’italiana di nuovo stampo; sono le pruderie erotiche degli italiani a rappresentare il costume,non più i tic e le manie. La storia in effetti è anche abbastanza noiosa, a guardarla bene; le pruderie dei ragazzi della famiglia, di Ignazio La Brocca, il venditore di tessuti, di Antonio, il maggiore dei ragazzi, diciottenne, che almeno avrà il pudore di farsi da parte, sono stereotipi di situazioni che verranno ripetute all’infinito in molte altre storie che seguirono sugli schermi.
Il genere erotico/casalingo trova in Malizia il suo principale precursore, e da allora in poi sarà tutto un fiorire di zie vogliose, cuginette sexy per arrivare anche alle nonne (Fenech docet), passando per sorellastre e patrigni, in un viluppo di situazioni ai limiti o ben oltre l’incesto. Samperi, regista furbissimo, capì il momento giusto per lanciare un’opera sottilmente erotica, giocata sul vedo-non vedo, come testimoniato nella celebre sequenza finale, in cui la povera ( ma nemmeno così ingenua) Angela La Barbera, viene inseguita dai fasci di luce proiettati dal giovane Nino, momenti fissati dalla splendida fotografia di Storaro, unico motivo di eccellenza della pellicola in aggiunta alla splendida Laura Antonelli, forse la più bella delle attrici italiane degli anni settanta.
Angela spiata da Nino e Porcello
Tra gli attori vanno segnalati, oltre ovviamente alla Antonelli e allo sfortunato Momo, Turi Ferro nel ruolo di Ignazio, padre dei ragazzi, Tina Aumont, in una breve parte, quella di Luciana sorella di Porcello, amichetto lascivo di Nino. Inoltre completano il cast una bravissima Angela Luce, la vedova vogliosa e la grande Lilla Brignone, nonna dei tre ragazzi. In una stagione triste per la vita sociale,con l’inizio degli anni di piombo,Malizia rappresenta un tentativo di alleggerimento della morale;un tentativo puerile e pecoreccio,certo,ma che avrebbe avuto ben altro risalto senza un sociale così pericoloso e preoccupante.
Malizia, un film di Salvatore Samperi. Con Tina Aumont, Laura Antonelli, Lilla Brignone, Turi Ferro, Alessandro Momo, Angela Luce, Pino Caruso, Stefano Amato. Genere Commedia, colore 99 minuti. – Produzione Italia 1973.
La celebre sequenza dell’inseguimento notturno alla luce di una piccola torcia
Laura Antonelli: Angela La Barbera
Turi Ferro: Ignazio La Brocca
Alessandro Momo: Nino La Brocca
Tina Aumont: Luciana Puglisi
Lilla Brignone: nonna
Pino Caruso: Don Cirillo
Angela Luce: vedova Ines Corallo
Stefano Amato: Puglisi “Porcello”
Gianluigi Chirizzi: Antonio La Brocca
Grazia Di Marzà: Adelina
Massimiliano Filoni: Enzino La Brocca
Regia Salvatore Samperi
Soggetto Salvatore Samperi
Sceneggiatura Ottavio Jemma, Salvatore Samperi e Alessandro Parenzo
Produttore Silvio Clementelli
Casa di produzione Clesi Cinematografica
Distribuzione (Italia) Cineriz
Fotografia Vittorio Storaro
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Fred Bongusto (arrangiamenti di José Mascolo)
Scenografia Ezio Altieri
Costumi Piero Tosi
Trucco Mauro Gavazzi (trucco), Gilberto Provenghi (parrucco)
Le scomunicate di San Valentino
Due innamorati, Lucita De Fuentes e Esteban Albornoz vorrebbero convolare a nozze, ma l’antica rivalità che divide da generazioni le due famiglie li separa. Denucniato all’inquisizione come assassino, Esteban viene inseguito e quasi catturato da alcuni soldati. Ferito, trova rifugio in un convento, quello di San Valentino, lo stesso nel quale è stata rinchiusa la sventurata Lucita.
Il convento è retto da una badessa molto più simile ad un demonio che ad una santa donna; Encarnation, infatti, regge con pugno di ferro il convento stesso, applicando con crudeltà metodi disumani di correzione. Aiutato dal fedele custode del monastero, Joaquin, che lo nasconde all’interno della sua abitazione, Esteban riesce a vedere la sua amata. Ma non ha fatto i conti con la diabolica Encarnation, che scopre la presenza dell’uomo nel convento.
Appresa la loro storia d’amore, la badessa, che si è invaghita del giovane, uccide una consorella e accusa Lucita del delitto. Portata davanti all’inquitore De Mendoza, la ragazza viene sottoposta a tortura, ma nonostante venga appesa per i polsi e martoriata, non confessa un delitto che non ha commesso, e viene quindi condannata ad essere bruciata sul rogo a Siviglia.
Nel frattempo Esteban si fa sedurre da Encarnation, con il chiaro scopo di scoprire il vero colpevole dell’omicidio; è il fedele Joaquin a svelare il mistero al giovane, pagando però con la vita la sua devozione. Esteban, messosi d’accordo temporaneamente con il padre di Lcita, e dimenticati i rancori, penetra nel convento per liberare la ragazza. Non ci riesce, ma il gioco diEncarnation viene scoperto: la donna, con la collaborazione di alcune suore, ha fatto uccidere diversi amanti, i cui corpi vengono recuperati dai soldati assieme al corpo dello sfortunato Joaquin.
Francoise Prevost, la Badessa
De Mendoza, inflessibile, condanna tutte le occupanti del monastero ad essere murate vive, con l’intenzione di coprire lo scandalo. Ma Esteban minacciando un inquistore scopre che anche Lucita è all’interno del monastero, e che la notizia della sua morte è falsa.
Aiutato dagli uomini di De Fuentes, penetra nel monastero e libera Lucita, mentre Encarnation, consapevole comunque della sua fine, decide di uccidersi con il pugnale che aveva usato in passato contro le sue vittime. L’inviato personale del papa, l’inquisitore generale di Spagna, rimette tutto in ordine: solo alcune monache verranno sottposte a giudizio e rimuove De Mendoza dal suo incarico. Esteban e Lucita possono così intraprendere la loro nuova vita.
Sorprendentemente per un film appartenente al genere conventuale, ci troviamo davanti ad un discreto prodotto, una volta tanto supportato da una buona trama e sopratutto poco incline alle solite perversioni sessuali mostrate a tuto spiano. La storia c’è, si sviluppa abbastanza armonicamente e si lascia seguire, grazie anche all’abile regia di Sergio Grieco, che diresse questo film nel 1973. Buono il cast, nel quale spiccano un ottimo Corrado Gaipa nel ruolo del fanatico De Mendoza, una discreta Francoise Prevost in quello della badessa e della giovanissima Jenny Tamburi, a suo agio nel recitare la parte di Lucita.
Franco Ressel è De Fuentes, il padre di Lucita, mentre un più che discreto Paolo Malco è Esteban, anche se tendente ad essere troppo monocorde. Piccola parte anche per Adriana Facchetti, una delle caratteriste più utilizzate nel cinema anni 70. Film senza grosse pretese, ma godibile.
Le scomunicate di San Valentino, un film di Sergio Grieco. Con Françoise Prévost, Franco Ressel, Corrado Gaipa, Paolo Malco,Jenny Tamburi, Adriana Facchetti, Calisto Calisti, Dada Gallotti, Bruna Beani, Aldina Martano Drammatico, durata 91 min. – Italia 1973.
Françoise Prévost … La badessa
Jenny Tamburi … Lucita
Paolo Malco … Esteban
Franco Ressel … Don Alonso
Corrado Gaipa … Padre Onorio
Pier Giovanni Anchisi … Isidro
Aldina Martano … Sorella Rosario
Bruna Beani … Josefa
Regista:Sergio Grieco
Sceneggiatore:Sergio Grieco
Produzione:Gino Mordini
Musiche originali:Coriolano Gori
Fotografia:Emore Galeassi
Montaggio:Mario Gargiulo
Scenografie:Antonio Visone
Direttore di produzione:Massimo Alberini
Beffe licenze et amori del Decamerone segreto
Il grande poeta Cecco Angiolieri, autore del “Sì fossi foco arderei lo mondo” è trasformato in questo film del filone decamerotico, datato 1973, in un omologo poeta senza alcuna credibilità storica o riferimento accettabile alla sua vita. Nel film il poeta, diventato parte integrante della compagnia itinerante di Camillo, un ingenuo teatrante, gira in lungo e in largo la penisola, come cantastorie e clown. Naturalmente Cecco è un impenitente seduttore di leggiadre fanciulle, e alle sue mire non sfugge nemmeno la moglie di Camillo, la bella Dinda.
Inventando un sacco di storie, Cecco riesce a prendere il posto del capo comitiva Camillo nel suo talamo nuziale, godendosi le fresche grazie di Dinda fino a quando la donna non resta incinta. Giunto in una cittadina di provincia in cui l’autorità è rappresentata da uno scadente poeta, Gianni , Cecco, dopo aver ottenuto la possibilità di impiantare la compagnia e tenervi delle rappresentazioni, seduce la giovane Tessa, moglie di Gianni.
Ma il poeta è anche un furbo matricolato, con la vocazione alle beffe, anche le più atroci: riesce a far prostituire persino la madre superiora del monastero della cittadina, madre Lucrezia, costringendo la povera donna a sostituirsi alla tenutaria dello stesso. Alla fine il perfido Cecco, di beffa in beffa, convincerà Lucrezia, divenuta sua amante, ad ospitare il figlio nato dall’unione con Dinda, in attesa che il solito scemo, Camillo, non lo accolga come figlio legittimo.
Orchidea De Santis
Filmetto senza qualità particolari, infarcito dai soliti doppi e tripli sensi, con immancabile stuolo di donnine seminude e discinte raccattate per mettere in scena una pellicola incolore e insapore. Anche le due protagoniste più conosciute, Orchidea de Santis e Malisa Longo, alla fine naufragano, non per demerito loro, nella pochezza di questa stanca ripetizione del già visto sequel delle novelle boccaccesche, ancora una volta prese in pretesto per esibizioni, peraltro gradite, di ettari di tette e natiche.
Beffe licenze et amori del Decamerone segreto, un film di Walter Pisani. Con Orchidea De Santis,Malisa Longo, Patrizia Viotti, Antonella Patti, Giacomo Rizzo, Carla Mancini, Claudia Bianchi, Renzo Rinaldi
Commedia, durata 85 min. – Italia 1973.
Dado Crostarosa: Cecco
Malisa Longo: Suor Lucrezia
Giacomo Rizzo: Camillo
Orchidea De Santis: Dinda
Patrizia Viotti: Tessa
Claudia Bianchi: Fiammetta
Renzo Rinaldi: Gianni Lotteringhi
Carla Mancini: Suora
Josiane Tanzilli: Suora
Regia Giuseppe Vari
Soggetto Giovanni Boccaccio, Antonio Racioppi, Gastone Ramazzotti
Sceneggiatura Antonio Racioppi, Gastone Ramazzotti
Casa di produzione Corinzia
Fotografia Carlo Cerchio
Montaggio Manlio Camastro
Musiche Mario Bertolazzi
Scenografia Osanna Guardini