Gli invisibili parte seconda
Ritorniamo a parlare degli invisibili, ovvero di quei film che sono letteralmente scomparsi sia dai riversaggi in digitale sia dagli schermi tv;ho già accennato ai motivi per i quali molte pellicole sono diventate “missing”, creando un vistoso buco nella conoscenza del fenomeno cinematografico sopratutto nei decenni 60 e 70.
Anche molti film degli inizi degli anni 80 sono praticamente scomparsi dalle programmazioni tv, complice anche il dimagrimento subito dalle tv locali, nettamente diminuite oggi in rapporto al numero esistente 30 o 40 anni addietro.
Come molti ricorderanno, verso la metà degli anni settanta una moltitudine di emittenti gestite anche in modo dilettantesco si riversò nell’etere:la conseguenza principale fu un aumento abnorme della programmazione di film spesso di livello bassissimo, con interi cataloghi saccheggiati e proposti in tv senza alcun filtro.Per qualche tempo, infatti, in orari nemmeno troppo antelucani vennero presentati film in edizioni prive di tagli censorei, con la logica conseguenza di creare notevole imbarazzo alle famiglie, che si ritrovarono di fronte prodotti al limite dell’hard o pellicole con aggiunte posticce, allungate negli anni precedenti per ammaliarsi il mercato estero.
Gli appassionati del cinema hanno però oggi un’arma in più: si tratta di Youtube, il canale di caricamento video che giorno per giorno si arricchisce di autentiche rarità da anni sparite dalla circolazione.
E’ il caso di 9 film di Alberto Cavallone, uno dei registi più interessanti del passato, i cui film sono diventati con il passare degli anni oggetto di culto, anche per l’estrema rarità degli stessi.
Su Youtube, all’indirizzo http://www.youtube.com/channel/UCQWxBn2aMoPbnfq-rRoKOzQ/videos, troverete il canale tematico aperto dai figli del regista e dal critico di Nocturno Davide Pulici, che ci permettono finalmente di visionare pellicole rarissime come Zelda, Afrika, Le salamandre,Dal nostro inviato a Copenaghen ecc.
Alcuni film sono comparsi su Youtube in versioni con le lingue più disparate; può essere affascinante, come può essere una tortura, rivedere pellicole ormai introvabili senza alcun sottotitolo, quindi lasciate all’interpretazione dello spettatore o alla sua conoscenza di più lingue straniere.
vediamo quali sono i film di oggi, gli invisibili più rari:
La rivoluzione sessuale, di Riccardo Ghione, con Laura Antonelli,Maria Luisa Bavastro, Riccardo Cucciolla, Andrés José Cruz Soublette, Leo Gavero, Giulio Girola, Lorenza Guerrieri, Guy Heron, Marisa Mantovani, Ruggero Miti, Maria Montero, Rosabianca Scerrino, Maria Rosa Sclauzero, Christian Alegny, Gaspare Zola,film del 1968 prodotto dalla West Film
Strano film basato su 14 storie, di sette coppie che si ritrovano in un albergo per sperimentare le teorie sessuali di uno psicologo.
Nel film compare una giovanissima Laura Antonelli ed è una pellicola ultra rara, che non è praticamente disponibile nemmeno in riversaggio da VHS.
Edipeon, di Lorenzo Artale,con Christian Hay, Aïché Nana, Massimo Serato, Magali Noël, Hélène Chanel, Malisa Longo, Mirella Pamphili,film del 1970 prodotto dalla Arsa Film
Uno dei film più rari in assoluto,passato inosservato al cinema e poi ignorato anche dalle tv.
Ispirato almeno nel tema alla tragedia greca di Edipo, racconta la storia di un giovane affetto appunto dal complesso di Edipo.Quest’ultimo si innamorera di una squillo, la sposerà ma vedrà la sua consorte riprendere la vita antecedente il matrimonio.Finirà in tragedia.
Di questo film dovrebbe mancare anche la tradizionale versione in VHS e le uniche immagini esistenti del film le ho trovate al solito sul sito http://www.dbcult.com
Questa libertà di avere… le ali bagnate, di Alessandro Santini, con Femi Benussi, Mark Damon, Rita Calderoni, Rosita Torosh, film del 1971 prodotto dalla San Giorgio Cinematografica
Film misteriosissimo caratterizzato da un’invisibilità pressochè assoluta.La stessa Rita Calderoni, protagonista del film, durante un’intervista concessa a Marco Giusti non ricorda se il film usci nel normale circuito cinematografico.Ricordo di averlo visto, anche se per soli due giorni, in proiezione presso una sgangherata sala di visione successiva forse un anno dopo la sua uscita in prima visione.Il film narra le vicende di uno scrittore con ambizioni ma che non trova alcun editore per le sue opere.
Non risultano versioni in VHS e tantomeno in digitale, così come si sono perse le tracce di eventuali passaggi televisivi.Mancano sia rippaggi dall’analogico che registrazioni da canali tv.Distribuito anche con il titolo Dolce pelle di donna
Lo strano ricatto di una ragazza perbene ,regia di Luigi Batzella con Brigitte Skay, Rosalba Neri, Umberto Raho, Benjamin Lev prodotto nel 1974 dalla P.M.R. Cinematografica
Di questo film esiste in rete unicamente una registrazione da VHS di infima qualità;narra le vicende di una ragazza ricchissima che decide di estorcere alla famiglia una forte somma di denaro simulando il suo rapimento.Il gruppo che organizza il finto sequestro darà vita ad una carneficina dalla quale non si salverà nessuno.Colpo di scena finale…
Non fosse per la presenza della bella e sfortunata brigitte Skay e a quella della sfinge italiana Rosalba Neri, probabilmente non varrebbe la pena spendere parole per questo film, passato nel dimenticatoio
Mi risulta una sua versione digitalizzata con il titolo per il mercato estero Blackmail.
I pochi che lo hanno visto lo giudicano come una specie di follia onirica caratterizzato però da una splendida colonna sonora.
La ragazza di via Condotti, di Germán Lorente con Femi Benussi, Michel Constantin, Carla Mancini, Patty Shepard, Simón Andreu, film del 1973 prodotto dalle consociate Mandala Film, Midega Film, Zafes Film
Non propriamente un invisibile, in quanto finalmente, dopo tanti anni, è uscita una versione rimasterizzata in digitale, tuttavia ancora di difficilissima reperibilità.Le copie che circolano sono ancora di infimo livello.
Il film è un giallo a tinte fosche, interpretato da una bellissima Femi Benussi impegnata in scene alquanto scabrose;la pellicola non ebbe molto successo e venne proposta al solito in orari impossibili sulle tv private.
Play motel, regia di Mario Gariazzo con Anna Maria Rizzoli, Anthony Steffen, Marina Hedman, Ray Lovelock, prodotto nel 1979 dalla Midia Cinematografica
è un film non propriamente definibile invisibile, in quanto è passato su un circuito privato probabilmente mutilo delle scene più scabrose.
Interpretato dalla Rizzoli in una delle sue ultime apparizioni cinematografiche,è un giallo pieno di situazioni erotiche come del resto intuibile dal fatto che il film è uno degli ultimi prodotti cinematografici del decennio 70.
Un giallo incentrato sul rinvenimento di un cadavere da parte di una coppia che convinta dalla polizia indaga sul misterioso omicidio.
Non esiste ancora un supporto digitale del film, che vede tra le protagoniste anche una splendida Patrizia Webley.
Il primo premio si chiama Irene di Renzo Ragazzi, documentario del 1969 prodotto dalla Dino de Laurentiis Cinematografica
Uno dei tanti documentari a sfondo eminentemente sessuale incentrato sulla solita inchiesta su usi e costumi dei popoli scandinavi, in particolare sui danesi.
Il tema è una volta tanto svolto con competenza; oggi può risulatre utile la visione della pellicola come squarcio su un modo di pensare e di vedere largamente condiviso all’epoca, ovvero che i paesi scandinavi fossero all’avanguardia nelle conquiste civili ma che tutto sommato vivessero esistenze abbastanza grigie.
La pellicola è assolutamente invisibile, mancano sue versioni digitalizzate e anche i riversaggi da video cassetta sono praticamente impossibili da reperire.
Arcana, di Giulio Questi, con Lucia Bosé, Tina Aumont, Maurizio Degli Esposti, prodotto dalla Palumbo nel 1972
Film rarissimo e praticamente rimasto invisibile fine a qualche anno fa,Arcana è un prodotto particolarissimo che venne girato con 2 lire da Giulio Questi, autore quattro anni prima del discreto La morte ha fatto l’uovo (1968).
Rimasto praticamente senza distribuzione in seguito al fallimento della Palumbo cinematografica, il film è un’opera complessa e metafisica dalla sceneggiatura
a metà strada tra il surreale e l’arcano, come del resto suggerisce il titolo.
Oggi è opera accessibile grazie alla digitalizzazione della Cineteca Nazionale Italiana, che però risulta in alcune versioni mutila di circa 20 minuti di pellicola, quella dedicata alla sequenza dello stupro.
Lucrezia Borgia, l’amante del diavolo, di Osvaldo Civirani con Olga Schoberová, Lou Castel, Gianni Garko,prodotto dalle associate Denwer Film, Otto Dürer Film, Vienna Film nel 1968
Ricostruzione della vicenda storia di Lucrezia, figlia di Rodrigo Borgia che divenne Papa con il nome di Alessandro VI;film che ebbe anche un certo seguito nell’anno della sua uscita
ma che poi scomparve del tutto sia dalla distribuzione sia dalle proiezioni televisive.Non risultano ad oggi versioni vedibili, non passa in tv da almeno 35 anni e ovviamente non è nemmeno disponibile in dvd.
Bocche cucite, di Pino Tosini, con Carla Romanelli, Lou Castel, Mirella Pamphili, Pier Paolo Capponi, Rosalina Neri, prodotto nel 1968 dalle associate Lepidi Film, Sofracima, United Pictures
Storia di sangue e vendetta incentrata sulla morte di un siciliano emigrato con la sua famiglia al nord;
si scoprirà che a farlo uccidere è stata proprio la famiglia che si è vendicata del fatto che l’uomo aveva sedotto la moglie del cognato.
Di questo film non esiste alcuna traccia e mancano anche fonti fotografiche se non quelle riportate meritoriamente dal sito http://www.dbcult.com
L’isola delle svedesi, di Silvio Amadio, con Ewa Green, Catherine Diamant, Nino Segurini, Wolfgang Hillinger prodotto dalla Claudia Cinematografica nel 1969.
In questo caso parliamo di un invisibile solo nella versione digitale, in quanto per qualche anno il film è passato con buona frequenza sulle private.Oggi, tuttavia, è disponibile solo in una men che mediocre versione riversata dalle VHS.
Narra le vicende di due amiche che passano un periodo di vacanza in un’isola del mediterraneo; una di esse, che ha appena lasciato il fidanzato, scoprirà di essere attratta dall’amica, creando le premesse per un finale da tragedia greca.
La rivoluzione sessuale
Edipeon
Questa libertà di avere le ali bagnate
Lo strano ricatto di una ragazza perbene
La ragazza di via Condotti
Play motel
Il primo premio si chiama Irene
Arcana
Lucrezia Borgia l’amante del diavolo
Bocche cucite
L’isola delle svedesi
Quando il sole scotta
Un giovane vagabondo,Jonas, è in viaggio sulla strada che porta a Salina a bordo di un camion che lo ha raccolto.Sceso,mentre percorre l’assolata e deserta strada, si imbatte in una casa isolata che funziona anche da stazione di servizio e decide di fermarsi per riposare un po e dissetarsi.
Il posto è abitato da Mara, una signora che, sorprendentemente, identifica Jonas in suo figlio Rocky,scomparso ormai da quattro anni.
Jonas è assetato e stanco e quindi decide di fermarsi e di stare per un po al gioco, impietosito in cuor suo da quella bella signora che lo confonde evidentemente con il figlio.
Accettato vitto e alloggio, Jonas si stabilisce temporaneamente nella casa, accudito da Mara;la situzione è imbarazzante, ma ben presto accade che un vecchio amico di Mara, che è anche un vicino di casa, lo riconosce come lo scomparso Ricky.
L’arrivo di Billie, figlia di Mara e sorella di rocky sembrerebbe dover rimettere le cose a posto; ma ancora una volta, a sorpresa, Billie lo tratta come se fosse Rocky.
A questo punto Jonas resta e prende a frequentare la bella e spensierata Billie.
Passano il tempo sulla spiaggia, bevendo nei bar e tra loro inizia anche una relazione.
Che però non sfugge a Mara e Warren, preoccupati dall’evolversi della situazione.
Mentre la relazione tra Billie e Jonas prosegue, quest’ultimo inizia a farsi domande sul suo alter ego Rocky e sulla sua scomparsa;recatosi a Salina in cerca di notizie, incontra la bella Linda,l’ex fidanzata di Rocky che gestisce un ristorante.
La donna è la prima persona a non riconoscerlo come Rocky.
Tornato a casa, Jonas fruga tra le cose di Billie e trova delle vecchie fotografie dove finalmente ha una prima risposta; Billie è in compagnia del fratello, che non assomiglia in alcun modo a lui.
Tornato da Linda apprende che lei e Rocky dovevano fuggire insieme il giorno in cui il giovane era scomparso; l’arrivo di un vecchio amico di Jonas, Charlie, rischia di demolire il castello di bugie che ormai è eretto fra i protagonisti della storia.
Ma nonostante Charlie chiami l’amico con il suo vero nome,Jonas decide di rimanere con Billie e sua madre; affronta la ragazza che gli dice ce ha mentito per due motivi.
Voleva riavere suo fratello e contemporaneamente voleva proteggere sua madre.
alla fine la verità sul legame tra Billie e suo fratello viene faticosamente fuori:Billie aveva con Rocky una relazione incestuosa e il giorno che il ragazzo le aveva annunciato di voler partire con Linda, Billie, sconvolta, gli aveva lanciato contro una pietra uccidendolo.
E’ la svolta nel rapporto tra i due, la tragedia è in agguato…
Road to Salina, tradotto inopinatamente in Quando il sole scotta è un solido film a sfondo drammatico diretto da George Lautner e scritto in collaborazione con
Jack Miller e Pascal Jardin.
Lautner, reduce dall’ottimo successo del suo film precedente, datato 1968,La fredda alba del commissario Joss interpretato da uno straordinario Jean Gabin racconta una storia che in fondo ha una tematica semplicissima, ovvero l’impossibilità per la fantasia di sostituirsi alla fredda realtà.
L’inganno in cui scelgono di vivere tutti i personaggi del film ha un equilibrio troppo precario per reggere alla realtà dei fatti, e così la storia precipiterà nel dramma finale, che chiude una pellicola che avrebbe meritato ben altra sorte rispetto a quella riservatale dal box office.
Nonostante la presenza di Rita Hayworth,di Mimsy Farmer,di Robert Walker Jr.,di Ed Begley e marginalmente di Marc Porel ( nel ruolo di Rocky), il film non ebbe nessun successo, venendo riscoperto molto dopo grazie alla diffusione dell’Home video.
Sulle splendide note di Christophe, autore della colonna sonora nel tema portante, Quando il sole scotta affascina sopratutto per il senso di solitudine che sembra pervadere le scene più affascinanti del film, come quella dell’arrivo di Jonas a casa di Mara oppure quelle in cui Billie e Jonas liberi e felici corrono su una spiaggia solitaria per poi tuffarsi in un mare bellissimo.
L’inizio del film vedrà in seguito l’omaggio di Tarantino che riprenderà sia l’arrivo di Jonas nell’assolato e desertico paesaggio che precede la casa di Mara sia nel tema sonoro di grandissimo effetto e di sapore autenticamente settantiano.
Scorrendo le immagini, si può notare l’attenzione ai dettagli del regista francese; non a caso Jonas, nella sua identificazione con Rocky, finisce per indossarne i vestiti e gli ornamenti, usarne l’eau de toilette.
Il paesaggio è quello brullo che caratterizza il confine tra il Messico e gli Usa eppure sorprendentemente il film è girato in Europa; la location infatti è nelle Canarie, precisamente nei pressi di Lanzarote.
Il cast è assolutamente ben assortito, con una bravissima Rita Hayworth, alla sua terz’ultima prova d’attrice ( il suo ultimo film in assoluto è del 1972, La collera di Dio) e una stupenda e bravissima Mimsy Farmer, una delle attrici più versatili degli anni 70.
Il resto del cast è all’altezza.
Il film è di difficilissima reperibilità, almeno in lingua italiana mentre è disponibile in versione originale su You tube; non ho notizie su suoi passaggi televisivi ed è un vero peccato perchè è una pellicola da riscoprire assolutamente.
Quando il sole scotta (Road to Salina) di George Lautner, con Rita Hayworth, Mimsy Farmer, Robert Walker Jr., Ed Begley, Marc Porel, Drammatico Francia 1970
Mimsy Farmer: Billie
Robert Walker Jr.: Jonas
Rita Hayworth: Mara
Ed Begley: Warren
Sophie Hardy: Linda
Bruce Pecheur: Charlie
Marc Porel: Rocky
David Sachs: sceriffo
Regia Georges Lautner
Soggetto Maurice Cury (romanzo), Pascal Jardin
Sceneggiatura Georges Lautner, Jack Miller
Produttore Robert Dorfmann, Yvon Guézel
Fotografia Maurice Fellous
Montaggio Michelle David, Elisabeth Guido
Musiche Bernard Gérard, Christophe, Alan Reeves
Tema musicale Sunny Road to Salina (Bernard Gérard-Christophe)
Scenografia Jean d’Eaubonne
Lager SSadis Kastrat Kommandantur ( SS Experiment Love Camp )
SS Experiment Love Camp intitolato anche Lager SSadis Kastrat Kommandantur con quella doppia s che sottintende alla presenza nel film alle famigerate SS è un nazisploitation del 1976, il genere cinematografico nato dopo il clamoroso successo di Ilsa la belva delle SS.
Uno dei peggiori, detto per inciso.
Trama ridotta all’osso e praticamente indistinguibile da altri film di questo sottogenere, con un gruppo di prigioniere ebree trasportate in un piccolo lager retto da un comandante feroce e impotente.
All’interno del campo vengono praticate le solite atrocità ai danni delle prigioniere, che vanno da un folle trapianto di ovaie ad altre cose orribili che erano la prassi comune nei campi di concentramento nazisti.
Spazio per la solita love story tra l’ufficiale dalla croce uncinata e dal cuore tenero e la bella prigioniera con in aggiunta un trapianto di testicoli (ben ripreso,per inciso) effettuato sul comandante del lager per restituirgli la virilità.
Il resto è noia o se preferite aria fritta, con la conseguenza che il film può tranquillamente essere dimenticato e relegato tra i prodotti di serie Z girati dopo la metà degli anni settanta, spesso utilizzando scenografie di film precedenti e senza un’ombra di sceneggiatura che valesse la pena seguire.
Diretto da Sergio Garrone, buon writer e autore in passato del più che discreto La mano che nutre la morte,SS Experiment Love Camp non ha al suo attivo alcun motivo di interesse, visto che è privo di una sceneggiatura accettabile, di una fotografia apprezzabile o quanto meno di uno straccio qualsiasi di componente accettabile.
Recitazione da oratorio, una quantità massiccia di nudi, peraltro scarsamente appetibili visti i nomi delle attrici utilizzate e null’altro.
A futura damnatio memoriae, vanno ricordate un paio di scempiaggini del film:la prima riguarda i rapporti sessuali tra le prigioniere ebree e gli aguzzini nazisti, cosa assolutamente proibita nei campi che avrebbe portato difilato i responsabili davanti al plotone d’esecuzione.
La seconda, davvero spassosa, è l’idea di ripristinare la virilità di una persona tramite il trapianto di testicoli, cosa che avrà fatto sganasciare dalle risate qualsiasi persona che abbia almeno una nozione di medicina.
Il film è stato recentemente pubblicato in digitale, probabilmente visto il discreto successo di alcuni di questi filmacci ai giorni nostri;viceversa non credo sia passato spesso sulle tv private, se non a tarda notte e in versioni ampiamente purgate.
Film da non vedere per nessun motivo al mondo salvo una forte tendenza al masochismo.
Lager SSadis Kastrat Kommandantur, di Sergio Garrone,com Mircha Carven,Paola Corazzi,Attilio Dottesio,Serafino Profumo,Sexy/Dramma, Italia 1976
Mircha Carven … Helmut
Paola Corazzi … Mirelle
Giorgio Cerioni … Col. von Kleiben
Serafino Profumo …Sergente del campo
Attilio Dottesio … Dr. Steiner
Patrizia Melega … Dottoressa Renke
Agnes Kalpagos … Margot
Regia: Sergio Garrone
Sceneggiatura: Sergio Chiusi,Sergio Garrone,Vinicio Marinucci
Musiche: Vasili Kojucharov,Roberto Pregadio
Fotografia: Maurizio Centini
Montaggio:Cesare Bianchini
Casa di produzione:Società Europea Films Internazionali Cinematografica
L’opinione dell’utente Renato tratta dal sito http://www.davinotti.com
Difficile darne una valutazione oggettiva, comunque si tratta di un filmetto con molte torture, realizzate in modo artigianale, ed un po’ di sesso per condire il tutto. Peccato che spesso lo splatter faccia ridere quanto i dialoghi se non di più, ma del resto cosa si può pretendere da un’opera con questo titolo? Spiace solo vedere il volto dignitoso di Attilio Dottesio in mezzo a tanto squallore.
L’opinione dll’utente Herrkinski tratta dal sito http://www.davinotti.com
A partire dall’incredibile titolo italiano, il film di Garrone (già autore dell’altrettanto delirante SS Lager 5) rimane sicuramente tra gli esemplari più truci e morbosi del filone. Ogni velleità storico/artistica è qui annientata a favore di una sceneggiatura dal dubbio senso logico, votata all’accumulo di violenze e soprusi vari. La continua ricerca dello shock visivo e concettuale a volte raggiunge l’obiettivo; su cast, fotografia e messinscena è meglio stendere un velo pietoso. Il tasso di cattiveria e cinismo è comunque piuttosto alto.
L’opinione dell’utente Jacopetto & Prospero tratta dal sito http://www.gentedirispetto.com
90 minuti di schifo assoluto che confermano la bellezza stramonezzara del filone nazi. Inguardabile, sciatto e per nulla scioccante. abbaia ma non morde. E a nulla se servono gli accostamenti con le immagini reali degli orrori dell’Olocausto, perchè proprio nel confronto con la Storia questi film perdono la loro presunta natura scioccante. Poi sull’argomento sinceramente preferisco La dottoressa ci sta col colonnello con Banfi e la Cassini
Pane e cioccolata
Un film sull’immigrazione.
Ma non un film qualsiasi.
Pane e cioccolata è un amarissima storia di ordinaria emigrazione, la vicenda personale di un uomo che percorre il proprio calvario, comune a quello di tantissimi italiani, che sin dagli inizi del secolo scorso hanno dovuto abbandonare la propria terra per una serie infinita di motivi.
L’emigrazione ha portato nel corso degli ultimi cento anni ad avere molti più italiani fuori dal suolo natio di quanti abbiano poi effettivamente popolato lo stivale.
E Franco Brusati, regista di questo film uscito nelle sale nel 1973, altro non fa che raccontare la vicenda di un uomo come tanti, costretto a vivere in terra straniera portato la dalla mancanza di lavoro e di prospettive di un paese che, quando si svolgono gli eventi narrati, era uscito dagli anni del boom economico per attraversare una delle cicliche crisi che hanno da sempre reso l’Italia un paese bello e impossibile.
Parlare di emigrazione mi porterebbe lontano, val la pena allora ricostruire la storia di Giovanni Garofoli detto Nino, protagonista del film.
Un emigrato del centro Italia, uno della Ciociari; siamo quindi lontani dallo stereotipo dell’emigrato siculo o campano, pugliese o calabrese.
Nino è da 3 anni in Svizzera, sempre alla disperata ricerca di un lavoro più o meno dignitoso; è stato assunto in prova presso un hotel, ma un colpo di sfortuna gli nega il permesso di soggiorno.
E’ stato fotografato mentre orinava contro un albero, per giunta sotto gli occhi di una donna.
Una foto che lo ritrae è stata consegnata alla polizia, così Nino non ha alcuna soluzione che quella di darsi alla clandestinità.
Riesce a riparare presso Elena, una profuga greca sfuggita al suo paese per non dover vivere sotto la dittatura del regime dei colonnelli.
Da qui inizia la sua parabola discendente: assunto da un miliardario italiano, che ha trovato riparo in Svizzera dopo esser stato condannato per bancarotta, Nino si illude di aver sistemato i suoi problemi.
Non è così, perchè l’industriale, che si è fatto consegnare i miseri risparmi di Nino, è sull’orlo della bancarotta.
Difatti l’uomo si uccide, lasciando nella disperazione più nera Nino.
Ora non ha più soldi, non ha un lavoro, non ha un tetto ed è un clandestino.
Scenderà ancor più la scala verso l’inferno, andando a vivere con un gruppo di persone che, clandestini come lui, vivono in condizioni miserevoli in un pollaio, sopravvivendo proprio grazie ai polli che uccidono.
La degradante esperienza paradossalmente lo spinge a tentare un’impossibile integrazione; si tinge i capelli di biondo e si mescola alla gente.
Ma ancora una volta un colpo di sfortuna lo porta sulla soglia dell’abisso; mentre è in un bar, assiste ad una partita dell’Italia e al goal della nazionale italiana si lascia andare ad un urlo di gioia.
scoperto, decide che è ora di tornare a casa.
La Svizzera non lo vuole e lui è stanco di una vita ancor più umiliante di quella che faceva in Italia.
Inaspettatamente Elena lo raggiunge alla stazione e gli consegna il permesso di soggiorno per un altro semestre; ma Nino ha ormai deciso di partire e parte con il treno destinazione Italia.
Sul treno che lo riporta in Italia, però, accade qualcosa…
Superbo e tristissimo affresco sulla vita di un emigrante che altri non è che la rappresentazione drammatica di tante storie sconosciute di gente che, partita con una valigia di cartone ha dovuto affrontare mille problemi, dalla cultura alla lingua alle abitudini, Pane e cioccolata rappresenta il miglior cinema italiano.
Quello che non indulge al pietismo, ma che, con uno stile quasi documentaristico, racconta storie difficili e tristi, amare e apocalittiche.
Nino rappresenta l’italiano volenteroso, ma sconfitto, battuto dallo stile di vita e dalle condizioni di vita stesse di una nazione dalle mille contraddizioni come l’Italia.Un paese in lenta ma drammatica trasformazione, che ha abbandonato i sogni di grandezza per scoprire i gravissimi problemi interni.
Anche se non siamo ancora nel cuore degli anni di piombo, siamo nel periodo dell’inflazione a due cifre, in quello in cui la recessione e una fortissima disoccupazione stanno provocando gravi problemi di sicurezza pubblica e di ordine sociale.
Nino tenta disperatamente una precaria integrazione; respinto e non di certo per sua colpa, alla fine cede.
Ma alla fine, orgogliosamente, mostrerà di che pasta è fatto; non accetterà la sconfitta, anzi.
Sicuro di poter avere una rivalsa, scenderà dal treno, complice anche il “Simmo ‘e Napule paisà” intonato dagli emigranti di ritorno.
In questa sequenza, meravigliosa, c’è tutta l’amarezza ma anche la voglia di rivincita di un uomo che non si arrende a quello che è un destino scritto, una strada segnata.
Un atto d’orgoglio e Nino riaffronta la sua vita difficile perchè non vuole sentirsi sconfitto, non vuole tornare nel suo paese da vinto.
Che poi è anche la stessa scelta operata da tantissimi altri Nino, che hanno avuto la forza e il coraggio di integrarsi, di vivere in paesi lontani a distanze abissali dalla propria cultura d’origine, dagli affetti e dalla propria amata terra.
Franco Brusati, valente scrittore di sceneggiatura e ottimo e fine regista,torna alla regia dopo quella perla sul tema dell’incomunicabilità che era stato I tulipani di Harlem, dirigendo così uno dei suoi otto film diretti dietro la macchina da presa, a sei anni da quel gioiello che sarà il malinconico Dimenticare Venezia.
Sceglie come protagonista della sua storia l’attore più versatile del cinema italiano, quel Nino Manfredi che, ciociaro di nascita, rappresenta la perfetta simbiosi tra recitazione e personaggio, con una resa della figura di Nino che resta una delle cose più belle della sua carriera e del cinema italiano in generale.
Il resto del cast serve solo da contorno, incluso il bravo Dorelli sacrificato nel ruolo del miliardario evasore poi suicida.
Diverse le sequenze indimenticabili nel film, a partire da quella già ricordata in cui Nino, che ha colorato i suoi capelli di biondo per integrarsi anche fisicamente con gli svizzeri che esulta al goal della nazionale italiana, in un momento di rivincita che ha del patriottico o quella amarissima del pollaio, sopratutto quella in cui Nino guarda fare il bagno nudi dei giovani nel laghetto la vicino.
Un film bellissimo e indimenticabile, che ebbe un gran successo sopratutto all’estero, dove milioni di emigranti ebbero modo di riconoscersi nella storia narrata e di identificarsi con lo straordinario personaggio di Nino.
Pane e cioccolata è un film di facile reperibilità e passa con una certa regolarità sulle tv commerciali.
Pane e cioccolata
Un film di Franco Brusati. Con Nino Manfredi, Paolo Turco, Gianfranco Barra, Tano Cimarosa, Ugo D’Alessio,Johnny Dorelli, Umberto Raho, Giorgio Cerioni, Anna Karina, Max Delys, Geoffrey Copleston, Francesco D’Adda, Federico Scrobogna, Nelide Giammarco, Manfred Freyberger Commedia, Ratings: Kids+16, durata 115′ min. – Italia 1973.
Nino Manfredi: Giovanni “Nino” Garofoli
Johnny Dorelli: industriale italiano
Anna Karina: Elena
Paolo Turco: Gianni
Ugo D’Alessio: il vecchio
Tano Cimarosa: Giacomo
Gianfranco Barra: il turco
Giacomo Rizzo: Michele
Giorgio Cerioni: ispettore
Francesco D’Adda: Rudiger
Geoffrey Copleston: Boegli
Federico Scrobogna: Grigory
Max Delys: Renzo
Umberto Raho: maître d’hotel
Nelide Giammarco: la bionda
Manfred Freyberger: lo svizzero sportivo
Regia Franco Brusati
Soggetto Franco Brusati
Sceneggiatura Franco Brusati, Jaja Fiastri, Nino Manfredi
Produttore Maurizio Lodi-Fe
Fotografia Luciano Tovoli
Montaggio Mario Morra
Musiche Daniele Patucchi
Scenografia Guido Patrizio e Luigi Scaccianoce
L’opinione di Dergio Buttironi tratta dal sito http://www.mymovies.it
Ottimo Manfredi (fate caso curiosamente abituato a girare film su treni e ristoranti ) ottimo anche Dorelli …Tutti bravi attori e comparse…. Un livello di merito ancora superiore va attribuito a Franco Brusati, il quale ha preso in mano una storia se vogliamo semplice, l’ha manipolata con tanta abilità, buon gusto, eccellente senso del ritmo e della misura… Ha saputo accompagniare lo spettore lungo tutto il film, giocando sempre sui contrasti I BUONI-I CATTIVI I RICCHI-I POVERI I BELLI-I BRUTTI penso che questa possa essere una chiave di lettura. Ha saputo mettere in evidenza il disagio del personaggio calato in una realtà a lui non congrua, alla ricerca continua ( e in un certo senso inutile) della propria identità…. Eccelente lungometraggio che voorremmo rivedere all’infinito, tipico di quei pochi prodotti cinematografici pregevoli. Non vorrei dimenticare le belle musiche di accompagniamemto, anch’esse ben miscelate… Che dire di più se non manifestare un po di tristezza, nel comprendere che film così non se ne fanno più. Basati sulla semplicita quotidiana ( senza effetti speciali) ma che trovano la loro forza comunicativa nella direzione, nella recita, nei tempi, nelle inquadrature, nel buon gusto in generale… Bei tempi, al termine della visione lo spettatore si sentiva a sua insaputa, magari, ma più ricco, questo era il GRANDE CINEMA….
L’opinione dell’utente Maso tratta dal sito http://www.filmtv.it
Brusati si ritaglia un posto d’onore al fianco dei grandi autori della commedia all’italiana con questo film amarissimo sull’immigrazione e le conseguenti umiliazioni a cui deve inchinarsi il protagonista, un Nino Manfredi intensissimo, immagine in carne ossa e rabbia di quell’italiano fuoriuscito dalla sua realtà difficoltosa e piombato in un’altra ancor più spietata in cui tutto è amplificato dalla discriminazione.
La trovata illuminante di Brusati è la pennellata surreale e quasi odisseica che colora la storia ma attenzione: le risate sono comandate dalla tristezza più profonda, la disperazione che affligge il povero Giovanni Garofoli le spinge fuori per scacciare via a pedate grosse lacrime di rassegnazione distillate nelle contorsioni del destino in cui inciampa sempre più pesantemente lungo il suo sfortunato cammino; molte di queste disavventure sono entrate nella antologia delle scene
indimenticabili del genere e di conseguenza della carriera dell’impagabile attore romano: la buccia d’arancia è una trovata istantanea che colpisce con la semplicità, mentre la celeberrima scena del goal di Fabio Capello è molto complessa a livello emotivo e tecnico, mi ha sempre entusiasmato l’idea di ripetere con dei primi piani la gioia ma anche il crollo emotivo del protagonista, la sequenza della famiglia che vive nel pollaio quasi deformata dal lavoro è surreale e disturbante allo stesso tempo e rasenta l’inserto favolistico, mentre di scottante attualità è il suicidio dell’industriale interpretato da Johnny Dorelli, disperata e profonda è invece l’esecuzione del pezzo “L’omo non è de legno” in cui la nostalgia per la terra d’origine e i propri cari sovrasta la voglia di distrarsi per un attimo dalla dura realtà di essere emigrato in Svizzera, nazione popolata da gente insensibile, intollerante e pure un pò stronza: Manfredi chiude da par suo l’amara sequenza con una frase emblematica che pesa come un macigno nonostante siano passati molti anni “E’ tutta la vita che ci fregano con la chitarra e il mandolino e ancora cantiamo”.
Brusati non si è più ripeteuto a questi livelli ma in nessun altro suo film ha avuto a disposizione un attore fuori categoria come Nino Manfredi e forse neanche una sceneggiatura tanto fantasiosa adagiata su un racconto di così sentita attualità per il periodo in cui il film uscì, mi viene da pensare che se procediamo con questi piccoli passi potrebbe essere attuale nuovamente.
Alla fine il buon Nino nazionale non sa neanche lui se crepare di fonduta e crauti o bucatini alla amatriciana.
L’opinione dell’utente ellerre tratta dal sito http://www.davinotti.com
Pilastro della commedia italiana, racconta con triste umorismo la storia di un emigrato italiano in Svizzera che, nonostante viva l’amara realtà dello straniero in cerca di lavoro, riesce comunque a salvaguardare una sua dignità al cospetto di altri nella sua stessa situazione. Il grande Nino Manfredi interpreta al meglio il ruolo. Anche i personaggi secondari sono condotti con maestria: Johnny Dorelli su tutti nella parte del milionario sull’orlo del collasso finanziario.
C’era una volta in America extended version 2012
Ho già parlato in passato del capolavoro di Sergio Leone C’era una volta in America.
Torno sul film dopo quasi un anno dalla proiezione nei cinema della versione restaurata con l’aggiunta di 25 minuti di pellicola che il regista eliminò in fase di montaggio costretto a ciò anche dalla produzione, che si rese responsabile dello scempio della pellicola in occasione del montaggio della versione dedicata al mercato americano.
Leone, che aveva letto “The Hoods” di Harry Grey prese da quest’ultimo lo spunto per il suo film, che girò in origine in quasi 12 mesi, utilizzando un budget enorme e sfruttando al meglio la sua cura maniacale per i dettagli.
Girò quasi 10 ore di pellicola, e alla fine decise di utilizzare per il film 4 ore 15 minuti di girato, con suo sommo dispiacere; il progetto iniziale infatti prevedeva una proiezione di circa 6 ore.
Il produttore americano Milchan, con poca lungimiranza, costrinse Leone a fornire una versione di 3 ore e 49 minuti, che con sommo dolore accettò; vennero così soppressi 25 minuti di girato che oggi, dopo un paziente lavoro di restauro da parte della cineteca di Bologna sono finalmente disponibili.
Vediamo a cosa corrispondono le sequenze reintrodotte e restaurate:
–Sequenza del cimitero, durata 3,49 minuti
Noodles si guarda attorno nella cappella quando vede una mano afferrare uno stipite della porta; parla con la direttrice del cimitero mentre nel viale vede apparire una Cadillac nera.Ricompare quindi l’attrice Louise Fletcher che nella versione che ha circolato fino a poco tempo fa era citata solo nei crediti finali.
Sequenza nel cimitero:Noodles si guarda intorno
La direttrice del cimitero
Il colloquio tra Noodles e la direttrice del cimitero
Noodles usa la chiave trovata nel cimitero
–Sequenza muta, durata 1,17 minuti :Max e gli amici cercano in acqua Noodles
L’auto sulla quale viaggiano Max Berkovitx,Noodles e Cockeye piomba in acqua;i tre cercano di risalire mentre una draga rimuove fango e detriti;Max si guarda attorno preoccupato ma alla fine ride divertito con gli amici.
–Sequenza esplosione auto del senatore, durata 1,56
Noodles sta camminando davanti alla villa del senatore Bailey; una macchina movimento terra carica pietre su un camion.Il cancello della villa si apre e ne esce una Cadillac nera. Noodles legge il numero di targa, segue con gli occhi la scena quando all’improvviso vede esplodere l’auto del senatore.
Noodles è fuori dalla villa e assiste all’esplosione della Cadillac nera del senatore
–Sequenza fuori dal teatro, durata 2,06 minuti
Noodles,elegantissimo, parla fuori dal teatro in cui si è esibita Deborah con l’autista della donna (interpretato dal produttore Milchan) e vede arrivare la donna che si è appena esibita nel ruolo di Cleopatra vestita con un corpetto di pelliccia e un candido vestito.
Sequenza esterna al teatro: Noodles parla con l’autista di Deborah
–Sequenza in cui Noodles incontra Eve,durata 2,25 minuti
Dopo aver incontrato Noodles nel locale della 52a strada, Eve sale in camera sua con Noodles e ha con lui un rapporto sessuale
–Sequenze all’interno della camera di Eve e risveglio di Noodles durata 2,30 minuti + 30 secondi
–Sequenza Deborah alla stazione, durata 35 secondi
Deborah prende un caffè alla stazione e poi esce dal bar
–Sequenza interna al teatro, durata 2,18 minuti
Deborah è in scena, interpreta Cleopatra; dopo un breve monologo in cui appare nella sua mano un aspide vediamo Noodles ammirato tra il pubblico
Noodles guarda rapito Deborah recitare
–Sequenza interna alla villa Bailey, durata 5,08 minuti
-Nella villa del senatore affluiscono gli ospiti;Bailey è a colloquio con il sindacalista che in passato ha aiutato la banda degli amici.
Fotogrammi della versione 2012 all’interno della villa del senatore
I 25 minuti aggiuntivi, visti singolarmente, non aggiungono poi molto all’economia del film; viceversa, mostrati nel contesto più armonico e naturale del film completo, permettono di aggiungere tasselli alla storia, rendendola più chiara.Fondamentali appaiono due sequenze, quella in cui Noodles parla con la direttrice del cimitero proprio mentre si allunga misteriosa l’ombra della Cadillac nera e la sequenza in cui Noodles è fuori dalla villa del senatore proprio mentre la famosa Cadillac passa per esplodere pochi secondi dopo.
Le altre scene restaurate sono comunque dei piccoli gioiellini, come il dialogo fuori dal teatro tra Noodles e l’autista di Deborah, con un fraseggio incredibile tra i due:
-Noodles: “Sei vestito come quei pazzi che in Germania bruciano le botteghe degli ebrei”
Autista:”Hanno bruciato anche la nostra, per questo siamo venuti in America.”
-Noodles:” Anch’io sono ebreo”
Autista:” Lo so.Lo sanno tutti”
-Noodles:”Cosa sanno?”
Autista:”Chi è lei”
-Noodles:” E tu cosa ne pensi?”
-Autista:”Non penso,sono affari suoi”
Noodles:”no, tu pensi.Pensi che io sia un disonore.”
Autista:”Vede,gli italiani ammirano i loro fuorilegge,i mafiosi,Moi abbiamo già abbastanza nemici senza metterci a fare i gangster”
-Noodles” Quanto fai alla settimana?”
Autista:”Non tutti danno mance come lei.Guadagno abbastanza per pagarmi l’università.”
-Noodles:”Bravo e ai soldi ci arrivi a sessant’anni, quando non ti tira più”
Come già accennato, Leone voleva fare un film che durasse almeno sei ore; ma essendo stato costretto a tagliare, non montò ne doppiò le scene eliminate, che esistono ancora ma che sono praticamente incomprensibili in quanto non spiegate.
Per fortuna in Europa è circolata la versione media del film, quella cioè che tutti noi abbiamo visto fino al 2012; negli Usa la versione purgata da Milchan ha tolto molto del fascino al film che tra l’altro è montato secondo l’ordine cronologico degli eventi, cosa che rende folle la visione, che ha tutto il suo fascino proprio nel sapiente uso del playback.
Sergio Leone parlava così del suo capolavoro, raccontando le lunghe vicissitudini che portarono finalmente alla sua realizzazione:
“Dopo il successo di Il buono,il brutto e il cattivo ho avuto più facilmente carta bianca su tutto o quasi; i problemi sono nati quando, dopo la realizzazione della trilogia del dollaro, avrei voluto fare subito C’era una volta in America.I produttori hanno preferito fare un altro western, spaventati dal costo eccessivo.Così mi sono ritrovato ad aspettare altri 17 anni prima di riuscire a girarlo.”
“Non posso non amare C’era una volta in America.E’ la summa di tutta la mia carriera,e dal punto di vista dei contenuti e sopratutto da quello dello stile.
Quanto al primo ho ricostruito l’America che ho sognato per anni,l’America mito e al tempo stesso contraddizione.Stlisticamente è una riflessione sullo spettacolo e sull’arte visiva”
“Robert De Niro si butta nel film e nel ruolo assumendo la personalità del personaggio con la stessa naturalezza con cui uno potrebbe infilare un cappotto, mentre Clint Eastwood indossa un’armatura e abbassa la visiera con uno scatto rugginoso. Bobby, prima di tutto, è un attore. Clint, prima di tutto, è un divo. Bobby soffre, Clint sbadiglia.
“C’era una volta in America è un omaggio alle cose che ho sempre amato, e in particolare alla letteratura americana di Chandler, Hammett, Doss Passos, Hemingway, Fitzgerald. Personaggi che, quando li ho conosciuti, erano proibiti in Italia. Li ho letti in clandestinità ai tempi del fascismo, e come tutte le cose proibite hanno assunto un significato anche superiore alla loro importanza effettiva. In secondo luogo è la ricostruzione più compiuta di quell’America che ho inseguito e sognato per anni. L’America delle contraddizioni e del mito. Infine, è una riflessione sullo spettacolo, sull’arte visiva. Non a caso, il film inizia e finisce in un teatro d’ombre cinesi: il pubblico delle ombre cinesi sta alle ombre cinesi come il pubblico del film sta al film. C’è una simbiosi tra loro e noi. È un doppio schermo, anzi un pubblico che guarda un altro schermo.”
“Il film durava quattro ore e mezza, e per forza di cose ho dovuto eliminare qualcosa nel montaggio definitivo. Non me ne pento affatto, e anzi credo che questo giovi al fascino del film. Quel mistero, quel senso di vago e indefinito, quei piccoli salti narrativi fanno parte della storia, anzi ne sono un elemento quasi essenziale. E i ricordi, sono sempre precisi, impeccabili, immutabili ? Raccontare dieci volte la stessa storia, in fondo, significa raccontare dieci storie diverse.”
“Il sorriso di De Niro? Come si fa a spiegare il sorriso della Gioconda? Ho voluto che il film finisse in un modo del tutto aperto, e che ogni spettatore potesse interpretarlo secondo la sua sensibilità. C’era una volta in America può essere un flashback, e quindi una storia che Noodless oramai vecchio ricorda al momento in cui torna nei luoghi della sua giovinezza. Ma può anche darsi che Noodless non sia mai uscito dalla fumeria d’oppio, e che il film sia perciò il sogno di un drogato. Quel sorriso è un suggello a questa ambiguità.”
“Quand’ero bambino l’America era una religione. Per tutta l’infanzia e l’adolescenza… ho sognato gli ampi spazi aperti dell’America. Le grandi distese del deserto. Lo straordinario “melting pot”, la prima nazione fatta da gente venuta da ogni parte del mondo. Le lunghe strade dritte molto polverose o molto fangose che partono dal nulla e finiscono nel nulla perché la loro funzione è quella di attraversare l’intero continente. Poi, gli Americani veri entrarono improvvisamente nella mia vita sulle jeep e hanno ribaltato i miei sogni. Erano venuti a liberarmi! Li ho trovati pieni d’energia, ma anche falsi. Non erano più gli Americani del West. Erano soldati come gli altri, con la differenza che erano soldati vittoriosi. Uomini materialisti, possessivi, amanti dei piaceri e dei beni mondani. Nei soldati che andavano dietro alle nostre donne e vendevano le sigarette al mercato nero non riuscivo a vedere nulla di quel che avevo visto in Hemingway, Dos Passos o Chandler. Neppure in Mandrake, il mago dal cuore smisurato, o in Flash Gordon. Nulla, o quasi nulla, delle grandi praterie o dei semi-dei della mia infanzia”
“Acquistare i diritti del libro è stata un’impresa. Perché un americano, Dan Curtis, che da allora ha fatto “Venti di guerra” per la TV con Robert Mitchum, aveva acquistato i diritti originari. Ci sono voluti più di tre anni di discussioni con Alberto Grimaldi per l’acquisto dei diritti del libro. Ha avuto un momento di paura e ha deciso di fermare il progetto. Sono trascorsi altri due anni, e, infine, un produttore americano, Arnon Milchan, dopo un anno e mezzo di negoziati, ha acquistato i diritti da Grimaldi e siamo stati finalmente in grado di credere davvero nel film. Erano trascorsi più più di dieci anni…
“Quando mi hanno detto che potevo fare questo film, io, nella mia testa, stavo quasi per rinunciare.Non credevo più. Ero così stanco psicologicamente di seguire tutto ciò … ma dovevo farlo, dovevo liberarmi da questo fantasma. Altrimenti sarebbe ancora lì … E ho cominciato. Originariamente volevo dividerlo in tre periodi: infanzia, giovinezza, vecchiaia. Tre diverse età, tre temi diversi. Quando Bob De Niro ha detto di sì, ho dovuto ripensare tutto. Lui, poteva interpretare sia il personaggio di 30 anni che quello di 60: non si trattava di cambiamenti nel bel mezzo del film! Non si trattava di cambiare partner. Anche se è stato deciso di ridurre la parte della vecchiaia, ho dovuto trovare attori che potessero interpretare i giovani e vecchi. E ‘stato un po’ difficile. Ma ho avuto De Niro! E ‘stato il mio preferito per oltre dieci anni. L’ho contattato quando non era ancora una star. Aveva appena fatto “Mean Streets” di Martin Scorsese.”
Così ricorda il film e le reazioni di suo padre Raffaella Leone:
“«Per i tagli nella versione americana era furibondo. Si chiedeva se quella devastazione fosse servita alla vendita delle noccioline. Ma alla fine il tempo gli ha dato ragione e la sua amata America ha potuto vedere la sua versione. Ancora oggi sul sito Imdb il suo nome è tra i primi cinque fra i registi di qualsiasi genere. I suoi film si sono sempre celebrati da soli, senza troppo aiuto da nessuno».
«Ricordo quando papà scappava dal set per correre a mangiare baccalà fritto in un ristorantino che aveva scovato a Brooklyn. Tonino Delli Colli s’arrabbiava perché nel frattempo cambiava la luce. Quando papà se la prese perché non usciva abbastanza fumo dai tombini della “sua” New York. E in Canada rifiutò manichini e controfigure e pretese che nella scena con i corpi a terra, coperti dal telone, sotto la pioggia, ci fossero Woods e gli altri. James Hayden s’ammalò».
«Mio padre era un uomo forte e intellettualmente onesto. E buffo, quando si metteva in posa per fare vedere agli attori. Con De Niro ci sono stati momenti di tensione. Fu complicato far partire la scena, girata al Lido di Venezia, in cui Noodles porta a cena Deborah al ristorante. Non si capiva cosa aspettassero, mancava la necessaria empatia. Ma si rispettavano e s’incontravano sulla comune pignoleria. Robert l’ho incontrato a Roma un paio d’anni fa, mi ha abbracciato e parlato come fossi la stessa ragazzina di allora».
“E’ stato il film della maturità, pensato, scritto, riscritto e immaginato per dieci anni. Ha rifiutato Il padrino perché era questo il film di gangster che voleva fare. Scriveva, riscriveva, descriveva, raccontava a chiunque. Tormentava gli amici come Giuliano Gemma, e anche i nostri fidanzatini e compagni di classe. C’è tanto di lui in tutti i personaggi della storia».
“Ricordo a Cannes 1984 mio padre commosso, quasi incredulo di fronte alla standing ovation del pubblico. Mi resterà per sempre l’immagine di mio padre che si gira verso il pubblico e poi guarda noi con il suo sguardo infantile, come a dire: l’avreste mai pensato? Lo sguardo di chi non è neanche tanto abituato al successo. Per la prima volta ricevette il plauso della critica, che fino ad allora non l’aveva sostenuto».
«Mio padre teneva tanto alla scena di Cleopatra.Si era davvero divertito a girarla. Non aveva mai fatto teatro, né si era cimentato in lavori classici, mio pare era felice di aver avuto questa occasione e avrebbe voluto vederla nel film. Anche perché rendeva l’idea del successo raggiunto da Deborah e spiegava l’incontro con De Niro in camerino. Molte delle scene tagliate servivano a spiegare meglio il puzzle. Si svela anche il perché la grande Louise Fletcher fosse nei titoli di coda: finalmente si vede la scena in cui lei, che interpreta la direttrice del cimitero di Riverdale, incontra De Niro in visita alla tomba degli amici. Poi ci sarà il racconto dell’incontro di De Niro-Noodles con la bionda Eve, Darlanne Fluegel, e il loro rapporto d’amore. E, nel sottofinale, l’incontro con Treat Williams, il sindacalista diventato un politico importante, un colloquio chiarificatore della parabola di Max-James Woods, una scena che racconta molto della corruzione e parla anche all’oggi. Quel dialogo sarebbe servito a tirare le fila di tutto il film».
Hanno detto di C’era una volta in America:
«Epico? Il film si intitola C’era una volta in America, non L’America. È molto importante, perché la vicenda narrata non è un’indagine, un saggio, sia pure romanzato, un’esplorazione politica o sociale. Non sono americano, non sono ebreo, non sono più blandamente gangster di altri miei colleghi registi. E allora la chiave del film sta appunto nel titolo così com’è formulato: una favola. Walter Veltroni
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Poppea una prostituta al servizio dell’impero
Durante il loro vagabondare per le terre sotto la dominazione romana, due amici etruschi, Otone e Savio, finiscono in una taverna dove dopo aver mangiato a sbafo vengono allontanati con la forza. Il furbo Otone non contento seduce la moglie dell’oste, con il risultato di essere fermato da un drappello di soldati romani e inviato con Savio nelle cave per l’estrazione di pietre destinate alla costruzione di un acquedotto.
Qui Otone, con uno scaltro espediente, riesce a farsi allontanare dalle cave stesse:fingendo di avere la peste, terrorizza i soldati con il risultato di essere cacciato.
Dopo aver tentato di rubare una barca ed essere stati sorpresi dai legittimi proprietari, i due in qualche modo giungono nella periferia di Roma dove Otone conosce casualmente la bellissima Poppea, che dispensa le sue grazie ad uno stuolo di persone.
Ovviamente anche Ottone finisce tra le vogliose braccia della donna;ma per colpa del maldestro Savio, finisce in compagnia di quest’ultimo direttamente nell’arena come gladiatore.
Qui i due vengono messi a combattere fra loro, ma un provvidenziale colpo di fortuna evita ai due amici di soccombere;Otone lancia in aria il suo scudo che intercetta una lancia scagliata contro Nerone da un gladiatore ribelle.
L’imperatore riconoscente nomina Otone capo della guarnigione romana in Cappadocia; dopo aver scoperto che Poppea altri non è che la moglie dell’imperatore, Otone parte per la guerra contro i barbari in compagnia del fido Savio, al quale Nerone ha fatta salva la vita grazie all’intercessione di Otone stesso.
In Cappadocia per il solito colpo di fortuna, Otone riesce a vincere la battaglia decisiva e subito dopo aver sedotto la sacerdotessa dei barbari, torna a Roma accolto dal trionfo tributatogli da Nerone.
Ma sarà proprio Poppea la causa delle sue disgrazie perchè l’imperatrice viene scoperta in adulterio proprio con Otone; l’imperatore lo bandisce, non tanto per il “cornetto” come lo definisce Poppea quanto perchè l’imperatrice ha osato definire noiose le odi di Nerone.
Costretto ancora una volta alla fuga, Otone assiste all’incendio di Roma, che un provvidenziale temporale spegne…
Vi risparmio il finale non perchè particolarmente avvincente ma solo per il fatto che forse è la cosa migliore di un filmetto bruttino e volgare, infarcito di parolacce in un trionfo di “li mortacci tua” e “sto fijo de na’ mignotta”
Un peplum tardo a sfondo non tanto erotico quanto sexy, con la bellissima e sexy Femi Benussi ad interpretare la parte della ninfomane Poppea con le grazie generosamente esposte.
Alfonso Brescia dirige nel 1972 questa commedia sexy senza molto badare all’estetica, con dialoghi rozzi e personaggi ritagliati con un’accetta; ma lo scopo principale del regista e della produzione è quello di cavalcare l’onda lunga dei film erotici che tanto in voga sono nel 1972 e in quest’ottica il film qualcosa rende, anche se va detto che per fortuna si tratta quasi sempre di scenette sexy non particolarmente volgari.
Il resto del film è purtroppo abbastanza desolante, fatti salvi i posti in cui è girato e le scenografie usate, che quantomeno rendono il film sufficientemente dignitoso.
La storia di per se poteva avere un andamento migliore, mentre invece il regista romano punta tutto su gag poco divertenti, con dialoghi che non sono nemmeno surreali ma abbastanza scadenti.
Nel cast finiscono inopinatamente attori come Vittorio Caprioli, francamente imbarazzato (sopratutto imbarazzante) nel ruolo di un Nerone matto come un cavallo ed effeminato in modo esageratamente esasperato;anche la Benussi appare a disagio, però si spoglia e quindi permette al film di attirare l’attenzione di quel pubblico che tanto l’adorava.Nel cast, in ruoli marginali, figurano anche Howard Ross nel ruolo di Tigellino, la bellissima Eva Czemerys nel ruolo della sacerdotessa Cappadocia che sta in scena pochi minuti e infine Don Backy e Peter Landers nel ruolo di Otone e Savio.
Il primo fa quello che gli viene chiesto, replicando in qualche modo il ruolo del vagabondo interpretato in Elena si…ma di troia mentre il secondo è davvero poca cosa in tutti i sensi.
Poppea … una prostituta al servizio dell’impero è un film di facile reperibilità, anche in streaming in una versione ripresa dalla proiezione tv di qualche tempo fa ad opera della defunta Odeon Tv.
Poppea, una prostituta al servizio dell’impero
Un film di Alfonso Brescia. Con Don Backy, Femi Benussi, Linda Sini, Peter Landers,Vittorio Caprioli, Andrea Scotti, Giancarlo Badessi, Esmeralda Barros, Carla Mancini, Eva Czemerys Commedia, durata 93 min. – Italia 1972.
Don Backy: Otone
Femi Benussi: Poppea
Piero Scheggi: Savio
Linda Sini: Agrippina
Eva Czemerys: Vergine di Cappadocia
Esmeralda Barros: Tortilla
Renato Rossini: Tigellino
Vittorio Caprioli: Nerone
Regia Alfonso Brescia
Soggetto Mario Amendola
Sceneggiatura Vittorio Vighi, Alfonso Brescia, Mario Amendola
Casa di produzione Luis Film
Fotografia Franco Villa
Montaggio Vincenzo Vanni
Musiche Carlo Savina
Scenografia Francesco Calabrese
Costumi Mimmo Scavia
L’opinione di Undjing tratta dal sito http://www.davinotti.com
E chi poteva essere la “prostituta” al servizio dell’Impero se non la prolifica (quanto bella e brava, per inciso) Femi Benussi? La briccona imperatrice ha un trascorso non proprio nobile, affiancato a quello della “vergine di Cappadocia” (Eva Czemerys). Due soldati al servizio di Nerone ricordano i precedenti di Poppea, molto più estroversa in (s)veste di donna che nei (pochi) panni di moglie. Al di là delle buone premesse, il divertimento risiede in altri lidi, al pari dell’erotismo; né funziona l’ibridazione “boccaccesca” con il peplum.
L’opinione di sasso 67 tratta dal sito http://www.filmtv.it
Brutto film, del filone Satyricon, molto in voga tra fine anni sessanta e primi anni settanta, in seguito al famoso film di Fellini. Uno degli eroi di questo filone fu Don Backy, già cantante di un certo successo negli anni sessanta. Grazie al suo fisico segaligno, riusciva a bene interpretare questa specie di picari che si muovevano nel mondo romano o medievale (ricordiamo Don Backy nel film “Una cavalla tutta nuda”, del filone decamerotico). Questo film è veramente insignificante, con un coprotagonista, brutta copia di Bud Spencer, che parla con un assurdo accento umbro-marchigiano, mentre i soldati romani parlano come i burinacci dei nostri giorni. C’è qualche ragazza formosa che si spoglia (Benussi, Czemerys, Barros ed altre) e si lascia andare a scene più spinte della media del genere, ma l’unico vero motivo d’interesse è Vittorio Caprioli che interpreta Nerone, ispirandosi senza troppi complessi a Petrolini.
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Gli invisibili parte 1
Gli invisibili appartengono alla sterminata produzione cinematografica prodotta a cavallo tra gli anni che intercorrono tra il 1965 e il 1975, periodo in cui vennero realizzate migliaia di opere cinematografiche molte delle quali destinate in seguito all’oblio.
Sono film che hanno avuto rarissimi passaggi video, che non hanno avuto mai una riedizione in digitale e che spesso sono stati in cartellone per pochissimo tempo se non per un giorno soltanto,oppure film che hanno avuto una edizione solamente in vecchi formati come il VHS.
Film ormai pressoche dimenticati e che la drastica riduzione delle emittenti televisive ha condannato per sempre agli archivi, dai quali ogni tanto riemergono per motivi spesso misteriosi.
Appartengono a cataloghi di case cinematografiche ormai scomparse da tempo, acquistati da altre società in blocco e che quindi molto difficilmente trovano spazio nel mercato per svariati motivi.
Spesso si tratta di opere minori salvo qualche inspiegabile gioiellino che all’epoca della prima proiezione ebbe scarsa fortuna; film girati a low budget, o ancora girati in serie, sfruttando arredi e scenografie quando non anche il cast di produzioni precedenti.
Sono centinaia e centinaia di titoli, prodotti nel periodo d’oro della cinematografia, gli anni in cui produttori rampanti e speculatori, assecondati da registi con tanta voglia di emergere riuscirono a realizzare una mole impressionante di pellicole, oggi assolutamente improponibili vista la grave crisi del cinema che di quegli anni d’oro ormai conserva solo il ricordo.
Molte di queste pellicole sono realizzate con scarsa cura, altre invece non ebbero fortuna per tantissimi motivi; spesso le produzioni fallivano, non permettendo quindi la loro distribuzione nelle sale cinematografiche.
Non era raro infatti che produttori scalcinati o squattrinati si imbarcassero in avventure pericolose economicamente che si risolvevano in catastrofi dai risvolti spesso paradossali.
A tal riguardo è illuminante il ricordo della bellissima Erka Blanc, che in un’intervista di inizi anni settanta rievocò le peripezie di una troupe costretta a scappare notte tempo da un albergo perchè l’intero cast, che non era stato pagato, non aveva i soldi per pagare il conto dell’albergo.
Di questa mole impressionante di film spesso non esiste nemmeno una documentazione fotografica, non esistono trailers se non quelli che qualche volenteroso ha ricavato chissà come da cosa e da dove e che ha postato su Youtube, permettendo così di assistere quantomeno alla proiezione di brevi spezzoni dei film stessi.
Di altri ancora ci sono tracce sui vecchi cineromanzi dell’epoca, autentiche miniere di informazioni per ricavare dettagli di questi film: nei polverosi numeri di Big, Cinesex eccetera troviamo sequenze che in alcuni casi non vennero nemmeno proiettate perchè tagliate in fase di post produzione o di montaggio.
Alcuni di questi film li ho vist per intero al cinema o in tv, in qualche visione notturna su scalcinate tv private che negli anni settanta e otanta hanno avuto il merito di aver diffuso un’enormità di B movie o film minori che altrimenti non avrebbero mai rivisto la luce.
Di altri ho visto solo pochi spezzoni, di altri ancora ho sentito solo parlare.
E’ di tutti questi film che tratterò in questo e in altri articoli futuri, nella speranza che qualche lettore aggiunga notizie o semplicemente ricordi che diano un minimo di riconoscimento a tutti quei film che oggi sono diventati “invisibili”
Mania, di Renato Polselli, con Brad Euston, Ivana Giordan, Isarco Ravaioli, Mirella Rossi, Eva Spadaro, Max Dorian, prodotto nel 1974 dalla GRP Cinematografica
Considerato da un nutrito gruppo di fans regista di culto, Polselli girò con un budget risicatissimo questo film nel 1974, ambientandolo quasi tutto in una villa e usando un sparuto cast che mise in scena la storia di un mad doctor ossessionato dal tradimento della moglie che uccide il suo gemello e si sostituisce a lui per ossessionare la moglie presunta fedifraga.
Il film sparì praticamente il giorno stesso dai cinema e per anni venne considerato perduto.
Viceversa, la Cineteca Nazionale possedeva una copia del film e nel 2007 lo proiettò nel cinema Trevi di Roma, permettendo così ai fans di Polselli di visionarlo.
Chi vi scrive non è tra loro, anzi; considero Polselli un cineasta con tante idee ma confuse.
Tuttavia non nego che l’aura di mistero del film mi ha fatto venire voglia di vederlo, per cui se qualcuno è in grado di segnalarmi un modo per visionarlo gli sarò grato.
Per quanto riguarda l’accoglienza della critica, ricordo quella del Centro Cattolico Cinematografico (forse i meno adatti ad una recensione oggettiva e obiettiva) che all’epoca parlarono di un film che è ” un pasticcio vergognoso da tutti i punti di vista, con un regista accusato di essere professionale e determinata solo quando spoglia le sue attrici e si sofferma sadicamente con la fotocamera sopra un teschio macabro pieno di vermi.”
Per quanto ne sappia, Mania non è mai passato in tv e “dovrebbe” essere ancora privo di un’edizione italiana digitalizzata.
Il baco da seta, di Mario Sequi,con George Hilton, Nadja Tiller, Guy Madison, Riccardo Garrone prodotto nel 1974 dalla Drago Film
Thriller canonico con protagonista una ex cantante francese perseguitata da un gruppo di creditori che imbastisce un falso furto dei suoi gioielli usando come complice un giovane gigolò che poi uccide riuscendo a ricavare da tutto una considerevole somma.
Passato in notturna qualche volta su reti private secondarie, Il baco da seta non ebbe nessun successo alla sua uscita, sparendo immediatamente dalle proiezioni pubbliche. Del film esiste solo qualche breve filmato ricavato da VHS che però non permettono nessuna valutazione del film stesso. A parte la presenza dell’onnipresente Hilton e della bella Tiller, il film non si segnala per meriti particolari, tuttavia può essere un riferimento per apprezzare paesaggi e arredi vintage che erano il corollario di ogni film degli anni settanta.
L’intreccio, di Dave Young (Pierre Chenal), con Marisa Mell, Robert Hossein, Ettore Manni, Robert Dalban, Alberto Dalbés, Perla Cristal, Manuel de Blas, Danielle Durou, Ellen Bahl, Carlos Bravo, Colelle Jack, Albert Minsky, Lili Murati, Krista Nell, Patricia Nigel, Sabine Sun prodotto nel 1969 in Germania dalle associate Ascot, Balcázar P. C., Cineraid, Lira Films
Uscito con il titolo Les belles au bois dormantes e distribuito in Italia come L’intreccio, questo film di Chenal è l’ultimo diretto dal regista belga dopo una lunga carriera iniziata nel 1933; film pressochè invisibile, del quale esiste solo una riduzione in VHS.
Narra le vicende di due coniugi che dirigono una una casa di cure di bellezza per donne che è però una copertura per una base per lo spaccio di droga.Una vicenda che si tingerà di giallo con classico colpo di scena finale. Penalizzato probabilmente dai nudi presenti nel film uscito in un periodo nel quale proprio i nudi provocavano immancabilmente l’intervento dei censori,L’intreccio è divenuto un film invisibile che anche alla sua uscita riscosse scarso interesse e ancor meno spettatori.
Nel cast è presente Marisa Mell, che nei due anni precedenti si era costruita una buona fama grazie alla sua presenza nel Diabolik di Bava e nell’ottimo Una sull’altra di Fulci.
Fu il cineromanzo Big film a mostrare le sequenze del film che da allora in poi scomparve completamente salvo riemergere nel florido mercato delle video cassette. Praticamente introvabile anche in riversaggio da VHS.
Ecco perchè mogli degli amanti di mia moglie sono le mie amanti,di Mack Bing con Barbara Blake, Norman Alden, Gloria Manon, Scott Graham, prodotto nel 1969 dalla americana Cottage Films
Un film che inaugura la moda cinematografica dei titoli chilometrici, assolutamente invisibile anche alla sua uscita.
Racconta le vicende di tre coppie di scambisti,a cui una sera si aggiunge un’altra coppia,con lei del tutto ignara delle abitudini delle sei persone.Il marito della donna invece cerca di sfruttare sua moglie per ottenere vantaggi lavorativi, con il risultato finale di litigare con la moglie e non ottenere nulla di quanto preventivato.
Film scopertamente erotico, ha dalla sua una certa cura.
Questa pellicola l’ho vista molti anni dopo in un cinema dopolavoristico, settore a cui va attribuito il merito, assieme alle sale di periferia, di aver programmato film che altrimenti sarebbero rimasti davvero totalmente invisibili.
Non mi risulta nessuna edizione in digitale della pellicola, mentre con qualche difficoltà è visionabile la versione ridotta da VHS esclusivamente in lingua inglese su alcuni siti americani.
Un’anguilla da 300 milioni,di Salvatore Samperi con Lino Toffolo, Carla Mancini, Gabriele Ferzetti, Mario Adorf, Senta Berger, prodotto nel 1971 dalla Colt Produzioni Cinematografiche e dalla Mega Film
Buon successo di pubblica e relativamente di critica, questo film è inspiegabilmente scomparso nel nulla, tanto da non avere ancora oggi una versione digitale mentre l’unica visionabile è relativa a riversaggi penosi da VHS o a rimaneggiamenti inguardabili da vecchi passaggi televisivi.
Giallo ben costruito che racconta le vicende di un ex capo partigiano che affida a un suo amico di lotta la figlia reduce da una cura disintossicante dalla droga;quando l’ex partigiano muore, Bissa, l’amico, apprende da Tina, la ragazza, che in realtà lei non era la figlia del partigiano ma una ragazza rapita alla sua famiglia.
Si scoprirà in effetti che la storia è vera ma che la ragazza ha organizzato un piano diabolico…
Film godibile, con un buon cast inspiegabilmente finito nel dimenticatoio; il film è stato trasmesso anni addietro sulle tv private, ma come già detto manca di un’edizione guardabile.
L’asino d’oro: processo per fatti strani contro Lucius Apuleius di Sergio Spina, con Samy Pavel, Barbara Bouchet, Marisa Fabbri, Leopoldo Trieste, John Steiner, prodotto dalla Filmes e dalla O.N.C.I.C. nel 1970.
Ecco un film recentemente riemerso dall’oblio grazie al canale televisivo IRIS che ha trasmesso la pellicola in notturna.
Filmaccio brutto e scombinato che assembla un buon cast,
una storia tratta nientemeno che da Apuleio e una sceneggiatura raffazzonata e grezza che costituiscono l’ossatura di un film che ormai si ricorda solo per la presenza di una splendida Barbara Bouchet nei panni di Pudentilla, la vedova del ricco Epulone.
Film vietatissimo all’epoca della sua uscita subì diversi rimaneggiamenti per cui alla fine ottenne un visto della censura con il divieto di proiezione ai minori di anni 14.
L’assoluto naturale, di Mauro Bolognini con Laurence Harvey, Sylva Koscina, Isa Miranda, Guido Mannari, Felicity Mason prodotto dalle temporaneamente associate Cinecenta e Tirrenia Film Studios
Tratto da un romanzo di Parise, il film di Bolognini pagò a caro prezzo le sue ambizioni e la complessità del tema trattato, la complessità del mondo borghese relativamente al rapporto con la classe popolare,
l’ambizione alla libertà personale assoluta che però deve fare i conti con i rapporti con l’altro sesso ecc.
Penalizzato anche da pesanti interventi della censura, il film è passato a notte fonda su alcune tv private, sforbiciato dalle sequenze più roventi; poichè non è stato mai editato in digitale, è impossibile da giudicare anche perchè si tratta di un film pesantemente datato, uno di quelli che spesso facevano impazzire i critici e addormentare il pubblico.
Karin un corpo che brucia,di Jean-Claude Dague e Louis Soulanes in veste di co-regista, con Jean-Claude Bercq , Donna Michelle , Jean Distinghin , Linda Veras , Marc Briand prodotto nel 1968 dalle associate Capitole Films e Paris Interproductions (PIP)
In origine Le bal des voyous, tradotto malamente in Karin un corpo che brucia, in ossequio alla ferrea legge delle distribuzioni italiane attente a dare sempre un tocco di morbosità a produzioni estere con sceneggiature morbose,
narra la storia di Henri Verdier, un banchiere esperto di judo, che sarà coinvolto in una storia dai risvolti pericolosi per colpa della bella Karine, la sua bionda amante che è legata contemporaneamente ad un uomo che progetta di rapinare una banca.
Film assolutamente e totalmente invisibile, non risulta essere passato in tv e non ha avuto nessuna riduzione in digitale.
Mancano anche rippaggi da VHS ed è praticamente introvabile in rete.
Ringrazio il sito http://www.dbcult.com dal quale ho tratto alcuni fotogrammi altrimenti introvabili.
dal film Mania
Lobby card del film Il baco da seta
Due foto di scena tratte dal film L’intreccio
Foto di scena tratta dal film Ecco perchè le amanti…
Due foto di scena del film L’asino d’oro, processo per fatti strani…
Due foto di scena di Sylva Koscina tratte dal film L’assoluto naturale
Foto di scena e locandina del film Karin un corpo che brucia
L’occhio dietro la parete
Uno scrittore rimasto invalido in seguito ad un incidente automobilistico in cui ha perso la vita il figlio possiede nella sua casa un sistema ottico che gli permette di guardare ciò che accade nella casa adiacente.
Paolo, questo il nome dell’uomo, convive con la figlia Olga, che ha coinvolto nel gioco voyeuristico che sembra essere l’unico interesse della sua vita.
Tra i due esiste un rapporto ambiguo e morboso, ai limiti dell’incesto;con la collaborazione dell’ancor più ambiguo domestico Ottavio, Paolo inizia a spiare la vita del vicino Arturo, un giovane dalla vita misteriosa e che ha una personalità debole e complessata.
Anche Olga inizia a seguire morbosamente la vita del giovane, arrivando a spiare un suo rapporto omosessuale con un uomo di colore; a quel punto la donna cede al desiderio del padre che le chiede insistentemente di avvicinare Arturo e fa in modo di entrare in contatto con lui.
Tra i due nasce un rapporto d’amore che crea in paolo una reazione che avrà drammatiche conseguenze…
L’occhio dietro la parete, film del 1977 è l’unica opera del regista Giuliano Petrelli che del film è anche lo sceneggiatore; un film abbastanza strano, caratterizzato da un andamento imprevedibile, con scene che sembrano slegate dalla storia principale.
Il plot è costruito attorno alla figura del voyeur Paolo, diventato tale probabilmente in seguito all’incidente, un padre che ha perso un figlio ma che contemporaneamente non esita a coinvolgere sua figlia in un giochino perverso e incestuoso testimoniato da una scena nella quale insinua la sua mano tra le gambe della figlia Olga.
Un gioco perverso e pericoloso, perchè l’uomo non è in grado di controllare l’insano rapporto che ha con la figlia; quando deciderà di spingersi oltre, inserendo nel suo gioco la figlia e mandandola impudicamente tra le braccia di Arturo finirà per provocare in se stesso un corto circuito che porterà la storia ad un finale tragico.
Una storia tutto sommato risibile, che mal si sposa con due sequenze che appaiono inserite nel film per allungare il brodo, già di per se abbastanza insipido; mi riferisco alla scena del locale notturno nella quale Arturo e Olga assistono, inconsapevoli della presenza l’uno dell’altra, alla performance di una ballerina che finisce improvvidamente per essere denudata da un aitante uomo di colore, che finirà per avere un’avventura sessuale con Arturo.
Che a sua volta è personaggio disegnato mollemente, che appare quasi privo di volontà e sballottato quà e là dagli eventi; si lascerà sedurre da Olga (voglio avere un figlio da te, dirà la donna in un dialogo francamente assurdo) subendo anche l’iniziativa dell’uomo di colore che lo sodomizzerà.
L’altra sequenza fuori dal contesto è quella che vede l’enigmatico domestico Ottavio a letto con una ragazza; anche lui è affetto dalla stessa mania da guardone del suo datore di lavoro e non manca di spiare la bella Olga impegnata in un focoso amplesso con Arturo.
Il film in sostanza non offre null’altro se non un’atmosfera volutamente malata che sembra presagire sin dall’inizio il finale da tragedia greca che seguirà.
Il guaio è che nel mezzo c’è tutta la pellicola che scorre senza nessun sussulto e senza alcuna invenzione che contribuisca a svegliare lo spettatore dal torpore che pian piano lo avvolge.
I protagonisti del film fanno del loro meglio; si segnala la bella bond girl Olga Bisera per la sua glaciale bellezza e per l’ardire di alcune scene, John Phillip Law per l’interpretazione molliccia esibita che include una sequenza in cui fa ginnastica completamente nudo e con le parti intime generosamente esposte oltre che per le urla selvagge lanciate nella sequenza della sodomizzazione e infine Fernando Rey impegnato a incrementare il conto in banca piuttosto che a fornire una prestazione più convincente.
Massacrato con buone ragioni dalla critica, L’occhio nella parete è un film praticamente invisibile;non ricordo suoi passaggi televisivi tuttavia è stato recentemente rieditato in digitale ed è presente in un’orribile versione fuori formato in streaming.
Aggiornamento:il film è disponibile in una buona versione in italiano all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=LJvU_xWSsa4
L’occhio dietro la parete
Un film di Giuliano Petrelli. Con Olga Bisera, Fernando Rey, Monica Zanchi,José Quaglio, John Philip Law, Enzo Robutti, Roberto Posse Drammatico, durata 90 min. – Italia 1977.
John Phillip Law: Arturo
Fernando Rey: Paolo
Olga Bisera: Olga
José Quaglio: Ottavio
John P. Dulaney: Chuck
Mónica Zanchi:la ragazza con Ottavio
Regia Giuliano Petrelli
Sceneggiatura Giuliano Petrelli
Produttore Enzo Gallo
Casa di produzione Cinemondial, Shaw Brothers
Fotografia Cristiano Pogany
Montaggio Gianmaria Messeri
Musiche Giuseppe Caruso
L’opinione dell’utente Ezio dal sito http://www.filmtv.it
Un film malato,intriso di voyerismo e incestuoso all’interno di una famiglia composta tra padre,figlio e figlia con una parete controllata con una telecamera che filma la vita del diimpettaio che alla fine finisce a letto con la figlia di Rey,una Olga Bisera brava e generosissima.Rimane un reperto unico (o quasi) nell’intera filmografia italiana e se vogliamo a qualcosa di Bunuel,infatti Rey e’ uno dei suoi attori principali.Imperdibile per gli amanti del “bis” e editato in versione integrale nella collana Cinekult in una copia piu’ che discreta con l’aggiunta dell’intervista a Petrelli regista dell’unico film da lui diretto.
L’opinione dell’utente Homesich dal sito http://www.davinotti.com
La prima regia dell’attore Petrelli è un dramma erotico buñueliano che vanifica le annotazioni antropologiche in un baillamme di perversioni sessuali e in un (non)eros sporco e tignoso: dal deperito Law che fa ginnastica nudo con il pene di fuori ai selvaggi urli sodomitici che lasciano ben poco alla fantasia. Il finale, più che per la fiammella thrilling accesa dal chiarimento dei legami tra il voyeur paraplegico Rey e la devota Bisera, vale un’occhiata per il sorriso malignamente compiaciuto di Quaglio, servitore laido e feticista. Glaciali musiche d’avanguardia di Caruso.
L’opinione dell’utente Fauno dal sito http://www.davinotti.com
La rivelazione finale è inaspettata, ha dell’incredibile e lo svolgimento del film non lo lasciava sospettare neanche lontanamente… ancor meno l’acquisizione dell’invalidità. Law recita molto bene e non è neppure lontano parente dell’attore di Barbarella e dei western di 10 anni prima, la Bisera non è una Venere ma se la cava, Rey non l’ho ancora visto sbagliare. Tutti gli strumenti del film sono azzeccati e non danno alcun fastidio. Unico neo: taluni concetti sono sfiorati e non approfonditi e l’ambientazione è abbastanza limitata alla casa…