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Ti odio,ti lascio,ti …

Bastano solo due anni di convivenza per logorare il rapporto tra Gary, guida in un bus turistico e Brooke, una assistente di una galleria d’arte.
I continui bisticci, con Gary che rimprovera a Brooke di essere assillante e di non lasciargli spazi e con la donna che lamenta il fatto di dover gestire da sola le faccende della casa che hanno comprato assieme, portano la coppia alla rottura.
Così i due si lasciano, ma di comune accordo scelgono comunque di vivere sotto lo stesso tetto anche perchè Gary e Brooke non vogliono cedere l’appartamento all’altro.
Inizia così una fase di difficilissima convivenza,nel corso della quale ognuno dei due cerca di provocare la lite con l’altro. Fino a quando,impossibilitati ad andare oltre, decidono di vendere la casa che avevano acquistato in comune.
Nonostante i tentativi di lei di recuperare il rapporto, successivamente quelli di lui, il baratro che si è scavato fra di loro diventa incolmabile. Ma c’è spazio almeno per una separazione da buoni amici.


Ti odio,ti lascio ti… è un film commedia a metà strada esatta tra il genere drammatico e quello sentimentale, diretta da Peyton Reed nel 2006.
Una storia semplice, che gioca tutte le sue carte su situazioni paradossali che vengono a crearsi tra una coppia come tante, partita con molte ambizioni ma senza le basi vere necessarie ad un’unione duratura.
Difatti l’unione naufragherà per l’assoluta incapacità dei due di adeguarsi al carattere e alle esigenze dell’altro, un topos classicissimo di tantissime coppie, infervorate da uno degli aspetti dell’amore, la fisicità e forse da qualche altro aspetto collaterale.
Ma l’amore richiede un assieme di componenti che devono amalgamarsi in qualche modo,  aspetti che vanno dallo spirito di adattamento caratteriale alla capacità di comprensione; nel caso dei due protagonisti l’aver sottovalutato i fondamentali dell’unione porta ad un
rapido deterioramento dei rapporti.


Le ripicche, le meschine vendette, porteranno i due ad una sorta di “guerra dei Roses” che però non avrà un finale così drammatico, anzi.
La parte più apprezzabile della pellicola, che mantiene una certa amarezza di fondo, è proprio quella che porta al finale, una separazione amichevole che riporta i due ad una situazione pre unione.
Con i due individui liberi di riprendere il controllo della propria vita, alla ricerca di un futuro diverso ma che non li vedrà come due nemici.
Commedia indistinguibile da decine di altre,Ti odio ti lascio ti… si segnala principalmente per la presenza della brava e simpatica Jennifer Aniston, sempre a suo agio nelle commedie brillanti o leggere e per quella di Vince Vaughn, anche lui bravo nel tratteggiare la figura di un personaggio, Gary,un po troppo simile allo stereotipo del maschio indolente, adagiato in pigiama e pantofole e incapace di capire le necessità della compagna.
Il film va avanti con qualche buona battuta e qualche situazione divertente, mantenendo la sufficienza fino alla fine.
Film gradevole, che può valere una visione disimpegnata.

Ti odio,ti lascio,ti…
regia di Peyton Reed, con Vince Vaughn, Jennifer Aniston, Joey Lauren Adams, Jason Bateman, Jon Favreau. Titolo originale: The Break Up. Genere Commedia/Sentimentale – USA, 2006, durata 105 minuti.

Vince Vaughn: Gary Grobowski
Jennifer Aniston: Brooke Meyers
Joey Lauren Adams: Addie
Cole Hauser: Lupus Grobowski
Jon Favreau: Johnny Ostrofski
Jason Bateman: Riggleman
Judy Davis: Marilyn Dean
Justin Long: Christopher
Ivan Sergei: Carson Wigham
John Michael Higgins: Richard Meyers
Ann-Margret: Wendy Meyers
Vernon Vaughn: Howard Meyers
Vincent D’Onofrio: Dennis Grobowski
Elaine Robinson: Carol Grobowski
Jane Alderman: signora Grobowski
Peter Billingsley: Andrew
Jane Hu: Diane
Rebecca Spence: Jen
Keir O’Donnell: Paul
Geoff Stults: Mike

Francesco Prando: Gary Grobowski
Eleonora De Angelis: Brooke Meyers
Chiara Colizzi: Addie
Giorgio Borghetti: Lupus Grobowski
Antonio Palumbo: Johnny Ostrofski
Roberto Certomà: Riggleman
Ludovica Modugno: Marilyn Dean
Nanni Baldini: Christopher
Francesco Pezzulli: Carson Wigham
Carlo Cosolo: Richard Meyers
Melina Martello: Wendy Meyers
Oreste Rizzini: Howard Meyers
Massimo Corvo: Dennis Grobowski
Irene Di Valmo: Carol Grobowski
Graziella Polesinanti: signora Grobowski
Luigi Scribani: Andrew
Valeria Vidali: Diane
Claudia Catani: Jen
Davide Lepore: Paul
Luigi Morville: Mike

Regia Peyton Reed
Sceneggiatura Vince Vaughn, Jeremy Garelick, Jay Lavender
Fotografia Eric Alan Edwards
Montaggio Dan Lebental, David Rosenbloom
Musiche Jon Brion

Maggio 19, 2020 Posted by | Commedia | , , | Lascia un commento

Gloria Bell

Gloria Bell ha ormai superato da un po i cinquant’anni.
Ha alle spalle un divorzio non traumatico, due figli ormai adulti, uno dei quali sposato e ha un lavoro.
In pratica è una donna indipendente, che vive quella fase di vita in cui, libera da obblighi,può permettersi di dedicarsi a quello che più le piace.
Si concede qualche amante ma la sua vera passione è la musica e il ballo; ama talmente tanto la musica da cantare a squarciagola quando è in auto, ama il ballo tanto da tuffarsi in sfrenate serate sopratutto a base di musica revival, quella in voga tra il finire degli anni settanta e la prima metà degli ottanta, quando quindi era ancora una ragazzina.
Ed è ad una di queste serate che conosce Arnold, che è separato dalla moglie.


Tra i due nasce una improvvisa attrazione e Gloria ci si tuffa con entusiasmo, tanto da arrivare a presentarlo al suo ex marito e ai figli.
Arnold sembra l’uomo giusto con cui ricominciare, è dolce e premuroso ma è anche succube delle figlie, sempre pronto ad accorrere ad ogni minima loro richiesta.
Agli inizi Gloria sopporta, ma poi…
Sebastian Lelio gira Gloria Bell, il remake personale del film Gloria del 2013, del quale ho già parlato qui https://filmscoop.org/2019/12/29/gloria/ nel 2018 ,riprendendo quasi completamente la trama
della prima versione ma con due sostanziali differenze.
La prima è l’ambientazione americana, la seconda è la scelta di due ottimi attori come Julianne Moore e John Turturro in luogo di Paulina García e Sergio Hernández; sono passati solo 5 anni da quel Gloria
che Lelio aveva presentato ottenendo un lusinghiero successo di critica e di pubblico e ciò lo porta a farne una versione più adatta al pubblico americano, con attori autoctoni e una location adatta allo stesso pubblico.


Il personaggio di Gloria Bell acquisisce uno spessore più sbarazzino con una sceneggiatura più agile e più costruita addosso alla Moore,attrice di razza e abituata a ruoli brillanti tipici delle comedy.
Gloria Bell è una ottimista, ha tante fragilità ma è al tempo stesso una donna consapevole dei propri mezzi; avrà una sola debolezza,legata al bisogno istintivo d’affetto che le costerà un’altra delusione, dopo quella legata la suo matrimonio.
Ma ne verrà fuori, più forte,con il carattere intatto; scena clou è quella in cui impugna l’arma da soft air e bersaglia l’ormai ex amante con pallottole di vernice colorata.
Nel film c’è una colonna sonora da urlo, che include la celebre Gloria di Umberto Tozzi in versione cantata dalla Branigan, Total Eclipse of the Heart di Bonnie Tyler,Alone Again di Gilbert O’Sullivan,Love’s in the Air di J.P.Young e tante altre, che hanno per il film
la valenza di un viaggio sul filo dei ricordi.
In quanto a Julianne Moore c’è la conferma del suo grande talento,così come apprezzabile e la prova di Turturro; film di buona caratura,che merita di sicuro una visione.

Gloria Bell
Un film di Sebastián Lelio,con Julianne Moore, John Turturro, Caren Pistorius, Michael Cera, Brad Garrett, Holland Taylor, Jeanne Tripplehorn, Rita Wilson, Sean Astin, Alanna Ubach, Cassi Thomson, Jordan Garcia, Kevin Hager Titolo originale Gloria. Commedia, durata 102 min. – USA 2018.

Julianne Moore: Gloria
John Turturro: Arnold
Michael Cera: Peter
Caren Pistorius: Anne
Brad Garrett: Dustin Mason
Holland Taylor: Hillary
Jeanne Tripplehorn: Fiona
Rita Wilson: Vicky
Barbara Sukowa: Melinda
Alanna Ubach: Veronica
Sean Astin: Jeremy
Cassi Thomson: Virginia

Roberta Pellini: Gloria
Pasquale Anselmo: Arnold
Davide Perino: Peter
Eva Padoan: Anne
Stefano De Sando: Dustin Mason
Ludovica Modugno: Hillary
Alessandra Korompay: Fiona
Emanuela Rossi: Vicky
Marina Tagliaferri: Melinda
Irene Di Valmo: Veronica

Regia Sebastián Lelio
Soggetto storia di Sebastián Lelio e Gonzalo Maza
adattamento di Sebastián Lelio e Alice Johnson Boher
Sceneggiatura Sebastián Lelio
Produttore Juan de Dios Larraín, Pablo Larraín, Sebastián Lelio
Produttore esecutivo Julianne Moore, Shea Kammer, Rocío Jadue, Ben Browning, Glen Basner, Milan Popelka, Alison Cohen
Casa di produzione Fabula
Distribuzione in italiano CINEMA
Fotografia Natasha Braier
Montaggio Soledad Salfate
Effetti speciali Tomas Roca
Musiche Matthew Herbert
Scenografia Dan Bishop
Costumi Stacey Battat

Maggio 15, 2020 Posted by | Commedia | , , | 2 commenti

Andavamo al cinema-Parte 60

Eccoci alla puntata numero 60 di Andavamo al cinema; grazie per le mail di complimenti, mi sarebbe piaciuto anche qualche commento sul sito ma va bene lo stesso. Mi spiace non aver potuto esaudire due richieste particolari riguardanti cinema di Napoli e Massa Carrara, ma non è che sia facile trovare immagini di vecchi cinema. Quello che rintraccio lo pubblico, il consiglio è quello di dare un’occhiata alle 59 parti precedenti che contengono 1800 vecchie foto tra le quali forse c’è quello che cercate. La mail per inviare immagini è : paolobari@email.it

 

Cine Teatro Don Bosco, Carugate (Milano)

Cine Teatro Intelisano, Grammichele (Catania)

Cinema Chiaromonte, Palma di Montechiaro (Agrigento)

Cinema dei Preti, Pomezia (Roma)

Cinema delle Palme, San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno)

Sala Cinema Olimpia, Iglesias

Cinema La Perla, Lugagnano (Verona)

Cinema Littorio, Città di Castello (Perugia)

Cinema Lux, Torino

Sala Cinema Meda, Milano

Sala Cinema Lux, Parma

Cinema Massimo, Caorle (Venezia)

Cinema Miotto, Spilimbergo (Pordenone)

Cinema Moderno, San Pietro Agliana (Pistoia)

Cinema non identificato, Baragazza (Bologna)

Cinema Palace, Milano

Sala Cinema Biondo, Palermo

Sala Cinema non identificato, Malanghero (Torino)

Cinema Paolillo, Barletta

Cinema Parrocchiale, Guastalla (Reggio Emilia)

Cinema San Marco, Bergamo

Cinema Sorgente, Boario terme (Brescia)

Cine Teatro odeon, Canicattì (Agrigento)

Cine Teatro Sociale, Arzignano (Vicenza)

Cinema non identificato, Terralba (Oristano)

Cinema Volta, Muggia (Trieste)

Cinema Duca degli Abruzzi, Brindisi

 

Maggio 12, 2020 Posted by | Vecchie sale cinematografiche italiane | | 4 commenti

Andavamo al cinema-Parte 59

Edizione n.59 di Andavamo al cinema, con altre 30 sale cinematografiche per la massima parte scomparse. Vi ricordo l’indirizzo mail per inviare immagini : paolobari@email.it

Arena Badiazza, Augusta (Siracusa)

Sala Cinema Lumiere,Pisa

Arena Madonnina, Bari

Arena Megara, Augusta (Siracusa)

Arena Pacini, Catania

Sala Cinema Centrale, Sanremo

Arena San Carlino, Catania

Arena San Francesco, Bari

Cine Teatro Dopolavoro, Eboli (Salerno)

Cinema non identificato, Aprilia (Latina)

Sala Cinema Capitol, Firenze

Cinema Astoria, Palermo

Cinema Augusto, Arco Felice, Pozzuoli

Cinema Aureo, Roma

Cinema Aurora, località non identificata

Cinema non identificato, Carrè (Vicenza)

Cinema Dopolavoro Fabbrica Ferrania, Savona

 

Cinema Edison, Vicenza

Cinema Elicona, Montalbano Elicona (Messina)

Cinema Eliseo, Bologna

Cinema Eliseo, Milano

Cinema Eolo, Bologna

Cinema San Giorgio, Udine

Cinema Scollata, Macerino (Terni)

Cinema Smeraldo, Costigliole d’Asti (Asti)

Cine Teatro La Pergola, Vicidiatico (Bologna)

Cinema Splendor, Saluzzo (Cuneo)

Sala Cine Auditorium, Lavis (Trento)

Sala Cinema Aurora, Verona

Maggio 9, 2020 Posted by | Vecchie sale cinematografiche italiane | | Lascia un commento

La camera azzurra

Julien ha tutto per essere felice.
Una brava moglie, Delphine, una bella bimba, un lavoro da concessionario di mezzi agricoli che va benissimo e in ultimo una bella casa.
E ha anche da poco un’amante, Ester, moglie del farmacista della cittadina, che incontra in un alberghetto e sempre nella stessa camera tappezzata d’azzurro.
Il suo rapporto con Ester sembrerebbe improntato solo all’appagamento sessuale, ma in realtà la donna, che lo frequentava quando era ancora giovane, mira a qualcos’altro.
La morte del marito di lei, apparentemente per malattia, da il via ad un cambiamento profondo nella relazione.Fino al momento in cui Delphine viene ritrovata morta, assassinata per mezzo di una confettura di prugne…
Tratto dal romanzo La camera azzurra (La chambre bleue) di Georges Simenon, il film, uscito nel 2014 viene trasposto sullo schermo dall’attore Mathieu Amalric che nel film stesso riveste il ruolo del protagonista.


Un film descrittivo, d’ambientazione, caratterizzato da un uso quasi ossessivo del flashback, che interrompe la narrazione dell’accaduto peraltro recente del protagonista, della sua amante e marginalmente della famiglia di Julien con il presente, fatto di lunghi interrogatori
da parte del giudice istruttore che lo interroga dopo che l’uomo è stato arrestato con Ester (ma questo lo apprenderemo alla fine) accusato con la donna non solo dell’omicidio della moglie ma anche di quello del marito di Delphine.
Il film è scandito dall’interrogatorio dell’inquirente, che costringe Julien a ripercorrere il suo recente passato, a fare mente locale sull’accaduto, dal momento in cui ha incontrato nuovamente Delphine fino agli appuntamenti clandestini con la stessa, dei quali forse la moglie è al corrente.
Ma tutto è lasciato in sospeso, nel film.
Anche l’eventuale partecipazione di Julien alla preparazione dei due omicidi è dubbia; il tutto nonostante l’uomo cerchi disperatamente di ricostruire gli avvenimenti.Che però non possono fugare i dubbi, anche per l’ambiguità di fondo che caratterizza il suo personaggio.
Che rapporto ha, effettivamente con la sua amante? Si tratta di sesso o c’è qualcosa di più profondo? Il suo legame con la moglie è davvero solido o risente dell’abitudine e della noia? Tutto resta ambiguo, perchè lo stesso Julien lo è. Quando muore il marito dell’amante le resta lontano per due mesi, quasi per  allontanare eventuali sospetti sulla morte naturale del farmacista.


Un gioco di specchi, che si tramuta in un film in cui contano gli sguardi, le frasi a metà, le cose non dette; che rendono il film
un puzzle psicologico, in cui è lasciato allo spettatore il compito di giudicare in base a quanto detto.
Per contraltare ci sono il ritmo incalzante delle domande della polizia e il meticoloso, quasi ossessivo lavoro di ricerca dell’accaduto, che si tramuta in una raccolta impressionante di dati sui minimi movimenti della coppia, i più apparentemente insignificanti.
Il film si muove per tutta la sua durata su questo binario, mostrando i momenti di intimità della coppia di amanti e il personale di Julien, il suo rapporto con la moglie, apparentemente tenero ma in realtà abbastanza distaccato, da marito che trova noioso il menage familiare.
C’è molta della atmosfera dei romanzi di Simenon, nel film.


L’abilità dello scrittore nel descrivere minuziosamente i luoghi e i personaggi viene ricreata da Amalric con sufficiente padronanza; le parole dell’incipit del libro (che troverete in fondo alla recensione) sono riportate quasi integralmente dal regista.
Che è autore anche di una buona prestazione attoriale, tesa a portare sullo schermo il personaggio di Julien in tutte le sue contraddizioni.
Che sono numerose.
Brave anche Lea Drucker (Delphine) e Stephanie Cleau (Ester), di contorno gli altri protagonisti del film, dignitosi.
Astenersi se si amano i gialli movimentati o esaustivi nel finale;siamo lontanissimi dai canovacci tipici del genere.

La camera azzurra
Regia di Mathieu Amalric, con Mathieu Amalric, Léa Drucker, Stéphanie Cléau, Mona Jaffart, Laurent Poitrenaux. Titolo originale: La Chambre Bleue. Genere Drammatico, – Francia, 2014, durata 75 minuti. distribuito da Movies Inspired.

Mathieu Amalric … Julien Gahyde
Léa Drucker … Delphine Gahyde
Stéphanie Cléau … Esther Despierre
Laurent Poitrenaux … Il giudice istruttore
Serge Bozon … Un poliziotto
Blutch Blutch … Lo psicologo
Mona Jaffart … Suzanne Gahyde
Véronique Alain … La madre di Nicolas
Paul Kramer … L’avvocato di Julien
Alain Fraitag … L’avvocato di Ester

Regia: Mathieu Amalric
Sceneggiatura: Stéphanie Cléau e Mathieu Amalric
Romanzo: George Simenon
Produttore: Paulo Branco
Musiche: Grégoire Hetzel
Fotografia: Christophe Beaucarne
Montaggio: François Gédigier

“Ti ho fatto male?”.
” No “.
“Ce l’hai con me?”.
” No “.
Era vero. In quel momento tutto era vero, perché viveva ogni cosa così come veniva, senza chiedersi niente, senza cercare di capire, senza neppure sospettare che un giorno ci sarebbe stato qualcosa da capire. E non solo tutto era vero, ma era anche reale: lui, la camera, Andrée ancora distesa sul letto sfatto, nuda, con le gambe divaricate e la macchia scura del sesso da cui colava un filo di sperma.
Era felice? Se glielo avessero chiesto, avrebbe risposto di sì senza esitare. Non gli passava neanche per la testa di avercela con Andrée perché gli aveva morso il labbro. Faceva parte dell’insieme, come tutto il resto. In piedi, anche lui nudo, davanti allo specchio sul lavandino, si tamponava la bocca con un asciugamano imbevuto d’acqua fredda.
“Tua moglie ti chiederà spiegazioni? “.
“Non credo “.
“Ma a volte qualche domanda te la fa, no? “.
Le parole contavano poco. Parlavano così, per il puro piacere di parlare, come succede dopo l’amore, quando il corpo è ancora eccitato e la testa un po’ vuota.
“Hai una bella schiena”.
L’asciugamano era punteggiato di macchie rossastre. In strada un camion vuoto sobbalzava sul selciato. Dai tavolini del bar dell’albergo giungeva un vocio confuso, a tratti si riuscivano a distinguere alcune parole, ma slegate l’una dall’altra, cosicché il senso della frase risultava incomprensibile.
“Mi ami, Tony?”.
“Penso di si… “.

Maggio 6, 2020 Posted by | Giallo | , , , | Lascia un commento

Il fascino indiscreto dell’amore

Amelie è nata in Giappone, che ha lasciato all’età di 5 anni per ritornare in Belgio, patria dei suoi genitori. Ma ha conservato un ricordo struggente della terra natia così a 20 anni ci ritorna, decisa a conoscerlo meglio. Per mantenersi e studiare meglio il giapponese decide di dare lezioni di francese e grazie ad un annuncio conosce Rinri, un giovane che diventa suo allievo e al quale da del lei. stupendo per il suo formalismo lo stesso giovane. Grazie a Rinri, Amelie inizia a conoscere meglio usi e costumi del Giappone e ben presto tra i due giovani nasce un affetto profondo.
Ma Rinri, profondamente innamorato, chiede ad Amelie di sposarlo, mettendo in crisi la ragazza, che pur ricambiando l’affetto, sembra più affascinata dall’atmosfera che la circonda che vogliosa di andare oltre l’amore senza complicazioni future.
Trasforma Rinri nel suo fidanzato, rinviando in tal modo la data delle nozze. Ma arriva la catastrofe di Fukushima a modificare completamente il futuro dei due giovani…


Tratto dal romanzo autobiografico “Né di Eva né di Adamo” della scrittrice belga Amélie Nothomb e diretto dal regista belga Stefan Liberski, Il fascino indiscreto dell’amore è una gradevole pellicola che indaga con delicatezza sul complesso tema dei sentimenti
che nascono tra due persone di cultura e estrazione lontanissime.
Amelie è fondamentalmente una ragazza europea per educazione, nonostante sia nata in Giappone; ma l’ha lasciato da piccola, quando ancora il suo carattere non era ancora formato. Oggi è una ragazza forte e volitiva, indipendente, alla ricerca di se stessa ma anche curiosa, affascinata
da un paese che sente vicino, che la intriga per la profonda differenza di stile di vita, con la sua natura lussureggiante e le usanze spesso incomprensibili.
Rinri invece è affascinato dalla Francia, dalla sua lingua, dallo stile di vita dei francesi tanto da aver creato con degli amici una società segreta che si chiama amici della Francia.


Si innamora di Amelie ma al tempo stesso non ne comprende appieno il desiderio di libertà, non può distinguere tra amore e fascino per quello che in lui è rappresentato dal fascino dell'”esotico”.
La ragazza però, grazie a Rinri, impara ad apprezzare la cortese discrezione nipponica, fatta di atteggiamenti che agli occhi di un europeo appaiono come inutili formalismi ma che in realtà è uno stile di vita acquisito per secoli da una cultura profondamente diversa nei fondamenti.
Il viaggio, molto pericoloso, che Amelie farà in solitaria sul monte Fiji la porterà a vedere in modo diverso il suo rapporto con il giovane nipponico;un affetto stabile tra due giovani fondamentalmente inesperti delle cose della vita, tanto diversi nei gusti, è cosa non di poco conto.
L’amore, istintivo e famelico tipico della gioventù non può obbligatoriamente superare tutto. Troppe differenze tra i due e fondamentalmente non ancora pronti ad un affetto stabile che possa superare tutti gli ostacoli.


Gli sforzi di Amelie, che segue Rinri non solo alla scoperta degli angoli più segreti ed affascinanti del Giappone ma anche in cose banali come vedere uno dei ripetitivi film sulla Yakuza che Rinri adora, non bastano a colmare quello che è, in pratica, un innamoramento più coacervo di attrazione per la bellezza di una terra sconosciuta e di usi e costumi misteriosi uniti ad attrazione fisica e affetto che sentimento completo. O forse lo è davvero amore. Ma richiederebbe tempo, capacità di comprensione e di adattamento. Invece arriva il terremoto con la catastrofe nucleare a cambiare tutto. E quando Rinri e i genitori di lei, per il suo bene, quasi la obbligano ad andare via i nodi irrisolti arrivano al pettine.
Il film si dilunga più sugli aspetti sconosciuti del Giappone che sulla psicologia di Amelie e Rinri; o meglio, di Amelie impariamo a capire alcuni lati del suo carattere, ma del giovane nipponico apprendiamo poco.
Resta un enigma, cosi come enigmatici diventano i comportamenti sociali dei giapponesi stessi.


Il Giappone viceversa, pur restando misterioso, è un paese meraviglioso; dalle vette bianche del monte Fuji ai ciliegi in fiore, alle distese fiorite agli affascinanti borghi in legno costruiti con abitazioni meravigliose è tutto un proliferare di immagini degne di un depliant turistico. Manca però la visione di quelli che sono gli aspetti negativi del Giappone, come le condizioni di vita di tanti impiegati costretti a
passare le loro notti in microscopiche nicchie, manca la visione di Tokyo vista nella disumanità della megalopoli.
Un film piacevole, una storia d’amore agro dolce il cui unico neo è un finale brusco e poco articolato.
Davvero bravissima Pauline Etienne, enigmatico quanto basta Taichi Inoue per una pellicola che ha molte frecce al suo arco e che vale sicuramente una visione.

Il fascino indiscreto dell’amore
Regia di Stefan Liberski,con Pauline Etienne, Taichi Inoue, Julie LeBreton, Alice de Lencquesaing, Akimi Ota. Titolo originale: Tokyo Fiancée. Genere Sentimentale, – Belgio, Francia, Canada, 2014, durata 100 minuti.

Pauline Étienne: Amélie
Taichi Inoue: Rinri
Julie Le Breton: Christine
Alice de Lencquesaing: Yasmine
Akemi Ōta: Hara
Hiroki Kageyama: Hiroki
Tokio Yokoi: padre di Rinri
Hiromi Asai: madre di Rinri
Shinnosuke Kasahara: Yoshi
Masaki Watanabe: Masa

Valentina Favazza: Amélie
Flavio Aquilone: Rinri
Raffaella Castelli: Christine
Germana Longo: Yasmine
Simone Veltroni: Hara
Ugo De Cesare: Hiroki
Stefano Mondini: Padre di Rinri

Regia Stefan Liberski
Soggetto Amélie Nothomb
Sceneggiatura Stefan Liberski
Produttore Jacques-Henri Bronckart, Olivier Bronckart, Richard Lalonde, Sylvie Pialat
Casa di produzione Versus Production
Fotografia Hichame Alaouie
Montaggio Frédérique Broos
Musiche Casimir Liberski
Scenografia Laurie Colson
Costumi Claire Dubien

Maggio 4, 2020 Posted by | Commedia, Sentimentale | , , | Lascia un commento

I Spit on Your Grave

La giovane Jennifer, in cerca di un posto tranquillo dove poter scrivere, si reca in una località imprecisata americana per prendere
possesso di una baita nel bosco. Fermatasi per fare rifornimento alla sua auto, ha un diverbio con tre giovani locali che con apprezzamenti pesanti
la costringono a reagire verbalmente. L’incidente non è chiuso perchè avendo bisogno di sistemare il bagno della baita è costretta ad accettare l’aiuto di un giovane con evidenti problemi mentali, Matthew. Imprudentemente, la ragazza per ringraziarlo lo bacia su una guancia e il giovane, fiero del gesto lo racconta ai tre balordi che avevano approcciato Jennifer alla stazione di servizio.
I tre si recano nella baita, ma Jennifer riesce a scappare e a chiedere l’aiuto dello sceriffo locale, che però si rivela della stessa risma dei tre teppisti; per Jennifer inizia una serie interminabile di violenze sessuali e alla fine riesce a sfuggire al gruppo di predatori gettandosi da un ponte nel fiume.
Per alcune settimane viene creduta morta dal branco, ma Jennifer, nascosta nel bosco, sta preparando la sua vendetta,che sarà terrificante…
I Spit on Your Grave, diretto da Steven R. Monroe nel 2010 è il remake del film omonimo diretto nel 1978 da Meir Zarchi, distribuito in Italia con il titolo di Non violentate Jennifer e sostanzialmente introduce nella storia originale la figura


dello sceriffo, altro personaggio sgradevolissimo destinato come il resto della banda di teppisti ad una fine orribile. Un film slasher violentissimo, di gran lunga più sanguinolento dell’originale, inseribile nel filone dei Rape & Revenge, quel particolare sotto genere
dell’horror che già dalla traduzione italiana, stupro e vendetta, inquadra immediatamente di cosa parli il tema.
Fra i Rape & Revenge più famosi molti ricorderanno L’ultima casa a sinistra, (“Last house on the left”, USA, 1972), di Wes Craven, il più famoso di questo particolare genere cinematografico caratterizzato da una violenza cieca e spesso immotivata, praticata sia dagli aggressori sia dalle vittime, con queste ultime che sorpassano in crudeltà le pur orrende azioni dei propri carnefici. I Spit on Your Grave non fa eccezione alla regola, con una escalation di violenza che supera ogni confine del sopportabile visivamente, caratterizzato da scene disturbanti che in passato erano state raramente raggiunte.
Se lo stupro di gruppo ha già in se delle scene per stomaci forti, la vendetta di Jennifer nel confronto dei suoi aguzzini raggiunge vette di orrore visivo raramente viste sullo schermo.

 

 

Dall’evirazione del capo della banda alla sodomizzazione con un fucile dello sceriffo è tutto un fiorire di immagini disturbanti, con sangue a fiumi è un’intensità della storia che raggiunge il parossismo proprio nella parte finale, quando la vendetta di Jennifer arriva a compimento.
Monroe crea, come del resto aveva fatto Zarchi, un’atmosfera emotivamente di vicinanza alla vittima, così che alla fine lo spettatore quasi la vede come una eroina nel compimento di una vendetta che trascende i pur ignobili atti subiti; uno degli espedienti più usati dai registi del genere, tesi a creare una sorta di  vicinanza complice tra vittima e spettatore, che alla fine giustifica anche l’orrore più estremo da parte proprio della vittima.
Film francamente disturbante che Monroe dirige con mano ferma, usando con abilità alcune varianti come la ripresa con tanto di video camera digitale vista attraverso l’occhio della tele camera, un pictures in picture che rende ancor più fredda e allucinata la vicenda, già di per se illividita da una fotografia fredda, quasi glaciale, colorata di un grigio che toglie qualsiasi incanto ad un bosco che incombe paurosamente, sinistro, sulla vicenda.
La storia non ha elementi particolari di novità ma ha una tensione notevole, grazie anche ad un ritmo visivo che è uno dei punti di forza della storia.
Molto brava la protagonista, Sarah Butler, che assomiglia fisicamente a quella Camille Keaton di Non violentate Jennifer e che appare poi gelida, implacabile nel momento della vendetta, che colpirà anche l’unico incolpevole della vicenda, quel Matthew che in realtà partecipa allo stupro più da vittima che da carnefice.
Film cupo, violento, va visto solo se si è di stomaco forte.

I Spit on Your Grave
Regia di Steven R. Monroe, con Sarah Butler, Lindberg, Daniel Franzese, Tracey Walter, Rodney Eastman. Genere Horror 2010, durata 107 minuti.

 

Sarah Butler: Jennifer
Jeff Branson: Johnny
Andrew Howard: Storch
Daniel Franzese: Stanley
Rodney Eastman: Andy
Chad Lindberg: Matthew
Tracey Walter: Earl
Mollie Milligan: Mrs. Storch
Saxon Sharbino: Chastity
Amber Dawn Landrum: Ragazza alla stazione di servizio

Regia Steven R. Monroe
Sceneggiatura Stuart Morse
Produttore Lisa Hansen e Paul Hertzberg
Produttore esecutivo Jeff Klein, Gary Needle, Alan Ostroff e Meir Zarchi
Casa di produzione CineTel Films, Anchor Bay Films e Family of the Year Productions
Fotografia Neil Lisk
Montaggio Daniel Duncan
Effetti speciali Regina Chapman, Alan Lashbrook e Kenneth Speed
Musiche Corey Allen Jackson
Scenografia Dins Danielsen
Costumi Bonnie Stauch
Trucco Jason Collins, Heather Henry, Elvis Jones e Chelsea Payne

Maggio 2, 2020 Posted by | Horror | , | 2 commenti

Un urlo dalle tenebre

Francoise Prevost,Sonia Viviani,Richard Conte e Patrizia Gori.
Con questi nomi, tutti professionisti dalla discreta caratura artistica, ti attendi un film di livello decoroso.
Anche se il titolo e il trailer, Un urlo nelle tenebre e la presentazione con immagini che ricordano molto da vicino (troppo) L’esorcista di Friedkin dovrebbero mettere sull’avviso.
Ancor di più dovrebbero farlo le due firme registiche, Franco Lo Cascio e Angelo Pannacciò: il primo noto principalmente per film dai titoli inequivocabili come La ninfomane, il trans, lo stallone o anche Le due bocche… di Marina e il secondo noto per aver diretto uno dei film più brutti della storia del cinema, quel Il sesso della strega che aveva fatto sghignazzare critica e pubblico nel 1973, anno della sua uscita.
Inutile dire che lo spettatore a digiuno di retroscena “artistici” di tal levatura, attratto dalla trama “satanica” e che ha da poco visto il capolavoro di Friedkin si siede in attesa di gustarsi emozioni forti.


Il film parte e dopo pochi minuti lo sventurato spettatore si chiede cosa diavolo stia succedendo e sopratutto cosa significhino i balzi temporali, i flash back, l’orgia iniziale con tanto di ostie consegnate ad un gruppo di svestitissime adepte di un misterioso rito e la breve sequenza che mostra donne evidentemente rinchiuse in un manicomio che si accapigliano per chissà che cosa.
Poi un barlume di storia sembra snodarsi all’improvviso, con la concomitante presenza di uno straccio di storia.
Apprendiamo così che Barbara e suo figlio Piero vivono in una casa solitaria e che il giovane, durante un’escursione, ha trovato uno strano medaglione e che da quel momento ha iniziato a comportarsi in maniera strana. Ha anche visto una splendida donna dai capelli rossi (rossa naturale, visto che anche le parti intime sono di quel colore (sic) ), l’ha fotografata ma della donna sulla pellicola non esiste più traccia.
Piero diventa strano, tanto da comportarsi sgradevolmente anche con la bella fidanzata, così ad un certo punto ecco rientrare dall’Africa dove vive come missionaria sua sorella Elena.


La quale incomincia a capire che suo fratello è preda di qualche strana malattia e di conseguenza chiama il dottor Ferri a visitare suo fratello; il dottore sottopone il giovane ad accurati esami senza però riscontrare problemi.
La situazione precipita quando Sherry, la fidanzata di Piero, muore sgozzata da una mano invisibile durante una festa e la signora Barbara cade dalle scale spezzandosi il collo per sfuggire al misterioso demone dai capelli rossi, che tenta un’improbabile violenza carnale sulla donna (sic)
Sarà con l’aiuto di un esorcista esperto chiamato appositamente dall’America latina che il demone verrà cacciato, ma a venir posseduta sarà proprio Suor Elena che per liberarsi dal demone si ucciderà.
Un urlo nelle tenebre ( o anche dalle tenebre) è un guazzabuglio incredibile, brutto e becero come pochi altri film della storia del cinema italiano.
Sconclusionato, con una trama che svacca ogni quarto d’ora in maniera labirintica tra flash back incomprensibili e riferimenti ad avvenimenti che solo lo sceneggiatore capisce appieno, il film ondeggia senza alcun senso logico alternando, di quando in quando, scene di orge o seduzioni improbabili del demone dai capelli rossi.Come quella che propone la relazione saffica tra il demone e una suora, che però resta incinta in maniera anche abbastanza grottesca, visto che il rapporto si verifica tra due donne (sic)

A nulla vale a questo punto la presenza degli attori citati all’inizio, perchè con una trama del genere lo sghignazzo e il riso sono ormai una costante della visione.
Nudi a volontà, scene saffiche e sopratutto l’imbarazzante volto di Jean-Claude Vernè che interpreta Piero sono la caratteristica peculiare estremamente negativa del film, talmente brutto e farraginoso da non poter nemmeno muovere al riso di scherno.

Un urlo dalle tenebre
Un film di Elo Pannacciò. Con Françoise Prévost, Richard Conte, Jean-Richard Verné, Sonia Viviani,Franco Garofalo, Patrizia Gori, Mimma Monticelli Horror, durata 93 min. – Italia 1975.

Richard Conte …il prete esorcista
Françoise Prévost … Barbara, madre di Piero
Patrizia Gori … Elena Forti
Jean-Claude Vernè … Piero Forti
Sonia Viviani … Sherry, la ragazza di Piero
Mimma Monticelli … Succubus
Franco Garofalo …I cerimoniere del Sabba
Filippo Perego …Dottor Ferri

Regia: Franco Lo Cascio, Angelo Pannacciò
Sceneggiatura:Giulio Albonico,Franco Brocani,Aldo Crudo ,Angelo Pannacciò
Produzione:Luigi Fedeli
Musiche:Giuliano Sorgini
Fotografia:Maurizio Centini,Franco Villa
Montaggio:Fernanda Papa
Design costumi:Elisabetta Lo Cascio

aprile 29, 2020 Posted by | Trashsettanta | , , , , , | 4 commenti

L’amore ai tempi del colera

Sul finire del 1800 a Cartagena, in Colombia, il giovane telegrafista Florentino si invaghisce perdutamente della bella Fermina, figlia di Lorenzo Daza, possidente ambizioso che sogna per la propria figlia un futuro da gran dama. Florentino inizia un’appassionato scambio epistolare con la ragazza che ricambia l’amore del giovane. Ma è un rapporto a distanza, affidato a scambi furtivi di missive, che Fermina affida alla sua nutrice. Lorenzo scopre la relazione platonica fra i due e decide di allontanare la figlia dalla città, per evitare ostacoli alle sue mire.
Arriva la guerra e con essa il colera, che miete migliaia di vittime tra la popolazione; la stessa Firmina si ammala e viene curata dal dottor Juvenal, che scopre che la ragazza non ha il colera ma una semplice gastroenterite.
L’uomo inizia una corte serrata che Firmina accetta, per la felicità di Lorenzo.
Inutilmente Florentino si strugge d’amore per la ragazza; continua a scriverle appassionate lettere d’amore che però non ricevono risposta.
Nel frattempo la mamma del giovane lo fa trasferire sui battelli della compagnia fluviale presso suo cognato, ma per Florentino il ricordo di Fermina è un’ossessione.


Passano gli anni e il giovane, che ha scoperto il sesso, si dedica con frenesia ad allacciare relazioni effimere con centinaia di donne, nessuna delle quali però sostituisce nel suo cuore l’amata Fermina.
Che dal canto suo vive una vita matrimoniale mondana, forse non completamente appagante ma agiata e completata dalla nascita di figli.
Passa mezzo secolo, Florentino e Firmina hanno vissuto le proprie vite senza più incrociare i loro destini; l’uomo ha continuato a collezionare amanti, una delle quali, Olimpia, una giovane sposata, per un attimo è sembrata in grado di
sostituire il ricordo di Fermina fino al giorno nel quale Olimpia viene uccisa dal marito che scopre la relazione della donna.
Per una banale caduta da un albero muore anche Juvenal e Florentino commette un’errore grave presentandosi il giorno del funerale a casa di Fermina per testimoniarle il suo immutato amore, ma Fermina, irata, lo caccia in malo modo.
Ma con costanza, continuando a scriverle delicate lettere d’amore, Florentino riesce a fare breccia nel cuore della donna,quando ormai i due hanno superato i settant’anni…


Dal romanzo L’amore ai tempi del colera di Gabriel Garcia Marquez, grande successo mondiale del 1985 dello scrittore colombiano, il regista Mike Newell trae un film abbastanza fedele al romanzo stesso.
Un’impresa, alla luce della particolare prosa di Marquez, più un poeta che romanziere, con un modo di scrivere sospeso tra reale e immaginario e che richiede uno sforzo immane per coniugare l’aspetto sognante degli scritti
con l’immagine.
Il film ripercorre il mezzo secolo di una storia d’amore unilaterale, che per il protagonista della storia si trasforma in un’ossessione quotidiana, tanto da tradursi in una incredibile conta dei giorni,”cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese
annotati scrupolosamente da Ferentino che ha anche tenuto una conta analitica delle donne con le quali ha avuto fugaci relazioni, che però non lo hanno mai distolto davvero dall’oggetto del suo amore assoluto, quella Fermina che dal canto suo ha metabolizzato
le parole del padre, “l’amore è soltanto un’illusione“, che l’hanno spinta a sposare il bel dottor Juvenal, con il quale ha avuto una vita tranquilla, agiata, il sogno di suo padre.


Un matrimonio vissuto tra alti e bassi, inizialmente senza una vera passione,testimoniato dalle parole di Juvenal, “nel matrimonio la cosa più importante non è la felicità, ma la stabilità…“, ma che con il tempo è diventato quieta accettazione, nonostante liti e pacificazioni, un tradimento del marito che spinge Fermina a vivere in campagna per tre anni, raggiunta poi da marito che in fondo ama davvero la moglie.
Una storia d’amore quindi, che attraversa decenni di profonda trasformazione, con l’incubo della guerra civile e del mortale colera che decima la popolazione, ma che nel film rimane abbastanza defilato, quasi fosse un corollario della storia.
La centralità della vicenda è affidata al personaggio di Ferentino, un uomo d’altri tempi, rappresentante di un”amor cortese” rinascimentale, nel quale l’amore è un valore assoluto e custodito per tutta la vita.
Un amore che sarà coronato dall’unione con Fermina nonostante l’età avanzata, potente segnale della forza dirompente di un sentimento che non conosce il passare del tempo o le barriere.


Sul finale del film questo assioma sarà testimoniato dalla lite fra Fermina e sua figlia, una Fermina che per la prima volta si rende conto di poter e dover scegliere il proprio futuro, dopo una vita vissuta nell’ombra ingombrante del padre prima, del marito poi.
L’amore non ha confini, non conosce l’età.
Newell sposa questa visione del romanzo di Marquez, rispettando quanto più è possibile lo spirito del romanzo.
Ne viene fuori un film stilisticamente ineccepibile,con una gran bella fotografia e ricreato dal punto di vista visivo con costumi e ambientazioni di quel periodo tumultuoso a tutte le latitudini del mondo che va dalla seconda metà dell’ottocento al primo ventennio del novecento.
Tutti gli attori impiegati lavorano egregiamente, con particolare menzione per Javier Bardem (Florentino) e per Giovanna Mezzogiorno (Fermina), con quest’ultima costretta a lunghe ore di posa per il trucco che la invecchia nel film.
Un’opera che può definirsi riuscita e della quale consiglio la visione.

L’amore ai tempi del colera

Un film di Mike Newell. Con Javier Bardem, Giovanna Mezzogiorno, Benjamin Bratt, Catalina Sandino Moreno, Hector Elizondo,Liev Schreiber, Fernanda Montenegro, Laura Harring, John Leguizamo, Gina Bernard Forbes, Marcela Mar, Juan Ángel, Liliana Gonzalez, Catalina Botero,
Miguel Angel Pazos Galindo, Maria Cecilia Herrera, Luis Fernando Hoyos, Carlos Duplat, Francisco Raul Linero, Unax Ugalde Titolo originale Love in the Time of Cholera. Drammatico, durata 138 min. – USA 2007. – 01 Distribution

Javier Bardem: Florentino Ariza
Giovanna Mezzogiorno: Fermina Daza
Benjamin Bratt: Dr. Juvenal Urbino
John Leguizamo: Lorenzo Daza
Catalina Sandino Moreno: Hildebranda Sanchez
Fernanda Montenegro: Tránsito Ariza
Héctor Elizondo: Don Leo
Liev Schreiber: Lotario Thugut
Ana Claudia Talancón: Olimpia Zuleta
Unax Ugalde: Florentino Ariza da giovane
Angie Cepeda: vedova Nazareth
Laura Harring: Sara Noriega
Juan Ángel: Marco Aurelio
Liliana González: moglie di Marco Aurelio
Salvatore Basile: sindaco

Roberto Pedicini: Florentino Ariza
Fabio Boccanera: Dr. Juvenal Urbino
Francesco Pannofino: Lorenzo Daza
Ilaria Stagni: Hildebranda Sanchez
Marzia Ubaldi: Tránsito Ariza
Franco Mannella: Don Leo
Domitilla D’Amico: Olimpia Zuleta
Francesca Fiorentini: vedova Nazareth
Francesca Guadagno: Sara Noriega

Regia Mike Newell
Soggetto Gabriel García Márquez
Sceneggiatura Ronald Harwood
Produttore Scott Steindorff
Casa di produzione New Line Cinema, Stone Village Pictures
Distribuzione in italiano 01 Distribution
Fotografia Affonso Beato
Montaggio Mick Audsley
Musiche Antonio Pinto, Shakira
Scenografia Wolf Kroeger

Era inevitabile: l’odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati. Il dottor Juvenal Urbino lo sentì non appena entrato nella casa ancora in penombra, dove si era recato d’urgenza a occuparsi di un caso che per lui aveva smesso di essere urgente già da molti anni. Il rifugiato antillano Jeremiah de Saint-Amour, invalido di guerra, fotografo di bambini e suo avversario di scacchi più compassionevole, si era messo in salvo dai tormenti della memoria con un suffumigio di cianuro d’oro.
Era ancora troppo giovane per sapere che la memoria del cuore elimina i brutti ricordi e magnifica quelli belli, e che grazie a tale artificio riusciamo a tollerare il passato.
Ma era lì. Voleva trovare la verità, e la cercava con un’ansia appena paragonabile al terribile timore di trovarla, sospinta da un vento incontrollabile più imperioso della sua alterigia congenita, più imperioso persino della sua dignità: un supplizio affascinante.

È la vita, non la morte, a non avere confini… (Florentino )
Non c’è nulla che ti dia gloria come morire per amore. (Florentino )
Io sono una nullità, non guarirò mai fino alla fine dei miei giorni; la fiamma dell’amore mi ha colpito e brucio senza rimedio; lei è una spina piantata dentro di me è parte di me ovunque io vada e ovunque lei si trovi. (Florentino )
L’unico cruccio che ho morendo è che non muoio per amore. (Padre di Florentino )
Io non sono ricco, sono solo un povero con i soldi…(Florentino)
Nel matrimonio la cosa più importante non è la felicità, ma la stabilità…(Juvenal)
Pensa all’amore come ad uno stato di grazia, non come ad uno strumento per raggiungere un fine, ma come l’alfa e l’omega, in se stesso contenuto…(Florentino)
Fermina, volevo dirti che io ho aspettato questo momento 51 anni, 9 mesi e 4 giorni. Io ti ho amata tutto questo tempo, dal primo istante in cui ti ho vista fino a ora.(Florentino)
Va bene, io vi sposerò se voi… non mi farete mangiare le melanzane! (Fermina)

aprile 25, 2020 Posted by | Drammatico | , , | 1 commento

Ritratto della giovane in fiamme

Bretagna,Francia,1770

Alla pittrice Marianne è affidato un incarico delicato, ritrarre la giovane Heloise in un dipinto destinato al futuro marito della donna.
Un matrimonio concordato tra la contessa, madre di Heloise e un gentiluomo milanese, dopo che la promessa sposa di quest’ultimo, la sorella
di Heloise è morta improvvisamente costringendo la contessa a richiamare Heloise dal convento in cui la giovane viveva.
Siamo nella Francia pre rivoluzionaria, le convenzioni sociali della classe nobile sono predominanti e i rapporti fra genitori e figli è improntato al massimo rispetto dei ruoli; i genitori dispongono del futuro dei figli destinati a matrimoni di convenienza che consolidino i patrimoni familiari. Per questo la contessa decide di concedere in moglie al gentiluomo la figlia più piccola.
Il gentiluomo, futuro marito di Heloise ha richiesto espressamente un ritratto della futura sposa e la contessa ha chiamato nella sua villa un pittore, che però dopo aver ritratto il vestito della futura sposa ha dovuto rinunciare all’incarico,lasciandolo incompiuto il dipinto per il rifiuto assoluto di Heloise di posare per lui.


Marianne è stata assunta con l’incarico di dipingere la ragazza senza farla posare e di entrare in confidenza con lei, in modo da guadagnarne la fiducia e memorizzare il suo volto, che Marianne dovrà dipingere la sera.
Tra Heloise e Marianna nasce un rapporto sempre più profondo, tanto da spingere la pittrice a rivelare alla futura sposa il suo reale ruolo; le mostra il dipinto realizzato che però Heloise trova troppo convenzionale e senz’anima.
Marianne ne cancella il volto e la contessa, delusa, si appresta a licenziarla quando all’improvviso Heloise decide di posare per lei; la partenza della contessa per qualche giorno lascia le due giovani donne da sole e tra loro l’amicizia evolve in qualcosa di più profondo.
Ma arriva il momento in cui devono seguire i propri destini.
Delicato come il dipinto di Heloise, con una atmosfera rarefatta fatta di sguardi e parole (poche) essenziali, Ritratto della giovane in fiamme, diretto da Céline Sciamma nel 2019 si muove in un periodo storico, la Francia pre rivoluzionaria, ancora legata a schemi che affondano le radici in un ordine sociale rigorosamente diviso in classi, in cui la donna ha un ruolo subalterno ed è costretta ad accettare


supinamente le decisioni della famiglia, tesa a mantenere il proprio ruolo attraverso matrimoni di convenienza e legami dettati principalmente dall’interesse.
In questo scenario si innesta la storia di due donne profondamente diverse quanto possono esserlo una pittrice, Marianna, che già nella scelta della professione può essere definita una rivoluzionaria e che, come racconterà a Heloise, ha già conosciuto l’amore anche se non è in grado
di descriverlo con parole appropriate e Heloise, una ragazza senza alcuna esperienza di vita, che ha vissuto in convento e che si ritrova a dover accettare un matrimonio non voluto con un uomo che non conosce.
Tra i due universi in apparenza non ci sarebbe alcun punto di contatto, ma tra Marianne e Heloise c’è immediatamente qualcosa che sembra creare un ponte volto a congiungere gli universi paralleli.
Il candore di Heloise, la sua inesperienza nelle cose della vita diventano per Marianne qualcosa che la spinge a solidarizzare, crea immediata empatia.E Heloise ha un cosi disperato bisogno di dialogo, dopo anni di vita da reclusa che trova nella pittrice una sponda ideale.
Tra le due donne nasce un’amicizia intensa, poi l’amore.


Un amore assolutamente vietato da una società fondamentalmente bigotta, maschilista all’eccesso.
A parte il legame amoroso che viene a crearsi tra Heloise e Marianne, conta lo scambio reciproco di pensieri, di sentire.
Un film tutto la femminile, senza nessun protagonista maschile, con due figure di contorno come la contessa, espressione vivente dell’ancient regime e Sophie, la giovane domestica incinta.
Delicato e dall’aria quasi sognante, il film si avvale di una prestazione maiuscola delle due protagoniste, Noemie Merlant (Marianne) e Adele Haenel (Heloise); intense ed espressive le due attrici rendono ancor più credibili i loro personaggi. Molto bello il commento musicale, affascinante la location.
Un film sicuramente valido, consigliato.

Ritratto della giovane in fiamme

Un film di Céline Sciamma, con Noémie Merlant, Adèle Haenel, Luàna Bajrami, Valeria Golino, Cécile Morel. Titolo originale: Portrait de la jeune fille en feu. Titolo internazionale: Portrait of a Lady On Fire. Genere Drammatico, – Francia, 2019, durata 120 minuti, distribuito da Lucky Red.

Noémie Merlant: Marianne
Adèle Haenel: Héloïse
Valeria Golino: contessa
Luàna Bajrami: Sophie
Armande Boulanger: studentessa

Regia Céline Sciamma
Sceneggiatura Céline Sciamma
Produttore Véronique Cayla, Bénédicte Couvreur
Casa di produzione Arte France Cinéma, Hold Up Films, Lilies Films
Distribuzione in italiano Lucky Red
Fotografia Claire Mathon
Montaggio Julien Lacheray
Musiche Jean-Baptiste de Laubier, Arthur Simonini
Scenografia Thomas Grézaud
Costumi Dorothée Guiraud
Trucco Aurélie Cerveau, Marthe Faucouit

aprile 23, 2020 Posted by | Drammatico | , , , | 2 commenti