Un urlo dalle tenebre
Francoise Prevost,Sonia Viviani,Richard Conte e Patrizia Gori.
Con questi nomi, tutti professionisti dalla discreta caratura artistica, ti attendi un film di livello decoroso.
Anche se il titolo e il trailer, Un urlo nelle tenebre e la presentazione con immagini che ricordano molto da vicino (troppo) L’esorcista di Friedkin dovrebbero mettere sull’avviso.
Ancor di più dovrebbero farlo le due firme registiche, Franco Lo Cascio e Angelo Pannacciò: il primo noto principalmente per film dai titoli inequivocabili come La ninfomane, il trans, lo stallone o anche Le due bocche… di Marina e il secondo noto per aver diretto uno dei film più brutti della storia del cinema, quel Il sesso della strega che aveva fatto sghignazzare critica e pubblico nel 1973, anno della sua uscita.
Inutile dire che lo spettatore a digiuno di retroscena “artistici” di tal levatura, attratto dalla trama “satanica” e che ha da poco visto il capolavoro di Friedkin si siede in attesa di gustarsi emozioni forti.
Il film parte e dopo pochi minuti lo sventurato spettatore si chiede cosa diavolo stia succedendo e sopratutto cosa significhino i balzi temporali, i flash back, l’orgia iniziale con tanto di ostie consegnate ad un gruppo di svestitissime adepte di un misterioso rito e la breve sequenza che mostra donne evidentemente rinchiuse in un manicomio che si accapigliano per chissà che cosa.
Poi un barlume di storia sembra snodarsi all’improvviso, con la concomitante presenza di uno straccio di storia.
Apprendiamo così che Barbara e suo figlio Piero vivono in una casa solitaria e che il giovane, durante un’escursione, ha trovato uno strano medaglione e che da quel momento ha iniziato a comportarsi in maniera strana. Ha anche visto una splendida donna dai capelli rossi (rossa naturale, visto che anche le parti intime sono di quel colore (sic) ), l’ha fotografata ma della donna sulla pellicola non esiste più traccia.
Piero diventa strano, tanto da comportarsi sgradevolmente anche con la bella fidanzata, così ad un certo punto ecco rientrare dall’Africa dove vive come missionaria sua sorella Elena.
La quale incomincia a capire che suo fratello è preda di qualche strana malattia e di conseguenza chiama il dottor Ferri a visitare suo fratello; il dottore sottopone il giovane ad accurati esami senza però riscontrare problemi.
La situazione precipita quando Sherry, la fidanzata di Piero, muore sgozzata da una mano invisibile durante una festa e la signora Barbara cade dalle scale spezzandosi il collo per sfuggire al misterioso demone dai capelli rossi, che tenta un’improbabile violenza carnale sulla donna (sic)
Sarà con l’aiuto di un esorcista esperto chiamato appositamente dall’America latina che il demone verrà cacciato, ma a venir posseduta sarà proprio Suor Elena che per liberarsi dal demone si ucciderà.
Un urlo nelle tenebre ( o anche dalle tenebre) è un guazzabuglio incredibile, brutto e becero come pochi altri film della storia del cinema italiano.
Sconclusionato, con una trama che svacca ogni quarto d’ora in maniera labirintica tra flash back incomprensibili e riferimenti ad avvenimenti che solo lo sceneggiatore capisce appieno, il film ondeggia senza alcun senso logico alternando, di quando in quando, scene di orge o seduzioni improbabili del demone dai capelli rossi.Come quella che propone la relazione saffica tra il demone e una suora, che però resta incinta in maniera anche abbastanza grottesca, visto che il rapporto si verifica tra due donne (sic)
A nulla vale a questo punto la presenza degli attori citati all’inizio, perchè con una trama del genere lo sghignazzo e il riso sono ormai una costante della visione.
Nudi a volontà, scene saffiche e sopratutto l’imbarazzante volto di Jean-Claude Vernè che interpreta Piero sono la caratteristica peculiare estremamente negativa del film, talmente brutto e farraginoso da non poter nemmeno muovere al riso di scherno.
Un urlo dalle tenebre
Un film di Elo Pannacciò. Con Françoise Prévost, Richard Conte, Jean-Richard Verné, Sonia Viviani,Franco Garofalo, Patrizia Gori, Mimma Monticelli Horror, durata 93 min. – Italia 1975.
Richard Conte …il prete esorcista
Françoise Prévost … Barbara, madre di Piero
Patrizia Gori … Elena Forti
Jean-Claude Vernè … Piero Forti
Sonia Viviani … Sherry, la ragazza di Piero
Mimma Monticelli … Succubus
Franco Garofalo …I cerimoniere del Sabba
Filippo Perego …Dottor Ferri
Regia: Franco Lo Cascio, Angelo Pannacciò
Sceneggiatura:Giulio Albonico,Franco Brocani,Aldo Crudo ,Angelo Pannacciò
Produzione:Luigi Fedeli
Musiche:Giuliano Sorgini
Fotografia:Maurizio Centini,Franco Villa
Montaggio:Fernanda Papa
Design costumi:Elisabetta Lo Cascio
Ritratto della giovane in fiamme
Bretagna,Francia,1770
Alla pittrice Marianne è affidato un incarico delicato, ritrarre la giovane Heloise in un dipinto destinato al futuro marito della donna.
Un matrimonio concordato tra la contessa, madre di Heloise e un gentiluomo milanese, dopo che la promessa sposa di quest’ultimo, la sorella
di Heloise è morta improvvisamente costringendo la contessa a richiamare Heloise dal convento in cui la giovane viveva.
Siamo nella Francia pre rivoluzionaria, le convenzioni sociali della classe nobile sono predominanti e i rapporti fra genitori e figli è improntato al massimo rispetto dei ruoli; i genitori dispongono del futuro dei figli destinati a matrimoni di convenienza che consolidino i patrimoni familiari. Per questo la contessa decide di concedere in moglie al gentiluomo la figlia più piccola.
Il gentiluomo, futuro marito di Heloise ha richiesto espressamente un ritratto della futura sposa e la contessa ha chiamato nella sua villa un pittore, che però dopo aver ritratto il vestito della futura sposa ha dovuto rinunciare all’incarico,lasciandolo incompiuto il dipinto per il rifiuto assoluto di Heloise di posare per lui.
Marianne è stata assunta con l’incarico di dipingere la ragazza senza farla posare e di entrare in confidenza con lei, in modo da guadagnarne la fiducia e memorizzare il suo volto, che Marianne dovrà dipingere la sera.
Tra Heloise e Marianna nasce un rapporto sempre più profondo, tanto da spingere la pittrice a rivelare alla futura sposa il suo reale ruolo; le mostra il dipinto realizzato che però Heloise trova troppo convenzionale e senz’anima.
Marianne ne cancella il volto e la contessa, delusa, si appresta a licenziarla quando all’improvviso Heloise decide di posare per lei; la partenza della contessa per qualche giorno lascia le due giovani donne da sole e tra loro l’amicizia evolve in qualcosa di più profondo.
Ma arriva il momento in cui devono seguire i propri destini.
Delicato come il dipinto di Heloise, con una atmosfera rarefatta fatta di sguardi e parole (poche) essenziali, Ritratto della giovane in fiamme, diretto da Céline Sciamma nel 2019 si muove in un periodo storico, la Francia pre rivoluzionaria, ancora legata a schemi che affondano le radici in un ordine sociale rigorosamente diviso in classi, in cui la donna ha un ruolo subalterno ed è costretta ad accettare
supinamente le decisioni della famiglia, tesa a mantenere il proprio ruolo attraverso matrimoni di convenienza e legami dettati principalmente dall’interesse.
In questo scenario si innesta la storia di due donne profondamente diverse quanto possono esserlo una pittrice, Marianna, che già nella scelta della professione può essere definita una rivoluzionaria e che, come racconterà a Heloise, ha già conosciuto l’amore anche se non è in grado
di descriverlo con parole appropriate e Heloise, una ragazza senza alcuna esperienza di vita, che ha vissuto in convento e che si ritrova a dover accettare un matrimonio non voluto con un uomo che non conosce.
Tra i due universi in apparenza non ci sarebbe alcun punto di contatto, ma tra Marianne e Heloise c’è immediatamente qualcosa che sembra creare un ponte volto a congiungere gli universi paralleli.
Il candore di Heloise, la sua inesperienza nelle cose della vita diventano per Marianne qualcosa che la spinge a solidarizzare, crea immediata empatia.E Heloise ha un cosi disperato bisogno di dialogo, dopo anni di vita da reclusa che trova nella pittrice una sponda ideale.
Tra le due donne nasce un’amicizia intensa, poi l’amore.
Un amore assolutamente vietato da una società fondamentalmente bigotta, maschilista all’eccesso.
A parte il legame amoroso che viene a crearsi tra Heloise e Marianne, conta lo scambio reciproco di pensieri, di sentire.
Un film tutto la femminile, senza nessun protagonista maschile, con due figure di contorno come la contessa, espressione vivente dell’ancient regime e Sophie, la giovane domestica incinta.
Delicato e dall’aria quasi sognante, il film si avvale di una prestazione maiuscola delle due protagoniste, Noemie Merlant (Marianne) e Adele Haenel (Heloise); intense ed espressive le due attrici rendono ancor più credibili i loro personaggi. Molto bello il commento musicale, affascinante la location.
Un film sicuramente valido, consigliato.
Ritratto della giovane in fiamme
Un film di Céline Sciamma, con Noémie Merlant, Adèle Haenel, Luàna Bajrami, Valeria Golino, Cécile Morel. Titolo originale: Portrait de la jeune fille en feu. Titolo internazionale: Portrait of a Lady On Fire. Genere Drammatico, – Francia, 2019, durata 120 minuti, distribuito da Lucky Red.
Noémie Merlant: Marianne
Adèle Haenel: Héloïse
Valeria Golino: contessa
Luàna Bajrami: Sophie
Armande Boulanger: studentessa
Regia Céline Sciamma
Sceneggiatura Céline Sciamma
Produttore Véronique Cayla, Bénédicte Couvreur
Casa di produzione Arte France Cinéma, Hold Up Films, Lilies Films
Distribuzione in italiano Lucky Red
Fotografia Claire Mathon
Montaggio Julien Lacheray
Musiche Jean-Baptiste de Laubier, Arthur Simonini
Scenografia Thomas Grézaud
Costumi Dorothée Guiraud
Trucco Aurélie Cerveau, Marthe Faucouit
Al di là delle nuvole
Un regista in cerca di ispirazione “immagina” la costruzione di un film seguendo quattro storie ambientate in città diverse e popolate da personaggi
sfuggenti.
Nel primo episodio, ambientato a Ferrara, un giovane tecnico di idrovore, Silvano, conosce Carmen, una bella ragazza che fa l’insegnante e che dimora in una pensione nella quale, dietro suggerimento della stessa, Silvano prende alloggio. C’è immediata attrazione tra i due, ma Silvano non concretizza l’occasione di manifestare il sentimento appena nato a Carmen.
La rivede tre anni dopo e questa volta la segue a casa. Ma anche se innamorato della donna, nel momento in cui è nudo sul letto con lei, va via di nuovo.
La scena cambia e questa volta il regista è a Portofino.
Qui segue una giovane donna in una boutique e mentre è seduto in piazza la ragazza lo raggiunge e gli racconta immediatamente di aver ucciso suo padre con 12 coltellate,senza addurre motivi al gesto.
Il regista e la ragazza vanno a casa di lei, dove hanno un rapporto sessuale, subito dopo il quale il regista sparisce.
Ricompare a Parigi, immaginando la storia di una ragazza, Olga che conosce Robert, un americano sposato con Patrizia; tra i due nasce una relazione che però Patrizia sopporta per un paio d’anni e poi va via di casa.
Visitando un appartamento conosce Carlo, un uomo da poco abbandonato dalla moglie; forse tra i due nascerà qualcosa di profondo.
L’ultima storia immaginata dal regista si svolge ad Aix en Provence; un giovane segue una ragazza e cerca in tutti i modi di stabilire un rapporto con lei ma lei l’indomani dovrà prendere i voti e la loro fugace conoscenza si conclude
in una chiesa, dove il giovane si addormenta.
Diretto nel 1995 da un Michelangelo Antonioni ormai profondamente minato nel fisico dall’ictus che lo aveva colto dieci anni prima, Al di là delle nuvole è un film nel quale il grande cineasta si avvale della preziosa collaborazione
di Wim Wenders, suo grande ammiratore che coordina il film seguendo le linee guida del maestro.
Elaborato su una struttura ricavata da quattro racconti tratti da Quel bowling sul Tevere, una raccolta di 35 racconti più o meno brevi, Al di là delle nuvole è un film sostanzialmente ermetico perchè privo di un filo di collegamento fra i racconti stessi;
immagini e dialoghi frammentati si inseriscono in racconti per immagini, ambientati in posti diversi.
Alla Ferrara nebbiosa, quasi incantata del primo episodio, forse il più immediato e decifrabile nel quale assistiamo alla sublimazione dell’amore e del desiderio, che resta inappagato forse perchè irraggiungibile nelle sue vette, segue un’ambientazione brumosa e ventosa, quella di una Portofino solitaria nella quale si svolge la storia breve di una donna con un terribile segreto, che però confessa immediatamente
al regista, senza che il breve contatto fra i due abbia un seguito, quasi un trionfo dell’incomunicabilità in cui il rapporto sessuale che i due protagonisti hanno diventi l’unico momento di contatto possibile.
Il terzo episodio è quello che mostra la maggior linearità; ambientato a Parigi ha il momento più felice nell’incontro del bistrot, durante il quale Olga racconta un aneddoto enigmatico ad un Robert immediatamente affascinato dalla ragazza, tanto da divenirne amante e dimenticare sua moglie, che lo attende per un po e poi va via, ricostruendo (forse) la sua vita con un’anima errante come la sua.
Anche l’episodio girato ad Aix en Provence diventa estremamente ermetico nell’impossibilità da parte dei due protagonisti nello stabilire un rapporto, visto che lei sembra essere destinata ad una vita religiosa e lui,
che la segue in chiesa, non riesce a fare altro che a dormire nel momento in cui avrebbe avuto modo di stabilire un ponte con la donna.
Al di là delle nuvole è un titolo che forse simboleggia l’azzurro profondo dei titoli di testa, che a loro volta introducono la sequenza del volo del regista che sta esattamente nel mezzo, fra nuvole e cielo blu; una supposizione la mia, come del resto
non possono essere altro che supposizioni quelle ricavabili dai discorsi rarefatti del film, dal simbolismo delle scene, inclusa la sequenza di raccordo dei due pittori in un campo, forse la scelta meno comprensibile di tutte; contrasto netto anche tra la presenza dei corpi nudi delle splendide protagoniste con la malinconica atmosfera che serpeggia per tutto il film.
Film ostico, a tratti freddo, a tratti troppo aulico nei dialoghi.
Eppure percorso da un’aria talmente rarefatta da risultare affascinante, così come molto belle sono le parti sonore del film, affidate a Lucio Dalla e agli U2 con Van Morrison, autori del brano finale del film.
Compare anche Bach con le sue sonate in un film davvero troppo complesso nella sua struttura portante, quasi un ensemble di emozioni frammentate portate sullo schermo senza una linea guida precisa, ma seguendo l’emozione del momento.
Il cast è di assoluto livello: ci sono John Malkovich (il regista), Kim Rossi Stuart e e Inés Sastre (primo episodio), Sophie Marceau (secondo episodio) Fanny Ardant, Jean Reno e Chiara Caselli (terzo episodio) ,Irène Jacob (quarto episodio) con due grandissimo come Marcello Mastroianni e Jeanne Moreau nell’episodio di raccordo e tutti si muovono a tratti quasi spettrali in un film di davvero difficile interpretazione. Molto bella la fotografia.
Al di là delle nuvole
Un film di Michelangelo Antonioni,Wim Wenders. Con John Malkovich, Fanny Ardant, Kim Rossi Stuart, Jean Reno, Sophie Marceau, Irène Jacob, Veronica Lazar, Sophie Semin, Peter Weller, Chiara Caselli, Vincent Perez, Ines Sastre, Marcello Mastroianni, Jeanne Moreau, Enrica Antonioni, Carine Angeli, Alessandra Bonarrota, Laurence Calabrese, Tracey Caligiuri, Hervé Décalion, J. Emmanuel Gartmann, Sherman Green, Suzy Lorraine, Cesare Luciani, Muriel Mottais, Bertrand Peillard, Sara Ricci, Sabry Tchal Gadjieff, Giulia Urso, Frere Jean-Philippe Revel,
Frere Daniel Bourgeois Drammatico, durata 110 min. – Italia 1995. – C.G.D – Cecchi Gori Distribuzione
John Malkovich: Il regista
Fanny Ardant: Patrizia
Chiara Caselli: Olga
Irène Jacob: La futura suora
Sophie Marceau: La ragazza assassina
Vincent Pérez: Niccolò
Jean Reno: Carlo
Kim Rossi Stuart: Silvano
Inés Sastre: Carmen
Peter Weller: Il marito di Patricia
Marcello Mastroianni: Il pittore
Jeanne Moreau: L’amica del pittore
Enrica Antonioni: Manager della boutique
Veronica Lazar: Liza
Sara Ricci: amica di Carmen
Regia Michelangelo Antonioni, Wim Wenders
Soggetto Michelangelo Antonioni, Wim Wenders, Tonino Guerra
Sceneggiatura Michelangelo Antonioni, Wim Wenders, Tonino Guerra
Produttore Philippe Carcassone, Vittorio Cecchi Gori
Fotografia Alfio Contini (segmento di Antonioni); Robby Müller (segmento di Wenders)
Montaggio Michelangelo Antonioni, Peter Przygodda, Lucian Segura
Musiche U2, Van Morrison, Laurent Petitgand, Bach, Lucio Dalla, Robert Sidoli, Angelo Talocci (music director)
Scenografia Thierry Flamand
Costumi Esther Walz
Art director Thierry Flamand
Il sarto di Panama
Harry Pendell, sarto di origini inglesi che lavora a Panama ha un passato oscuro, che ha tenuto nascosto anche a sua moglie, Louisa.
Ma il suo segreto è a conoscenza di Andrew Osnard, agente del servizio segreto inglese,l’MI6, trasferito a Panama per aver sedotto la moglie di un superiore.
Per rientrare nelle grazie dei suoi capi, Andrew non esita ad agganciare e “ricattare” Harry, che tra l’altro ha un disperato bisogno di soldi. Poiche la moglie del sarto è anche una stretta collaboratrice di un importante funzionario per la gestione del canale di Panama, Harry cerca di avere notizie sulla ventilata ipotesi di nazionalizzazione del canale.
Harry a questo punto si inventa un fantomatico canale di resistenza al governo, “l’opposizione silenziosa” che a suo dire sarebbe capitanato da Mikie Abraxas, un suo vecchio amico che un tempo era stato un’oppositore del regime. Andrew finge di credere ad Harry e inizia a dargli dei soldi, ma prepara un colpo clamoroso ai danni del servizio segreto e degli americani…
Il sarto di Panama, diretto da John Boorman nel 2001 è un film che mette assieme elementi tipici del thriller con altri della spy story, che però Boorman condisce con un’ironia che affiora di continuo nella storia;
il regista inglese sembra divertirsi nel prendere in giro le istituzioni inglesi, usando per i suoi personaggi i più puri clichè con i quali vengono identificati gli inglesi nel resto del mondo.
Attempati, seriosi, flemmatici, tutti i personaggi sembrano di una ingenuità talmente disarmante da apparire le caricature di se stessi; ovviamente fa eccezione in parte Harry, uomo un tantino vanaglorioso e megalomane, che per eccesso di ambizioni finisce per cacciarsi in un ginepraio dal quale riuscirà a venir fuori solo grazie ai consigli della intelligentissima moglie e di un pizzico di buona sorte.
L’altra eccezione è costituita da Andrew, donnaiolo impenitente che per questo suo “vizietto” è finito relegato a Panama, da dove però, grazie alla scaltrezza e allo spregiudicato modo di agire, fuggirà realizzando in pieno il suo piano, aiutato in questo da un altro presunto ingenuo che tale non è affatto, l’ambasciatore inglese, che avrà anche lui una parte di bottino, frutto di un’intelligente manovra di raggiro di Andrew.
Il film gioca tutte le sue carte sulla ottima sceneggiatura di Andrew Davis elaborata e ricavata dal romanzo omonimo di John Le Carré,che ha collaborato al film; a parte l’ironia a piene mani sparsa ovunque,con stilettate non solo ai servizi inglesi ma anche a quelli americani, il film si segnala per l’ottima verve dei protagonisti, tutti in forma fra i quali vanno citati
Geoffrey Rush nei panni di Harry Pendel, che rischierà davvero di perdere tutto quello faticosamente costruito, un lavoro di successo, una bella famiglia per ambizioni smodate,poi Pierce Brosnan, che interpreta Andrew “Andy” Osnard, donnaiolo
che medita la rivincita sui suoi capi e che l’avrà, con un piano diabolico che befferà sia il governo americano che l’intelligence inglese. E infine Jamie Lee Curtis (Louisa Pendel), cervello pensante della famiglia, donna innamorata del marito e che tra le altre cose
resisterà anche ai tentativi di seduzione di Andrew, riuscendo a salvare il marito da una situazione pericolosa.
Un film girato non certo con ritmi altissimi e sopratutto privo di una delle caratteristiche delle spy story, l’azione; il film cerca più di inquadrare i personaggi nelle loro dinamiche di vita privilegiandole in loco della sparatoria, dell’intrigo e della violenza.
L’eclettico Boorman,passato dal fantascientifico Zardoz all’horror soprannaturale L’esorcista II l’eretico passando per lo splendido mitologico Excalibur, al proto ecologista La foresta di smeraldo affronta con Il sarto di Panama l’ennesima variante stilistica,con un film
godibile e ben diretto.Una pellicola della quale vi consiglio la visione.
Il sarto di Panama
Un film di John Boorman. Con Jamie Lee Curtis, Pierce Brosnan, Geoffrey Rush, Harold Pinter, Catherine McCormack. Titolo originale The Tailor of Panama. Spionaggio, durata 111 min. – Irlanda, USA 2001.
Pierce Brosnan: Andrew “Andy” Osnard
Geoffrey Rush: Harry Pendel
Jamie Lee Curtis: Louisa Pendel
Leonor Varela: Marta
Brendan Gleeson: Mickie Abraxas
Catherine McCormack: Francesca Deane
Paul Birchard: Joe
David Hayman: Luxmore
Jonathan Hyde: Cavendish
Daniel Radcliffe: Mark Pendel
Jon Polito: Ramon
Harold Pinter: zio Benny
Luca Ward: Andy Osnard
Giorgio Lopez: Harry Pendel
Anna Rita Pasanisi: Louisa Pendel
Giovanna Martinuzzi: Marta
Francesco Pannofino: Mickie Abraxas
Michela Alborghetti: Francesca Deane
Dario Penne: Luxmore
Alessio Puccio: Mark Pendel
Saverio Moriones: Ramon
Sergio Graziani: zio Benny
Regia John Boorman
Soggetto dall’omonimo romanzo di John le Carré
Sceneggiatura Andrew Davies, John le Carré, John Boorman
Casa di produzione Columbia Pictures, Merlin Films
Fotografia Philippe Rousselot
Montaggio Ron Davis
Musiche Shaun Davey
Scenografia Derek Wallace, Irene O’Brien, Lucinda Thompson, Laura Bowe
Andavamo al cinema-Parte 58
Uno dei settori più colpiti dall’emergenza Covid 19 è quello del cinema e in particolare il luogo deputato alle proiezioni, la sala cinematografica. Già colpita duramente da una crisi devastante che negli ultimi 20 anni ha ridotto ad un decimo la presenza delle stesse sul territorio, oggi la sala cinematografica rischia l’estinzione. Ovviamente non parlo delle multi sale, che in qualche modo avranno occasione per ripartire, anche se chissà quando e disciplinata in un modo oggi francamente non prevedibile, ma parlo della piccola sala, condannata alla chiusura per l’impossibilità oggettiva di poter rispettare il distanziamento sociale. E questo con ogni probabilità segnerà la fine di un’epoca, della quale ci resterà solo una serie di immagini sbiadite dal tempo, come quelle che vi propongo da ormai 58 puntate, fantasmi di un’epoca gloriosa che adesso agonizza in attesa della fine.
Sala cinema Alla Maddalena,Genova
Arena estiva Lodi (Milano)
Cinema Teatro Arena Trianon, Palermo
Cinema Astra, Cesena
Cinema Augustus, Cianciana (Agrigento)
Cinema Ciclamino, Vico Equense (Napoli)
Cinema Doria, località non identificata
Cinema Elea,Marina di Ascea (Salerno)
Cinema Fiammetta, Casalecchio (Bologna)
Cinema Filarmonici,Ascoli Piceno
Cinema Italia, Lavis (Trento)
Cinema Mignon, Roma
Cinema Moderno, Piacenza
Sala Cinema Convitto nazionale, Assisi
Sala Cinema Splendor, Bari
Cinema Teatro Odeon, Ortona
Cinema Palermo, Torino
Cinema Passo dell’Aprica
Cinema Puccini, Roma
Cinema di Sannicandro, Bari
Sala Cinema Odeon, Vicenza
Cinema S. Agostino, Rimini
Cinema Splendor, Lampedusa
Cinema Ladispoli (Roma)
Cinema Teatro Sociale Melegnano (Milano)
Cinema Vittoria Località non identificata
Sala Cinema Castelnuovo Magra (La Spezia)
Sala Cinema Teatro Filipin, Paderno del Grappa (Treviso)
Sala Cine Teatro Mastrogiacomo, Gravina (Bari)
Cinema Siderno (Reggio Calabria)
Complicità e sospetti
Will è un architetto, compagno della svedese Liv, che ha una figlia frutto del primo matrimonio, Bea, una ragazzina tredicenne autistica
con problemi comportamentali e di alimentazione, interessata solo alla ginnastica artistica, che segue ossessivamente,
Con il suo amico e collega Sandy, Will trasferisce nella zona di King Cross il suo studio ,dove però viene preso di mira da un misterioso ladro che sistematicamente lo deruba delle apparecchiature elettroniche, computer e personal; dopo l’ennesimo furto, Will e Sandy decidono di stazionare la notte fuori dallo studio fino a quando Will scopre l’autore dei furti.
Si tratta di un giovane bosniaco, figlio di una sarta profuga di guerra, Amira; con la scusa di farsi riparare una giacca Will va a casa della donna, ma il fascino di Amira lo coinvolgerà in una storia d’amore che metterà ancora più in crisi la sua relazione con Liv…
Complicità e sospetti,diretto nel 2008 da Anthony Minghella gioca tutte le sue carte da un lato sull’analisi delle relazioni amorose tra i protagonisti del film e dall’altra su un’analisi descrittiva della vita della Londra cosmopolita ma al tempo stesso estraneante, quasi indifferente proprio alla multi etnicità che necessariamente ospita.
Tutto ruota al perno principale della vicenda, Will, un architetto che vorrebbe essere l’artefice di uno sviluppo urbano sostenibile e che contemporaneamente deve fare i conti con una vita privata arrivata ad un punto morto;
sarà proprio l’incontro con Amira, che vive una condizione personale completamente opposta a quella del borghese e integrato Will a mettere in crisi l’architetto, le sue certezze e il suo rapporto con Liv, troppo distratta dall’angosciante quotidianità che deriva dalla faticosa gestione della figlia per accorgersi del progressivo allontanamento dell’uomo.
Il dramma sentimentale va quindi a complicare le cose.
La visione di Londra, con le sue contraddizioni, il suo urbanesimo sospeso tra il passato e la voglia di futuro fanno da semplice sfondo al vero fulcro del film, il sentimento.
L’eterno amore, ancora una volta, viene analizzato questa volta nella diversità di condizione sociale; se Will è il rappresentante della Middle Class londinese, bello e affermato, in possesso di tutti gli emblemi (effimeri) dello status quo, dall’auto di lusso alla bella casa,dagli abiti firmati agli orpelli tecnologici dall’altro per contraltare c’è Amira, profuga di una guerra sanguinosa,quella bosniaca; la donna,trapiantata in una Londra così lontana dal suo stile di vita, quasi un’emarginata, con una vita fatta di sacrifici,rinunzie,resa angosciante anche dalla consapevolezza della maternità delusa da un figlio irriconoscente,che vive ai margini della legge, ma anche della società.
Due esistenze inconciliabili che però troveranno un punto di contatto, un’attrazione in grado di abbattere anche se solo temporaneamente gli steccati innalzati proprio da una società stratificata in classi e che vuole ricchi e nullatenenti divisi proprio dal possesso.
Nel film non è che accada chissà cosa.
Siamo nei paraggi del genere sentimentale drammatico, affrontato da Minghella con un linguaggio semplice e diretto, teso a mostrare principalmente gli aspetti dell’amore messo di fronte a difficoltà apparentemente insormontabili; il finale restituisce allo spettatore un rassicurante quanto ipocrita
riallineamento dei valori iniziali.
Ognuno ritorna alla vecchia vita, forse arricchito personalmente dall’accaduto ma conscio delle differenze sociali che non possono essere colmate; non siamo al finale dolce delle favole, ma a quello realistico che vuole che anche le cose belle abbiano un termine.
Niente happy end.
O almeno non quello sciropposo e sdolcinato dell’amore che trionfa su tutto, ma un happy end c’è comunque perchè se da un lato Will comprende che il legame con Liv ne esce rafforzato,dall’altro Amira evita che suo figlio finisca in galera,marchiato per sempre.
Anzi, il giovane potrà ricavare dalla vicenda lo slancio per tentare una problematica integrazione,un inquadramento in una società che dovrà vederlo non come antagonista,ma come disciplinato cittadino.
Un film discreto, a cui giova sicuramente l’ottima prova del cast,che include un sempre affascinante Jude Law nei panni di Will, una bella prova offerta da Robin Wright (Liv) e dalla sempre brava Juliette Binoche (Amira),forse un tantino poco credibile nei panni di una donna bosniaca ma in grado,con la sua classe e con le sue grandi doti recitative di colmare il gap.
Complicità e sospetti
Un film di Anthony Minghella. Con Jude Law, Martin Freeman, Juliette Binoche, Robin Wright, Ray Winstone, Vera Farmiga, Rafi Gavron, Poppy Rogers, Juliet Stevenson, Ed Westwick Titolo originale Breaking and Entering. Drammatico, durata 120 min. – USA, Gran Bretagna 2006. – Buena Vista International Italia
Jude Law: Will Francis
Juliette Binoche: Amira
Robin Wright Penn: Liv
Rafi Gavron: Mirsad “Miro” Simić
Martin Freeman: Sandy
Ed Westwick: Zoran
Velibor Topić: Vlado
Rad Lazar: Dragan
Poppy Rogers: Beatrice
Anna Chancellor: Kate
Juliet Stevenson: Rosemary
Mark Benton: Legge
Ray Winstone: Bruno Fella
Vera Farmiga: Oana
Regia Anthony Minghella
Soggetto Anthony Minghella
Sceneggiatura Anthony Minghella
Fotografia Benoît Delhomme
Montaggio Lisa Gunning
Musiche Gabriel Yared, Underworld
Buon compleanno,Filmscoop
E siamo arrivati al dodicesimo compleanno di Filmscoop.
Intendiamo ringraziare tutti coloro che dal 2008 seguono il nostro sito,con costanza e fedeltà.
Grazie!
Paul e Dana
Ma Ma-Tutto andrà bene
Insegnante ormai prossima alla disoccupazione,sposata con un uomo che non ama più e che la tradisce, con un figlio che adora e che segue
anche quando gioca a calcio, sport che le interessa solo perchè lo pratica il figlio, Magda ha davanti a se un futuro che immagina difficile.
Ma è appena all’inizio di un cammino dolorosissimo.
Dopo la partenza del marito, in viaggio con la sua amante, durante la calda estate spagnola Magda ha modo di essere di conforto ad Arturo, conosciuto durante una partita di calcio e che
ha appena perso sua figlia e per ulteriore disgrazia si ritrova la moglie in coma.
Durante una visita ginecologica di routine il dottor Julian diagnostica a Magda un doppio carcinoma al seno; per la donna è l’inizio del calvario legato alla chemio pre operazione, che affronterà con coraggio da sola, trovando anche il modo di
essere vicina ad Arturo, che dopo la perdita della figlia deve subire un altro colpo durissimo, la perdita della moglie.
Ma Magda è una donna forte, volitiva; combatte contro il male, subisce la mastectomia del seno (che chiama amputazione) con un coraggio e una forza d’animo che stupisce anche il dottor Julian,che le si affeziona
stabilendo un contatto umano che va oltre anche il rapporto medico/paziente.
Un rapporto umano di amicizia, che Magda rinsalda interessandosi delle vicende di Julian, sposato e che è in attesa di adottare una bimba russa.
Ma le cose sono destinate a prendere una piega tragica.
Proprio quando Magda sembra fuori pericolo, in un momento nel quale ha ritrovato la voglia di vivere e la felicità accanto al sensibile e dolce Arturo, che ha stabilito anche uno splendido rapporto con suo figlio ecco che il destino presnta il conto.
Un conto durissimo da pagare.
Dopo una visita di controllo, un costernato Julian le comunica con dolore che il cancro non solo non è stato debellato, ma che ha ormai interessato la gabbia toracica e che le restano pochi mesi di vita.
Anche questa volta Magda reagisce; confortata dalla scoperta della gravidanza inaspettata e quasi miracolosa che sta portando avanti, la donna prova a sfidare la sorte avversa mettendo al mondo una creatura che
dia un senso a tutta la sua sofferenza, donando una sorellina che chiamerà Natascia a suo figlio e che sia di conforto al disperato Arturo.
E ci riuscirà, vincendo anche le leggi di natura; subito dopo la nascita della piccola, Marta muore, sorridendo.
Il suo coraggio sarà un esempio per Arturo, per Julian e per suo figlio, mentre alla piccola Natascia lascerà un ricordo di se in un video che Magda ha girato per sua figlia, per quando sarà in grado di comprendere chi era sua madre.
Diretto da Julio Medem nel 2015, Ma Ma Tutto andrà bene è un film delicato e per molti versi commovente dedicato ad una figura femminile straordinaria, quella di una donna capace di affrontare un destino cinico e avverso con una forza d’animo
che ha del miracoloso. Emblema di tante, troppe donne costrette a combattere con un nemico subdolo e troppe volte mortale, nonostante i passi da gigante fatti dalla medicina.
Il calvario della malattia, gli effetti devastanti della chemio, che vanno dai problemi fisici a quelli ancor più gravi a livello psicologico sono uno dei temi affrontati nel film,che però punta l’obiettivo sulla figura di Magda, sul quel suo essere volitiva,propositiva, combattente nata.
Un atto d’amore verso una figura rappresentativa, nella quale si può scorgere l’ammirazione di Medem per le donne che non si abbattono mai, nonostante la presenza concomitante del resto dei problemi del quotidiano delle donne stesse.
Il linguaggio poetico usato dal regista affiora spesso nel parlato di Magda, nelle sue azioni, a partire dalla capacità straordinaria della donna di annullarsi o quanto meno accantonare il personale per portare conforto agli altri, a partire da quel figlio tanto amato e che vuol tenere lontano dalla malattia per passare alla figura di Julian, uomo alle prese con problemi coniugali e sopratutto quella di Arturo, che sarà il più colpito dalla cattiva sorte, visto che in successione perderà prima la figlia, poi la moglie e infine anche Magda, che lo aveva guidato fuori dal tunnel del dolore e che regalerà ad Arturo stesso una speranza, rappresentata dalla piccola Natasha e da suo figlio, che crescerà con lui e con suo padre, che finalmente scoprirà di aver sposato una donna straordinaria e che prenderà coscienza di essere un padre.
Ma Ma Tutto andrà bene è un bel film, molto malinconico per forza di cose, che ha qualche limite; ad una prima parte realista e descrittiva si succede una seconda troppo virata al melodramma.
Però va anche detto che Medem, una volta imboccata la strada di un racconto che purtroppo può essere portato ad emblema di tante, troppe storie dolorose che spesso sono vissute nell’oscurità da moltissime donne costrette a combattere un nemico spietato, spesso con situazioni familiari complicate, che comunque devono poi affrontare i contraccolpi fisici della malattia, la capacità di
sapersi relazionare con un corpo che inevitabilmente si trasforma e una psiche devastata, Medem dicevo prosegue coerentemente mostrando anche una luce. Quella della speranza, data dalla vita che nasce, quella dell’esempio. Di una donna che non si arrende, che pur di fronte alla morte trova comunque la forza di additare un motivo di speranza.
Un bellissimo ritratto femminile, reso magistralmente da Penelope Cruz, qui alle prese con il personaggio più riuscito della sua carriera; malinconica, fiera, dolce, comprensiva, donna vera in tutte le sue sfumature, Penelope/Magda rende umanissimo il suo personaggio, senza mai esagerare o scendere nel patetico.
Una prova maiuscola, così come lineare e ben diretta è quella di Medem, che tre anni dopo dirigerà un altro bellissimo film L’albero del sangue del quale ho parlato qualche settimana fa.
Molto bene il resto del cast per un film che resta impresso, con una tematica scomoda ma che purtroppo è una triste realtà.
Vivamente consigliato.
Ma Ma-Tutto andrà bene
un film di Julio Medem,con Penélope Cruz, Luis Tosar, Asier Etxeandia, Teo Planell, Anna Jiménez, Elena Carranza. Titolo originale: Ma Ma. Genere Drammatico, – Spagna, Francia, 2015, durata 111 minuti, distribuito da I Wonder Pictures.
Penélope Cruz: Magda
Luis Tosar: Arturo
Asier Etxeandía: Julián
Teo Planell: Dani
Mónica Sagrera: zia Sofia
Àlex Brendemühl: Raúl
Anna Jiménez: Natasha
Regia Julio Médem
Soggetto Julio Medem
Sceneggiatura Julio Médem
Produttore Penélope Cruz, Julio Médem
Casa di produzione Morena Films, Ma Ma Películas AIE, Mare Nostrum Productions
Distribuzione in italiano I Wonder Pictures
Fotografia Kiko de la Rica
Montaggio Iván Aledo
Musiche Alberto Iglesias, Eduardo Cruz
Scenografia Montse Sanz
Giovane e bella
Per la giovane Isabelle, diciassette anni, l’estate porta dei cambiamenti importanti; in vacanza con famiglia e amici la ragazza sceglie di concedersi
ad un giovane tedesco. Ma l’esperienza la lascia del tutto insoddisfatta.
Al rientro a Parigi ,Isabelle prende una decisione che avrà pesanti conseguenze; sceglie di prostituirsi, aprendo un piccolo sito internet nel quale si propone come escort, dichiarando di avere vent’anni.
Tra i suoi primi clienti c’è Georges, un signore anziano e gentile, che diverrà uno dei suoi appuntamenti fissi fino al giorno in cui, durante un rapporto sessuale, l’uomo colto da infarto muore.
Le indagini della polizia portano gli inquirenti sulle tracce di Isabelle; Sylvie,la madre della ragazza apprende con costernazione della vita segreta di Isabelle e decide di correre ai ripari, pur non ricavando dalla figlia alcuna risposta
sulle motivazioni del gesto della stessa .Isabelle infatti fa la escort per motivi oscuri, visto che i soldi che guadagna, molti, non li spende in oggetti o indumenti,ma li mette da parte senza mai nemmeno contarli.
Nonostante l’aiuto di uno psicologo, Sylvie non fa breccia nel muro di silenzi eretto dalla ragazza, ma ottiene quanto meno che Isabelle abbandoni la vita degradante a cui si è dedicata.
La ragazza sembra ritornare ad una parvenza di normalità; ad una festa accetta la corte del giovane Alex, salvo lasciarlo poco dopo perchè non innamorata di lui.
I rapporti sessuali con il giovane sembrano però aver risvegliato in Isabelle istinti sopiti, così la ragazza riattiva la vecchia linea telefonica trovando nella casella mail molte richieste di appuntamento, da un numero in particolare.
Recatasi nell’albergo che era stato la sede dei rapporti con Georges, Isabelle scopre che è la vedova dell’uomo ad averle chiesto un incontro. Equivocando sulla natura dell’incontro,Isabelle si offre sessualmente alla matura signora che in realtà da lei
vuole solo sentirsi raccontare le ultime parole del marito e notizie su quello che le raccontava.
Glaciale ritratto di un’adolescente enigmatica come buona parte dei suoi coetanei, mondo alieno difficile da esplorare e ancor più da comprendere, Giovane e bella di Francois Ozon più che indagare sul mondo della prostituzione, che quando avviene in ambienti più esclusivi della strada
viene definito delle “escort”, cerca di analizzare, senza dare alcun giudizio morale la vita degli adolescenti attraverso l’analisi comportamentale di Isabelle.
Giovane,bella, borghese, Isabelle frequenta la scuola e ha delle amiche, va a teatro e ha una famiglia niente affatto repressiva; non ha alcun genere di problema conflittuale ne con sua madre, ne con suo fratello ne tanto meno con il secondo marito della madre.
Ma allora cosa spinge la ragazza verso un mondo così abietto e amorale come quello delle escort?
Nel film non c’è alcuna risposta per cui è lasciato a chi guarda il compito di farsi un’idea delle reali motivazioni della ragazza; forse Isabelle ha la classica inquietudine dell’adolescenza che è ormai ad un passo dall’età adulta, rappresentata dalla maggiore età, forse cerca attraverso la sessualità un’affermazione della propria personalità,un modo per affermare la propria esistenza o ancora può trattarsi di semplice noia, perchè in fondo a Isabelle non manca nulla.
Su questa ambiguità di fondo si gioca tutto il film, che sembra l’esperimento di un entomologo atto a osservare con curiosità tutta scientifica la vita di un insetto degno di analisi.
Un paragone lato, intendiamoci ,non certo volutamente offensivo. E’ un esempio di come un regista voglia giocare le sue carte narrative senza dar prova di possedere idee preconcette.
Per Ozon Isabelle è un personaggio misterioso,un po come misteriosi sono i giovani a quell’età e all’obiezione che può nascere sul fatto che anche lui (come noi del resto) è stato un adolescente è facile rispondere
che si tratta di due generazioni separate quasi da ere geologiche viste le vertiginose, vorticose modifiche subite dalla società.
L’indagine di Ozon non è introspettiva quanto descrittiva.
Gli incontri sessuali della ragazza, la sua vita quotidiana, il suo essere sono mostrati senza forzature, quasi che il comportamento della ragazza avesse una sua ragione di esistere; un’esistenza spiazzante, che non possiamo condividere e che fondamentalmente non possiamo capire.
Giovane e bella è un buon film, attraversato dalle quattro stagioni dell’anno che assurgono alle stagioni della vita e accompagnate da quattro canzoni di Francoise Hardy, belle e malinconiche. Come il volto imperscrutabile, da Monna Lisa, della giovane Isabelle, rappresentazione di tutto ciò che di misterioso c’è, in generale, nella psicologia femminile.
Davvero bravissima Marine Vacht, fisico efebico e volto da vera adolescente; del resto la ventiduenne attrice e modella (ovviamente nel 2013,data di realizzazione del film) conferisce al suo personaggio un’inquietudine mista ad una freddezza degna di menzione per la naturalezza con cui sono espresse. Cameo superbo di Charlotte Rampling nella parte della vedova dell’anziano George.
Bene il resto del cast,per un film che consiglio vivamente.
Giovane e bella
Un film di François Ozon. Con Marine Vacth, Charlotte Rampling, Géraldine Pailhas, Frédéric Pierrot, Fantin Ravat, Johan Leysen. Titolo originale Jeune et jolie. Drammatico, durata 94 min. – Francia 2013. – Bim Distribuzione
Marine Vacth: Isabelle
Géraldine Pailhas: Sylvie
Frédéric Pierrot: Patrick
Charlotte Rampling: Alice
Johan Leysen: Georges
Fantin Ravat: Victor
Nathalie Richard: Véro
Djedje Apali: Peter
Lucas Prisor: Felix
Laurent Delbecque: Alex
Stefano Cassetti: Cliente all’hotel
Jeanne Ruff: Claire
Regia François Ozon
Sceneggiatura François Ozon
Produttore Éric Altmayer, Nicolas Altmayer
Casa di produzione Mandarin Cinéma, Mars Films, France 2 Cinéma, FOZ
Distribuzione in italiano BiM Distribuzione
Fotografia Pascal Marti
Montaggio Laure Gardette
Musiche Philippe Rombi
Scenografia Katia Wyszkop
Costumi Pascaline Chavanne
Trucco Gill Robillard