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L’ultimo capodanno

Roma, 31 dicembre.
Per festeggiare l’ultimo dell’anno convergono nel condominio Le isole, in via Cassia 1043 una serie di persone che si mescoleranno agli abituali abitanti delle due palazzine.
C’è l’attore Gaetano che deve recarsi nell’appartamento della Contessa Sinibaldi e mentre fa rifornimento sulla tangenziale è riconosciuto da un vecchio amico napoletano, che è reduce da una gara di uno sport non meglio specificato e che vorrebbe presentarlo ai vecchi amici dell’attore; c’è la bellissima Giulia che sta preparando il cenone per i suoi invitati e nel frattempo indossa reggiseno e slip rossi mentre ascolta la segreteria telefonica.

L’auto dei Trodini distrutta dai vandali di Mastino

C’è la signora Gina che attende ospiti e che vorrebbe che suo figlio Cristiano passasse con lei la notte, c’è l’avvocato Rinaldi che sta progettando una serata tragressiva all’insegna del sesso estremo con una professionista, mentre sua moglie è a Cortina con i figli.
C’è il signor Trodini che sta festeggiando con la sua famiglia e l’anziano padre l’acquisto di un auto d’epoca a lungo desiderata, ci sono Osvaldo, Orecchino e il Trecchia ovvero tre ladri che aspettano il momento buono per entrare in azione, c’è Filomena Belpedio che è attesa da una notte triste, perchè suo marito è prigioniero in Cambogia dei khmer rossi.
Tutta questa gente non ha nessun punto di contatto, se non quello di vivere all’interno di uno dei tanti condomini della Roma bene.

Giulia fuori di se dopo aver scoperto il tradimento del marito

Le loro vite stanno per incrociarsi a loro insaputa per un destino comune, ma nel frattempo ogni nucleo vive esperienze pressochè fallimentari.
Giulia per esempio apprende dalla segreteria telefonica lasciata incautamente in funzione della tresca esistente fra suo marito e la sua migliore amica Lisa, invitata anche lei per la festa di fine anno e medita vendetta; Gaetano, che nell’incontro con il vecchio amico napoletano ha perso la sua preziosa agenda con gli indirizzi è sedotto dall’anziana contessa che però al momento buono ha un malore. Cristiano, deludendo sua madre, si chiude in camera con un suo amico, meditando su come passare la notte, mentre Rinaldi viene raggiunto dalla professionista dell’amore.
Contemporaneamente Filomena che ha ingerito una quantità enorme di sonniferi riesce a malapena a leggere un telegramma che le ha spedito il marito che le comunica l’avvenuta liberazione, mentre la famiglia Trodini vorrebbe festeggiare in via Veneto l’arrivo dell’auto nuova.

La Contessa obbliga Gaetano a spogliarsi

Tutti quindi sono alle prese con le varie situazioni in cui si sono venuti a trovare e i tre ladri entrano in azione, penetrando nell’appartamento di Rinaldi. I ladri così scoprono l’uomo steso su un tavolo e ammanettato, mentre la professionista sta praticando un gioco erotico estremo.
Si crea così una assurda situazione, mentre telefona la moglie di Rinaldi e l’uomo, steso e ammanettato è costretto a chiedere aiuto proprio ai tre ladri.
Nel frattempo Giulia ha preparato la sua vendetta; armata di un fucile subacqueo, spara una freccia mortale all’indirizzo del marito, che rimane così inchiodato alla poltrona, con il petto trafitto dal micidiale arpione.
Cristiano e il suo amico finiscono in un locale caldaie, mentre sta per arrivare il cataclisma.
Che è rappresentato dagli amici di Gaetano, capitanati da un trucidissimo e coatto capobanda di nome Mastino; i fracassoni amici dell’attore si auto invitano alla festa della Contessa mettendo a soqquadro la casa e creando situazioni incresciose sia per Gaetano sia per gli snob ospiti della Contessa.
Gli eventi precipitano quando Mastino, lanciando l’albero natalizio giù dal balcone, sfonda il tetto dell’auto di Trodini, suscitando la reazione del figlio di quest’ultimo che chiama il nonno a fare vendetta.

Giulia si prepara a dar fuoco ai ricordi della sua vita coniugale

L’anziano, munito di fucile, spara in direzione di Mastino colpendo però Gaetano al collo.
Nonostante l’estremo tentativo di salvataggio Gaetano precipita in cortile proprio mentre Trodini sta soccorrendo suo figlio, investito in pieno da un televisore scagliato dall’incontenibile Mastino giù in cortile.
I tre quindi muoiono per una tragica fatalità, proprio mentre Cristiano e il suo amico sono nel locale caldaie, mentre Lisa rimane colpita a morte da un razzo lanciato per ritorsione dal figlio di Trodini che manca il bersaglio e la colpisce nel ventre.
Uno dei due giovani scaglia all’interno della caldaia accesa un pacchetto di esplosivi, con il risultato di far saltare per aria l’intero comprensorio.
Il primo mattino vede una scena desolante: del comprensorio non restano che le rovine fumanti.

Continua l’opera di distruzione di Giulia

A uscire miracolosamente indenne dai ruderi di quello che era il condominio di via Cassia 1043 è l’amico di Cristiano che, salito sul suo scassatissimo ciclomotore, imbocca un ponte Milvio completamente deserto.
Tratto da L’ultimo capodanno dell’umanità di Niccolò Ammaniti , un racconto pubblicato nella raccolta Fango edita nel 1996, L’ultimo capodanno di Marco Risi ha alle spalle una storia travagliata, un pò come le vicende narrate nel film.
Uscito nelle sale nel 1998, venne ritirato dal regista dalle sale, in seguito alla delusione per gli incassi e per l’accoglienza riservata alla prima del film. A suo modo di vedere, il regista rimproverava ai produttori e alla distribuzione un’errata promozione del film stesso, come raccontato ai giornalisti: “I trailer hanno dato del film un’ immagine apocalittica, cupa. Hanno insistito sul pedale del tragico, invece L’ ultimo capodanno è pensato proprio per il grande pubblico. Si è perso il senso della commedia che, anche se tutto è giocato sull’ eccesso e sull’ esasperazione, sono convinto che punti a una comicità irriverente. Sbagliato anche proporre, nei trailer, Haber in guepière in situazioni sado- maso e l’ urlo della Bellucci 

La telefonata di Gaetano

L’ultimo capodanno in effetti ha due chiavi di lettura differenti, anche se poi alla fine tutto converge verso la commedia grottesca, dopo un percorso in bilico tra la commedia, la farsa, la tragedia condite da uno humour nerissimo.
Tutte le situazioni che vedono coinvolti gli inquilini del famoso stabile sulla Cassia passano dal grottesco al tragico, per poi prendere la loro dimensione definitiva man mano che appare chiaro l’obiettivo del regista, mostrare cioè il lato tragicomico di alcune esistenze attraverso situazioni volutamente estremizzate; nascono così i siparietti con protagonista la splendida Giulia (una convincente Monica Bellucci) che si scopre becca proprio nel giorno più importante dell’anno quando è indaffarata a preparare il cenone per gli ospiti o quello con protagonista l’avvocato Rinaldi (un ottimo Alessandro Haber) che cerca la trasgressione e finirà vittima di ladri da strapazzo.
Ogni situazione del film è tesa a mostare il lato comico delle vite dei protagonisti, anche se a predominare è l’aspetto grottesco delle cose; così la varia umanità che si agita nel film sembra paradossalmente la caricatura di se stessa, vista attraverso situazioni volutamente esasperate e portate ai limiti del credibile.

La preparazione per il cenone

Come del resto prendere sul serio l’intera sequenza in cui Mastino lancia il televisore dal terrazzo della Contessa colpendo il ragazzo della famiglia Trodini che aveva appena incitato il nonno a sparare sui responsabili del danneggiamento dell’auto d’epoca? Come non sorridere davanti alla gag del nonno a cui viene tranciata di netto una mano che finisce per far bella mostra di se in un piatto di zampone?
L’aspetto paradossale del film, in bilico tra il comico tradizionale e il comico noir, è in realtà l’elemento di novità del film.
Ma va da se che il pubblico sovrano non sempre apprezza le novità dirompenti e non può essere un caso se all’uscita del film, un’orrenda porcheria come Il macellaio con protagonista Alba Parietti ebbe incassi nettamente superiori a quelli del film di Risi.
L’ultimo capodanno è un film particolare ed estremo, forse troppo; le sinistre risate che possono coinvolgere lo spettatore sono al tempo stesso il limite del film.

La mamma di Cristiano impegnata nei preparativi

Il pubblico non sempre ama vedere la cattiveria, lo sberleffo e la comicità ammantata di nero spiattellate in un film che in pratica è vissuto tutto all’interno di un condominio, pur popolato da un campione di umanità variamente composto.
Come spiegarsi se no il travolgente successo dei cinepanettoni, espressione del cinema più autenticamente nazional popolare in senso deleterio o il cinema dei Pierini, un cinema minimalista espressione del trionfo del peggio esprimibile, ovvero il cinema dei rutti e dei peti, delle barzellette sconce e tristi?

L’avvocato Rinaldi racconta frottole alla moglie in vacanza

Il film di Risi, vissuto tutto sull’equivoco commedia nera finisce per arenarsi proprio davanti ai suoi meriti, che sono tanti ma assolutamente non capiti dal pubblico.
Così l’amarezza del regista è comprensibile, così come le sue parole amare: “Forse era il momento sbagliato, la gente voleva storie romantiche e la mia non e certo una commedia rassicurante. Forse sarebbe stato giusto allargare la popolarita del film, puntare di meno su certe atmosfere cupe. Forse sono anche stato troppo frettoloso in fase di montaggio.”

I tre ladruncoli in attesa di fare il colpo

Purtroppo il successo di un film dipende da fattori assolutamente particolari, primo fra tutti l’empatia tra il pubblico e il prodotto che sta visionando.
Tornando al film, notevole la carrellata di caratteristi che popola la pellicola, con menzioni su tutti per Haber, per Adriano Pappalardo che è irresistibile nel ruolo del coattissimo Mastino, per Beppe Fiorello che interpreta l’attore Gaetano Malacozza e per Ricky Memphis che interpreta Orecchino.
Bene tutto il resto del cast, a cominciare da Iva Zanicchi per finire con Claudio Santamaria.
Il mio consiglio è di recuperare questo film e goderselo possibilmente non prima di un giorno di festa, visto l’effetto un tantino deprimente che potrebbe ingenerare, preparandosi a visionare una commedia nera di notevole spessore e arguzia.

L’apocalisse dopo l’esplosione

L’ultimo capodanno
Un film di Marco Risi. Con Antonella Steni,Beppe Fiorello, Alessandro Haber, Monica Bellucci, Piero Natoli, Marco Giallini,Maria Monti, Francesca D’Aloja, Marco Patanè, Claudio Santamaria, Angela Finocchiaro, Primo Reggiani
Drammatico, durata 100 min. – Italia 1998.

Le prime fiamme dopo l’esplosione

Gaetano colpito mortalmente

Mastino lancia il televisore dal terrazzo

Lisa colpita al ventre da un razzo

Giulia dopo aver ucciso il marito

La famiglia Trodini festeggia i nuovi fari per l’auto d’epoca

Cristiano indeciso sul da farsi

La Contessa allupata

Monica Bellucci: Giulia Giovannini
Marco Giallini: Enzo Di Girolamo
Angela Finocchiaro: signora Rinaldi
Claudio Santamaria: Cristiano Carucci
Iva Zanicchi: Gina Carucci
Giorgio Tirabassi: Augusto Carbone
Ricky Memphis: Orecchino
Adriano Pappalardo: Mastino di Dio
Max Mazzotta: Ossadipesce
Giovanni Ferreri: Gualtiero Treccia
Natale Tulli: Osvaldo Ferri
Piero Natoli: Vittorio Trodini
Francesca D’Aloja: Lisa Faraone
Alessandro Haber: avv. Rinaldi
Beppe Fiorello: Gaetano Malacozza
Ludovica Modugno: Filomena
Antonella Steni: Esa Giovannini
Federica Virgili: Sukla
Maria Monti: Scintilla
Franco Odoardi: nonno

Regia     Marco Risi
Soggetto     Niccolò Ammaniti (racconto)
Sceneggiatura     Marco Risi, Niccolò Ammaniti
Produttore     Marco Risi, Maurizio Tedesco
Fotografia     Maurizio Calvesi
Montaggio     Franco Fraticelli
Musiche     Andrea Rocca
Scenografia     Luciano Ricceri
Costumi     Maurizio Millenotti

dicembre 30, 2011 Posted by | Commedia | , , , , , , , , , , , , | Lascia un commento

I Mondo Movie

Mondo movie banner

Il mondo movie è un genere cinematografico che in realtà con il cinema vero è proprio ha pochissimo a che vedere.
Affermatosi in Italia agli inizi degli anni sessanta, si caratterizzò da subito per la crudezza delle scene mostrate e sopratutto per le tematiche estremamente settoriali affrontate, che erano ristrette a pochi argomenti, come i tabù sessuali i riti e modi di vivere di popoli poco conosciuti o anche sguardi sulla natura, vista però quasi sempre nella sua espressione più violenta.
Difficile collocare storicamente una data di inizio della effimera stagione del genere, che però si dilatò nel tempo fino a toccare le soglie degli anni ottanta, quando il genere mondo movie tramontò definitivamente, complice anche la grande diffusione dei documentari che proposero, con ben altri fondamenti scientifici e culturali, le tematiche che i mondo movie avevano mostrato sin dagli esordi.
Probabilmente il primo vero mondo movie venne girato nel 1962: si trattava di Mondo cane, che conteneva al suo interno tutti gli stereotipi che poi caratterizzarono il genere.
Ovvero la onnipresente voce dello pseudo sociologo/dottore/antropologo che spiega o cerca di spiegare i comportamenti al limite della stravaganza o della follia di essere umani, le bizzarrie del mondo animale, gli strani riti di tribù sconosciute, dall’Africa all’Australia, dall’America latina fino all’Asia in un viaggio alla ricerca di quanto di più strano l’umanità è in grado di produrre in ambito sessuale, religioso, sociale.
Ovviamente ad avere la massima visibilità è quasi sempre il sesso, visto attraverso un viaggio alla scoperta di stravaganze di ogni genere.

1 America così nuda, così violenta

America così nuda, così violenta

In Mondo cane per esempio grande risalto viene dato alla mutilazione genitale, oltre all’immancabile serie di pistolotti sulla crudeltà degli uomini verso gli animali estrinsecata in raccapriccianti immagini di mutilazioni verso gli stessi.
In pratica Paolo Cavara, Gualtiero Jacopetti e Franco E. Prosperi, i registi del documentario, danno lo spunto per quello che diverrà un vero e proprio genere cinematografico a se stante, anche se, lo ripeto, il cinema centra poco o nulla.

2 Africa ama

Africa ama

3 Svezia inferno e Paradiso

Svezia inferno e paradiso

Mancano gli attori, manca una storia a fare da collante, spesso gli stessi documentari sono assemblati senza cura e con immagini sfocate, per dare l’idea del documento sensazionale, unico nella sua crudezza e realtà.
Se Mondo cane è il capostipite del genere, non fosse altro per la canonizzazione di quelli che saranno i parametri del genere stesso, in realtà è Europa di notte del grande Blasetti il primo film a struttura documentaristica che mostra in rapida carrellata tutta una serie di stravaganze, ma anche di spettacoli artistici che avvengono nelle principali città europee.
Ovviamente c’è un abisso tra questo film e i successivi; manca la componente violenta, manca anche la componente voyeuristica e scabrosa.
Il genere serve anche per farsi le ossa cinematograficamente; Luigi Scattini, per esempio, gira Sexy magico (1963) e Svezia, inferno e paradiso (1968), uno dei primissimi mondo movie dedicato al sesso; ambientato nella Svezia che negli anni 60 era vista come il paradiso della libertà e dell’emancipazione sessuale, è uno dei più curati documentari di sempre, oltre ad avere una narrazione organica poco incline al sensazionalismo.
Il buon successo ottenuto dal documentario di Scattini convinse Vittorio De Sisti a girare Inghilterra nuda, con la voce narrante di Edmond Purdom, e anche in questo caso assistiamo ad un lusinghiero successo di pubblico.
Ma sono gli anni settanta a decretare l’effimero successo dei mondo movie, complice l’allentamento delle maglie della censura.
Angeli bianchi… angeli neri (1970) di Luigi Scattini e America così nuda, così violenta (1970) di Sergio Martino sono i due apri pista; il film di Martino, uno dei migliori del genere, va alla ricerca di qualcosa di più profondo del sensazionalismo, arrivando a descrivere con una certa efficacia le discriminazioni razziali, gli enormi problemi della più grande delle democrazie.

4 Sesso perverso

Sesso perverso

5 Mondo topless

Mondo topless

Un viaggio attraverso le mille contraddizioni di un paese in cui è possibile la ricchezza più estrema accanto al suo opposto, la povertà.
Il successo più eclatante spetta a Africa ama, di Angelo e Alfredo Castiglioni, un film crudissimo in cui si sprecano immagini da volta stomaco, come clitoridectomi e infibulazioni, accompagnate dalle solite immagini crudeli di animali uccisi in maniera cruenta.
Stesso successo spetta a  Addio zio Tom (1971) di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi, in cui finalmente c’è un impianto narrativo mescolato ad un documentarismo non più reale ma simulato.
C’è una forte condanna dello schiavismo mescolato però ad una satira corrosiva e sulle righe, che alle volte disturba e spiazza.
Filippo Walter Ratti propone nel 1973 Mondo erotico, che già dal titolo anticipa quello che è il contenuto della pellicola, un viaggio nel mondo del sesso visto con parecchia sospetta furbizia e con una larga esplicitazione di nudi femminili.
Nel 1974 arriva sugli schermi il violento Ultime grida dalla savana, diretto da Antonio Climati e Mario Morra con la supervisione di Franco Prosperi, autentico documentario shock ambientato nella savana africana, con immagini di un leone che sbrana un uomo e l’uccisione di un indigeno da parte di due cacciatori bianchi.
Le scene sono dei falsi, ma girate con indubbia abilità e mescolate ad immagini dal vero; a vedere il film c’è una coda insolita di spettatori, attratti dal sinistro fascino della violenza che in questo caso appare come un prodotto della natura nella quale l’uomo è immerso, parte integrante di essa, dominante ma allo stesso tempo vittima.
Africa nuda, Africa violenta, diretto da Mario Gervasi nel 1974 riprende in qualche modo la tematica centrale e l’impianto di Addio Zio Tom; c’è una struttura narrativa, che vede due ragazze addentrarsi in Africa alla ricerca di un amuleto e imbattersi nelle solite sequenze violente di iniziazione al sesso con tutto il solito corollario.
Il genere nel frattempo muta pelle, assumendo connotati più violenti ed espliciti.
E’ il caso di Savana violenta, regia del duo Antonio Climati e Mario Morra, uscito nel 1976 e che spazia tra immagini brutali di un’epidemia in Mozambico e immagini sessualmente esplicite, tra una fucilazione di un depredatore di case abbandonate in seguito ad un’alluvione e immagini shock dei morti del carnevale di Rio.

6 Mondo cane n.2 fot1

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Due fotogrammi da Mondo cane n.2

Anche Aristide Massaccesi arriva ai mondo movie e nel 1976 propone Follie di notte, utilizzando per la sua carrellata attraverso i locali notturni di mezza Europa la cantante Amanda Lear, che in seguito rinnegherà la sua partecipazione al film vista la solita abitudine di Massaccesi/D’Amato di rinforzare il film con scene hard.
Subito dopo la metà degli anni settanta i mondo movie mostrano ormai profondi segni di stanchezza.
La presenza di un sempre più fiorente mercato di film a luci rosse, la ripetitività delle scene di violenza creano negli spettatori un effetto overdose che porta ben presto al declino del genere.
Gli ultimi prodotti si chiamano, malinconicamente,  Mondo porno oggi (1976) diretto da Giorgio Mariuzzo, Mondo di notte oggi (1976) di Gianni Proia, Le notti porno del mondo (1977) di Bruno Mattei fino a quello che è l’ultimo atto ufficiale dei mondo movie,  Addio ultimo uomo (1978) di Angelo e Alfredo Castiglioni, una via di mezzo tra i cannibal movie e i mondo movie tout court,

7 Mondo cane

Mondo cane

che mostra le rituali immagini di lotte tribali attraverso una visione quasi romantica di un uomo ormai profondamente cambiato nei costumi e negli usi, in cammino verso una civiltà fagocitante e che segna per certi versi la fine del mondo primitivo in cui ha vissuto in alcune zone della terra.
Senza quasi nessun rimpianto il genere tramonta e scompare.
La crisi del cinema è ormai quasi inarrestabile e la pochezza della stragrande maggioranza delle pellicole appartenenti a quasi tutti i generi testimonia l’acuirsi di una crisi che diverrà ben presto eclatante.
I mondo movie quindi scompaiono senza aver lasciato tracce significative; parliamo di meno di cento pellicole, includendo comunque tra esse anche quelle provenienti da altri paesi e che cercarono di sfruttare la nicchia scavata dagli stessi.

8 Magia nuda

Magia nuda

9 Mondo cane oggi, l’orrore continua

Mondo cane oggi, l’orrore continua

Come per altri generi cinematografici esplosi e poi sgonfiatisi nell’arco di pochi anni, i mondo movie verranno confinati in un limbo, riemergendo solo in sporadici casi quando veranno proposti dal fiorente mondo delle tv private.
Così, accanto ai nazisploitation, al flone conventuale e ai decamerotici, i mondo movie vivranno nell’ombra, ignorati dai grandi circuiti commerciali e riemergendo solo in particolari occasioni.
La loro carica violenta ed esplicita infatti impedisce ancora oggi una visione allargata alle prime serate della tv; e va detto che la cosa è sicuramente un bene.

Mondo movie banner gallery

10 Africa addio

Africa addio

11 Ultime grida dalla savana

Ultime grida dalla savana

12 Mondo balordo

Mondo balordo

13 Africa dolce e selvaggia

Africa dolce e selvaggia

14 Sexy magico

Sexy magico

15 Inghilterra nuda

Inghilterra nuda

16 Mondo di notte n.3

Mondo di notte n.3

17 Angeli bianchi, angeli neri

Angeli bianchi, angeli neri

18 Malamondo

Malamondo

Mondo movie banner i titoli

Europa di notte (1958) di Alessandro Blasetti
Il mondo di notte (1959) di Luigi Vanzi
Il mondo di notte numero 2 (1961) di Gianni Proia
America di notte (1961) di Giuseppe Maria Scotese
Mondo caldo di notte (1961) di Renzo Russo
Mondo cane (1962), di Gualtiero Jacopetti, Paolo Cavara, Franco Prosperi.
Le città proibite (1962) di Giuseppe Maria Scotese
Il paradiso dell’uomo (1962) di Giuliano Tomei
Sexy al neon (1962) di Ettore Fecchi
I piaceri nel mondo (1962) di Vinicio Marinucci
La donna nel mondo (1963), di Franco Prosperi, Paolo Cavara, Gualtiero Jacopetti.
Mondo cane 2 (1963) di Franco E. Prosperi, Gualtiero Jacopetti
Il mondo di notte numero 3 (1963) di Gianni Proia
Il pelo nel mondo (1963) di Antonio Margheriti
Mondo nudo (1963) di Francesco De Feo
Tentazioni proibite (1963) di Osvaldo Civirani
Mondo infame (1963) di Roberto Bianchi Montero
90 notti in giro per il mondo (1963) di Mino Loy
Sexy nel mondo (1963) di Roberto Bianchi Montero
Sexy nudo (1963) di Roberto Bianchi Montero
Questo mondo proibito (1963) di Fabrizio Gabella
Africa sexy (1963) di Roberto Bianchi Montero
Sexy magico (1963) di Luigi Scattini
Sexy al neon bis (1963) di Ettore Fecchi
Ecco il finimondo (1964) di Paolo Nuzzi
Mondo balordo (1964) di Roberto Bianchi Montero
Le schiave esistono ancora (1964) di Roberto Malenotti, Maleno Malenotti e Folco Quilici
I malamondo (1964) di Paolo Cavara
Nudo, crudo e… (1964) di Adriano Bolzoni e Francesco De Feo
Canzoni nel mondo (1965) di Vittorio Sala
Africa addio (1966) di Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi
Mondo Topless (1966) di Russ Meyer
Acid – delirio dei sensi (1967) di Giuseppe Maria Scotese
Mal d’Africa (1967) di Stanislao Nievo
Svezia, inferno e paradiso (1968) di Luigi Scattini
Inghilterra nuda (1968) di Vittorio De Sisti
Africa segreta (1969) di Angelo e Alfredo Castiglioni
Angeli bianchi… angeli neri (1970) di Luigi Scattini
America così nuda, così violenta (1970) di Sergio Martino
The Satanists (1970) di Luigi Scattini
Dove non è peccato (1970) di Antonio Colantuoni
Riti segreti (1970) di Gabriella Cangini
Questo sporco mondo meraviglioso (1971) di Mino Loy
Africa ama (1971) di Angelo e Alfredo Castiglioni
Addio zio Tom (1971) di Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi
Mondo erotico (1972) di Filippo Walter Ratti
Mondo Freudo (1974) di Robert Lee Frost
Ultime grida dalla savana (1974) di Antonio Climati
Africa nuda, Africa violenta (1974) di Mario Gervasi
Nuova Guinea: L’isola dei cannibali (1974) di Akira Ide
Magia nuda (1975) di Angelo e Alfredo Castiglioni
Follie di notte (1976) di Joe D’Amato
Mondo porno oggi (1976) di Giorgio Mariuzzo
Savana violenta (1976) di Antonio Climati
Mondo di notte oggi (1976) di Gianni Proia
Mondo diavolo (1976) di Mario Morra
Le notti porno del mondo (1977) di Bruno Mattei
Uomo, Uomo, Uomo (1977) di Lionetto Fabbri
L’Italia in pigiama (1977) di Guido Guerrasio
Mondo infernale (1977) di Larry Savadove
Le facce della morte (1978) di John Alan Shwartz
Addio ultimo uomo (1978) di Angelo e Alfredo Castiglioni
Des Morts (1979) di Jean-Paul Ferbus e Dominique Garny
Cannibals (1980) di Jess Franco
Intersesso (1980) di Robert Crus
Siamo fatti così – Aiuto! (1980) di Gianni Proia
Le facce della morte n. 2 (1981) di John Alan Shwartz
Africa dolce e selvaggia (1982) di Angelo e Alfredo Castiglioni
Cannibali domani (1983) di Giuseppe Maria Scotese
Dimensione violenza (1983) di Mario Morra
Dolce e selvaggio (1983) di Antonio Climati
Nudo e crudele (1984) di Adalberto Albertini
Mondo senza veli (1985) di Adalberto Albertini
Le facce della morte 3 (1985) di John Alan Shwartz
Love duro e violento (1985) di Claudio Racca
Nudo e crudele 2 (1985) di Adalberto Albertini
Mondo cane oggi, l’orrore continua (1986) di Stelvio Massi
Mondo cane 2000: l’incredibile (1988) di Stelvio Massi e Gabriele Crisanti
Mondo New York (1988) di Harvey Keith
Natura contro (1988) di Antonio Climati
Droga sterco di Dio (1989) di Stelvio Massi
Mondo ossesso (1989) di Stelvio Massi e Gabriele Crisanti

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dicembre 29, 2011 Posted by | Miscellanea | | 2 commenti

Perchè i gatti ? Because of the cats

Perchè i gatti 1

Un gruppo di sei giovani entra furtivamente in un appartamento di Amsterdam; il loro scopo è quello di rubare dalla casa quanto più possibile e poi scomparire con il bottino.
Ma le cose sono destinate ad andare diversamente perchè i coniugi Jansen e Fedora rientrano casualmente prima in casa.
I giovani teppisti così approfittano della situazione per commettere ogni sorta di violenza sulla donna, costringendo anche il malcapitato marito a guardare le fasi dello stupro della donna.
Ad indagare sul caso viene chiamato l’ispettore Van der Valk che capisce immediatamente di trovarsi per le mani una brutta gatta da pelare.

Perchè i gatti 2

Infatti il sagace ispettore, interrogando pazientemente la donna ancora scossa dalla violenza e suo marito, capisce che ad agire non è stata una banda di teppisti qualsiasi ma gente con elevato grado di istruzione e probabilmente di pari grado sociale.
La conferma la ha quando interroga il bigliettaio del treno che porta da Amsterdam alla località marina di Blumendal, posto esclusivo frequentato solo da vip.

Perchè i gatti 3

Perchè i gatti 4

Continuando le sue indagini, Van der Valk scopre l’esistenza di una banda di teppisti denominata I corvi che capisce essere i responsabili della brutale violenza aì danni di Fedora e Jansen. Ma le indagini arrivano ad un punto morto, perchè l’ispettore manca di prove certe e sopratutto perchè le autorità locali non mostrano alcuna voglia di collaborare, nel timore di scomodare i genitori dei ragazzi che ovviamente sono l’elite della società.
Ad aiutare l’ispettore e a dare una svolta alle indagini è la morte del giovane Keis, l’ultimo ammesso alla banda dei teppisti bene grazie alla quale riesce anche a scoprire che esiste una banda al femminile, chiamata Le gatte che in pratica segue quello che fanno I corvi nella speranza di compiacerli.
A capo della banda dei Corvi c’è un individuo più anziano, che ha tentato di creare un clone della Manson family (il gruppo che uccise selvaggiamente Sharon Tate sotto l’influsso malefico di Charles Manson) e che ha plagiato il gruppetto con teorie strampalate in cui si mescolano nazismo e teorie anarcoidi…

Perchè i gatti 5

Thriller ben congegnato, che si ispira ad Arancia meccanica in tutta la sequenza della brutale violenza iniziale, Perchè i gatti? titolo originale Because of the cats diretto nel 1973 dal regista olnadese Fons Rademakers assolutamente sconosciuto almeno come regista in Italia, è un film di livello accettabile sia come sceneggiatura (ben congegnata) sia come ambizioni.
La meno nascosta delle quali è quella di offrire una visione sul dorato mondo alto borghese della capitale olandese, i cui figli, assaliti dalla noia e privi di valori morali di riferimento, sfogano il loro malessere e la loro totale mancanza di scrupoli in gesta crudeli come quelle della sequenza iniziale.
Che resta impressa nello spettatore per il rituale brutale e violento che la distingue, come del resto era accaduto nel film di Kubrick.
Ovviamente Rademakers non è Kubrick e la raffinatezza del maestro inglese è qui un pallido riflesso di quella cieca e ferocissima di Arancia meccanica; i meccanismi sono più rozzi e più espliciti, tuttavia non mancano di un loro sinistro fascino.

Perchè i gatti 6

Altro punto di forza del film è rappresentato dall’ostinazione di Van der Valk nel cercare ad ogni costo la verità, anche a rischio della carriera e quello ben più concreto di inimicarsi le alte sfere; ma l’ostinazione del poliziotto in qualche modo darà i frutti sperati.
Per quanto riguarda il discorso sociale di denuncia, tutto rimane ad un livello embrionale, ma francamente nelle intenzioni del regista molto difficilmente poteva esserci un discorso così impegnativo legato ad una pellicola di ben più modeste ambizioni.

Perchè i gatti 11

Il cast è di medio livello, con Alexandra Stewart su tutti e con Bryan Marshall dignitoso nel ruolo dell’ispettore Van der Valk;  l’attore inglese, lasciate momentaneamente le serie tv da corpo ad un personaggio con qualche spessore cavandosela con abilità consumata, confermata del resto dal proseguimento della sua carriera che conta partecipazioni ad almeno un centinaio di serie tv.
Piccola parte per una giovane Sylvia Kristel, poco più che esordiente e non ancora diventata una star visto che il film che la lanciò a livello internazionale, Emmanuelle, lo girò nel 1974.
In definitiva una pellicola dignitosa che merita una visione

Perchè i gatti 12

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Perché i gatti?
Un film di Fons Rademakers. Con Sylvia Kristel, Alexandra Stewart, Bryan Marshall Titolo originale Because of the Cats.

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Bryan Marshall … Ispettore Van der Valk
Alexandra Stewart … Feodora
Sebastian Graham Jones … Jansen
Anthony Allen … Erik Mierle
Ida Goemans … Carmen
Nicholas Hoye … Kees van Sonneveld
Sylvia Kristel … Hannie Troost
Delia Lindsay … La signora Maris
Edward Judd … Mierle
Roger Hammond …Signor Maris
Derek Hart … Kieft
Guido de Moor … Marcousis
Lous Hensen . Van Sonneveld
George Baker … Boersma
Liliane Vincent … Mevrouw Kieft

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Regia: Fons Rademakers
Sceneggiatura: Hugo Claus, Nicolas Freeling
Produzione: Paul Collet,Fons Rademakers
Musiche : Ruud Bos
Editing: Ton Aarden

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dicembre 28, 2011 Posted by | Thriller | , , , | Lascia un commento

Giù la testa

Giù la testa locandina

Quando nel 1971 Sergio Leone gira Giù la testa ha alle spalle 6 film (più la collaborazione a Gli ultimi giorni di Pompei) ed è reduce dalla straordinaria esperienza di C’era una volta il west, l’epopea sulla nascita della frontiera americana che aveva definitivamente consacrato Leone come grande regista in tutto il mondo.
I drammatici anni settanta sono iniziati e con essi il dirompente carico di contraddizioni emerse già sul finire degli anni sessanta; c’è stato l’autunno caldo, la strage di Pazza Fontana che di fatto ha inaugurato con qualche giorno di anticipo la stagione degli anni di piombo e Leone non può restare indifferente a tutto ciò che gli si muove attorno.
Così realizza un film scomodo e amaro, un film politico anche se mimetizzato.
Un film ambientato in Messico, durante la rivoluzione seguita alla morte di Francisco Indalecio Madero avvenuta nel 1913; il presidente messicano, fautore di una democrazia allargata e propugnatore di profonde riforme per aiutare la poverissima classe dei peones venne ucciso da Victoriano Huerta, fedelissimo di Madero inviato da quest’ultimo a reprimere la rivolta di Emiliano Zapata.

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Rod Steiger è Miranda

Il film si innesta quindi proprio in un momento storico preciso, probabilmente il 1916, periodo in cui si assiste al tentativo rivoluzionario di Pancho Villa e Emiliano Zapata di abbattere la dittatura di Huerta, cosa che accadrà e che provocherà la fuga del dittatore in Europa.
Leone quindi sceglie la rivoluzione messicana dei peones per parlare di un tema a lui caro, la rivolta dei poveri contro i ricchi, un tema assolutamente universale, che riguarda il Messico come i paesi dell’America latina piuttosto che la Russia e la Cina.
E’ proprio con un pensiero di Mao Tse Tung che si apre il film, con una didascalia che riporta il Mao-pensiero « La Rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. La Rivoluzione è un atto di violenza », che è poi il tema attorno al quale si svilupperà il film.
Attraverso 162 minuti di gran cinema, Leone ci mostra la storia d’amicizia tra i due protagonisti ovvero Juan Miranda, un messicano furbo padre di una caterva di figli, violento e senza legge e John H. “Sean” Mallory, un esperto in esplosivi che scopriremo provenire dall’Irlanda, dove ha lasciato un passato doloroso.

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A sinistra, James Coburn è John

Tra i due, dopo un inizio incredibile, si svilupperà un’alleanza che li porterà in una personale guerra contro il Governatore, l’uomo che dovrebbe rappresentare il nuovo ordine seguito alla morte di Madero.
Sarà un viaggio irto di ostacoli, nel corso del quale i due amici avranno modo, attraverso la visione di un Messico dilaniato dalla guerra e dalla povertà, di scoprire che il nemico alle volte può annidarsi anche dove non te lo aspetti, che la rivoluzione può comunque essere una cosa sporca nel momento in cui gli ideali possono essere traditi per tanti motivi, che ad un potere violento può sostituirsi un altro potere non necessariamente migliore, infine che le vere vittime della rivoluzione restano comunque solo e sempre i poveri e gli ultimi della società.

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L’edizione speciale della Soundtrack per il 35° anniversario

Tutte queste riflessioni Leone le inserisce quà e là nel film e sono facilmente leggibili nei vari dialoghi che costellano il film: la più amara appartiene a Miranda, che da uomo scafato e indurito da anni passati sulla strada a combattere contro la miseria una sua personale battaglia in cui si confondono confusamente sentimenti anarcoidi e libertari, dice a quello che è ormai il suo nuovo amico Sean « Quelli che leggono i libri vanno da quelli che non leggono i libri, i poveracci, e gli dicono: Qui ci vuole un cambiamento! e la povera gente fa il cambiamento. E poi i più furbi di quelli che leggono i libri si siedono dietro un tavolo e parlano, parlano e mangiano, parlano e mangiano; e intanto che fine ha fatto la povera gente? Tutti morti! Ecco la tua rivoluzione! Per favore, non parlarmi più di rivoluzioni! »
Leone utilizza anche l’ironia in molte sequenze, come in quella iniziale in cui un gruppo di gente ricca viaggia in una carrozza che Miranda assalta dopo aver viaggiato per alcune miglia all’interno della stessa e aver ascoltato i discorsi razzisti e supponenti di quella che è la classe ricca e borghese del paese. « Sono bestie, nient’altro; ed è per questo che sono tutti idioti! » dice uno di loro con aria di superiorità mentre Miranda ascolta attento.

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Maria Monti è la signora della diligenza

La sua vendetta scatterà ben presto e sarà proprio durante l’attacco alla diligenza che Miranda farà l’incontro decisivo con John H. “Sean” Mallory che si concluderà con la ormai famosa sequenza in cui Sean fa saltare la diligenza dopo che Miranda gli ha bucato per due volte le ruote della motocicletta. “Giù la testa, coglione” è l’espressione che Sean usa verso Miranda, espressione che finrà per diventare il titolo del film che in origine avrebbe dovuto chiamarsi così ma che per ragioni di censura e opportunità fu modificato nel più rassicurante Giù la testa.
Giù la testa, come dicevo prima, si snoda attraverso una storia raccontata per immagini in 162 minuti, che sono meno dei 174 minuti di Il buono il brutto e il cattivo e meno anche dei 170 minuti di C’era una volta il West.
Eppure questa volta il film sembra davvero più lungo.
Forse è colpa di un minore impatto visivo sia della storia che dell’ambientazione, forse di una lentezza che qualche volta sembra davvero appesantire il film. O forse davvero è solo un’impressione data dai paesaggi messicani scarni e brulli e dalle parti dialogate che sono superiori a quelle dei due film citati.
Giù la testa, per quanto sia un capolavoro indiscutibile, ha davvero alcune sequenze che potevano essere eliminate, pur contenendo la summa delle virtù del nostro grande regista; i suoi primi piani, le sue panoramiche, il suo modo di stare dietro la macchina da presa sono uno spettacolo visivo di grandissimo impatto.

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Pure il film dopo un inizio assolutamente straordinario finisce per sbandare diverse volte, anche se la tensione resta alta; la citata scena della diligenza, quella della ferrovia, i massacri di cittadini e peones o lo scontro finale con la locomotiva che salta per aria, l’attacco al ponte e altro sono sequenze che da sole basterebbero per far gridare al capolavoro.
Poi però Leone va troppo oltre, inserendo i flash back della vita di Sean ( con il tradimento dell’amico) e altre sequenze che praticamente tolgono tensione al film.
Nonostante questi difetti però Giù la testa non è affatto un film solo sufficiente.
La presenza di due grandissimi attori come Rod Steiger e James Coburn contribuisce a tenete altissimo il livello della recitazione e quindi la tensione attorno ai due personaggi; il rude e violento Miranda, espressione dell’arguzia popolare e il freddo fuori (ma rivoluzionario dentro) John H. “Sean” Mallory si inseriscono ancora una volta in un impianto di prim’ordine, come’era già accaduto per la coppia Eastwood/Monco e Van Cleef/Mortimer in Per qualche dollaro in più, con quella formata da Eastwood/Biondo e Wallach/Tuco in Il buono il brutto e il cattivo e infine di quella composta da Charles Bronson/Armonica e Henry Fonda/Frank in C’era una volta il West.

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Ancora una volta Leone fa un film completamente al maschile, escludendo di fatto la presenza di attrici dalla sceneggiatura; le uniche due presenze femminili sono quelle assolutamente marginali della donna della diligenza (Maria Monti) e di quella della fidanzata di John nei flashback (Vivienne Chandler). Una scelta dettata non di certo da maschilismo strisciante ma da situazioni contingenti. Il vecchio West o il Messico di inizi secolo erano terre per rudi pionieri, pistoleri, peones o contadini, banditi o trafficanti senza scrupoli.
Con Giù la testa si conclude definitivamente un’epoca, quella dei grandi western di Leone anche se a ben guardare il film non può essere definito un western tradizionale. Tuttavia alcuni elementi ci sono ancora, per cui l’arruolamento forzoso di Giù la testa nel filone western non è poi campato in aria.

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L’agguato al ponte

Dicevo che si conclude un’epoca; Leone tornerà dietro la macchina da presa solo per girare il suo capolavoro assoluto, C’era una volta in America che uscirà nelle sale 13 anni dopo. Va detto che nel frattempo non resterà con le mani in mano collaborando (forse molto più di una collaborazione) al film di Tonino Valerii Il mio nome è Nessuno dove però comparirà solo come Direttore esecutivo e con Damiano Damiani nel film Un genio, due compari, un pollo, girandone le scene iniziali.

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Il massacro dei rivoluzionari e dei peones

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La morte del figlio più piccolo di Miranda

Con Giù la testa finisce quindi la grande epopea del western all’italiana che Sergio Leone aveva imposto al mondo, creando dal nulla un nuovo modo di intendere il cinema e coniugando la qualità alla raffinatezza per un genere fino ad allora considerato di serie B.
Di questo film restano sequenze memorabili, che ho già citato, la strepitosa colonna sonora di Ennio Morricone con la stupenda Sean Sean e il rimpianto per l’addio di un maestro al cinema di frontiera che aveva permesso di scoprire un mondo e di creare il mito di personaggi che resteranno nella storia del cinema, sia che si parli di Tuco sia che si parli di Mortimer o di Biondo e Monco.
O che si parli di Miranda e Sean.

Giù la testa
Un film di Sergio Leone. Con Rod Steiger, James Coburn, Rick Battaglia, Romolo Valli, Maria Monti,Furio Meniconi, Stefano Oppedisano, Benito Stefanelli, Poldo Bendandi, Rosita Torosh, Franco Graziosi, Nazzareno Natale, Anthony Vernon, Giuliana Calandra, Antoine Saint-John, David Warbeck, Giulio Battiferri, Roy Bosier, Vivienne Chandler, Omar Bonaro, John Frederick, Amato Garbini
Western, durata 154 min. – Italia 1971.

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Sean, l’amico irlandese di John

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Il governatore Jaime

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Al centro della foto il bravissimo Romolo Valli

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Il manifesto con l’immagine del governatore Jaime

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Rod Steiger: Juan Miranda
James Coburn: John H. “Sean” Mallory
Romolo Valli: dottor Villega
Antoine Saint-John: colonnello Gunterreza
Franco Graziosi: governatore Jaime
Rick Battaglia: Santerna
David Warbeck: Sean Nolan
Vivienne Chandler: la fidanzata di John nei flashback
Maria Monti: Adelita (la donna nella diligenza)
Amato Garbini: poliziotto sul treno

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Regia Sergio Leone
Soggetto Sergio Leone, Sergio Donati
Sceneggiatura Sergio Leone, Sergio Donati, Luciano Vincenzoni
Produttore Fulvio Morsella
Fotografia Giuseppe Ruzzolini
Montaggio Nino Baragli
Effetti speciali Antonio Margheriti
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Andrea Crisanti
Costumi Franco Carretti
Trucco Amato Garbini

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Carlo Romano: Rod Steiger
Giuseppe Rinaldi: James Coburn
Anna Miserocchi: Maria Monti
Pino Locchi: Rick Battaglia
Franco Graziosi: Franco Graziosi
Romolo Valli: Romolo Valli
Sergio Tedesco: Antoine Saint-John

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Rivoluzione? Rivoluzione? Per favore, non parlarmi tu di rivoluzione. Lo so benissimo cosa sono e come cominciano: c’è qualcuno che sa leggere i libri che va da quelli che non sanno leggere i libri, che poi sono i poveracci, e gli dice Oh, oh …è venuto il momento di cambiare tutto… (…) Io lo so quello che dico, ci sono cresciuto in mezzo alle rivoluzioni… e la povera gente fa il cambiamento. E poi i più furbi di quelli che leggono i libri si siedono intorno a un tavolo e parlano, parlano. E mangiano. Parlano e mangiano! E intanto che fine ha fatto la povera gente? Tutti morti! Ecco la tua rivoluzione! Quindi per favore non parlarmi più di rivoluzione… E, porca troia, lo sai cosa succede dopo? Niente… tutto torna come prima!

Giù la testa, coglione.

Non possiamo andarcene, non dimenticare che tu adesso sei un grande eroe della rivoluzione!
Ehi, posso dirti una cosa?
Sì.
Vaffanculo!
Purtroppo avevi ragione tu, averlo nel culo fa male.

Il mio paese? Il mio paese siamo io e i miei figli.

Quando ho cominciato ad usare la dinamite, allora credevo anch’io in tante cose… in tutte, e ho finito per credere solo nella dinamite.
Volevi notizie della famiglia? Tutti figli miei, e tutti quanti di madre diversa. E questo è mio padre… dice lui. […] Adesso dimmi una cosa, ma tu lo sai fare un figlio? Ho detto lo sai fare un figlio? No, eh! Bene, rimediamo subito.
Dove c’è rivoluzione… c’è confusione… dove c’è confusione un uomo che sa ciò che vuole ci ha tutto da guadagnare.

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dicembre 24, 2011 Posted by | Western | , , , , , | 2 commenti

Le labbra proibite di Sumuru

La bellissima Sumuru ha creato clandestinamente un formidabile esercito composto esclusivamente da donne, con le quali ha ordito un piano ambizioso: sostituire tutti gli uomini al potere usando per neutralizzarli le armi della seduzione.
Per sventare i piani della affascinante virago vengono inviati due agenti, Nick West e Tommy Carter, incaricati delle indagini sull’uccisione di un influente uomo politico. Dopo una serie di traversie e grazie all’aiuto della bella Helga Martin riusciranno a fermare il piano criminoso.


Le labbra proibite di Sumuru, traduzione furbissima e molto libera del titolo originale inglese The Million Eyes of Sumuru è una curiosa mescolanza di generi che spaziano tra i film di James Bond alle storie tradizionali del genere spy condita furbescamente con un pizzico di sesso e una puntina di erotismo. Il personaggio della diabolica Sumuru venne creato da Sax Rohmer, che ne fece l’eroina di una serie di romanzi editi tra gli inizi e la metà degli anni 50.


Il film è girato e proiettato nel 1967, quindi è quanto di più osè possibile in quel momento storico, cioè presso che zero almeno alla luce di ciò che si vedrà in seguito, tuttavia ha un suo fascino che risiede in primis nella storia abbastanza innovativa in cui si intravede un proto femminismo ovviamente estremamente limitato e al servizio di un film di pura evasione.
Il regista canadese Lindsay Shonteff, praticamente conosciuto solo da alcuni eletti ed amanti del cinema di genere assembla un cast di un certo rilievo per mettere in scena un film che ha dalla sua un discreto ritmo e sopratutto uno stuolo di belle figliole impegnate a sedurre uomini di potere per arrivare a governare il mondo, il tutto con tanto di gonnelle e corpetti stretti oltre il limite fisico.
La bellissima e seducente Sumuru è interpretata da Shirley Eaton, attrice inglese abbastanza famosa negli anni 60 per aver interpretato una serie di film avventurosi e principalmente per aver interpretato la stupenda Jill Masterson in Agente 007 Missione Goldfinger.


Il ruolo di Sumuru verrà reinterpretato dalla Eaton due anni dopo, nel remake omonimo diretto da Jesus Franco che utilizzerà anche Maria Rohm (sua beniamina) che aveva fatto parte del film originale nel ruolo di Helga Martin.
Le labbra proibite di Sumuru è quindi una variante degli action movie e delle spy story, così come il personaggio principale è una specie di prologo a quello di Fu Manchu (personaggio creato sempre da Sax Rohmer) che difatti sarà il film successivo realizzato dalla Eaton diretta da Franco al fianco di Christopher Lee.


Un film decisamente curioso, in cui tutti i ruoli classici delle spy story vengono ribaltati; in una delle scene iniziali che sembra trascinata di peso da un film di James Bond si vede la bellissima Sumuru assistere indifferente ad una presa mortale di una sua adepta nei confronti di un orientale, quasi strangolato da una mossa di judo e inquadrato per due lunghissimi minuti, mentre le splendide “guerriere” di Sumuru assistono tutte impeccabili e senza un capello fuori posto nella loro uniforme gialla che arriva a lasciar scoperte le natiche.


Che il film rifaccia il verso agli 007 appare chiaro dopo qualche decina di minuti; dall’assassinio di una giovane ragazza, affogata da Sumuru e due adepte al finale convulso, tutto sembra essere un tributo alle gesta dell’agente segreto creato da Fleming.
Con una differenza non da poco, costituita purtroppo dall’inconsistenza interpretativa di Frankie Avalon e di George Nader che interpretano malissimo rispettivamente gli agenti Carter e West; molto meglio il cast femminile nel quale spiccano le citate Eaton e Rohm, con un piccolo ruolo affidato all’affascinante Krista Nell.
Nel film compare anche un insolitamente allegro Klaus Kinskj nel ruolo del Presidente Boong; un film tutto sommato passabile quanto meno per il parterre, davvero lussuoso di bellezze in vetrina e giocato su un ritmo tutto sommato decente.


Dopo quasi 45 anni è uscita una versione digitale del film, che consiglio principalmente perchè estremamente colorata: il film è un trionfo di abiti e mezzi, di elettrodomestici e oggetto d’uso comune negli anni sessanta oltre che essere una sfilata di acconciature oggi assolutamente improponibile.
Se la trama non vi interessa più di tanto, potete sempre guardare il film con gli occhi di un documentarista.
Le labbra proibite di Sumurù
Un film di Lindsay Shonteff. Con Klaus Kinski, George Nader, Shirley Eaton, Frankie Avalon, Maria Holm, Wilfrid Hyde-White, Patti Chandler, Salli Sachse, Ursula Rank, Krista Nell, Maria Rohm, Paul Chang, Essie Huang, Jon Fong, Denise Davreux, Mary Cheng, Jill Hamilton, Louise Lee, Lisa Gray, Christine Luk, Margaret Cheung Titolo originale Sumurù. Avventura, durata 85 min. – USA, Gran Bretagna 1967.

Shirley Eaton … Su-muru
Frankie Avalon … Agente Tommy Carter
George Nader … Agenet Nick West
Wilfrid Hyde-White .Colonello Anthony Baisbrook
Klaus Kinski … Presidente Boong
Patti Chandler … Louise
Salli Sachse … Mikki
Ursula Rank … Erno
Krista Nell … Zoe
Maria Rohm … Helga Martin
Paul Chang … Ispettore Koo
Essie Huang … Kitty
Jon Fong … Colonello Medika
Denise Davreux … Guardia personale di Sumuru
Mary Cheng … Guardia personale di Sumuru

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dicembre 22, 2011 Posted by | Avventura | , , , , | Lascia un commento

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Carla Moran è una donna dal passato sentimentale molto tormentato; ha avuto tre figli da due legami differenti.
Il primo marito è morto per le conseguenze di un incidente lasciandola sola con un figlio, Billy; in seguito la donna si è legata ad un uomo molto più grande di lei, unione dalla quale sono nate Julie e Kim prima che l’uomo abbandonasse la famiglia.
Coraggiosamente la donna reagisce riuscendo comunque a mantenere dignitosamente la sua famiglia con il lavoro.
Ma una sera mentre rientra a casa Carla viene aggredita da un qualcosa di apparentemente incorporeo e invisibile ma che in realtà ha una fisicità reale, tant’è vero che la donna viene brutalmente stuprata.

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La bravissima Barbara Hershey interpreta Carla

E’ l’inizio di una serie di incidenti e avvenimenti inesplicabili, vista l’apparente mancanza di struttura fisica di quella che sembra essere un’entità maligna; per Carla ha inizio una vicenda complessa, perchè la donna, se da un lato è terrorizzata dagli avvenimenti, dall’altro sembra quasi appagata fisicamente dalla brutale aggressione.
Carla è quindi naturalmente scossa ma per sua fortuna ha un carattere forte; decide di rivolgersi al dottor Phil Sneiderman, uno psichiatra al quale racconta quanto le sta capitando.

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I segni della brutale aggressione

L’uomo non solo non crede al racconto di Carla, ma la convince di essere preda di fantasmi creati dalla mente, auto punitivi e auto creati a livello inconscio per “castigare” il proprio comportamento nella vita passata; il fatto che la donna confessi di aver avuto un orgasmo durante la violenza rafforza la teoria del dottore sulla natura sessuale inconscia della vicenda.
Naturalmente non è così e gli attacchi continuano e ad uno di essi assistono sia suo figlio Bill sia il suo nuovo compagno che vede Carla posseduta dalla misteriosa entità, la quale lo colpisce anche con estrema violenza.
A questo punto Carla si rivolge ad un’equipe di scienziati e psicologi che capiscono di trovarsi di fronte ad un caso senza precedenti; Carla viene così convinta a vivere in una specie di reality show, con la sua vita spiata costantemente da telecamere.

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Carla sta per essere aggredita

Gli scienziati ricreano anche una stanza nella quale viene piazzato un grande serbatoio pieno di elio liquido che nelle intenzioni del team dovrebbe servire a congelare la misteriosa entità che deve comunque avere una massa fisica visto che riesce a colpire “fisicamente” la sua vittima.
Ma l’espediente fallisce anche se dimostra in maniera inequivocabile che Carla è realmente perseguitata da qualcosa che non è otticamente visibile.
Sarà Carla a sbrogliare coraggiosamente la matassa, urlando contro l’entità che comunque non si sarebbe mai piegata alla paura e che anzi avrebbe combattuto d’ora in poi una battaglia solitaria.
Il film chiude con una didascalia che informa lo spettatore che Carla continuò ad essere perseguitata dalla misteriosa entità, anche se solo occasionalmente.

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Il compagno di Carla tenta di allontanare la malefica entità

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Tratto dal romanzo omonimo di Frank De Felitta edito nel 1978,  The Entity diretto da Sidney J. Furie è un thriller paranormale di eccellente fattura e di robusto impianto.
Ispirato ad una storia realmente accaduta, il film mostra con tensione e ritmo la serie di terrificanti avvenimenti che la sventurata Carla Moran si trova a dover affrontare all’improvviso, senza una logica o senza una minima avvisaglia che riporti ad un evento logico accaduto nel passato della donna.
L’entità violenta e stupratrice rimane senza forma, senza volto e senza sostanza; è annunciata al momento dell’azione da un martellare in crescendo che dona alle scene un fortissimo senso di angoscia che porta lo spettatore ad essere coinvolto materialmente in quello che accade.
Grazie alla superba prova di  Barbara Hershey che interpreta Carla Moran allo spettatore sembra di essere presente sulla scena, di poter quasi sentire il respiro affannoso dell’entità, la sua violenza cieca e selvaggia quasi fosse praticata sul proprio, di corpo.

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La tensione rimane altissima per larga parte del film assieme al senso profondo di gelo che accompagna la sventurata Carla quando cerca inutilmente di parlare con la scienza ufficiale, rappresentata dal dottor Phil Sneiderman. Una scienza troppo positiva, che rifiuta a priori la possibilità che il racconto di Carla possa effettivamente contenere del vero e non essere parto di una mente sofferente.
E’ invece la scienza alternativa, quella più aperta a tutte le possibilità a risolvere in qualche modo l’enigma, anche se non con una vittoria.
Gli scienziati che tenteranno inutilmente di bloccare l’entità dimostreranno comunque che Carla non solo non è pazza ma che è preda di un autentico spirito incorporeo malvagio.
L’entità non sarà sconfitta ma sarà quanto meno ridimensionata dal coraggio sovrumano della donna qualunque, quella Carla che rifiuterà a priori di cedere senza combattere.
Sidney J. Furie, autore negli anni sessanta dell’ottimo Ipcress crea una riduzione dal romanzo di De Felitta rigorosa e quasi identica nella trama, con l’unica differenza che mentre nel romanzo le entità sono tre, una che fa da capo e due che eseguono gli ordini ,nel film come abbiamo visto l’entità è una sola.

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L’entità arriva…

Un’entità che non parla, che agisce fulmineamente e che sembra provare particolare piacere nello stupro, un’entità che comunque alla fine non uscirà sconfitta ma soltanto ridimensionata e non di certo per merito della scienza ma soltanto perchè il coraggio di Carla è di gran lunga superiore alla paura che l’entità stessa ispira.
Il film sembra quasi un documentario dark, che mostra da un lato il coraggio e la forza di una donna eccezionale e dall’altro l’invisibile e incognito, una realtà sovrannaturale contro la quale non c’è alcuna possibilità di vittoria.
Se nei film con protagonista il maligno, come il celebre L’esorcista siamo di fronte a qualcosa di tenebroso ma vulnerabile (la forza della fede, l’esorcismo tout court, la preghiera) in Entity c’è una presenza oscura assolutamente invulnerabile, che tra l’altro agisce senza alcuna razionalità, preda solo di istinti apparentemente primordiali.
Una lotta quindi impari.
De Fellitta, l’autore del romanzo da cui è tratto il film, si ispirò alle vicende vere accadute ad una donna , Doris Bither che all’epoca dei fatti viveva in California nel piccolo centro di Culver City il cui caso venne seguito da due ricercatori, i dottori Kerry Gaynor e Barry Taff che per dieci settimane seguirono la donna e che si convinsero che quanto da lei raccontato non era affatto frutto della fantasia. Lo stesso De Fellitta fu presente durante la serie di esperimenti condotti dai due dottori e fu presente quando venne scattata la celebre foto dell’arco di luce sospeso nell’aria.

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Entity è un film molto affascinante, che gioca con una delle paure più difficilmente controllabili dalla mente umana, la paura del sopranaturale e dell’inconscio.
Sono i fantasmi ancestrali che più temiamo, perchè non razionalizzabili.
Un film decisamente riuscito, perchè crea atmosfera, è ben recitato e ha quindi tutti gli ingredienti per tener avvinto sulla poltrona lo spettatore.

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Un film di Sidney J. Furie. Con Barbara Hershey, Ron Silver, David Labiosa Titolo originale The Entity. Psicologico, durata 125 min. – USA 1981.

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Barbara Hershey: Carla Moran
Ron Silver: Phil Sneiderman
David Labiosa: Billy
George Coe: Dr. Weber
Margaret Blye: Cindy Nash
Jacqueline Brookes: Dr. Cooley
Richard Brestoff: Gene Kraft
Michael Alldredge: George Nash
Raymond Singer: Joe Mehan
Allan Rich: Dr. Walcott
Natasha Ryan: Julie
Melanie Gaffin: Kim

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Regia     Sidney J. Furie
Soggetto     dal romanzo di Frank De Felitta
Sceneggiatura     Frank De Felitta
Produttore     Harold Schneider
Fotografia     Stephen H. Burum
Montaggio     Frank J. Urioste
Musiche     Charles Bernstein

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Livia Giampalmo: Carla Moran
Mario Cordova: Phil Sneiderman
Angiolina Quinterno: Cindy Nash
Isa Bellini: Dr. Cooley

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Le recensioni appartengono al sito http://www.davinotti.com

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Nonostante la premessa del film rischi di sembrare involontariamente ridicola (lo spettro stupratore o molestatore), bisogna ammettere che il regista Furie riesce a realizzare una pellicola che mantiene un certo livello di tensione, specie nella proma parte ma che soffre purtroppo (vista l’indiscussa esiguità della trama) di una certa ripetitività. Molto brava la protagonista.

Il tema è quello della possessione… E che possessione, quando si tratta del corpo di Barbara Hershey (la “sposa” -per un breve periodo- di Bill/David Carradine). Ma la paura qui è traslata sul piano dell’erotismo e i fantasmi, più che giungere da occulte dimensioni, sono il parto della mente (frenetica ed erotica) della protagonista: infatti Carla (la Hershey appunto) viene aggredita nottetempo da una “entità” che le provoca violenza carnale. Celebre il corpo toccato (plasmato) dalle mani del maligno quanto malizioso spettro…

Tra dramma e thriller venato di paranormale, Furie firma un discreto film di genere anni Ottanta. La tensione non manca ma è in parte smorzata da una sceneggiatura con qualche verbosità di troppo e di conseguenza da una durata eccessiva (due ore piene). A patire è soprattutto la parte finale. La scelta di parlare anche il vissuto della donna fa smarcare parzialmente la pellicola dalla “semplicità” di genere. Sforbiciato e con meno chiacchere sarebbe stato migliore, eppure non manca di interesse e di fascino.

La sceneggiatura è basata su un romanzo di Frank de Felitta a sua volta fondato, cosi pare, su una vicenda reale. Il limite del film risiede nella ripetitività delle situazioni, si narrano infatti dei continui e ripetuti assalti sessuali subiti da una giovane donna da parte di una non meglio identificata “entità”. Quello che invece convince è la grandissima interpretazione di Barbara Hershey nella parte della vittima di tali aggressioni. Sidney J. Furie dirige con mano sicura una pellicola che merita comunque una visione.
Dignitoso dramma paranormale che vede la bella Barbara Hershey madre single vittima di un’entità che la tormenta con continui abusi sessuali. Il film, tratto da un fatto di cronaca accaduto nel 1976 in California, alterna momenti di tensione abbastanza convincenti a lunghi dialoghi che diluiscono un po’ la narrazione portandola alla considerevole durata di due ore. Resta, a molti anni di distanza, un buon esempio di cinema del paranormale che in certi momenti ricorda un po’ il celebre Poltergeist.

All’epoca, l’unico spettro che avesse abusato sessualmente di una vivente, che io ricordi, era quello che si ripassò Pamela Franklin in Dopo la vita (1973), fra l’altro mentendole per riuscirci. Dunque assistere ai davvero “realistici” amplessi (parzialmente “invisibili”, perché l’entità non si vede e noi vediamo soltanto la Hershey che… ehm, “subisce” i bestiali assalti dell’arrapata entità…) ci fece un certo effetto, anche eccitante, perché non ammetterlo. Buona la prima parte, noiosissima la seconda.

Uno dei miei film del cuore. Definirlo horror è assai riduttivo: una scioccante derivazione della ghost story, mixata con la parapsicologia. La Hershey è a dir poco straordinaria (nonchè al massimo del suo splendore) e i continui attacchi dell’entità invisibile sul suo corpo restano nella memoria. Ottima la musica di Charles Bernstein sempre in crescendo e martellante e straordinaria regia di Furie, che non raggiungerà mai più questi livelli. Insieme all’Esorcista, uno dei rari film che scava nell’orrore quotidiano. Plauso per Ron Silver.

Tramite un modus narrandi molto lento, costruito a tappe, che si risolve dell’epifanico finale, questo Entity riesce nella sfida di farci stare incollati allo schermo per 2 ore. E gia questo è un buon biglietto da visita, per un film paranormale che non presenta grossissimi difetti o lacune clamorose. Per gli amanti del paranormale, visione quasi forzata.

Culto personale amatissimo, Entity è fortunatamente un poco catalogabile oggetto filmico: con un’irriducibile vocazione realistica (lo sceneggiatore De Felitta trae il soggetto da una storia accaduta), spazia dallo psico-thriller al dramma familiare, senza farsi mancare profonde venature (h)orrorifiche. Furie (al suo miglior film) gira come Polanski ma senza concedere manco un ghignetto, ne deriva un’atmosfera satura e irrespirabile come l’odore dell’entità. Barbara Hershey è fantastica nel rendere in corpore viri le sfumature della “posseduta”. Lunghetto.

La cose più interessanti di questo discreto horror diretto dallo scafato Sidney J. Furie sono gli attacchi e le conseguenti violenze carnali che subisce una splendida Barbara Hershey (sicuramente non lasciano indifferenti noi maschietti). Gli effetti speciali sono ridotti al minimo e fanno tutto sommato il loro lavoro. L’ultima parte del film però è debole e il finale brutto e un po’ ridicolo. Comunque sia una visione la merita.

A differenza di altri film del genere ‘possessioni diaboliche’, questo parte da una storia vera (come si legge sui titoli di coda). L’elemento fantastico-orrorifico (alla Poltergeist per intenderci) viene messo da parte per raccontare la vicenda della posseduta Carla Moran nel modo più realistico possibile concentrandosi sulla sua fragile psicologia di donna dall’infanzia terribile. La Hershey poi sembra sul serio terrorizzata e i suoi sguardi sono la cosa più efficace, anche più degli effetti.

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La foto scattata durante l’esperimento condotto alla presenza di Doris Bither

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La copertina del libro di De Felitta

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dicembre 19, 2011 Posted by | Drammatico | , | Lascia un commento

Eyes wide shut

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Con Eyes wide shut si conclude la carriera cinematografica di Stanley Kubrick.
Il regista di New York naturalizzato inglese dirige il suo tredicesimo e ultimo film che uscirà postumo nel 1999, dopo peripezie durate due anni e una serie interminabile di correzioni apportate dal regista, maniacale come pochi, perfezionista come nessuno.
Quando Kubrick dirige Eyes wide shut sono passati ben dodici anni da Full metal jacket, uno dei capolavori e pietra miliare del cinema pacifista; questa volta Kubrick sceglie di adattare cinematograficamente il romanzo Doppio Sogno (titolo originale tedesco Traumnovelle) di Arthur Schnitzler, scritto nel 1925 ma uscito l’anno dopo in una Germania ormai sotto la cupa e minacciosa dittatura nazista.
Era un vecchio pallino di Kubrick, il romanzo di Schnitzler sin dall’epoca dell’uscita sugli schermi di Arancia meccanica, il film più rivoluzionario di Kubrick e probabilmente quello che più di tutti incarna la sua voglia di sperimentazione, di denuncia, di accettazione e di studio di una società immaginata da Burgess (autore del testo originale A clockwork orange) come votata all’autodistruzione.
Questa volta Kubrick decide di indagare l’inconscio e l’onirico, attraverso un percorso irto di ostacoli nei meandri della mente umana tra coscienza e accettazione della stessa, tra sessualità inespressa e il suo esatto opposto.
Kubrick porta a compimento quindi un lungo cammino, nel corso del quale ha esplorato tutti i confini dell’uomo attraverso il suo rapporto con l’infinito e l’incognito in 2001 Odissea nello spazio, il suo ruolo nella società visto attraverso la violenza che possiede a livello latente e il rapporto con il potere in Arancia meccanica, la follia anch’essa latente che può albergare nella mente umana con contorno di onirico e paranormale in Shining e infine la violenza dura e cruda della guerra, quella che annichilisce anche quello che c’è di buono nell’animo umano di Full metal jacket ( e di Orizzonti di gloria).

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Nicole Kidman e Tom Cruise

E’ un’analisi per forza di cose estremamente sommaria e superficiale, questa: non si può di certo ridurre l’opera di uno dei più grandi cineasti di sempre a stereotipi condensati con due aggettivi, ma serve per introdurre l’elemento nuovo che Kubrick porta con questo film.
Questo elemento è un viaggio all’interno del sesso, forse la molla più grande e allo stesso tempo la cosa più intima che l’uomo possegga a livello istintivo ma non solo; il sesso è anche una questione di cervello, è un mistero ed  è al tempo stesso un pianeta inesplorato come l’universo di 2001 Odissea nello spazio, nonostante il gran parlare e la sovra esposizione di cui gode l’argomento.
In Eyes wide shut assistiamo alla messa in scena di uno stato dell’essere umano profondo e a tratti inesplorato, almeno a livello personale per molti esseri umani; quali sono gli anelli di congiunzione della sessualità, quali siano le molle che la spingano e cosa siano il fascino indicibile di tutto ciò che riguarda il sesso finiscono sotto la lente di ingrandimento di Kubrick che però deve fare i conti anche con il libro che ha adattato per fare il suo film.
Lui modifica, manipola crea e distrugge, rifà e rifà mille volte, sempre ossessionato dal suo perfezionismo, quello stesso perfezionismo che lo porterà a girare  per ben due settimane la stessa scena, quella dell’acquisto di un giornale (come raccontato dal suo assistente Emilio D’Alessandro) e quando alla fine gira l’ultimo ciak ecco che la morte lo coglie nel sonno il 7 marzo 1999, all’età di settant’anni.
La sua morte ci priva di alcune risposte, lasciandoci dubbi e incertezze, gli stessi e le stesse che prova lo spettatore che si mmerge nei 159 minuti del film.
Sono tanti i dubbi, sono tante le sequenze oscure, sono tanti i riferimenti onirici che alla fine ci si smarrisce quasi in presenza di un labirinto costruito appositamente senza uscite.
O forse l’uscita c’è, ma non è visibile e rimane solo nelle intenzioni del regista.

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Kubrick racconta le storie parallele e allo stesso tempo intersecate, convergenti di  William “Bill” Harford, un medico ricco e benestante e di sua moglie Alice; i due sono ovviamente universi a se stanti, ognuno di essi vive la propria esistenza in maniera indipendente e autonoma fino a quando come coppia devono integrarsi attraverso i complessi meccanismi dell’amore e infine del sesso.
Bill è il primo dei due a sperimentare i desideri inconsci dell’eros, quella sessualità che sembra muovere l’umanità come molla fondamentale all’essere.
Passa attraverso l’incontro con due ragazze che lo abbordano ad una festa alla dichiarazione d’amore della figlia di un suo paziente, dall’incontro con una prostituta con la quale però non consuma alla celebre orgia nel corso della quale assiste ad un’altra messa in pratica del sesso, quella che toglie qualsiasi coinvolgimento emotivo se non quello legato ai sensi e al loro appagamento.
Una vera e propria ginnastica da camera, in cui il sesso è praticato un po come le flessioni per gli addominali: non c’è amore, non c’è un briciolo di qualsiasi sentimento perchè tutto si riduce ad un atto meccanico e gratificante solo nell’istante in cui viene praticato.

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Queste esperienze porteranno Bill ad una maggiore consapevolezza dei misteriosi meccanismi che regolano il sesso, anche se c’è da dubitare che lo stesso Bill sia avviato ad una piena consapevolezza di cosa in realtà sia il sesso.
Sua moglie Alice vive invece una situazione diversa.
L’unione matrimoniale con Bill sembra solida, eppure al ballo lei si lascia corteggiare da un misterioso e affascinante uomo ungherese fino a lasciarlo quando il gioco sembra diventare troppo pericoloso.
Quando ne parlerà con suo marito, gli confesserà di averlo tradito anche se solo in sogno con un giovane ufficiale della Marina; per Bill è un’altra tappa sul cammino della conoscenza anche se è ancora troppo confuso per mettere a fuoco la portata di ciò che gli ha rivelato la moglie.
Anche sua moglie ha pulsioni sessuali derivanti da fantasie più o meno consce; in fondo anche se profondamente diversi e culturalmente separati da secoli di disparità sociale, con la donna relegata in ruoli umilianti hanno in comune l’umanità.
Moglie o cortigiana, null’altro.

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La sorpresa di Bill nell’ascoltare la confessione della moglie risente proprio di questo retaggio culturale, che sembra quasi improntato nei geni e nel dna dell’uomo.
In fondo per quanto evoluto, l’essere umano non ha perso gli istinti primari dell’animale (il riferimento è alla celebre scena del gorilla che lancia l’osso verso il cielo in 2001 Odissea nello spazio); le nostre origini sono quelle e Bill è il prodotto di quell’evoluzione.
Vedremo Bill ancor più turbato sul finale del film, quando la moglie tornerà sull’argomento e rivelerà al marito di essere stata sul punto di cedere alle sue fantasie e di lasciare suo marito.
A questo punto il discorso di Kubrick si allarga e coinvolge non più soltanto la sfera intima del sesso, ma anche l’istituzione matrimonio, che è uno dei fondamenti della società.
Come è possibile conciliare il desiderio sessuale, le pulsioni del sesso con la relazione monogama di una vita? Come soddisfare il bisogno primario e istintivo del sesso quando si è scelto scientemente di dividere la propria vita con un’unica donna? E questo discorso può anche essere ribaltato dal punto di vista femminile, visto che i ruoli e i comportamenti degli umani in fondo variano solo in funzione di secoli di morale imposta.
Eyes wide shut porta con se tante domande, alcune difficilmente leggibili, alcune senza una risposta univoca, altre assolutamente enigmatiche.
Porta con se anche poche risposte, molte delle quali suggerite ma solo a livello di possibilità, non di certezza.
E’ insomma il Kubrick di sempre, che suggerisce ed esplora ma non si spinge fino a dare soluzioni, risposte.
Quando Bill incontra la prostituta, fa quello che l’uomo compie dalla notte dei tempi, ovvero esercita un potere che sembra essersi attribuito, quello cioè di poter disporre del corpo della donna; avere quindi una patente di possesso che ripristini una specie di legge della natura che vede l’uomo dominante e la donna succube.
Ma questa è la natura ( e solo fino ad un certo punto) del regno animale. Per l’uomo valgono altre leggi, codificate in secoli e secoli di evoluzione.

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Così Bill fugge senza aver consumato, forse perchè conscio di compiere un atto da uomo afflitto da problemi più che da uomo consapevole.
E questa chiamiamole morale finisce per essere esplicitata in diversi punti del film, con allegorie e messaggi subliminali che Kubrick si diverte a seminare.
Questo film è complesso, enigmatico, difficile e potrei continuare a lungo con altri aggettivi che però nulla aggiungerebbero al fascino estremo di una pellicola che il grande regista inglese consegna alla storia del cinema con tutto il suo carico pesantissimo di cose non dette.
Se devo esprimere un giudizio personalissimo, non inserirei Eyes wide shut nell’elenco delle cose migliori di Kubrick pur essendo lo standard qualitativo del film di assoluto livello.
Intendiamoci è solo una questione personale.

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Il film è raffinatissimo come fotografia, maniacale come ricerca e documentazione oltre che come rappresentazione visiva ma è anche terribilmente gelido e a tratti incomprensibile.
Occorre davvero tanta buona volontà per interpretare alcuni passaggi e c’è anche un problema grave legato al cast.
Se la scelta di Nicole Kidman come interprete del ruolo di Alice appare indovinata, convince assolutamente meno quella della scelta di Tom Cruise (all’epoca marito della Kidman) in quella di Bill.
Occorreva un attore meno hollywoodiano e più intimista, meno patinato e più “umano” per mostrare le mille sfaccettature di un personaggio così complesso che invece alla fine appare quasi impaludato.
Cruise è smarrito, non ha nelle sue corde la drammaticità del personaggio.
Stanley Kubrick in passato aveva già scommesso ( e vinto) quando si era affidato all’esordiente Malcom Mc Dowell per il ruolo di Alex nell’Arancia meccanica o a Ryan O’Neal per quello di Barry nel suo splendido Barry Lindon.
Qua le cose cambiano e la recitazione di Cruise fa calare il risultato finale. Intendiamoci, niente di drammatico o irreparabile, pure l’attore di Syracuse rappresenta il classico granello di polvere nell’ingranaggio perfetto.
In quanto al resto del film, in ordine sparso citerei alcune delle critiche che sono state mosse al film, molte delle quali assolutamente pretestuose.

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La più comune è quella di aver decretato il successo del film a priori, quasi che Kubrick fosse in grado di produrre capolavori a scatola chiusa, una sorta di beatificazione anticipata del grande regista.
In realtà chi amava e ama Kubrick sa che le chiavi di lettura dei suoi film sono talmente tante che anche in visioni successive delle sue opere si finisce per gustare un particolare, anche un solo fotogramma che esplica il suo straordinario talento visivo. La cura ossessiva dei dettagli e della fotografia sono anche in questo film uno dei punti di forza dello stesso, così come avvolgente e sinuosa è la colonna sonora che Kubrick utilizza, saccheggiando Liszt e Šostakovič ma non solo.
In quanto all’uso dell’erotismo, le critiche mosse sono addirittura ridicole; nel film di Kubrick il sesso è glaciale, mostrato solo in pose plastiche che esaltano il suo concetto di erotismo come “ginnastica da camera”.

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Identico il discorso della celebre orgia, nella quale c’è profusione di nudi che però tutto fanno tranne che eccitare la fantasia dello spettatore. Le attrici appaiono come lontanissime divinità dai corpi scultorei e marmorizzati, quasi non fossero creature umane ma sublimazioni di un’idea.
In definitiva Eyes wide shut è un lavoro affascinante e misterioso, stimolante e imperfetto, splendidamente affrescato quasi fosse un’opera di Michelangelo ed esaltato da una luminosità fotografica che è pari solo a quella di Barry Lindon.
Con questo film Kubrick ci lascia un’eredità fatta da 13 pellicole che in una ipotetica classifica dei primi cento film della storia del cinema sarebbero probabilmente tutte presenti.
Ci lascia anche il rammarico di non poter mai più vedere la realizzazione di uno dei suoi sogni, quel film su Napoleone che sicuramente avrebbe scritto un’altra pagina miliare della cinematografia mondiale.

Eyes Wide Shut
Un film di Stanley Kubrick. Con Nicole Kidman, Tom Cruise, Madison Eginton, Jackie Sawris, Sydney Pollack, Peter Benson, Todd Field, Michael Doven, Sky Dumont, Louise J. Taylor, Stewart Thorndike, Randall Paul, Julienne Davis, Lisa Leone, Kevin Connealy, Thomas Gibson, Jackie Sawiris, Leelee Sobieski, Rade Sherbedgia, Rade Serbedzija, Leslie Lowe, Marie Richardson, Vinessa Shaw, Alan Cumming Drammatico, durata 160 min. – Gran Bretagna, USA 1999

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Eyes wide shut banner personaggi

Tom Cruise: Dott. William “Bill” Harford
Nicole Kidman: Alice Harford
Sidney Pollack: Victor Ziegler
Todd Field: Nick Nightingale
Sky Dumont: Sandor Szavost
Marie Richardson: Marion
Vinessa Shaw: Domino
Fay Masterson: Sally
Leon Vitali: Ierofante rosso
Rade Šerbedžija: Sig. Milich
Leelee Sobieski: Figlia di Milich
Thomas Gibson: Prof. Carl Thomas
Alan Cumming: Portiere dell’albergo
Madison Eginton: Helena Harford
Jackie Sawiris: Roz
Leslie Lowe: Illona
Michael Doven: Segretario di Ziegler
Louise J. Taylor: Gayle
Stewart Thorndike: Nuala
Randall Paul: Harris
Julienne Davis: Amanda “Mandy” Curran
Lisa Leone: Lisa
Kevin Connealy: Lou Nathanson
Mariana Hewett: Rosa
Togo Igawa: Uomo giapponese

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Regia    Stanley Kubrick
Soggetto    da Doppio sogno di Arthur Schnitzler
Sceneggiatura    Stanley Kubrick, Frederic Raphael
Produttore    Stanley Kubrick
Fotografia    Larry Smith
Montaggio    Nigel Galt
Musiche    Jocelyn Pook
Scenografia    Leslie Tomkins
Roy Walker

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Massimo Popolizio: Dott. William “Bill” Harford
Gabriella Borri: Alice Harford
Marcello Tusco: Victor Ziegler
Mino Caprio: Nick Nightingale
Massimo Foschi: Sandor Szavost
Cristiana Lionello: Marion Nathanson
Claudia Balboni: Domino
Ilaria Stagni: Sally
Oreste Lionello: Ierofante rosso
Rade Šerbedžija: Sig. Milich
Francesco Vairano: Portiere dell’albergo
Armando Bandini: Uomo giapponese

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La colonna sonora:
György Ligeti, Musica ricercata No.II
Dmitrij Šostakovič, Waltz 2 from jazz Suite
Chris Isaak, Baby Did A Bad Bad Thing
Victor Silvester Orchestra, When I Fall In Love
Oscar Peterson Trio, I Got It Bad & That Ain’t Good
Jocelyn Pook, Naval Officer
Jocelyn Pook, The Dream
Jocelyn Pook, Masked Ball
Jocelyn Pook, Migrations
Roy Gerson, If I Had You
Peter Huges Orchestra, Strangers in the Night
Brad Mehldau, Blame It On My Youth
Franz Liszt, Nuages gris
György Ligeti, Musica ricercata No.II – reprise

Eyes wide shut banner citazioni

“Sa qual’è il vero fascino del matrimonio? È che rende l’inganno una necessità per le due parti”.
“C’è una cosa che dobbiamo fare. Scopare”
“Nessun sogno è mai soltanto un sogno”
“Dobbiamo ringraziare il destino. Ringraziarlo, per averci fatto uscire senza alcun danno, da tutte le nostre… “avventure”. Sia da quelle vere, che da quelle solo sognate.”
“Tu la chiami una finta, una sciarada. Ma ti spiace spiegarmi quale diavolo di sciarada finisce con qualcuno che muore davvero?”

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dicembre 17, 2011 Posted by | Capolavori | , , | Lascia un commento

Messe nere per le vergini svedesi

Messe nere per le vergini svedesi locandina

Le sorelle Christine e Betty rispondono ad un’inserzione di un’agenzia che cerca due fotomodelle per servizi fotografici.
Ma l’annuncio è una trappola e le due ragazze inglesi scopriranno ben presto che l’autore dello stesso altro non è che un adoratore di Satana che ha intenzione di sacrificarle al Maligno con l’aiuto di una signora lesbica e la compiacenza di un gruppo di seguaci del male.
Lieto fine.
Credo che questa sia la recensione più breve in assoluto che ci sia su questo blog, ma in effetti di Messe nere per le vergini svedesi, pellicola diretta da Ray Austin nel 1972 c’è da dire ben poco a livello di trama.
Il titolo ovviamente è fuorviante, in quanto allude a misteriose vergini svedesi che nella realtà non esistono in quanto le due ragazze sono inglesi; ma i distributori italiani dell’epoca ben sapevano che tutto ciò che ammiccava o alludeva alla Scandinavia portava nelle sale più spettatori, sopratutto quando nei titoli si ammiccava a presunte vergini o voglie o vizi.

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Ray Austin, regista inglese approdato poi felicemente al piccolo schermo dove ha diretto un nugolo di serie tv famosissime come Visitors, Highlander, Magnum PI, Zorro e la recente JAG – Avvocati in divisa gira un filmetto che strizza l’occhio all’horror satanico abbondantemente condito da sesso.
Sesso non di certo esplicito, ma illustrato attraverso intere sequenze in cui le due protagoniste ovvero le sorelle Christine e Betty interpretate rispettivamente da Ann Michelle e Vicki Michelle (sorelle anche nella realtà) girano senza veli in qualsiasi occasione.
E’ questa l’unica vera arma di un film piatto e senza guizzi, girato con l’evidente scopo di accalappiare un certo numero di spettatori con tendenze voyeuristiche.
Il “niente sesso siamo inglesi” è ancora una volta smentito clamorosamente da questa produzione che si rifà immancabilmente ai prodotti ben più degni della Hammer; l’Inghilterra confezionò per un certo periodo una mole enorme di filmetti a basso costo

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( e bassa qualità) infarciti di nudi a tutto spiano, roba insomma da far impallidire i nostrani decamerotici.
In Virgin witch, titolo originale del film, non c’è alcun elemento di interesse particolare: l’azione è molto limitata così come pure l’ambientazione horror.
Il film cerca di darsi una patente di opera sul paranormale, nel momento in cui attribuisce a Christine capacita’ psichiche attivate proprio durante il sabba, nel corso del quale perde la verginità ma acquisisce facoltà paranormali.
La storia regge davvero poco, anche perchè la sceneggiatura è molto approssimativa e sembra assemblata in pochi minuti; le due attrici mostrano uno splendido corpo non affiancato da pari doti recitative.

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Ann Michelle del resto finirà in produzioni di b movie dagli eloquenti titoli come Amori vizi e depravazioni di Justine, Spogliati… che poi ti sposo! ,Lady Chatterley junior mentre la sorella maggiore Vicky all’inizio seguirà la stessa strada (girerà il terrificante Lo stallone erotico ) per poi specializzarsi in serie Tv con lusinghiero successo, visto che è attiva ancora oggi.
Insomma, film di modestissime pretese che è passato completamente nel dimenticatoio per essere rispolverato qualche anno fa in edizione digitale che ha l’unico pregio di mostrare gli splendidi corpi delle protagoniste in tutto lo splendore del colore restaurato.

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Messe nere per le vergini svedesi
Un film di Ray Austin. Con Patricia Haines, Keith Buckley, Ann Michelle,Vicky Michelle Titolo originale Virgin Witch. Horror, durata 89 min. – Gran Bretagna 1971.

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Ann Michelle … Christine
Vicki Michelle … Betty
Keith Buckley … Johnny
Patricia Haines … Sybil Waite
James Chase … Peter
Paula Wright … La signora Wendell
Christopher Strain …Il lattaio
Esme Smythe … La cavallerizza
Garth Watkins … Il Colonello
Neil Hallett … Gerald Amberly
Helen Downing … Abby Darke
Peter Halliday … Il direttore del club

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Regia: Ray Austin
Sceneggiatura: Beryl Vertue
Produzione: Hazel Adair, Edward Brady,
Dennis Durack …. executive producer
Ralph Solomons …. producer
Kent Walton …. co-producer

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dicembre 16, 2011 Posted by | Horror | , , | 5 commenti

Cognome e nome: Lacombe Lucien

Cognome e nome Lacombe Lucien locandina

Nel giugno del 1944 la Francia è ancora occupata dall’esercito nazista.
Nel sud del paese, ai confini con la Spagna,vive il giovane Lucien che è figlio di un fattore fatto prigioniero dai tedeschi.
La madre del giovane è impegnata nella difficile gestione di una fattoria mentre Lucien  lavora come inserviente in una casa di riposo e vive praticamente lontano da casa.
Un giorno recatosi alla fattoria scopre che sua madre ha allacciato una relazione con il padrone della stessa e che la fattoria è piena di sfollati in fuga dalle zone di guerra.
Lucien è un ragazzo ignorante e primitivo che passa il tempo libero sognando di diventare un eroe e che si trastulla con fucile e fionda con i quali uccide poveri animaletti indifesi; non ha alcun ideale, vive in pratica in una sorta di rozza ignoranza che però non è priva di intelligenza.
Sempre alla ricerca di coronare il suo sogno segreto di diventare qualcuno, un eroe, decide di arruolarsi nelle formazioni partigiane ma viene respinto da Peyssac un membro locale delle formazioni combattenti per la libertà.

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Pierre Blaise e Aurore Clement

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I desideri di Lucien sono destinati ad essere esauditi ma in maniera diametralmente opposta; una sera, rientrato durante il coprifuoco viene fermato e arrestato dalla Gestapo che lo porta in un albergo dove assiste a scene di vita quotidiana degli occupanti, fatta di sfarzo e lusso e di orge.
Tra i partecipanti al festino c’è un gruppo variegato di collaborazionisti, gente che ha trovato il sistema per sfruttare a proprio vantaggio l’occupazione nazista; ci sono l’ex campione di ciclismo Aubert diventato uno straccio umano per colpa dell’alcool, il nobile Jean-Bernard de Voisins che è un altro opportunista che tenta di continuare a fare la bella vita con la sua amante, un simpatizzante nazista, un ex poliziotto e un uomo di colore.
Il gruppo fa bere il giovane Lucien che si ubriaca e fa il nome di Peyssac, il cui destino a quel punto è segnato.
L’uomo accusato di essere un partigiano viene arrestato e sottoposto a tortura mentre Lucien si fa coinvolgere in atti terribili; il giovane partecipa a rastrellamenti durante i quali arriva ad uccidere, sempre sobillato dai compagni che lo spingono sempre più verso l’alcolismo.

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Casualmente Lucien conosce Albert Horn, un sarto di origini ebree che è sfuggito ai rastrellamenti grazie ai soldi che paga al poliziotto che fa parte del gruppo collaborazionista.
L’uomo ha una figlia, France e per Lucien arriva l’amore contrastato però da Horn che non ha alcuna simpatia per il giovane.
France dal canto suo prova sentimenti contrastanti per Lucien.
Da un lato è infatuata, dall’altro lo teme sia per i suoi rapporti con i collaborazionisti e di conseguenza con i nazisti sia per il comportamento violento del giovane.
La situazione evolve in peggio e Horn alla fine viene arrestato, non prima però di aver rivendicato con orgoglio la sua nazionalità francese e la sua fede.
Lucien non interviene durante l’arresto, mentre nei giorni successivi i partigiani iniziano una forte controffensiva nel corso della quale vengono uccisi uno alla volta gli sciagurati compagni di avventura di Lucien.
Un gruppo di combattenti entra nell’albergo nel quale sono detenuti alcuni partigiani e Lucien si rende conto che il suo destino è ormai segnato: in un ultimo scatto di orgoglio uccide un tedesco che sta per arrestare sia France che sua nonna e fugge verso la Spagna con loro.
La didascalia finale ci informa sul suo destino….

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Diretto da Louis Malle nel 1974, Cognome e nome: Lacombe Lucien è uno splendido spaccato su una delle vicende più tristi della seconda guerra mondiale, un fenomeno che non fu certo solo francese ma esteso a tutti i paesi in guerra occupati dai nazisti, ovvero il collaborazionismo con le forze di occupazione.
Malle, che tre anni prima aveva girato un altro film scandalo, Soffio al cuore (Le Souffle Au Coeur) su un tema scottante come l’incesto, questa volta scava nella memoria storica francese andando a riprendere una delle pagine più oscure dell’occupazione nazista e mostrando al pubblico una storia in cui i protagonisti sono gente comune, anzi, quanto di più comune possa esistere.
A cominciare dal rozzo, ignorante e violento Lucien, che dalla sua ha l’unica scusante di essere un giovane non ancora diciottenne, ma furbo e scaltro. Uno che impara da subito qual’è la via migliore per ottenere quello che vuole e che non esita a uccidere, a tradire non solo per denaro ma per un’oscura voglia di emergere, di non essere una nullità.
Non a caso il suo sogno è impersonificato dall’eroe senza macchia e senza paura.

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Eppure finirà per fare scelte completamente diverse, anche se in qualche modo trascinato dagli avvenimenti.
Malle lo rappresenta senza mostrare alcuna simpatia o antipatia per il personaggio.
E’ una vittima delle circostanze oppure è un assassino latente? E’ un violento per natura oppure lo diventa perchè attorno a lui tutto parla il linguaggio della violenza?
Non lo sapremo, perchè anche il finale del film mantiene aperte più soluzioni; di certo Malle con la sua rappresentazione scarna e sintetica del personaggio di Lucien si attirò addosso un nugolo di critiche, la più benevola delle quali parlava di voluta ambiguità.
Il grande regista di Thumeries, lungi dal prendere posizione, si comporta come un entomologo che ha appena trovato un insetto e lo studia da vicino senza giudicare nè la sua bellezza nè le sue capacità: un insetto è un insetto, conta quello che fa, come vive e come vola, non conta certo se esteticamente è repellente oppure no.

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Può sembrare un paragone fuori posto eppure credo sia il più adatto alle circostanze.
Malle sa benissimo che ci sono dei nervi scoperti che pure a distanza di 50 anni mantengono aperte ferite mai rimarginate per cui si limita a mostrare una storia particolarmente odiosa, vera e reale senza però fare il giudice.
Lucien e i suoi amici sono farabutti della peggior specie che tradiscono e uccidono non per un ideale ma per bramosia di potere, per il superfluo e anche, cosa più importante, per trovare una rivincita nella vita.
Non a caso sono persone che hanno perso il lavoro, sono insoddisfatti, ubriaconi e violenti.
Dall’altro lato della barricata ci sono i partigiani e l’ebreo Horn, la debole e passiva France, gente che sa bene dov’è il male e da cosa è rappresentato.
Pure, Horn trova un compromesso tra la voglia di vivere e la sua religione, la sua “razza” e la necessità di nascondersi dietro un paravento per evitare di essere deportato. Non a caso accetta di pagare un collaborazionista pur di non essere scoperto. France è succube di Lucien, forse lo ama davvero nonostante il ragazzo sia tutto tranne che un esempio da seguire.
E alla fine si salverà grazie all’unico atto d’orgoglio e di onestà del giovane.
Quindi nel film non ci sono personaggi particolarmente positivi e questo forse ha inficiato il giudizio della critica.
Invece il film è davvero bello, teso e duro, abbellito da una fotografia preziosa opera di Tonino Delli Colli che mostra un contrasto stridente fra il bel paesaggio assolato del sud della Francia opposto alla narrazione di fatti abietti come quelli descritti nel film.

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Il cast lavora molto bene, in particolare la bella Aurore Clement che interpreta France Horn; l’attrice di Soissons esordisce così sullo schermo in maniera eccellente, eppure nella sua carriera non otterrà i riconoscimenti che avrebbe meritato. Per avere un’idea dei film nei quali è stata presente, cito L’Agnese va a morire, regia di Giuliano Montaldo oppure Caro Michele, regia di Mario Monicelli (1976),Caro papà, regia di Dino Risi (1979) o Paris, Texas, regia di Wim Wenders (1984) oltre alla partecipazione al capolavoro di Coppola Apocalipse now, dove la sua parte venne completamente tagliata in fase di montaggio.
Bene anche lo sfortunato Pierre Blaise, che purtroppo morirà a soli 23 anni nel 1975, subito dopo aver interpretato Per le antiche scale di Bolognini.
Da segnalare nel cast la presenza della veterana Ave Ninchi nel ruolo della proprietaria dell’hotel in cui si riunisce la Gestapo.

Cognome e nome: Lacombe Lucien è un gran film, che avrebbe meritato ben più della sola nomination all’Oscar del 1974; purtroppo ( o per fortuna) quell’anno in concorso c’era lo splendido Effetto notte di Truffaut che vinse se vogliamo con merito nella categoria Miglior film straniero.
Un film da riscoprire, per meditare e passare 2 ore davanti all’opera di un grande maestro della cinematografia mondiale.

Cognome e nome: Lacombe Lucien
Un film di Louis Malle. Con Ave Ninchi, Aurore Clément, Pierre Blaise, Holger Lawenadler, Thérèse Giehse,Donato Castellaneta Titolo originale Lacombe Lucien. Drammatico, durata 135 min. – Francia 1974.

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Pierre Blaise: Lucien Lacombe
Aurore Clément: France Horn
Holger Löwenadler: Albert Horn
Therese Giehse: Bella Horn, nonna di France
Stéphane Bouy: Jean-Bernard de Voisin
Loumi Iacobesco: Betty Beaulieu
René Bouloc: Stéphane Faure
Gilberte Rivet: madre di Lucien
Pierre Saintons: Hippolyte, il collaborazionista di colore
Ave Ninchi: Madame Georges, proprietaria dell’albergo

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Regia    Louis Malle
Soggetto    Louis Malle e Patrick Modiano
Fotografia    Tonino Delli Colli
Montaggio    Suzanne Baron
Musiche    Django Reinhardt
Scenografia    Ghislain Uhry

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Foto di scena del film

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dicembre 14, 2011 Posted by | Capolavori | , , , | Lascia un commento

La pelle di Satana

La pelle di Satana locandina

Siamo in Inghilterra, nel XVII secolo.
Ralph Gower sta lavorando nei campi e mentre ara si imbatte in uno strana parte di corpo, che non sembra essere umana e nemmeno animale.
L’uomo porta il macabro reperto a casa e da quel momento nella contea si verificano fatti raccapriccianti.
Una giovane donna inizia a dare segni di squilibrio mentale, mentre al suo fidanzato capita di peggio; mentre è su un giaciglio, vede spuntare al posto della sua mano una zampa con artigli pelosa e mostruosa.
L’uomo, sconvolto si amputa l’arto, mentre alcune persone vedono comparire sul loro corpo strane zone di pelle coperte di peli.
Accanto a questi avvenimenti si sviluppa parallelamente la vicenda di una splendida ragazza, Angela Blake, che trova nei boschi un artiglio mostruoso e da quel momento viene posseduta da uno spirito satanico.

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La ragazza inizia un’opera di reclutamento tra la popolazione locale, costringendo i neo adepti ad effettuare riti diabolici, in uno dei quali vengono sacrificati a Satana due ragazzi.
Dilaga la paura e a farne le spese è una giovane innocente, Margareth che viene gettata in un fiume dal quale viene salvata in extremis proprio dal contadino Gower.
Intanto in paese arriva un magistrato dai metodi spicci e dalla mente aperta, che grazie alla collaborazione di Margareth che non era poi così innocente come si pensava, identifica il luogo dove avvengono le cerimonie e con l’aiuto dei paesani spezza il sortilegio….
La pelle di Satana (Satan skin o anche Blood on Satan ’s Claw) è uno dei tanti horror britannici nati sulla falsariga dei prodotti Hammer, la gloriosa casa di produzione britannica che proprio in quegli anni presentava la famosa “trilogia dei Karnstein”, composta dai tre film Vampiri amanti (The Vampire Lovers) (1970), Mircalla, l’amante immortale (Lust for a Vampire) (1971) e Le figlie di Dracula (Twins of Evil) (1972).

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La celebre sequenza in cui Angel si spoglia davanti al sacerdote

Un horror con una sceneggiatura abbastanza esile ma con uno scorrimento agile e interessante, strutturato come un gotico medioevale (bella la ricostruzione del paese in cui si succedono gli eventi) e con un pizzico di erotismo.

Memorabile la scena che lanciò la splendida protagonista Linda Hayden che compare completamente nuda davanti al prete del villaggio; Linda, che in seguito farà una discreta carriera specializzandosi in serie tv appare in tutta la sua sfolgorante bellezza e convince anche per la sua aria angelica, opposta al personaggio diabolico interpretato.
Qualche scena è ben congegnata, come quella iniziale del ritrovamento del pezzo anatomico che darà il via al diabolico sortilegio o la scena dello stupro della ragazza nei boschi o ancora la sequenza finale che vede protagonista il magistrato che riesce a spezzare l’incantesimo.

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A convincere di più è proprio l’ambientazione, con un paese che sembra preso di peso dalle leggende nere inglesi, preda di superstizioni e paure irrazionali, ma che in questo caso si rivelano abbastanza fondate.

Un film onesto, senza grosse ambizioni ma anche senza grosse sbavature.

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Un film di Piers Haggard. Con Linda Hayden, Patrick Wymark, Barry Andrews Titolo originale Blood on Satan ’s Claw. Horror, durata 96 min. – Gran Bretagna 1970.

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Patrick Wymark … Il giudice
Linda Hayden … Angel Blake
Barry Andrews … Ralph Gower
Michele Dotrice … Margaret
Wendy Padbury … Cathy Vespers
Anthony Ainley … Reverendo Fallowfield
Charlotte Mitchell … Ellen Vespers
Tamara Ustinov … Rosalind Barton
Simon Williams … Peter Edmonton
James Hayter … Middleton
Howard Goorney … Il dottore
Avice Landone … Isobel Banham
Robin Davies … Mark Vespers

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Regia: Piers Haggard
Sceneggiatura: Robert Wynne-Simmons, Piers Haggard
Produzione: Peter L. Andrews, Malcolm Heyworth, Tony Tenser
Musiche: Marc Wilkinson
Editing:Richard Best
Casting: Weston Drury Jr.
Direzione artistica: Arnold Chapkis

 

Pellicola di stampo “satanico” realizzata nel perfetto english style. Il clima perturbante è garantito dalla bellezza (un tantino inquietante) della sublime Linda Hayden, divenuta vestale del Demonio a seguito del rinvenimento d’un insolito artiglio. La maledizione è cagionata da oggetti infernali, sparsi qua e là (l’incipit con il pezzo anatomico parte umano, parte bestiale). Un contandino, con l’aiuto d’un magistrato, porrà fine alla mefistofelica concatenazione d’atti sanguinari. La scarsità degli effetti speciali limita il risultato finale.

Non male questo horror satanico con alcuni personaggi ben costruiti (il giudice scettico, il dottore, che fa solo salassi, legato ai miti e alle leggende popolari con annesso libro illustrato, Angela, di nome ma non di fatto e il povero prete, che vede diminuire sempre più le sue giovani pecorelle). Certo, il ritmo è quel che è, la datazione si sente, facendo fare qua e là qualche sorriso (Angela posseduta con sopracciglia alla Bergomi), ma tra un “gioco”, una sparizione e il diavolo che, più che lo zampino, ci mette gli artigli, ci si può accontentare, grazie anche a una recitazione decente.
Gotico rurale britannico immerso in un clima claustrofobico di bigottismo e peccato ove a provocare orrore non sono tanto gli artigli della pelosa Bestia disseppellita, quanto il gruppo di ragazzini – di qui l’aggancio con film passati e futuri è immediato – da essa reso diabolico e sanguinario; e, per di più, la loro sacerdotessa è una bionda fanciulla dal nome ingannevole (Angela) e dall’impressionante sguardo lubrico… La missione di sconfiggere il Maligno brandendo la spada della Fede è compiuta da un implacabile Wymark, figura ibrida fra un Grande Inquisitore, un esorcista e Van Helsing.
Discreto horror britannico che a tratti ricorda il successivo e ben più riuscito The wicker man, in cui il regista riesce a descrivere con efficacia un clima che diventa sempre più allucinato ed inquietante col procedere della storia. Finale un po’ troppo affrettato. Per l’epoca abbastanza forte. Godibile.

Ottimo horror inglese targato TIGON, che conta su un Wymark in perfetta forma e una raggiante Linda Hayden, con una non indifferente carica erotica (come nella scena in cui cerca di sedurre il prete) e tensione costante. Ottime fotografia e musica. Soltanto il make-up della creatura lascia un pochino delusi, ma si può anche sorvolare.
Opera che intriga con l’atmosfera rurale, i personaggi ben amalgamati e quelle forti pennellate di sex and demons date qua e là. Allo stesso tempo è un po’ lentina e legnosa nella regia. Altro punto double-face sono le musiche, che all’inizio mi sembravano invadenti e senza uno stile preciso. Alla fine invece il leitmotiv composto da Marc Wilkinson mi è veramente entrato dentro e vale mezzo punto in più.

Horror gotico/satanico non certo memorabile, ma non privo di qualche pregio (l’atmosfera, la prestazione di alcuni attori) e girato con una certa professionalità. Il mood generale riporta ai classici dell’horror british, per cui il film potrà piacere ai cultori del (sotto) genere; personalmente ho però trovato lo svolgimento decisamente catatonico e poco coinvolgente, oltre ad una sceneggiatura non propriamente solida e ad effetti speciali a dir poco caserecci. In definitiva, un B-movie solo per appassionati; invecchiato abbastanza male.

Il film inizia in sordina, quasi una fiaba scura, ma poi l’indirizzo cambia. Dopo il nudo integrale di Angela di fronte all’incorruttibile sacerdote, la pellicola assume un morboso connotato allo zolfo. La setta di Belzebù persevera la sua opera con lo stupro di una dannata, perpetrato in un palcoscenico inquietante e sotto lo sguardo perverso di vecchi e ragazzi, sani e malati. La furia purificatrice si esalta nella sfida alle pratiche magiche delle streghe e del loro padrone. I segni sono parte della bestia ed alla fine la verità verrà mostrata!

Echi polanskiani in particolare da Rosemary’s baby, un’ambientazione particolarmente azzeccata, quella delle campagne inglesi e l’adorazione del diavolo, alla base di questa pellicola, omaggio al maligno. Molti altri gli spunti interessanti, tra questi la ricostruzione scenica e una prima attrice perfetta nel suo ruolo. Un film da annoverare di diritto tra le opere sataniste. Le streghe ti daranno il benvenuto.

In un villaggio inglese per caso viene scoperto il cadavere di un essere che si ritiene di Satana. Da allora vengono commessi rituali di magia nera con tanto di sacrifici umani, mentre il “contagio” diabolico si espande sugli abitanti, marchiati da strane chiazze pelose sul corpo. Film inusuale, dal sottofondo pauroso e con una buona ricostruzione dell’epoca passata, ma che sbanda qua e là, sforzandosi di trovare uno stile univoco, invano. Annacquato..

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dicembre 13, 2011 Posted by | Horror | , , | Lascia un commento