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Jenny Tamburi

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Un altro triste destino, quello di Jenny Tamburi, comune a diverse attrici che conobbero una certa fama nel decennio settanta, nel pieno boom  della commedia sexy all’italiana.
Quello di morire nel fiore degli anni, come Marisa Mell, Tina Aumont, Eva Czemerys… tutte attrici di buona caratura, accumunate da una sorte avversa.
Lei, Luciana Tamburini, era nata a Roma il 27 novembre 1952 e aveva esordito con il botto a soli diciasette anni nel 1969 nel film Splendori e miserie di Madame Royale, diretto da Vittorio Caprioli al fianco del grande Ugo Tognazzi, dopo essere stata notata nel celebre Piper, locale nel quale mosse i suoi primi passi come ” Piperina”
La parte di Mimmina, furba ragazzina adottata dal ballerino gay Alessio la vide protagonista di una ottima performance; Jenny aveva un viso da ragazzina acqua e sapone e un talento naturale per la recitazione.

Jenny Tamburi Splendori e miserie di Madame Royale
Una giovane  e bellissima Jenny Tamburi all’esordio in Splendori e miserie di Madame Royale

Nel 1971, complice il gran successo riscosso dai decamerotici, il regista Vittorio De Sisti la volle nel cast di Fiorina la vacca, forse uno dei prodotti del genere meglio riusciti, girato attorno alle disavventure di una vacca contesa da molta gente. Nel film Jenny aveva una piccola parte sul finale del film, quello di Zanetta, che finirà per comporre un curioso menage a quattro con due uomini e una contadina.
Nel cast figuravano anche una giovanissima Ornella Muti e altre bellezze del calibro di Janet Agren, Eva Aulin, Angela Covello e Graziella Galvani, destinate per la maggior parte a brevi carriere.
Lei riesce nonostante tutto a mettersi in mostra.

Jenny Tamburi- Morbosita.jpg

Morbosità

Jenny Tamburi La seduzione
Nel film La seduzione, di Fernando Di Leo

Non ha particolari complessi, infatti accetta di girare una breve sequenza di nudo.
L’anno successivo, il 1972, il regista Silvio Amadio la chiama per il film Il sorriso della jena nel quale interpreta Nancy, la figliastra di una ricca ereditiera che ha sposato in seconde nozze l’uomo che è responsabile poi della sua morte. Il ruolo di lolita, seducente e maliziosa, calza a pennello per Jenny o meglio, per Luciana della Robbia che è poi il nome d’arte con cui ha scelto di recitare.
Ha solo vent’anni, ma ha talento, è bella, fisicamente è ben fatta e nell’ambiente cinematografico si è fatta degli amici.
Eppure, in un periodo di pieno boom per l’industria cinematografica italiana, Jenny non lavora tantissimo.
Tant’è vero che il film successivo lo interpreta nel 1973, sotto la regia di Rino De Silvestro.

Jenny Tamburi Il tango della gelosia
Il tango della gelosia

Jenny Tamburi Il sorriso della iena
Jenny nell’introvabile Il sorriso della jena

Si tratta del film Diario segreto di un carcere femminile, uno dei pochi WIP (women in prison, donne in prigione) che meriti di essere citato.

Jenny Tamburi Morte sospetta di una minorenne 1

Jenny Tamburi Morte sospetta di una minorenne 2

Due sequenze tratte da Morte sospetta di una minorenne; qui la Tamburi è con Claudio Cassinelli

Il suo è un ruolo drammatico, quello della giovane Daniela Vinci, che nasconde un segreto riguardante un grosso carico di eroina e che verrà avvicinata in carcere dalla figlia dell’uomo accusato ingiustamente di aver fatto sparire il carico di droga.
E’ un ruolo scabroso, che interpreta benissimo e con mestiere.
Ed è proprio il 1973 l’anno della svolta per la sua carriera, che avviene grazie alla scittura per il film La seduzione (vedi recensione nel blog), diretto dal grande Fernando Di Leo.
Ancora una volta interpreta il ruolo di una ragazzina, agevolata in questo da quel suo volto così pulito eppure capace anche di malizia.
Il ruolo è quello di Graziella, figlia di Caterina, una vedova che reincontra il vecchio fidanzato e che riallaccia con quest’ultimo rapporti amorosi.

Jenny Tamburi Fiorina la vacca
Accanto a Janet Agren in Fiorina la vacca

Sarà proprio Graziella a sedurre l’uomo e a spartirlo con la madre, prima della tragedia finale.
Sono tre i film che Jenny Tamburi interpreta nel 1974; il primo, La prova d’amore di Tiziano Longo è un dramma mal riuscito che ha come protagonista un’altra giovane bellezza, Ely Galleani mentre il secondo è Morbosità di Luigi Russo, torbido dramma in cui ancora una volta interpreta una collegiale, Anna, sfruttata dalla sorella maggiore per motivi abietti.
L’ultimo film del 1974 è  Le scomunicate di San Valentino di Sergio Grieco, film del filone conventuale con velleità storiche, a dire il vero ben riposte (vedi recensione nel blog).
La parte di Lucita è di quelle da protagonista; lei è una bella ragazza innamorata però del giovane sbagliato, osteggiato dalla sua famiglia e di conseguenza esiliata in un convento, dove verrà torturata e angariata dalla crudelle badessa.
Sembrerebbe che la carriera della bella attrice sia paragonabile ad un treno in corsa.
In realtà, nonostante la bravura, Jenny resta confinata nello stretto ambito della commedia o comunque dei film di genere.

Jenny Tamburi Dove volano i falchi d'argento
Con Corrado Pani in Dove volano i corvi d’argento

E’ bella, è capace, ma non le affidano i ruoli nei film di primo piano.
Nel 1975 infatti gira ben quattro film, il primo dei quali è  Peccato senza malizia di Theo Campanelli, nel quale è Stefania una giovane orfana che viene presa in cura dallo zio dal quale subirà violenza.
Si tratta di un film a smaccato sfondo erotico, nel quale davvero l’unica cosa di interessante è la sua parte.
Il secondo film della quadrilogia del 1975 è Peccati in famiglia, commediola sexy per la regia di Bruno Gaburro caratterizzata da un buon cast (Montagnani, i coniugi Placido-Stefanelli,Juliette Mayniel, Ely Williams) ma da una sceneggiatura approssimativa. Il terzo è  Morte sospetta di una minorenne di Sergio Martino, ed in questo caso siamo davanti davvero ad un bel thriller all’italiana.

Jenny Tamburi Senza rete
Una rarissima immagine tratta da Senza rete: Jenny è con Mia Martini e Alberto Lupo

Jenny interpreta Gloria, amica di una ragazza uccisa per motivi abietti e che finirà a sua volta uccisa da una bomba che la farà saltare in aria su una Vespa.
L’ultimo film dell’anno è  Frankenstein all’italiana di Armando Crispino, film comico snobbato dagli spettatori ad onta del buon cast reclutato, che includeva Ninetto Davoli, Aldo Maccione, Gianrico Tedeschi e la bellissima Lorenza Guerrieri.
Più volte ho accennato alla svolta epocale che iniziò subito dopo la prima metà degli anni settanta e che rivoluzionò in manierà irreversibile il cinema, determinandone gli sviluppi futuri, per cui non ci tornerò su.

Jenny Tamburi Melodrammore
L’attrice con Enrico Montesano nel pessimo Melodrammore

Fatto sta che in Italia iniziò il lento declino degli spettatori paganti e un inesorabile trasferimento degli stessi davanti agli schermi televisivi.
Infatti proprio il 1976 è l’ultimo anno in cui Jenny lavora a pieno regime; ha solo 24 anni, ma ovviamente è su un percorso di maturazione principalmente fisico che la sta trasformando da eterna adolescente a donna.
Ovviamente appare più matura, quell’aria maliziosa e infantile che era stata la sua caratteristica va lentamente modificandosi.

Jenny Tamburi Diario segreto
Diario segreto di un carcere femminile

Il primo film del 1976 è Giovannino, di Paolo Nuzzi, nel quale recita la parte di Marcella.
E’ un film ambientato in Sicilia con una storia che ricalca quella di Paolo il caldo; il film nonostante il buon cast che vede protagonisti bravi attrici del calibro di Tina Aumont, Carole Andrè e Giuliana Calandra, oltre a due giovani promesse, una cinematografica ovvero Christian De Sica e l’altra ben più poledrica come Miguel Bosè, finisce praticamente inosservato.

Jenny Tamburi Le scomunicate di San Valentino
Le scomunicate di San Valentino

Segue così il discreto e sottovalutato Donna…cosa si fa per te, diretto da Giuliano Biagetti in cui è Sole ovvero una prostituta così chiamata perchè esercita la sua professione sull’autostrada.
Il film, in bilico tra commedia tout court e commedia sexy nonostante sia di buon livello non riesce ad imporsi.
Alfonso Brescia chiama Jenny per il suo Sangue di sbirro, poliziottesco una volta tanto ambientato in America; la sua parte è quella di Susan, amica del cuore del protagonista (George Eastman), che riuscirà a sfuggire ad una serie di attentati prima dell’inconsueto finale.

Jenny Tamburi Donna cosa si fa per te
Nel film Donna cosa si fa per te

Subito dopo, arriva la chiamata per il thriller a sfondo erotico La moglie di mio padre, nel quale però ha una piccola parte anche se interpretata con professionalità.
Inaspettatamente, la carriera di Jenny Tamburi entra in una fase declinante.
Difficile capire perchè, anche se al solito uno dei motivi è essenzialmente la crisi del cinema stesso.
Le scritture si diradano e infatti nel 1977 arrivano solo due chiamate, anche se per due buoni film: si tratta del fulciano Sette note in nero e di Dove volano i corvi d’argento.
Non sono due parti ampie, ma al solito la Tamburi è impeccabile.Tuttavia scopre la tv, o meglio, la tv scopre lei: memorabile la sua partecipazione a Senza rete, accanto ad Alberto Lupo e a Lino Banfi
Nel 1978 è sul set dell’inguardabile Melodrammore, diretto da Maurizio Costanzo che per fortuna dopo quell’esperienza disastrosa scelse di dedicarsi ad altro.
Il film, un fumettone scombinato caratterizzato solo dalla presenza del grande Amedeo Nazzari e da quelle inconsuete dei cantanti Nilla Pizzi e Claudio Villa, è un clamoroso fiasco e Jenny, imprigionata nel ruolo della povera Priscilla ragazzotta a cui viene preferita la prorompente (in senso fisico) Fran Fullenwider dal protagonista del film, finisce per essere più una zavorra che un biglietto di presentazione.
Stessa sorte capita a Liquirizia, film di Samperi che diverrà paradossalmente un cult solo anni dopo.
Nel frattempo Jenny è corsa ai ripari; la Tv offre molto più del cinema ed è in vertiginosa ascesa anche come offerta.
Lei lavora in due produzioni di discreto successo, Scuola serale per aspiranti italiani di Enzo Trapani, con Foa e la Mazzamauro oltre a Maurizio Micheli e Orazio Orlando e sopratutto nella famosa versione televisiva del musical Aggiungi un posto a tavola, di Gino Landi accanto a Dorelli e alla coppia Valori-Panelli.
E’ un gran successo e lei capisce che il suo futuro è quello, lavorare in sit com o in sceneggiati televisivi.
Nel 1980 tuttavia il cinema la chiama in due produzioni dalle alterne fortune: la prima è II tango della gelosia, debolissima storiella di Steno imbastita attorno ai tre personaggi principali, ovvero Jenny (Nunzia), Monica Vitti e l’emergente Abatantuono.

L’altra è Bello di mamma di Rino De Silvestro, curiosa commedia nellla quale l’erotomane di turno (Leroy) deve dimostrare di essere maschio gagliardo e ci riuscirà solo con la propria psicanalista.

Lei interpreta Maddalena Trinacria, una giovane vedova che vuole a tutti i costi che il suo pargoletto sia erede delle fortune di famiglia.
Il film ancora una volta non è un gran che e non riscuote molto successo, mentre paradossalmente ben più rilevante sarà il successo sia personale che di cassetta nel film Pierino la peste alla riscossa, triste epilogo della stagione della commedia sexy.
Film baciato da un incredibile successo di pubblico, assolutamente ingiustificato per la dozzinalità della pellicola.
La parabola discendente, almeno a livello cinematografico di Jenny si conclude con due film che inaspettatamente riscuotono un discreto successo, ma solo a livello economico.
Si tratta del film Lo studente, girato accanto a Nino D’Angelo per la regia di Ninì Grassia, film del filone adolescenziale/ napoletano e di Voglia di guardare di Joe D’Amato, triste epilogo di una buona carriera in cui Jenny è costretta a lavorare in un film soft core decisamente modesto e sciatto, in una parte molto scabrosa.

Jenny Tamburi- Peccato senza malizia

Peccato senza malizia

Ma ormai la bella attrice, che non dimentichiamolo ha solo 34 anni, ha scelto il suo futuro.
E’ la tv, visto che il cinema ormai è davvero in coma profondo.
Ma una tv in cui la sua esperienza di attrice si trasforma in trampolino di lancio per quella che sarà l’attività primaria che da quel momento in poi svolgerà,ovvero l’agente di spettacolo con ruolo di casting delle più importanti produzioni televisive a livello di sit com.
Lavora ancora solo per la tv, per Professione vacanze, una delle sit com più viste del decennio 80 e in Tutti in palestra, nel quale a 35 anni si mostra nuda, splendidamente e per l’ultima volta.
Infatti non lavorerà più come attrice, dedicandosi anima e corpo alla nuova professione, che le darà grandi soddisfazioni.
Da ricordare l’avvio di una delle serie più fortunate e longeve della Tv, come Incantesimo, oppure l’avvio di una fortunata scuola di recitazione, che prenderà il suo nome dopo la sua scomparsa e inaugurata nel 2001 proprio dalla Tamburi.

Jenny Tamburi Sette note in nero
Jenny nel bellissimo film di Fulci Sette note in nero

Il casting, il lavoro di colei che deve provare nuovi talenti o scritturarne alcuni per le varie produzioni si rivela la cosa che ama di più, così abbandona le idee di fare teatro (il grande rimpianto della sua vita) e sopratutto senza alcun rimpianto il cinema, che la delude profondamente.
La sua vita scorre tranquilla , fra lavoro e vita privata che difende gelosamente fino a fine 2005, quando scopre purtroppo di essere ammalata di una grave forma tumorale.

Jenny Tamburi Peccati in famiglia 2
Peccati in famiglia

E’ una battaglia che non vincerà e che la porterà via prematuramente il 1 marzo 2006, quando non ha ancora compiuto 54 anni.
Ai suoi funerali, nella chiesa degli artisti a Roma, parteciperà la gente che amava di più i suoi amici con cui condivideva il tempo libero.
Un’attrice brava, bella, simpatica.

Jenny Tamburi Voglia di guardare
L’ultima apparizione cinematografica nello scadente Voglia di guardare

Jenny Tamburi Tutti in palestra
L’ultima apparizione, nella sit- com Tutti in palestra

Che forse non ha espresso tutto il suo potenziale ma che ad un certo punto della sua carriera ha saputo e voluto cambiare, trasformando la sua vita e gratificandosi con un lavoro che le piaceva e amava.
Un’attrice che oggi vive un vero culto personale nella memoria di quanti l’hanno seguita con affetto attraverso i film che ha interpretato, che la rimpiangono con sincero affetto

Jenny Tamburi Pierino la peste
L’epilogo della carriera di Jenny Tamburi: Pierino la peste alla riscossa

Jenny Tamburi Lo studente
… e il film di Grassia Lo studente

Jenny Tamburi banner filmografia

 

Splendori e miserie di Madame Royale (1970), di Vittorio Caprioli
Fiorina la vacca (1971), di Vittorio De Sisti
Il sorriso della iena (1972), di Silvio Amadio
Diario segreto di un carcere femminile (1973), di Rino Di Silvestro
La seduzione (1973), di Fernando Di Leo
La prova d’amore (1974), di Tiziano Longo
Morbosità (1974), di Luigi Russo
Le scomunicate di San Valentino (1974), di Sergio Grieco
Peccato senza mailzia (1975), di Theo Campanelli
Peccati in famiglia (1975), di Bruno Gaburro
Morte sospetta di una minorenne (1975), di Sergio Martino
Frankenstein all’italiana (1975), di Armando Crispino
Giovannino (1976), di Paolo Nuzzi
Donna… cosa si fa per te (1976), di Giuliano Biagetti
Sangue di sbirro (1976), di Alfonso Brescia
La moglie di mio padre (1976), di Andrea Bianchi
Dove volano i corvi d’argento (1977), di Piero Livi
Melodrammore (1978), di Maurizio Costanzo
Sette note in nero (1977), di Lucio Fulci
Liquirizia (1979), di Salvatore Samperi
Il tango della gelosia (1980), di Steno
Bello di mamma (1980), di Rino Di Silvestro
Pierino la Peste alla riscossa (1982), di Umberto Lenzi
Lo studente (1983), di Nini Grassia
Voglia di guardare (1986), di Joe D’Amato

Jenny Tamburi banner lavori in tv

La paga del sabato  1975
Camilla 1976
Scuola serale per aspiranti italiani 1977
Aggiungi un posto a tavola 1978
All’ombra della grande quercia 1984
Professione vacanze 1986
Tutti in palestra 1987

Jenny Tamburi Tv La paga del sabato

La paga del sabato  1975

Jenny Tamburi Tv Aggiungi un posto a tavola

Jenny Tamburi- Aggiungi un posto a tavola

Aggiungi un posto a tavola 1978

Jenny Tamburi Senza rete 2

In Senza rete,tra Claudio Baglioni e Alberto Lupo

Jenny Tamburi- da Senza rete

gennaio 31, 2011 Posted by | Biografie | | 2 commenti

Decameron 3 (L’ultimo Decameron – Le più belle donne del Boccaccio)

Decameron tre locandina

Il Decameron n. 3 è strutturato, come la maggior parte dei decamerotici, in diversi episodi raccontati da due giovani itineranti.
Le storie in questione sono sette.
Primo episodio
La splendida Monna Filippa, accusata di adulterio per essere stata trovata in un letto con l’amante messer Lazzarino, viene tradotta davanti ad un giudice (che presiede il tutto in una taverna appoggiato ad una botte); la donna, emulando la mitica cortigiana Frine, senza dire una parola si tira giù la veste rimanendo completamente nuda davanti al giudice e ai presenti e mostrando il motivo per cui aveva fatto becco il marito, tra l’altro piccolo di statura e bruttissimo.Nel finale del film, verrà assolta per evidenti ragioni.

Decameron tre 1
Antonella Murgia è Monna Filippa

Secondo episodio
Siamo a Napoli, e messer Ricciardo, invaghito della bella Catella, riesce con uno stratagemma a farle credere che il marito le metta le corna.
Così la invita in un posto appartato, dicendole che là troverà il marito.
La donna si reca sul posto, dove al buio pensa di sostituirsi all’amante del marito: ma a godersi le grazie della donna è il furbo Ricciardo, che alla fine si rivela alla stessa.
Terzo episodio
La bella Lidia brama d’amore e di voglia per un contadino alle dipendenze di suo marito, Pirro.
Il giovane però è molto fedele al suo padrone e non intende mancargli di rispetto.
Ma più della fedeltà potè la carne, e i due con un’abile stratagemma riescono a congiungersi sotto gli occhi del marito, facendogli credere che quel che vede non è reale.

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Beba Loncar è Lidia

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Carla Mancini è Lusca, la domestica di Lidia

Quarto episodio
L’insaziabile madonna Isabella si sollazza con Leoncino, un giovane della città.
Messer Lambertuccio, un altro dei suoi amanti, arriva nel momento meno opportuno e così Isabella è costretta a far salire Leoncino sul baldacchino del letto e a soddisfare le voglie dell’uomo.
All’improvviso, terzo incomodo ecco arrivare il marito della donna.
Lambertuccio, con prontezza di spirito si catapulta in cortile con un coltello in mano, gridando “se lo trovo lo ammazzo” mentre il giovane vien fuori dal suo nascondiglio fingendosi tutto impaurito.
L’ingenuo marito di Isabella lo consola e lo accompagna a casa.
Quinto episodio
Francesca è rimasta vedova da pochissimo.
Sposata ad un uomo anziano, brama di recuperare il tempo perso, così escogita uno stratagemma che eviti le malelingue della città.
La donna troverà non uno, ma tre uomini e si consolerà tra le braccia dell’ultimo conosciuto.

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Femi Benussi è Madonna Isabella

Sesto episodio
Madonna Lucrezia è sposata ad un uomo geloso in maniera patologica, che la costringe a vivere da reclusa in una camera da letto recintata da inferriate e chiusa a doppia mandata da una pesante porta di legno.
In soccorso della donna arriva un giovane che la vede attraverso un finestrino e che pratica una feritoia nel muro.La donna, per stornare i sospetti del marito, gli confessa di essere visitata la notte da un prete della quale lei si è innamorata.
Furibondo, il marito veglia fuori dalla porta non sapendo che Lucrezia e il suo amante nel frattempo si divertono nel letto della donna stessa.
Settimo e ultimo episodio
Un frate elemosiniere mentre è in giro per la questua, si imbatte in una contadinella che raccoglie cicorie in un campo.
Convince l’ingenua ragazza a seguirlo al convento dove ovviamente la seduce. Ma il frate non ha fatto i conti con il superiore, che si accorge della cosa.

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Enzo Robutti, il marito geloso e Marina Malfatti, la moglie furba

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Solo che, invece di rimproverare il confratello, decide di dividere la ragazza con lui..
Il finale del film rivela quello che accade a Monna Filippa, protagonista del primo episodio: la donna convince il giudice di essere troppo bella per essere trascurata dal marito e viene quindi assolta fra il gaudio dei presenti, mentre uno dei giovani che illustrano gli episodi scopre che il suo compagno in realtà è una splendida fanciulla.

Diretto da Italo Alfaro nel momento del massimo fulgore dei decamerotici, Decameron 3 conosciuto anche come L’ultimo Decameron – Le più belle donne del Boccaccio è uno dei decamerotici meno volgari e scollacciati, ma anche contemporaneamente uno di quelli in cui è praticamente impossibile farsi scappare un sorriso. Se le storie sono raccontate con una certa eleganza, tranne le solite cadute di gusto come quella dell’episodio con protagonista la ragazza e il priore in cui c’è il seguente dialogo surreale: “Padre, ma poi me la date la cicoria?” “Mi dispiace figliola, non ho cicoria ma il cicorione”, manca completamente la risata, quella che generalmente era il motivo fondamentale (non l’unico ovviamente) per vedere questi film.

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Angela Covello, la contadinella in cerca di cicoria

Va anche detto che per una volta le scene sexy sono molto limitate e decisamente non volgari; superbo il gineceo femminile, con alcune tra le più belle attrici del genere come Femi Benussi e Angela Covello mentre per la prima volta si ammira una grande del teatro italiano, Marina Malfatti.
Un film quindi di livello appena sufficiente, almeno riguardo allo standard del prodotto decamerotico, in cui quà e là ci sono da rimarcare alcune cose degne di nota, come la colonna sonora dei Cugini di campagna ma anche, in negativo, il contrabbasso che perseguita lo spettatore dall’inizio della pellicola alla fine.
L’episodio migliore a mio giudizio è il sesto, con protagonista la magnifica Marina Malfatti, gli altri di un pelino oltra la sufficienza.

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Decameron 3, un film di Italo Alfaro, con Femi Benussi, Angela Covello, Beba Loncar, Antonella Murgia, Marina Malfatti, Pier Paola Bucchi, Giovanni Elsner, Roy Bosier, Alberto Atenari, Letizia Liehir, Carla Mancini, Carlo Simoni, Fausto Tommei. Genere commedia erotica, anno 1972

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Decameron tre banner personaggi

Pier Paola Bucchi    La giovane che narra la storia
Giovanni Elsner    …     Il giovane che narra la storia
Roy Bosier    …     Il giudice
Antonella Murgia    …     Madonna Filippa
Alberto Atenari    …     Ricciardo
Letizia Lehir    …     Madonna Catella
Beba Loncar    …     Madonna Lidia
Carla Mancini    …     Lusca
Carlo Simoni    …     Pirro
Fausto Tommei    …     Nicostrato
Femi Benussi    …     Madonna Isabella
Franco Alpestre    …     Lambertuccio
Rosita Torosh    …     Madonna Francesca
Ernesto Colli    …     Renutio
Guerrino Crivello    …     Alessandro
Marco Mariani    …     Baldino
Melù Valente    …     La cameriera di francesca
Marina Malfatti    …     Madona Lucrezia
Gino Milli    …     Filippo, amante di Lucrezia
Enzo Robutti    …     Marito di Lucrezia
Angela Covello    …     La contadinella
Franco Angrisano    Il priore
Luigi Montini    …     Frate Enrico
Linda Sini    …     Cameriera di Isabella

Decameron tre banner cast

Regia di Italo Alfaro
Sceneggiatura di Luigi Russo
Prodotto da Enzo Boetani, Giuseppe Collura
Fotografia di Giuseppe Pinori
Editing     :     Adriano Tagliavia
Trucco : Emilio Trani

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gennaio 29, 2011 Posted by | Erotico | , , , , , , | Lascia un commento

La compagna di banco

La compagna di banco locandina

Nel solito liceo della Puglia, ancora una volta quello di Trani, arriva Simona figlia di un industrialotto settentrionale che produce salumi.
L’arrivo della ragazza mette naturalmente in subbuglio la classe, che si divide al solito tra chi le mette subito gli occhi addosso, ovvero l’immancabile playboy Mario e le compagne di classe che invece vedono in lei una pericolosa rivale nella conquista del cuore di Mario.
Le ragazze mettono subito in guardia, in maniera interessata la giovane Simona, descrivendo Mario come un seduttore incallito.

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Lilli Carati è Simona

Inizia così il solito gioco della parti, con i due ragazzi impegnati nelle schermaglie dell’amore, mentre altri personaggi si muovono sullo sfondo, come Ilario Cacioppo, professore ambito dalla gigantesca e manesca prof.Marimonti.
Tra un equivoco e l’altro, alla fine si arriverà al tradizionale happy end.

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Scialba commedia sexy diretta da Mariano Laurenti, uno specialista del genere autore di La Liceale Nella Classe Dei Ripetenti (1978), L’Insegnante Va In Collegio (1978),La Liceale Seduce i Professori (1979) ecc. La compagna di banco, girato nel 1977 è forse la cosa peggiore diretta dal regista romano, questa volta alle prese con un copione rabberciato e sopratutto con attrici che non hanno il fascino della Fenech, abituale protagonista dei film di Laurenti.

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Nikky Gentile è Elena Mancuso

Ci sono, è vero, i soliti protagonisti della commedia sexy, ovvero Lino Banfi, Alvaro Vitali, Gianfranco D’Angelo e l’immancabile Francesca Romana Coluzzi; ma c’è anche, nel ruolo di protagonista, una svogliata e inespressiva Lilli Carati alle prese con un personaggio debolissimo e poco interessante scenicamente.

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Francesca Romana Coluzzi è la Professoressa Marimonti

Così la commediola si trascina svogliatamente tra gag viste mille volte e una storia debolissima che finisce per annoiare mortalmente lo spettatore; gli unici momenti divertenti, se tali vogliamo definirli, sono quelli affidati a Banfi, perso dietro le affascinanti forme di Nikki gentile, che interpreta la moglie di un losco e gelosissimo mafiosetto di provincia.
La stessa Carati, esposta generosamente, non appare nella sua migliore forma fisica e alla fine le uniche cose degne di nota sono essenzialmente logistiche.
Splendida la location, vista altre volte ma sempre piena di fascino, la romanica Trani che appare in tutto il suo fascino anche un pò misterioso.

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Alvaro Vitali è Salvatore

La compagna di banco 12Lino Banfi è Teo D’Olivo

Il resto è noia di prim’ordine, con attori alle prese con ruoli tagliati con l’accetta e con gag che non convincono, inclusa la solita presenza della manesca professoressa e degli altrettanto soliti alluppati compagni di classe della protagonista.
Un film debolissimo e arruffato, da dimenticare in fretta.
La compagna di banco, un film di Mariano Laurenti. Con Lino Banfi, Lilli Carati, Francesca Romana Coluzzi, Gianfranco D’Angelo, Alvaro Vitali, Giacomo Furia, Linda Sini, Rosario Borelli, Gigi Ballista, Paola Maiolini, Stefano Amato, Brigitte Petronio
Commedia, durata 85 min. – Italia 1977.

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A sinsitra, Brigitte Petronio

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La compagna di banco banner personaggi

Lilli Carati – Simona Girardi
Gianfranco D’Angelo – Professor Ilario Cacioppo
Alvaro Vitali – Salvatore
Antonio Melidoni – Mario D’Olivo
Lino Banfi -Teo d’Olivo
Francesca Romana Coluzzi -Professoressa Marimonti
Gigi Ballista -Girardi
Stefano Amato – Martocchia
Ermelinda De Felice – Giuditta
Nikki Gentile -Elena Mancuso
Paola Maiolini -Vera
Brigitte Petronio – Mirella
Susanna Schemmari -Vera

La compagna di banco banner cast

Regia     Mariano Laurenti
Soggetto     Franco Mercuri, Francesco Milizia
Sceneggiatura     Franco Mercuri, Francesco Milizia
Fotografia     Pasquale Rachini
Montaggio     Alberto Moriani
Musiche     Gianni Ferrio

Le recensioni qui sotto appartengono al sito http://www.davinotti.com

TUTTI I DIRITTI RISERVATI


La Carati, prima di cedere alla depravazione (droga & porno) non solo era dotata di una bellezza incantevole, ma riusciva pure a dare un tocco di grazia alle sue interpretazioni, come si può notare dalle (poche) commedie sexy che ha interpretato. In questo film la sceneggiatura non valorizza il suo personaggio, puntando l’attenzione su Vitali e D’Angelo (gravissimo errore). Risollevano le sorti del film le sequenze incentrate sul personaggio Teo d’Olivo (Banfi) nei panni del sarto perduto dietro alle perfette forme di Elena (Nikki Gentile).
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Piacevole. Una commedia scolastica meno scollacciata della media, nonostante la presenza di nomi di punta del genere come D’Angelo, Vitali, Banfi, Amato. Gags goliardiche ma insolitamente pulite, nudi femminili di gran classe (la Carati, ma anche la Maiolini, la Petronio, la Gentile), un tocco di romanticismo e un inciso fuori tema sul cinema (la figura del regista squattrinato). Azzeccatissimi i ruoli minori: dalla coppia altolocata Ballista-Sini alla ciclopica Coluzzi, passando per il mafioso e gelosissimo Borelli e il frastornato commissario Furia.

Commedia scollacciata-scolastica settantiana che si avvale della presenza cult di Lilli Carati e questo vale il prezzo del biglietto. Tuttavia c’è di più: dei bravi caratteristi ed il sempre efficace Lino Banfi con battute divertenti, anche se contate. Bella la colonna sonora.

Un film da mal di testa non fosse che io sono un veneratore del pube di Liliana Caravati; girato in quel delle Puglie, come sempre, è la solita collezione di frizzi&lazzi&scorregge (vittima designata in particolare D’Angelo, sempre insediato dalla Romana Coluzzi). A far da gentile contorno la bellezza da escort girl dell’indimenticata Nikki Gentile, di Cavvallina memoria. I belli del film (Carati e fidanzato) sono, come sempre, antipatici.

Se si eccettua la storiella d’amore, con momenti patetici a dir poco e se si esclude il bamboccione co-protagonista e si apprezza la bellissima Lilli allora si potrà passare una buona serata, altrimenti… Io non l’ho trovato insostenibile, anzi, mi sono anche fatto un paio di risate. C’è del nudo ma non esagerato. Si può vedere senza dubbio!

Mariano Laurenti tenta la commedia cercando di affidare un ruolo da protagonista a una bella ragazza come Lilli Carati, che si rivela però incapace di suscitare l’interesse del pubblico (colpa del suo personaggio inutile). Il resto infatti è tutto sorretto (ma neanche bene) da squallide e ripetive gag tra Gianfranco D’Angelo e Alvaro Vitali, i quali interpretano rispettivamente un professore e un bidello, riciclando scene già viste nelle commedie ambientate a scuola. Lino Banfi, però, ha un ruolo simpatico, seppur marginale.

Opera che ho un po’ rivalutato in negativo. il motore comico poggia su Vitali e D’Angelo (bah!), che non reggono la scena a dovere a causa di gag davvero poco riuscite. Non eccellono Vitali, la Carati, Melidoni e la Coluzzi, bensì Paone, la De Felice, Furia e Banfi (che hanno indegnamente ridotto a un cameo di un sarto, in verità molto ben caratterizzato come del resto tutti). Grazie agli ultimi tre, infatti, la scena al commissariato è un piccolo saggio di bravura. Trionfano le pubblicità (non solo liquori). Ottimi i momenti con la Gentile. **

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gennaio 28, 2011 Posted by | Commedia | , , , , , , | 4 commenti

La rivolta delle gladiatrici (The Arena)

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Durante l’occupazione romana della Gallia, un gruppo di legionari irrompe in un villaggio gallico mentre è in corso una cerimonia sacra e massacra senza pietà tutti gli uomini del villaggio.
Ad essere risparmiate sono soltanto le donne che vengono incatenate e trasportate in città. La stessa scena si ripete in Africa con le stesse modalità, solo che ovviamente le donne sono di colore.

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Pam Grier è Mamawi,Margaret Markov è  Bodicia

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Bodicia, sacerdotessa dei galli, bionda e bellissima, catturata nel raid in terra francese e Manawi, ballerina colored vengono quindi ad incontrarsi in catene nella città romana di Brindisi.
Qui le donne, assieme alle sventurate compagne di prigionia, vengono utilizzate come compagne occasionali dei gladiatori impegnati nei loro cruenti combattimenti o anche come divertimento notturno dei loro carcerieri.
Una rissa avvenuta nelle stanze in cui sono rinchiuse le donne provoca l’intervento di Timarcus, il tirannico organizzatore dei giochi gladiatori.
L’uomo decide così di far addestrare le donne per farle combattere fra di loro nelle arene.
Così avviene, sotto la guida dell’istruttore Septimus, che però finisce per innamorarsi della bella Lucinia.
Nell’arena, le donne si combattono, ma senza la necessaria ferocia, evitando di farsi del male, cosa che provoca lo scontento del pubblico, assetato di sangue.
Costrette sotto la minaccia delle armi a combattere sul serio, le gladiatrici improvvisate finiscono per trucidarsi fra loro.
Saranno Mamawi e Bodicia,sopravvissute ai combattimenti, consapevoli di essere destinate alla morte comunque, a organizzare una rivolta delle schiave, che si concluderà con la fuga di poche superstiti attraverso i sotterranei della città.

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Tardo peplum datato 1974, La rivolta delle gladiatrici, più noto in America con il titolo The Arena è inaspettatamente un gradevole film d’avventura che dal peplum riprende i ritmi e l’ambientazione, utilizzando le caratteristiche che avevano reso famoso il genere negli anni 60, ovvero i combattimenti con gladi e forche, gladiatori impegnati in lotte estreme ecc.
A cambiare per una volta sono i soggetti; non più rudi traci o sassoni catturati dai romani ma bellissime ragazze poco inclini a fungere da oggetto di divertimento per il volgare pubblico.
Sostanzialmente è questa la novità apportata dal film di Steve Carver, autore del discreto F.B.I. e la banda degli angeli (Big bad mama); accanto a lui, non accreditato, figura Aristide Massaccesi che in realtà girò le scene d’azione.
E c’è da credergli perchè la mano del regista romano (che contemporaneamente stava girando il decamerotico Novelle licenziose di vergini vogliose) è visibile sopratutto nella perizia con cui le stesse vengono rappresentate.

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La rivolta delle gladiatrici ha ritmo, una sceneggiatura accettabile, scene d’azione ben girate; il che è un autentico lusso, tenendo conto che il film stesso era un prodotto low budget.
Il cast fa il suo dovere, e tra gli attori protagonisti troviamo una giovane Pam Grier (Mamawi), la bella Lucretia Love (Deirdre),Rosalba Neri (Cornelia), l’ottimo Daniele Vargas, luciferino nell’interpretazione di Timarcus e Margaret Markov, la biondissima Bodicia decisamente più bella che brava.

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Da segnalare alcune scene su tutte; in primis la sequenza girata all’interno dell’arena, con i combattimenti tra le improvvisate gladiatrici e la rissa nelle cucine organizzata da Mamawi.
Naturalmente nudi a volontà ma eros decisamente limitato il che è sicuramente una novità all’interno di un film girato, se pur in “coabitazione” dal Massaccesi/D’Amato.

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Un pizzico di femminismo ante litteram, con qualche discorso velleitario (vedi quello di Mamawi alle sue colleghe gladiatrici), seni, cosce e natiche a profusione ma anche un sostanziale equilibrio della pellicola che alla fine risulta gradevole e leggera.

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Relegato tra i B movie e spesso sconsigliato dai critici come esempio di film dozzinale e mal diretto, The Arena vale invece sicuramente una visione.
Molto più di alcuni celebrati film di provenienza cecoslovacca, polacca e via discorrendo che imperversarono sugli schermi (purtroppo) in tutto il decennio settanta.
Da rimarcare, in ultimo, l’utilizzo da parte di numerosi attori di pseudonimi americani, espediente per accreditare la provenienza americana del film stesso; così Maria Pia Conte diventò Mary Count, Rosalba Neri diventò Sara Bay, Mimmo Palmara si trasformò in Dick Palmer e via dicendo.

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Rosalba Neri

La rivolta delle gladiatrici (The Arena), un film di Steve Carver e Aristide Massaccesi (non accreditato), con Margaret Markov, Pam Grier, Lucretia Love, Paul Muller, Daniele Vargas, Marie Louise Sinclair, Maria Pia Conte, Rosalba Neri, Vassili Karis, Silvio Laurenzi, Mimmo Palmara, Antonio Casale, Franco Garofalo, Pietro Ceccarelli, Jho Jhenkins, Ivan Gasper, Pietro Torrisi, Salvatore Baccaro, Anna Melita.
Genere Peplum,sexy Italia-USA 1974

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Margaret Markov    Bodicia
Pam Grier    …     Mamawi
Lucretia Love    …     Deidre
Paul Muller    …     Lucilius
Daniele Vargas    …     Timarchus
Marie Louise Sinclair    …     Livia
Maria Pia Conte    …     Lucinia
Rosalba Neri    …     Cornelia
Vassili Karis    …     Marcus
Silvio Laurenzi    …     Priscium
Mimmo Palmara    …     Rufinius
Antonio Casale    …     Lucan
Franco Garofalo    …     Aemilius
Pietro Ceccarelli    …     Septimus

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Regia     Steve Carver, Joe D’Amato (non accreditato)
Soggetto     John William Corrington, Joyce Hooper Corrington
Sceneggiatura     John William Corrington, Joyce Hooper Corrington
Produttore     Mark Damon
Produttore esecutivo     Roger Corman
Casa di produzione     New World Pictures, Rover Film
Fotografia     Aristide Massaccesi
Montaggio     Jahn Carver, Joe Dante
Musiche     Francesco De Masi
Scenografia     Bartolomeo Scabia
Costumi     Luciana Marinucci

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gennaio 25, 2011 Posted by | Avventura | , , , , , , , | Lascia un commento

La ragazza del vagone letto

La ragazza del vagone letto locandina

Un treno corre sui binari; all’interno degli scompartimenti c’è il solito campione di varia umanità.
C’è Giulia, una bella e affascinante prostituta, che per agganciare i clienti si serve dell’aiuto dell’amico capotreno, c’è Anna con suo marito, con il quale vive un momento di profonda crisi,.
Ancora, ci sono la signora Mary, affetta da una grave malattia accudita amorevolmente dal marito,la famiglia Sino composta da marito moglie e dalla giovane figlia di costoro ovvero la bella Elena, alla quale il padre è legato in maniera ossessiva.
In ultimo ci sono due uomini completamente diversi fra loro, sia come carattere sia come ruolo: Pierre è un detenuto, ammanettato e scortato da un poliziotto ligio al suo dovere.

La ragazza del vagone letto 1
Silvia Dionisio

A questo gruppo di persone si aggiungono tre teppisti, David , Elio e Nico che ben presto mostrano di non aver alcuna intenzione di far viaggiare tranquillamente gli occupanti del treno.
Iniziano a molestare a turno tutti gli occupanti del treno e alla fine riescono anche ad appropriarsi della pistola del poliziotto che scorta Pierre e da quel momento gli occupanti degli scompartimenti precipitano in un incubo.

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La prima a pagare le conseguenze dell’incauto gesto del poliziotto, che si è fatto derubare dell’arma di ordinanza è Giulia, che viene costretta a prostituirsi gratuitamente con i viaggiatori, mentre Anna viene portata in una toilette e violentata dai teppisti.
La signora anziana, già gravemente malata, muore per un arresto cardiaco mentre anche la giovane Elena è costretta a subire le attenzioni del gruppo.
La situazione precipita, ma a risolvere il tutto ci penserà proprio l’unico vero prigioniero del treno, il detenuto Pierre che coraggiosamente affronterà i tre.
Riuscirà a vincere la partita e probabilmente anche a trovare l’amore nella riconoscente Giulia.

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Pallido e sciatto clone di L’ultimo treno della notte, La ragazza del vagone letto esce nel 1979 e mescola con furbizia alcuni stilemi del genere Thriller/giallo con l’erotismo più smaccato.
Il prodotto che ne consegue è un film barboso e poco credibile, oltre che mal recitato e dall’esito finale scontatissimo.
I tre teppisti in puro stile Arancia meccanica terrorizzano gli sventurati passeggeri, ma sembrano più in preda a frenesie sessuali che a raptus di violenza.

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Così tra una sodomizzazione e uno stupro, tra dialoghi ferocemente stupidi e imbarazzanti colloqui tra i protagonisti, il film scivola nella noia più assoluta verso l’happy end con i colpevoli puniti con la morte e i vari protagonisti che possono ritornare alla vita di tutti i giorni.
La banalità viene assunta quindi a emblema finale di un film davvero brutto e incolore, che il regista Ferdinando Baldi, autore di una sfilza di film poco interessanti non riesce in alcun modo a vivacizzare nè rendere interessante alcun passo del film stesso.

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Davvero poca cosa anche il cast, in cui l’unica a recitare su un livello appena sotto la sufficienza è Silvia Dionisio; tutti gli altri protagonisti o vanno oltre le righe o sono autori di una prova opaca e senza mordente.
Tra di essi c’è Zora Kerova, inespressiva e da ricordare solo per i numerosi nudi esposti, oltre a Venantino Venantini autore di una prova piatta come poche.

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Un film da scansare assolutamente, anche perchè privo di qualsiasi interesse che non siano le generose nudità delle protagoniste.
E’ davvero difficile ambientare un film su un treno, location claustrofobica come poche; per poter dare un senso di oppressione occorre però avere ritmo, senso del colpo di scena, attori all’altezza.
Poichè a La ragazza del vagone letto manca in assoluto tutto ciò….

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La ragazza del vagone letto, un film di Ferdinando Baldi. Con Venantino Venantini, Carlo De Mejo, Silvia Dionisio, Werner Pochat, Zora Kerova, Andrea Scotti, Giancarlo Maestri, Antonio Maimone, Gino Milli
Drammatico, durata 93 min. – Italia 1979.

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Silvia Dionisio – Giulia
Werner Pochath – David
Zora Kerova – Anna
Gianluigi Chirizzi -Peter
Carlo De Mejo – Ernie
Giancarlo Maestri – Il poliziotto
Fausto Lombardi     Fausto Lombardi     …
Gino Milli – Il capotreno
Antonio Maimone – Il signor  Hobbes
Roberto Caporali – Il padre di Elena
Gianfranca Dionisi – La madre di Elena
Rita Livesi – La signora Mary
Fiammetta Flamini – Elena
Venantino Venantini – Michele

Le recensioni appartengono al sito http://www.davinotti.com

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Tre delinquenti spadroneggiano su un treno facendo brutto e cattivo tempo. Il controllore gestisce anche un extra: Giulia (Silvia Dionisio) piacevole ragazza ospite fissa d’un vagone letto che a pagamento non disdegna compagnia. Anna (Zora Kerowa) è la prima a subire l’attacco di due scalmanati erotomani che saranno contrastati nel loro folle piano di supremazia da un prigioniero politico. Debitore sino all’osso del più raffinato e significativo L’Ultimo Treno della Notte, il film di Baldi (girato back to back con La Compagna di Viaggio) spinge molto (ma con semplicità) sul pedale dell’erotismo.

Sgangherato thriller ferroviario scritto da Montefiori probabilmente dopo un viaggio su un diretto Milano-Reggio Calabria, e regia (?) di un Baldi ben lontano dai suoi fasti western. Attori cagnacci in confezione da tv-movie di Reteitalia che fu, sprecate la Dionisio e la Kerowa che dice scemenze stile Giovanna Melandri, improbabilissimo Carlo De Mejo come vigoroso copulatore che si fa tutte e tre le donne (di cui due consenzienti) potabili del vagone. In mancanza della TAV, ci si affida al telecomando.

Maldestro e povero di idee. Un rape and revenge che si rifà all’ottimo L’ultimo treno della notte, ma che sceglie di concentrarsi sul sesso spinto e sulle solite violenze teppistiche, perpetrate da tre balordi guidati da Pochat, da sempre specializzato in ruoli da psicopatico. La vendetta – messa a punto da un improbabile Chrizzi, con la sua faccia da chierichetto in licenza – è debole e quasi sempre mostrata off-screen. Discrete le musiche di Giombini.

Un filmetto. Le intenzioni di critica alla borghesia sono velleitarie mentre il regista si dedica con impegno decisamente maggiore a mostrare le grazie delle sue attrici. Però c’è da dire che le scene erotiche sono lunghe e spesso francamente noiose… insomma un film evitabile. Certo, la Dionisio è sempre la Dionisio.

Baldi indugia molto sull’erotismo e presenta poca violenza, forse con un pizzico in più il film sarebbe potuto migliorare un pochino. Non che la visione sia impossibile, il film scorre, ma probabilmente questo titolo è il più debole del genere. E poi la tematica della borghesia ricca e corrotta peggio dei 3 criminali era già stata molto abusata all’epoca. Cast ottimo, in compenso, con un Pochat in parte (forse anche troppo). Se siete appassionati del genere gradirete, ma non è un capolavoro.

Sexploitation decisamente modesto che tenta di rifarsi a L’ultimo treno della notte risultando, però, di livello assolutamente non paragonabile a quello del notevole film di Lado. Qui la confezione è decisamente poco curata, la trama e i dialoghi sono decisamente mediocri, così come gli attori (l’unico minimamente espressivo è Carlo De Mejo che, però, è totalmente fuori parte) e il tutto è sorretto (si fa per dire) delle nudità delle attrici. Molto sesso, pochissima violenza, ma nel complesso non ci si annoia eccessivamente.

Un film piuttosto mediocre, ma la cosa sconcertante è il montaggio che davvero non aiuta a risollevare il film dalla noia assoluta. Gli attori fanno del loro peggio, ma certamente con quei testi perfino Robert De Niro avrebbe sfigurato! Scene a carattere sexy piuttosto frequenti, ma a parte la bellezza della “cerbiatta” Silvia Dionisio, rimane poco. Evitabile, ma una certa fama di culto (trash) lo ha ottenuto.

Nonostante lo sceneggiatore Luigi Montefiori sostenga di essersi ispirato a tutt’altro, è palese l’influenza di L’ultimo treno della notte di Lado su questo film di Baldi, tanto da sfiorarne il plagio. Ancora borghesucci sessualmente viziosi, delinquenti che prendono in ostaggio un vagone pieno di gente, ancora stupri e violenze assortite. Ma purtroppo manca il cinico realismo e la brutalità del film di Lado e Baldi sembra più interessato a girare un soft-core. Tuttavia il cast non è male (ottimi Pochat e De Mejo) e il ritmo è discreto. **

Mamma mia! A parte le belle Dionisio e Kerowa c’è davvero poco da salvare in questo film più simile a un porno-soft che a un “violenza e vendetta”. Le scene di violenza sono poche, in compenso il film si concentra sui rapporti sessuali: uno ottenuto col ricatto e due consenzienti o quasi. Ignobile.

Che noia ragazzi, nemmeno le scene di nudo (noiose ed improbabili pure quelle) risollevano questa pellicola del buon Baldi. Attori che a mio modo di vedere non sono affatto adatti al ruolo assegnato, fatta eccezione solo per Werner Pochat. Ma chi l’ha girata questa pellicola, Blindman?

I vizi non appartengono solo ai banditi: è un po’ questa la morale (banale) che Baldi ci vuol raccontare. Un film scritto da Eastman e messo in scena su 2-3 vagoni letto di un treno a lunga percorrenza. Il riferimento, non velato, è ad Aldo Lado e al suo capolavoro L’ultimo treno della notte. Qui si rimane nell’ambito del b-rape’n’revenge, senza toccare quei tasti di ribellione interna che animarono Enrico Maria Salerno. Come sempre, bellissima Silvia Dionisio (e anche Fiammetta Flamini).

Filmaccio. Copia l’idea de L’ultimo Treno della Notte senza avere la minima ispirazione, forza e tensione. Manca tutto: la recitazione, la sceneggiatura, la violenza… Unica certezza è la ripresa notturna del passaggio del treno, riproposta ossessivamente ogni tre minuti, a nascondere l’imbarazzo del regista quando non sa più cosa proporre o far dire agli interpreti. Resta qualche ripresa insistita da porno soft. Terribile.

Rape & revenge piuttosto brutto dove, purtroppo, si indugia troppo sul lato rape e poco su quello revenge. Più di metà del film infatti indugia sulle violenze, principalmente sessuali, perpetrate da tre balordi su ogni donna presente sul treno del film. Il finale che dovrebbe suggellare gli stilemi del genere con una gran vendetta sui tre malandrini viene trattato in maniera troppo sbrigativa. Peccato… Da vedere solo per la presenza delle belle Kerowa e Dionisio.

 

gennaio 22, 2011 Posted by | Erotico | , , | 9 commenti

Gegè Bellavita

Gege Bellavita locandina

Agata e Gennaro sono una coppia con 9 figli; lei lavora e sfacchina da mattina a sera per tirare avanti la famiglia mentre lui è decisamente uno scioperato, che non ama per nulla il lavoro.
Il motivo principale per cui Agata tiene accanto a se il marito consiste nella straordinaria vigoria fisica dell’uomo, unita ad un particolare anatomico che l’uomo ha in abnorme dotazione.

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Flavio Bucci e Lina Polito sono Gennaro e Agata

Ma Gennaro non soddisfa solo la moglie; molte inquiline dello stabile, scoperte le sue doti, lo attirano con mille pretesti.
Alla lunga Agata si rende conto della situazione, ma decide di sfruttarla a vantaggio della famiglia.
Organizza così incontri a pagamento tra le voraci inquiline dello stabile nel quale lavora come portiera e il marito mandrillo.
Che un giorno scopre il quaderno in cui Agata registra i proventi delle prestazioni fornite dall’uomo.
Offeso nell’amor proprio, Gennaro fugge di casa chiedendo asilo al nobile Attanasi, il quale glielo concede essendo attirato dalla prestanza fisica di Gennaro.

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La situazione però non può durare, essendo Gennaro attratto inesorabilmente dal sesso femminile.
Così, con buona pace di tutti, l’uomo ritorna da sua moglie.
Gegè Bellavita, film datato 1979, è un brutto passo falso di Pasquale Festa Campanile, regista di ottime doti che nel passato aveva fornito prove molto più convincenti di questa scialba commedia sexy appartenente all’agonizzante filone ormai superato e accantonato dopo i fulgori degli anni precedenti.
Il soggetto è ampiamente sfruttato e Festa Campanile, che cerca di usare le armi del grottesco e dell’ironia, si impantana con un soggetto debolissimo.
A parte questo, il film è infarcito dei consueti clichè sulla napoletanità, ovvero la moglie che vede e tace e finisce per sfruttare la situazione a suo vantaggio,

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il maschio scioperato che si fa mantenere dalla moglie, lo stesso maschio latino ringalluzzito da doti sessuali molto “espressive” che utilizza imparzialmente con la moglie e le inquiline dello stabile.
E’ Flavio Bucci, attore di ottime qualità a incarnare il gallo meridionale, e se la scelta si rivela poco felice non è certo per la mancanza di professionalità dell’attore, che svolge il suo ruolo con la consueta bravura, quanto piuttosto per la poco probabile meridionalità dello stesso.

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Accanto a lui si muovono però ottimi caratteristi, come Pino Caruso (Il duca Attanasi) e Enzo Cannavale, in una delle sue repliche infinite del napoletano amico fidato del protagonista.
I ruoli femminili sono affidati a Ria De Simone, Maria Pia Conte, a Miranda Martino, Laura Trotter, a Lina Polito, bravissima nel ruolo di Agata, moglie di Gennaro e a Maurisa Laurito oltre che alla solita nudissima Marina Hedman.

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Un film decisamente in tono minore, volgarotto e poco interessante, a cui viene a mancare clamorosamente anche l’arma della risata, proprio per l’equivoco di fondo creato dall’ambiguità della commedia, poco grottesca e ancor meno ironica.

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Pasquale Festa Campanile, che veniva dall’ottima prova del suo unico thriller, Autostop rosso sangue e dal discreto Cara sposa incappa in un autentico infortunio, cosa che prima o poi accade nella carriera di un ottimo regista.
Gegè Bellavita,un film di Pasquale Festa Campanile. Con Miranda Martino, Enzo Cannavale, Flavio Bucci, Pino Caruso, Lina Polito, Salvatore Billa, Laura Trotter, Marisa Laurito,Ria De Simone,Maria Pia Conte
Commedia, durata 105 min. – Italia 1979

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Flavio Bucci     …     Gennaro Amato
Lina Polito    …     Agatina
Ria De Simone    …     Pupetta
Maria Pia Conte    …     Mercedes
Laura Trotter    …     Adelina
Miranda Martino    …     Rosa
Marisa Laurito    …     Carmen
Enzo Cannavale    …     Amico di Gennaro
Marina Pagano    …     Lisetta
Pino Caruso    …     Il Duca Attanasi
Gabriella Di Luzio    …     Prostituta

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Regia     Pasquale Festa Campanile e Neri Parenti aiuto regista
Soggetto     Pasquale Festa Campanile
Sceneggiatura     Pasquale Festa Campanile, Ottavio Jemma
Produttore     KORAL CINEMATOGRAFICA
Fotografia     Silvano Ippoliti
Montaggio     Alberto Gallitti
Musiche     Riz Ortolani

gennaio 19, 2011 Posted by | Commedia | , , , , , , , , , , | Lascia un commento

L’inizio del cammino- Walkabout

L'inizio del cammino locandina

Deserto australiano.
Un automobile si ferma; a bordo ci sono un uomo, sua figlia e suo figlio.
L’uomo, in maniera assolutamente imprevedibile, cerca di sparare ai figli, poi in un impeto autodistruttivo, da fuoco all’auto e si suicida.

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Per il ragazzo e la ragazza sembra l’inizio della fine; in che modo è possibile, per due bianchi senza esperienza, giovanissimi, senza alcun mezzo di sussistenza sopravvivere alla natura ostile che li circonda?
Eppure per loro c’è un filo d’Arianna o se vogliamo un’ancora di salvezza; è rappresentata da un giovane aborigeno, che sta facendo  un percorso iniziatico per diventare un adulto.

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Sarà il giovane a insegnare loro come sopravvivere in quel mondo quasi alieno, accompagnandoli in un viaggio pericoloso, fino ad una soluzione finale assolutamente innovativa nella sua tragicità.
L’inizio del cammino (Walkabout) è il primo film interamente girato da Nicholas Roeg, ed arriva dopo la co regia di Performance (Sadismo); rappresenta principalmente una straordinaria opera di esordio per le molte innovazioni apportate, a cominciare dall’uso assolutamente anticonvenzionale della macchina da presa, che vede l’uso virtuoso dello zoom catturare primi piani di animali, di parti di natura che circondano i tre viaggiatori del deserto.

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Un film che si può definire in qualche modo psichedelico, rapportandolo naturalmente all’anno della sua uscita, quel 1971 che fu così fertile di innovazioni sia in campo cinematografico che musicale, solo per citare due parti artistiche complementari.

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Roeg, grande esperto di fotografia, utilizza tutti i virtuosismi di sua conoscenza, applicandoli in maniera didascalica a tutto ciò che capita nel mirino della sua Mdp; il risultato è di gran qualità, perchè aumenta la vivacità di un film altrimenti statico, girato com’è in un deserto affascinante e pieno di colori come quello australiano ma per forza di cose immoto.

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A questo va aggiunto ovviamente anche il discorso portato avanti da Roeg, che non si limita al solo sfoggio di abilità tecnica, ma che lancia coraggiosamente un parallelo quasi impossibile tra la vita a contatto della natura del giovane Walkabout e la vita civile o presunta tale, rappresentata dai due giovani occidentali che nel corso della lunga traversata del deserto avranno modo di comparare le loro esistenze fino ad allora regolate proprio dai simulacri della civiltà a cui appartengono, come l’auto, la tv piuttosto che l’energia elettrica o altro.

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Saranno proprio i due giovani ad uscire profondamente e per certi versi in maniera irreversibile cambiati dall’esperienza vissuta.
Potenza del deserto, potenza di un ritorno alla natura, quella stessa natura a cui l’uomo ha rinunciato per vivere tra gli agi e le comodità che si è costruito.
Un film davvero particolare, quindi, che gioca le sue carte attraverso la capacità di Roeg di riprodurre visivamente e attrarre lo spettatore con i fantastici colori del deserto, con quella natura selvaggia e primitiva che il giovane aborigeno rispetta ma non teme.
Che si mantiene in equilibrio proprio nel rapporto, abbastanza problematico, tra i due universi differenti a cui appartengono i giovani; in effetti il problema della comunicazione da subito sembra impossibile, ma alla fine diventa davvero relativo.
C’è un modo di esprimersi universale che permetterà al giovane aborigeno e alla ragazza senza nome i comunicare in modo più totale che con le parole.
In fondo il messaggio di Roeg è anche questo.

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Walkabout, L’inizio del cammino,un film di Nicolas Roeg. Con Jenny Agutter, David Gulpilil, Lucien John Titolo originale Walkabout. Drammatico, durata 95 min. – Australia 1971.

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Jenny Agutter: Ragazza
Luc Roeg: Ragazzo bianco
David Gulpilil: Ragazzo di colore
John Meillon: Uomo
Robert McDarra: Uomo
Peter Carver: No Hoper
John Illingsworth: Giovane
Hilary Bamberger: Donna
Barry Donnelly: Scienziato australiano
Noeline Brown: Scienziato tedesco
Carlo Manchini: Scienziato italiano

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Regia: Nicholas Roeg
Sceneggiatura: Edward Bond
Prodotto da: Anthony J. Hope
Musiche: John Barry
Editing: Antony Gibbs, Alan Pattillo

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L'inizio del cammino- Walkabout locandina 1

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L'inizio del cammino- Walkabout locandina 5

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gennaio 17, 2011 Posted by | Drammatico | , | Lascia un commento

Una storia ambigua

Una storia ambigua locandina

La contessa Anna è una donna bella, ricca ma insoddisfatta.
Sposata con Romano Guerrieri, fascista convinto e gerarca fedelissimo del duce, divide il suo tempo fra la noia e il dolce far nulla.
Nella villa di proprietà dei coniugi vive anche la giovane Marisa, figlia della coppia, anch’essa molto insoddisfatta e sopratutto molto viziata.
La ragazza, per ingannare il tempo, non trova niente di meglio da fare che spogliarsi impudicamente sapendo di essere spiata dal giardiniere della villa.

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In questo teatrino morboso e moralmente degradato si inserisce all’improvviso il giovane Stefano, che arriva nella villa su invito di suo zio Romolo, che spera di procurargli un lavoro nella capitale.
Il giovane ben presto scopre di essere arrivato in un posto simile ad un bordello; infatti sia sua zia Anna, sia sua cugina Marisa, iniziano una lenta opera di seduzione.
E’ sopratutto sua zia Anna a provocarlo in mille modi, arrivando a farsi fotografare nuda pur di eccitare il povero nipote.
Nel frattempo anche Marisa mette in mostra le sue arti da ammaliatrice, spinta sopratutto dallo spirito di emulazione che prova nei confronti della madre.

Tra le due inizia così una competizione sfrenata, il tutto naturalmente all’oscuro di Romolo sempre più indaffarato con la politica e poco attento a quello che accade sotto il suo naso.
Marisa prova nei confronti del cugino sentimenti contrastanti.
Da un lato il ragazzo la attrae, dall’altro la donna è presa anche dai suoi particolari vizi, come la droga e la relazione lesbica con l’amica/amante Titti.
Dopo un lungo tira e molla le cose arrivano alla conclusione; Anna finalmente si concede al giovane Stefano, per poi trattarlo con molta freddezza dopo aver avuto da lui quello che voleva, mentre Marisa gli confessa di essersi innamorata di lui.
Il giovane prende la decisione migliore fuggendo lontano dalla casa dello zio, in cui l’amoralità sembra essere una vera e propria ragione di vita.
Mario Bianchi dirige nel 1986 Una storia ambigua, film scopertamente erotico in cui la trama è essenzialmente scarna, a tutto vantaggio di situazioni scabrose e nudità femminili generosamente esposte.
Le due principali protagoniste, Minnie Minoprio che interpreta la contessa Anna e Beba Balteano, che interpreta l’amorale Marisa sono impegnate in un duello fatto con le natiche e con i seni, il tutto in luogo di un duello recitativo.
Così, mentre sullo schermo si moltiplicano le scene scabrose, il film scorre monotonamente verso la conclusione, tra la noia e gli sbadigli.

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Beba Balteano

Costruito attorno al successo televisivo di Minnie Minoprio, che di li a poco avrebbe posato per scatti decisamente erotici per una nota rivista solo maschile, Una storia ambigua non ha alcun pregio rimarcabile.
La storia è trita e ritrita, costruita attorno al conflitto madre/figlia risolto come al solito a colpi di amplessi mentre la sceneggiatura rimane piatta e senza lampi.

Mario Bianchi, autore tra l’altro di film come La Cameriera Nera (1976),Chiamate 6969: Taxi Per Signora (1981), Margot La Pupa Della Villa Accanto (1983) e del successivo Riflessi Di Luce (1987) gioca le sue carte solo sul sesso, ammiccando al pubblico voyeur e scontentando ovviamente chi si aspettava un dramma di ben altro taglio.
A peggiorare le cose c’è una Minnie Minoprio decisamente sotto il minimo sindacale recitativo; la soubrette mostra tutti i suoi limiti e sopratutto evidenzia un netto declino fisico (all’epoca del film la Minoprio aveva 44 anni).
A questo Bianchi cerca di porre rimedio utilizzando la macchina da presa da lontano, evitando zoom che avrebbero solo messo in risalto smagliature e cellulite dell’attrice.

La cosa più triste, in questi casi consiste nel dover parlare di questi dettagli da rotocalco rosa; ma davvero c’è ben poco da evidenziare di una pellicola della metà degli anni 80, forse il periodo più buio della storia del cinema italiano.
A voler salvare qualcosa, si può scavare parecchio e valutare pochissimo sopra la sufficienza la fotografia.
Ben poca cosa, ovviamente.

Guardarsi una pellicola per ammirare una buona sala di posa e un discreto operatore fotografico è molto ma molto triste.
Una storia ambigua, un film di Mario Bianchi. Con Minnie Minoprio, Piero Gerlini, Gabriele Cori, Gabriele Gori Commedia erotica, durata 90 min. – Italia 1986

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Una storia ambigua banner protagonisti

Minnie Minoprio    …     La Contessa Anna Guerrieri
Gabriele Gori    …     Stefano
Beba Balteano    …     Marisa
Piero Gerlini    …     Romano
Paolo Merosi    …     Spacciatore

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Regia: Mario Bianchi
Sceneggiatura: Piero Regnoli
Musiche: Carlo Mezzano
Editing: Cesare Bianchini 

 

gennaio 14, 2011 Posted by | Erotico | , , | Lascia un commento

Il bacio della pantera

Il bacio della pantera locandina

C’è un’antica maledizione su Irene.
Su di lei e su suo fratello Paul; entrambi non possono vivere una vita normale, sono destinati a congiungersi carnalmente solo tra di loro per poter perpetuare la loro specie.
Infatti, se uno dei due avesse un rapporto sessuale con un estraneo, si trasformerebbe in una pantera assetata di sangue.

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Nastassja Kinski è Irene Gallier

Ma dei due fratelli, solo Paul è consapevole della cosa, Irene infatti ha completamente rimosso dalla sua coscienza le sue origini.
I due hanno vissuto una vita distanti l’uno dall’altra, complice il suicidio dei genitori.
Irene però ha dentro una spinta irrefrenabile alle sue origini; trascorre molto del suo tempo allo zoo cittadino, dove un giorno finisce per conoscere fatalmente Oliver, il custode dello stesso, e altrettanto fatalmente finisce per innamorarsene.
Quando la donna viene raggiunta dal fratello, apprende la terribile verità su se stessa e su Paul: i due possono avere soltanto rapporti incestuosi.

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Malcolm McDowell è Paul Gallier

Quando Paul tenta di avere un rapporto con altre donne, ecco che i scatena la maledizione; per poter tornare umano deve obbligatoriamente uccidere.
Irene rifugge dal rapporto con il fratello ma l’amore per Oliver è più forte di qualsiasi freno.
Così sceglierà, per vivere accanto all’uomo che ama, di diventare una pantera dopo aver finalmente fatto l’amore con Oliver.

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Subito dopo, la donna, ormai trasformata in pantera, si farà rinchiudere docilmente nello zoo.
Diretto da Paul Schrader nel 1982, Il bacio della pantera è un rifacimento dell’omonimo film di Jacques Tourneur del 1942, che tanto successo aveva avuto grazie alla trama intrigante e agli stupefacenti (per l’epoca) effetti speciali che mostrava.

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Il film di Schrader, regista di due ottimi film come American Gigolo  e Hardcore, punta decisamente sull’horror, stravolgendo in qualche modo la trama originale, per evitare sopratutto improponibili confronti tra i due film.
Nasce così una pellicola i cui ad una buona tensione si aggiungono effetti speciali all’avanguardia, il tutto condito da un’atmosfera torbida e sensuale assolutamente assente nel film di Tourner.
Merito principale della buona riuscita del film va ascritto alla bella interpretazione di Nastassja Kinski, reduce dal buon successo del dramma Tess girato sotto la regia del compagno dell’epoca, Roman Polanskj.
La Kinski mette in mostra una interpretazione asciutta e senza sbavature, esaltata dalla sua innata sensualità che alla fine diventa un valore aggiunto per il film stesso.

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Le scene di sangue, pur molto cruente, non sono virate allo splatter, ma mantengono un’essenzialità lodevole.
Se il film, all’epoca della sua uscita, venne sottovalutato lo si deve principalmente al periodo storico che il cinema stava vivendo, con una crisi abbastanza evidente ai botteghini.
Un vero peccato, perchè Il bacio della pantera ha un’atmosfera tutta speciale, torbida e morbosa, che conferiscono al film una sorta di oscura patente di dannazione che meritano sicuramente la sua visione.

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Bravo Malcom Mc Dowell, l’ex teppista di arancia meccanica nei panni di Paul, personaggio a cui l’attore conferisce una dolente carica di umanità, in evidente contrasto con l’assassino efferato che diventa nel corso del film.
Un assassino costretto però ad agire per una spinta insopprimibile, quella maledizione che lo porterà ad una triste fine.
In fondo Schrader mostra di avere pietà per i suoi personaggi, che agiscono in virtù di leggi alle quali non possono opporsi.
Bene il resto del cast, la fotografia, a tratti valore aggiunto della pellicola e le splendide musiche di Giorgio Moroder e David Bowie.

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Il bacio della pantera,un film di Paul Schrader. Con Nastassja Kinski, John Heard, Malcolm McDowell, Annette O’Toole, Ruby Dee,Ed Begley jr, Scott Paulin, Frankie Faison, Ron Diamond, Lynn Lowry, John Larroquette, Tessa Richarde, Berry Berenson, Fausto Barajas
Titolo originale Cat People. Fantastico, durata 118 min. – USA 1982.

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Il bacio della pantera banner personaggi

Nastassja Kinski: Irene Gallier
Malcolm McDowell: Paul Gallier
John Heard: Oliver Yates
Annette O’Toole: Alice Perrin
Ruby Dee: Female
Ed Begley Jr.: Joe Creigh
Scott Paulin: Bill Searle
Frankie Faison: Detective Brandt
Ron Diamond: Detective Ron Diamond
Lynn Lowry: Ruthie
John Larroquette: Bronte Judson
Tessa Richarde: Billie
Patricia Perkins: Taxi Driver
Berry Berenson: Sandra
Fausto Barajas: Otis
John H. Fields: Massage Parlor Manager
Emery Hollier: Yeatman Brewer
Stephen Marshal: Moonie
Robert Pavlovich: Ted
Julie Denney: Carol

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Regia     Paul Schrader
Soggetto     DeWitt Bodeen
Sceneggiatura     Alan Ormsby
Produttore     Charles W. Fries
Produttore esecutivo     Jerry Bruckheimer
Casa di produzione     Universal, RKO Pictures
Fotografia     John Bailey
Montaggio     Jacqueline Cambas, Jere Huggins, Ned Humphreys, Bud S. Smith
Effetti speciali     Albert Whitlock
Musiche     Giorgio Moroder
Tema musicale     Putting Out the Fire (musica di Giorgio Moroder, testi di David Bowie)
Scenografia     Ferdinando Scarfiotti, Edward Richardson
Costumi     Daniel Paredes
Trucco     Leonard Engelman

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Pur se non priva di situazioni vigorose (la trasformazione, le immagini del passato…), la pellicola non apporta nulla di veramente nuovo rispetto al film degli Anni Quaranta. Inoltre il finale è eccessivamente prolisso e disperde la carica che aveva, un po’ faticosamente, accumulato. Guardabile e nulla più.

Remake di un capolavoro (diretto da Jacques Tourneur nel lontano 1942), riuscito solo a metà grazie alla magnetica colonna sonora di Giorgio Moroder (per il quale si è aggiudicato il Golden Globe) ed alla capacità visionaria di Schrader, che si sbizzarrisce nella composizione di splendide soggettive ed inquadrature “pittoriche”. Anche la scelta di attribuire il ruolo di Irena a Nastassja Kinski infonde ulteriore motivo d’interesse. Il versante negativo è dato dalla mal sviluppata (e confusionaria) sceneggiatura e dai grossolani spfx…

Remake del capolavoro di Tourner. Premesso che i due film sono imparagonabili (il secondo ne uscirebbe con le ossa frantumate) va detto che Schrader realizza una pellicola interessante soprattutto per le buone atmosfere. Altalenante nel ritmo e nella qualità è comunque un lavoro di buona fattura. Bellissima la Kinski così come la pantera in cui si trasforma a causa della maledizione. Naturalmente se cercate le suggestioni dell’originale è meglio che lasciate perdere.

Come nelle storie d’amore che contano, quello che importa è la sostanza e non la forma: e se la forma è una pantera nera si tratta di un vero problema. La drammaticità del divieto di amare (eccetto persone delle propria famiglia… felinesque) è vissuta da Natasja/Irina in modo triste e melanconico, rendendo il suo personaggio molto leggiadro e allo stesso tempo felino. McDowell matto come al solito.

Un horror urbano, con ottimi apici di delirio e sessualità morbosa. Piuttosto che sfruttare tutta la tecnologia disponibile negli anni 80, Schrader filtra effetti speciali e colpi di scena (altrimenti piuttosto banali) dilatando l’orrore in maniera impeccabile. Nastassja Kinski, che durante la mutazione rivela un’impressionante somiglianza con l’illustre genitore diretto da Herzog, sprigiona sensualità a non finire. McDowell è un Nicholson che purtroppo rimarrà per sempre associato al solo “drugo” di Arancia Meccanica. Musiche di Moroder e Bowie.


gennaio 12, 2011 Posted by | Horror | , , , , | Lascia un commento

7 scialli di seta gialla

Sette scialli di seta gialla locandina 1

Un pianista cieco, il professor Peter Oliver, un ispettore di polizia, Iansen e una serie di oscuri omicidi che hanno per teatro il laboratorio sartoriale e di mode di Françoise Ballais.
Questi gli ingredienti di questo giallo, che vede l’ispettore Iansen alle prese con un assassino insospettabile e inafferrabile.
Quando nell’atelier di Francoise muore la bella indossatrice Paula, l’ispettore incaricato delle indagini dirige i suoi sospetti sul pianista cieco, Peter, che aveva una relazione con la modella.

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Sylva Koscina

Ma i suoi sospetti si incentrano anche sul marito di Francoise,Victor Morgan, che aveva una relazione con la donna e che veniva ricattato da un uomo che aveva scattato delle foto compromettenti della loro relazione.
Un nuovo omicidio scombussola tutto; a morire è il misterioso ricattatore, e subito dopo toccherà ad altre persone cadere vittime della follia omicida della misteriosa mano.
Sarà proprio Peter a indirizzare Iansen sulla pista giusta…

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La sequenza dell’omicidio sotto la doccia

Diretto da Sergio Pastore nel 1972, Sette scialli di seta gialla si inserisce nel florido filone delle pellicole cloni del grande successo di Argento L’uccello dalle piume di cristallo; tuttavia il maggior tributo il film lo paga al film del 1971 di Argento Il gatto a nove code, dal quale riprende il personaggio del cieco investigatore.
Non è certo l’unico elemento di somiglianza con i film di Argento; a ben guardare Pastore saccheggia tutto ciò che può dalla cinematografia del brivido.
C’è la scena dell’omicidio sotto la doccia, ripresa da Psycho, c’è l’ambientazione alla Bava di Sei donne per l’assassino…. c’è solo da divertirsi a cercare le similitudini che sono tante e anche abbastanza chiare.
Il film in se non è nemmeno malvagio, anche se alcuni colpi di teatro sono davvero tirati per i capelli; tuttavia la trama ha una sua ragione d’essere e si mostra abbastanza intricata.

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Sergio Pastore, regista di opere abbastanza anonime come Crisantemi per un branco di carogne ,Il diario proibito di Fanny, girati sul finire degli anni sessanta, ha qui la grande occasione, grazie sopratutto al buon cast assemblato per questo film. Dirige con mano scaltra ma è evidente che si tratta di un onesto artigiano e nulla più; eppure gli strumenti c’erano, a cominciare dal parterre degli attori, che include Anthony Steffen, che interpreta con sufficiente bravura il ruolo del pianista cieco, proseguendo poi con Sylva Koscina, nel ruolo di Francoise, con Annabella Incontrera, sempre algia e bellissima, con Giacomo Rossi-Stuart, che interpreta Victor ovvero il marito di Francoise…
Il film va contestualizzato anche nel periodo storico; siamo agli inizi degli anni settanta, il cinema tira come una locomotiva lanciata a folle corsa e si moltiplicano le produzioni di ogni genere.
Il thriller è uno dei generi più saccheggiati, e alla luce di questo si può capire come le produzioni offrissero regie anche ad onesti mestieranti come Pastore.
C’è qualche spruzzatina di eros, qualche delitto efferato, insomma ci sono tutti gli ingredienti del genere, mentre va segnalata la scena dell’omicidio sotto la doccia, una delle più efferate viste nei film italiani, con tanto di rasoio che taglia nella carne attorno ai seni e al corpo nudo della vittima.

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Anthony Steffen

Leggendo quà e là in rete le recensioni al film, mi è capitato di trovare giudizi durissimi e sprezzanti su questo prodotto: critiche troppo severe, perchè come già detto pur non essendo un prodotto riuscito, Sette scialli di seta gialla può essere visto senza gridare allo scandalo.
A patto di sorvolare su alcune incongruenze, su qualche pecca recitativa e su una regia abbastanza piatta.

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Sette scialli di seta gialla, un film di Sergio Pastore. Con Annabella Incontrera, Sylva Koscina, Anthony Steffen, Renato De Carmine,Giacomo Rossi Stuart, Umberto Raho, Lorenzo Piani, Shirley Corrigan
Thriller/Giallo, durata 108 min. – Italia 1972.

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Sette scialli di seta gialla banner protagonisti

Anthony Steffen – Peter Oliver
Sylva Koscina – Françoise Ballais
Giovanna Lenzi – Susan Leclerc
Renato De Carmine – Ispettore Jansen
Giacomo Rossi-Stuart – Victor Morgan
Umberto Raho – Burton
Annabella Incontrera – Helga Schurn
Romano Malaspina – Harry
Isabelle Marchall – Paola Whitney
Imelde Marani – La ragazza di Harry
Liliana Pavlo – Wendy Marshall
Shirley Corrigan – Margot Thornhill

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Regia: Sergio Pastore
Sceneggiatura: Sandro Continenza, Sergio Pastore e Giovanni Simonelli
Prodotto da Edmondo Amati, Maurizio Amati
Musiche::Manuel De Sica
Costumi:Vincenzo Tomassi

Doppiatori:

Sergio Graziani: Anthony Steffen
Rita Savagnone: Sylva Koscina
Sergio Tedesco: Umberto Raho
Pino Colizzi: Giacomo Rossi Stuart
Maria Pia Di Meo: Shirley Corrigan
Flaminia Jandolo: Annabella Incontrera
Vittoria Febbi: Lilliana Pavlo

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Sette scialli di seta gialla banner recensioni

Accettabile giallo con pesanti richiami argentiani. La storia non fila via logica (perché scappare dall’ospedale? perché lasciare l’indirizzo della vetreria?) ed ha uno spieghino finale oscuro, oltre ad infrangere una regola del giallo. Il film però si lascia guardare, con molto debito verso i bei colori e gli interni fotografati da Mancori, talora con effetti optical e quadri di Mondrian. La Incontrera, volto lungo, altero, incavato, è perfetta icona lesbica. C’è Imelde Marani che puttaneggia.

Premesso che resta – tutt’oggi – da chiarire se Pastore ha diretto o meno questo contorto (e poco efficace) giallo, quello che più rimane impresso è un finale al cardiopalma, che nasce come emulativo di Psycho (delitto nel bagno), ma è di una ferocia (considerato il periodo) davvero estrema. Per il resto crolla l’impianto narrativo per l’insolito (ed impossibile) modus operandi del killer, che si avvale di scialli avvelenati e gatti! Il Sette del titolo va in coda alla “miniserie” di gialli con titolo numerico stile Sette Cadaveri per Scotland Yard (che sono poi 9!)

La caccia alla smagliatura nel copione dei thriller all’italiana (ma non solo, anche celebrati pseudo-campioncini alla Seven non sono da meno) è uno sport in fin dei conti un po’ sterile: il giallo tricolore è questione di look, e da questo punto di vista il film di Pastore tutto sommato tiene botta, specie nella parte finale, dal rendez-vous nel cantiere in avanti. Certo non tutto fila liscio. Bravo Steffen (ma molto merito va a Sergio Graziani che lo doppia), improponibile la pettinatura di Rossi Stuart. Non male, dopotutto.

Remake non dichiarato di 23 passi dal delitto, con l’aggiunta di contrafforti argentiani (il meccanismo de L’uccello dalle piume di cristallo) e baviani (l’ambientazione nel corrotto mondo della moda di Sei donne per l’assassino). La sceneggiatura, grossolana e con non poche incongruenze, vanta qualche sequenza thrilling ben riuscita (la vetreria, la doccia di Psyco, il cieco Steffen braccato in casa sua dall’assassino) e la trovata degli scialli è originale benché improbabile. Gradevoli musiche di De Sica.

Una delle perle del trash all’italiana (soprattutto per la parte finale), che proprio per questo ha uno stuolo di fan “urlanti”, che lo considerano un film di culto. In realtà non si capisce il perché, visto che come giallo è davvero mediocre. La regia, infatti, è a dir poco claudicante (ma anche a questo proposito c’è chi pensa che Pastore sia un vero regista e per giunta bravo!) e sulla sceneggiatura meglio tacere. Un po’ meglio la situazione sul versante attori e colonna sonora, ma non basta.

Thrillerone bigio e monotono, la cui inesorabile seriosità spinge a rivalutare il brio di cose che ci parvero di insuperabile bruttezza. Pastore cita a spromba tutto ma non produce un’idea buona e originale che sia una: l’atelier è baviano, il canto dell’uccello argentiano, la cecità anche, l’unico guizzo di truculenza splatter è hitchcockiano (però che fegato!), il gatto ha una coda e tanto basta. Il movente dell’assassino è più imperscrutabile di quello di Pastore. Atmos-fear ce n’è pochina. Soporifero.

Ennesimo giallo che si rifà, in modo più che abbondante, alla celebre trilogia degli animali di Dario Argento. Il film non riesce ad emergere dalla massa di prodotti analoghi del periodo e risulta potabile solo per gli ultra-appassionati del genere. Particolarmente fantasioso, e per questo anche molto improbabile, il modus operandi dell’assassino. Come spesso in pellicole di questo tipo la logica è molto traballante.

Buon appartenente al giallo argentiano, con un ottimo cast su cui spiccano decisamente Anthony Steffen nel ruolo del pianista cieco che indaga e la bella Sylva Koscina superba, ma le bellezze femminili (Annabella Incontrera, Shirley Corrigan) non mancano così come i bravi attori (Rossi Stuart). Il tema musicale di Manuel De Sica è accattivante, l’omicidio finale della Corrigan è davvero inusuale per l’epoca. Non un capolavoro (con spiegone finale molto tirato per i capelli) ma piace.

Giallo italiano piuttosto mediocre. Il ritmo è lento, gli attori poco memorabili e le musiche non troppo entusiasmanti. Si salvano solo la buona fotografia e un omicidio (alla Psycho) piuttosto violento. Per il resto un film decisamente evitabile, solo per appassionati.

Onesto giallo italico di ambientazione nordeuropea. I richiami ad altri film ed in special modo ai primi gialli di Argento sono evidenti, tuttavia Pastore riesce a confezionare un prodotto decoroso e a mio avviso avvincente. La vicenda è concettualmente inverosimile, ma scandita da un’ottima ritmica degli eventi e da un’interpretazione degli attori più che dignitosa. Prodotto destinato a “cinemini” di periferia; ecco un buon motivo per amarlo!

Tra la miriade di imitazioni argentiane degli Anni Settanta, si inserisce questo film di Pastore. A parte l’accumulo di citazioni da altre pellicole del genere (a partire dal protagonista cieco e curiosone, preso di peso da Il gatto di Argento), il film scade spesso nella noia e non è riscattato neanche dalla violenza, visto il basso tasso di splatter. Si salva giusto l’omicidio sotto la doccia (unica scena veramente truce) e qualche buon momento di tensione negli ultimi venti minuti. Interpreti accettabili, sceneggiatura claudicante. Improbabile.

Personaggi bidimensionali come quelli dei fumetti cui parrebbe tratto, che fingono di suonare il piano e cenano all’Hilton, posseggono case con splendidi armamentari vintage e frequentano lisergici atelier. Ecco un motivo valido per guardare questo film: farsi un’idea dell’immaginario lounge-chic che impazzava nelle fantasie italiche, fra sigarette accese in ogni dove e pruriginosi scandali sessuali. La storia è striminzita (il mantello? il gatto?), ma il film ha una sua soporifera fragranza che sa d’innocenza e di cinema con le sedie in legno.

Bistrattato da molti e esaltato da altri. Si tratta di un giallo comunque guardabile, interpretato bene da un gradevole cast. A parte il ridicolo finale (che in parte ricorda quello di Sotto il vestito niente) il film si lascia guardare. Un po’ improbabile la storia del gatto, ma tant’è. Ottime le musiche. Diverse scopiazzature dai film di Argento. Quasi tre pallini.

Film noioso, che si perde più volte nel tentativo di richiamare classici argentiani, facendolo in maniera sconclusionata e poco efficace. La trama è artificiosa e priva di tensione, i delitti (a parte un po’ di gore finale) sono piatti ed architettati in maniera poco credibile. Tra i thriller dell’epoca certamente uno dei più scadenti, rischiarato da una scena finale da deja-vu, ma efficace.

Pastore si butta sul giallo argentiano, con tutti i crismi del genere, attingendo non poco dal Maestro stesso, così come da altri (il film nel film è “Una lucertola dalla pelle di donna” di zio Lucio). Ma, a parte un po’ di confusione nell’esposizione, va detto che non confeziona un affatto un brutto film. Certo, nulla di trascendentale, ma l’omicidio cruento nella parte finale, con accanimento sul corpo indifeso della vittima alza la media… Rossi Stuart meglio di un monoespressivo Steffen. Molti i nudi. VM 14

Discreto thriller dalle incontrovertibili derivazioni, ma onestamente palesate, senza dissimulazioni di sorta. Quello che personalmente ho trovato fuori luogo, è la modalità principale con la quale vengono uccise le malcapitate: troppo improbabile. La storia è carina, con lo svolgimento regolare frutto di una tecnica sobria, senza troppe pretese (saggia decisione evitare di strafare). Particolare la location in Copenaghen, ma forse Milano o Roma avrebbero caricato meglio la natura di genere. Attori bellissimi e musiche adeguate, con un finalone inaspettato.

Thrillerino che si basa su presupposti abbastanza improbabili e attinge senza ritegno dai successi argentiani del periodo (L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code…). Violenza e tensione latitano. Film non proprio noioso ma che ristagna nella mediocrità fino all’intenso, violento (finalmente) finale. Non brutto, ma decisamente evitabile.

Tra i vari gialli, giallacci e giallini Anni Settanta, mi sembra il peggiore che ho visto. A parte l’affastellamento, senza nessuna ironia, di citazioni da altri film del periodo, a parte il movente dei delitti, che proprio non sta né in cielo né in terra… ma è proprio noioso, non c’è un momento di vera tensione. E poi, ci vuole coraggio per trattare così l’unico personaggio al quale ci eravamo veramente affezionati. E ci vuole coraggio per far spogliare la Koscina per farle mostrare un lato B da massaia sedentaria…

Veramente inguardabile. Nonostante sia un patito dei gialli italiani Anni Settanta, questo è proprio brutto. Copia e incolla spunti e trama da destra e da sinistra, non intriga, non scorre, con attori incapaci e personaggi senza alcun interesse. Un disastro. Starsene alla larga!

Culto a causa di diversi record: il maggior numero di citazioni da altri gialli, la “scena della doccia” più gore, il modus operandi più contorto e improbabile, il fermo-immagine finale più ridicolo (eppure…). Però oltre questo è anche un giallo onestissimo, che non si limita a seminare false piste per confondere lo spettatore ma gli offre anche la possibilità di indovinare il colpevole con un particolare rivelatore (occhio all’automobile). Regìa assai meno sciatta di quanto sembri, buona prova anche per Steffen (altrove spesso cane).

Sembra davvero un fumettone per via di costumi, design, tecnica di omicidio indiretta e solo in apparenza avveniristica, per il fatto che un’attrice la faccian tanto bella per accopparla in seguito così crudelmente… per il bianco e nero della doccia che qui centuplica la suggestione, stessi due colori che contraddistinguono i mantelli. Davvero un caso? Interessante, ma non grintoso al punto da far decollare l’entusiasmo di chi lo vede.

Inutile far notare quanto l’influenza del Darione nazionale contamini ogni passaggio di questo ennesimo titolo “numerologico”. Un buon giallo comunque, in cui spadroneggiano primi piani fuorvianti e disonesti zoom sugli sguardi torvi e sospettosi di alcuni degli interpreti. Differentemente dal solito, Anthony Steffen mostra davvero un raro stato di grazia con la sua perfetta immedesimazione nei panni del compositore cieco. A tratti allucinato, il film di Pastore presenta inoltre la sequenza forse più splatter mai vista sino ad allora su schermo.

Una volta fatta l’abitudine “visiva” ai fantastici abiti e pettinature dell’epoca, di questo film resta ben poco di godibile. La trama è abbastanza piatta e banale e il cosiddetto colpo di scena finale sembra creato più per dare la colpa al personaggio meno sospettabile di tutti che per seguire un vero filo logico. Imbarazzanti e rigidi i due protagonisti maschili.

Derivativo, eccessivamente derivativo questo giallo a tinte forti dove non si sa dove finisca la citazione e inizi la scopiazzatura spudorata. Inizialmente sembra partire bene, con un misterioso metodo di uccisione, ma quando inizia a delinearsi il quadro si scade nell’assurdo e nel ridicolo. Menzione speciale all’omicidio nella doccia preso da Psyco ma più sanguinoso (in bene) e alla pietosa sequenza finale assieme a quella dell’attentato nella fabbrica (in male).

Giallo che più derivativo non potrebbe essere: in effetti se ci mettiamo ad elencare i riferimenti ad altre pellicole rischiamo di non finirla più. Ttuttavia Pastore propone anche un paio di idee originali: l’ambientazione danese e il complesso modus operandi dell’assassino, che qui si serve, appunto, degli scialli del titolo intrisi di una sostanza che attira e scatena un gatto dagli artigli avvelenati. Buon ritmo, qualche momento di tensione e un omicidio sotto la doccia di inaudita violenza, ma la soluzione convince poco. Non male il cast.

Prende da Argento, da Bava, da 23 passi da un delitto e finisce con una splendida uccisione sotto la doccia degna di Psyco. Siamo nel ’72, siamo nel bel mezzo del giallo all’italiana e del successo di Darione; Pastore si permette di emulare e rubare senza vergogna. E tutto sommato gli si perdona tutto. Il giallo non è poi pessimo, soffre delle classiche ingenuità e carenze sia di budget sia di sceneggiature. Offre la solita fotografia di quegli anni e costumi e scenografie disgustosamente pacchiane. Steffen è una garanzia, il Fonda italiano

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gennaio 6, 2011 Posted by | Thriller | , , , , , , | 2 commenti