L’amante di mia madre
Titolo furbetto e ammiccante,come del resto si usava tantissimo negli anni settanta; in origine questo film di George Zervoulakos si intitolava Naked in the snow, ovvero Nudo nella neve e allude ad una scena cruciale del film.
Un film di taglio drammatico, incentrato sulla figura di una donna che attraverso il flashback rivive parte del suo recente passato; George Zervoulakos, regista assolutamente sconosciuto da noi dirige un film che non è un thriller, nonostante la tensione latente ma un viaggio nella memoria e nelle gesta di una donna che trova l’amore e lo perde,drammaticamente, tradita dall’uomo che ama e da sua figlia.
Un film dall’andamento narcolettico, con lunghe pause e scene di immobilità girato in una location particolare e selvaggia, in cui predomina il bianco assoluto e abbacinante della neve che è la protagonista degli esterni del film.
La trama:
Sofia è in carcere.
Attraverso l’uso del flashback vediamo il perchè, ovvero l’omicidio di un giovane che la donna ha colpito con un colpo di fucile mentre correva nudo sulla neve, scappando probabilmente da lei.Sempre attraverso l’onnipresente flashback scopriamo che la donna è una scrittrice rimasta vedova che si è ritirata in una baita assolutamente sperduta in compagnia di un cane.Qui, un giorno, richiamata dai guaiti del suo cane scopre il corpo di un giovane sepolto dalla neve.Sofia soccorre il giovane, lo cura e alla fine ne diventa l’amante; l’uomo è un evaso ed è ricercato dalla polizia ma nonostante questo la donna lo protegge e lo nasconde.
Le cose cambiano drammaticamente il giorno in cui arriva, a casa di Sofia, sua figlia.Giovane e bella, ben presto rimpiazza la madre nel cuore (e nel letto) del giovane fino a quando la stessa non scopre in una stalla i due giovani che fanno l’amore.Imbracciato il fucile la donna spara all’uomo mentre questi cerca una disperata fuga completamente nudo tra la neve e lo abbatte.
Arrestata, la donna ivive gli avvenimenti e alla fine, sconvolta, si taglia le vene.
Drammone con finale tragico quindi.
Film non di certo originale, giocato su un triangolo visto altre volte (la madre,la figlia e l’amante delle due) caratterizzato da una staticità delle immagini assolutamente unica.
Diverse sequenze vengono dilatate nel tempo, quasi che il regista voglia imprimere nella memoria dello spettatore gli sguardi, i sottintesi, gli scarni discorsi che intercorrono tra i protagonisti.Alcune scene presentano nudi ieratici, quasi subliminati, che di erotico non hanno assolutamente nulla così come le scene di sesso peraltro molto pudiche nulla hanno di pruriginoso.
Su tutto neve, tanta neve, che dona al film un senso di gelo accentuato, che avvolge il tutto rendendo la storia una tragedia dai tempi spaventosamente dilatati.
Non un brutto film, intendiamoci, ma un film abbastanza monotono.
Bene però i protagonisti, su tutto una intensa Emilia Ipsilanti, autentica rivelazione così come brava è anche Aliki Zanou che interpreta Elisa.L’oggetto del contendere tra madre e figlia è l’attore Christo Spyropoulos che l’anno successivo, dopo La mia carne brucia di desiderio (1975) chiuderà la sua brevissima carriera.
Film assolutamente invisibile in tv, che del resto è passato come una meteora nel 1974 alla sua uscita sugli schermi:tuttavia seguendo questo link http://wipfiles.net/wl9x5sszd61h.html troverete il film in un’ottima riduzione e sottotitolato in italiano ( o in doppio audio)
L’amante di mia madre
di George Zervoulakos con Emilia Ipsilanti,Christo Spyropoulos,Aliki Zanou Drammatico Grecia 1974
Emilia Ipsilanti …Sofia
Christo Spyropoulos …Il giovane
Aliki Zanou …Elisa
Regia: George Zervoulakos
Sceneggiatura:George Zervoulakos
Musiche:Linos Kokotos
Montaggio:Aris Stavrou
Sul far della notte
Charles Masson è un dirigente di un’azienda che si occupa di pubblicità;ha una bella famiglia, una bellissima moglie ma sopratutto ha un’amante, Laura Tellier che è sposata però con il miglior amico di Charles, Francois.
I due si incontrano in un appartamento, come clandestini e non rifuggono da rapporti sessuali estremi, masochistici.
Durante uno di questi rapporti, Charles arriva a strangolare la donna.
Da quel momento l’uomo è costretto a costruire attorno a se un muro di difesa, che però lo ingabbia a tal punto da soffocarlo.
Così decide di raccontare tutto alla moglie, che per difendere lo status sociale, fa finta di ignorare l’accaduto.
Dal romanzo Sul far della notte di Edward Atiyah, Claude Chabrol trae il film omonimo dirigendolo su un binario di fredda tecnica e creando un prodotto che viaggia glacialmente sull’indagine della vita di un uomo, il protagonista, che è costretto, per difendere la sua vita irreprensibile, a nascondersi, a mimetizzarsi, protetto in qualche modo dall’aria di rispettabilità che ha lui e il suo ruolo sociale.
La polizia non sospetta di lui, ma la cattiva coscienza fa vedere il pericolo anche dove non c’è: così la vita di Charles si complica maledettamente tanto da spingerlo, forse preda del rimorso, forse in cerca di un appoggio a confidare l’accaduto a sua moglie.
Che è preda anch’essa delle convenzioni borghesi e che vuol difendere la sua famiglia da uno scandalo.
Così tutto viene nascosto, taciuto.
E la vita può riprendere regolarmente.
O quasi.
Chabrol indaga con discrezione sulle convenzioni, sfiorando il senso del rimorso dell’uomo che evidentemente cova in se ma non può esprimere.
Un’altra scena importante in questo senso è quella in cui mima la sua confessione,di ritorno sulla strada che lo porta indietro dal funerale di Laura. Charles parla ma nessun suono esce dalla sua bocca. Ci sono emozioni e sentimenti che non osano e non possono essere espressi. Hélène è più fredda e calma nel controllare i suoi sentimenti. La sua reazione alla confessione del marito – il sesso, omicidio,il tradimento – è fredda e estremamente razionale. Lei sceglie con calma di perdonarlo e prosegue la recita di facciata di quella vita tranquilla che in fondo ha e che non intende mettere a repentaglio.
Un film che usa il bisturi per sezionare le personalità che man mano affollano la vicenda, tutte quasi rinchiuse in se stesse:come la giovane donna che lo riconosce da lontano come l’amante di Laura, lo guarda ma tiene per se la cosa, disinteressandosi di tutto presa com’è a farsi i fatti propri.
Su tutto la sequenza notturna della confessione di Charles: la scena cruciale si verifica di notte, è diretta con pochissima luce e si può a malapena a vedere i volti degli attori. Ma per chi guarda la pellicola la cosa non è importante, così come non è importante.l’espressione dei protagonisti.Le loro parole valgono per tutto, come quella confessione, agghiacciante di Charles che dice “Se tu sapessi quello che ho fatto, se solo tu sapessi..” mentre la moglie lo rassicura, quasi complice di un gesto così efferato.
Il cast scelto da Chabrol sposa alla perfezione le intenzioni del regista:bravissimi tutti, in particolare la sempre bellissima Stephane Audran che interpreta la moglie di Charles,Michel Bouquet che interpreta Charles, Anna Douking (Laura) che resta in scena pochissimo ma con gran mestiere e François Périer, che riveste il ruolo di Francois, l’amico di Charles.
Un film molto bello, freddo e elegante al tempo stesso e che purtroppo è pressochè introvabile nella versione italiana.
Chi volesse vederne la versione originale può farlo seguendo questo link su You tube: http://www.youtube.com/watch?v=F3ugdFqcfr4
Sul far della notte
Un film di Claude Chabrol, con Stéphane Audran,François Périer,Michel Bouquet,Jean Carmet,Dominique Zardi,Anna Douking Drammatico, Francia-Ucraina 1971 Titolo originale Just avant la nuit
Stéphane Audran Hélène Masson
François Périer François Tellier
Michel Bouquet Charles Masson
Jean Carmet Jeannot
Henri Attal Cavanna
Dominique Zardi Prince
Celia Jacqueline
Marina Ninchi Gina Mallardi
Anna Douking Laura Tellier
Regia Claude Chabrol
Soggetto-romanzo Edouard Atiyah
Sceneggiatura Claude Chabrol
Fotografia Jean Rabier
Montaggio Jacques Gaillard
Musiche Pierre Jansen
L’opinione di Undying dal sito http://www.davinotti.com
Laura Tellier (Anna Douking) ha una relazione con Charles Masson (Michel Bouquet) nonostante quest’ultimo sia felicemente coniugato. L’omicidio di Laura potrebbe intaccare la rispettabilità della famiglia e sarà dunque la moglie a punire il “reo confesso”, in virtù dell’apparenza (il decoro civile) che surclassa la sostanza (la relazione extraconiugale e il delitto). Notevole dramma dai risvolti tragici, orientato alla denuncia sociale. Chabrol rifugge dal sensazionalismo per concentrarsi invece sui pensieri di una mente borghese (la moglie) adagiata sulla rispettabilità e sull’appar(ten)enza.
Storia di Piera
Il percorso di vita della piccola Piera, che nasce, cresce e diventa donna in una famiglia lontanissima dai canoni tradizionali; suo padre è un attivista politico del Pci, innamoratissimo della moglie Eugenia, che però, pur amando il marito, sembra affetta da pulsioni inafferrabili.
La donna ha una morale pressochè inesistente, non concepisce la fedeltà coniugale, forse perchè profondamente immatura o forse solo incapace di rispettare i limiti imposti dalla morale;Eugenia infatti svolazza di quà e di la perennemente insoddisfatta, sempre pronta a cedere alle tentazioni della carne.
La vediamo entrare nei letti di una pletora di sconosciuti, seguita come un’ombra dalla piccola Piera che man mano che avviene il processo naturale della crescita,sceglie la propria strada diventando una cantante di successo.
Poi dopo molti anni, la parabola della strana famiglia arriva alla parte fatale, quella in cui i protagonisti diventano anziani:il padre di Piera perde quasi il lume della ragione, consumato sia dall’amore per la folle moglie sia per la dolorosa scoperta di non aver mai potuto sfiorare l’anima di una donna inquieta e posseduta da strani demoni esistenziali come Eugenia.
E’ in manicomio che quindi si consuma il dramma dell’uomo, che in un momento di lucida follia sussurra qualcosa a sua figlia Piera, chiedendole probabilmente di mostrare le sue parti intime, quasi volesse cercare nella figlia il ricordo della moglie tanto amata.
E Piera poi dovrà assistersi alla triste parabola discendente della madre, ormai anch’essa preda della follia: è in riva al mare che Piera, nuda come sua madre, capirà di essere diventata non la figlia ma una guida, quasi una madre della sua genitrice.
E abbraccerà in un tenero momento quella donna mai cresciuta e rimasta in un limbo impenetrabile e incomprensibile agli altri.
Storia di Piera è un film di Marco Ferrei, molto differente dai suoi precedenti perchè il regista questa volta sceglie di trasferire il suo sguardo indagatore sulla sfera privata dei sentimenti.
Ma da regista anticonvenzionale qual’è sceglie di raccontare non una storia qualsiasi, ma quella di una famiglia in cui i valori tradizionali sono ribaltati; non esiste una morale e se c’è va adeguata alle necessità quasi animali della protagonista assoluta, Eugenia, madre di Piera che dovrebbe essere se non l’io narrante quanto meno il fulcro della storia.
Invece tutto passa attraverso le gesta di una donna potentemente, quasi totalmente irrazionale, preda di pulsioni incontrollabili (quanto lo sono e quanto invece Eugenia le sfugge?) che vive una vita assolutamente e straordinariamente amorale, che attraverso il sesso e una follia imprendibile vaga di persona in persona, farfalla edonistica e libera che svolazza su un mondo che la circonda appena descritto.
Ferreri non usa la sferza per castigare o sbeffeggiare la società come in La grande abbuffata; in Storia di Piera costruisce un quadro quasi intimista, delicato nonostante l’argomento fortemente scabroso trattato.
Dall’omonimo libro di Piera Degli Esposti e Dacia Maraini e con sceneggiatura delle stesse scrittrici Ferreri trae un’opera sostanzialmente fedele al racconto limitandosi a trasferire l’azione da Bologna alle terre attorno a Latina e Sabaudia, svuotandole di persone e elevando le figure di Piera e Eugenia ad assolute protagoniste e lasciando la figura del padre di Piera volutamente fuori quadro, quasi fosse un personaggio di contorno vittima di una donna come Eugenia che con la sua personalità si potrebbe dire asociale schiaccia la figura maschile, in una prepotente affermazione dell’essere donna.
L’immobilità quasi ascetica delle scene finali delle due protagoniste,quel loro essere sole su una immensa spiaggia deserta, con Eugenia e Piera sole e nude che si abbracciano quasi a scambiarsi i ruoli, in cui Eugenia ormai preda della follia sembra ritornare allo stato infantile segna il momento cruciale della storia.
Piera è diventata adulta, ha fatto le sue scelte e la sua vita ed ora diventa madre, madre di sua madre:la parabola è conclusa, il cerchio si chiude.
Il sax di Stan Getz suona quasi malinconico come sotto fondo di una storia in cui predominano immagini quasi shock, come l’incesto più che sottinteso nella sequenza fondamentale in cui Piera si reca a trovare suo padre che le chiede di spogliarsi, per cercare in lei il ricordo di sua moglie o le sarabande erotiche che Eugenia rincorre quasi fosse preda del demone della lussuria o semplicemente usasse la stessa per affermare se stessa.O forse solo perchè la sua natura è quella, profondamente legata alle radici animali della vita.
Tornando alla scena fondamentale per l’economia del film, quella in cui Piera e suo padre si scambiano un bacio nient’affatto usuale, un bacio in cui il padre sembra quasi dimenticare che quella splendida donna seduta accanto a lui è sua figlia, bene quella sequenza svela il senso profondo dell’amore disperato del padre per sua madre.”Quelle di Eugenia sono più belle“, dice in tono malinconico l’uomo, guardando le gambe di Piera.
“Quella di mia madre è meglio?” chiede in tono volutamente provocatorio Piera, sollevandosi la gonna e mostrando le parti intime, nude, a suo padre.”Non sono riuscito mai a soddisfarla“, dice l’uomo e subito dopo, con tenerezza dalla quale è sparito l’elemento erotico, i due tornano ad essere padre e figlia, consapevoli entrambi che la loro vita è stata e sarà condizionata per sempre da quella donna inafferrabile e sfuggente che è Eugenia.
Forse la frase più importante e rivelatrice è quella che dice Eugenia mentre è a letto con uno dei suoi tanti amanti, Massimo, che la maltratta mentre lei vien fuori con una frase urlata, sotto gli occhi di Piera:”Nessuno mi ama come dico io”
Il film è dominato in lungo e in largo dalla straordinaria interpretazione della musa di Fassbinder, Hanna Schygulla, che restituisce allo spettatore tutto il senso della follia del personaggio di Eugenia; l’attrice convince tutti, critica e pubblico e merita così il premio per la miglior interpretazione femminile a Cannes.
Bravissima anche Isabelle Huppert nel ruolo di Piera mentre piuttosto defilato, in una storia in cui predominano i due personaggi femminili è Marcello Mastroianni.
Bella la fotografia, belle e silenziose le location in un film che potrà non piacere per i dialoghi o per la figura quasi schizofrenica di Eugenia o per il ruolo di Piera ma che resta storia affascinante nel suo tratteggiare due figure potentemente anticonformiste.
Il film è disponibile in streaming, in un’ottima riduzione al link http://www.nowvideo.sx/video/2d273f502def1
Storia di Piera
Un film di Marco Ferreri. Con Isabelle Huppert, Marcello Mastroianni, Hanna Schygulla, Fiammetta Baralla, Angelo Infanti, Tanya Lopert, Laura Trotter, Serena Bennato, Maurizio Donadoni, Cristina Forti, Loredana Berté, Piera Degli Esposti, Aiché Nana, Bettina Gruhn, Lidia Montanari Drammatico, durata 101′ min. – Italia 1983. –
Isabelle Huppert: Piera
Hanna Schygulla: Eugenia
Marcello Mastroianni: Lorenzo, padre di Piera
Angelo Infanti: Tito/Giasone
Tanya Lopert: Elide
Bettina Grühn: Piera da bambina
Lidia Montanari: Centomila lire
Laura Trotter: giovane levatrice
Aïché Nana: veggente
Loredana Bertè: sé stessa
Regia Marco Ferreri
Soggetto Piera Degli Esposti, Dacia Maraini
Sceneggiatura Piera Degli Esposti, Dacia Maraini
Produttore Erwin C. Dietrich, Luciano Luna, Achille Manzotti
Fotografia Ennio Guarnieri
Montaggio Ruggero Mastroianni
Musiche Philippe Sarde
L’opinione di Lor.cio dal sito http://www.filmtv.it
Da un libro-intervista in cui quel mostro d’attrice di Piera Degli Esposti si confidava con Dacia Maraini, Marco Ferreri ha cavato un film discutibile. Incentrato principalmente sulla figura della madre di Piera, figura incarnante la totalità disinteressata e candida, voluttuosa e travolgente dell’Amore, interpretata da una grande Hanna Schygulla, è soprattutto il racconto di un gruppo di famiglia atipico visto dagli occhi della giovane Piera, filtrato attraverso la sensibilità dura della ragazza immersa nel proprio percorso di formazione, influenzato irrimediabilmente dall’immagine di questa madre assoluta, invadente, ingombrante. È, quindi, un complesso ritratto femminile che si articola apparentemente su due voci, ma che è in realtà un romanzo per voce sola che in teoria avrebbe dovuto narrare una valanga di cose. Alla fine il film risulta lento e poco fluido, troppo ellittico e qua e là un po’ sciupato, e probabilmente Ferreri non era il regista più adatto alla versione cinematografica di una confessione così intima e smarrita, troppo impegnata all’autocompiacimento dei corpi nudi e del sesso (vera ossessione del regista) per dimostrare la stessa attenzione a tutto ciò che si muove nell’interno di Piera. Forse s’identifica con il padre, a cui Mastroianni conferisce certi toni vellutati molto malinconici. Certo è che non è il suo film migliore, e Loredana Bertè che intona la struggente Sei bellissima è una meteora. D’altro canto, bella la calda rappresentazione dei luoghi, infedele (la storia originale è bolognese, il film si svolge nell’arida Latina) ma adeguata.
L’opinione di will kane dal sito http://www.filmtv.it
Femmina e Maschio nel cinema di Ferreri si scontrano e si rendono conto che è impossibile arrivare a un punto in cui qualcuno non ci lasci le penne,metaforicamente e no:quasi sempre la Donna l’ha vinta sull’Uomo,e l’autore ne fa uno dei cardini della sua opera.”Storia di Piera”,tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Piera Degli Esposti,è uno degli ultimi lavori di Ferreri accolti bene dal pubblico, e un film che all’epoca della sua uscita fece discutere.Ci sono lungaggini non indifferenti,il quadro di Affetto che non basta però a spuntarla sull’istinto distruttore dell’umanità ferreriana ha a tratti una delicatezza senza pari,e gli interpreti aiutano,pur se lasciati,come al solito,a briglia sciolta,dando ai personaggi una naturalezza molto sentita,pur trovandosi spesso in situazioni al limite del morboso.Hannah Schygulla,figura materna dalla testa matta e dagli istinti insopprimibili è la protagonista vera e propria del racconto,Isabelle Huppert,che entra nel film dopo tre quarti d’ora,rimanendoci per un’ora,ha la misura e il carisma d’attrice necessari,e Mastroianni fa un dolente intellettuale che non sa gestire le cose.Chiusa su un abbraccio su una spiaggia tra madre e figlia ,quasi a simboleggiare un’utopia regressiva di azzeramento o una natività tardiva,il film ha momenti belli e altri più irritanti.Ma Marco Ferreri da Milano,barbuto senza baffi,era un poeta sincero.
L’opinione di amterme dal sito http://www.filmscoop.it
E’ senz’altro il film più coraggioso di Ferreri, quello che più facilmente può essere frainteso.
Fin dai primi film Ferreri ha sempre disegnato modelli di convivenza civile, in genere astraendo dalla realtà e proponendo modelli che riflettevano gli umori del presente o i disegni per un probabile futuro. Questo film in particolare si situa nella temperie culturale degli inizi degli anni ’80, nel momento di massima intensità del movimento di liberazione etica individuale, prima dell’arrivo dell’ondata moralizzatrice che stiamo vivendo tuttora. Il disegno/desiderio di poter vivere ed esprimere nella massima libertà tutto quello che è amore pacifico e consenziente, calore e contatto umano, senza prigionie di legami sociali o rigide norme morali arrivò allora al punto di poter immaginare una storia in cui pedofilia e incesto potessero essere visti come qualcosa di normale e non negativo.
Questo film disegna una piccola utopia di nuova “famiglia” o vita affettiva in cui non ci siano divieti di nessun genere all’amore, purché sia voluto e partecipato. Si vuole dimostrare che c’è amore, sentimento, coinvolgimento molto forte anche nella scoperta dell’eros da parte di un(a) adolescente nel suo rapporto con il mondo degli adulti, come pure il legame affettivo molto forte e sentito nei confronti dei genitori che non conosce alcun tipo di barriera.
L’accento è sulla parte sentimentale interiore, infatti in tutto il film non c’è nessuna scena scabrosa, morbosa e non è assolutamente un film volgare o disgustoso. Anzi è un film a volte molto delicato e intenso.
Il limite più evidente è l’astrazione quasi completa dalla realtà. La storia si svolge come fosse reale (è addirittura ambientata a Sabaudia) ma in verità taglia quasi tutto quello che è spiacevole o contrario. Il fatto è che una vicenda del genere non avrebbe mai potuto svolgersi in maniera così pacifica e tollerata. Assolutamente. E’ ovvio che tale esclusione del negativo è voluta, è come poter osservare un esperimento in vitro per dimostrare che può esistere e svolgersi se non gli si pone ostacoli.
La storia è tratta da un libro scritto da Dacia Maraini e da Piera degli Esposti (mica persone qualunque!) ed è tradotto su pellicola con stile francese (non va dimenticato che Ferreri è il più “francese” dei registi italiani della fine del XX secolo). Questo stile prevede di seguire gli avvenimenti dal punto di vista dei sentimentali interiori dei personaggi, astraendo da tempo, luogo e azione. Si assiste ad una serie di fatti banali, a volte insignificanti che si succedono senza apparenti legami logici fra di loro. La progressione è dettata esclusivamente dalla conoscenza e dall’espressione di sentimenti. Noi del 2010 abbiamo perso l’abitudine a questo metodo di rappresentazione basato sull’interiorità e quindi facilmente ci si smarrisce, ci si annoia e non si raccoglie niente da ciò che vediamo.
L’opinione di Cotola dal sito http://www.davinotti.com
Il più audace dei film di Ferreri (che in quanto a coraggio non ha mai scarseggiato) racconta la storia di una bizzarra famiglia e dei rapporti intercorrenti tra i suoi membri ed in particolare su quelli tra Piera (bambina già adulta) e la madre (donna dalla grande e folle vitalità) il cui amore l’una per l’altra è sincero e molto forte. Ne viene fuori una storia molto particolare e “scandalosa” che pur con qualche pausa di troppo, vive intensi momenti di lirismo e riesce così ad emozionare lo spettatore. Grande prova della Schygulla.
Incipit libro
PIERA. Ecco, questa è la fotografia di mia madre, hai visto? così giovane, così imbronciata. Mi fa l’effetto di una persona morta, anche se lei è molto presente in me. Quel suo modo di tirarmi per la mano, non per affetto, come quando mi tirava le trecce forte forte.
Una vita lunga un giorno
E’ passato molto tempo da quando Andrea è partito da Sanremo per imbarcarsi per lavoro.
Il giovane infatti è un marinaio e alloggia periodicamente presso la pensione della signora Andersson; questa volta trova un’amara sorpresa, perchè la donna è morta tre giorni prima del suo arrivo.
Una lettera arrivata la mattina al portiere della pensione informa che la nipote della signora Hilde Andersson arriverà alla pensione, cosi Andrea va a prendere la ragazza alla stazione.
Anna è una bella ragazza e ben presto tra i due nasce l’amore;nel frattempo inutilmente Andrea cerca un imbarco.
Una mattina Anna, mentre sta facendo la doccia, viene assalita da un uomo: la ragazza è salvata dallo stupro da Andrea giunto opportunamente nella sua camera.
Andrea porta Anna ospedale per accertamenti dove però ha un’amara sorpresa; la ragazza infatti, a detta del medico, soffre di un grave disturbo al cuore e necessita di una delicata ( e costosa) operazione a cuore aperto per essere salvata.
Avvicinato da un misterioso personaggio, Andrea scopre che ha la possibilità di guadagnare in un colpo solo la somma che necessita per l’operazione.
Un gruppo di annoiati professionisti, fra i quali spicca un depravato riccastro, Philippe, è disposto a dargli la somma necessaria a patto che riesca a coprir la distanza che c’è tra le alture della cittadina ligure e il porto sfuggendo a cinque tentativi di omicidio che avverranno secondo modalità assolutamente impreviste da Andrea.
Il giovane accetta e da quel momento la sua vita dipenderà solo dalla fortuna e dalla sua capacità di essere preda.
Dopo il primo tentativo andato a vuoto, durante il percorso con la funicolare che lo porta sulle colline, Andrea riesce a sfuggire casualmente al tiro di un cecchino armato di fucile di precisione,per poi finire nel letto della bellissima moglie di Philippe, sfuggire alle fiamme (dolose) che avvolgono una baracca per poi giungere, pesto e sanguinante al porto.
Qui scoprirà di essere stato parte di un gioco ancora più perverso, al quale non è estranea l’amata Anna, che ha funzionato dall’inizio come esca per l’ingenuo marinaio.
Finale drammatico e sconsolante.
Sotto lo pseudonimo di Sam Livingstone il regista Ferdinando Baldi dirige nel 1973 Una vita lunga un giorno subito dopo il discreto successo di Afyon oppio (1972) e quello dell’inusuale western Blindman del 1971 che molti ricorderanno per aver avuto come protagonista un pistolero cieco.
In questo strano film, a metà strada tra il sentimentale e il thriller venato di noir, Baldi cerca di armonizzare una sceneggiatura molto lacunosa destreggiandosi a fatica con un film che ricorda moltissimo, troppo in realtà, il più fortunato La decima vittima di Petri.
Ad una prima parte del film caratterizzata da una lentezza quasi esasperante, fa seguito una seconda in cui il ritmo accelera improvvisamente e in cui il protagonista è costretto a muoversi come una belva braccata da un invisibile mini esercito di killer che lo aspettano al varco per ucciderlo.
L’amalgama del film però risulta alla fine assolutamente ondulatorio e non giova certo all’economia dello stesso l’espressione monocorde del protagonista principale, quel Mino Reitano all’epoca idolo delle folle in un ambito ben differente, quello del panorama musicale.
Il cantante di Fiumara, prestato al cinema dopo l’esperienza sfortunata di Tara Poki, western di Amasi Damiani del 1971 e prima dell’unico film di discreto livello interpretato, ovvero Povero Cristo di Pier Carpi conferma di non essere adatto al grande schermo.
Colpa della sua rigidità espressiva, caratterizzata dall’espressione perennemente imbabolata e monocorde del viso.
In questo film poi, in cui era necessaria un’espressione mobile dello sguardo per passare dal contesto romantico a quello drammatico,Reitano conferma i suoi evidenti limiti condannando il film ad un giudizio negativo.
Che, per inciso, meriterebbe di già per lo scarso coordinamento fra le varie parti del film, che oscilla e sbanda indeciso su quale strada prendere.
Se la trama non è già di per se originale, il resto del film risente di calate di ritmo e brusche accelerazioni, con scene d’azione che avrebbero richiesto un dosaggio più equilibrato per essere credibili.
Non fosse per la squadra di caratteristi utilizzata, nella quale figurano ottimi mestieranti come Luciano Catenacci,Dante Maggio, Franco Ressel e la “star” Philippe Leroy la pellicola sarebbe naufragata ancor più miseramente di quanto fece.
Una vita lunga un giorno infatti non ebbe praticamente alcun successo al botteghino e sparì completamente dalla circolazione.
Nel film troviamo la svedesina Eva Aulin alla sua penultima interpretazione; l’attrice di Landskrona infatti tornerà sul set nel 1996, a ventitre anni di distanza con il film Mi fai un favore di Giancarlo Scarchilli e Eva Czemerys, nel ruolo minore della debosciata moglie dell’ancor più debosciato Philippe. Discreta la colonna sonora composta dai fratelli Reitano.
Un film quindi non particolarmente affascinante, più che altro anonimo che è stato recentemente ripescato dall’oblio e che può essere visionato in una versione passabile su You tube all’indirizzo: http://youtu.be/05XU4lfa92o
Una vita lunga un giorno
Un film di Ferdinando Baldi. Con Philippe Leroy, Luciano Catenacci, Franco Ressel, Ewa Aulin, Mino Reitano,Dante Maggio, Franco Fantasia, Eva Czemerys Drammatico, durata 94 min. – Italia 1973.
Mino Reitano: Andrea Rispoli
Ewa Aulin: Anna Andersson
Philippe Leroy: Philippe
Eva Czemerys:Moglie di Philippe
Luciano Catenacci: Spyros
Nello Pazzafini: Nello
Franco Ressel:Il dottore
Anna Maria Pescatori:Frieda
Dante Maggio:Zio GIuseppe
Regia Ferdinando Baldi
Soggetto Ferdinando Baldi
Montaggio:Eugenio Alabiso
Fotografia:Aiace Parolin
Musiche Franco Reitano e Mino Reitano
Scenografia Claudio Cinini
Produzione:Manolo Bolognini
L’opinione del sito http://www.bizzarrocinema.it/
Passato nei cinema di allora nella quasi totale indifferenza, riproposto ogni morte di papa nelle più infime tv locali, privo di quell’alone di culto che solitamente contraddistingue opere così rare, Una vita lunga un giorno non ha avuto certo un destino felice. I difetti non mancano e si mostrano senza remore: il ritmo – componente essenziale per un buon thriller – è a velocità bradipo zoppo, la sceneggiatura presenta buchi tipo voragini e, certuni interpreti – Leroy su tutti – hanno palesemente il pilota automatico azionato. A ciò aggiungiamo che il soggetto non è tra i più originali: trattasi di chiaro “ricalco” dello splendido La pericolosa partita di Ernest B. Schoedsack. Eppure, basta poco. Basta un primo piano del nostro Beniamino – di nome e di fatto – a farci dimenticare, come d’incanto, tutti i difetti di questo film e a darci quell’estasi che solo noi esteti del Bizzarro possiamo provare. Reitano, tenace e stoico come solo lui sa essere (e chi l’ha potuto ammirare nelle sue storiche ospitate televisive sa benissimo di cosa parlo), abbatte totalmente il senso del ridicolo, va avanti per la sua strada di “attore per caso e non si ferma davanti a nulla. Guidato dalla mano sapiente del regista Livingstone/Baldi, il nostro eroe attraversa un’odissea notturna degna del Bruce Willis dei tempi migliori, ma anche del Griffin Dunne di Fuori orario e – perché no? – del Joel McCrea protagonista de La pericolosa partita (di cui sopra). è troppo? Forse. Mi limiterò dunque a consigliarvi caldamente questa insolita visione. Armatevi di pazienza e di vhs (o dvd) vergine, piantonate la programmazione di tutte le tv locali e state pronti a spingere il tasto “rec”, Una vita lunga un giorno potrebbe capitarvi sotto mano. Per noi amanti del Bizzarro, fidatevi, non c’è modo migliore per commemorare l’artista Reitano come merita.
L’opinione di renato dal sito http://www.davinotti.com
Un film interessante, almeno nella prima parte in cui Ferdinando Baldi introduce la vicenda con indubbio stile. Peccato poi che l’ultima mezzora diventi troppo meccanica e prevedibile, quando inizia la discesa verso il mare di Mino Reitano. Su quest’ultimo come attore non c’è molto da dire… Se non che mantiene la stessa espressione imbambolata per tutto il film, ma grazie al cielo venne almeno doppiato da un professionista. Meravigliosa Ewa Aulin, ma questa non è certo una notizia. Girato in esterni a Sanremo.
L’opinione di Undying dal sito http://www.davinotti.com
Incasinato dramma sentimentale, che trova in Love Story (la Aulin è cardiopatica) ed una miriade di altri ben più riusciti titoli (La decima vittima su tutti, causa caccia spietata alla preda umana) il nucleo portante e fulcro dell’intera sceneggiatura. Il regista può contare su un bravo attore (uno spietato Philippe Leroy) ed una bellissima attrice (la Aulin, qua su uno degli ultimi set cinematografici che la ospita), ma fallisce nel far indossare un “vestito sfilacciato” al protagonista (un monocorde e poco espressivo Mino Reitano).
L’opinione del sito www.robydickfilms.blogspot.it
Reitano attore sarà sicuramente un po’ monotono, ma non è così inespressivo come si potrebbe credere.
Baldi dalla sua parte dirige come al solito abbastanza bene, anche se l’ultima mezz’ora in cui dal sentimentale il film vira decisamente verso l’azione, cade nella prevedibilità e soprattutto nell’inconcludenza.
Luciano Catenacci, con quella sua faccia, se la cava come sempre, ovviamente nella parte del cattivo.
Per ogni adoratore del povero Mino, così prematuramente scomparso, il film è certamente opera a dir poco magnifica, ma bisogna dire che come versione italiana di film rientrabile nel filone delle “Manhunt”, della “caccia all’uomo”, non è secondo a molti altri titoli ben più celebrati, a partire proprio dal datato e decisamente invecchiato male, irrisolto, “La Decima vittima” (’66) di Elio Petri. Al quale Baldi nelle scene d’azione, anche quando un po’ assurde, spacca letteralmente il culo.
Ascoltare la introvabile colonna sonora rock strumentale del film, composta da Mino con il fido fratello Franco, per rendersi bene conto di quanto i Reitano fossero stati dei musicisti molto lontani da quello che avrebbero dovuto essere, una volta raggiunto il successo popolare.
La scena della rivelazione finale “ Face to face” con la Aulin, è inarrivabile e una vera e propria gemma, per chiunque pensa che comunque Reitano “non è mai stato un attore”, altro che far ridere.
Gli Oscar del 1997
24 marzo 1997, allo Shrine Auditorium di Los Angeles l’attore americano Billy Cristal apre la serata dedicata alla consegna degli Academy awards per i film del 1996, gli Oscar del cinema.
E’ un’annata in tono minore, perchè non c’è il film dominatore dell’anno.
I film con più nomination sono, nell’ordine, Il paziente inglese (The English Patient), regia di Anthony Minghella, al suo terzo film e che si presenta con ben 12 nomination, Fargo per la regia di Joel Coen che ha sette nomination,Shine per la regia di Scott Hicks che ha ugualmente sette nomination e infine Jerry Maguire regia di Cameron Crowe con 5 nomination.
A disputarsi l’Oscar per lil miglior film è una cinquina composta da : Il paziente inglese (The English Patient), regia di Anthony Minghella,Fargo (Fargo), regia di Joel Coen,Jerry Maguire (Jerry Maguire), regia di Cameron Crowe,Segreti e bugie (Secrets and Lies), regia di Mike Leigh e Shine (Shine), regia di Scott Hicks.
Vince Il paziente inglese e il regista Minghella (scomparso poi prematuramente a 54 anni) vince il premio per la miglior regia; alla fine il film otterrà sette statuette globali.
Grande sorpresa per l’attribuzione dell’Oscar per il miglior attore che va all’attore e produttore cinematografico australiano Geoffrey Rush interprete del film Shine, che batte il grande favorito Ralph Fiennes, interprete di Il paziente inglese.
La statuetta come miglior attrice protagonista, ed anche questa è una sorpresa,va a Frances McDormand interprete di fargo che batte la super favorita Diane Keaton mentre l’unico Oscar per un interprete del film Il paziente inglese va a Juliette Binoche, miglior attrice non protagonista.Cuba Gooding Jr. con Jerry Maguire vince l’Oscar come miglior attore non protagonista.
I film Evita e Jerry Maguire portano a casa solo una statuetta su 5 nomination, mentre tra i film premiati ci sono Indipendence day di Roland Emmerich Oscar per gli effetti speciali e Spiriti nelle tenebre Oscar per il miglior sonoro.
Segreti e bugie di Mike Leigh non vince nulla nonostante le 5 nomination.
Miglior film
Il paziente inglese (The English Patient), regia di Anthony Minghella
Fargo (Fargo), regia di Joel Coen
Jerry Maguire (Jerry Maguire), regia di Cameron Crowe
Segreti e bugie (Secrets and Lies), regia di Mike Leigh
Shine (Shine), regia di Scott Hicks
Miglior regia
Anthony Minghella – Il paziente inglese (The English Patient)
Miloš Forman – Larry Flynt – Oltre lo scandalo (The People vs. Larry Flynt)
Mike Leigh – Segreti e bugie (Secrets and Lies)
Miglior attore protagonista
Geoffrey Rush – Shine (Shine)
Ralph Fiennes – Il paziente inglese (The English Patient)
Tom Cruise – Jerry Maguire (Jerry Maguire)
Woody Harrelson – Larry Flynt – Oltre lo scandalo (The People vs. Larry Flynt)
Billy Bob Thornton – Lama tagliente (Sling Blade)
Migliore attrice protagonista
Frances McDormand – Fargo (Fargo)
Emily Watson – Le onde del destino (Breaking the Waves)
Kristin Scott Thomas – Il paziente inglese (The English Patient)
Diane Keaton – La stanza di Marvin (Marvin’s Room)
Brenda Blethyn – Segreti e bugie (Secrets and Lies)
Miglior attore non protagonista
Cuba Gooding Jr. – Jerry Maguire (Jerry Maguire)

William H. Macy – Fargo (Fargo)

James Woods – L’agguato – Ghosts from the Past (Ghosts of Mississippi)

Edward Norton – Schegge di paura (Primal Fear)

Armin Mueller-Stahl – Shine (Shine)
Migliore attrice non protagonista
Juliette Binoche – Il paziente inglese (The English Patient)
Joan Allen – La seduzione del male (The Crucible)
Lauren Bacall – L’amore ha due facce (The Mirror Has Two Faces)
Barbara Hershey – Ritratto di signora (The Portrait of a Lady)
Marianne Jean-Baptiste – Segreti e bugie (Secrets and Lies)
Miglior sceneggiatura originale
Joel Coen e Ethan Coen – Fargo (Fargo)
Cameron Crowe – Jerry Maguire (Jerry Maguire)
John Sayles – Stella solitaria (Lone Star)
Mike Leigh – Segreti e bugie (Secrets and Lies)
Jan Sardi e Scott Hicks – Shine (Shine)
Miglior sceneggiatura non originale
Billy Bob Thornton – Lama tagliente (Sling Blade)
Arthur Miller – La seduzione del male (The Crucible)
Anthony Minghella – Il paziente inglese (The English Patient)
Kenneth Branagh – Hamlet (Hamlet)
John Hodge – Trainspotting (Trainspotting)
Miglior film straniero
Kolya (Kolya), regia di Jan Sverák (Repubblica Ceca)
Il prigioniero del Caucaso (Kavkazskiy plennik), regia di Sergej Vladimirovič Bodrov (Russia)
Ridicule (Ridicule), regia di Patrice Leconte (Francia)
A Chief in Love (Shekvarebuli kulinaris ataserti retsepti), regia di Nana Dzhordzhadze (Georgia)
Gli angeli della domenica (Søndagsengler), regia di Berit Nesheim (Norvegia)
Miglior fotografia
John Seale – Il paziente inglese (The English Patient)
Darius Khondji – Evita (Evita)
Roger Deakins – Fargo (Fargo)
Caleb Deschanel – L’incredibile volo (Fly Away Home)
Chris Menges – Michael Collins (Michael Collins)
Miglior montaggio
Walter Murch – Il paziente inglese (The English Patient)
Gerry Hambling – Evita (Evita)
Roderick Jaynes – Fargo (Fargo)
Joe Hutshing – Jerry Maguire (Jerry Maguire)
Pip Karmel – Shine (Shine)
Miglior scenografia
Stuart Craig e Stephenie McMillan – Il paziente inglese (The English Patient)
Bo Welch e Cheryl Carasik – Piume di struzzo (The Birdcage)
Brian Morris e Philippe Turlure – Evita (Evita)
Tim Harvey – Hamlet (Hamlet)
Catherine Martin e Brigitte Broch – Romeo + Giulietta di William Shakespeare
Migliori costumi
Ann Roth – Il paziente inglese (The English Patient)
Paul Brown – Angeli e insetti (Angels & Insects)
Ruth Myers – Emma (Emma)
Alexandra Byrne – Hamlet (Hamlet)
Janet Patterson – Ritratto di signora (The Portrait of a Lady)
Miglior trucco
Rick Baker e David LeRoy Anderson – Il professore matto (The Nutty Professor)
Matthew W. Mungle e Deborah La Mia Denaver – L’agguato – Ghosts from the Past (Ghosts of Mississippi)
Michael Westmore, Scott Wheeler e Jake Garber – Star Trek: Primo contatto (Star Trek: First Contact)
Migliori effetti speciali
Volker Engel, Douglas Smith, Clay Pinney e Joe Viskocil – Independence Day
Scott Squires, Phil Tippett, James Straus e Kit West – Dragonheart
Stefen Fangmeier, John Frazier, Habib Zargarpour e Henry LaBounta – Twister
Migliore colonna sonora
Drammatica
Gabriel Yared – Il paziente inglese (The English Patient)
Patrick Doyle – Hamlet (Hamlet)
Elliot Goldenthal – Michael Collins (Michael Collins)
David Hirschfelder – Shine (Shine)
John Williams – Sleepers (Sleepers)
Musical o Commedia
Rachel Portman – Emma (Emma)
Marc Shaiman – Il club delle prime mogli (The First Wives Club)
Alan Menken e Stephen Schwartz – Il gobbo di Notre Dame (The Hunchback of Notre Dame)
Randy Newman – James e la pesca gigante (James and the Giant Peach)
Hans Zimmer – Uno sguardo dal cielo (The Preacher’s Wife)
Miglior canzone
You Must Love Me, musica di Andrew Lloyd Webber e testo di Tim Rice – Evita
I’ve Finally Found Someone, musica e testo di Barbra Streisand, Marvin Hamlisch, Robert John Lange e Bryan Adams – L’amore ha due facce (The Mirror Has Two Faces)
For the First Time, musica e testo di James Newton Howard, Jud Friedman e Allan Dennis Rich – Un giorno per caso
That Thing You Do!, musica testo Adam Schlesinger – Music Graffiti (That Thing You Do!)
Because You Loved Me, musica testo Diane Warren – Qualcosa di personale (Up Close & Personal)
Miglior sonoro
Walter Murch, Mark Berger, David Parker e Chris Newman – Il paziente inglese
Andy Nelson, Anna Behlmer e Ken Weston – Evita (Evita)
Chris Carpenter, Bill W. Benton, Bob Beemer e Jeff Wexler – Independence Day (Independence Day)
Kevin O’Connell, Greg P. Russell e Keith A. Wester – The Rock (The Rock)
Steve Maslow, Gregg Landaker, Kevin O’Connell e Geoffrey Patterson – Twister (Twister)
Miglior montaggio sonoro
Bruce Stambler – Spiriti nelle tenebre (The Ghost and the Darkness)
Richard L. Anderson e David A. Whittaker – Daylight – Trappola nel tunnel (Daylight)
Alan Robert Murray e Bub Asman – L’eliminatore (Eraser)
Miglior documentario
Quando eravamo re (When We Were Kings), regia di Leon Gast
The Line King: The Al Hirschfeld Story (The Line King: The Al Hirschfeld Story), regia di Susan Warms Dryfoos
Mandela (Mandela), regia di Angus Gibson e Jo Menell
Suzanne Farrell: Elusive Muse (Suzanne Farrell: Elusive Muse), regia di Anne Belle e Deborah Dickson
Tell the Truth and Run: George Seldes and the American Press regia di Rick Goldsmith
Miglior cortometraggio
Dear Diary (Dear Diary), regia di David Frankel
De tripas, corazón (De tripas, corazón), regia di Antonio Urrutia
Ernst & lyset (Ernst & lyset), regia di Anders Thomas Jensen e Tomas Villum Jensen
Esposados (Esposados), regia di Juan Carlos Fresnadillo
Senza parole (Senza parole), regia di Antonello De Leo
Miglior cortometraggio d’animazione
Quest (Quest), regia di Tyron Montgomery
Canhead (Canhead), regia di Timothy Hittle
La Salla (La Salla), regia di Richard Condie
Wat’s Pig (Wat’s Pig), regia di Peter Lord
Premio alla carriera
Michael Kidd
Premio alla memoria Irving G. Thalberg
Saul Zaentz
Anthony Minghella, due Oscar come miglior film e miglior regia
Geoffrey Rush Oscar come miglior attore protagonista
Cuba Gooding Jr, Oscar come miglior attore non protagonista
Due foto di Frances Mac Dormand, Oscar come miglior attrice protagonista
Juliette Binoche, Oscar come miglior attrice non protagonista
Billy Cristal presenta la serata
Susan Sarandon, una presentatrice della serata
Nicolas Cage
Le nomination per l’Oscar al miglior attore
Le nomination per l’Oscar alla miglior attrice protagonista
Gli Oscar del 1994
E’ ancora una volta il Dorothy Chandler Pavilion di Los Angeles ad accogliere la serata d’onore per la premiazione con gli Academy Awards, gli Oscar cinematografici, il mondo del cinema.
E’ la sera del 21 marzo 1994, l’edizione è quella numero 66 e a condurre la serata è l’attrice americana Whoopi Goldberg.
Sono quattro i film che hanno raccolto il maggior numero di nomination: Schindler’s List regia di Steven Spielberg, Lezioni di piano regia di Jane Campion,Jurassic Park regia di Steven Spielberg e infine Philadelphia diretto da Jonathan Demme.
Mentre Lezioni di piano e Schindler list concorrono per il premio alla miglior regia, Jurassic Park e Philadelphia corrono per altri premi.
Alla fine proprio l’altro film di Spielberg, quel Jurassic Park in nomination per tre statuette, fa l’en plein vincendo i premi per il Miglior sonoro assegnato a Ron Judkins, Gary Summers, Gary Rydstrom e Shawn Murphy,per il Miglior montaggio sonoro a Gary Rydstrom e Richard Hymns e infine per i Migliori effetti speciali a Dennis Muren, Stan Winston, Phil Tippett e Michael Lantieri.
Schindler’s list è comunque il grande trionfatore della serata con 7 Oscar vinti su 12 nomination; a sorpresa però sfugge al film di Spielberg la statuetta per il miglior attore protagonista.
A Liam Neason, interprete del personaggio di Oskar Schindler la giuria preferisce un intenso Tom Hanks interprete di Phliadelphia, che vincerà un secondo Oscar con Streets of Philadelphia, musica e testo di Bruce Springsteen.
Schindler’s List va vicino al record assoluto di nomination;la mancanza di un’attrice protagonista e il ruolo minore che hanno le donne nel film impedisce uno storico record; è Holly Hunter a vincere la statuetta come migliore attrice, per la sua performance nell’intenso film della Champion Lezioni di piano.L’attrice statunitense ebbe anche una nomination come miglior attrice non protagonista per il film Il socio, ma la giuria a sorpresa scelse Anna Paquin, la undicenne attrice canadese naturalizzata neozelandese che diventò così la seconda attrice di sempre a vincere un Oscar in tenera età dietro Tatum O’Neal che aveva vinto l’Oscar a 10 anni per Paper Moon – Luna di carta.
Jane Campion, la regista di Lezioni di piano film con il quale aveva avuto 8 candidature porta a casa la statuetta per la miglior sceneggiatura originale, completando il tris di premi tutti al femminile mentre ancora una volta è Schindler list a vincere nella categoria miglior sceneggiatura non originale. Tra gli uomini è Tommy Lee Jones con Il fuggitivo a vincere la statuetta per la miglior interpretazione da attore non protagonista.
A Deborah Kerr viene assegnata la statuetta alla carriera: dopo ben 6 nomination senza vittorie Hollywood rende così omaggio alla bella ed elegante attrice scozzese.
Tra le curiosità della serata, troviamo quella di Steve Spielberg che razzia 10 Oscar grazie ai sette vinti con Schindler list e ai tre con Jurassic park.
Il regista di Cincinnati è al primo dei suoi quattro Oscar, due come regista (Schindler’s list e Salvate il soldato Ryan), uno come miglior film a cui va aggiunto l’ Oscar alla memoria Irving G. Thalberg 1987 con un palmares personale di ben 15 nomination.
Se c’è uno sconfitto della serata va trovato in Quel che resta del giorno film del 1993 diretto da James Ivory, tratto dal romanzo omonimo di Kazuo Ishiguro che riceve ben 8 nomination ma nessuna statuetta mentre curioso il caso di Cliffhanger, film diretto da Renny Harlin e Alan Marshall che riceve dapprima una nomination ai Razzie awards come peggior film e una nomination agli Oscar.
Miglior film
Schindler’s List (Schindler’s List), regia di Steven Spielberg
Il fuggitivo (The Fugitive), regia di Andrew Davis
Nel nome del padre (In the Name of the Father), regia di Jim Sheridan
Lezioni di piano (The Piano), regia di Jane Campion
Quel che resta del giorno (The Remains of the Day), regia di James Ivory
Miglior regia
Steven Spielberg – Schindler’s List (Schindler’s List)
Robert Altman – America oggi (Short Cuts)
Jane Campion – Lezioni di piano (The Piano)
James Ivory – Quel che resta del giorno (The Remains of the Day)
Jim Sheridan – Nel nome del padre (In the Name of the Father)
Miglior attore protagonista
Tom Hanks – Philadelphia (Philadelphia)
Daniel Day-Lewis – Nel nome del padre (In the Name of the Father)
Laurence Fishburne – Tina – What’s Love Got to Do with It (What’s Love Got to Do with It)
Anthony Hopkins – Quel che resta del giorno (The Remains of the Day)
Liam Neeson – Schindler’s List (Schindler’s List)
Migliore attrice protagonista
Holly Hunter – Lezioni di piano (The Piano)
Angela Bassett – Tina – What’s Love Got to Do with It (What’s Love Got to Do with It)
Stockard Channing – 6 gradi di separazione (Six Degrees of Separation)
Emma Thompson – Quel che resta del giorno (The Remains of the Day)
Debra Winger – Viaggio in Inghilterra (Shadowlands)
Miglior attore non protagonista
Tommy Lee Jones – Il fuggitivo (The Fugitive)
Leonardo DiCaprio – Buon compleanno Mr. Grape (What’s Eating Gilbert Grape)
Ralph Fiennes – Schindler’s List (Schindler’s List)
John Malkovich – Nel centro del mirino (In the Line of Fire)
Pete Postlethwaite – Nel nome del padre (In the Name of the Father)
Migliore attrice non protagonista
Anna Paquin – Lezioni di piano (The Piano)
Holly Hunter – Il socio (The Firm)
Rosie Perez – Fearless – Senza paura (Fearless)
Winona Ryder – L’età dell’innocenza (The Age of Innocence)
Emma Thompson – Nel nome del padre (In the Name of the Father)
Miglior sceneggiatura originale
Jane Campion – Lezioni di piano (The Piano)
Nora Ephron, David S. Ward e Jeff Arch – Insonnia d’amore (Sleepless in Seattle)
Jeff Maguire – Nel centro del mirino (In the Line of Fire)
Ron Nyswaner – Philadelphia (Philadelphia)
Gary Ross – Dave – Presidente per un giorno (Dave)
Miglior sceneggiatura non originale
Steven Zaillian – Schindler’s List (Schindler’s List)
Jay Cocks e Martin Scorsese – L’età dell’innocenza (The Age of Innocence)
Terry George e Jim Sheridan – Nel nome del padre (In the Name of the Father)
Ruth Prawer Jhabvala – Quel che resta del giorno (The Remains of the Day)
William Nicholson – Viaggio in Inghilterra (Shadowlands)
Miglior film straniero
Belle époque (Belle époque), regia di Fernando Trueba (Spagna)
Addio mia concubina (Ba wang bie ji), regia di Kaige Chen (Hong Kong)
Hedd Wyn (Hedd Wyn), regia di Paul Turner (Gran Bretagna)
Il banchetto di nozze (Hsi yen), regia di Ang Lee (Taiwan)
Il profumo della papaya verde (Mui du du xanh), regia di Anh Hung Tran (Vietnam)
Miglior fotografia
Janusz Kaminski – Schindler’s List (Schindler’s List)
Gu Changwei – Addio mia concubina (Ba wang bie ji)
Michael Chapman – Il fuggitivo (The Fugitive)
Stuart Dryburgh – Lezioni di piano (The Piano)
Conrad L. Hall – Sotto scacco (Searching for Bobby Fischer)
Miglior montaggio
Michael Kahn – Schindler’s List (Schindler’s List)
Anne V. Coates – Nel centro del mirino (In the Line of Fire)
Gerry Hambling – Nel nome del padre (In the Name of the Father)
Veronika Jenet – Lezioni di piano (The Piano)
Dennis Virkler, David Finfer, Dean Goodhill, Don Brochu, Richard Nord e Dov Hoenig – Il fuggitivo (The Fugitive)
Miglior scenografia
Allan Starski e Ewa Braun – Schindler’s List (Schindler’s List)
Ken Adam e Marvin March – La famiglia Addams 2 (Addams Family Values)
Luciana Arrighi e lan Whittaker – Quel che resta del giorno (The Remains of the Day)
Dante Ferretti e Robert J. Franco – L’età dell’innocenza (The Age of Innocence)
Ben Van Os e Jan Roelfs – Orlando (Orlando)
Migliori costumi
Gabriella Pescucci – L’età dell’innocenza (The Age of Innocence)
Jenny Beavan e John Bright – Quel che resta del giorno (The Remains of the Day)
Anna Biedrzycka-Sheppard – Schindler’s List (Schindler’s List)
Janet Patterson – Lezioni di piano (The Piano)
Sandy Powell – Orlando (Orlando)
Miglior trucco
Greg Cannom, Ve Neill e Yolanda Toussieng – Mrs. Doubtfire (Mrs. Doubtfire)
Carl Fullerton e Alan D’Angerio – Philadelphia (Philadelphia)
Christina Smith, Matthew Mungle e Judy Alexander Cory – Schindler’s List (Schindler’s List)
Migliori effetti speciali
Dennis Muren, Stan Winston, Phil Tippett e Michael Lantieri – Jurassic Park (Jurassic Park)
Pete Kozachik, Eric Leighton, Ariel Velasco Shaw e Gordon Baker – Nightmare Before Christmas (The Nightmare Before Christmas)
Neil Krepela, John Richardson, John Bruno e Pamela Easley – Cliffhanger – L’ultima sfida (Cliffhanger)
Migliore colonna sonora
John Williams – Schindler’s List (Schindler’s List)
Elmer Bernstein – L’età dell’innocenza (The Age of Innocence)
Dave Grusin – Il socio (The Firm)
James Newton Howard – Il fuggitivo (The Fugitive)
Richard Robbins – Quel che resta del giorno (The Remains of the Day)
Miglior canzone
Streets of Philadelphia, musica e testo di Bruce Springsteen – Philadelphia (Philadelphia)
Again, musica e testo di Janet Jackson, James Harris III e Terry Lewis – Poetic Justice (Poetic Justice)
The Day I Fall in Love, musica e testo di Carole Bayer Sager, James Ingram, Dolly Parton e Clif Magness – Beethoven 2 (Beethoven’s 2nd)
Philadelphia, musica e testo di Neil Young – Philadelphia (Philadelphia)
A Wink and a Smile, musica di Marc Shaiman e testo di Ramsey McLean – Insonnia d’amore (Sleepless in Seattle)
Miglior sonoro
Gary Summers, Gary Rydstrom, Shawn Murphy e Ron Judkins – Jurassic Park (Jurassic Park)
Chris Carpenter, D. M. Hemphill, Bill W. Benton e Lee Orloff – Geronimo (Geronimo: An American Legend)
Michael Minkler, Bob Beemer e Tim Cooney – Cliffhanger – L’ultima sfida (Cliffhanger)
Donald O. Mitchell, Michael Herbick, Frank A. Montaño e Scott D. Smith – Il fuggitivo (The Fugitive)
Andy Nelson, Steve Pederson, Scott Millan e Ron Judkins – Schindler’s List (Schindler’s List)
Miglior montaggio sonoro
Gary Rydstrom e Richard Hymns – Jurassic Park (Jurassic Park)
John Leveque e Bruce Stambler – Il fuggitivo (The Fugitive)
Wylie Stateman e Gregg Baxter – Cliffhanger – L’ultima sfida (Cliffhanger)
Miglior documentario
I Am a Promise: The Children of Stanton Elementary School
The Broadcast Tapes of Dr. Peter (The Broadcast Tapes of Dr. Peter)
Children of Fate: Life and Death in a Sicilian Family (Children of Fate: Life and Death in a Sicilian Family), regia di Michael Roemer, Susan Todd, Andrew Young e Robert M. Young
For Better or for Worse
The War Room (The War Room), regia di Chris Hegedus e D. A. Pennebaker
Miglior cortometraggio
Schwarzfahrer (Schwarzfahrer), regia di Pepe Danquart
Down on the Waterfront (Down on the Waterfront), regia di Stacy Title
The Dutch Master (The Dutch Master), regia di Susan Seidelman
Partners (Partners), regia di Peter Weller
La Vis (La Vis), regia di Didier Flamand
Miglior cortometraggio documentario
Defending Our Lives , regia di Margaret Lazarus e Renner Wunderlich
Blood Ties: The Life and Work of Sally Mann (Blood Ties: The Life and Work of Sally Mann), regia di Steven Cantor e Peter Spirer
Chicks in White Satin (Chicks in White Satin), regia di Elaine Holliman
Miglior cortometraggio d’animazione
I pantaloni sbagliati (The Wrong Trousers), regia di Nick Park
Blindscape (Blindscape), regia di Stephen Palmer
Le fleuve aux grandes eaux (Le fleuve aux grandes eaux), regia di Frédéric Back
Small Talk (Small Talk)
Il villaggio (The Village), regia di Mark Baker
Premio alla carriera

A Deborah Kerr
Premio umanitario Jean Hersholt
A Paul Newman
I due Oscar di Steven Spielberg: Miglior film,Miglior regia
Ancora Steven Spielberg
Tom Hanks, Oscar come miglior attore protagonista
Tom Hanks con Holly Hunter
Holly Hunter Oscar come miglior attrice protagonista
La giovanissima Anna Paquin, Oscar come miglior attrice non protagonista
I tre Oscar di Lezioni di piano: Holly Hunter,Anna Paquin,Jane Champion
Le nomination per gli Oscar come miglior attore protagonista
Le nomination agli Oscar per il miglior attore non protagonista
Le nomination per gli Oscar come miglior attrice protagonista
Nomination agli Oscar come miglior attrice non protagonista
Le nomination per l’Oscar alla regia