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Quando gli uomini armarono la clava e con le donne fecero din don

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A parte il titolo,malizioso ma anche volgarotto, Quando gli uomini armarono la clava e con le donne fecero din don si segnala solo per due caratteristiche:la splendida location e il nutrito cast nel quale figurano nomi importanti del cinema di genere che però avrebbero meritato ben altro palcoscenico che questa commedia becera e triviale nata sull’onda del successo per larga parte imprevisto di Quando le donne avevano la coda di Pasquale Festa Campanile.

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Nadia Cassini

Film che inaugurò la brevissima stagione del cinema cavernicolo e che ebbe poi un seguito molto più fiacco ( e di minore successo), quel Quando le donne persero la coda uscito nelle sale nel 1972.
Quando gli uomini armarono la clava e con le donne fecero din don, diretto dal pur bravo Bruno Corbucci, che solo un anno prima aveva girato il divertente Il furto è l’anima del commercio?!… è una pellicola praticamente inguardabile, priva del benchè minimo spunto comico che possa strappare un sorriso allo spettatore, infarcita in compenso di trivialità da caserma e di inutili volgarità.
Giocata più sulla avvenenza del pur bravo cast femminile, che dispensa parti anatomiche con generosità (in particolare la Cassini e Lucretia Love) che su un minimo di sceneggiatura che dia corpo alla storia, il film naufraga ben presto trascinandosi stancamente fino all’epilogo, che recita il de profundis con un eloquente “e vissero tutti felici e scontenti

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Molto grave è il riferimento costante del film al Lisistrata di Aristofane, autore glorioso della tradizione greca,qui saccheggiato in un’operazione commerciale senza un minimo di credibilità o di verve comica.
La trama:
le tribu dei cavernicoli e degli acquamanni sono perennemente in conflitto.La prima tribù occupa la terraferma, la seconda abita su palafitte e non passa giorno che non ci siano screzi e battaglie fra loro.
In una delle rare pause del perenne conflitto, il capo dei cavernicoli, il prestante Ari vince dopo una gara la bella Listra, della tribù degli acquamanni.
Alla donna la situazione poi non dispiace molto, essendo Ari un bell’uomo molto versato anche nel talamo.
Ma non c’è tempo per la pace perchè ecco scoppiare un altro conflitto; a questo punto Listra, stanca del continuo guerreggiare delle due tribù che toglie spazio alle faccende di sesso,decide di indire uno sciopero del sesso che trova entusiastiche adesioni presso tutte le donne delle due tribù, anch’esse stanche del dover rinunciare ai piaceri del letto per la vocazione guerrafondaia degli uomini.

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Così i due gruppi di donne appartenenti alle due tribù si rifugiano rispettivamente su un monte e su una piccola isola.
La trovata riscuote un successo incredibile;pur di non perdere i piaceri del sesso cavernicoli e acquamanni promettono di mantenere rapporti non più ostili.
Ma l’uomo è nato per la guerra e non per la pace.
Così ben presto le liti riprendono e Ari e Listra, sconsolati, decidono di andare in giro per il mondo alla ricerca di un posto dove vivere in pace e dedicarsi all’amore…
Su una trama così esile era difficile costruire qualcosa di interessante, pure c’era spazio, come nel citato Quando le donne avevano la coda, per battute comiche di ben altro spessore di quelle proposte da Corbucci che spreca letteralmente caratteristi come Caprioli, Giuffrè e Pandolfi umiliandoli con il pronunciare battute sconce e triviali degne della peggior tradizione della commediaccia all’italiana, superate solo come volgarità dalla triste serie dei Pierino.

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Listra-Lisistrata è interpretata da Nadia Cassini, che aveva solo due caratteristiche di rilievo:un fisico pressochè perfetto e un posteriore passato agli annali del cinema come uno dei più apprezzati da pubblico maschile. Per il resto,mancando completamente di qualsiasi dote recitativa, la Cassini fa la sua figura nel film visto che la sua presenza è essenzialmente corporea mentre il resto del cast, che include anche Pia Giancaro e Valeria Fabrizi, Antonio Sabato e Gisela Hahn,Elio Crovetto e anche una quasi invisibile Annabella Incontrera si muove a disagio nel guazzabuglio di battutacce e doppi sensi che costellano la pellicola.
Che alla fine risulta irritante oltre che noiosissima.

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Nonostante la grancassa pubblicitaria che martellava proponendo il film stesso come il più divertente di sempre,la pellicola fu un mezzo flop, pur in un periodo di vacche grasse del cinema, con una platea sterminata che affollava i cinema sorbendosi ogni tipo di prodotto.
Corbucci tornerà al successo l’anno successivo con il ben più riuscito Boccaccio, progenitore dei decamerotici dalla buona fattura e decisamente più divertente di questa farsaccia di bassa lega.
Il film è disponibile in una versione sufficiente qualitativamente ma in lingua inglese all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=cBe1Zbwxli4

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Quando gli uomini armarono la clava… e con le donne fecero din-don
Un film di Bruno Corbucci. Con Antonio Sabato, Elio Pandolfi, Aldo Giuffré, Vittorio Caprioli, Maria Pia Giancaro, Valeria Fabrizi, Gisela Hahn, Nadia Cassini, Lucretia Love, Vittorio Congia Erotico, durata 103′ min. – Italia 1971.

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 Antonio Sabato e Nadia Cassini

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 Valeria Fabrizi

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 Valeria Fabrizi e Gisela Hahn

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 Pia Giancaro

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 Lucretia Love

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 Antonio Sabato

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 Vittorio Caprioli

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 Carlo Giuffrè

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Quando gli uomini armarono la clava e... con le donne fecero din-don banner protagonisti

Antonio Sabàto: Ari
Aldo Giuffré: Gott
Vittorio Caprioli: Gran Profe
Nadia Cassini: Lisistrata
Elio Pandolfi: Lonno
Lucretia Love: Lella
Pia Giancaro: Bea
Renato Rossini: Maci
Valeria Fabrizi: donna dell’arbitro
Gisela Hahn: Sissi
Elio Crovetto: arbitro al torneo iniziale

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Regia Bruno Corbucci
Soggetto Massimo Felisatti, Fabio Pittorru, liberamente tratto dalle commedie Lisistrata e Le donne alla festa di Demetra di Aristofane
Sceneggiatura Massimo Felisatti, Fabio Pittorru, Bruno Corbucci
Casa di produzione Empire Films
Distribuzione (Italia) Fida Cinematografica
Fotografia Fausto Zuccoli
Montaggio Vincenzo Tomassi
Effetti speciali Eugenio Ascani
Musiche Giancarlo Chiaramello
Scenografia Nedo Azzini
Costumi Luciana Marinucci

Quando gli uomini armarono la clava e... con le donne fecero din-don banner recensioni

L’opinione di mm40 tratta dal sito http://www.filmtv.it

(…) All’interno della parabola discendente che investì la commedia italiana nel corso degi anni ’70 e ’80 (nei ’90 oramai si era arrivati già sottoterra) ci fu spazio anche per un breve filone ‘cavernicolo’; aperto qualche mese prima da Pasquale Festa Campanile con Quando le donne avevano la coda, trovò seguito anche in questa squallida farsuccia a tinte erotiche, che non risparmia reiterate ostentazioni di posteriori e mammelle femminili ed approfitta di un linguaggio simil-cavernicolo per disseminare oscenità verbali a piene mani. Ma i dialoghi dell’Armata Brancaleone – per rifarsi ad un esempio ben più nobile – erano ben altra cosa, qui siamo nel triviale linguaggio della bettola e le tematiche non vanno praticamente mai oltre a quelle relative alla fornicazione (anche l’anacronistico entusiasmo per la scoperta del petrolio è davvero trovatina sempliciotta e piuttosto magra); sceneggiano il regista, Felisatti e Pittorru, autori di lavori di serie B, con il coraggio addirittura di dichiarare un’improbabile ispirazione derivante dalle commedie Lisistrata e Le donne alla festa di Demetra di Aristofane. La fortuna dei tre sta nel fatto che ormai, nel 1971, gli eredi del commediografo greco sono irreperibili. Vittorio Caprioli, attore di buona caratura, si svende (e talvolta purtroppo lo faceva) in questo prodottaccio insignificante; accanto a lui ci sono Antonio Sabàto, Aldo Giuffrè, Nadia Cassini e Valeria Fabrizi. All’interno della parabola discendente che investì la commedia italiana nel corso degi anni ’70 e ’80 (nei ’90 oramai si era arrivati già sottoterra) ci fu spazio anche per un breve filone ‘cavernicolo’; aperto qualche mese prima da Pasquale Festa Campanile con Quando le donne avevano la coda, trovò seguito anche in questa squallida farsuccia a tinte erotiche, che non risparmia reiterate ostentazioni di posteriori e mammelle femminili ed approfitta di un linguaggio simil-cavernicolo per disseminare oscenità verbali a piene mani. Ma i dialoghi dell’Armata Brancaleone – per rifarsi ad un esempio ben più nobile – erano ben altra cosa, qui siamo nel triviale linguaggio della bettola e le tematiche non vanno praticamente mai oltre a quelle relative alla fornicazione (anche l’anacronistico entusiasmo per la scoperta del petrolio è davvero trovatina sempliciotta e piuttosto magra); sceneggiano il regista, Felisatti e Pittorru, autori di lavori di serie B, con il coraggio addirittura di dichiarare un’improbabile ispirazione derivante dalle commedie Lisistrata e Le donne alla festa di Demetra di Aristofane. La fortuna dei tre sta nel fatto che ormai, nel 1971, gli eredi del commediografo greco sono irreperibili. Vittorio Caprioli, attore di buona caratura, si svende (e talvolta purtroppo lo faceva) in questo prodottaccio insignificante; accanto a lui ci sono Antonio Sabàto, Aldo Giuffrè, Nadia Cassini e Valeria Fabrizi.(…)
L’opinione di marcopolo30 tratta dal sito http://www.filmtv.it

Cosaccia idiota e insulsa, persino per gli standard della commedia Italiana anni ’70. Comunque con un titolo così non è che ci si potesse aspettare chissà cosa. Grande curiosità desta l’aver voluto dare ai cavernicoli un accento simil-ciociaro con tutti i verbi all’infinito, mah! V’è poi un handycap aggiunto chiamato Antonio Sabato, affiancato per l’occasione da nientepocodimenoche Nadia Cassini. Inoltre, non contento di aver prodotto una zozzeria d’infima fattura, Corbucci decide di chiosare il tutto con un bel paio di frasi retorica su guerra, pace e amore. Trash totale.

L’opinione di B.Legnani dal sito http://www.davinotti.com

Pressoché tremendo cavernicolo sull’onda di Quando le donne avevano la coda e sequel . Si resta allibiti nel leggere il cast e nel vederne i desolanti risultati. Primo tempo già brutto, ma guardabile, con crollo nel secondo, ricco di volgarità che neppure fanno ridere. Anche le citazioni da 2001 Odissea nello spazio sono talmente sciatte e mal sfruttate da non riuscire a risollevare un film che vive solo delle forme della Cassini e del volto della Giancaro. Da evitare con massima cura.

L’opinione di Caesars dal sito http://www.davinotti.com

Tremendo. Basta dire che a suo confronto il pur pessimo Quando le donne persero la coda sembra quasi un film da Oscar, per capire il valore artistico di questa pellicola firmata da un mestierante, Bruno Corbucci, che altrove ha fornito risultati ben migliori. Spiace vedere immischiati in simile operazione gente come Caprioli, Pandolfi e Giuffrè. Il povero spettatore che decide di sottoporsi alla visione di questo film potrà comunque almeno rifarsi gli occhi con le forme della Cassini. Un pallino basta e avanza.

L’opinione di Fabbiu dal sito http://www.davinotti.com

È un peccato che un buon cast e valide location siano state sprecate in questo modo. Perché un comico che annoia è proprio grave; credo che volessero inaugurare un nuovo filone, la commedia sexy cavernicola, finito (per fortuna) in tre capitoli. Per forza, non c’è mai un attimo in cui si sorride e il linguaggio pseudo latino risulta stancante (mica come il linguaggio barbaro di Attila con Diego!); la stessa trama semplicissima (libera interpretazione di alcuni classici greci) è un po’ come la seccessione dei plebei sull’Aventino: stancante.

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novembre 28, 2014 Posted by | Commedia | , , , , , , , , , | 1 commento

Eutanasia di un amore

Eutanasia di un amore locandina

Dopo dieci anni di vita insieme,la giovane Sena abbandona apparentemente senza motivi il suo maturo compagno,Paolo, professore universitario over quaranta.
La fine dell’unione non è però senza traumi;Paolo,che sembra aver accettato la fine della relazione con fatalismo,scopre viceversa di sentirsi in qualche modo umiliato e offeso nell’orgoglio dall’abbandono.
E’ anche innamorato di Sena,pur se esternamente Paolo non voglia ammettere la cosa.
Così lascia Firenze e si mette sulle tracce della ragazza per scoprire che è andata a vivere a Versailles;qui scopre che la donna ha un nuovo legame.

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Ornella Muti e Toni Musante

Torna deluso a Firenze ma ecco che improvvisamente Sena ritorna; nel chiarimento fra i due c’è spazio per le vere motivazioni del primo abbandono, ovvero l’incapacità di lui di accettare un legame più duraturo e profondo, che veda lo sbocco della relazione nella paternità e quindi in qualche modo in un futuro a dimensione di famiglia. Paolo e Sena decidono di fare un viaggio assieme con annessa una lunga crociera nel mediterraneo.
Ma la scoperta delle motivazioni di Sena, la sua voglia di avere un altro figlio dopo il primo forzato aborto gettano Paolo in una vera crisi esistenziale:l’uomo non è pronto ( e non lo sarà mai) per una paternità, tanto da tentare, auto lesionisticamente, di allontanare da se la presenza di Sena con la breve avventura con la bellissima Silvia.

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Tra i due non c’è identità di vedute sul futuro, così, con qualche rimpianto, Sena e Paolo si lasciano per sempre.
Eutanasia di un amore, tratto da un romanzo di Giorgio Saviane e diretto da Enrico Maria Salerno nel 1978 è un melodramma a sfondo sentimentale drammatico che arriva dopo il grande successo di Anonimo veneziano,primo film diretto dietro la macchina da presa dal regista milanese e dopo quello parziale di Cari genitori.
Salerno chiama nuovamente il protagonista di Anonimo veneziano Tony Musante e gli affianca la giovane e bella Ornella Muti, creando così il necessario divario generazionale fra gli attori e ricostruisce in buona parte l’atmosfera malinconica del romanzo di Saviane, tutto incentrato sull’impossibilità di un futuro comune tra i due protagonisti divisi implacabilmente da due desideri antitetici sull’approdo della loro relazione.

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Monica Guerritore

Da un lato c’è Paolo, maturo professionista poco incline al rispetto dei ruoli portanti della coppia, dall’altro c’è Sena, giovane ma con un’idea precisa del suo futuro, del suo essere donna che contempla come coronamento la maternità.
I due, pur amandosi, non troveranno un’intesa su questa base e lasceranno morire il loro sentimento, che, come recita il titolo sarà soppresso deliberatamente, un’eutanasia che porrà termine bruscamente all’inevitabile fine scritta proprio dalla diversità di idee sull’amore e sul suo divenire.
Eutanasia di un amore non può essere definito un film riuscito, pur rimanendo,nell’assieme un accettabile prodotto:cosparso e disseminato di lunghi dialoghi, tutto incentrato sulla personalità un tantino schizofrenica del protagonista maschile, il film galleggia e si culla a tratti stancamente sul problematico rapporto di coppia tra Paolo e Sena, un rapporto minato una volta tanto non dalla differenza notevole d’età quanto sul futuro di coppia e sul naturale divenire dell’amore che indubbiamente esiste tra i due.
I temi della libertà individuale, il riserbo di Paolo che vuol tenere nascosta la loro relazione per paura della reazione dei conoscenti e in generale della società che porta la coppia a dividere le proprie vite nel giornaliero in nome del “decoro sociale“, la voglia personale di libertà fuori dagli schemi presenti nel libro sono nel film malcelati quando non nascosti, a tutto scapito della relazione sentimentale che appare predominante.Paolo appare ferito più dall’abbandono tout court che colpito nei sentimenti.

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Non è tanto il bisogno d’amore quanto un’egoistica affermazione del proprio io a spingerlo a cercare di riallacciare la relazione con Sena;un atteggiamento ribaltato rispetto allo spirito che muove il protagonista del romanzo.
Salerno di conseguenza tradisce in qualche modo uno dei cardini del romanzo,snaturandolo;un peccato veniale, certo, non mortale, anche perchè nell’economia del film le cose non cambiano.
Film che alla fine può essere giudicato discreto almeno in alcune componenti, fra le quali la bellissima e patinata fotografia opera di Marcello Gatti e le musiche avvolgenti di Daniele Patucchi.
Bene i due protagonisti, Tony Musante e la bella Ornella Muti ai quali vanno aggiunti come personaggi di contorno una bella e splendente Monica Guerritore e Mario Scaccia.

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Eutanasia di un amore

Un film di Enrico Maria Salerno. Con Tony Musante, Ornella Muti, Monica Guerritore,Mario Scaccia, Luciano Fineschi, Laura Trotter, Gerardo Amato Drammatico, durata 110′ min. – Italia 1978.

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Eutanasia di un amore banner protagonisti

Ornella Muti … Sena
Tony Musante Tony …Paolo Naviase
Monica Guerritore …Silvia
Mario Scaccia …Il dottore
Laura Trotter … Patrizia
Gerardo Amato … Domenico
Umberto Benedetto … Pio
Enrico Bergier … Lorenzo

Eutanasia di un amore banner cast

Regia: Enrico Maria Salerno
Sceneggiatura:Massimo De Rita ,Arduino Maiuri,Enrico Maria Salerno
Soggetto:dal romanzo omonimo di Giorgio Saviane
Musiche:Daniele Patucchi
Fotografia:Marcello Gatti
Production Design:Dante Ferretti
Costume Design:Wayne A. Finkelman

Eutanasia di un amore banner recensioni

L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it

L’ultimo dei tre film diretti da Enrico Maria Salerno, che è decisamente meglio ricordare come attore, è questo Eutanasia di un amore, lavoro quantomeno trascurabile; un melodrammone più sincero e vivace di Anonimo veneziano (1970), ma sempre piuttosto piatto e convenzionale nell’analisi dei rapporti fra i personaggi: qui fra gli amanti Paolo e Sena come in Cari genitori (1973) fra madre e figlia che allo stesso modo si ritrovavano per riperdersi, dopo essersi di nuovo malintese. Di sensazionale non c’è insomma nulla, tutto procede lungo i melensi binari del fotoromanzo e la prestazione dignitosa di Musante purtroppo non si specchia nella prova traballante della Muti; in ruoli minori anche Mario Scaccia e Monica Guerritore. Soggetto tratto dal romanzo omonimo di Giorgio Saviane e sceneggiatura scritta da Maiuri, De Rita e Salerno stesso, che non compare mai in nessuno dei suoi tre film da regista; musiche enfatiche (forse sarebbe meglio dire: pompose) al punto giusto di Daniele Patucchi; Dante Ferretti si occupa delle scenografie, Marcello Gatti della fotografia. Molti esterni, dialoghi ad alto tasso di zuccherosa drammaticità.

L’opinione di Elio Maraone dal quotidiano “L’Avvenire”del 28 ottobre 1978

“Lo sbaglio maggiore del regista, a nostro avviso, è stato quello di impostare, su un materiale narrativo così mediocre, un’operazione ‘di eleganza’. Anziché cercare di far violenza al testo, di inventargli una corposità, Salerno – pur modificandone in parte il finale – l’ha rispettato come se si trattasse di un ‘classico’. E, con l’aiuto dell’operatore Marcello Gatti, si è messo ad illustrarlo con immagini raffinate, flash-back ricercati, studiatissimi effetti di luminosità, trascurando quella che era forse l’unica via di salvezza, e cioè sommergere il sentimentalismo brodoso in un duro blocco di realismo. Ma ‘commuovere’, invece, si doveva. E allora, dentro la musica strappacuore, gli occhioni gravi di Ornella Muti, i paesaggi romantici e un attore di sorvegliata malinconia come Tony Musante. ‘Eutanasia di un amore’, ovvero il fazzoletto come orizzonte”

L’opinione di Markus dal sito http://www.davinotti.com

Firenze, una coppia: lui (Musante) affascinante professore universitario di mezza età, lei (Muti) una giovane e graziosa insegnante inspiegabilmente inquieta nell’animo, ed è quest’apprensione a turbare il loro rapporto. Salerno indaga sull’amore avvalendosi di dialoghi neo-sofisticati, incantevoli scenografie (nella seconda parte del film ci spostiamo in Sardegna) e uno splendido commento musicale del Maestro Patucchi. Un sentimentale ricercato che attinge al lacrimevole. Per me una manna!

L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com

Come in Anonimo veneziano c’è un male incurabile, sebbene questa volta a morire sia l’amore, vittima del dissidio tra la sua concezione idealista (Musante) e quella pragmatica (Muti). Ridondante nei dialoghi, pretenzioso nel melodramma (sguardi umidi e corrucciati, languidi addii e inattesi ritorni, scorci romantici, pianoforte strappacuore) e ovvio nelle conclusioni, si risolve nella competente regia di Salerno e nei limpidi paesaggi fotografati da Marcello Gatti. Degli interpreti si ricordano il medico eccentrico e compagnone di Scaccia e il sorriso solare e accattivante della Guerritore.

L’opinione di Didda23 dal sito http://www.davinotti.com

Salerno dirige questa pellicola dalle ambiziose pretese, evidenti soprattutto in fase di scrittura: in effetti i dialoghi sono intrisi di divagazioni e speculazioni filosofiche di basso livello. Il ritmo soporifero e l’evanescenza del racconto fanno dell’opera un possibile antidoto contro l’insonnia. Sulla carta si vorrebbe fare un affresco delle problematiche amorose (l’inconciliabilità di due visioni d’insieme) della borghesia, nei fatti si assiste ad una serie di elucubrazioni mentali sostanzialmente inutili.

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novembre 24, 2014 Posted by | Drammatico | , , | Lascia un commento

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novembre 20, 2014 Posted by | Photogallery | | 3 commenti

L’assassino è al telefono

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L’assassino è al telefono, diretto da Alberto De Martino nel 1972 è un giallo/ thriller molto inusuale,nettamente staccato dai numerosi prodotti del genere che fiorirono nel periodo di massimo successo dei thriller seguito al grandissimo successo dell’argentiano L’uccello dalle piume di cristallo, vero capostipite del genere.
Sceneggiato da De Marino con la collaborazione di Renato Izzo, Adriano Bolzoni, Vincenzo Mannino,il film ebbe un’accoglienza controversa a causa del capovolgimento di alcuni capi saldo del genere,in particolare per la lentezza e per lo svolgimento a scatole cinesi tipico dei film di Hitchcock.
Poco apprezzati, in particolare, la trama complessa e l’espediente narrativo usato, ovvero il riemergere lento e dilatato nel tempo dei ricordi della protagonista, che contribuiranno allo scioglimento dell’enigma, con un finale sorprendente ma a detta di molti farraginoso e tirato per i capelli.

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Anne Heywood

La storia ha come protagonista Eleonor Loraine, un’attrice compagna di Peter Verwood,scomparso tragicamente in un incidente stradale del quale però la donna non ha alcun ricordo, tanto da aver allacciato una nuova storia conclusasi con il matrimonio con George, suo compagno di lavoro.
La condizione psicologica della donna è aggravata dal fatto di non ricordare neanche gli eventi che l’hanno portata a questo matrimonio;queste continue amnesie, molto lunghe come durata si aggravano un giorno in cui Eleonor si ritrova casualmente di fronte un uomo che sente di conoscere e che contemporaneamente risveglia in lei ricordi terribili sepolti nella mente.
L’uomo responsabile della cosa è in realtà un killer professionista, che è in Belgio (il film è ambientato a Bruges) per compiere un omicidio politico e che è il vero responsabile della morte di Peter.
Insospettito dalla reazione di Eleonor, che sviene quando lo vede,il killer prende a seguire la donna finendo per capire che la stessa sta vedendo riemergere dalle nebbie della memoria gli accadimenti del passato.

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Deciso a fermare la potenziale minaccia, il killer progetta il suo assassinio ma miracolosamente la donna riesce a sfuggire ai suoi tentativi;sarà George,il marito di Eleonor a causare involontariamente un’accelerazione decisiva degli eventi.
George apprende dalla sorella di Peter, Margaret, che Eleonor incontrava il suo fidanzato in uno chalet e vi si reca con lei;la donna riacquista la memoria e ricorda così la sequenza degli avvenimenti realmente accaduti durante il presunto incidente, collega il volto misterioso al killer che implacabilmente la segue e arriva ad una verità sconvolgente…
Un gioco di incastri, una verità che emerge dal passato dal passato sotto forma di brandelli che poco alla volta si ricuciono, una soluzione finale imprevista e imprevedibile:questi gli elementi sui quali gioca De Martino per costruire un film che teoricamente dovrebbe portare lo spettatore alla soluzione dell’enigma, costituita dalle vere motivazioni che spingono il killer a dare una caccia senza quartiere.

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Siamo lontani,lontanissimi dai thriller truculenti,dalle overdose di sangue e dai cadaveri sparsi come se piovesse;il film ha un andamento quasi trasognato,lento e avvolgente.
Purtroppo alla fine questo diverrà anche un limite,paradossalmente,perchè durante lo svolgimento del film la sensazione di inespresso, incompiuto più di una volta fa capolino sopratutto in alcune sequenze che rimangono inespresse o fumose.
Ma evidentemente l’intenzione del regista è proprio questa, lasciare nel vago lo spettatore, avvolgerlo con la bella colonna sonora di Stelvio Cipriani,la splendida fotografia di Aristide Massaccesi e lasciarlo nel dubbio fino alle sequenze finali.
Un espediente usato molte volte, un’arma rischiosa sopratutto se il film rischia di cedere l’intensità e il pathos a favore della noia, che purtroppo qualche volta affiora.Il flashback, i dialoghi, le cadute di ritmo alla fine hanno un peso predominante e per il film queste caratteristiche, che dovrebbero costituirne il fulcro,l’ossatura centrale restano in buona parte lettera morta.

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In sostanza andrebbe sottoscritto il parere del sito http://www.exxagon.it,che dice testualmente:”Tutto il thrilling della pellicola si regge sull’amnesia anterograda della protagonista e quindi sull’impossibilità di inquadrare con precisione i protagonisti portando questi ultimi ad essere potenziali sospetti, nonché a confondere passato con presente, verità e bugia, vita e teatro. Il pezzo del Machbet riesce davvero a confondere le idee dello spettatore. Il problema principale è la noia che si insinua con gran velocità e che rende difficile guardare tutto il film senza farsi avvincere dalla tentazione di premere sul tasto dell’avanzamento veloce. Non c’è vera evoluzione del plot, non c’è suspance, non c’è sangue; c’è solo lo score musicale di Cipriani che viene piazzato ovunque ed un finale che più balordo non si può; il tutto incorniciato dalla fotografia di Aristide Massaccesi
Un’opinione forse troppo dura, ma che ha molti fondamenti per una pellicola con troppe ambizioni dai risultati incerti.

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Nel cast figura Telly Savalas, palesemente inadatto al ruolo mentre la bella e seducente Anne Heywood se la cava molto meglio;in definitiva una pellicola con un suo fascino,che potrete visionare seguendo i link presente in questa pagina:http://rarelust.com/the-killer-is-on-the-phone-1972/
La versione proposta dovrebbe essere in italiano, come indicato nella scheda tecnica.Buona visione, quindi ma ricordatevi sempre che avete un limite temporale, come dice la legge sui diritti d’autore, di 24 ore per farlo.
L’assassino… è al telefono

Un film di Alberto De Martino. Con Telly Savalas, Rossella Falk, Anne Heywood Drammatico, durata 101′ min. – Italia 1972

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Telly Savalas: Ranko Drasovic
Anne Heywood: Eleanor Loraine
Osvaldo Ruggeri: Thomas Brown
Giorgio Piazza: George
Willeke von Ammelrooy: Dorothy
Rossella Falk: Margaret Vervoort
Antonio Guidi: Dr Chandler
Roger Van Hool: Peter Vervoort
Ada Pometti: Infermiera

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Regia Alberto De Martino
Sceneggiatura Adriano Bolzoni, Alberto De Martino, Renato Izzo, Lorenzo Manning, Vincenzo Mannino
Produttore Aldo Scavarda
Produttore esecutivo Guy Luongo
Casa di produzione Belga Films, Difnei Cinematografico, SODEP
Fotografia Joe D’Amato
Montaggio Otello Colangeli
Musiche Stelvio Cipriani
Costumi Enrico Sabbatini

Doppiatori

Sergio Rossi: Ranko Drascovic
Gabriella Genta: Eleanor Loraine
Carlo Sabatini: Thomas Brown
Dario Penne: Peter Vervoort

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L’opinione del sito http://www.horrormovie.it

(…) Film singolare questo giallo diretto da Alberto De Martino. Singolare perchè difficilmente accostabile ai film dello stesso genere che si producevano in Italia a inizio anni ’70 e forse proprio per questo motivo diventato nel tempo oggetto di scherno e indifferenza da parte del pubblico appassionato al thriller italiano d’antàn. Un’operazione d’ostracismo poco condivisibile, però, perchè “L’assassino è… al telefono” ha il pregio di discostarsi dalla massa apparendo così L’assassino è al telefonorelativamente originale e riuscendo a farsi ricordare tra i tanti film dello stesso genere che affollarono gli schermi italiani dell’epoca.
Alberto De Martino scrive la sceneggiatura del film insieme a una considerevole mole di altri nomi: Adriano Bolzoni, Renato Izzo, Lorenzo Manning e Vincenzo Mannino. Troppi, direte voi (e confermo io), ma a dispetto delle aspettative, “L’assassino è … al telefono” ha una coerenza narrativa e un filo logico sorprendenti e ben maggiori di prodotti assimilabili. (…)

L’opinione di thegaunt dal sito http://www.filmscoop.it

Alla base di questo giallo c’è l’amnesia della protagonista e il film, con tutte le sue molteplici divagazioni, ruota attorno a questo stato che confonde la visione perchè lo sguardo di Eleonor coincide con quello dello spettatore. Però una volta intuito l’epilogo con la soluzione finale, il film diventa veramente noioso e inutilmente dilatato ed a poco servono sia l’intepretazione della Haywood, sia il carisma di Savalas fin troppo a zonzo in quel di Bruges. L’assenza di suspence e scene forti influiscono sensibilmente sulla monotonia di un film che scorre senza un vero sussulto.

L’opinione di deepreded89 dal sito http://www.davinotti.com

Siamo dalle parti del thriller hitchcockiano, con vuoti di memoria, complotti e un misterioso sicario (Savalas, la cui credibilità crolla a ogni sua brutta battuta) e nel complesso si sta a galla (movente e lentezze a parte), ma il vero pregio nel film è più nella veste che nel contenuto, con una cappa tetra e autunnale che avvolge le vicende narrate, confermando l’assoluta professionalità di De Martino e dello staff tecnico (citiamo anche le notevoli, seppur un po’ troppo reiterate, musiche di Cipriani). Brava Anne Heywood. Niente male.

L’opinione di Lucius dal sito http://www.davinotti.com

Tra i cloni argentiani questo si traduce in un interessante e sottovalutato giallo con un ottimo cast in cui spicca una concentrata Rossella Falk. La colonna sonora di Cipriani, onnipresente per quasi tutta la durata del film, inebria lo spettatore accompagnando le immagini della pellicola dove è la mente la vera protagonista, una mente che cancella i ricordi rigenerandosi in una dimensione in cui la realtà emerge solo lentamente. La ricostruzione narrativa è perfetta. Rispondi tu al telefono?

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novembre 18, 2014 Posted by | Thriller | , | Lascia un commento

All that jazz-Lo spettacolo continua

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Pubblico e privato di un attore, ballerino e coreografo Joe Gideon,stella del musical e della danza moderna visto attraverso la lente d’ingrandimento dei suoi successi (e delusioni) sul lavoro e nella vita privata,in cui le seconde dominano sui primi.
Testamento autobiografico e penultimo film di Bob Fosse, All that jazz-Lo spettacolo continua è una commossa e a tratti irriverente confessione autobiografica in cui il celebre punto di riferimento del musical americano si mette a nudo,attraverso un racconto visivo potente anche se spesso ridondante e narcisistico,con un finale premonitore che sembra anticipare la sua morte, avvenuta come nel film per un infarto, otto anni dopo aver diretto il suo ultimo capolavoro.
Per la verità All that jazz non sarà il suo ultimo film, visto che nel 1983 uscirà Star 80, che però non si sposterà dalla sufficienza diventando si famoso ma non certo il film della vita.

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Fosse sceglie per il film una narrazione sicuramente particolare, raccontando al presente e al passato la vita del suo alter ego Gideon e inframezzandola con una specie di visione onirica raffigurante un angelo biondo, un angelo della morte che ascolta divertito il racconto della vita di un uomo che ha dato tanto allo spettacolo ricavandone in cambio fama professionale ma una vita privata al limite del disastroso.
L’angelo della morte, la donna vestita di bianco simboleggia nel film e per Fosse l’ultimo atto della vita, quello in cui si favoleggia il rivedere in un attimo dilatato nel tempo gli eventi principali della vita di un essere umano.

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E’ proprio a questo angelo che Gideon racconta aneddoti e storie, partendo dai suoi esordi come attore di uno spettacolo border line nel quale erano presenti alcune spogliarelliste, che si divertivano dietro il palco ad eccitarlo, lasciandolo poi solo carico di eccitazione e frustrazione.
Ma il film in realtà comincia in un altro modo, quello dell’angelo, parte determinante del racconto, resta figura determinante ma parallela agli eventi narrati.

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Che vedono Gideon preparare un nuovo spettacolo mentre attorno a lui si muovono tutte le componenti dello spettacolo stesso, dai ballerini ai produttori del film,dal compositore delle musiche per finire con la sua ex moglie, una ballerina che Gideon ha voluto nello spettacolo riservandole un posto di primo piano e sulla quale è stato letteralmente disegnato il copione.
Sempre attraverso il racconto fatto alla dama/angelo, Gideon ripercorre i successi iniziali, che lo portano a fondare una compagnia di ballo di grande successo e nel frattempo racconta la sua vita privata, fatta di un matrimonio e di una figlia.Matrimonio che ben presto entra in crisi a causa proprio della professione e dalla tendenza di Gideon a lasciarsi facilmente sedurre dalla pletora di ballerine e attricette dei suoi spettacoli.
Poi la fortuna,la sorte,presentano il conto:la vita vissuta a tutta velocità ha provocato danni irreversibili al suo cuore.

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Così giunto sulla soglia dei 50 anni Gideon si ritrova in ospedale, operato ma anche senza nessuna speranza di guarigione;prima di lasciare il suo corpo mortale l’uomo ha la possibilità di rivedere, in un fantasmagorico musical,tutto quello che di buono (ma anche di negativo) ha fatto nella vita.
Una girandola di volti lo acompagna verso l’ultimo passo, seguito dal sorriso dell’angelo della morte che lo accompagna verso la vita eterna…
Bob Fosse dirige un film fantasmagorico, ridondante,auto celebrativo ma anche profondamente commosso,un testamento spirituale in cui in qualche modo sbeffeggia la morte senza però dimenticare che con essa avrà a che fare i conti.
Bellissimo e appassionante e al tempo stesso nostalgico e romantico, dissacrante ma anche affettuoso All that jazz è un compendio di cose buone ed altre meno buone, ma tutte espresse con un’abilità ed una partecipazione assolutamente straordinarie.

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Alle splendide scene di ballo si alternano i dialoghi con l’angelo della morte,le sue visioni del passato si mescolano al presente, i personaggi che più hanno contato nella sua vita non sono fantasmi ma parte di un presente che Fosse/Gideon sente sfuggire inesorabilmente.
Dopo i capolavori Cabaret e Lenny, dopo il folgorante esordio cinematografico avvenuto con Sweet Charity – Una ragazza che voleva essere amata del 1969, successo grazie al quale riuscì a girare Cabaret che gli valse l’Oscar per la miglior regia unitamente ad altri 7 in varie categorie,Fosse si consegna alla storia con un’opera di largo respiro, disorganica eppure terribilmente affascinante e sincera.
Battuto solamente dal film di Benton Kramer contro Kramer, omaggio alla cinematografia più spudoratamente hollywoodiana,All that jazz condivise nel 1980 la sorte del capolavoro di Coppola Apocalypse now, che sicuramente avrebbe meritato la statuetta ben più del film di Benton e che se la sarebbe giocata alla pari con il film di Fosse.

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Ma tant’è…
Grazie ad un cast eccellente costruito attorno a Roy Scheider e Jessica Lange, composto da eccellenti ballerini e da ottimi comprimari, Fosse crea un’opera senza tempo e dal fascino straordinario;film tra l’altro molto apprezzato un po ovunque come testimoniano i 4 Oscar e le 5 nomination del 1980 nella notte delle statuette,la prestigiosa Palma d’oro al festival di Cannes e altre nomination in importanti manifestazioni cinematografiche.
Ottimo come dicevo il cast, con un bravissimo e intenso Roy Scheider e una splendida Jessica Lange, l’Angelica del film, la dama in bianco chiaro riferimento all’angelo della morte.

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Davvero eccellente la forografia di Giuseppe Rotunno,nominato per l’Oscar di quell’anno e battuto solamente da un altro grande italiano,Vittorio storaro che portò a casa la statuetta per Apocalypse now.
Un film memorabile, quindi, che andrebbe rivisto almeno una volta per apprezzarlo in tutte le sue componenti.
All that Jazz – Lo spettacolo continua

Un film di Bob Fosse. Con Roy Scheider, Jessica Lange, Leland Palmer, Ann Reinking, Cliff Gorman Titolo originale All that Jazz. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 123′ min. – USA 1979.

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All that jazz banner protagonisti

Roy Scheider: Joe Gideon
Jessica Lange: Angelica
Leland Palmer: Audrey Paris
Ann Reinking: Kate Jagger
Cliff Gorman: Davis Newman
Ben Vereen: O’Connor Flood
Erzsebet Foldi: Michelle Gideon
Michael Tolan: Dr. Ballinger
Max Wright: Joshua Penn
William LeMassena: Jonesy Hecht
Irene Kane: Leslie Perry
Deborah Geffner: Victoria Porter
John Lithgow: Lucas Sergeant
Sue Paul: Stacy
Keith Gordon: Joe Gideon giovane
Sandahl Bergman: ballerina

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Manlio De Angelis:Joe Gideon
Emanuela Rossi: Angelica
Rita Savagnone: Audrey Paris
Rossella Izzo: Kate Jagger
Michele Gammino: Davis Newman
Giuppy Izzo: Michelle Gideon
Sandro Iovino: Dr. Ballinger
Piero Tiberi: Joshua Penn
Sergio Fiorentini: Jonesy Hecht
Germana Dominici: Leslie Parry
Paila Pavese: Victoria Porter
Gianni Marzocchi: Lucas Sergeant
Isabella Pasanisi: Stacy
Riccardo Rossi: Joe Gideon giovane

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Regia Bob Fosse
Soggetto Robert Alan Aurthur, Bob Fosse
Sceneggiatura Robert Alan Aurthur, Bob Fosse
Fotografia Giuseppe Rotunno
Montaggio Alan Heim
Musiche Ralph Burns
Scenografia Philip Rosenberg

All that jazz banner citazioni

Joe… Da più di tre settimane facciamo straordinari, Joe! I capi mi si stanno mangiando vivo. […] Siamo già due miliardi oltre il costo preventivato… Joe, Dio creò il mondo intero in sei giorni, e senza fare un’ora di straordinari; tu non riesci a montare un film di novanta minuti in sette mesi, e per di più con gli straordinari!

Stare sulla corda è vita. Tutto il resto è attesa.

All that jazz banner recensioni

L’opinione di exitplanetdust dal sito http://www.mymovies.it

Intrigante l’uso del sonoro – e ci mancherebbe, dacché si tratta di un film musicale. In particolare la soggettivazione della percezione acustica, interiorizzata nei personaggi, “psicologizzata”, “focalizzata” nella mente attraverso l’uso di filtri e riverberi. Ciò è patente in talune scene, come quella della prima lettura di un copione, in cui il protagonista principia ad accusare seriamente i sintomi di un grave malessere fisico. Assieme agli inserti di montaggio, le scene in cui Joe discute con la fata-sposa – ma in fondo, con se stesso -, tali soluzioni audio-visive contribuiscono a conferire al film un’inquietante atmosfera allucinata, che ben esprime il disagio di una esistenza costantemente condotta sul filo, priva di valori, caracollante ed eccessiva, viziosa e nichilista, com’è quella che l’ambiente dello spettacolo richiede. Grazie ad un montaggio sapiente, che non risparmia overlapping editing ed intenzionalità concettuali, il limite fra reale e fittizio, vita e rappresentazione, universo diegetico e immaginazione dei personaggi, si assottiglia fino a scomparire, e i piani si compenetrano tanto da risultare indistinguibili. Così anche un evento personale e drammatico, come un intervento chirurgico a cuore aperto, in cui la stessa vita del protagonista è assai a rischio, ottiene la sua trasposizione artistica – ma immaginaria – sulle assi del palcoscenico. Se si riesce a scendere a patti con l’onanismo imperante, il lezioso autocompiacimento autobiografico, ci si ritrova di fronte ad un opera visionaria ed onirica, in cui ogni balletto e rappresentazione ha un preciso valore espressivo e serve a delineare il profilo psicologico ed emotivo di una grande personalità, oltre ad offrire un incisivo spaccato sul mondo frenetico e durissimo, regolato da leggi spietate e disumane, dello show business.

L’opinione di pompiere FI dal sito http://www.filmtv.it

(…) La pellicola è una delle più alte e raffinate riflessioni sulla morte, e insieme un inno alla seducente dinamicità della vita. Un giocare con la falce fienaia, ma senza le prostrazioni bergmaniane, e con una messa in scena colorata, tinteggiata da personaggi brillanti.
L’idea del trapasso viene burlata a più riprese, grazie a stralci ironici di enorme rilievo (il medico che, mentre visita Joe, fuma e tossisce a ripetizione, e la sequenza nella camera d’ospedale subito dopo l’infarto), ma anche rispettata tramite un racconto spesso doloroso ed emotivamente feroce. Registicamente parlando, Fosse non è mai stato così in stato di grazia; le scene del balletto di “Air-otica” e la lettura “sorda” del copione sono idee magistrali di come andrebbe fatto il cinema. (…)

L’opinione di Kovalsky dal sito http://www.filmscoop.it

E’ l'”Otto e mezzo” secondo Bob Fosse: un film straordinario, kitsch, magniloquente, ricco di inventiva e di creatività. Come potrebbe essere diversamente visto che stiamo parlando del più grande ultimo coreografo della storia? Ma è anche e soprattutto, in un’excursus di indimenticabile glamour, la storia e l’immagine di Fosse che cita se stesso, impagabilmente rievocato da Scheider e dalla sua malattia, un attore di grande talento che generalmente stenta a ispirare simpatia.
Più che un musical, un testamento artistico di grande impatto (il suo ultimo vero film, “Star 80”, non era un musical ed effettivamente faceva abbastanza pena)
L’opinione di Giapo dal sito http://www.davinotti.com

Praticamente un’autobiografia di Bob Fosse, che racconta come il proprio successo artistico faccia da contrappunto a una disastrosa vita privata che gira attorno a 3 grandi amori: la moglie, l’amante e la figlia. Roy Scheider è assolutamente straordinario nell’interpretare questa autocritica, girata in modo artisticamente spettacolare grazie a una sceneggiatura ferrea e arguta e a delle ottime musiche coreografate splendidamente che tengono incollato lo spettatore fino alla fantastica, toccante celebrazione finale.

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novembre 16, 2014 Posted by | Drammatico | | 1 commento

Due ragazzi che si amano

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Due vite parallele e due destini che fatalmente si incroceranno cambiando le loro vite per sempre sin dalla prima adolescenza:Paul e Michelle ancora non lo sanno, ma presto si incontreranno casualmente, si ameranno e dovranno lasciarsi perchè il mondo degli adulti ha in serbo per loro, ribelli e indipendenti,l’imposizione del rispetto di regole assurde,scevre da sentimenti e scandite dal politicamente corretto,da quell’insieme di laccetti che stringono mortalmente la società regolando le relazioni tra individui.
Paul è un sedicenne in perenne lotta con il padre, un essere cinico e autoritario, che vorrebbe forgiare il giovane a sua immagine e somiglianza mentre Michelle è una timida ragazza orfana, che ha dovuto convivere suo malgrado con una cugina, sentendosi però un’ospite sgradita.
I due giovani incrociano le loro vite in uno zoo;da quel momento vivono in perfetta simbiosi l’uno con l’altro o anche l’uno per l’altro;i problemi, il senso di frustrazione, l’incomunicabilità con le famiglie diventano una cosa passata.L’amore nasce e sboccia e i due capiscono che è ora di andar via, lontano dagli adulti incapaci di capirli e amarli.

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Viaggiano fino in Camargue, trovano un posto remoto, si installano e danno corpo alla loro relazione.
Ma restano pur sempre due adolescenti e ben presto le difficoltà della vita li aggrediscono; ma riescono in qualche modo a tenere vivo il loro amore, coronato dalla nascita di un figlio.
Sarà proprio la nascita del figlio a segnare i loro destini;Paul si reca in paese per acquistare dei beni di prima necessità per il bambino, suscitando i sospetti della impicciona proprietaria del negozio in cui si reca.
Che chiama la polizia con conseguenti indagini sui due ragazzi;sarà l’esecrabile padre di Paul a decidere il futuro delle loro vite….
Due ragazzi che si amano (semplicemente Friends nella versione inglese) è un film di Lewis Gilbert datato 1971.

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Un film accolto in modo diametralmente opposto sia dal pubblco sia dalla critica;una parte consistente degli uni e degli altri applaudi senza riserve il film,lodandone sia la trama anticonvenzionale sia l’atmosfera in cui il film stesso era immerso,mentre le critiche principali riguardarono un presunto atteggiamento furbesco del regista, accusato di aver banalizzato una storia d’amore infarcendola di scene erotiche che nascondevano quindi la mera operazione commerciale del film.
In realtà questo genere di critiche è abbastanza ingeneroso; le vituperate scene di sesso sono davvero molto caste, i nudi della splendida e sfortunata Anicee Alvina sono in qualche modo funzionali al film e di scene al calor bianco francamente non c’è traccia.
Troppa severità quindi verso un film che racconta in modo garbato una storia d’amore fra due adolescenti alle prese con un mondo che non solo non li capisce,ma in qualche modo li ripudia.Loro non sono anticonformisti, hippy o contestatori eppure le due famiglie in cui convivono non li amano;il padre di Paul è rappresentato come un uomo egoista, gretto e meschino mentre la famiglia di adozione di Michelle è quasi ostile alla presenza della ragazza.

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In questo piccolo universo chiuso i due ragazzi soffocano e la scoperta dell’amore avrà per loro un effetto dirompente.
Un amore puro dapprima e poi sensuale,come del resto è giusto che sia li avvolge e coinvolge.
La loro fuga dalle famiglie e in qualche modo dalla società per vivere in modo totale ed estranenante la loro storia d’amore è però ostacolata dalla loro età.
La sessualità e l’amore sembrano essere un privilegio dei “grandi” e la loro ribellione a questo stato di cose avrà conseguenze purtroppo decisive sulla loro unione, peraltro allietata dalla nascita di un figlio.
Forse l’unico neo del film è rappresentato dalla mancanza di profondità e di analisi dei background dei due adolescenti, del loro rapporto con l’esterno ma in effetti il regista probabilmente non aveva altra intenzione che quella di raccontare sic et simpliciter l’amore, un amore assurdamente proibito dalle convenzioni e dalle leggi.

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Il film è delicato, con una bella fotografia e sopratutto permeato dalla bellissima colonna sonora di Elton John, composta con Bernie Taupin;Friends diverrà una vera hit del cantante e funzionerà da trampolino di lancio per il film.
Che purtroppo in Italia arriverà in sordina, per colpa di quelle poche scene di nudo che turberanno i sogni dei nostri censori.
Per dare un’idea della solita, allucinante miopia di molti censori e critici, segnalo la spassosa recensione del Morandini:”Durante una vacanza sboccia l’amore tra giovinetto inglese e orfanella francese. Nasce un bimbo, ma l’orribile padre di lui fa intervenire la polizia. Love story mielosa fino alla nausea che cade spesso nel ridicolo involontario.
E’ estremamente probabile che il recensore non abbia visto il film,poichè cita una vacanza della quale non esiste traccia nel film;questa è una delle frequenti cadute di stile ( e di credibilità) che hanno spesso fuorviato gli spettatori,indotti a credere una cosa mentre la pellicola in oggetto ne diceva chiaramente un’altra.

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Spesso affidarsi alle recensioni di alcuni critici equivaleva (ed equivale ancora) a seguire le indicazioni stradali fidandosi delle pietre miliari romane!
Per quanto riguarda il cast, direi molto bene i due attori protagonisti,Sean Bury e Anicee Alvina;il primo è una vera sorpresa,fresco e ingenuo, spontaneo e istintivamente portato alla recitazione com’è mentre la sfortunata Alvina è ormai una certezza, come del resto dimostrerà nel corso della sua pur breve carriera fatta di una trentina di film quasi tutti interpretati nel decennio settanta.
Il film è assolutamente introvabile in lingua italiana;ho avuto la fortuna di vederlo oltre 40 anni addietro, durante uno di quei cineforum scolastici che permisero a molti giovani dell’epoca di vedere pellicole altrimenti destinate all’oblio.
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Un film di Lewis Gilbert. Con Anicée Alvina, Ronald Lewis, Sady Rebbot, Sean Bury Titolo originale Friends. Commedia, durata 102′ min. – Gran Bretagna 1971

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Sean Bury … Paul Harrison
Anicée Alvina … Michelle Latour
Ronald Lewis … Padre di Paul Harrison
Toby Robins … La signora Gardner
Joan Hickson …La donna della libreria
Pascale Roberts … Annie
Sady Rebbot … Pierre

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Regia: Lewis Gilbert
Sceneggiatura: Lewis Gilbert,Vernon Harris e Jack Russell
Produzione: Lewis Gilbert e Geoffrey Helman
Fotografia:Andréas Winding
Montaggio:Anne V. Coates
Art Direction :Marc Frédérix
Costume Design ;Jeanine Herrly

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novembre 13, 2014 Posted by | Drammatico | , | 17 commenti

Musicarello,che passione

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Sono passati quasi 15 anni dalla fine della guerra;gli italiani si sono lasciati alle spalle i lutti e le devastazioni, la ricostruzione del paese è ormai a buon punto e il paese si avvia verso il boom economico.
Una stagione straordinaria, in cui il paese trova un benessere diffuso attraverso il lavoro, con un entusiasmo che porterà ogni italiano ad avere i simboli di quel benessere, dall’auto all’elettrodomestico. Ovviamente non mancheranno le ombre e difatti il paese pagherà quei 5-6 anni di straordinaria fioritura con problemi che esploderanno dei decenni settanta.
Ma è un’altra storia,siamo sul finire degli anni 50 e gli italiani hanno scoperto la voglia di divertirsi grazie ai primi apparecchi tv, alla diffusione ormai massiccia della radio e dei dischi, che allietano le le serate nelle balere e lungo i mille locali che spuntano un po dappertutto.
In questi locali la fanno da padrone i jukebox,oltre alle piccole orchestrine o ai cantanti semi sconosciuti che tentano la difficile scalata al successo;ma il vero, grande protagonista diventa il disco,con le sue note magiche che si levano quando la puntina tocca i solchi del vinile.
Ma un disco ha bisogno di diffusione, la radio o gli spettacoli non bastano mentre la tv non è ancora presente massicciamente e si limita a trasmettere per poche ore e su un solo canale.
Così il cinema arriva in qualche modo in soccorso creando un ibrido tra il visivo e il sonoro che conoscerà una felice stagione durata almeno 13 anni e conosciuta come l’epoca del musicarello.
Il musicarello è quindi a tutti gli effetti un film con dei particolari protagonisti,sono i re del juke box, i cantanti più popolari presso il grande pubblico che non solo sfruttano il successo dei loro brani, ma ben presto utilizzano questo particolare genere cinematografico per far conoscere i brani che presto entreranno nei loro 33 giri, che iniziano a conoscere un buon successo.

21 Se non avessi più te (1966)

Laura Efrikian,una delle eroine dei musicarelli in Se non avessi più te

20 Rita, la figlia americana (1965)

Totò e Rita Pavone in Rita la figlia americana

Il primo, vero musicarello tradizionale può essere definito I ragazzi del juke-box (1959) di Lucio Fulci,con protagonisti Tony Dallara, Betty Curtis, Fred Buscaglione, Mario Carotenuto, Adriano Celentano.
In realtà c’erano stati molti film,antecedentemente, a utilizzare la presenza di cantanti di successo che lanciavano la loro canzone più famosa (che spesso dava il titolo al film), con costruita attorno una storia spesso molto semplice che vedeva il giovane cantante innamorato con più o meno speranze della bella di turno, ostacolato nel suo amore da innumerevoli problemi.
Questi antesignani del musicarello diverranno famosi come “musicarelli melodici”, vista la presenza nei cast di cantanti come Claudio Villa,Giacomo Rondinella, Alberto Rabagliati,Luciano Tajoli ecc.ma in realtà il musicarello canonico nasce come già detto sul finire del 1959.

19 I ragazzi dell'Hully Gully (1964)

La cantante francese Francoise Hardy in I ragazzi dell’Hully Gully

Il prodotto diventa immediatamente popolarissimo, tanto che molti attori di grande valore non disdegnano di partecipare alle varie produzioni; si va da Toto a Peppino De Filippo,da Erminio Macario a Nino Taranto,da Terence Hill a Giancarlo Giannini,Franco Franchi e Ciccio Ingrassia mentre molti valenti registi si cimentano con questo particolare genere.Uno dei più attivi risulterà alla fine Ettore M. Fizzarotti che ne girerà ben 13, mentre Fulci si limiterà a 3, mentre scorrendo i nomi dei vari registi troviamo Bruno Corbucci,Mariano Laurenti,Duccio Tessari, Lina Wertmüller,Mario Amendola ecc.
Come si vede, il genere musicarello era tutt’altro che snobbato dai grandi nomi, anche se la critica generalmente storceva il naso e commentava con sarcasmo l’uscita di ogni pellicola a sfondo musicale mentre i cantanti, vere star di queste produzioni,accettavano con entusiasmo anche filmetti dozzinali e buttati giù in fretta e furia pur di veicolare le loro canzoni e perchè no per raggranellare i lauti cachet proposti per la loro partecipazione.
Alla fine,quando il fenomeno del musicarello sarà completamente esaurito,si conteranno all’incirca un centinaio di produzioni del genere, che tramonterà definitivamente nella prima metà degli anni settanta.
Vediamo ora alcun titoli di musicarelli molto popolari durante gli anni 60:

Appuntamento a Ischia (1960) di Mario Mattoli – con Domenico Modugno, Maria Letizia Gazzoni, Mina, Antonella Lualdi, Carlo Croccolo
Nell’isola verde,una bambina figlia di un cantante vedovo (Domenico Modugno) tenta in tutti i modi che il padre convoli a nuove nozze con la donna che ama e cerca di farlo fidanzare con la bella Antonella Lualdi.
Nel film sono presenti, tra l’altro Una zebra a pois cantata da Mina e Vecchio frack da Domenico Modugno

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Mina nel musicarello Appuntamento ad Ischia

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Domenico Modugno nello stesso film 

Una lacrima sul viso (1964) di Ettore M. Fizzarotti – con Bobby Solo, Laura Efrikian, Nino Taranto, Lucy D’Albert
Un cantante italo americano si innamora della figlia di un maestro di musica che detesta a musica dei giovani;ad ostacolare la loro unione c’è anche un’amica della fidanzata del cantante ma alla fine l’amore tra i ragazzi avrà la meglio
Ovviamente la canzone più importante è quella che da il titolo al film, cantata daBobby Solo;è anche uno dei tanti musicarelli interpretati da Laura Efrikian,la futura signora Morandi.

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Bobby Solo,Nino Taranto e Laura Efrikian in Una lacrima sul viso

In ginocchio da te (1964) di Ettore M. Fizzarotti – con Gianni Morandi, Laura Efrikian, Margaret Lee, Nino Taranto
Tradizionale storia d’amore tra un cantante che fa il militare,la figlia del suo maresciallo con tanto di terza incomoda.Ma l’amore al solito è sovrano.
Durante la lavorazione di questo film nasce la storia d’amore tra la Efrikian e Morandi che sfocerà due anni più tardi nel matrimonio;Gianni Morandi canta la canzone che da il titolo al film oltre a Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte,Non son degno di te,Ho chiuso le finestre,In ginocchio da te

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Nino Taranto

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Laura Efrikian e Gianni Morandi in In ginocchio da te

Rita la zanzara (1966) di Lina Wertmüller – con Rita Pavone, Giancarlo Giannini, Bice Valori, Turi Ferro
Amore unilaterale per una studentessa ribelle,che non è corrisposta dal suo maestro di musica, che ditero l’apparente serietà nasconde una doppia vita.l’uomo infatti è un cantante beat e alla fine la ragazza otterrà il cuore del suo insegnante.
La Pavone amoreggia con Giannini, mentre nel cast troviamo il futuro marito della Pavone, Teddy Reno,una giovanissima Milena Vukotic, Paolo Panelli e Bice Valori, Gino Bramieri.

3 Rita la zanzara (1966)  foto

Rita Pavone in Rita la zanzara

Perdono (1966) di Ettore M. Fizzarotti – con Caterina Caselli, Fabrizio Moroni, Laura Efrikian, Nino Taranto
Una ragazza diventa una cantante di successo, ma deve rinunciare all’amore perchè l’uomo che scoprirà di amare è il fidanzato della sua migliore amica.
Caterina Caselli canta,sul finire del film, il suo grande successo che da il titolo al film, oltre alle hit Cento giorni,L’uomo d’oro e a Tutto nero,cover della celebre Paint it black degli Stones.Nel cast Gino Bramieri e Marisa Del Frate,Carlo Croccolo e Carlo Croccolo

4 Perdono (1966) foto

Laura Efrikian e Caterina Caselli in Perdono

Nel sole (1967) di Aldo Grimaldi – con Al Bano, Romina Power, Linda Christian, Carlo Giordana, Nino Taranto, Franco e Ciccio
Carlo (Albano),un giovane studente si innamora della bella e ricca Lorena (Romina Power) e per conquistarla finge di essere un ricco nullafacente, aiutato nella sua finzione da Franco e Ciccio.
Galeotto fu il film e qui nasce la storia d’amore che durerà quasi trent’anni fra il cantante pugliese e la figlia del grande Tyrone Power e dell’attrice Linda Christian;il cantante di Cellino ovviamente canta il suo più grande successo,nel cast numerosi caratteristi,oltre alla mamma della Power e cioè la splendida Helene Chanel,oltre a Nino Taranto,Enrico Montesano, Franchi e Ingrassia e la cantante/attrice Loretta Goggi.

5 Nel sole (1967) foto

Romina Power e Albano in Nel sole

5 Nel sole (1967) foto 2

Romina Power

I ragazzi di Bandiera Gialla (1967) di Mariano Laurenti – con Gianni Pettenati, Gianni Boncompagni, Lucio Dalla, Patty Pravo
Amori e tradimenti di due ragazzi e di una ragazza, che avrà la fortuna di diventare famosa grazie a Boncompagni e alla sua fortunata trasmissione Bandiera gialla.
Molti beniamini del pubblico medio,come Marisa Sannia e Gianni Pettenati e beniamini dei più giovani come Ricky Shayne,Lucio dalla,I Primitives e attori come Riccardo Garrone e Toni Ucci.Cameo di un giovanissimo e altrettanto sconosciuto Renato Zero.

6 I ragazzi di Bandiera Gialla (1967) foto 1

Riccardo Garrone,Marisa Sannia e Gianni Pettenati in I ragazzi di Bandiera Gialla

6 I ragazzi di Bandiera Gialla (1967) foto 2

Lucio Dalla

Pensiero d’amore (1969) di Mario Amendola – con Mal, Silvia Dionisio, Angela Luce, Pietro De Vico, Pippo Franco
Reg,un giovane inglese conosce Paola, fidanzata di Leone, un giovane che ha conosciuto casualmente.
I due scoprono di amarsi ma il loro amore sarà messo a dura prova.
Mal ex Primitives canta la sua canzone più famosa, si innamora della bellissima Silvia Dionisio e mostra che il cinema non era davvero una via praticabile per lui.

7 Pensiero d'amore (1969) foto

Silvia Dionisio in Pensiero d’amore

Quelli belli… siamo noi (1970) di Giorgio Mariuzzo – con Maurizio Arcieri, Orchidea De Santis, Lino Banfi, Carlo Dapporto, Loredana Berté, Isabella Biagini
Tradizionale storia d’amore tormentata fra Maurizio e Elisabetta;lui è un meccanico con l’hobby della musica, lei la figlia del barbiere.Il padre di lui, siciliano,l’ha promessa sposa ad un altro ma alla fine l’amore trionfa grazie al successo che avrà Maurizio che canterà una canzone del futuro suocero.
Il cantante dei New Dada Maurizio Arcieri, la bellissima Orchidea De Santis e la presenza nel cast di una giovane Loredana Bertè sono alcuni elementi di curiosità del film, uno degli ultimi musicarelli di successo.

8 Quelli belli... siamo noi (1970) foto

Orchidea De Santis,Carlo Dapporto e Maurizio Arcieri in Quelli belli… siamo noi

Dio, come ti amo! (1966) di Miguel Iglesias – con Gigliola Cinquetti, Mark Damon, Micaela Cendali, Antonio Mayans,Trini Alonso
Storia di una nuotatrice italiana (Gigliola Cinquetti) che salva la vita ad una ragazza spagnola,ne diventa amica e conosce il fidanzato di quest’ultima, Luis,del quale ovviamente si innamora.Girandola di equivoci e classico happy end.
Dal successo sanremese cantato in coppia con Domenico Modugno,la Cinquetti passa al cinema con risultati davvero modesti.Ancora una volta presente Nino Taranto e c’è anche Raimondo Vianello.

9 Dio, come ti amo (1966) foto

Gigliola Cinquetti nel film Dio come ti amo

Quando dico che ti amo (1967) di Giorgio Bianchi – con Tony Renis, Lola Falana, Alida Chelli, Annarita Spinaci, Enzo Jannacci, Lucio Dalla, Caterina Caselli
Parata di vedette della canzone con protagonista un cantante non ancora affermato che si consola facendo il don Giovanni;ma si innamorerà di Sandra e dopo una brutta avventura perderà la sua smania di fare il bellimbusto e impalmerà la bella Sandra.
Tony è Tony Renis, Sandra una bella Alida Chelli; il titolo è preso dal successo di Renis e di Annarita Spinaci mentre Jannacci canta E purtava i scarp del tennis.

10 Quando dico che ti amo (1967) foto

 Tony Renis in Quando dico che ti amo

10 Quando dico che ti amo (1967) foto 2

 Lola Falana in Quando dico che ti amo

Lisa dagli occhi blu (1970) di Bruno Corbucci – con Mario Tessuto, Silvia Dionisio, Vittorio Congia, Piero Mazzarella, Mario Carotenuto
Ancora una volta una storia d’amore fra uno studente povero in canna e una ricchissima ragazza,per il quale il padre sogna ben altro avvenire.
Il titolo del film è quello del grande successo di Mario Tessuto, quel Lisa dagli occhi blu che sarà una delle colonne sonore più importanti del decennio sessanta.Nella parte di Lisa troviamo una splendida Silvia Dionisio, ormai una presenza fissa dei musicarelli mentre Tessuto ne approfitta per cantare canzoni che nessuno ricorda più.Nel cast moltissimi protagonisti dei musicarelli, il solito Taranto,Franco e Ciccio,Carlo Dapporto e Peppino De Filippo, Gino Bramieri,Lino Banfi e Macario.

11 Lisa dagli occhi blu (1970) foto 1

11 Lisa dagli occhi blu (1970) foto 2

Lisa dagli occhi blu

Lacrime d’amore (1970) di Mario Amendola – con Mal, Silvia Dionisio, Francesco Mulè, Ferruccio Amendola, Carlo Delle Piane
Per una volta il titolo è estraneo al successo del momento e nella trama troviamo Mal (che interpreta Reg) felicemente sposato con la bella Paola (Silvia Dionisio) Un banale equivoco fa dubitare a Reg dell’amore della moglie e per lui ci saranno gai ancora una volta per un equivoco che lo porterà ad essere sospettato di traffico di droga.Happy end con bimbo in arrivo.
Si ricostituisce la coppia Mal-Silvia Dionisio, sempre più bella;è un musicarello del tramonto, quando ormai il genere aveva segnato il passo.

12 Lacrime d'amore (1970)

Silvia Dionisio e Mal in Lacrime d’amore

Vacanze sulla Costa Smeralda (1968) di Ruggero Deodato – con Little Tony, Silvia Dionisio, Ferruccio Amendola, Francesco Mulè, Tamara Baroni
In sardegna due albergatori concorrenti cercano in ogni modo di attrarre clientela per i loro alberghi;ma sara un cantante (Little Tony) a riapacificare i due perchè si innamorerà della figlia di uno dei due rivali.
Questa volta il cantante è Little Tonyche canta i suoi successi Cuore matto e Prega prega mentre la bella di turno è Silvia Dionisio che sul set si innamora del regista del film Deodato che sposerà poco più tardi.Nel cast figura la splendida Femi Benussi

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Little Tony in Vacanze sulla Costa Smeralda

13 Vacanze sulla Costa Smeralda (1968) foto 2

Silvia Dionisio in Vacanze sulla Costa Smeralda

Il ragazzo che sorride (1968) di Aldo Grimaldi – con Al Bano, Rocky Roberts, Susanna Martinkova, Riccardo Garrone
Trama insolita per un musicarello che vede protagonisti la coppia Albano-Power;nel film i due sono sposati ma non possono avere figli.Convinto che la moglie lo tradisca lui scopre che in realtà la moglie è seguita da un ginecologo e alla fine i due potranno coronare il sogno di avere un fil.
Trasferta africana per Albano e la Power;il titolo è pari pari un successo musicale del cantante leccese,nel cast oltre agli immancabili Carlo Taranto e Nino Taranto troviamo Yvonne Sanson

14 Il ragazzo che sorride (1968) foto

Rocky Roberts in Il ragazzo che sorride

Lady Barbara (1970) di Mario Amendola – con Paola Tedesco, Renato dei Profeti, Carlo Delle Piane, Pietro De Vico, Rosita Toros
Dal grande successo di Renato Brioschi,leader dei Profeti,Mario Amendola mutua il titolo raccontando la storia di un attore con segrete brame di successo in campo musicale che si innamora di una ragazza inglese.Ma la famiglia di lei sogna un altro avvenire e quando Barbara scopre che lui è sposato (è falso, ma le hanno fatto credere il contrario) torna a casa e sposa l’uomo che la famiglia ha scelto per lei.Un terribile incidente coinvolge il neo marito e quando quest’ultimo scoprirà che la moglie non ha mai smesso d’amare Renato,la lascerà libera di andare.
Una bellissima Paola Tedesco divide la scena con Renato Brioschi in uno degli ultimi musicarelli, mentre nel cast troviamo Rosita Torosch e Carla Mancini.

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Renato Brioschi e Paola Tedesco in Lady Barbara

Zingara (1969) di Mariano Laurenti – con Bobby Solo, Loretta Goggi, Pippo Franco
Il grande successo di Zingara, la vittoria a Sanremo portano il regista Laurenti a scrivere in fretta e furia un film tagliato su misura per Bobby Solo,che canta il brano omonimo nel film.Tradizionale storia d’amore con happy end e segnalazione per la presenza di Loretta Goggi insolitamente con i capelli neri;nel cast anche Pippo Franco e la soubrette Minnie Minoprio.Bobby Solo canta anche Siesta,Una granita di limone mentre Non c’è più niente da fare si ascolta da un registratore e Se piangi, se ridi da un juke box.

15 Zingara (1969) foto

Bobby Solo e Loretta Goggi in Zingara

Il suo nome è Donna Rosa (1969) di Ettore M.Fizzarotti – con Al Bano, Romina Power, Dolores Palumbo, Enzo Cannavale
Ancora una storia d’amore, questa volta tra due giovani che si conoscono in maniera traumatica;ma accanto alla loro c’è spazio per la love story tra il padre della ragazza e una nobil donna.
Sempre protagonisti il duo Albano-Power per un film costruito attorno ad una soundtrack di canzoni napoletane e di successi come Mattino, che canta Albano,Donna Rosa cantata da Nino Taranto e Messaggio cantata da Romina Power.
Nel cast compare la piccola Nicoletta Elmi.

15 Il suo nome è Donna Rosa (1969) foto

15 Il suo nome è Donna Rosa (1969) foto 2

 La coppia Albano e Romina Power in Il suo nome è donna Rosa

Sul finire degli anni 60 il fenomeno del musicarello si consuma quasi di colpo;la voglia di svago e di divertimento c’è ancora ma il paese sta cambiando velocemente.L’autunno caldo, la strage di piazza Fontana,la crisi economica sempre più vistosa stanno creando le basi per gli anni di piombo.Nel frattempo la tv ha raggiunto tutto il paese e la musica è ora fruibile in modo più massiccio.la gente acquista sempre più album e sempre meno 45 giri,mentre il musicarello,con le sue trame ingenue sta lasciando il posto a nuovi generi cinematografici, strutturati in modo più complesso, come il thriller,il giallo, il western spaghetti.

18 Canzoni nel mondo (1963)Canzoni nel mondo

17 Urlatori alla sbarra (1960)

Urlatori alla sbarra

16 I ragazzi del juke-box (1959)

I ragazzi del jukebox

Ci sarà comunque spazio per una nuova,effimera stagione del musicarello, dapprima in ambito esclusivamente regionale e in seguito in diffusione nazionale grazie al cantante Nino D’Angelo,attorno al quale verranno costruiti sette film di stampo neomelodico, ovvero L’ave maria (1982) di Nini Grassia,L’ammiratrice (1983) di Romano Scandariato,La discoteca (1983) di Mariano Laurenti,Un jeans e una maglietta (1983) di Mariano Laurenti,Uno scugnizzo a New York (1984) di Mariano Laurenti,Popcorn e patatine (1985) di Mariano Laurenti e Fotoromanzo (1986) di Mariano Laurenti.Sono gli ultimi bagliori di una stagione da guardare con simpatia, emblemi di un’Italia allegra e spensierata prima, triste e preoccupata poi.
Un centinaio di film che non hanno lasciato certo una traccia significativa, ma che hanno tenuto compagnia a tante serate degli italiani.

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1 Una lacrima sul viso (1964) locandina

 

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4 Perdono (1966) locandina

 

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15 Zingara (1969) disco

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22 Io non protesto, io amo (1967) lobby card

20 Rita, la figlia americana (1965) lobby card

19 I ragazzi dell'Hully Gully (1964) lobby card

18 Canzoni nel mondo (1963) lobby card

17 Urlatori alla sbarra (1960) lobby card

16 I ragazzi del juke-box (1959) lobby card

novembre 11, 2014 Posted by | Miscellanea | , | 2 commenti

Gli anni dei lacrima (lagrima) movie

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Prima di analizzare il fenomeno dei “lacrima” mi sembra giusto avvertire il gentile lettore che l’apparente cinismo delle mie parole è in realtà frutto di un’ironia “macabra” atta ad esorcizzare il malumore che tali film possono procurare. Mi auguro che questo mio particolare stato d’animo possa essere compreso.
Com’è capitato con altri generi cinematografici, non posso che constatare che solo in un paese complesso e straordinario come il nostro si poteva pensare di imbastire decine di film sulle sfortune e sulla morte e nello stesso qual tempo produrre film dalla comicità greve e demenziale: gli anni settanta dell’Italia sono straordinari anche per questo.
I “lacrima” hanno storie e finali risaputi, spesso scontati; tuttavia avviso ugualmente che, al fine dell’analisi, anticipo alcuni finali dei film elencati. Chi conosce il genere capirà che non avrei potuto fare altrimenti.

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Nota del 11 novembre 2014:

Questo articolo è stato redatto da markus per conto del sito http://www.davinotti.com;per un errore è stato attribuito ad altra fonte.Me ne scuso con il vero autore il cui articolo integrale può essere letto sul sito http://www.davinotti.com all’indirizzo http://www.davinotti.com/index.php?option=com_content&task=view&id=175

LE CAUSE E IL SUO “DNA”

Siamo negli anni settanta, il terrorismo ha preso il sopravvento, la gente ha paura, gli scanzonati anni sessanta con “le pinne il fucile e gli occhiali” e “le colline in fiore” sono ormai un ricordo lontano… il mondo è in gran parte sotto dittature sanguinarie, nei giornali si leggono titoli che parlano di morte, di bombe, di centri di tortura cileni… Insomma l’aria è decisamente cambiata già a partire dal 1968 (infatti – è bene chiarire – quando parlo di anni settanta io considero il decennio dal 1968 al 1977/78, mentre gli ultimissimi anni settanta, fino all’81/’82, sono quelli del “riflusso”).
In questo periodo il cinema italiano si cimenta brillantemente nei generi… di tutti i generi! E tra questi, visto il senso di sconforto che serpeggia tra tutti, i produttori rispolverano romanzi e sceneggiature che possano parlare di buoni sentimenti strizzando l’occhio alla voglia di sensazionalismo. Il cinema italiano contava già un certo numero di film per i quali si poteva parlare di “lacrima-movie” e tra tutti è evidente che Incompreso (1966, regia di Luigi Comencini) è il capostipite del genere.
Il “lacrima-movie” necessita (ce l’ha quasi nel suo dna) di una morte, meglio se a seguito di una malattia. Il non plus ultra è il naturale aggrapparsi alla vita del malcapitato: lo spettatore scaltro sa già che il poveretto non avrà scampo (in fondo la storia è sempre quella…), ma la “casalinga di Voghera” no, lei piangerà al pensiero che il “pargolo” (l’ipotetico figlio) potrebbe anche farcela. Accanto, il marito sbuffa pensando ai risultati di calcio e forse alla giovane amante…

FILM PIU’ SIGNIFICATIVI

Il “lacrima” spesso si divide in sottogeneri. Nella stragrande maggioranza dei casi vi si narra la malattia e la morte di un bambino, spesso aggravata dal dramma dei genitori assenti; in altri casi è invece la moglie che muore, con un marito o una famiglia che non si accorge del male; in altri ancora è l’innamoramento ad essere ucciso, per motivi spesso forzati (o meglio raffazzonati!).
Ecco una breve lista esemplificativa:

Incompreso – Vita col figlio (1966): il bambino agonizza a causa di un incidente mentre il padre è stato fino ad allora completamente assente, pensando solo al suo lavoro di successo e dando per scontato che il figlio “ormai è un ometto”… Evidentemente si sbagliava!

Incompreso - Vita col figlio (1966)

Incompreso,vita col figlio

L’ultima neve di primavera (1973): il pargoletto muore sfiancato dal brutto male nelle braccia dell’affascinante padre, il quale è sempre stato assente e capisce che ormai è troppo tardi per riparare… lasciando in lui il tormento per l’errore compiuto.

L’ultima neve di primavera (1973)

L’ultima neve di primavera (1973) foto 2

Due fotogrammi tratti da L’ultima neve di primavera

Bianchi cavalli d’agosto (1974): un raro caso in cui nel finale il bambino viene risparmiato dalla morte. Lo si fa comunque agonizzare quanto basta per strappare le dovute lacrime… Un passo falso, a mio avviso.

Bianchi cavalli d’agosto (1974)

Jean Seberg in Bianchi cavalli d’agosto

La bellissima estate (1974): questa volta c’è una doppia morte: quella del padre a causa di un incidente in formula 1 (inizialmente all’insaputa del figlio) e quella del fanciullo che, disperato, cerca di emulare il padre per raggiungerlo lassù… Straziante. La madre al capezzale può soltanto piangere sul corpo deturpato del figlio; la famiglia è distrutta.

La bellissima estate (1974)

La bellissima estate (1974) foto 2

Due fotogrammi tratti da La bellissima estate; nel secondo l’attrice Senta Berger

Ancora una volta… a Venezia (1974): un insieme di tragedie: la morte, la famiglia sfasciata, un amore non più possibile, ma vediamoci ancora una volta… a Venezia!

L’albero dalle foglie rosa (1975): il bambino scappa da una famiglia ormai distrutta dal divorzio e che non lo accetta; il padre non può lasciarlo, ma un’auto lo travolgerà e porrà fine al delirio. Il pargoletto, ancora in forze, abbraccerà il tronco di un pesco tanto per intonare la sua ultima inutile preghiera… e lo spettatore bramoso lo sa..

L’albero dalle foglie rosa (1975)

Renato Cestè in L’albero dalle foglie rosa

Il venditore di palloncini (1975): questa volta è l’anemia mortale a incombere sul piccino. Uno spettacolo improvvisato del venditore di palloncini allieterà gli ultimi istanti di vita del “condannato”.

Il venditore di palloncini (1975)

Il venditore di palloncini (1975) 1

Il venditore di palloncini

Piange… il telefono (1975): un uomo di mezz’età torna dalla ex moglie per conoscere una figlia che non ha mai visto. Potrebbe essere l’inizio di una nuova vita, di una famiglia tutta per lui, ma la sorte ha in serbo una tragica sorpresa…

Piange... il telefono (1975) 1

Domenico Modugno,interprete di Piange il telefono

Piange... il telefono (1975) 2

Francesca Guadagno dallo stesso film

Il maestro di violino (1976): l’indimenticato Modugno torna nei panni dell’affascinante cinquantenne in questo film in cui si racconta la storia d’amore impossibile tra lui e una ragazzina: una sorta di inno alla pedofilia!

Il maestro di violino (1976) 2

Il maestro di violino (1976) 1

Domenico Modugno e Rena Niehaus in due sequenze tratte da Il maestro di violino

Per amore (1976): in questo caso a “lasciarci le penne” è la moglie di un uomo che, mentre lei agonizza, se la spassa con la bella Janet Agren (come dargli torto…)

Per amore (1976)

Janet Agren nel rarissimo Per amore

Dedicato a una stella (1976): una ragazza nel fior fiore degli anni è gravemente malata di leucemia e trascorre l’ultimo periodo della propria corta vita con un musicista fallito che saprà capirla…

Dedicato a una stella (1976) 1

Dedicato a una stella (1976) 2

Una giovane e bella Pamela Villoresi in Dedicato a una stella

L’ultimo sapore dell’aria (1978): un ragazzino entusiasta della vita e dello sport (nuoto, che pratica con rara tenacia), ha la sfortuna di essere puntato dal dito della malasorte: una rara malattia mortale incombe. Quando lo spettatore vede il pubblico in piedi che applaude al bambino che nuota, sa che di li a poco morirà… il regista Deodato l’ha già sentenziato e morte sia!

L’ultimo sapore dell’aria (1978)

Fotogramma tratto da L’ultimo sapore dell’aria

Questo si che è amore (1978): in questo caso il bambino è consapevole della sua malattia: “i medici lo hanno detto, è già tanto se arriverò a dieci anni…”, ma malgrado ciò si aggrappa alla vita inutilmente, tentando di salvare il matrimonio in grave crisi dei genitori… Una doppia disgrazia insomma, mi pare giusto!

Questo si che è amore (1978)

Sven Valsecchi in Questo si che è amore

Stringimi forte papà (1978): un’intricata vicenda di sentimenti e famiglie sfasciate ambientata in un circo. Ma la morte del padre acquisito del bambino (che ancora rimpiange il defunto papà originario), saprà conquistare cuore del piccolo.

Stringimi forte papà (1978)

Stringimi forte papà

Eutanasia di amore (1978): in questo caso a morire è l’amore, o meglio viene praticata un’eutanasia all’amore (il titolo in realtà racconta già il film…) tra un cinquantenne ed una giovane che vuole avere un figlio. Seppur manchi la morte fisica, il regista Enrico Maria Salerno è capace di strapparci qualche sana lacrima grazie all’ottimo mix dimusiche suggestive e inquadrature da cartolina (d’altronde otto anni prima aveva fatto un’operazione simile con Anonimo veneziano, 1970).

Profumi e balocchi (1980): questa volta è una bambina a morire, scappando da un collegio dove è stata rinchiusa e colpita da una broncopolmonite; i genitori (ma soprattutto la madre) posano l’ipotetico flacone di profumo sul suo tavolino dei trucchi per dedicarsi alla figlia, ma giustamente è troppo tardi…

LA CRISI

Con il periodo del riflusso l’Italia ha voglia di togliersi di dosso i problemi, il terrorismo, il grigiore di anni tremendi sotto molti aspetti; Il pubblico non ne può più della paura di uscire e di lagnarsi di problemi virtuali per non pensare ai propri. Nello stesso qual tempo, nei cinema si proietta con gran successo La febbre del sabato sera (1977, ma uscito in Italia nel 1978), nelle radio impazza la disco, le tv private sempre più colorate e giovani impongono modelli di vita alternativa a quanto offerto sino ad allora: tutti possono essere belli, tutti possono gioire della vita e dei beni materiali.
In un simile contesto il “lacrima” non ha più ragion d’essere (e d’altronde agli inizi degli anni ottanta si era raggiunta una saturazione…): che aggiungere di nuovo al genere? Sì certo, qualcosa è stato fatto ancora (un titolo per tutti Le ultime foglie d’autunno,1988), ma siamo decisamente fuori tempo massimo e gli esiti al botteghino lo confermano.

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Incompreso - Vita col figlio (1966) locandina

L’ultima neve di primavera (1973) locandina

Bianchi cavalli d’agosto (1974) locandina

La bellissima estate (1974) locandina

L’albero dalle foglie rosa (1975) locandina

Il venditore di palloncini (1975) locandina

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Il maestro di violino (1976) locandina

Per amore (1976) locandina

Dedicato a una stella (1976) locandina

L’ultimo sapore dell’aria (1978) locandina

Questo si che è amore (1978) locandina

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novembre 9, 2014 Posted by | Miscellanea | | 9 commenti

KZ9 Lager di sterminio

KZ9 - Lager di Sterminio locandina 4

La seconda guerra mondiale ha ormai un indirizzo ben preciso:le truppe naziste hanno conosciuto l’onta della confitta su vari campi, in Europa.
Ma nel campo di prigionia di Ronshausen la guerra sembra lontana; un gruppo di prigioniere di varie nazionalità viene condotto nel lager per essere usate come cavie nei folli esperimenti del dottor Wieker.
Tra le prigioniere ci sono la dottoressa Prik,ebrea e la bella Cristina;la prima finirà per essere destinata al gabinetto medico in cui avvengono i folli esperimenti, la seconda dovrà guardarsi dalle attenzioni saffiche della kapò Marta.
La vita nel lager è un inferno; oltre a dover subire un trattamento umiliante, ad essere schiavizzate e brutalizzate in ogni modo le prigioniere devono sottostare ai capricci del dottor Wieker, che dispone delle loro vite utilizzandole in esperimenti senza alcun fondamento scientifico.
Trapianti di organi, esperimenti di congelamento, studi sui gas tossici;il dottor Wieker,con la collaborazione del dottore ebreo Meiser,costretto suo malgrado ad assistere alle follie di Wieker,sperimenta crudelmente le sue idee con risultati assolutamente scadenti.

KZ9 - Lager di Sterminio 1

Giovanni Attanasio e Lorraine De Selle

KZ9 - Lager di Sterminio 10

Al centro, Ria De Simone

Tra Meiser e Christine nasce una storia d’amore e i due tentano un’impossibile fuga che finirà con la cattura e l’impiccagione nel campo.
Ma ormai la guerra e al termine e in lontananza di odono i cannoni sovietici; così Wieker,radunate le prigioniere in un capannone, le fa uccidere sommariamente. All’esecuzione non sfugge nessuno, nemmeno la kapo Marta.
Le prove del genocidio sono così distrutte ma Wiekler non sopravviverà abbastanza per sfuggire alle sue colpe….
KZ9 – Lager di sterminio (o anche Women’s Camp 119 e SS Extermination Camp nelle version i per il mercato estero) è un nazisploitation o se preferite un eros-svastica che è una sorta di compendio di tutti i topos di questo particolare genere cinematografico:si va dalle immancabili torture di ogni genere sulle sventurate prigioniere di turno alla presenza del medico folle,nel quale non è difficile riconoscere un riferimento alla figura sinistra di Mengele, l’angelo della morte di Auschwitz.

KZ9 - Lager di Sterminio 2

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Che purtroppo, a differenza di quello che accade nel film, non morì nel campo ma riuscì a fuggire e a vivere libero e indisturbato fino al giorno della sua morte.
Altri topos classici sono la nascita della storia d’amore con finale tragico tra due prigionieri,la presenza della kapò crudele e lesbica, il sonderkommando composto da ebrei prigionieri che per aver salva la vita fungevano da giustizieri dei prigionieri.
Quello che differenzia il film dalle produzioni precedenti è la presenza di una carica inusuale di violenza, che costò al regista e al film una pesante censura oltre ad un’unanime valanga di critiche;dopo aver girato Casa privata per le SS, decisamente più leggero e più virato verso l’erotico,Bruno Mattei provò a fare sul serio, con esiti incerti.
Un film sugli orrori dei campi di concentramento è quanto di più difficile da realizzare;qualsiasi ricostruzione risente purtroppo dell’inadeguatezza di quanto raccontato visivamente rispetto alla reale portata degli avvenimenti.
L’orrore dei lager, testimoniato da alcuni documentari girati dalle truppe americane e che portarono a conoscenza del mondo la drammatica realtà della Shoah, è solo purtroppo un frammento di quanto realmente accadde.

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Mattei usa poco l’erotismo, utilizzandolo solo in un paio di casi, illustrando la relazione tra i due prigionieri o nel rapporto saffico tra la kapò e la prigioniera;utilizza però in modo massiccio il nudo femminile per mostrare la crudeltà gratuita del protagonista con sequenze shock che finirono comunque quasi del tutto purgate nella versione approvata dalla censura.Nella stesura cinematografica visionata nelle sale mancano infatti almeno dieci minuti di scene,quelle probabilmente più crude.
Il film ha una sua tensione e drammaticità che vanno riconosciute al regista romano, scomparso nel 2007;la scelta del cast, che comprende diversi caratteristi del cinema italiano spazia dalla presenza di Staccioli, ormai legato indissolubilmente alle fiure di capi o ufficiali nazisti a quelle di Ria De Simone,la crudele Kapò o a quella di Sonia Viviani, bella come al solito e tutto sommato credibile o ancora di Lorraine De Selle, nel ruolo di una prigioniera.Presente ancora una volta Marina Daunia, una volta tanto dalla parte delle vittime nel ruolo di una prigioniera ebrea.

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L’altra caratteristica segnalata è la sua estrema rudezza;ancora una volta,però,va segnalata l’incoerenza di fondo di questi prodotti, che dietro l’idea di fungere da documenti sulla ferocia nazista nei lager, finiscono sempre per tramutarsi in opere a sfondo (tra l’altro mal celato) erotico o voyeuristico.Siamo lontani anni luce da opere rigorose come Stalag 17, purtroppo.
Su youtube è presente la versione francese del film,che dovrebbe essere quella UNCUT e priva di tagli;l’indirizzo per visionare il film è https://www.youtube.com/watch?v=ja6gJ6vDArc

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KZ9 lager di sterminio
un film di Bruno Mattei,con Ivano Staccioli,Sonia Viviani,Ria De Simone,Gabriele Carrara,Marina Daunia,Lorraine De Selle.Drammatico/erotico Italia 1977 Durata 100 minuti

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Gabriele Carrara: Oberleutnant Otto Ohlendorff
Ivano Staccioli: Comandante Wieker
Lorraine De Selle: Maria black
Ria De Simone: Kapo Marta
Sonia Viviani: Cristina
Giovanni Attanasio: Kurt
Marina Daunia: Prigioniera ebrea
Gota Gobert: Kapo

Regia Bruno Mattei
Soggetto Bruno Mattei
Sceneggiatura Giacinto Bonacquisti, Aureliano Luppi, Bruno Mattei
Produttore Marcello Berni, Tommy Polgár (esecutivo)
Casa di produzione Three stars 76
Fotografia Luigi Ciccarese
Montaggio Vincenzo Vanni
Musiche Alessandro Alessandroni
Scenografia Marco Calloppi
Costumi Massimo Galloppi, Franca Celli
Trucco Marcello Di Paolo, Lidia Fatigati

L’opinione di Undjing dal sito http://www.davinotti.com

Mattei filma una serie di aberranti e “amorali” scene di violenza gratuita, condita da un linguaggio saporito e “sporco” almeno quanto il contesto (un lager). Il film gode di una morbosa e fasulla “morale” (il veloce redde rationem in chiusa): gli autori del film, come Ponzio Pilato, se ne lavano le mani. Più che all’erotismo, siamo di fronte ad un horror totale, reso credibile dalle interpretazioni (Lorraine De Selle che canta, prima dell’impiccaggione, Israel). Ottima la colonna sonora.

L’opinione del sito http://www.filmhorror.com

(…)K.Z.9. LAGER DI STERMINIO è senza ombra di dubbio il più pazzesco e violento film di Mattei. Non solo, è anche il nazi-erotico più cattivo e impressionante mai realizzato. Dall’inizio alla fine non c’è tregua: ebree picchiate, vivisezionate, smembrate, violentate, umiliate. Le donne sono trattate come rifiuti umani, alla mercé di una schiera di malati di mente che godono nel farne scempio.
Diverse le presenze all’interno del film che, nel bene e nel male, riescono a lasciare il segno dopo la visione di questa follia su celluloide: Lorraine De Selle e Marina Daunia spiccano per la loro bellezza, Ivano Staccioli è convincente nella parte del dottore freddo e cinico (l’ispirazione viene dal Dr.Mengele) e Giovanni Attanasio è un handicappato davvero impressionante, sguinzagliato per palpeggiare le ebree più carine. Ma fra tutti spicca lo sguardo gelido di Ria De Simone, spietata kapò che non lesina bastonate a destra e a manca e offre esempi di crudeltà davvero memorabili.(…)

L’opinione del sito http://www.exxagon.it

(…)Sembra che il film avesse anche intenzioni serie o quasi-documentaristiche (ecco il perché delle immagini finali di Mengele e di altri gerarchi?) ma la censura colpì duramente. Mattei se ne lamentò: “Secondo la mentalità della censura se uno faceva lo scherzetto, come Casa privata per le SS che è una burla erotica, andava bene, ma se si cercava di fare qualcosa di serio, mostrando gli esperimenti reali delle SS… Il film fu preso ferocemente, ci massacrarono”.* Sta di fatto che il film è la solita fiera di atrocità ai danni di donne nella tipica tradizione del women in prison. Le donne appena arrivate nel campo vengono suddivise fra graziose e meno, le “meno” verranno gassate subito. Fra le graziose abbiamo Lorraine De Salle (Nero veneziano, 1978; Cannibal ferox, 1981) nei panni di una dottoressa ebrea che dovrà obbligatoriamente collaborare con gli scienziati tedeschi ad alcuni esperimenti deliranti. In uno di questi due donne nude stanno al fianco di un soldato congelato (e morto) ma a furia di leccate, baci e strofinamenti lo scongelano e lo riportano in vita. L’idea, a quanto si dice nel film, è stata suggerita dallo stesso Hitler. (…)
L’opinione di Herrkinski dal sito http://www.davinotti.com

Tra i più noti esempi del vituperato filone, il film di Mattei si segnala per l’accumulo disorganico di nefandezze e volgarità, che pur risultando talvolta al limite del comico potrebbero colpire gli spettatori più sensibili. Il regista cerca pure di dare un’ipocrita ed improbabile tocco finale di critica sociale, inserendo le schede dei veri gerarchi nazisti sfuggiti ai processi. Tra numerose scene di nudo e tortura si salva giusto qualche sequenza (le prigioniere che cantano, ad esempio) e le musiche cupe. Ritmo incostante, fotografia piatta.
L’opinione di Trivex al sito http://www.davinotti.com

Del dannato filone nzexploitation, KZ9 rappresenta una fredda interpretazione. A differenza di altri malati fratelli, il sesso è piuttosto esiguo e completamente superficiale, privo cioè di sensazioni morbose passionali, tipiche nella violenza sessuale del genere. È un lungo carrello di efferatezze e di atteggiamenti disturbati, con i soliti carnefici piuttosto tecnici nelle loro aspirazioni. Il film è strutturato discretamente e si avvale di qualche mezzo in più della media, ma niente di trascendentale. Le finali note pseudostoriche si potevano evitare.

L’opinione di gestarsh99 al sito http://www.davinotti.com

Un Mattei galvanizzato quello che ribolle dietro questo pulpornaccio antistorico e turpemente deviato. Risorse e maestranze sono limitatissime e ci si arrabatta mariolescamente con quel che passa il convento: gore posticcio, inorridenti dettagli grafici e un ex mattatoio smerciato per campo di concentramento. La De Simone non ha l’arditezza da virago della più quotata Ilsa e si accomoda a latere cedendo la brutalità scenica a Ivano Staccioli, mefistofelico Mengele nostrano sollazzevolmente imbandierato da carnefice supremo. Un putribondo guilty-pleasure da ingurgitare con assoluto, lurco disgusto.

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novembre 8, 2014 Posted by | Drammatico | , , , , | 2 commenti

Gli innocenti dalle mani sporche

Gli innocenti dalle mani sporche locandina 2

E’ una coppia male assortita,quella composta da Louis e Julie Wormser.
Sono ricchi e annoiati, lei è bella e giovane, lui ha molti più anni di lei ed abusa con l’alcool.
Vivono in una splendida villa dove un giorno, mentre Julie sta prendendo il sole completamente nuda sul prato, cade un piccolo modellino d’aereo.
Così, fortuitamente, Julie conosce Jeff Marle, scrittore squattrinato ma dal gran fascino; in poco tempo Julie ne diviene l’amante e inizia a trovare insopportabile la compagnia del marito.
Così,in accordo con Jeff,Julie progetta l’omicidio del marito.
ma le cose non vanno come previsto e Julie si ritrova indagata per omicidio; ma inaspettatamente ecco ricomparire Louis e contemporaneamente scomparire Jeff.
Le cose si ingarbugliano e la coppia ricostituita inizia a progettare il trasferimento in un altro posto per evitare nuove indagini sulla scomparsa di Jeff.

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Romy Schneider

Che ricompare all’improvviso,reclamando il ritorno al rapporto precedente con Julie e i beni del marito.
Julie non ci sta e si ribella, ma solo l’intervento della polizia la salva dalla morte.Che colpisce però Louis, colpito da un devastante infarto.
Ora Julie è sola, ma…
Film a struttura circolare, con un espediente classico del cinema, il ritorno del cadavere scomparso, Gli innocenti dalle mani sporche,diretto da Claude Chabrol nel 1974 è un freddo ed elegante thriller caratterizzato dai ritmi lenti e da dialoghi a tratti noiosi.
Un film in chiaro scuro,tratto da un racconto di Richard Neely, che il regista francese dirige nel periodo meno fecondo (artisticamente) della sua carriera, un anno dopo l’incerto Una gita di piacere.
E che risente da subito di alcuni vizi di fondo;una trama inverosimile,con un intreccio cervellotico che finirà con un colpo di scena innestato su una trama già vista, ovvero la moglie giovane sposata ad un alcolizzato che si innamora del bel giovane aitante e che progetta di eliminare il marito per vivere con l’amante stesso, salvo poi fare dietro front quando il delitto non si consuma e il marito riappare.

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Paolo Giusti

Nuoce al film la pesantezza dei dialoghi, la recitazione incolore di Paolo Giusti, attore da fotoromanzi e non certo da cinema, l’atmosfera che avrebbe dovuto essere claustrofobica e che alla fine si rivela invece una palude, nella quale si impantana la trama e sopratutto la vicenda narrata.
I colpi di scena, le giravolte improvvise appaiono un po forzate e pur nell’elegante e ineccepibile confezione sembrano espedienti slegati fra loro;i personaggi in realtà sono sgradevoli,con tutti i loro difetti amplificati dallo status sociale di ricchi annoiati,che Chabrol dipinge nelle loro imperfezioni come affetti dai peggiori vizi, dall’alcolismo alla misoginia per finire con l’avidità e la brama di possesso.

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Purtroppo però per una volta Chabrol abbandona la strada maestra della minuziosa descrizione della vita di provincia, l’indagine socio psicologica d’ambiente e di personaggi a tutto favore di una storia dai confini incerti,in cui i personaggi stessi sono più delle summe di difetti che degli esseri umani deboli e preda delle loro pulsioni.
Così il film deraglia e si avvia ad un finale in cui si susseguono i colpi di scena senza però la fondamentale partecipazione dello spettatore.
Nel cast però va segnalata la presenza di una Romy Schneider bella da togliere il fiato, elegante e raffinata,ormai attrice dal grande spessore mentre Rod Steiger, che interpreta il marito tradito e alcolizzato fa il suo con garbo ma senza impressionare particolarmente.bene il simpatico Rochefort, autore di qualche siparietto gustoso mentre bocciato senza appello il nostro Giusti, monocorde e sotto tono.
Un film decisamente difficile da giudicare positivamente e la cui visione richiede una buona dose di pazienza.

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Gli innocenti dalle mani sporche

Un film di Claude Chabrol. Con Rod Steiger, Romy Schneider, Paolo Giusti, François Maistre,Jean Rochefort Titolo originale Les innocents aux mains sales. Drammatico, durata 120′ min. – Francia 1975

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Romy Schneider … Julie Wormser
Rod Steiger … Louis Wormser
François Maistre …Commissario Lamy
Paolo Giusti … Jeff Marle
François Perrot … Georges Thorent
Hans Christian Blech Hans ..Il giudice
Pierre Santini … Commissario Villon
Jean Rochefort … Albert Légal
Henri Attal … Ufficiale di polizia
Serge Bento … Direttore di banca
Jean Cherlian … Polizia navale

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Regia Claude Chabrol
Sceneggiatura Claude Chabrol da un racconto di Richard Neely
Produzione André Génovès
Musiche Pierre Jansen
Fotografia Jean Rabier
Montaggio Jacques Gaillard
Production design Guy Littaye

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L’opinione di IHomesick dal sito http://www.davinotti.com

Con i suoi molteplici colpi di scena, il plot, derivato da un figlioccio letterario di James Cain, è improbabile sino al ridicolo e costituisce un grave impaccio per la regia di Chabrol, che pure cerca un diversivo lavorando sui personaggi di secondo piano; un diversivo che talora funziona, soprattutto quando sono di turno i commissari Maistre e Santini e l’avvocato Rochefort, autoironico ai limiti della parodia. Le sorti del film, comunque tutt’altro che appassionante o memorabile, sono lasciate al sempre maestoso Steiger e a una Schneider tra diabolicità e debolezza.
L’opinione di Ilgobbo dal sito http://www.davinotti.com

Fra i privilegi dello status di maestro c’è quello di potersi permettere impunemente forzature (quando non biechi trucchetti) di sceneggiatura che nessuno avrebbe perdonato al nostro valoroso Gastaldi (e quindi a Lenzi o a Martino). Buon per lui. Il film però convince poco, anche nelle frequenti deviazioni verso il grottesco. Certo, Romy Schneider nudissima fin dalla scena iniziale fa pallinaggio da sola…

L’opinione di sasso67 dal sito http://www.filmtv.it

Un giallo hitchcockiano, in alcuni momenti anche un po’ noioso, come capita spesso, quando Chabrol si lascia andare a lunghe parentesi dialogate con una lentezza esasperante. Il film ha, però, sequenze particolarmente riuscite, specialmente in coincidenza con le entrate in scena di Jean Rochefort, un avvocato petulante, ma efficace. Va da sé, comunque, che il sole intorno al quale gira tutto il film è Romy Schneider (non so invece quanto sia azzeccata la scelta del pur bravo Steiger), e “Gli innocenti dalle mani sporche” servirà senza dubbio a tutti coloro che non sono mai riusciti ad apprezzare la bellezza dell’attrice austriaca: bastano i primi due minuti del film per farsene un’idea.
Questo non è lo Chabrol migliore, anche perché mancano le descrizioni di quanto fa da contorno alla vicenda principale (il punto di forza del regista francese sono proprio le sue minuziose osservazioni sociologiche sulla provincia francese), ma il film si lascia guardare e almeno qua e là la vicenda gialla riesce ad appassionare, fino al momento in cui le svolte improvvise diventano fin troppe.

L’opinione del sito http://www.robydickfilms.blogspot.it

Ecco un grande Chabrol, che fa scuola.
Lezione di regia, talmente pregnante da oscurare, da distrarti, dalle pur splendide interpretazioni di una coppia eccezionale: Rod Steiger e Romy Schneider.

L’opinione di Atticus dal sito http://www.filmscoop.it

Sopraffino davvero, Chabrol sfotte i ricconi della Costa Azzurra e li immerge nelle acque torbide di un noir alla Cain (quello de “Il postino suona sempre due volte”) che però è tratto da un romanzo di Richard Neely (chi sarà mai?).
L’intrigo si mischia alla farsa in maniera squisita (valga per tutte la lunga sequenza in cui un grande Rochefort, abbagliato dalla presenza della Schneider, arringa un’appassionata difesa nell’ufficio del giudice, con risultati esilaranti!) anche grazie all’occhio di fine osservatore del regista che si diverte ad offrire un quadro clinico e sottile di varia umanità coinvolta nell’indagine a tinte fosche.
Steiger è un perfetto marito tradito ma Romy, vestita da Yves Saint Laurent, è oltremodo maestosa nella sua suprema bellezza mozzafiato e senza confini, per di più alle prese con un personaggio intrigante come pochi.
Divertissement très chic!

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novembre 6, 2014 Posted by | Drammatico | , | Lascia un commento