Quando le salamandre bruciano
Terry Manning e Marsha Prentiss sono legate da un’antica amicizia e da un legame sentimentale che risale ai tempi in cui entrambe frequentavano la scuola; Marsha, più matura di Terry, è legata all’amica/amante in modo molto più morboso di Terry.
La quale finisce per conoscere Ken Manning, un giovane simpatico e affidabile con conseguente rottura del legame sentimentale con Marsha.
Marsha tenta di opporsi in tutti i modi alla storia sentimentale di Terry con Ken, ma nonostante gli sforzi non riesce a fermare il matrimonio tra i due.
Anche dopo le nozze Marsha continua a perseguitare la sua ex amante fino al giorno in cui Terry, stanca della cosa e sotto ricatto da parte di Marsha di rivelare il loro passato a Ken, decide di anticipare le mosse della gelosa ex amante e di svelare la sua relazione proibita al neo marito.
La mossa mette davanti ad un muro Marsha, che, consapevole del forte legame tra i due coniugi e sopratutto della definitiva fine delle sue speranze, decide di porre termine alla sua vita.
Quando le salamandre bruciano è un film che alla sua uscita suscitò scalpore sia per la tematica trattata,ovvero la storia di un amore saffico trasformatosi poi in un conflitto inestricabile di sensi e amore, sia per le audaci scene di nudo che permeavano la pellicola.
Il che portò l’opera del regista Russel Vincent, anche sceneggiatore del film, sotto le forbici della censura, che tagliuzzò l’opera senza peraltro stravolgerne il senso finale.
Poichè la trama era abbastanza lineare e il film in se abbastanza facile da seguirsi la cosa ebbe un impatto limitato e conseguentemente la pellicola ebbe un discreto successo di pubblico.
Che però va ascritto principalmente al tema alquanto scabroso più che alle qualità intrinseche del film, che in definitiva è solo un drammone cupo con finale tragico, abbastanza inusuale nel panorama delle pellicole del periodo.
Quando le salamandre bruciano esce nel 1969, momento storico in cui alcune barriere e tabù cinematografici stavano per essere abbattutti o quanto meno aggirati; il lesbismo e più in generale l’omosessualità erano temi che ormai entravano sempre più decisamente nelle sceneggiature cinematografiche, tanto da costituire parte integrante di pellicole di svariati generi.
Complice l’adeguamento della morale alla storia del paese, che si avviava ad una modernità sempre più libera dai pregiudizi con conseguente maggiore libertà di espressione in tutti i campi della cultura.
Russel Vincent è qui alla sua prima opera da regista; in seguito girerà un solo film ( peraltro mai distribuito in Italia) How’s Your Love Life? del 1971 nel quale comparirà anche come attore.
Quando le salamandre bruciano è un film di discreta fattura, poco incline all’erotismo fine a se stesso; le scene di sesso sono praticamente inesistenti, almeno nella versione circolata nelle sale e nel mercato home video mentre più diffuse sono le scene di nudità che vedono protagoniste le due attrici principali, Sue Bernard (Terry) e Bee Tompkins (Marsha).
Il percorso del film è abbastanza semplice da seguire e si snoda attraverso la descrizione del rapporto che si instaura tra le due donne, l’indecisa Terry e la più risoluta Marsha; un rapporto messo in crisi nel momento in cui la più giovane Terry scopre di avere una sessualità ben più complessa di quella dell’amante, che la porterà a innamorarsi di Ken ripudiando di fatto gli anni passati con Marsha.
Che dal canto suo vivrà con sofferenza la cosa, non rassegnandosi alla fine della storia d’amore con Terry, con conseguenze finali devastanti per lei.
La trama forse non è originalissima ma è trattata con discreto rigore da Vincent che chiude la pellicola con la scena drammatica della morte di Marsha; un finale amaro ma abbastanza in linea con quanto raccontato per tutta la pellicola.
In quanto alle due protagoniste, Sue Bernard e Bee Tompkins assolvono al loro compito con sufficiente bravura e intensità espressiva; la Bernard, che nel corso della carriera ha girato una quindicina di pellicole, fra le quali le più famose sono I seguaci di Satana e Il potere di Satana scomparve dagli schermi nel 1974 mentre Bee Tompkins comparve in una decina di pellicole circa chiudendo di fatto la carriera nel 1970 con una comparsata in Airport.
Un film datato, espressione di un cinema vivace e pionieristico che tentava strade alternative anche quando produceva pellicole senza grosse aspettative come questa.
Pellicole però da non gettare via,anzi; recuperare questi piccoli prodotti significa avere un quadro assieme affascinante su un periodo storico che dal punto di vista della morale era in mezzo ad un guado, sospeso tra passato e modernità, tra arcaici valori e il bisogno ineludible di modernizzare il pensiero e il costume.
Quando le salamandre bruciano
Un film di Russ Vincent. Con Sue Bernars, Bee Tompson, Rick Cooper, Phea Dera Titolo originale That Thender Touch. Drammatico, durata 93 min. – USA 1973.
Sue Bernard … Terry Manning
Bee Tompkins … Marsha Prentis
Rick Cooper … Ken Manning
Phae Dera … Wendy Barrett
Dolly Read … Dodie
Victoria Hale … Jane
Richard St. John … Paul Barrett
Tanya Lemani … Irene Barrett
Roger Heldfond … Jim
Joe Castagna … Joe
Regia : Russel Vincent
Sceneggiatura: Russel Vincent
Produzione: George Moskov, Russel Vincent
Fotografia:Robert Caramico
Montaggio: Maurice Wright
Il saprofita
Il giovane Ercole studia da seminarista, in attesa di prendere i voti; ma in seguito ad un trauma, perde apparentemente la voce ed è costretto quindi a lasciare il seminario. Grazie alle conoscenze mondane del Superiore del seminario, Ercole finisce a servizio del generale Augusto Bezzi e di sua moglie Clotilde, baronessa.
La coppia ha due figli, Brunilde e il giovane Parsifal, costretto all’immobilità su una sedia a rotelle.
Ercole riesce immediatamente a farsi benvolere sia da Clotilde che da Parsifal; mentre con la baronessa l’ex seminarista allaccia quasi subito una relazione sessuale con Parsifal Ercole sembra legare in maniera speciale. Il giovane Parsifal infatti lo adora, anche quando scopre che tra lui e sua madre c’è una relazione.
Che Parsifal cerca di ostacolare, inutilmente.
Nel frattempo il Generale,dopo un litigio con la Baronessa che gli rimprovera di essere diventato un vecchio inutile cosa che del resto fa Brunilde, compie un gesto estremo lanciandosi da un balconcino della casa, proprio mentre Clotilde e Ercole sono impegnati in un focoso amplesso.
La morte del generale sembra paradossalmente sopire le tensioni della casa e le vite dei protagonisti scorrono tranquille.
Un giorno Clotilde, consigliata dal parroco Don Vito decide di inviare Ercole e Parsifal a Lourdes, in un estremo tentativo di trovare una soluzione ultraterrena alla menomazione di Parsifal.
Durante il viaggio i due conoscono Teresa Adiutori, una bella e morigerata giovane che accompagna sua nonna in Francia; ben presto il giovane Parsifal, in piena tempesta ormonale, si lega morbosamente alla ragazza ma non ha fatto i conti con il suo accompagnatore Ercole.
Che seduce la ragazza; scoperto durante un convegno amoroso (sul letto nel quale dorme la nonna di Teresa), Ercole insegue per il corridoio dell’albergo Parsifal che gli sta urlando contro e con un calcio fa precipitare giù per le scale il ragazzo, che muore.
Quasi miracolato dall’insano gesto, Ercole riprende a parlare e alla gente accorsa alle grida di Parsifal, presenta il tutto come un miracolo invitando i presenti alla preghiera…
Saprofita (termine derivato dal greco) indica quegli organismi che si nutrono di materia organica morta o in decomposizione; e tale appare il giovane e opportunista Ercole, che forse finge una afasia post traumatica semplicemente per sfuggire alla vita sacerdotale, per la quale forse non è tagliato.
E Il saprofita è il titolo di questa interessante opera prima di Sergio Nasca, che precede lo splendido Vergine e di nome Maria che nel 1975 lo impose all’attenzione del pubblico.
Il saprofita esce nelle sale nel 1974 ed è accolto in maniera controversa dal pubblico e dalla critica, se vogliamo con ottime motivazioni.
Il film ha una trama interessante, uno spunto di partenza che si presta ad un’analisi sui vizi delle famiglie borghesi meridionali, tema molto sfruttato ma capace di offrire continui spunti di riflessione.
Ercole è un personaggio ambiguo, come del resto ci appare da subito; freddo e glaciale, aiutato in questo dalla sua impossibilità di comunicare (voluta o subita ha un’importanza relativa), riesce ad installarsi nella famiglia Bezzi come un parassita, pronto a sfruttare le contraddizioni della famiglia stessa.
La Baronessa Clotilde è preda facile: bella e trascurata da un marito molto più anziano di lei, che non può più avere rapporti con sua moglie per una menomazione ( o semplicemente per gli stravizi in cui è vissuto, come rimproveratogli dalla moglie), Clotilde trova nel bel tenebroso Ercole un surrogato di felicità, che compra con regali in denaro, convincendo Ercole ancor più della bontà della sua scelta.
Il saprofita Ercole si installa quindi come farebbe una tenia nel suo ospite, sfruttando la situazione e ricavandone sesso e soldi. Poichè la Baronessa è ancora una splendida donna, il sacrificio è meno duro del preventivabile.
Unico ostacolo è Parsifal, un giovane gretto e meschino, costretto su una sedia a rotelle dalla quale sogna di evadere e che nel frattempo però spia sua madre e il suo amico/nemico Ercole nei convegni amorosi.
Non migliore è Brunilde, una ragazza astiosa in competizione con sua madre.
Memorabile la sequenza in cui con fare da donna consumata tenta un approccio con Ercole, venendo da quest’ultimo respinta.
Nella parte finale del film, la meno convincente e la più discontinua, seguiamo il percorso sulla strada mistico-religiosa che porterà l’improbabile coppia di amici/nemici a Lourdes, attraverso la conoscenza casuale della bella e bigotta Teresa fino all’amaro epilogo che vedrà la morte di Parsifal.
Se in Il saprofita funziona almeno parzialmente l’analisi cruda dei vizi della famiglia protagonista a non funzionare è il quadro d’assieme, molto discontinuo e frammentato.
Momenti felici si alternano a momenti in cui il sarcasmo e la voglia di pungere di Nasca perdono l’orientamento, finendo per creare un panorama generale confuso e contraddittorio.
Colpa dell’inesperienza, forse o colpa anche di una sceneggiatura non lineare, colpa della voglia di Nasca di stigmatizzare i personaggi che delinea, tutti preda di pulsioni e difetti caratterizzati all’eccesso.
Non c’è un solo personaggio che induca alla simpatia nel film e forse questo alla fine pesa nell’economia della pellicola.
Tutto è troppo marcatamente negativo, dal saprofita Ercole al giovane Parsifal, dalla baronessa al generale passando anche per i personaggi minori del film come Don Vito e Brunilde.
Tuttavia da questo quadro confuso emerge un ritratto al vetriolo della famiglia medio borghese che ha una sua consistenza, così come può essere definito ben realizzato il quadro di una società ipocrita e moralista anche nelle manifestazioni di fede.
Certo a colmare la misura arriva anche il personaggio della bigotta Teresa, che avrebbe potuto risollevare il film da un nichilismo che abbiamo respirato sin dal primo minuto di proiezione; ma Nasca va fino in fondo e ci propone un ultimo personaggio meschino e perdente lasciando finire il film su un binario che ha tracciato dall’inizio, quello della dissoluzione morale.
Il cast del film è molto eterogeneo e comprende un buon Al Cliver quasi mefistofelico e impenetrabile alle emozioni, come del resto rappresentato dall’accostamento con un parassita che si nutre di beni materiali installandosi nel suo ospite pronto a sfruttarne al massimo le pulsioni vitali.
Valeria Moriconi
Janet Agren
Bellissima e affascinante Valeria Moriconi, valente attrice di teatro che disegna geometricamente la figura della Baronessa abbagliata e offuscata dai sensi, così come discreta è Janet Agren nel ruolo di Teresa.
Poco sopra la sufficienza Giancarlo Marinangeli, a tratti indisponente ben aldilà dell’antipatia che suscita il suo personaggio; rivedremo l’attore in Peccatori di provincia, in Ritratto di borghesia in nero e in Cicciolina amore mio, prima della sua eclissi cinematografica.
Un film discontinuo, a tratti rozzo a tratti efficace, ma opera comunque molto interessante e di pregio.
Per fortuna il film è stato recentemente digitalizzato splendidamente ed è quindi visionabile in una versione che ha sostituito quella logora e inguardabile delle vecchie VHS.
Il saprofita
Un film di Sergio Nasca. Con Valeria Moriconi, Janet Agren, Leopoldo Trieste, Al Cliver, Cinzia Bruno, Rina Franchetti, Marisa Traversi, Dada Gallotti, Valentino Macchi, Nerina Montagnani, Daniele Dublino, Clara Colosimo, Luca Sportelli, Giancarlo Badessi, Giancarlo Marinangeli, Carlo Monni Drammatico, durata 100′ min. – Italia 1974
Al Cliver: Ercole
Valeria Moriconi: La baronessa Clotilde
Leopoldo Trieste: Don Vito
Janet Agren: Teresa
Rina Franchetti: Bigotta di chiesa
Nerina Montagnani: La serva del Santone
Clara Colosimo: Signora alla veglia funebre
Giancarlo Badessi: Superiore del Seminario
Carlo Monni: Generale Augusto Bezzi
Cinzia Bruno: Brunilde
Valentino Macchi: Fascista al funerale
Giancarlo Marinangeli: Parsifal, figlio di Clotilde
Pia Morra: Addolorata, servetta
Regia Sergio Nasca
Soggetto Sergio Nasca
Sceneggiatura Sergio Nasca
Fotografia Giuseppe Acquari
Montaggio Erminia Morani, Giuseppe Giacobino
Musiche Sante Maria Romitelli
Scenografia Giorgio Luppi
Un’ombra nell’ombra
La giovane Carlotta Rhodes con le sue amiche Elena Merrill, Raffaella e Agatha decide di avere rapporti sessuali con Lucifero; Elena e Carlotta partoriscono due bambine, Anna e Daria.
Per le donne l’unione con il demone significa la castità assoluta; Lucifero è geloso e non ammette che una delle sue adepte possa diventare la donna di un mortale.
Le due figlie di Lucifero crescono mostrando due caratteri completamente diversi; mentre Anna Merrill, figlia di Elena è una ragazza normalissima e di indole fondamentalmente buona Daria Rhodes impara da subito a capire la forza dei suoi poteri. Al contrario di Anna, Daria è una ragazza cattiva e disumana, che tenta di aumentare i suoi poteri per poter dominare gli altri.
Valentina Cortese e Paola Tedesco (Elena e Anna Merril)
Lara Wendel (Daria Rhodes)
Anna finisce per non accettare i poteri demoniaci che possiede e sceglie di suicidarsi, lasciando nello sconforto Elena; la donna è un’insegnante e fra le sue allieve c’è proprio Daria, che non esita a mostrare alla donna i poteri di cui dispone.
Elena, già duramente provata dalla morte di Anna, non regge alle pressioni psicologiche di Daria e ne segue il triste destino.
A quel punto le tre amiche superstiti decidono di correre ai ripari e riunitesi chiedono l’aiuto di un prete in crisi di vocazione.
Anne Heywood (Carlotta Rhodes)
Il prete tenta un’impossibile esorcismo su Daria, che, aiutata da Lucifero, riesce a sconfiggere il prete; vittoriosa, prende un taxi e si fa accompagnare a piazza San Pietro, decisa a lanciare la sfida al capo della cristianità.
Come si può notare già dal plot, Un’ombra nell’ombra tenta disperatamente di rinverdire i fasti di L’esorcista, mescolando anche parte della storia di The Omen-Il presagio; ma Pier Carpi, regista e sceneggiatore del film indeciso su che binari mantenere la pellicola, ovvero se privilegiare l’horror a scapito della velocità della pellicola finisce per rimanere a mezza strada creando sin dall’inizio un filmaccio a cui ben presto verrà a mancare ogni motivo di interesse, trasformando il film stesso in un pasticcio aggravato anche da una trama inverosimile e arruffata come poche.
Più che un horror, siamo di fronte ad una bizzarria con momenti che inducono al riso più che al tremito; basta seguire la prima fase del film per capire cosa ci attende, con un balletto introduttivo che porta all’orgia in cui Lucifero fa sue le donne che vorrebbero adularlo (ma in cambio di cosa?) in cui senza nessuna logica vediamo le protagoniste dimenarsi discinte e lascive.
Marisa Mell
Il seguito mostra che l’impatto deludente dell’inizio della pellicola purtroppo è solo un prologo ad un film in cui non solo non accade nulla di rilevante, ma in cui ci si annoia mortalmente nel seguire le vicissitudini delle due protagoniste, le demoniache figlie di Lucifero che seguono vite parallele interrotte, nel caso di Anna, da un volontario suicidio per scampare al dominio dell’angelo ribelle.
Il tutto senza alcun approfondimento psicologico del personaggio; mi si obietterà che in fondo, davanti ad un horror demoniaco non è che bisogna formalizzarsi più di tanto.
Il guaio è che mentre in L’esorcista viene sviscerata la vicenda personale di Regan e a margine di quella della madre, in Omen-Il presagio assistiamo alle nefandezze del piccolo Damian e alle indagini del padre che porteranno lo stesso a scoprire l’orribile segreto della nascita dell’anticristo, in Un’ombra nell’ombra tutto sembra andare avanti per forza d’inerzia, con personaggi malamente delineati che sembrano agire per motivi francamente incomprensibili.
Irene Papas
La scena finale dell’esorcismo e la conseguente vittoria della diabolica Daria sono poi quanto di peggio visto in film a sfondo demoniaco; John Philip Law appare così stralunato e fuori parte da suscitare tenerezza e al tempo stesso costernazione.
Una parte consistente del film si svolge in una scuola, precisamente nella classe in cui insegna Elena Merrill e in cui come alunna troviamo la diabolica Daria; la ragazza sfida l’amica di sua madre mostrando di che tempra è fatta, aggredisce senza motivo uno dei ragazzini che vorrebbe essere suo amico, si comporta insomma come la degna figlia di indegno padre.
Il tutto però con un’approssimazione di tempi, di situazioni e se vogliamo con una recitazione così fuori dalle righe da rendere ancor più strampalato il risultato finale.
Pensare che nel cast ci sono attrici di sicuro valore, come Anne Heywood (Carlotta Rhodes) che però appare fuori parte nonchè pesantemente penalizzata da un ruolo poco delineato, come Valentina Cortese (Elena Merrill), l’unica forse a livello di uno standard accettabile, come Lara Wendel (Daria Rhodes) che fa il suo senza infamia e senza lode, anch’essa penalizzata dalle astrusità della trama.
Molto marginali le figure di Marisa Mell (Agatha) e Irene Papas (Raffaella) pesantemente penalizzate dalla mancanza di contorno e di spessore dei loro personaggi.
Bene Paola Tedesco, almeno per le poche sequenze che la vedono protagonista nel ruolo della sfortunata Anna.
In quanto a Lucifero, interpretato da Enzo Miani, non vale la pena spendere una parola, tanto palesemente ridicola risulta sia la caratterizzazione dell’attore che il personaggio in se.
Completa il disastro su tutti i fronti una colonna sonora debole e inadatta composta Stelvio Cipriani; da segnalare in ultimo la presenza in piccolissime parti di alcune buone caratteriste del cinema italiano come Carmen Russo (la protagonista del bizzarro balletto iniziale), di Patricia Webley e di Sofia Dionisio.
In quanto a Carpi, regista di questa bizzarra e bislacca pellicola, c’è poco da dire se non rallegrarsi del fatto che Un’ombra nell’ombra sia stata la seconda e ultima prestazione cinematografica, che fece seguito al suo precedente lavoro Povero Cristo interpretato da un Mino Reitano palesemente inadatto e penalizzato da una sceneggiatura sciagurata, in cui assistiamo alle avventure di un investigatore incaricato di provare l’esistenza nientemeno che del messia.
Di Pier Carpi preferisco ricordare la feconda e brillante attività di fumettista
(sue le sceneggiature di I Naufraghi, Lancillotto, Bob Lance, Zakimort, Teddy Bob, Boy, Brancaleone, l’Agente senza Nome, Kolosso, I Serpenti, Uranella, Jessica) e quella di scrittore (La morte facile (1964),Storia della magia, Il mistero di Sherlock Holmes e Le società segrete (1968), Cagliostro il taumaturgo (1972), I mercanti dell’occulto (1973), Un’Ombra nell’Ombra, Rasputin (1975), Le profezie di Papa Giovanni XXIII (1976), Palazzo d´Estate (1978), La Banda Kennedy (1980), Il caso Gelli (1982), Il diavolo (1988), Il venerabile (1993), Gesù contro Cristo (1997).
Film praticamente inguardabile, con l’unico pregio di aver riproposto sullo schermo le attrici citate su, alcune rispolverate dal malinconico cassetto dei ricordi in
cui erano finite, ovvero Marisa Mell e Anne Heywood.
Un’ombra nell’ombra
Un film di Pier Carpi. Con Irene Papas, Valentina Cortese, Paola Tedesco, Marisa Mell,Anne Heywood, John Philip Law, Frank Finlay, Ian Bannen, Sonia Viviani, Lara Wendel, Carmen Russo
Horror, durata 106 min. – Italia 1979.
Anne Heywood … Carlotta Rhodes
Valentina Cortese … Elena Merrill
Frank Finlay … Paul
John Phillip Law … L’esorcista
Marisa Mell … Agatha
Irene Papas … Raffaella
Paola Tedesco … Anna Merrill
Lara Wendel … Daria Rhodes
Ian Bannen … Il professore
Ezio Miani … Lucifero
Carmen Russo Una ballerina
West Buchanan … Peter Rhodes
Marina Daunia … Prostituta
Patrizia Webley … Prostituta
Regia Pier Carpi
Soggetto Pier Carpi
Sceneggiatura Pier Carpi e Audrey Strinton
Fotografia Guglielmo Mancori
Montaggio Manlio Camastro
Musiche Stelvio Cipriani
Scenografia Piero Basile
Costumi Michaela Gisotti
Soundtrack del film
Jude
Jude Fawley è uno scalpellino che vive nel Wessex; ha alle spalle un passato doloroso e difficile, fatto di violenza, miseria e umiliazioni.
La sua esistenza è abbarbicata ad un sogno: studiare presso un’università per riscattare sia il suo passato sia il presente che non lo soddisfa.
Ma per poter studiare è necessario avere alle spalle una posizione solida, cosa che Jude non ha e deve quindi fare i conti anche con il suo stato sociale e con le difficoltà che ciò comporta.
Jude sposa una sua compaesana, Arabella, che con l’inganno gli fa credere di aspettare un bambino; la donna resterà incinta davvero ma il matrimonio tra i due è destinato ben presto a naufragare.
Kate Winslet
Christopher Eccleston
Insofferente a quella vita che considera riduttiva, Jude si trasferisce a Christminster, sede di una prestigiosa università nella speranza di poter coronare il suo sogno; qui incontra casualmente sua cugina Sue, sposata.
Tra i due inizia ben presto una travolgente relazione, nonostante le diffidenze iniziali della donna, quasi presaga di ciò che accadrà in seguito, ma non solo; la donna sa di vivere in un posto in cui le convenzioni sociali hanno la meglio su tutti gli altri aspetti della vita.
L’unione tra Jude e Sue è coronata però dalla nascita di due figli e i due nonostante le difficoltà portano avanti la loro relazione, aggiungendo al nucleo famigliare anche il figlio nato dal matrimonio di Jude con Arabella.
La decisione avrà però un effetto catastrofico: il bimbo convinto che l’infelicità della coppia, osteggiata da tutti in paese dipenda dalla sua presenza e da quella dei fratellastri, li uccide e poi si suicida.
L’episodio sconvolge il già precario equilibrio della coppia, minato dalle difficoltà di trovare casa, lavoro e sopratutto dal fatto di essere guardati con malcelato disprezzo dalla gente del posto.
Sue, in profonda crisi, decide di tornare da suo marito e riprendere la tranquilla vita di prima e a Jude, a cui l’università ha in pratica proibito di proseguire gli studi in virtù della sua posizione sociale e dello scandalo della sua relazione con Sue, non resta altro da fare che ritornare all’ovile dove riprenderà la relazione con Arabella.
Jude, diretto da Michael Winterbottom nel 1996 è tratto dal romanzo di Thomas Hardy “Jude the Obscure” edito nel 1896.
Un film che si snoda su due piani di lettura paralleli eppure allo stesso tempo convergenti; le storie di Jude e Sue, che ignorano di stare per incamminarsi su un sentiero che li porterà a condividere prima e a separare poi le proprie esistenze.
Jude è un giovane che ha degli ideali, un sogno e delle aspirazioni, Jane è una donna sposata con un benestante e colto uomo che probabilmente però non suscita in lei nessuna fiamma di desiderio; i due, così profondamente diversi come passato e presente finiranno per attrarsi fatalmente, complice il legame indissolubile di sangue che li unisce e che costituirà il primo dei baluardi contro cui dovranno lottare.
L’altro baluardo è la morale sociale, che vede nelle coppie di separati qualcosa di moralmente inaccettabile; contro questi pregiudizi, contro la barriera sociale che impedisce al giovane Jude di poter accedere agli studi perchè povero e sopratutto perchè impegnato in una relazione giudicata scandalosa la coppia tenta di opporre il legame che la unisce.
Che però è un legame difficile e complesso, altalenante, che vedrà il suo punto di arrivo dopo numerose incertezze e titubanze da parte di Sue; un legame che si rivelerà fatale per entrambi, oltre che causa della morte dei bambini nati dalla loro unione più quella del figlio di Jude, causa scatenante del tutto.
Il film segue quindi le vicende dei due amanti costretti a fare i conti con la morale e i pregiudizi, a vivere una vita umiliante sotto tutti i punti di vista; alla fine sarà proprio la morale corrente a scegliere il futuro dei due, anche se in modo involontario.
Il figlio di Jude infatti uccide proprio perchè la società in cui vive quella che è in fondo la sua famiglia respinge la coppia, li tiene ai margini e di conseguenza emargina anche lui e i suoi fratellini.
Nella scena più crudele del film,quella della morte dei tre fratelli,un senso di fatale destino pervade la sequenza, quasi il tutto dovesse arrivare a quella conseguenza per segnare la fine di una storia senza via d’uscita; “Siamo in troppi” scrive, il bambino, lapidario e tragico come un eroe greco.
Il piccolo che uccide i fratelli è così l’emblema, il braccio armato di una società cinica e bigotta che elimina il problema alla radice senza doverci fare i conti giornalmente.
E’ la vittoria del puritanesimo e della falsa morale, delle convenzioni sociali e al tempo stesso il trionfo dello status quo.
A nulla può quindi l’amore tra i due protagonisti, già di per se tormentato da secoli di tabù e di leggi scritte non cancellabili come quella che vuole la coppia indissolubile,
il povero che deve restare tale e non ambire a ciò che è riservato alla classe sociale superiore, come quella che vieta l’incesto (pur molto annacquato come nel caso di due cugini). La scena simbolo rappresentativa di tutto il film è quella finale, in cui i due protagonisti si incontrano davanti alle tombe degli sventurati figli e tra le lacrime decidono di lasciarsi.
Winterbottom usa una regia asciutta e lineare per descrivere i rapporti tra i due amanti (tali sono, non avendo contratto matrimonio), alternando i loro sorrisi e le loro speranze, la loro ingenua fiducia al buio medioevale di una società rinchiusa dietro le sbarre del pregiudizio e della morale conservatrice.
Jude e Sue usciranno sconfitti e la dimensione maggiore di questa sconfitta è rappresentata non solo dal dolore e dai dubbi di Sue ma anche dal malinconico ritorno della stessa alla casa del marito; quel marito che ha sposato per entrare nella società per bene, dal quale non è attratta in alcun modo, meno che mai da quello sessuale ma che rappresenta il ritorno ad una normalità tranquillizzante e narcotizzante al tempo stesso.
Una sconfitta su tutti i fronti, così come sconfitto esce Jude da una storia che lo ha privato di tutto; delle illusioni di potersi evolvere socialmente e culturalmente, dall’illusione di poter vivere la propria vita integrandosi in una società che viceversa lo respinge e lo emargina.
Jude torna a casa, all’ovile, dove riprende la relazione con Arabella.
Ha perso la partita e si è arreso.
Questo film va visto in diverse ottiche, quindi, con un occhio particolare al legame simbiotico fra il film e il romanzo da cui è tratto, che all’epoca della sua uscita scatenò un putiferio in un’epoca puritana come poche.
Il regista inglese Winterbottom, reduce da Butterfly kiss – il bacio della farfalla e da Go now, dirige un bel film, a cui contribuiscono le ottime prestazioni dei due attori principali ovvero Christopher Eccleston (Jude) e Kate Winslet (Sue) a cui vanno aggiunte le ottime performance di Liam Cunningham (Phillotson,il marito di Sue) e di Rachel Griffiths (Arabella)
Film ineccepibile, con una buona fotografia che esalta la cupezza del racconto e che in stridente contrasto esalta i pochi momenti felici della coppia.
Jude
Un film di Michael Winterbottom. Con Kate Winslet, Christopher Eccleston, James Nashbitt Drammatico, durata 123′ min. – USA 1996.
Christopher Eccleston: Jude Fawley
Kate Winslet: Sue Bridehead
Liam Cunningham: Phillotson
Rachel Griffiths: Arabella
June Whitfield: Zia Drusilla
James Lambert: Zio Joe
Regia Michael Winterbottom
Soggetto Thomas Hardy (romanzo)
Fotografia Eduardo Serra
Montaggio Trevor Waite
Musiche Adrian Johnston
Scenografia Joseph Bennett
Costumi Janty Yates
Samoa regina della giungla
Il Professor Dawson organizza una spedizione nelle isole malesiane per trovare un ricchissimo giacimento di diamanti; il gruppo che affianca il Professore è composto dalla sua assistente personale Nancy White,dall’avventuriero Clint Lomas e dagli accompagnatori Muller, Alain e Moreau.
Sbarcati sull’isola, i componenti della spedizione devono subito fare i conti con una natura ostile e con l’insidia rappresentata dai cacciatori di teste che la popolano.
Il pericolo è in agguato e Stark, che si è allontanato dalla spedizione viene sbranato da una tigre, mentre il gruppo raggiunge un fiume che precipita in una cascata. Qui il gruppo stesso viene attaccato dai feroci cacciatori di teste e nonostante la bravura di Clint con le armi Dawson e compagni farebbero una brutta fine se non comparisse all’improvviso la stupenda Samoa, che li salva conducendoli attraverso un passaggio segreto all’accampamento in cui vive con la sua tibu.
Qui scoprono che la tribù custodisce una quantità enorme di diamanti, offerti alle divinità protettrici della stessa; le varie anime della spedizione si mostrano così in tutta la loro interezza.
Edwige Fenech
Femi Benussi
C’è Moreau che non resiste alla cupidigia e saccheggia il tesoro, c’è Alain che si lega alla bellissima Jasmine mentre lo stesso Clint sembra essere tentato dai diamanti. Il furto sacrilego di Moreau scatena la rabbia della tribù che insegue la spedizione costretta a scappare.
Durante la fuga Moreau finisce tra le sabbie mobili e muore sotto gli occhi inorriditi di Samoa e Clint, che riescono a fuggire mentre nel frattempo Alain ha deciso di restare con Jasmine della quale si è innamorato.
Solo Clint e Samoa riusciranno, a bordo di una canoa, a sfuggire dopo varie peripezie alla tribù lanciata al loro inseguimento e a tornare a casa con un ricco bottino in diamanti.
Samoa regina della giungla è un film del 1968 diretto da Guido Malatesta, lo stesso regista che l’anno successivo avrebbe diretto Tarzana sesso selvaggio;è un film che si colloca nella scia del successo di Gungala la vergine della giungla e di Liana la figlia della foresta, anch’essi girati nella giungla e con temi più o meno simili.
Ivy Holzer
Un film avventuroso non molto differente, per fare un esempio, da quelli aventi come protagonista Allan Quatermann, con alcuni topos classici, come il tesoro, gli avventurieri, le bellissime che si innamorano dei migliori di loro, la cupidigia e infine la vendetta con la morte di quasi tutti i protagonisti.
Se la storia non presenta grossi motivi di interesse, visto che di film simili ne sono stati fatti in serie un numero impressionanti, va riconosciuto allo stesso la capacità di portare nelle sale un pubblico che altrimenti non avrebbe riempite le stesse.
E’ proprio il cinema di serie B a portare nelle sale la maggioranza degli spettatori e a dare loro quello che in fondo chiedono, ovvero due ore spensierate da passare in compagnia di prodotti che possibilmente non annoino e non costringano lo spettatore stesso a farsi mille domande sul film, sul suo significato ecc.
Samoa regina della giungla è un prodotto discreto, con il giusto mix di avventura e azione, anche se non mancano nel film stesso alcune ingenuità che lo rendono inequivocabilmente un prodotto per bocche buone.
La Fenech, che interpreta Samoa gira con un’acconciatura e con una mise da occidentale sofisticata, parla inaspettatamente la lingua degli avventurieri in cui si imbatte ed appare truccata come dopo una seduta dall’estetista.
A parte questo, il film ha un buon ritmo e qualche momento felice.
Il cast fa il suo con sufficiente professionalità e a tal pro vanno segnalate le prove della Fenech stessa, della splendida Femi Benussi che l’anno successivo sarà protagonista del Tarzana di Malatesta e di Ivano Staccioli, che quando deve fare il duro non è secondo a nessuno.
Discreta la fotografia e la location, con splendide immagini naturali.
Il film è disponibile in una versione di ottima qualità su You tube all’indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=Um2WVBeT5jE
Samoa, regina della giungla
Un film di Guido Malatesta. Con Ivano Staccioli, Edwige Fenech, Roger Browne, Ivy Holzer,Andrea Aureli, Giustino Durano, Claudio Ruffini, Femi Benussi, Umberto Ceriani Avventura, durata 88′ min. – Italia 1968.
Roger Browne: Clint Lomas
Edwige Fenech: Samoa
Ivy Holzer: Nancy White
Ivano Staccioli: Moreau
Andrea Aureli: Stark
Umberto Ceriani: Alain
Tullio Altamura: Professor Dawson
Wilbert Bradley: Campu, la guida
Femi Benussi: Yasmin
Regia Guido Malatesta
Soggetto Gianfranco Clerici, Guido Malatesta
Sceneggiatura Gianfranco Clerici, Guido Malatesta
Produttore Fortunato Misiano
Casa di produzione Romana Film
Distribuzione (Italia) Romana Film
Fotografia Augusto Tiezzi
Montaggio Jolanda Benvenuti
Musiche Angelo Francesco Lavagnino
Scenografia Pier Vittorio Marchi
Costumi Walter Patriarca
Tarzana,sesso selvaggio
La piccola Elisabeth Shipper è scomparsa anni addietro in una foresta, da quando l’aereo che trasportava lei, sua madre e suo padre Donovan è caduto nei pressi di Nairobi; da allora suo zio Glen Donovan, deciso a ritrovarla per nominarla erede del suo patrimonio (l’uomo non ha eredi diretti oltre Elisabeth) l’ha cercata inutilmente.
Ma un giorno, sedici anni dopo, i resti dell’aereo vengono ritrovati e con essi i corpi senza vita di Donovan e di sua moglie; manca all’appello il corpo di Elisabeth, che presumibilmente è ancora viva.
Glen Donovan decide di organizzare una spedizione,al comando di Glen Shipper a cui promette 100.000 dollari in caso di successo della stessa, ingaggiando il subdolo Groder e il suo amico Fred e aggiungendo anche Doris Miller, la sua segretaria.
Una splendida Femi Benussi è Tarzana
Groder ha per la mente un’idea sola; impedire il ritrovamento di Elisabeth e in caso di successo della spedizione, uccidere la ragazza per ereditare l’ingente patrimonio di Glen in qualità di erede prossimo del miliardario.
Dopo varie vicissitudini, il gruppo scopre che la ragazza è ancora viva e che anzi si è adattata alla vita dalla giungla, arrivando a convivere con le belve che la popolano. Rispettata dagli indigeni che la chiamano Tarzana, Elisabeth non ha memoria della sua vita passata; Groder riesce a catturare la ragazza ma sul punto di ucciderla viene fermato da Fred che vuole usare la ragazza come arma di ricatto verso Groder.
Beryl Cunningham
Ma le cose volgono al meglio quando dopo un inseguimento nella giungla Fred finisce in una trappola mentre insegue la astuta Tarzana che conosce a menadito tutte le insidie della giungla.
L’uomo cade in una profonda fossa morendo infilzato su alcuni bastoni acuminati posti sul fondo.
Raggiunta da Glen e da Doris Miller Tarzana…….
In una giungla ricostruita in studio con un’ingenuità disarmante e con una povertà di mezzi francescana, Tarzana sesso selvaggio è un B movies di qualche successo girato nel 1969 da Guido Malatesta per sfruttare la buona fama e l’indiscutibile bellezza di Femi Benussi,
Franca Polesello
l’attrice friulana che nei tre anni precedenti aveva partecipato a una ventina di pellicole di vario genere, inclusa un’altra versione girata nella giungla di un film fac simile, quel Samoa regina della giungla che l’aveva vista protagonista assieme ad Edwige Fenech.
Con un titolo assolutamente fuorviante come Tarzana sesso selvaggio lo spettatore è indotto a pensare di trovarsi davanti ad una di quelle prime pellicole sfacciatamente erotiche che sul finire del decennio sessanta iniziavano ad invadere gli schermi.
Il film invece di erotico non ha assolutamente nulla, concedendo alla platea qualche seno nudo della splendida Benussi e dell’altra protagonista,Franca Polesello.
Il resto del film è di una noia mortale, mancando alla pellicola stessa una sceneggiatura valida e sopratutto interpretata com’è da attori di livello troppo basso per poter riscattare la sciatteria della storia.
Del resto il film appare una scopiazzatura di Gungala la vergine della giungla, con protagonista la splendida Kitty Swan uscito l’anno prima sugli schermi; in questa pellicola Malatesta altro non fa che clonare il personaggio di Tarzan, metterci al suo posto una controfigura femminile di fascino come Femi Benussi, e lasciarla libera di scorazzare per la giungla a seni nudi, cavalcando un elefante di dimensioni contenute e lasciandola libera di lanciare urla quasi isteriche in pura imitazione del ben più famoso personaggio di Edgar Rice Burroughs.
Per poter far fronte alla misera sceneggiatura, Malatesta propone quindi topless a tutto spiano delle protagoniste della storia le citate Polesello e Benussi, aggiungendo un fascino di esotica e selvaggia bellezza con Beryl Cunningham, che esegue una danza selvaggia e orgiastica nel vllaggio degli indigeni che si apprestano ad attaccare la spedizione che improvvidamente si è avventurata nella giungla.
Inutile andare per il sottile aggiungendo altri particolari alla trama, che è così lineare e prevedibile da risultare commovente nella sua semplicità; dopo aver citato le generose forme di Femi Benussi e di Franca Polesello altro non resta da fare che ricordare che questo film non esiste in versione digitale ma solo analogica, il che non è assolutamente un male. A quanto mi risulta non dovrebbe esserci nemmeno una versione in italiano su supporto magnetico, visto che le uniche immagini e gli unici filmati esistenti sono in lingua inglese o tedesca.
Tarzana sesso selvaggio
Un film di Guido Malatesta. Con Femi Benussi, Franca Polesello, Ken Clark, Beryl Cunningham, Raf Baldassarre, Furio Meniconi, Franco Ressel, Ugo Adinolfi, Fortunato Arena, Andrew Ray Avventura/Erotico, durata 90 min. – Italia 1970.
Ken Clark … Glen Shipper
Franca Polesello … Doris
Beryl Cunningham … Kamala – Dancer
Femi Benussi … Tarzana
Franco Ressel … Groder
Raf Baldassarre … Fred
Alfred Thomas … Kamuro
Furio Meniconi … Lars
Regia Guido Malatesta come James Reed
Sceneggiatura Gianfranco Clerici ,Guido Malatesta,Phillip Shaw
Produzione Glen Hart,Fortunato Misiano
Musiche Angelo Francesco Lavagnino
Montaggio Augusto Tiezzi
Fotografia Jolanda Benvenuti
Femi Benussi, foto di scena
Franca Polesello, foto di scena
Gruppo di Lobby card del film
Satyricon
Per parlare del Satyricon di Gian Luigi Polidoro, uscito nelle sale italiane nell’aprile del 1969 occorre scomodare Federico Fellini, il grande regista riminese che in qualche modo e in maniera assolutamente involontaria fu il padre putativo di questa riduzione cinematografica dell’opera di Petronio Arbitro.
Fellini stava lavorando alla sua versione cinematografica del Satyricon quando il produttore Alfredo Bini ( che pare fosse irritato con Fellini stesso che aveva deciso di accettare di lavorare con il produttore Alberto Grimaldi) improvvisamente affidò a Gian Luigi Polidoro il compito di realizzare una trasposizione dell’opera di Petronio Arbitro sceneggiata da Rodolfo Sonego.
Don Backy
Francesco Pau
Battendo sul tempo Fellini, Polidoro realizzò il suo Satyricon e approfittando del clima di grande attesa che si era creato attorno al prodotto felliniano in poco tempo varò la sua versione.
Che venne quasi maciullata dalla critica mentre nei primi giorni di proiezione ottenne un successo straordinario che però si ritorse contro il regista; a pochi giorni dalle prime proiezioni infatti il film venne sequestrato e mandato sotto processo con l’accusa abbastanza ridicola di oscenità.
A causare l’ira del censore (il magistrato Vittorio Occorsio, ucciso da Ordine nuovo a Roma il 10 luglio 1976) fu la presenza nel ruolo di Gitone di Francesco Pau, che come narrano le cronache, nell’epoca in cui venne girato il film era minorenne.
Al film venne anche contestata l’accusa di oscenità, forse per la presenza di alcune scene di nudo ma molto più probabilmente per la famosa orgia durante il banchetto di Trimalcione.
Uso il termine probabilmente perchè le versioni successive del film, trasmesse in tv o ridotte in versione home, appaiono mutile di almeno una quindicina di minuti di pellicola; da alcune foto di scena dell’epoca che troverete come appendice a questo articolo appare evidente come le forbici censorie abbiano mutilato il film stesso.
La decisione del magistrato provocò una levata di scudi da parte di gente del cinema e della cultura in generale; intellettuali , grandi registi come Antonioni si schierarono contro la censura invocando la libertà d’espressione.
Tutto inutilmente, il film venne mutilato e in pratica sparì dalle sale mentre contemporaneamente usciva il Satyricon felliniano che per inciso sconcertò i critici e maggiormente il pubblico.
Il film di Polidoro riprende solo in parte l’opera di Petronio Arbitro, giunta ai tempi nostri in forma molto rimaneggiata; è presente, nel film, lo spirito irriverente e fustigatorio di Petronio, anche se in maniera un pò rozza e propendente alla satira scollacciata.
Tuttavia il film non è affatto quella bruttura descritta dai critici dell’epoca, ha una sua dignità e in fondo ha anche una linearità che nell’opera di Fellini manca.
Difatti la versione di Fellini, che uscirà con il titolo Fellini Satyricon, proprio per distinguerla dal film di Polidoro appare come opera disomogenea e disorganica,in cui l’unica parte coerente e completa è la famosa cena di Trimalcione; ma è un discorso che non interessa questa trattazione per cui torniamo al Satyricon di Polidoro.
I protagonisti del film sono Escolpio, uno studente svogliato e indolente, lo schiavo Gitone, che Escolpio non sa essere uomo e del quale in qualche modo si infatuerà e infine Eumolpio, poeta di scarso valore che per un pò seguirà Escolpio nel suo vagabondaggio in una terra romana che vive l’epoca storica dell’impero di Nerone.
Mario Carotenuto
Nel suo vagabondaggio, Escolpio si imbatte in personaggi che sono un pò la rappresentazione di tutti i vizi della Roma neroniana;dopo aver scoperto che è diventato erede dei beni di suo zio Anneo Mela, che ha rinvenuto morto accanto alla moglie nella sua villa, suicida per ordine di Nerone, Escolpio finisce per incontrare il celebre Trimalcione durante una delle sue opulente feste.
E’ la parte centrale del film, quella meglio riuscita in cui il nobile romano emerge prepotentemente come uomo volgare e dedito ai bagordi, capace di catechizzare i suoi commensali con dotte citazioni ma al tempo stesso volgare e scurrile, intento ad espletare le sue funzioni intestinali come supremo disprezzo verso i commensali.
Ugo Tognazzi
Più in là Escolpio incontrerà anche la maga Circe, non prima di esser stato tradito dal suo ex amico Eumolpio, incapperà in una furiosa tempesta alla quale scamperà per miracolo, svegliandosi sulla riva del mare sulla quale un anziano ha creato una pira con il corpo di un ragazzo che viene dato alle fiamme.
Il Satyricon di Polidoro è sensibilmente diverso dall’opera di Arbitro e presenta alcune caratteristiche particolari che ne fanno opera discutibile, rozza ma non priva di qualche felice intuizione.
La parte meno riuscita riguarda in primis l’eccesso di volgarità presente nella pellicola, che appaiono pretestuose e sopratutto slegate dall’originale di Petronio; l’altro neo del film è rappresentato da un cast poco omogeneo, in cui l’anello debole è rappresentato dal cantante attore Don Backy, svagato e corpo estraneo della pellicola.
Tina Aumont
Franco Fabrizi
Don Backy ha doti discrete di recitazione, come del resto dimostrerà nel bellissimo Cani arrabbiati, ma in questo film sembra svogliato e sopratutto alle prese con un personaggio che richiedeva maggior personalità ed espressività; meglio Franco Fabrizi nel ruolo dell’infido Ascilto e bene anche Mario Carotenuto in quello di Eumolpo. Il solito grande Tognazzi invece caratterizza da par suo il personaggio centrale del film, il ricco e volgare Trimalcione.
Si racconta che Tognazzi abbia accettato questo ruolo per vendicarsi in qualche modo di Fellini che non lo scritturò per la sua versione del Satyricon; se è andata così, ad averci perso è stato sicuramente il regista riminese, perchè Tognazzi era attore di razza, come del resto dimostrato in questo film e in tante altre produzioni in cui ha recitato.
A conti fatti il film di Polidoro non va considerato un fallimento, quanto piuttosto un’operazione non riuscita; a nuocere pesantemente è il paragone con l’opera di Fellini a cui il film viene ingiustamente accostato.
Ingiustamente perchè le due opere sono assolutamente differenti tra loro, con ambizioni diverse e sopratutto rivolte a pubblici differenti.
Il Satyricon di Polidoro è oggi un’opera pesantemente datata a cui va riconosciuta qualche attenuante, come quella della grossa operazione di censura apportata alla pellicola, che rende difficilmente giudicabile il film nella sua complessità.
Questo film è difficilmente reperibile, passa molto raramente in tv ma è disponibile in versione censurata su You tube.
Satyricon
Un film di Gian Maria Polidoro. Con Don Backy, Ugo Tognazzi, Franco Fabrizi, Graziella Granata,Tina Aumont, Mario Carotenuto, Francesco Pau, Leopoldo Valentini, Alfredo Rizzo, Corrado Olmi, Piero Gerlini, Ennio Antonelli, Clara Colosimo, Franco Leo Commedia, durata 110′ min. – Italia 1969.
Ugo Tognazzi: Trimalcione
Mario Carotenuto: Eumolpo
Don Backy: Encolpio
Franco Fabrizi: Ascilto
Tina Aumont: Circe
Francesco Pau: Gitone
Graziella Granata: Antonia
Tito LeDuc: Presentatore da Trimalcione
Regia Gian Luigi Polidoro
Soggetto Petronio Arbitro (dal omonimo romanzo)
Sceneggiatura Rodolfo Sonego
Produttore Alfredo Bini
Fotografia Benito Frattari
Montaggio Giancarlo Cappelli
Musiche Carlo Rustichelli
Scenografia Flavio Mogherini
Si ringrazia il sito: http://www.dbcult.com
Scacco alla regina
Margaret Melvin è un’attrice tanto bella quanto capricciosa e viziata; consapevole del suo potere sia sensuale che economico, oltre che della propria fortissima personalità, tiranneggia chiunque le stia vicino con richieste spesso assurde con le quali la donna lega a se, in fortissimo legame simbiotico, le personalità più deboli.
L’occasione per diventare una vera dominatrice, una padrona assoluta Margaret la ha quando grazie alla sua segretaria le viene proposta come colf la giovane Silvia.
Rosanna Schiaffino
Haydee Politoff
La ragazza, dalla personalità docile, pigra e accondiscendente, entra così a servizio di Margaret che intuisce immediatamente di poter plasmare la remissiva personalità di Silvia fino a farne una moderna schiava.
Così ben presto tiranneggiando la ragazza in vari modi, ma mostrandosi alle volte inaspettatamente gentile, costruisce attorno alla ragazza una ragnatela dalla quale Silvia non è più in grado di uscire e a ben vedere, dalla quale non vuole nemmeno uscire.
La sua personalità fragile e insicura la porta ad accettare tutti gli ordini di Margaret, della quale esegue senza fiatare i comandi.
La relazione di Silvia con l’amante di Margaret
Margaret e Silvia
Contemporaneamente nei suoi sogni Silvia immagina di essere dominata dalla splendida Margaret, che le impone pratiche raffinate di sado masochismo a cui lei non vuole e non può sottrarsi.
Così, in una continua escalation verso la sottomissione totale, Silvia diviene la schiava perfetta, arrivando anche a provare attrazione fisica per Margaret.
La quale, dopo averla trasformata in un docile essere, decide di venderla come schiava ad alcuni amici.
Ma la cosa nasconde in realtà un progetto ben preciso…
Scacco alla regina, uscito nella sale nel 1969, è un film di Pasquale Festa Campanile che in qualche modo anticipa il tema del celebre Histoire d’O senza però eccedere sull’aspetto erotico e mantenendosi in un difficile equilibrio che tenta di mediare il complesso rapporto che si stabilisce fra la dominante Margaret e la succube Silvia con un discorso che non sbrachi sul facile terreno del voyeurismo.
Silvia trasformata in una statua umana
Margaret e il suo amante
Se vogliamo, Pasquale Festa Campanile ci riesce, raccontando una storia che verte principalmente sul rapporto di padrona-schiava che viene a stabilirsi fra la viziatissima Margaret e la remissiva Silvia, che inconsciamente (ma nemmeno troppo) è già pronta a farsi dominare da quella donna così bella e intrigante.
Silvia appare pigra per natura, non dotata di grande personalità; difatti già dal primo colloquio appare chiaro che subisce la prepotente personalità di Margaret che a sua volta intuisce con satanica intelligenza che quella ragazza che ha di fronte può trasformarsi in un giocattolo perfetto.
Così la diva abituata ad avere tutti ai suoi piedi può coronare il suo sogno estremo, ovvero dominare in tutti i sensi un altro essere umano, sia fisicamente che intellettualmente.
Silvia si dimostra la schiava perfetta, quella da tiranneggiare e blandire successivamente, quando il gioco rischia di diventare troppo pericoloso.
L’insicura Silvia allo specchio
Il percorso di formazione di Silvia si compie così puntualmente, con la ragazza che accetta anche di trasformarsi in una statua vivente pur di compiacere quella che è ormai a tutti gli effetti la sua padrona.
Nel finale, quando il dominio di Margaret diventerà assoluto, totale, fino all’umiliante vendita di Silvia come schiava, si capirà che l’attrice ha perseguito comunque un suo scopo e che in qualche modo si è legata alla sua dominata.
Le sue ultime parole, prima del congedo, sono: “Bisogna imparare a vivere con gli altri; non puoi passare la tua vita a rimirarti nello specchio. Buona fortuna, Silvia, te lo dico dal profondo del cuore“.
Lasciando da parte le altre conclusioni che si possono trarre nella parte finale del film per non guastare la sorpresa allo spettatore di scoprire le altre motivazioni del gesto di Margaret, diamo un’occhiata all’insieme della pellicola.
Margaret, una donna ricca e viziata
Festa Campanile porta sullo schermo un romanzo sconosciuto di Renato Ghiotto, che illustra il rapporto simbiotico ed esclusivo che legherà indissolubilmente le due protagoniste di un mondo tutto al femminile, dove l’uomo esiste solo marginalmente. Le due donne, nel romanzo, diventano alternativamente e in modo complementare dipendenti di un rapporto padrona-schiava, quasi amiche, quasi amanti; Silvia finisce per vivere un’esistenza in cui ogni pensiero giornaliero è occupato dal compiacere la propria padrona, con buona pace di secoli di lotte di liberazione della donna.
Nel libro Silvia dice:
-“Nella mia giornata c’è solo lei. Tanto che ormai non mi ricordo di come vivevo quando lei non c’era; eppure lo so che il nostro non è un rapporto affettivo, e nemmeno una forma di simbiosi. A volte penso che lei è una pianta parassita, che mi sta avviluppando, e io non faccio niente per liberarmi, anzi mi piego perché mi avvolga meglio””
Lo schema del libro è ripreso da Campanile con buon mestiere ed illustrato visivamente in maniera ineccepibile; il trionfo del vintage di fine anni sessanta, le parrucche ed i vestiti, le scarpe e gli arredamenti completano una messa in scena decisamente convincente pur nei limiti di un film che lascia inespresse altre motivazioni, come la solita noia borghese che alla fine è alla base delle gesta di Margaret.
Il primo incontro
Ma questo aspetto è relativo e marginale, per cui Campanile fa il suo lavoro egregiamente consegnando alle platee un prodotto ottimamente confezionato.
Per quanto riguarda il cast, ineccepibili le due protagoniste femminili, Haydee Politoff nel ruolo di Silvia e Rosanna Schiaffino in quello di Margaret; la prima ha un’espressione imbronciata e timida sul volto che la rende adorabile mentre la seconda è sufficientemente credibile nel ruolo della virago tiranna che però ha, in fondo al cuore, spazio per un’umanità che solo a tratti affiora nel film.
“Sei proprio sicura di voler lavorare per me?”
Silvia sogna di essere dominata
Due ottime interpreti, senza dubbio, che fanno le loro parti con professionalità inappuntabile.
Il cast maschile, che nel film è relegato a pure parti di contorno vede il solito grande Romolo Valli ne panni di un satiro filosofeggiante e Gabirele Tinti nel ruolo di amante della bellissima Margaret, che avrà un cedimento per quella ragazza così strana che è Silvia, che in questo modo si approprierà come un saprofita di qualcosa della sua padrona, rendendo ancor più indissolubile il rapporto con la stessa.
Discrete le musiche di Piero Piccioni, tipicamente sessantiane; Scacco alla regina è un film gradevole e intrigante, di gran lunga superiore come interesse al ben più noto Histoire d’O.
Scacco alla regina
Un film di Pasquale Festa Campanile. Con Gabriele Tinti, Rosanna Schiaffino, Aldo Giuffré, Romolo Valli, Haydée Politoff, Daniela Surina Commedia, durata 98′ min. – Italia 1969
Rosanna Schiaffino: Margaret Mevin
Haydée Politoff: Silvia
Romolo Valli: Enrico Valdam
Aldo Giuffrè: Spartaco
Daniela Surina: Dina
Gabriele Tinti: l’amante di Margaret
Regia Pasquale Festa Campanile
Soggetto Renato Ghiotto (romanzo)
Sceneggiatura Tullio Pinelli, Brunello Rondi
Produttore Alfredo Bini
Casa di produzione Finarco
Distribuzione (Italia) Titanus
Fotografia Roberto Gerardi
Montaggio Mario Morra
Musiche Piero Piccioni
Scenografia Flavio Mogherini
Costumi Giulia Mafai
Trucco Francesco Corridoni
Il romanzo da cui è tratto il film
Cineromanzo del film
si ringrazia il sito http://www.dbcult.com
Rosanna Schiaffino in una foto di scena
Locandina del film
si ringrazia il sito http://www.ivid.it
Soundtrack del film
La cugina
Sin da bambini, i cugini Agata e Enzo hanno sentito una forte attrazione reciproca, culminata in sottili giochi al limite dell’erotismo e conditi da una malizia tutta infantile. Crescendo i due cugini hanno continuato a vedersi, mantenendo viva l’attrazione fra loro sempre in bilico tra l’innocenza e la malizia.
Enzo, iscritto all’università, trascura gli studi preferendo dedicarsi alla sua passione primaria,le donne, mentre Agata che è diventata una splendida ragazza è alla ricerca di un marito.
Lo scopo di Agata si concretizza quando conosce un barone ricco di titoli e soldi, che garantiscono all’ambiziosa ragazza di fare la bella vita sognata; quando il matrimonio è consumato, ecco che Agata, che aveva sempre resistito alla corte del cugino, all’improvviso si abbandona e si concede a Enzo….
Christian De Sica
Stefania Casini
Aldo Lado reduce dal grande successo di La corta notte delle bambole di vetro e di Chi l’ha vista morire? e subito dopo il parziale successo di Sepolta viva abbandona il thriller e il feuilleton per girare una commedia a smaccato sfondo erotico, tratta da un romanzo di Ercole Patti.
L’ambiente è quello classico siciliano, ancora una volta visto come territorio di mollezze, di agi e popolato da sfaccendati assatanati di sesso.
Lado non fa eccezione alla triste regola che vede la stragrande maggioranza dei registi usare stereotipi triti e ritriti che ritraggono una Sicilia patriarcale e feudale, in cui as usual nobili e borghesi si dilettano con le sottane salvo poi pretendere la castità e la verginità dalle future spose.
Francesca Romana Coluzzi
Emblematico a tal pro il dialogo tra i neo sposi, il barone e Agata: “Era indispensabile che io fossi vergine?” chiede Agata al marito, ricevendo la tradizionale risposta “E come no?”
E’ uno dei tanti dialoghi che costellano il film e che mostrano come Lado sia rimasto imbrigliato nei luoghi comuni; a sua scusante c’è la necessità di rispettare la sceneggiatura tratta dal libro e a Lado stesso va riconosciuto il merito di non aver calcato la mano sull’aspetto erotico della vicenda, che invece il libro di Ercoli predilige.
La nipote è un film senza infamia e senza lode, giocato quasi tutto sulle vicende parallele del gruppo di scioperati amici di Enzo impegnati a cercare di sedurre donne in quantità e parallelamente sulle vicende di Enzo e Agata che si attraggono, si sfuggono e alla fine si congiungono carnalmente coronando il sogno nascosto che appare evidente fin dalle prime battute del film.
In mezzo una serie di siparietti di vita siciliana, quella naturalmente dei borghesi e dei ricchi fra banchetti, partite a carte e ricevimenti in lussuose ville.
L’unico vero punto di forza del film, abbarbicato su una sceneggiatura che vedrà decine di repliche dello stanco copione del gallo siciliano sfaccendato e puttaniere, è il cast di ottimi attori assemblato per dare vigore ad un film che altrimenti molto difficilmente sarebbe uscito dall’anonimato.
Dayle Haddon
Agata è interpretata dalla bella modella Dayle Haddon, sicuramente sexy e affascinante anche se davvero poco siciliana mentre Enzo è interpretato da Massimo Ranieri che ancora una volta fa il suo egregiamente.
Ma è nel gruppo di caratteristi che ritroviamo alcune perle, come la presenza di Laura Betti nel ruolo di Rosalia Scuderi, madre del barone a cui fa ancora il bagno, Christian De Sica (sovrappeso e flaccido) nel ruolo del futuro becco Barone Scuderi, di Stefania Casini in quello di Lisa Scuderi sorella un tantino sporcacciona del Barone, di Francesca Romana Coluzzi nella parte della moglie di un onorevole che cornifica in continuazione e con piacere, sopratutto con la combriccola degli amici di Enzo.
La cugina è quindi un film senza particolari meriti ma anche senza particolari demeriti; una commedia innocua che però non annoia e riesce a suscitare qualche interesse sopratutto nella parte centrale del film.
Siamo lontani anni luce dal Gattopardo di Visconti che aveva dalla sua anche un grande romanzo, l’omonimo scritto da Tomasi di Lampedusa, che aveva fatto un ritratto al vetriolo della decadente Sicilia di fine secolo e altrettanto lontani dall’ottimo Paolo il caldo di Vicario, anch’esso tratto da un romanzo bellissimo e sottilmente crudele, quello di Brancati.
Lado si arrangia con il soggetto che trova, con l’unica colpa di non aver saputo resistere all’uso di una certa volgarità di linguaggio e se vogliamo di situazioni.
Un film che definirei minore nella filmografia del regista di Fiume, che l’anno successivo però tornerà al cinema che conosce meglio, quello a metà strada tra il thriller e l’horror, sfornando quel piccolo gioiello che sarà L’ultimo treno della notte.
Da segnalare anche le musiche discrete del grande Morricone.
La cugina
Un film di Aldo Lado. Con Christian De Sica, Stefania Casini, Massimo Ranieri, Dayle Haddon,Jole Fierro, Stefano Oppedisano, Laura Betti, Luigi Casellato, Loredana Martinez, José Quaglio, Cristina Airoldi Commedia, durata 95′ min. – Italia 1974.
Massimo Ranieri … Enzo
Dayle Haddon … Agata
Conchita Airoldi … La cameriera
Laura Betti … Rosalia Scuderi
Luigi Casellato … Peppino
Stefania Casini … Lisa Scuderi
Francesca Romana Coluzzi … Moglie dell’onorevole
Christian De Sica … Ninì Scuderi
Loredana Martínez … Giovannella
Stefano Oppedisano … Ugo
José Quaglio … Fragalà
Regia Aldo Lado
Soggetto Ercole Patti dal suo romanzo omonimo
Sceneggiatura Luisa Montagnana, Massimo Franciosa
Produttore Felice Testa Gay
Produttore esecutivo Bruno Frasca
Casa di produzione Testa Gay Cinematografica, Unidis
Fotografia Gábor Pogány
Montaggio Alberto Galletti
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Elio Balletti
Costumi Fabrizio Caracciolo
Citazioni dal romanzo:
“Agata,a cui Ninì continuava a non piacere nemmeno un pochino, mise la mano sulla sua dicendo
anche tu mi piaci,cosciente di mentire solo per il gusto di farlo innamorare”
“…solo Enzo rimase tutta la vita in attesa, come un ragazzo”