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Third Person

Tre vicende interconnesse anche se da un filo molto tenue si sviluppano in tre luoghi differenti; a Parigi Michael, scrittore che ha anche vinto il Pulitzer
si è rinchiuso in un albergo per scrivere un libro e ha lasciato in America sua moglie. Nell’albergo dimora anche Anna, una scrittrice che vorrebbe un aiuto nella stesura del suo libro e che ha una relazione complicata, conflittuale con Michael.
Nello stesso tempo a Roma Scott, che di professione ruba le idee e i progetti di stilisti è costretto a sottrarre le opere di alta moda italiana, che detesta profondamente così come detesta in genere l’Italia. In un bar della capitale conoscerà Monika, una rom
molto bella che dopo alcune vicende si troverà a vivere una storia d’amore con Scott, all’inizio niente affatto disinteressata ma che evolverà con il tempo.
E a New York si dipana la vicenda del pittore Rick e della ex moglie Julia, che, accusata di aver tentato di uccidere il figlio, si è vista togliere lo stesso dai servizi sociali e che per tentare di vedersi riaffidare il figlio è costretta a ingaggiare un’impari battaglia legale
con il ricco marito.


Le tre storie, fra alti e bassi si avviano alla conclusione che,per una serie di coincidenze si scopriranno legate anche se molto alla lontana, con un finale aperto.
Third Person, film del 2015 diretto da Paul Haggis soffre di alcuni peccati capitali imperdonabili, tali da inficiare anche il poco di buono ricavabile da una visione di oltre 135 minuti durante la quale lo spettatore è chiamato all’improbo sforzo di decifrare le situazioni che si succedono
e che trovano nel finale una spiegazione non solo oscura, ma fuorviante, che porta lo spettatore a interrogarsi sul reale valore di quanto ha seguito.
Uno dei peccati capitali è rappresentato dall’espediente di creare i tre personaggi femminili come depositari di segreti inconfessabili; Anna ha una relazione proibita con suo padre (lo scopriamo alla fine), Monika ha accettato l’aiuto ( e anche la corte) di Scott per spillare soldi, almeno inizialmente e Julia, personaggio per il quale si prova una istintiva simpatia, legata al ruolo di madre che combatte contro il denaro pur di riavere suo figlio in realtà non è la persona innocente che si immaginava.


Ecco quindi che il gioco di ombre di Haggis si trasforma nel solito bieco ritratto di donne opportuniste,pronte a tutto pur di realizzare i propri scopi.
Certo, anche Michael non è un agnellino,visto che ha corteggiato Anna principalmente per studiarne le reazioni e per farne la protagonista del proprio libro, ma sembra essere un peccato veniale di fronte alle colpe della donna stessa.
E infine c’è il solito triste repertorio anti italiano: Scott odia l’Italia perchè non ama la moda italiana, disprezza i romani e Haggis di suo ci aggiunge il personaggio antipaticissimo del barista (interpretato da Scamarcio) e figure di romani pavidi.
Insomma c’è abbastanza per detestare una pellicola irritante, irrisolta e che per una volta ha visto d’accordo molta parte della critica e del pubblico, che hanno stroncato senza appello un film


pretenzioso, presuntuoso che vorrebbe stimolare chi guarda e portare lo stesso spettatore all’uscita del labirinto attraverso una visione confusa e contraddittoria di vicende
che in comune hanno solo l’ambiguità. In questo Haggis si è mantenuto coerente, con un finale che più ambiguo e sconcertante che mai.
In quanto al cast,ricchissimo, che include Kim Basinger (molto sacrificata) e Liam Neeson,Maria Bello e Moran Atias,Olivia Wilde e il nostro Scamarcio,oltre a Adrien Brody sono tutti largamente insufficienti,penalizzati anche dalla confusione di una sceneggiatura a tratti indecifrabile.
Spiace stroncare così un film diretto da un regista che aveva esordito con il sorprendente Crash Contatto fisico e che ha scritto la sceneggiatura del bellissimo Million Dollar Baby; ma  la voglia di strafare, di stupire, di essere originali porta ad una spocchiosa supponenza che,tradotta in linguaggio cinematografico si tramuta in un naufragio quasi totale.
Un film del quale sconsiglio assolutamente la visione

Third Person
Un film di Paul Haggis. Con Liam Neeson, Olivia Wilde, Adrien Brody, Moran Atias, James Franco, Mila Kunis, Kim Basinger, Maria Bello, Riccardo Scamarcio, Vinicio Marchioni, David Harewood, Caroline Goodall, Isabella Blake-Thomas,
Gisella Marengo, Loan Chabanol, Patrick Duggan, Emanuela Postacchini Titolo originale Third Person. Drammatico, durata 130 min. – Belgio 2013. – Distribuito da M2 Pictures

Liam Neeson: Michael O’Leary
Olivia Wilde: Anna
Mila Kunis: Julia
James Franco: Rick
Adrien Brody: Scott
Moran Atias: Monika
Maria Bello: Theresa
Kim Basinger: Elaine
Riccardo Scamarcio: Marco
Vinicio Marchioni: Carlo
Caroline Goodall: Dr. Gertner
David Harewood: Jake Long
Bob Messini: Giuseppe
Oliver Crouch: Jesse
Fabrizio Biggio: Claude
Vincent Riotta: Gerry
Daniela Virgilio: Claire
Katy Louise Saunders: Gina
Loan Chabanol: Sam

Regia Paul Haggis
Soggetto Paul Haggis
Sceneggiatura Paul Haggis
Produttore Paul Haggis, Paul Breuls, Michael Nozik
Produttore esecutivo Nils Dünker, Fahar Faizaan, Arcadiy Golubovich, Andrew David Hopkins, Tim O’Hair, Guy Tannahill, Anatole Taubman
Casa di produzione Corsan, Hwy61
Distribuzione in italiano Moviemax
Fotografia Gianfilippo Corticelli
Montaggio Jo Francis
Effetti speciali Terence Alvares
Musiche Dario Marianelli
Scenografia Laurence Bennett
Costumi Sonoo Mishra
Trucco Tracey Levy, Maurizio Silvi
Sfondi Raffaella Giovannetti

marzo 31, 2020 Posted by | Drammatico | , , , , , , , , , | Lascia un commento

The Sessions-Gli incontri

Mark, scrittore poeta e giornalista vive da più di trent’anni in un polmone d’acciaio a causa di una poliomielite che lo ha reso tetraplegico; il suo corpo
non risponde ad alcuna sollecitazione, ma l’uomo conserva intatte tutte le funzioni mentali oltre al controllo di alcune corporali.
Nonostante la condizione terribile in cui è costretto a vivere, Mark riesce ad apprezzare ancora la vita, la sua sensibilità lo spinge a scrivere articoli e poesie toccanti; a provvedere a lui si avvicendano delle persone, fra le quali la bella Amanda della quale l’uomo si innamora. In contemporanea Mark stringe un rapporto di amicizia, che va oltre quello strettamente legato alla confessione con padre Brendan, un prete sensibile e intelligente da poco arrivato nella parrocchia di Mark. Ed è a lui che Mark, profondamente religioso, si rivolge per confidare
paure e speranze, sogni e desideri, incluso quello di provare per la prima volta un’esperienza sessuale con una donna. Brendan capisce che con Mark non possono valere le rigide leggi cattoliche e di conseguenza lo incoraggia a vivere la propria sessualità,anche perchè Mark ha ormai capito che la vita che gli resta è davvero poca. Amanda, la sua assistente, di fronte alla dichiarazione d’amore dello scrittore sceglie di andar via nonostante la donna sia attratta da Mark; al posto di Amanda arriva Vera, una ragazza


dalla mentalità aperta e disponibile che da quel momento si impegna per cercare di aiutare Mark nella ricerca di una persona disposta a fargli esplorare la sessualità.
E la trova nella persona di Cheryl, una terapeuta del sesso disponibile ad una serie massima di sei incontri sessuali con Mark. Così
con l’aiuto anche di un’altra paraplegica amica di Mark, che presta la propria casa per gli incontri inizia il particolare rapporto fra Cheryl e Mark.
Che inizialmente è puramente sessuale.
Mark scopre grazie alla sensibilità di Cheryl che lo mette a proprio agio il complesso mondo della sessualità ma dopo quattro incontri accade quello che Cheryl in qualche modo aveva immaginato, ovvero l’innamoramento dello scrittore.
Quello che non aveva previsto però è il proprio coinvolgimento emotivo,che si trasforma ben presto in un sentimento al quale Cheryl, sposata e madre di un figlio non può e non vuole cedere.
Così suo malgrado fedele a quanto stabilito in fase di conoscenza decide di interrompere le sedute.
Una sera in seguito ad un blackout Mark rischia di morire per il mancato funzionamento del polmone d’acciaio; ricoverato in ospedale e salvato in extremis conosce Susan una giovane e bella infermiera.


Sarà proprio Susan a restare al fianco di Mark negli ultimi quattro anni di vita dell’uomo,con dedizione ed amore.
Ai funerali di Mark sarà lei a leggere una poesia d’amore, la stessa che l’uomo aveva dedicato a Cheryl e che la donna aveva letto
entrando in crisi, affascinata dalla ricchezza del mondo interiore di Mark.
Basato sul racconto autobiografico di Mark O’Brien On Seeing a Sex Surrogate il regista Ben Lewin trae il film The Sessions Gli incontri nel 2012, scegliendo con acume di dare alla storia altamente drammatica di Mark O’Brien un taglio ironico, allentando cioè
la tensione dovuta alla narrazione di una vita quasi impossibile, quella di Mark costretto, confinato in un polmone d’acciaio con una mente lucidissima e sensibile ma alle prese con una infinità di problemi legati alla propria condizione.
Così il racconto cinematografico si spoglia opportunamente del facile pietismo e si trasforma nel racconto del quotidiano di una persona che in realtà a differenza dei normo dotati ha solo l’impossibilità di essere autonomo. Una differenza non da poco, certo,
ma che la grande sensibilità di Mark porta l’uomo stesso ad affrontare con la caparbietà di chi non si arrende al proprio destino una vita che può comunque riservare momenti di serenità.


La scoperta della sessualità, tema scomodo da parte di chi vede nei tetraplegici esseri ormai confinati in un limbo fisico quasi da emarginare assume in questo film una valenza a più dimensioni.
Mark è un essere umano come gli altri, con gli stessi sogni e gli stessi desideri; quelli di poter vivere storie d’amore, all’apparenza impossibili da realizzare ma che Mark caparbiamente insegue, aiutato in questo dalle persone che lo circondano, come Padre Brendan,un uomo che per primo capisce come la concezione di peccato tipica della religione non possa essere applicata ad una persona che vive una condizione esistenziale assolutamente straordinaria.
Quello di un normo dotato è un mondo fatto di movimento, di relazioni sociali, di desideri appagabili proprio grazie alla condizione di libertà nel quale si muove; un tetra plegico è impossibilitato, un guscio vuoto che imprigiona la mente che però è vitale, che soffre e gioisce come quella di chiunque.
Ed è la prima delle persone straordinarie, sensibili nelle quali Mark si imbatte .La seconda è Vera, la giovane assistente che lungi dallo scandalizzarsi per le richieste di Mark non solo ne comprende i bisogni ma ne agevola la realizzazione.
C’è poi Cheryl, la figura centrale del film, una donna che si dedica ad una professione che ha un confine invisibile con la prostituzione ma che in realtà ha una valenza che va ben oltre il mero rapporto sessuale.
Una donna che traghetterà Mark dalla vita inanimata, priva della manifestazione del proprio mondo interiore al suo opposto, ovvero alla consapevolezza che anche la sessualità è possibile in un tetraplegico; una sessualità che non è sfogo dei sensi, ma un bisogno di contatto umano che Mark,per la prima volta,


potrà sperimentare. Cheryl scoprirà che i sentimenti vanno ben oltre l’esteriore e questa consapevolezza la spingerà a mostrare a Mark la strada da percorrere.
E che Mark esplorerà accanto a Susan, l’ultima persona della vita dell’uomo, che renderà più sereni gli ultimi anni di vita dello stesso. Donna straordinaria, che riesce a capire come Mark possegga una merce rara, un mondo interno fatto di sentimenti forti, pregnanti.
Uno splendido film,senza dubbio.
Il taglio leggero di The Sessions-Gli incontri fa piazza pulita di un rischio di partenza, quello del taglio pietistico di una storia che invece in alcuni momenti si alleggerisce a tal punto da far dimenticare la vera condizione fisica dello scrittore.
Ma il racconto deve far sorridere, lasciare spazio anche al rovescio della medaglia della condizione di infermità dei tertraplegici; gli incontri sessuali fra Cheryl e Mark assumono una connotazione leggera, pur tra le ovvie difficoltà dell’atto.
Il tutto con delicatezza,con sorrisi che mitigano il magone che inevitabilmente prende lo spettatore,costretto a paragonare la propria condizione di persona sana e vitale opposta a quella di un portatore di handicap.
Straordinarie le prove attoriali.


Helen Hunt,che interpreta Cheryl, ottenne la nomination all’Oscar,battuta da Anne Hathaway con I Miserabili,una scelta che grida vendetta; perchè il personaggio di Cheryl  è tutt’altro che facile da rendere visivamente,perchè richiede un equilibrio di espressioni che vanno dal faceto al drammatico,con mille sfaccettature. Helen Hunt ci riesce oltre le più rosee previsioni così come avrebbe meritato l’Oscar anche John Hawkes,che interpreta splendidamente Mark,un ruolo e un personaggio di estrema difficoltà
per un normo dotato; bene anche William H. Macy (padre Brendan), prete fuori dagli schemi,personaggio di grande umanità e intelligenza reso con una interpretazione impeccabile.
Brave anche Robin Weigert (Susan) e sopratutto Moon Bloodgood (Vera).
Da apprezzare la luminosa fotografia,in netto contrasto con la presunta cupezza della storia per un film da non perdere assolutamente.

The Sessions-Gli incontri
di Ben Lewin, con John Hawkes, Helen Hunt, William H. Macy, Moon Bloodgood, Annika Marks, Rhea Perlman. Titolo originale: The Surrogate. Genere Drammatico, – USA, 2012, durata 95 minuti, distribuito da 20th Century Fox Italia.

John Hawkes: Mark O’Brien
Helen Hunt: Cheryl Cohen-Greene
William H. Macy: padre Brendan
Moon Bloodgood: Vera
Annika Marks: Amanda
Adam Arkin: Josh
Rhea Perlman: Mikvah Lady
W. Earl Brown: Rod
Robin Weigert: Susan
Blake Lindsley: Dr. Laura White
Ming Lo: Clerk
Rusty Schwimmer: Joan
Jennifer Kumiyama: Carmen

Regia Ben Lewin
Soggetto Mark O’Brien
Sceneggiatura Ben Lewin
Produttore Judi Levine, Stephen Nemeth, Ben Lewin
Produttore esecutivo Maurice Silman, Julius Colman, Douglas Blake
Casa di produzione Fox Searchlight Pictures, Such Much Films, Rhino Films
Distribuzione in italiano 20th Century Fox Italia
Fotografia Geoffrey Simpson
Montaggio Lisa Bromwell
Musiche Marco Beltrami
Scenografia John Mott
Costumi Justine Seymour
Trucco Natalie Wood

marzo 29, 2020 Posted by | Drammatico | , , , , , , | Lascia un commento

Room in Rome

Dopo una serata passata in un locale notturno Alba e Natasha, che si sono incontrate casualmente mentre bevevano tornano verso i rispettivi alberghi.
Alba invita Natasha a bere un ultimo bicchiere e dopo una iniziale esitazione quest’ultima accetta; nella stanza è Alba a tentare un primo approccio verso Natasha, che cerca di resistere ad un istinto che evidentemente le dice il contrario, ma al momento di consumare l’atto sessuale Alba, vinta anche dall’alcool si addormenta.
Natasha va via dall’albergo, mentre Alba viene svegliata dall’insistito trillare di un cellulare; è quello della prima donna, che lo ha perso poco prima di andar via.
Pochi minuti dopo Natasha bussa alla porta della stanza.


E questa volta la voglia di provare qualcosa di diverso, l’eccitazione per la novità, l’isitintiva attrazione che prova per Alba sfociano in un rapporto saffico tra due donne che, come scopriremo,vengono da paesi diversi,da esperienze dissimili. Non potrebbero essere più differenti fra loro,le due amanti: Alba, spagnola e dal temperamento latino è bruna e di altezza standard, Natasha è russa, alta e slanciata, bionda.
E anche sessualmente le preferenze delle due donne sono agli antipodi.
Mentre Alba è attratta solo da persone dello stesso sesso, Natasha è eterosessuale; ma oltre il sesso le due donne cercano evidentemente altro e iniziano a confidarsi particolari sulle rispettive vite, pur promettendosi che quella serata rimarrà un unicum. Le due donne infatti devono rientrare nei rispettivi paesi, ma nonostante ciò la promessa di non rivedersi più nessuna delle due intende rivelare particolari veritieri della propria vita.
Così Alba inventa una improbabile relazione con uno sceicco arabo mentre Natasha racconta di essere un’attrice laureata in storia dell’arte.
Ma attraverso la cortina fumogena alzata ad arte dalle due donne iniziano ad affiorare mezze verità che dipanano poco alla volta
sia le personalità delle due donne sia le loro condizioni reali di esistenza.


Così si apprende che Alba è legata ad un’altra donna che ha due figli, uno dei quali è morto tragicamente mentre Natasha è una tennista e in realtà si chiama Dasha, che ha una sorella gemella alla quale sono accadute cose terribili, cosa che inizialmente Natasha stessa ha raccontato
come se fossero accadute a lei e sopratutto che è in procinto di sposarsi. Tutto ciò è intervallato da momenti di sesso e di dolcezza che poco alla volta sembrano incrinare la rigida promessa di uscire dall’albergo e di tornare alle proprie vite senza rimpianto…
Film di impianto teatrale, Room in Rome (Habitation in Rome) del regista spagnolo Julio Medem diretto nel 2010 è caratterizzato da elementi tipici delle piece teatrali riportate sullo schermo; dialoghi lunghi e chiarificatori, esplicativi dei reali stati d’animo delle protagoniste, silenzi, passione.
Una passione che si tramuta in una presenza delle due donne praticamente nude in scena per la quasi totalità del film, fatta salva la parte iniziale del corteggiamento e la parte finale, quando Alba e Natasha devono fatalmente lasciarsi, fedeli ad un patto stabilito da subito.
In mezzo c’è il sesso, l’unico strumento che hanno per dar sfogo ad un istinto primordiale, che però con il passare dei minuti si ammanta di sentimento, evoluzione naturale di una storia che acquista sempre più la natura di estremo bisogno di affetto. Le vite delle due donne evidentemente sono monche, prive di qualcosa che invece Alba e Natasha trovano reciprocamente l’una nell’altra.


Così dalle mezze bugie e dalle mezze verità si passa ad un dettaglio della verità, della realtà, che le due donne vivono con sensi di colpa, problemi, paure.
Se Alba è legata in una specie di matrimonio con un’altra donna, Natasha sta per sposarsi ma nessuna delle due è realmente felice nella propria realtà quotidiana.
Ed è questo che troveranno in se stesse. Così, dopo il sesso che pure ha molta importanza in questa fase embrionale di rapporto eccoci assistere all’evoluzione di qualcosa di strutturalmente diverso,che originerà un finale aperto.
Se in fase di analisi del film occorre tener conto della difficoltà di reggere un racconto cinematografico con due soli personaggi non si può non guardare con sospetto all’espediente di mostrare sempre nude Alba e Natasha, anche se una giustificazione è data proprio
dalla natura del rapporto che si stabilisce fra le due donne. Purtroppo ci sono anche peccati mortali, nella pellicola; qualche dialogo fumoso e astruso di troppo inficia il suo interesse,così come appare ben più grave l’inserimento del personaggio di Max, un cameriere
che assume più una portanza caricaturale che funzionale alla storia. Basti pensare alla proposta di portare loro un cetriolo sterilizzato,cosa della quale lo spettatore può immaginare l’utilizzo, originato da una richiesta bislacca di Alba, che chiede per telefono allo stesso Max
un vibratore,cosa che generalmente gli alberghi non hanno in dotazione per i loro clienti.


Qualche caduta di stile però non deve sviare il giudizio finale,che può dirsi orientato ad una sufficienza quanto meno per la mancanza nel film stesso di scene di sesso spinte allo stremo; tutto è mostrato con delicatezza, manca l’atto sessuale esplicito che in qualche modo
funziona come deterrente per un pubblico fatto solo da voyeur.
Certo, non è un film che si possa definire totalmente espresso, un po per i difetti che ho elencato prima un po per una narrazione che si aggira come un viandante in una nebbia fitta.
Ma alla fine il giudizio non è di stroncatura,la stessa adottata da buona parte della critica e del pubblico,probabilmente sviati proprio dalla costante presenza di due protagoniste sempre nude e intente a discorsi alle volte cerebrali.
In quanto a Elena Anaya (Alba) e Natasha Yarovenko (Natasha) va elogiata la loro capacità di rendere credibili i loro personaggi e la storia d’amore fra loro; inguardabile viceversa Lo Verso,penalizzato da un personaggio ridicolo di cui francamente si poteva fare a meno.
Va elogiata la fotografia patinata, raffinata per un film con molti limiti e qualche pregio.

Room in Rome
un film di Julio Medem,con Elena Anaya, Natasha Yarovenko, Enrico Lo Verso, Najwa Nimri. Titolo originale: Habitación en Roma. Genere Drammatico – Spagna, 2010, durata 109 minuti.

Elena Anaya: Alba
Natasha Yarovenko: Natacha
Enrico Lo Verso: Max

Regia Julio Medem
Soggetto Julio Medem
Sceneggiatura Julio Medem
Produttore Julio Medem,
Alvaro Longoria
Casa di produzione Morena Films in associazione con Alicia Produce, Intervenciones Novo Film 2006, Wild Bunch, con la partecipazione di TVE, Canal+
Fotografia Alex Catalán
Montaggio Julio Medem
Musiche Jocelyn Pook
Scenografia Montse Sanz
Costumi Carlos Díez
Trucco Susana Sánchez

marzo 26, 2020 Posted by | Drammatico, Erotico | , , | Lascia un commento

The Door in the Floor

Ted Cole, sua moglie Marion e la piccola Ruth ,figlia della coppia vivono nella esclusiva Long Island, in un bellissimo posto sul mare.
Ma la serena, placida località non sembra influire minimamente sulla dinamica di vita della coppia, ormai alla fine del rapporto matrimoniale.
All’origine della profonda crisi tra Ted e Marion c’è la condivisione di una terribile esperienza, la morte in un incidente stradale dei loro due figli adolescenti.
L’esperienza ha lasciato un solco profondissimo, incolmabile tra i due che ormai pur condividendo lo stesso tetto hanno in comune solo il ricordo dei due giovani scomparsi, ritratti in innumerevoli foto che fanno mostra di se in casa.


Scrittore di libri per bambini, Ted divide il suo tempo fra avventure galanti, come quella con la procace vicina Evelyn, l’alcool e lo squash. Proprio la debolezza per l’alcool ha causato la sospensione della patente di Ted, che si vede costretto ad assumere il giovane Eddie sia come assistente che come autista per tutto il periodo in cui non potrà guidare.
Eddie,che ammira profondamente Ted tuttavia ben presto resterà deluso dal comportamento dell’uomo, che dimostra un assoluto disinteresse per la moglie,che nel frattempo vive in uno stato di totale apatia, ancora traumatizzata dal tragico evento che ha sconvolto la sua vita.
Marion allaccia una relazione con Eddie, resa problematica sia dalla grande differenza di età fra i due, sia dall’impossibilità di immaginare un futuro della storia stessa.
Ted assiste alla relazione quasi con indifferenza, intervenendo però proprio nel momento nel quale la piccola Ruth scopre sua madre e Eddie a fare sesso.
E’ il momento di rottura per la coppia: ormai non hanno più nulla da dirsi e Marion abbandona la casa, lasciando anche sua figlia a vivere con il marito…


Dal romanzo di grande successo di John Irving, Vedova (A Widow for One Year) del 1998 il regista Tod Williams trae nel 2004 il film The Door in the Floor, una pellicola di stampo intimista che si dipana attraverso i temi del senso di colpa, del senso di vuoto e delle conseguenze irreparabili nella vita
di un’esperienza devastante come la perdita di un figlio. Che in questo caso sono addirittura due a cui bisogna aggiungere l’impossibilità di ricreare un punto di contatto tra i coniugi divisi più che dalla mancanza d’amore quanto dal fardello di ricordi legati all’incidente,originato da colpe dei due protagonisti.
Sia Ted che al momento dell’incidente aveva bevuto sia Marion,che non aveva tolto la neve dal vetro posteriore e dagli indicatori di direzione, si colpevolizzano dell’accaduto, attribuendo inconsciamente le cause sia a se stessi che al coniuge.


Questa mancata accettazione delle proprie “colpe “individuali, il continuo ricordo dei due ragazzi che li osservano dalle numerose foto esposte in casa alimenta un ricordo straziante, quasi un monito costante, uno sguardo accusatore che li riporta sempre all’incidente.
Lo stato di tensione apparentemente sedato esplode nel momento in cui Ted trova un casus belli nella relazione di sua moglie con Eddie; è il momento in cui si arriva alla resa dei conti,non tanto per l’adulterio, visto che da questo punto di vista Ted non è certo da meno della moglie
quanto perchè le cose non dette, il risentimento verso se stesso e verso la moglie provocano fatalmente la rottura del sottilissimo filo che ancora li univa.
Coerentemente Marion sceglie la via più difficile, quella di abbandonare quella casa carica di tristi ricordi, lasciando a suo marito anche la piccola Ruth, scelta decisamente meno coerente e difficile da capire, visto che rappresenta l’unico legame con una vita che ormai
è più un fardello che un’esperienza da proseguire.


L’unico motivo comprensibile è da ricercarsi nella difficoltà di Marion di proseguire il suo cammino di madre, presa com’è ormai dai fantasmi del passato; non è in grado di essere una buona madre e quindi abbandona anche l’unico legame che ancora la trattiene.
I fantasmi di una vita irrimediabilmente dissolta hanno quindi la meglio sull’affetto o forse proprio l’affetto,in questo caso verso la piccola Ruth costringono Marion ad una fuga in avanti, verso un futuro presumibilmente incerto se non inesistente.
Un film in cui il dramma si sposa alla impossibilità del ricominciare a vivere.
Ted cerca nell’alcool e nel sesso palliativi che non possono riempire il vuoto creatosi, lo stesso dicasi per Marion,il cui legame con i figli è ovviamente, in quanto madre, assolutamente inscindibile.
E la fine è quindi scritta in partenza.


Il problema è che lo spettatore è chiamato a intuire il tutto,perchè i dialoghi non sono mai esplicativi degli stati d’animo dei protagonisti. Quello che si vede sullo scherma è un risultato, non una motivazione psicologica; Marion e Ted non suscitano empatia, i loro tormenti interiori infatti restano solo sulla carta.C’è una grande differenza tra il film di Williams e uno che in qualche modo affrontava la crisi matrimoniale seguita alla morte di un figlio, quel La stanza del figlio di Nanni Moretti di ben altro spessore e drammaticità.
Tuttavia la recitazione di Jeff Bridges è abbastanza incisiva mentre decisamente in ombra Kim Basinger, alle prese con un personaggio abbozzato. La donna che in Eddie sembra trovare più che un amante una specie di fantasma emotivo del figlio è personaggio grezzo, quasi incolore. Statuaria,prorompente l’ex signora Cruise,Mimi Rogers, che però con il suo personaggio nulla aggiunge al film se non un fisico quasi sempre esposto generosamente.
Una discreta fotografia e una regia molto manieristica rendono la pellicola poco più che sufficiente.

The Door in the Floor

Regia di Tod Williams, con Kim Basinger, Elle Fanning, Jeff Bridges, Jon Foster, Bijou Phillips, Mimi Rogers. Genere Drammatico – USA, 2004, durata 111 minuti

Elle Fanning: Ruth Cole
Jeff Bridges: Ted Cole
Kim Basinger: Marion Cole
Jon Foster: Eddie O’Hare
Larry Pine: Interviewer
John Rothman: Minty O’Hare
Harvey Loomis: Dr. Loomis
Bijou Phillips: Alice
Mimi Rogers: Evelyn Vaughn
Mike S. Ryan: Reception Fan
Libby Langdon: Donna alla reception
Louis Arcella: Eduardo Gomez
Robert LuPone: Mendelssohn
Rachel Style: Bookstore Assistant
Amanda Posner: Frame Shop Clerk
Donna Murphy: Frame Shop Owner
Marion McCorry: Bookstore Customer
Kristina Valada-Viars: Effie
LeAnna Croom: Glorie Mountsier
Claire Beckman: Mrs. Mountsier
Tod Harrison Williams: Thomas Cole
Carter Williams: Timothy Cole

Regia Tod Williams
Soggetto John Irving
Sceneggiatura Tod Williams
Produttore Anne Carey, Michael Corrente e Ted Hope
Produttore esecutivo Amy Kaufman e Roger Marino
Casa di produzione Focus Features, This Is That Productions, Revere Pictures e Good Machine
Distribuzione in italiano Eagle Pictures
Fotografia Terry Stacey
Montaggio Affonso Gonçalves
Effetti speciali Conrad V. Brink, Conrad F. Brink, Ed Drohan e Charles Simunek
Musiche Marcelo Zarvos
Scenografia Thérèse DePrez
Costumi Eric Daman
Trucco Jane English, Susan Germaine, Lori Hicks, Thomas Nellen, Valli O’Reilly, Aaron F. Quarles, Sacha Quarles, Ronnie Specter e Mitch Stone

marzo 25, 2020 Posted by | Drammatico | , , , | Lascia un commento

La Papessa

Nell’inverno dell’814 nasce Johanna,figlia del prete di Ingelheim ,non desiderata e tanto meno amata dal burbero genitore.
Sin da piccola Johanna mostra doti non comuni e un’intelligenza vivissima che portano il maestro Esculapio ad interessarsi di lei, nonostante l’aperta ostilità del padre.
Nell’ottocento la figura femminile è decisamente subordinata a quella maschile,il ruolo sociale della donna è ridotto esclusivamente alla cura della casa e alla crescita dei figli.
Johanna ha altre ambizioni, vorrebbe studiare e quando il suo maestro va via da Ingelheim sceglie di scappare di casa per evitare una sorte altrimenti segnata, quella di moglie e madre.


Sarà a Dorstadt che la ragazza riceverà buona parte della sua istruzione, una scelta che la conforterà nelle sue idee, espressa in una frase emblematica pronunciata da Johanna: ” Come può la donna essere inferiore all’uomo nella creazione. Lei fu creata da una costola di Adamo, ma Adamo fu creato dall’argilla. Eva ha quindi la medesima origine. In quanto a forza di volontà, la donna può essere considerata superiore all’uomo. Eva mangiò la mela per amore della conoscenza e dell’erudizione. Adamo mangiò la mela soltanto perchè fu Eva a chiederglielo
Ma ben presto dovrà fare i conti con i sentimenti. Si innamorerà infatti del Conte Gerold, il suo protettore, ma la concomitanza della guerra e della gelosia della moglie dell’uomo li separerà, costringendo Johanna a fare una scelta radicale. Infatti, per poter sfuggire a guerre e e ai pericoli ai quali la sua condizione di donna la espone si trasforma in un monaco con una radicale modifica del corpo.
Nel monastero dei benedettini di Fulda,con il nome di Johannes Anglicus, la ragazza viene accolta e da quel momento studia medicina e contemporaneamente si dedica allo studio di Dio e della religione.


Tuttavia il pericolo di essere scoperta è sempre più grave, per cui la donna si trasferisce a Roma, dove si dedica con successo alla cura dei malati.
La sua abilità la porta a diventare ben presto medico del Papa Sergio II, che lei riuscirà a guarire. Ma non a salvare dalle congiure interne del Vaticano. Dopo alcune peripezie, Johanna riesce a salire sul trono di Pietro,ma l’incontro con il suo primo amore,il Conte Gerold segnerà la sua fine…
Tratto dal romanzo omonimo di Donna Woolfolk Cross, La Papessa, diretto dal regista tedesco Sönke Wortmann nel 2010 è un affresco storico basato sulla leggenda della Papessa Giovanna, una di quelle nate in un periodo storico in cui l’anticlericalismo diventa anche militante e non bada a mezzi per squalificare la reputazione della chiesa.
Una leggenda, quindi, che pur citando personaggi realmente esistiti non ha alcun fondamento di verità; mancano completamente testimonianze o documenti storici che confortino l’origine di quella che alcuni hanno considerato come una verità, adducendo
tesi francamente discutibili come supporto della leggenda stessa.
L’esistenza di due sedie “stercorarie” o “gestatorie”,ovvero dei troni in marmo sui quali si sarebbe dovuto sedere il Papa,subito dopo la scoperta e lo scandalo di una donna divenuta Papa in realtà è da ascriversi ad una motivazione specifica, quella di ricordare che il Papa è un essere umano e come tale ha funzioni corporali umane, espletabili attraverso il foro praticato nella sedia.
E non per saggiarne la virilità, attraverso il tocco dei genitali per accertarsene.


Il film ripercorre la leggenda secondo la versione narrata da Giovanni di Metz quattro secoli dopo i presunti avvenimenti; Wortmann segue fedelmente il romanzo e contemporaneamente mostra la condizione avvilente della donna. Particolarmente riuscita è la prima parte,
nella quale si assiste alla descrizione delle miserevoli condizioni di vita proprio delle donne, costrette ad una condizione di assoluta sottomissione al maschio, che nel film prende corpo nelle scene di violenza alle quali è sottoposta la sventurata madre di Johanna e che provocheranno
nella stessa la voglia di emanciparsi rifiutando un copione già scritto.
Ben riuscita anche la parte ambientata a Roma, fra intrighi di palazzo e meschinerie, fra medici più vicini a stregoni che a scienziati.
La riuscita del film va ascritta in gran parte all’attrice Johanna Wokalek, volto spigoloso e mascolino la cui trasformazione da donna a uomo,complice anche un taglio di capelli tipicamente clericale e un fisico non prorompente, diventa estremamente credibile, rendendola androgina ma al tempo stesso conservandone la femminilità, esaltata dalla scena nella quale Johanna fa il bagno nel fiume nuda,davanti a quello che diventa il suo amante.
Bella anche l’ambientazione del film,con una descrizione degli ultimi secoli dell’evo antico molto efficace.
Una pellicola scorrevole, di interesse che si snoda per 150 minuti attraverso alterne vicende che riescono a tener viva l’attenzione dello spettatore.
Una pellicola della quale consiglio la visione.

La Papessa
un film di Sönke Wortmann. con Johanna Wokalek, David Wenham, John Goodman, Iain Glen, Anatole Taubman, Jördis Triebel. Titolo originale: Die Päpstin. Genere Drammatico – Germania, Gran Bretagna, Italia, Spagna, 2009, durata 149 minuti, distribuito da Medusa

Johanna Wokalek: Giovanna
David Wenham: Gerold
John Goodman: Papa Sergio II
Edward Petherbridge: Esculapio
Anatole Taubman: Anastasio
Jördis Triebel: Gudrun
Alexander Held: Lotario
Tigerlily Hutchinson: Giovanna a 6-9 anni
Lotte Flack: Giovanna a 10-14 anni
Iain Glen: padre di Giovanna
Oliver Cotton: Arsenio
Suzanne Bertish: Arnaldo
Richard van Weyden: Eustasio
Branko Tomovic: Pasquale
Giorgio Lupano: imprenditore romano

Laura Lenghi: Giovanna
Francesco Bulckaen: Gerold
Stefano De Sando: Papa Sergio II
Dario Penne: Esculapio
Alessio Cigliano: Anastasio
Antonella Baldini: Gudrun
Franco Mannella: Lotario
Aurora Manni: Giovanna a 10-14 anni
Roberto Pedicini: padre di Giovanna
Luciano De Ambrosis: Arsenio
Sonia Scotti: Arnaldo
Saverio Moriones: Eustasio
Francesco Sechi: Pasquale

Regia Sönke Wortmann
Soggetto dall’omonimo romanzo di Donna Woolfolk Cross
Sceneggiatura Heinrich Hadding, Sönke Wortmann
Produttore Martin Moszkowicz, Oliver Berben, Christine Rothe
Casa di produzione Constantin Film, ARD Degeto Film, Dune Films
Distribuzione in italiano Medusa Film
Fotografia Tom Fährmann
Montaggio Hans Funck
Musiche Marcel Barsotti
Scenografia Bernd Lepel
Costumi Esther Walz

marzo 24, 2020 Posted by | Storico | , | Lascia un commento

Wild

Cheryl ha un passato remoto fatto di ostacoli e problemi; ha iniziato da piccola,con la separazione dei suoi. Sua madre, stanca di botte da parte del marito alcolizzato e violento lo ha lasciato,portandosi dietro Cheryl e suo figlio . Ma la vita è stata durissima, fra difficoltà economiche a cui si sono aggiunti, quando la ragazza è cresciuta, problemi di droga e promiscuità.
Anche il matrimonio con Paul è naufragato, quando suo marito ha scoperto i numerosi tradimenti della donna e la sua dipendenza da droghe.
A completare il quadro c’era stata la morte per cancro della amata Bobbie ,sua madre, una donna che nonostante i problemi aveva sempre mantenuta una incrollabile voglia di vivere,una serenità che in qualche modo influirà sulle decisioni successive di Cheryl.
Che infatti si iscrive ad una maratona di trekking che la porterà attraverso il deserto e infine le montagne,1600 chilometri che la trasformeranno,portandola ad una profonda riflessione su se stessa e ad una nuova maturità.


Una trama semplice per un on the road movie, anche se più che di strada si tratta di sentieri attraverso il deserto e di scoscese strade di montagna, navigando tra pericoli e con unica compagna la propria solitudine.
E’ questo Wild, film diretto da Jean-Marc Vallée ,sceneggiato dal grande scrittore Nick Hornby e tratto dal romanzo Wild – una storia selvaggia di avventura e rinascita,scritto da Cheryl Strayed è chiaramente autobiografico,
infatti non a caso la protagonista della pellicola ha il nome della scrittrice e racconta il lungo processo di redenzione, se vogliamo usare un termine un pochino improprio per quello che è un viaggio alla ricerca del proprio io,fatto in solitaria.
Attraverso le difficoltà, trascinandosi dietro uno zaino pesantissimo e pieno di cose inutili, dimostrazione dell’assoluta incompetenza della protagonista in quello che sarà più un percorso di sopravvivenza che uno di trekking.
A piedi, con poco cibo e quasi senza soldi, se non quelli che Paul le invia nei vari punti di ristoro che la donna incontra nel suo tragitto, Cheryl dovrà confrontarsi con i suoi demoni,con il passato e gli errori commessi, dalla droga all’aver tradito numerose volte


Paul, un uomo che non solo non meritava il trattamento ricevuto, ma che avrebbe potuto guarirla dai suoi fantasmi interiori.
Durante il lunghissimo viaggio fatto attraverso l’implacabile sole del deserto o le nevi e il gelo della montagna Cheryl avrà modo di conoscere altri esploratori come lei, alcuni dei quali si arrenderanno.
Ma Cheryl,per la prima volta nella vita, dimostrerà a se stessa di valere, di essere capace di risorgere come l’araba fenice dalle proprie ceneri.
Ceneri alle quali ormai si era ridotta.
Wild è principalmente un film introspettivo, che ricorda a tratti Into the wild di Sean Penn, anche se il Christopher di quest’ultimo ha motivazioni molto differenti da quelle di Cheryl; ci sono i paesaggi solitari ad accomunare le due storie, in particolare in Wild c’è
la contemporanea presenza del viaggio interiore intimamente legato al cammino tra la natura, alle volte ostile, alle volte madre.
La selvaggia bellezza del deserto contrasta in modo fortissimo con la parte finale del film, quando alla sabbia e ai paesaggi desolati e brulli si sostituisce il candore delle nevi, la bellezza dei maestosi alberi di montagna, il vento e il freddo; una delle cose migliori del film,


assieme all’intervallarsi continuo delle scene del passato, che raccontano quella che è stata la vita disordinata di Cheryl e il presente, il cammino verso una nuova consapevolezza. Che porterà la protagonista a vincere la sua battaglia, a recuperare un suo posto nella società e alla fine
a trovare un nuovo equilibrio,testimoniato dal matrimonio e dalla nascita di due figli.
Un film di buon livello, nel quale particolarmente apprezzabile è la mancanza delle tradizionali esagerazioni dei pericoli del deserto e della solitudine.
In genere in tantissimi film i protagonisti si ritrovano di fronte innumerevoli pericoli, killer spietati a due o quattro zampe. In Wild non c’è nulla o quasi di tutto questo, semplicemente un percorso che chilometro dopo chilometro, giorno dopo giorno,porta la protagonista
a valorizzare se stessa, a pensare al passato come un qualcosa di superato, dal quale imparare gli errori passati.
Molto brava Reese Witherspoon ( Cheryl Strayed),bene anche Laura Dern (Bobbie) e gli altri attori del film, fra i quali cito in particolare Thomas Sadoski (Paul)
Bella la fotografia, un film che vale la pena vedere.

Wild
Un film di Jean-Marc Vallée. Con Reese Witherspoon, Laura Dern, Thomas Sadoski, Michiel Huisman, Gaby Hoffmann, Kevin Rankin, W. Earl Brown, Mo McRae, Keene McRae, Charles Baker, J.D. Evermore, Jeffree Newman, Brian Van Holt, Cliff De Young,
Cathryn de Prume, Nick Eversman, Leigh Parker Biografico,durata 115 min. – USA 2014. – 20th Century Fox Italia

Reese Witherspoon: Cheryl Strayed
Laura Dern: Bobbi Lambrecht
Gaby Hoffmann: Aimee
Michiel Huisman: Jonathan
Charles Baker: T.J.
Keene McRae: Leif
Kevin Rankin: Greg
Thomas Sadoski: Paul
W. Earl Brown: Frank
Brian Van Holt: Ranger
Nick Eversman: Richie
Cathryn de Prume: Stacey
Cliff DeYoung: Ed
Mo McRae: Jimmy Carter
Jan Hoag: Annette
J.D. Evermore: Clint
Leigh Parker: Rick
Evan O’Toole: Kyle
Will Cuddy: Josh
Cheryl Strayed: donna sul camion

Federica De Bortoli: Cheryl Strayed
Alessandra Korompay: Bobbi Lambrecht
Benedetta Degli Innocenti: Aimee
Sacha De Toni: Jonathan
Enrico Di Troia: T.J.
Manuel Meli: Leif
Alessandro Quarta: Greg
Francesco Bulckaen: Paul
Paolo Marchese: Frank
Fabrizio Russotto: Ranger
Paolo Vivio: Richie
Roberta Paladini: Stacey
Paolo Bessegato: Ed
Marco De Risi: Jimmy Carter
Doriana Chierici: Annette
Massimiliano Plinio: Clint
Marco Vivio: Rick
Lorenzo D’Agata: Kyle
Alessandro Rigotti: Josh
Daniela D’Angelo: Lou
Ambrogio Colombo: Spider
Guido Sagliocca: Dave

Regia Jean-Marc Vallée
Soggetto Cheryl Strayed (memorie)
Sceneggiatura Nick Hornby
Produttore Bruna Papandrea, Reese Witherspoon, Bill Pohlad
Produttore esecutivo Nathan Ross, Bergen Swanson, David Greenbaum
Casa di produzione Fox Searchlight Pictures
Pacific Standard
Distribuzione in italiano 20th Century Fox
Fotografia Yves Bélanger
Scenografia John Paino

marzo 23, 2020 Posted by | Biografie | , , , | Lascia un commento

Medicus-The Physician

Inghilterra,attorno all’anno 1150

La medicina come scienza è ancora in fase embrionale. Le conoscenze scientifiche sono ridottissime e a farla da padrone è una pseudo scienza
che mescola alla rinfusa pratiche empiriche e cure improbabili.
A farne le spese è la madre di Robert Cole, il protagonista della storia, che muore per “il male al fianco”, probabilmente una banale appendicite trasformatasi in peritonite.
Il ragazzo ha anche un dono non desiderato: è in grado di vedere la morte, semplicemente toccandolo,di un qualsiasi ammalato.
Morta la madre, con i 2 fratellini adottati controvoglia da un’altra famiglia, Robert non ha altra scelta che convincere Barber, un burbero cerusico dilettante ad accoglierlo nella piccola baracca ambulante che l’uomo, cavadenti e fornitore di cataplasmi dalla dubbia utilità,conduce in giro per il paese.

Ma Robert, con il passare degli anni sviluppa un grande interesse per la medicina e dopo un’operazione di cataratta subita da Barber, il suo protettore al quale si è unito da parte di cerusici ebrei, sceglie di andare in Oriente,
per seguire gli insegnamenti di Ibn Sina, l’uomo che è a conoscenza di segreti della medicina assolutamente straordinari per l’epoca buia nella quale il giovane vive.
Per farlo è però costretto a cambiare nome e a circoncidersi; Ibn Sina vive in Egitto,dove i cristiani non sono assolutamente ben visti. Così Robert diventa Jesse Ben Benjamin e dopo un viaggio lunghissimo
attraverso l’Europa e dopo aver rischiato la vita nel deserto arriva finalmente a Isfahan.
Durante la drammatica camminata nel deserto ha avuto modo di conoscere la bella Rebecca, una ragazza ebrea che sta andando in città per sposare un ricco ebreo; fra i due nasce immediatamente un’amicizia


che però deve fare i conti con una tempesta di sabbia, dalla quale il solo Robert esce indenne.
A Ishafan dopo alcune peripezie Robert ha modo di conoscere Ibn Sina, che lo prende sotto la sua ala protettrice e subito dopo riesce anche ad ingraziarsi lo Scià Ala ad-Daula, che regna incontrastato sulla città.
Ma un nemico terribile è in arrivo verso la città: sono tribù Sefardite, crudeli e integraliste, che vogliono rovesciare lo Scià e che per raggiungere lo scopo non esitano a scatenare il più mortale dei nemici, la morte nera ovvero la peste.
Sarà proprio Robert a intuire che le pulci dei topi provocano il mortale contagio, guadagnandosi il rispetto di Ibn Sina e la gratitudine di Ala ad-Daula.
Nel frattempo ritrova Rebecca,scampata al deserto e che si è sposata e subito dopo ammalata di peste.
E’ l’inizio di un nuovo dramma…
Dal racconto Der Medicus di Noah Gordon il regista di Monaco di Baviera Philipp Stölzl trae questo Medicus-The Physician (2013),un film davvero bello che ha molti punti di interesse nella sua sceneggiatura e nello svolgimento della pellicola stessa.
La storia ovviamente romanzata delle peripezie di Robert si trasforma in uno spaccato storico su quello che era il mondo pre medioevale, un mondo che viveva sospeso tra magia e religione,tra cure empiriche condizionato dalle religioni,che vietavano
le autopsie e che quindi impedivano il progresso della scienza medica.


Cattolicesimo, ebraismo e islamismo facevano il bello e il cattivo tempo, tenendo in pratica la popolazione nell’ignoranza più totale, facendo quindi sviluppare un mondo parallelo popolato di ciarlatani che ammazzavano più gente di quanta ne curavano.
Il viaggio di Robert, fra pericoli di ogni genere si trasforma anche in una navigazione ne meno di quelle imposte dai cattolici e dagli ebrei.
Proprio la figura di Robert, il giovane che possiede un dono terribile, più una maledizione che un dono a dire il vero, si trasforma
in quella di un uomo alla ricerca della vera essenza della medicina. Sarà lui a sfidare le leggi praticando la prima autopsia segreta, rischiando la vita, così come sarà lui a salvare la città che lo ha accolto da un flagello che per tutti i secoli del medioevo e per buona parte dell’evo successivo
portò milioni di morti in tutto il mondo.
La morte nera era la principale causa di morte in Europa e lo divenne anche in Oriente; nel film è immaginato un ruolo fondamentale svolto da Robert che però,per inciso,è solo un mero espediente narrativo. Ci vollero secoli per capire cosa davvero trasportasse la peste in giro per il mondo.
Ma questo ovviamente ha un’importanza davvero relativa; quello che conta nel film è seguire la storia del giovane,la sua odissea e la sua storia d’amore con Rebecca.


In fondo siamo di fronte ad un romanzo che mescola, con sapienza, storia e fantasia: la figura di Ibn Sina assomiglia molto a quella di Avicenna, medico, filosofo, matematico, logico e fisico persiano le cui opere più famose, Il libro della guarigione e Il canone della medicina
furono le prime basi della medicina del medioevo. Ma essendo vissuto prima dell’anno mille Avicenna l’ho tirato in ballo forse in maniera inopportuna; è allora più probabile che la figura di riferimento sia quella di Averroè, il medico e filosofo che davvero traghettò la medicina verso l’era moderna.
Comunque sia del film mi preme sottolineare i grandi meriti, che vanno da uno stile registico davvero interessante ad un racconto che si snoda senza grosse forzature, trasformandosi in un’opera
che si gusta appieno senza noia per oltre due ore. Ottimi gli attori del cast, fra i quali segnalo il solito grande Ben Kinglsley (Ibn Sina), il giovane ed interessante Tom Payne (Robert) ,la bella e brava Emma Rigby (Rebecca) e la solita sicurezza rappresentata dall’attore svedese Stellan Skarsgård ( il cerusico Barber).
Molto bella l’ambientazione, belli i costumi.
Un film del quale consiglio vivamente la visione

Medicus The Physician
Un film di Philipp Stölzl. Con Ben Kingsley,Tom Payne, Ian T. Dickinson, Emma Rigby, Michael Jibson, Stellan Skarsgård ,Fahri Yardim, Makram Khoury , Olivier Martinez, Hossein Andalibi, Mourad Zaoui, Robert A. Foster, Manuela Biedermann, Adam Thomas Wright, Michael Marcus, Dominique Moore, Elyas M’Barek Avventura – Germania 2013.

Tom Payne: Rob Cole/Jesse Ben Benjamin
Emma Rigby: Rebecca
Stellan Skarsgård: cerusico Barber
Ben Kingsley: Ibn Sina
Olivier Martinez: Scià Ala ad-Daula
Elyas M’Barek: Karim
Fahri Yardım: Davout Hossein
Michael Marcus: Mirdin
Stanley Townsend: Bar Kappara
Adam Thomas-Wright: Rob Cole 10 anni
Makram Khoury: Imam

Lorenzo De Angelis: Rob Cole/Jesse Ben Benjamin
Benedetta Ponticelli: Rebecca
Angelo Nicotra: cerusico Barber
Stefano De Sando: Ibn Sina
Andrea Lavagnino: Scià Ala ad-Daula
Roberto Stocchi: Davout Hossein
Leonardo Della Bianca: Rob Cole 10 anni

Regia Philipp Stölzl
Soggetto Noah Gordon
Produttore Wolf Bauer
Nico Hofmann
Casa di produzione UFA Cinema
Degeto Film
Beta Cinema
Distribuzione in italiano Universal Pictures
Musiche Ingo Ludwig Frenzel

marzo 21, 2020 Posted by | Drammatico, Storico | , , , , , , | Lascia un commento

L’ultimo inquisitore

Spagna,1792

Francisco Goya è uno dei pittori più importanti e famosi d’Europa.
Assieme al dipinto che sta creando per la Regina Maria Luisa di Borbone-Parma, Goya accetta anche commissioni da privati, fra le quali
c’è quella di ritrarre Ines Bilbatua, la bella figlia del mercante Tomas e quella per Lorenzo Casamares, inquisitore del regno.
I destini della giovane Ines e quello dell’inquisitore si incrociano fatalmente proprio nello studio di Goya.
Sono gli anni della massima repressione ecclesiale nei confronti di tutto ciò che la chiesa non ritiene consono alla fede. Le incisioni di Goya sono viste con sospetto,ed è lo stesso inquisitore a dover difendere il pittore presso le alte sfere clericali.
Contemporaneamente Casamares invita i suoi collaboratori a intensificare la lotta contro l’eresia e contro quello che è definito genericamente il male.
Così la povera Ines, solo per aver rifiutato di mangiare una banale bistecca di maiale, viene accusata di pratiche di giudaismo e e trascinata davanti al tribunale dell’inquisizione. Qui viene sottoposta al crudele supplizio della corda, uno dei tanti disumani metodi utilizzati dall’inquisizione; pur essendo del tutto innocente Ines non resiste alla tortura e confessa colpe non commesse.

Tradotta in carcere la sventurata Ines ormai psicologicamente
debilitata dalla prigionia e dalla tortura, viene anche sedotta con la forza dall’inquisitore, che la bramava dal momento in cui l’aveva conosciuta.
Inutilmente il padre della ragazza e lo stesso Goya cercano di ottenerne la liberazione; l’inflessibile Casamares a questo punto viene sequestrato da Tomas Bilbatua, che usando gli stessi sistemi dell’inquisizione ottiene una confessione falsa da parte di Casamares. L’inquisitore viene rilasciato e accetta, dietro un lauto compenso, di intercedere presso i superiori per ottenere la liberazione di Ines.
Il tutto inutilmente.
Il documento che l’uomo aveva firmato a casa Bilbatua, compromettente, viene inviato all’inquisizione che a questo punto espelle Lorenzo,che così è costretto alla fuga.
Passano 15 anni e la storia cambia registro con una radicale svolta nella vita della Spagna; le truppe napoleoniche invadono la Spagna e il tribunale inquisitorio viene dichiarato fuorilegge.


Ines viene liberata ma della bella ragazza di un tempo non rimane più nulla. Ora è una donna segnata nel corpo e nella mente dalla lunghissima prigionia; Ines cerca aiuto dalla sua famiglia,ma scopre con orrore
che sono morti tutti e a questo punto non le resta altro da fare che rivolgersi a Goya, che un tempo le si era mostrato amico.
Goya la accoglie con affetto, ascolta la storia delle sue peripezie, dall’imprigionamento al rapporto con Lorenzo fino alla nascita di una bimba, che le è stata sottratta dopo la nascita.
In Spagna arriva l’ex inquisitore, ora passato dal clericalismo più abietto al fanatismo anti religioso tipico delle truppe napoleoniche, eredi di quella Francia post rivoluzionaria che aveva di fatto decapitato buona parte dei prelati francesi.
Si è sposato, ha tre figli ma è rimasto un uomo inflessibile nelle sue idee.
Da questo momento in poi le cose si svilupperanno in modo drammatico…


L’ultimo inquisitore è un film diretto dal grande Milos Forman nel 2006, un film di assoluto livello costruito con una sceneggiatura di prim’ordine e assolutamente scorrevole; una storia che ripercorre anni gli bui dell’inquisizione del XVIII secolo, una delle vergogne
della chiesa vista anche in concomitanza con l’imposizione, in Spagna, della “pax napoleonica”, l’esportazione francese di quella che era la rivoluzione nata con ben altre motivazioni e trasformatasi, con Napoleone, in bieco imperialismo.
Forman analizza proprio la storia spagnola dell’inquisizione con più di un parallelo con la propria storia personale,quella di un uomo che ha vissuto un altro tipo di inquisizione,non quella religiosa bensì quella politica, quella di un comunismo che ha utilizzato in passato
sistemi molto simili a quelli usati proprio dall’inquisizione.
Ma il discorso resta ovviamente in secondo piano; spazio ad un racconto fatto di storie individuali che mostrano sfaccettature legate anche al momento storico. C’è un’analisi del personaggio di Goya che lo mostra come un uomo intento principalmente alla sua arte,con tutta l’attenzione alle cose politiche, al desiderio di non inimicarsi i potenti sia per ottenere commesse artistiche,sia per vivere tranquillo .Il contraltare, speculare, è dato dal fanatismo di Lorenzo, intransigente nella fede come nella politica e che alla fine pagherà proprio la sua incapacità alla moderazione con la morte.
Ma la figura di Goya non è affatto meschina; l’uomo Goya, l’artista Goya, racconta un’epoca in profondo e velocissimo mutamento riuscendo a non tradire la propria arte.


Il suo distacco non è cinico ma realistico.
Lo dimostra (nel film) l’inutile interessamento alla sorte di Ines,che più di tutti diviene l’emblema dell’ingiustizia e della sopraffazione,con una vicenda personale che solo alla fine troverà un minimo di giustizia e una parziale consolazione a quanto patito in passato.
Il film è davvero bello, impreziosito sia da un’ambientazione raffinata (la corte,i quadri di Goya, i cambiamenti socio politici) sia da una fotografia che esalta costumi e location utilizzati in maniera magistrale.
Grande lavoro del cast,con citazione per tutti: dal satanico Javier Bardem ( Lorenzo Casamares ) alla bella e dolente Natalie Portman ( Inés Bilbatua ) all’impeccabile Stellan Skarsgard ( Francisco Goya )
Un film da non perdere,assolutamente

L’ultimo inquisitore
un film di Milos Forman,con Javier Bardem, Natalie Portman, Stellan Skarsgård, Randy Quaid, Michael Lonsdale. Titolo originale: Goya’s Ghosts. Genere Drammatico, – Spagna, 2006, durata 117 minuti, distribuito da Medusa.

Javier Bardem: Lorenzo Casamares
Natalie Portman: Inés Bilbatua / Alicia
Stellan Skarsgård: Francisco Goya
Randy Quaid: Carlo IV di Spagna
Blanca Portillo: Regina Maria Luisa
Michael Lonsdale: Padre Gregorio
José Luis Gómez: Tomás Bilbatúa
Mabel Rivera: María Isabel Bilbatúa
Mercedes Castro: Doña Julia
Aurélia Thiérrée: Henrietta
Fernando Tielve: Álvaro Bilbatúa
Unax Ugalde: Ángel Bilbatúa
Julian Wadham: Giuseppe Bonaparte
Craig Stevenson: Napoleone
Cayetano Martínez de Irujo: Duca di Wellington

Roberto Pedicini: Lorenzo Casamares
Ilaria Stagni: Inés Bilbatua / Alicia
Luca Biagini: Francisco Goya
Paolo Lombardi: Carlo IV di Spagna
Ludovica Modugno: Regina Maria Luisa
Gianni Musy: Padre Gregorio
Oreste Rizzini: Tomás Bilbatúa
Maria Grazia Dominici: María Isabel Bilbatúa
Tiziana Avarista: Henrietta
Stefano Crescentini: Álvaro Bilbatúa
Francesco Venditti: Ángel Bilbatúa
Angelo Maggi: Giuseppe Bonaparte
Sandro Sardone: Corniciaio
Mino Caprio: Monaco
Bruno Alessandro: Monaco
Roberto Stocchi: Monaco
Saverio Moriones: Giudice
Pieraldo Ferrante: Charlentain
Loris Loddi: Napoleone
Enrico Di Troia: Messo del re
Diego Reggente: Direttore del manicomio

Javier Bardem: Lorenzo Casamares
Natalie Portman: Inés Bilbatua / Alicia
Stellan Skarsgård: Francisco Goya
Randy Quaid: Carlo IV di Spagna
Blanca Portillo: Regina Maria Luisa
Michael Lonsdale: Padre Gregorio
José Luis Gómez: Tomás Bilbatúa
Mabel Rivera: María Isabel Bilbatúa
Mercedes Castro: Doña Julia
Aurélia Thiérrée: Henrietta
Fernando Tielve: Álvaro Bilbatúa
Unax Ugalde: Ángel Bilbatúa
Julian Wadham: Giuseppe Bonaparte
Craig Stevenson: Napoleone
Cayetano Martínez de Irujo: Duca di Wellington

marzo 18, 2020 Posted by | Drammatico | , , , | 2 commenti

Le confessioni

Il G8 dell’economia mondiale si riunisce in una località costiera della Germania,in uno splendido albergo; oltre ai ministri dell’economia ci sono tre persone completamente differenti fra loro, invitate da Daniel Roché, francese, presidente del Fondo monetario internazionale, deus ex machina del denaro, rappresentante del potere assoluto nel campo.
Si tratta di un frate che ha fatto voto di silenzio, padre Roberto Salus, di una scrittrice di libri per bambini,Claire, e di un musicista.
L’atmosfera rarefatta dell’albergo viene immediatamente turbata da un fatto inesplicabile: Daniel Rochè, subito dopo un colloquio privato con padre Roberto, muore suicida con un sacchetto di plastica appartenuto allo stesso frate avvolto sulla testa.


L’episodio getta nello sconcerto i ministri,sopratutto perchè Rochè era al corrente di un segreto scottante riguardante misure estreme stabilite dagli 8 per l’economia mondiale; il fatto che prima di morire il francese abbia avuto quello che appare un dialogo con relativa confessione con il frate diventa qualcosa di esplosivo nella mani di un uomo che, anche se vincolato al segreto della confessione, sa cose di vitale importanza per
l’economia mondiale e per l’equilibrio dello stesso pianeta.
Nonostante sia sollecitato a parlare di ciò che in realtà Rochè abbia detto nel suo ultimo colloquio, padre Roberto evita qualsiasi accenno alla questione, accogliendo anzi un’ulteriore confessione, quella del rappresentante italiano
che in disaccordo con la maggioranza dei ministri degli altri paesi è contrario alla politica che si intende attuare.
Salus mantiene un atteggiamento assolutamente distaccato sulle cose, finendo per condizionare anche la rappresentante del Canada. I ministri,ormai divisi, scossi anche dalla morte di Rochè e da un discorso bellissimo del frate
alla fine decidono di non attuare il loro piano, che, anche se non svelato chiaramente, avrebbe avuto effetti drammatici sul destino dell’economia del mondo.


Le confessioni, film uscito nelle sale nel 2016 per la regia di Roberto Andò è un’opera di ambientazione, con dialoghi dosati e quasi sussurrata. Non c’è azione, i movimenti sono rarefatti, sfuggenti come i protagonisti della storia.
Alla base di tutto c’è un segreto inconfessabile tale da creare problemi ad un uomo scafato come Rochè, che per sua stessa ammissione ha maneggiato, spostato e posseduto tanto di quel denaro da aver influito sulla sorte di molti governi.
Eppure Rochè, arrivato al momento,al punto di non ritorno rappresentato dal fatto di essere un ammalato terminale di cancro è così turbato dal suo segreto da non rivelarlo neppure a padre Roberto, che ne apprenderà la vera origine solo dal ministro italiano,
sconvolto psicologicamente dal segreto che custodisce con gli altri.
Ed è attorno a questo segreto, che non apprenderemo ma che possiamo solo intuire che il film si srotola, con un’analisi descrittiva più dei movimenti che delle psicologie, che intuiamo dai volti, dalle mezze frasi,dalla tensione che gli otto condividono fra loro.
Il tema affrontato è il denaro, l’economia, chi regge veramente le fila del mondo. E la risposta che traspare dal film, illustrata dalle parole di Rochè, è il dio denaro, la vera leva che muove il mondo.


Su tutto poi aleggia la figura tra il misterioso e il mistico di padre Roberto,che in passato era stato un illustre matematico; l’uomo percorre i corridoi e il parco dell’albergo in silenzio, meditabondo,con quel fardello misterioso, il segreto non confessabile che appare terribile
in un momento preciso, quando il frate esce dal colloquio con il ministro italiano. Lì anche l’imperturbabile e impassibile frate vacilla, quasi sconvolto dalla rivelazione della confessione dell’italiano.
Un film esclusivamente d’atmosfera, però ricco di sfaccettature che messe assieme forniscono un racconto che dal punto dell’interesse non viene meno.
Il finale è aperto anche in virtù degli ultimi minuti del film, forse sconcertanti ma che lasciano allo spettatore la scelta di come interpretarli.
Ottime prove da parte del ricco cast: benissimo il solito Toni Servillo (padre Salus), molto bravo Favino (il ministro italiano), bravissimo Daniel Auteil (Daniel Rochè).
Brave anche Connie Nielsen (la scrittrice) e in definitiva gli altri.
Un film interessante che vi consiglio di vedere.

Le confessioni
di Roberto Andò,con Toni Servillo, Connie Nielsen, Pierfrancesco Favino,Daniel Auteuil, Marie-Josée Croze, Moritz Bleibtreu. Genere Drammatico, – Italia, Francia, 2016, durata 100 minuti, distribuito da 01 Distribution.

Toni Servillo: Roberto Salus
Connie Nielsen: Claire Seth
Johan Heldenbergh: Michael Wintzl
Daniel Auteuil: Daniel Roché
Moritz Bleibtreu: Mark Klein
Pierfrancesco Favino: ministro italiano
Marie-Josée Croze: ministro canadese
Richard Sammel: ministro tedesco
Stéphane Freiss: ministro francese
Togo Igawa: ministro giapponese
Andy de la Tour: ministro inglese
John Keogh: ministro statunitense
Aleksej Gus’kov: ministro russo
Lambert Wilson: amante di Daniel Roché
Giulia Andò: Caterina
Julian Ovenden: Matthew Price
Jeff Burrell: agente
Ernesto D’Argenio: Ciro

Regia Roberto Andò
Soggetto Roberto Andò e Angelo Pasquini
Sceneggiatura Roberto Andò e Angelo Pasquini
Distribuzione in italiano 01 Distribution
Fotografia Maurizio Calvesi
Montaggio Clelio Benevento

marzo 17, 2020 Posted by | Drammatico | , , , , | Lascia un commento

The Confession

 

Roy Bleakie (Alec Baldwin) è un un apprezzato professionista di sicuro avvenire, un avvocato newyorchese disposto a scendere a patti col diavolo per ottenere il proscioglimento dei suoi assistiti. Per di più, ha una relazione passionale con la giudice che presiede una delle sue cause.
Un giorno, viene ingaggiato per difendere in giudizio il direttore finanziario di una rinomata società, Harry Fertig. Fertig è accusato di omicidio: ha ucciso un medico, un’infermiera e un operatore sanitario, responsabili del decesso del figlio Stevie (Ryan Marsini). I tre avevano trascurato di offrire assistenza e cure al bambino, morto in seguito per una banale appendicite.
Se riuscirà a dimostrare che Fertig era malato di mente al momento degli omicidi, Bleakie sarà ricompensato con la carica di Procuratore distrettuale. Su richiesta di Jack Renoble (Jay O. Sanders), capo di Fertig, l’avvocato tenta di far riconoscere Fertig incapace di intendere e di volere. Tuttavia, questa scelta difensiva viene contestata dal suo assistito. Fertig è un ebreo praticante dai forti valori umani e religiosi. Il cliente è determinato a dichiararsi colpevole dei tre omicidi, pur andando incontro alla pena di morte, per rendere giustizia al figlio. Incontro dopo incontro, l’avvocato approfondisce il rapporto con il suo cliente. Si rivolge a Sarah (Amy Irving), moglie di Fertig, per comprendere meglio le motivazioni del suo assistito. Avrà con lei una breve relazione.

Se da un lato è lusingato dalla prospettiva di una carica professionale importante, dall’altro è sospettoso delle intenzioni e delle motivazioni di Renoble. Bleakie intuisce che l’interesse di Renoble per la difesa del dipendente sorge da un motivazione oscura. Incarica il suo assistente a indagare sugli affari della società.
Scoprirà, in seguito, che Renoble ha inquinato un terreno adiacente al bacino idrico che rifornisce con acqua potabile la città di New York al fine di rendere necessario il filtraggio dell’acqua e di acquisire l’appalto milionario per l’operazione. Una volta dichiarata l’infermità mentale, Fertig non potrebbe essere escusso come testimone sull’intera vicenda dell’inquinamento. Ignaro delle mosse del datore di lavoro, Fertig viene messo a conoscenza dei fatti proprio dal suo legale.
In aula, di fronte al giudice, Fertig si lascia trasportare dal suo credo rischiando di passare per pazzo ma il suo difensore impedisce la dichiarazione dell’infermità mentale, avvalorandone la testimonianza nel processo che lui stesso preannuncia contro Renoble.
In occasione dell’arringa difensiva, mirata ad ottenere il riconoscimento della responsabilità di Fertig per i tre omicidi, Bleakie sottolinea la differenza fra la legge umana e quella divina. Secondo Bleakie il sistema giudiziario si è allontanato dalla giustizia e dai valori morali che dovrebbe rappresentare. Ottiene la pena detentiva alla quale ambiva il suo assistito e tronca i piani di Renoble fornendo le prove per un rinvio a giudizio.

Il film, che potrebbe essere valutato come un comune legal thriller, è in realtà un dramma morale cui sviluppo è costruito sui momenti dello Spirito oggettivo appartenenti alla filosofia hegeliana: diritto astratto, moralità ed eticità. Questi concetti vengono espressi attraverso il personaggio Fertig per tutta la durata del film.
La manifestazione del volere libero del singolo individuo, considerato come persona giuridica, ossia nella sua capacità esteriore di compiere atti giuridicamente corretti, indipendentemente dai caratteri specifici che lo caratterizzano (diritto astratto); il momento della libertà soggettiva, in cui l’uomo non è più considerato nella sua esteriore capacità di contrattare, ma nella sua dimensione interiore (moralità); infine, l’eticità, definita da Hegel “il concetto della libertà divenuto mondo sussistente e natura dell’autocoscienza” – la moralità sociale, ovvero la realizzazione concreta del diritto e del bene nelle forme istituzionali della famiglia, della società civile e dello Stato.

Forse il lettore percepirà una forzatura nel rimando a Hegel e alla sua filosofia. Ma qui gli elementi appena elencati ci sono tutti: moralità, eticità e legalità. Sono questi i concetti che sorreggono la trama narrativa.
Personalmente non ho letto il romanzo “Fertig” di Sol Yurick. Non so, pertanto, quanto la pellicola si discosti dall’opera letteraria. Ad ogni buon conto, nel film i dialoghi sono tecnicamente ben curati.
Ottima la prova attoriale del premio Oscar, Ben Kingsley. Buona anche quella di Amy Irving che interpreta la moglie di Fertig, Sarah. Un po’ sotto tono invece Alec Baldwin nelle vesti del legale di fiducia di Fertig, Roy Bleakie.
Il film mantiene un buon ritmo per tutta la sua durata. Da vedere, non deluderà gli amanti del genere.

The Confession

un film di David Jones con Alec Baldwin, Ben Kingsley, Amy Irving, Richard Jenkins, Kevin Conway, Jay O.Drammatico,Usa 1999

 

Alec Baldwin: Roy Beckle
Ben Kingsley: Harry Fertig
Amy Irving: Sarah Fertig
Jay O. Sanders: Jack Renoble
Kevin Conway: Mel Duden
Anne Twomey: Judy Crossland
Richard Jenkins: Coss O’Donell
Boyd Gaines: Liam Clarke
Chris Noth: Mike Campuso

Regia David Jones
Soggetto basato sul romanzo “Fertig” di Sol Yurick
Sceneggiatura David Black
Produttore Elie Samaha, Alec Baldwin, Corrinne Mann
Fotografia Michael Seresin
Montaggio Peter Honess
Musiche Mychael Danna

“Molto spesso penso che il mondo sia solo dolore.”
” Pensiamo che sia difficile fare quello che è giusto. Difficile è sapere cosa è giusto fare. E quando si sa cosa è giusto, è difficile non farlo.”
“- Sono sempre stato sicuro di quello che facevo. Sono sempre stato sicuro di fare quello che andava fatto. Per certi versi ero come tuo marito… per certi versi… .
– Non posso aiutarti.
– A volte nella vita desideriamo una cosa, la vogliamo intensamente, senza ottenerla. Otteniamo qualcos’altro per poi scoprire che era quello di cui avevamo bisogno.”
“Faccio l’avvocato da molti anni e, immancabilmente, a ogni processo, finisce che insegno al mio cliente qualcosa sulla legge con la l minuscola, come in legge dello Stato di New York. Questo processo invece è stato diverso. Ho avuto io l’opportunità di imparare cose sulla legge dal mio cliente, legge con la l maiuscola come in Legge di Dio, la legge divina. Il miglior avvocato del mondo non può tirarti fuori, non può patteggiare, non può avere sconti di pena.”

marzo 15, 2020 Posted by | Drammatico | , , , | 1 commento