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Il giocattolo

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La rivincita di un uomo qualunque.O anche la giustizia fai da te che si sostituisce all’ordine costituito.O ancora una pistola come prolunga fallica in grado di diventare una ragione di vita.O altro ancora,scegliete voi.Le chiavi di lettura di Il giocattolo sono tante,molteplici.

E ognuna si incastra perfettamente nella sceneggiatura del film che Giuliano Montaldo dirige nel 1979 in un momento storico particolarmente confuso;l’Italia è ancora sotto choc dal cruento episodio di Via Fani,durante il quale ha scoperto un terrorismo ormai avviato allo scontro frontale con lo stato e senza più mediazioni.La parabola crudele e violenta del terrorismo stesso sta per volgere al termine (anche se ci saranno colpi di coda negli anni 80) ma questo gli italiani non lo sanno.C’è solo molta paura,in giro,c’è voglia di sicurezza,di tranquillità.Invece gli episodi cruenti legati al terrorismo e alla malavita organizzata (sono gli anni della banda della Magliana) hanno diffuso insicurezza e instabilità.

Montaldo scrive una sceneggiatura in cui questi temi entrano da una porta secondaria,almeno all’apparenza;viceversa una lettura attenta propongono drammaticamente sullo sfondo le vere motivazioni del film,nel quale il personaggio di Barletta,uomo placido e dalla vita qualunque viene coinvolto in qualcosa molto più grande di lui e finisce per diventare un simbolo della ribellione del cittadino qualsiasi alla violenza quotidiana.Ma non bisogna farsi attrarre dalla facile lettura univoca di questo aspetto del film;nello stesso sono toccati più temi,quello dell’amicizia e quello del quotidiano di una vita anonima,quello del sociale e quello del quotidiano di tutti coloro che si trovarono a vivere quegli anni straordinari ma al tempo stesso così complicati,in un periodo storico che traghettò l’Italia dagli anni di piombo agli incredibili anni ottanta,quelli del tutto è a portata di mano e quelli della vita da cicale che avrebbero fatto da incubatrice alla grande crisi socio economica degli anni duemila.

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Il protagonista della pellicola è un uomo assolutamente e totalmente anonimo, il ragionier Vittorio Barletta;vita tranquilla,una delle tantissime nascoste nelle pieghe di una metropoli violenta e disumanizzante,vita condizionata dalla frustrazione sul lavoro ma sopratutto dalle precarie condizioni di salute di sua moglie Ada.L’unica consolazione del “ragiunier” sono gli orologi,che Vittorio ama e ai quali dedica il tempo libero;il lavoro è frustrante,sopratutto perchè Vittorio lo svolge alle dipendenze di un suo ex compagno di scuola,Nicola Griffo, che lo fa lavorare alle sue dipendenze non certo per amicizia.Griffo è un’affarista senza scrupoli,che ha trovato in Vittorio un comodo e servile collaboratore sul quale scaricare le eventuali responsabilità di affari sporchi nei quali quotidianamente si muove.

Così Vittorio divide un’esistenza soffocante, disumanizzante, stretto fra una falsa amicizia,un lavoro insoddisfacente e una moglie malata.Sarà una rapina in un supermercato a segnare una svolta imprevedibile nella sua vita.Coinvolto nella sparatoria seguente all’atto criminale,Vittorio resta ferito seriamente ad una gamba;durante la riabilitazione conosce un poliziotto,Sauro Civera,che gli mostra immediatamente simpatia.Vittorio è meridionale come Sauro,napoletano;la matrice comune,l’identità che i due ritrovano nel sentire e nel vedere,in quell’essere emigrati in una terra fondamentalmente ostile li avvicina e tra loro nasce un rispetto e un’amicizia solida.

Sarà il poliziotto a cambiare per sempre la vita di Vittorio il giorno in cui lo porta ad un poligono e gli fa sparare i primi colpi di pistola.Sotto lo sguardo allibito dell’istruttore del poligono (il compianto Daniele Formica),Vittorio mostra un talento naturale nell’uso della pistola tanto da centrare tutti i bersagli.Sauro regala a Vittorio una pistola,che lo stesso avrà modo di usare contro un bersaglio umano una sera nella quale le vite dei due finiscono per dividersi definitivamente;Sauro muore in un conflitto a fuoco e Vittorio uccide uno dei banditi.

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Per il ragionier Barletta la vita diventa un incubo.Se per i cittadini è un eroe che ha fatto vendetta da se,per i malviventi è diventato un nemico.Vittorio viene perseguitato con minacce,mentre la situazione di salute di sua moglie continuano a peggiorare.Con il cuore colmo di angoscia la vita prosegue,ma sempre più alienante;una sera Vittorio viene circondato da alcuni malviventi. Dopo aver finto paura,spara e ferisce alcuni malviventi.Ora non è più solo un giustiziere ma anche un uomo pericoloso,che la polizia incrimina per eccesso di legittima difesa.La situazione precipita.Vittorio viene incarcerato proprio mentre sua moglie si aggrava;una sera riceve la visita della figlia di Griffo,Patrizia,che lo seduce e poi racconta tutto a suo padre.Griffo decide di licenziare Vittorio,non prima di essersi re intestato conti e danari detenuti da Vittorio.Ora per il ragioniere è davvero finita.

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Medita vendetta e di usare per l’ultima volta il giocattolo,la sua fedele pistola ma…Un Nino Manfredi una volta tanto non romano presta il volto all’anonimo Vittorio Barletta con misura e drammaticità,come del resto richiesto dalla sceneggiatura.Alla quale collaborò lo stesso attore ciociaro,mostrando la sua poliedricità come autore e sopratutto un camaleontismo incredibile come attore.Basti pensare alle due grandi interpretazioni successive in Cafè express e in Nudo di donna (terza e ultima regia dell’attore),in cui metterà in scena due personaggi differenti e complessi.

Il giocattolo è un film molto interessante, al quale si può riconoscere un difetto grosso anche se non capitale,ovvero l’aver voluto mettere troppa carne al fuoco contemporaneamente alla descrizione della figura,tutto sommato dolente,di un ragioniere qualsiasi alle prese con vicende troppo più grandi di lui.Ma la regia scorre veloce e grazie ad un cast estremamente misurato e di valore naviga a gonfie vele fino all’amaro finale e alle parole profetiche (un po retoriche) che Barletta e sua moglie pronunciano,

””Ma dove sono tutti?”

“E dove sono? Sono tutti lì davanti alla televisione!”

“Ma qualcuno avrà pure sentito lo sparo…?”

“Ma ormai chi vuoi che s’accorga di un colpo di pistola?”

Una resa del cittadino qualunque che capisce di essere un granello di sabbia in un deserto.Sicuramente a tratti affiora l’ombra del qualunquismo,alcune scene e alcuni concetti sono davvero tagliati con l’accetta.Ma l’impianto narrativo resta di prim’ordine e la maschera dolente di Manfredi copre alcune inevitabili grossolanità della trama.Tributi a Un borghese piccolo piccolo di Monicelli (la vendettad i un uomo qualsiasi in questo caso sull’assassino del figlio),Il giustiziere della notte (un uomo abile con la pistola fa giustizia da se) e L’arma di Squitieri.Per quanto riguarda il citato cast,straordinario Arnoldo Foa, unico nei ruoli di “antipatico”,che spesso gli venivano affidati per quella sua aria a metà strada tra il canagliesco e l’aristocratico.Bravissimo il compianto Vittorio Mezzogiorno,bravissimo nel ruolo del poliziotto Sauro che inizierà Barletta all’uso della pistola,mentre decisamente brave sono le principali interpreti femminili,ovvero Marlene Jobert che rende perfettamente la fragile e malata Ada,Pamela Villoresi nel ruolo della figlia di Griffo,Patrizia (memorabile la scena dei “gorillini”che intende rifilare al padre) e infine Olga Karlatos,nobile e bellissima nel ruolo della moglie dello scaltro Nicola Griffo.

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Molte luci,mescolate a diverse ombre; Montaldo passa dalle biopic Giordano Bruno e Sacco e Vanzetti ad una storia che comunque affonda le radici nella storia degli anni di piombo.Lo fa a modo suo,con lucidità ma anche con mano pesante.Un film controverso,comunque da vedere.

Pur passando spesso in tv,Il giocattolo non ha ancora una versione digitale.E’ presente in una versione presa dalla tv su You tube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=f8Hif5fxvTU 

Il giocattolo

Un film di Giuliano Montaldo. Con Nino Manfredi, Olga Karlatos, Marlène Jobert, Pamela Villoresi, Arnoldo Foà, Vittorio Mezzogiorno, Loris Bazzocchi, Mario Brega, Mario Cecchi, Carlo Bagno, Luciano Catenacci, Arnaldo Ninchi, Renato Scarpa, Daniele Formica Drammatico, durata 118 min. – Italia 1979

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Il giocattolo banner protagonisti

Nino Manfredi: Il ragioniere Vittorio Barletta

Olga Karlatos: Laura Griffo

Marlène Jobert: Ada, sua moglie

Pamela Villoresi: Patrizia Griffo

Arnoldo Foà: Nicola Griffo

Vittorio Mezzogiorno: Sauro Civera

Loris Bazzocchi

Mario Brega: Un rapinatore

Mario Cecchi

Carlo Bagno: Lo scopino del carcere

Luciano Catenacci: “Gorilla” di Griffo

Arnaldo Ninchi: L’intervistatore della tv

Renato Scarpa: L’armaiuolo

Daniele Formica: Gualtiero l’istruttore di tiro

Margherita Horowitz: Proprietaria della pizzeria

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Regia Giuliano Montaldo

Soggetto Sergio Donati

Sceneggiatura Sergio Donati, Giuliano Montaldo, Nino Manfredi

Produttore Claudio Mancini, Sergio Leone

Fotografia Ennio Guarnieri

Montaggio Nino Baragli

Musiche Ennio Morricone

Scenografia Luigi Scaccianoce

Costumi Franco Carretti, Erminia Ferrari Manfredi

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“Eh, non lo so! Oggi si rischia la vita tutti i minuti; vale la pena di curarsi il mal di testa? Non lo so, fai te!”

“Questa è una 38 con bam masterpiece, canna da 165, 1332 gr. di peso, massima precisione, è un fatto di balistica, ma voi che cazzo ne sapete di balistica?”

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L’opinione di Will Kane dal sito www.filmtv.it

Inquadrato fin dall’inizio come un uomo pavido e alle prese con situazioni troppo grosse per lui, Vittorio è un ometto sulla cinquantina senza pretese, che conduce una vita familiare monotona, ha una moglie con cui comunica relativamente, e spesso preferisce occuparsi della riparazione della sua collezione di orologi:fin quando non si ritrova nel bel mezzo di una rapina in un supermercato, dopodichè gli entra una fissa per le pistole e monta in lui una paranoia sempre crescente che lo porta ad affezionarsi troppo al peso di un’arma in mano. Su un tema del genere uscì, quasi contemporaneamente, “L’arma” di Squitieri con Stefano Satta Flores, ed è chiarissimo il riferimento all’operazione di Monicelli-Sordi con la riuscita di “Un borghese piccolo piccolo”. Anche se il cast tecnico è di prima categoria(Morricone però fa un pò troppo il verso a se stesso e “Indagine su un cittadino…”), Montaldo infarcisce di eccessi retorici copione e film fino a renderlo da drammatico grottesco, vedasi l’incredibile declamazione finale in una scena altrimenti di forte impatto, e non sfrutta bene un Manfredi che vorrebbe ripetere il numero di Albertone in veste violenta:abbastanza ambiguo nella fin troppo sottolineata tesi di base( la violenza è punita solo se a praticarla è un poveraccio come il protagonista? e allora che deve fare un uomo per recuperare rispetto e dignità, secondo la sceneggiatura), “Il giocattolo” sembra andare avanti a tastoni, dimenticandosi di un personaggio imprescindibile per la storia come quello di Vittorio Mezzogiorno dopo la sua dipartita.E se la coppia al centro della vicenda ha momenti di credibilità concreta, soprattutto quando l’uomo, di fronte alle difficoltà adotta un modo di reagire bambinesco e passivo, molti dei personaggi di contorno sembrano tagliati con l’accetta.

Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com

B. Legnani

Incredibile come il film, dopo un primo tempo davvero buono, crolli nel secondo, laddove l’accettabile romanzesco si fa inverosimiglianza allo stato puro, ma non quella che s’amalgama col grottesco, bensì quella che fa dire “ma non è possibile…”, fino al bruttissimo, gratuito finale (non sapevano come chiudere il film?). Manfredi bravissimo, anche se talora la sagace ironia tipica dei suoi caratteri non si sposa benissimo col personaggio. Grandi pure Foà e Mezzogiorno: molto più del film, se viene preso nel suo complesso.

Galbo

Vero e proprio noir italiano, il film di Giuliano Montaldo è per molti versi complementare al capolavoro di Monicelli Un borghese piccolo piccolo. Gran parte del merito per la riuscita del film va ad un ottimo Nino Manfredi, che riesce a rendere con molta efficacia il ruolo di un uomo qualunque, completamente soggiogato dal possesso di un’arma che diventa mezzo per l’affermazione della propria personalità.

Homesick

Storia tragica che affronta i temi della delinquenza dilagante, il diritto alla legittima autodifesa, i rischi della giustizia privata, lo sciacallaggio e il cinismo dei giornalisti, le contraddizioni della legge. Superlativi Manfredi, che passa con disinvoltura dal comico al drammatico, lo spregiudicato affarista Foà, la malinconica ed apprensiva Jobert, la ninfomane Villoresi, il gagliardo Mezzogiorno. Da vedersi parallelamente a L’arma di Squitieri, con il quale, tra l’altro, condivide l’idea della pistola come estremo rimedio ad una virilità frustrata.

Markus

Il regista Giuliano Montaldo si cimenta nella commedia, narrando la vicenda drammatica di un modesto ragioniere, timido e riservato di giorno, ma giustiziere di notte (il richiamo a Il giustiziere della notte è evidente), adattandolo al clima terroristico dei nostri anni di piombo e aggiungendoci l’aggravante di aspetti psicologici che turbano il rapporto di coppia tra il ragioniere e la moglie, oltre che molti aspetti della società malsana, per altro ancora molto attuali.

Cangaceiro

Altra variazione italiana sul tema de Il giustiziere della notte dopo Un borghese piccolo piccolo. Manfredi dosa bene il suo sarcasmo e conferma una volta di più la propria bravura nei panni del povero Cristo solo e sprovveduto con moglie malaticcia a carico. Montaldo conferisce alla vicenda un’atmosfera cupa e plumbea che colpisce molto. La storia però soprattutto nella seconda parte perde di veridicità, risultando approssimativa, con un finale troppo melodrammatico e improbabile. Perfetta comparsata di Mezzogiorno, ossessive le musiche di Morricone.

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settembre 28, 2015 Posted by | Drammatico | , , , , , , | 2 commenti

1997 Fuga da New York

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Lo schermo è completamente nero.Una musica quasi lugubre,elettronica introduce un fotogramma che dice semplicemente “John Carpenter’s Escape from New York”Poi i nomi dei protagonisti,sempre in campo nero: Kurt Russell,Lee Van Cleef,Ernest Borgnine,Donald Pleasance.Si segue l’ordine di comparizione in scena.I titoli svaniscono improvvisamente,una voce narrante recita:

« 1988: l’indice di criminalità negli Stati Uniti raggiunge il 400%. Quella che un tempo fu la libera città di New York diventa il carcere di massima sicurezza per l’intero paese. Un muro di cinta di 15 metri viene eretto lungo la linea costiera di Jersey, attraverso il fiume Harlem, e giù lungo la linea costiera di Brooklyn. Circonda completamente l’isola di Manhattan, tutti i ponti e i canali sono minati. La forza di polizia statunitense, come un esercito, è accampata intorno all’isola. Non vi sono guardie dentro il carcere. Solo i prigionieri e i mondi che si sono creati. Le regole sono semplici: una volta entrati, non si esce più »

Sullo sfondo compaiono le Twin tower; un elicottero,nel buio più completo squarcia con le sue luci l’oscurità.In acqua si intuisce che qualcuno a bordo di un canotto sta fuggendo da Manhattan;una voce metallica dice “avete 10 secondi,invertite la rotta e tornate indietro”Un missile d’avvertimento viene sparato verso l’imbarcazione che prosegue nonostante l’avvertimento la sua marcia.Un secondo dopo viene centrata da un missile.Queste sono le sequenze iniziali di 1997 fuga da New York,film diretto nel 1981 da John Carpenter,un film inclassificabile come genere (metà science fiction,metà fantasy o altro) ma che terrà avvinto dall’inizio alla fine lo spettatore sulla poltrona,grazie alla magica alchimia di Carpenter che con mezzi spartani ottiene un prodigio da far invidia ai moderni prodotti tutti a base di computer grafica.Protagonista assoluto del film è Jena Plissken (Snake nella versione originale,dal serpente tatuato sul braccio del protagonista),un ex ufficiale condannato a morte per essersi rifiutato di sparare su dei civili.Un uomo duro e cinico,disilluso,con una benda che gli copre l’occhio sinistro;sguardo immobile e strafottente,”Jena” sembra ormai disinteressato a tutto,quasi non appartenesse più al mondo dei vivi.

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Mentre avviene il trasbordo di Plissken,l’aereo presidenziale viene dirottato da terroristi;l’aereo stesso si schianta su Manhattan e il presidente può salvarsi (solo lui) grazie alla capsula di sopravvivenza che atterra in una città spettrale,in rovina.Il segnale emesso dalla capsula viene raccolto dalle unità anti crisi che circondano l’isola di Manhattan e poste sotto il comando del commissario di polizia Hawk che si precipita con un gruppo di soldati sull’isola.Ma la capsula presidenziale è vuota.

Un uomo dall’aspetto simile a quello di uno zombie si avvicina a Hawk:”Se mi toccate muore,se non sparite entro 30 secondi muore,se ritornerete muore”In silenzio mostra allo sconcertato Hawk un dito amputato con un anello;appartiene al presidente e ad Hawk non resta altro da fare che ordinare la ritirata dei soldati.Lo stesso Hawk decide di utilizzare l’unico uomo in grado di poter penetrare senza essere visto nell’isola di Manhattan,”Jena” Snake Plissken.Tutto da seguire (e da godere) il dialogo tra i due:

“Che parliamo a fare? (Jena)

-Ho un affare per te. Ti sarà perdonata ogni azione criminale che hai commesso negli Stati Uniti. C’è stato un incidente: circa un’ora fa un piccolo jet è precipitato nel centro di New York. C’era a bordo il Presidente.(Hawk)

-Presidente di che? (Jena)

-Questa non è spiritosa. Tu entri là, trovi il Presidente, lo porti fuori entro 24 ore, e sei un uomo libero.(Hawk)

-24 ore, eh? (Jena)

-Ti sto facendo un’offerta.(Hawk)

-Balle. (Jena)

-Attendibile e onesta.(Hawk)

-Ci voglio pensare.(Jena)

-Non c’è tempo. La risposta.(Hawk)

-Fate un nuovo Presidente.(Jena)

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Ma Jena accetta;gli viene impiantata con una pistola una capsula che alla scadenza delle 24 ore lo ucciderà se non avrà riportato indietro il presidente.Da quel momento per Plissken ha inizio una corsa contro il tempo;atterra sulle Twin tower grazie ad un aliante e scopre che il presidente è nelle mani del Duca di New York, un bizzarro e crudele uomo di colore che si atteggia a capo dei prigionieri dell’isola e che scorazza per la stessa su di un’auto pacchianamente agghindata con lampadari.Grazie all’aiuto non proprio disinteressato di una sua vecchia conoscenza,Harold ‘Mente’ Helman,della sua donna Maggie e di un tassista,dopo rocambolesche avventure e colpi di scena,fra inseguimenti e scazzottate in un mondo in cui domina solo la violenza e la legge del più forte,Plissken torna alla base.Magistrale colpo di scena finale…

Alcuni spettatori e qualche critico distratto ha spesso accostato 1997 fuga da New York a Blade Runner;nulla di più sbagliato perchè a parte l’ambientazione futuristica (molto più accentuata in Blade runner) le due pellicole non hanno quasi nulla in comune.Blade runner è un film che sfocia nel psicologico e filosofico,1997 è invece puro intrattenimento anche se di gran lusso.Carpenter gira un film tecnicamente perfetto,avvincente e con un finale ironico ai confini del sarcastico.Siamo nell’azione pura,non c’è molto spazio per nessuna indagine psicologica;Plissken è un uomo deluso e in lotta per la propria vita,nelle 23 ore che possiede per salvare in primis la sua vita e poi quella del presidente (della quale non si interessa affatto) è costretto ad una affannosa lotta contro il tempo, contro il Duca e contro le miserevoli parvenze di vita umana che si aggirano come fantasmi in una New York ormai abbandonata a se stessa,spenta e abbruttita,in cui l’unica legge esistente è quella della giungla.Certo, a volerli cercare i significati ci sono,eccome.Ma il film è troppo veloce,pieno di colpi di scena per permettere riflessioni in contemporanea alla proiezione.

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Ciò avviene poi.Lo scenario apocalittico nel quale si muove Plissken sembra anticipare un futuro nemmeno troppo lontano,che Carpenter pone nel 1997 e che per fortuna sembra ancora li da venire.I personaggi del film non hanno alcun senso morale, a partire da Hawk per finire con il presidente.Appaiono opportunisti anche Mente e Maggie,il Duca e i suoi accoliti;forse l’unico personaggio candido è il tassista,immerso nel ricordo delle glorie e dei fasti di una New York viva appunto solo nei ricordi.Il film scorre ad alta velocità,sempre sottolineato puntualmente dalla musica tetra e apocalittica scritta e composta dallo stesso Carpenter.

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Ma gran merito del successo del film va ascritto alla maschera creata da Kurt Russell,quella di uno “Jena” Snake Plissken lontanissimo dall’immagine di un eroe.Qui siamo di fronte al contrario ad un antieroe, quasi un asociale che deve muoversi in un mondo senza regole e senza leggi.E Russell presta il suo volto granitico,le sue smorfie amare,l’occhio bendato ad un Carpenter in stato di grazia.Grandi anche gli altri interpreti del film, a partire da Lee Van Cleef nella sua ultima performance di rilievo;l’attore,che morirà meno di un decennio dopo, parteciperà solo a qualche film di Margheriti senza lasciare alcun segno.Bravissimo Isaac Hayes nel ruolo del duca.Il musicista americano può essere definito un attore prestato alla canzone,vista la straordinaria capacità mimica,lo sguardo da cattivo e la presenza scenica che ha.Brava la Barbeau (all’epoca moglie del regista) nel ruolo di Maggie ma da segnalare c’è sopratutto la maiuscola prova di Borgnine,ancora una volta a suo agio in un ruolo non certo facile,quello del tassista che porta in giro Plissken in una New York che assomiglia più alla Serajevo degli anni 90 che alla capitale culturale degli Usa.

Bravi gli altri attori del cast,incluso un mellifluo Donald Pleasance che però resta in scena molto poco.Un film unico e bellissimo,un vero classico del fantasy;difficile trovare difetti in un film che avvince dal primo all’ultimo fotogramma.Carpenter,reduce da Halloween (1978) e The fog (1980) proverà a ripetere il successo di 1997 Fuga da New York nel 1996 con Fuga da Los Angeles,con esiti a dir poco deludenti se non disastrosi.Troppo tempo era passato da Fuga da New York,lo stesso Russell non aveva più il carisma del primo film e la sceneggiatura dello stesso apparve incerta,confusa.

Con Russell il regista di Carthage girerà ancora il discreto La cosa,l’ottimo e sottovalutato Grosso guaio a Chinatown e il citato Fuga da Los Angeles,ambientato 15 anni dopo Fuga da New York e girato esattamente 15 anni dopo.Ma la magia dei film,sopratutto di alcuni,risiede nella loro unicità.E 1997 fuga da New York non aveva bisogno di un sequel.

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Il film è disponibile all’indirizzo http://www.dailymotion.com/video/x2nknfq in una versione poco più che passabile.

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1997 – Fuga da New York

Un film di John Carpenter. Con Kurt Russell, Lee Van Cleef, Donald Pleasence, Isaac Hayes, Ernest Borgnine Titolo originale Escape from New York. Avventura, durata 99 min. – USA 1981

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Kurt Russell: Snake “Jena” Plissken

Lee Van Cleef: commissario Bob Hauk

Ernest Borgnine: tassista

Donald Pleasence: presidente degli Stati Uniti

Isaac Hayes: il Duca

Frank Doubleday: Romero

Season Hubley: ragazza al Chock Full O’Nuts

Harry Dean Stanton: Harold ‘Mente’ Helman

Adrienne Barbeau: Maggie

Tom Atkins: Rehme

Charles Cyphers: segretario di stato

Nancy Stephens: capo dei terroristi

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Carlo Valli: Jena Plissken

Gianni Musy: commissario Bob Hauk

Bruno Alessandro: tassista

Sandro Tuminelli: presidente degli Stati Uniti

Giorgio Gusso: il Duca

Luigi Montini: Rehme

Marzia Ubaldi: Maggie

Giulio Platone: Harold ‘Mente’ Helman

Lorenza Biella: ragazza al Chock Full O’Nuts

Sergio Di Stefano: uomo dei servizi segreti,voce registrata del platone nucleare

Claudio De Angelis: Dottore

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Regia John Carpenter

Soggetto John Carpenter, Nick Castle

Sceneggiatura John Carpenter, Nick Castle

Produttore Debra Hill, Larry J. Franco

Casa di produzione AVCO Embassy Pictures, City Film, Goldcrest Films International, International Film Investors

Distribuzione (Italia) Medusa Film

Fotografia Dean Cundey

Montaggio Todd Ramsay

Effetti speciali Roy Arbogast

Musiche John Carpenter, Alan Howarth

Tema musicale Main Title

Scenografia Joe Alves

Costumi Stephen Loomis

Trucco Ken Chase

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L’opinione di Alan Wake dal sito http://www.filmscoop.it

Da una sceneggiatura nata e cresciuta sin dagli inizi della sua carriera, Carpenter crea “1997: Fuga da New York”, forse la sua pellicola più visionaria, originale, profonda, critica e in grado di offrire anche un sano intrattenimento.Con una prova di maturità già superata diversi suoi film precedenti, Carpenter si ritrova nella sua forma migliore a dirigere uno dei suoi film migliori.Il regista riesce a mescolare diversi generi (una delle sue abilità più notevoli), riuscendo a dare uno spirito pessimistico ed un tono leggero e abbordabiledal governo e costretto ad entrare nella New York popolata dai criminali di ogni genere: entro 24 ore dovrà salvare il presidente e recuperare l’audiocassetta oppure verrà ucciso.La visionarietà di Carpenter mette il luce un governo che ha perso ogni traccia di democrazia, a metà strada tra la repubblica e la dittatura.Perfettamente plasmato è il personaggio di Plissken, un’icona coraggiosa, intelligente, anarchica ma idealista, posto da Carpenter nelle mani dei veri potenti del mondo: il governo. Snake diventa così un semplice burattino, e il suo spirito di “serpente” rimane quello di una preda nelle grinfie del rapace (ovviamente l’aquila degli USA, nel simbolismo di Carpenter)Impossibile non cogliere ed apprezzare la scenografia di Alves, assecondata dalla visionarietà del regista che sfrutta una location perfetta e la cura ancora meglio. Ottima la fotografia di Cundey nelle scene notturne, cupa ed elegante.Le condizioni della città, trasformata in un enorme ghetto, sono a tal punto miserabili che anche nell’enorme degrado sociale generale vi è uno scalino ancora più in basso: nonostante gli abitanti della città siano dei criminali, nelle fogne abitano una sorta di sub-criminali, rappresentati da dei cannibali che fuoriescono al calare delle tenebre.Anche una nuova forma di politica si è instaurata nel carcere di New York: odiato dagli stessi carcerati senza manette, vi è il Duca, che decide vita e morte dei cittadini.In realtà Carpenter, nella sua sceneggiatura, mostra da una parte i Repubblicani e dall’altra i Democratici (concetto che calcherà ancora più a fondo in “Fuga da Los Angeles”) mostrando la loro poca differenza e, senza troppi sensi metaforici, il proprio parere politico su di essi (criminali in tutti i sensi).Uscito dal carcere, l’umanità del protagonista sembra essere aumentata (chiamami “Plissken”), come se stremato dal mondo circostante.A brillare sono la geniale sceneggiatura, la perfetta regia ed un incredibile Kurt Russell che cambia completamente prestazione dopo “Elvis -il re del rock”, mostrando un personaggio freddo dentro e dall’espressione disgustata. Una recitazione stellare, coinvolgente e convincente, in grado di creare un personaggio immortale.Di carattere teatrale, invece, gli altri personaggi, che producono comunque una buona recitazione.Altro gioiello è la colonna sonora di Carpenter, probabilmente una delle sue migliori.Film immortale e geniale. Una delle migliori pellicole della storia cinema. al film.Nel lungometraggio si assiste sin da subito ad una descrizione accurata, estetica e non, di un futuro non lontano in cui la violenza e la criminalità hanno inghiottito la società.Protagonista è dunque un degrado sociale incrementato, seppur in poco tempo, così notevolmente che la città di New York è divenuta letteralmente un enorme carcere a cielo aperto. Come dice l’iniziale voce narrante, qui vengono rinchiusi tutti i criminali d’America per non uscirne più.Un attentato terroristico, però, fa precipitare il jet del presidente, diretto ad una conferenza mondiale ed in possesso di una importantissima audiocassetta.Inizia così la triste e avvincente avventura del protagonista Snake Plissken (trasformato in Italiano senza ritegno in “Jena”), ex-marine tutt’altro che patriottico, ricattato 

L’opinione del sito http://www.splattercontainer.com

(…) 1997 – Fuga da New York è il Cult per eccellenza, il punto di riferimento per il cinema d’azione post-apocalittico, il vademecum su come tratteggiare il personaggio perfetto. 1997 – Fuga da New York è il film che non potete non aver visto.Siamo di fronte al mito, ma il mito è all’altezza della sua fama?Da un lato il film è di ottima fattura: meravigliosa l’ambientazione notturna, dà la sensazione che l’azione si svolga in un luogo dove la notte è perenne; sempre preciso il trucco e parrucco dei malviventi; puntuale ed efficace (anche se un tantino ripetitiva) la colonna sonora.Dall’altro il ritmo è lento, l’azione quasi assente, i colpi di scena pure. Dopo il bellissimo finale, resta la sensazione di aver visto un capolavoro incompiuto. Ritengo che John Carpenter abbia fatto di meglio a livello di fantascienza (La Cosa), di azione (Grosso guaio a Chinatown) e di critica sociale (mascherata da fantademenza in Essi vivono).Alcuni critici l’hanno giudicato un film politico. Fuga da New York è un film politico quanto un porno è un documentario di anatomia. Certo, ci sono le frecciatine all’imperialismo americano, la Statua della Libertà decapitata, una visione alquanto pessimistica del futuro e la violenza come unica risposta efficace, ma di quanti titoli potremmo dire cose simili?(…)

Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com

B. Legnani

Grandissimo. Regala i primi venti minuti semplicemente eccezionali, per ritmo, musica, interpretazioni e per il fatto, non frequentissimo, che colloca pressoché sùbito “in medias res”. Da brivido, nel post settembre 2001, vedere un aereo che sbatte contro un grattacielo di Manhattan. Il resto è spesso dello stesso livello (“cade” con l’inspiegabile “deus ex machina” finale rappresentato da Borgnine, che recita d’eccesso come sempre), con squarci d’enorme vigore (i “panem et circenses”, le metàfore). Imperdibile. Gli devono molto non pochi film.

Galbo

Decisamente una delle migliori produzioni della lunga e fruttuosa carriera di John Carpenter e della collaborazione artistica con Kurt Russell, che fa di Iena Plissken un personaggio memorabile. Il film è pregevole a partire dall’idea di New York trasformata in un ghetto carcerario: ottime la ricostruzione scenica e l’atmosfera cupa e notturna, che fanno di questo uno dei migliori noir metropolitani insiema a I guerrieri della notte di Hill e Distretto 13 dello stesso Carpenter. Ha avuto un sequel più debole.

Homesick

Buia, fumosa, fatisciente, cosparsa di fuochi, rifiuti e graffiti: questa l’istantanea della metropoli scattata da Carpenter – con sottofondo di musiche bellissime, orecchiabili ed epiche al contempo – per un’opera che si avvicina alle vette di Distretto 13. Con il suo Jena Plissken – fumettistico antieroe anarcoide – Russell entra di diritto nella storia del cinema, scortato dai sommi caratteristi Stanton, Borgnine, Hayes e dai veterani Van Cleef e Pleasence. Paradigma d’obbligo per tante pellicole su futuribili società massificate e violente.

Cotola

Uno dei film più imitati (sarebbe meglio dire copiati) degli ultimi 25 anni. A prescindere dalla storia, infatti, che è comunque particolarmente riuscita ed avvince lo spettatore per tutta la durata del film, quel che colpisce della pellicola è sicuramente la ricostruzione di una New York notturna che non avrà eguali successivamente nel cinema di genere. Uno di quei film in cui tutto (regia, sceneggiatura, attori, fotografia, musica) è semplicemente perfetto.

Daniela

Accostati lungo la strada, Iena, Mente e la sua squinzia stanno aspettando l’arrivo del Duca; appare la sua auto, con due grossi lampadari sopra i fari, e partono le prime note del refrain musicale. Avevo già decretato Russell versione pirata l’uomo più affascinante del mondo, ma sono stati quei lampadari e quelle note a farmi intensamente godere, godimento che si rinnova ad ogni visione. Non il più bel film di Carpenter (la Cosa straccia), forse neppure quello che amo di più (il Distretto è come il primo bacio, non si dimentica), ma certo uno sballo come pochi altri.

Rebis 1

Primo, memorabile incubo metropolitano a inaugurare almeno un ventennio di apocalissi urbane (anche in anticipo sull’umida babele di Blade Runner); il disagio politico e l’inquietudine sociale che lo animano fanno la differenza rispetto a tutto il cinema muscolare a venire. Carpenter, ispiratissimo e misurato, fa tesoro dell’astrattismo allucinato di Walter Hill e genera un clima catacombale e millenaristico d’eccezione. Sceneggiatura a orologeria, ritmo ossessivo e cinismo a palate. Precise sferzate di caustica ironia caratterizzano tutti gli interpreti. Jena Plissken è pura mitologia.

Caesars

Pur non essendo il miglior Carpenter, è sicuramente un lavoro molto buono e uno dei più apprezzati del grande regista. Ottima atmosfera, musica, fotografia e attori innegabilmente in parte. Forse a distanza di tanti anni ha perso un pò’ del suo fascino, ma rimane un grande esempio di come il talento del regista riesca a far entrare nella storia del cinema film la cui trama non è proprio memorabile. Da vedere e rivedere.

1997 fuga da New York banner soundtrack

1997 fuga da New York soundtrack

Main Title (3:54)

The Bank Robbery (3:30) *

Prison Introduction (0:20) **

Over the Wall/Airforce One (2:23)

He’s Still Alive/Romero (2:12)

Snake Plissken (1:41) **

Orientation (1:47)

Tell Him (1:46) **

Engulfed Cathedral [Debussy] (3:33) *

Accross the Roof (1:17)

Descent into New York (3:37)

Back to the Pod [Version #1] (1:34) *

Everyone’s Coming to New York (2:52)

Don’t Go Down There (0:19) **

Back to the Pod/The Crazies Come Out [Version #2] (2:09) *

I Heard You Were Dead (0:08) **

Arrival at the Library (1:06)

You Are the Duke of New York (0:17) **

The Duke Arrives/Barricade (3:35)

The President at the Train (2:53) *

Who Are You (0:27) **

Police Action (2:27)

Romero and the President (1:43)

The President is Gone (1:53)

Chase Accross the 69th Street Bird (2:46) *

Over the Wall (3:42)

The Name is Plissken (0:25) **

Snake Shake/End Credits (3:58) *

Snake Shake/End Credits (Bonus Track) (4:12) *

* : traccia inedita

** : dialogo

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Location

Art Center College of Design, Pasadena, California, USA

California Institute of the Arts, Valencia, California, USA

Chain of Rocks Bridge, St. Louis, Missouri, USA

Civil Courts Building – Twelfth Street, St. Louis, Missouri, USA

Cnr. Broadway & St Charles Street, Downtown, St. Louis, Missouri, USA

Doheny Library – 3550 Trousdale Parkway, University of Southern California, Los Angeles, California, USA

Downtown, St. Louis, Missouri, USA

East St. Louis, Illinois, USA

Fox Theater – 527 N. Grand Boulevard, St. Louis, Missouri, USA

Grand Hall, Union Station – 1 St Louis Union Station, St. Louis, Missouri, USA

Indian Dunes, Ventura County, California, USA

Liberty Island, New York Harbor, New York City, New York, USA

Los Angeles, California, USA

New York City, New York, USA

New York Harbor, New York City, New York, USA

San Fernando, California, USA

Santa Clarita, California, USA

Sepulveda Basin, Los Angeles, California, USA

St. Joseph, Missouri, USA

St. Louis, Missouri, USA

The Wiltern – 3790 Wilshire Blvd., Los Angeles, California, USA

Union Station – 1 St Louis Union Station, St. Louis, Missouri, USA

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settembre 25, 2015 Posted by | Drammatico | , , , , , | 3 commenti

Blow up

Blowup locandina 3

Una macchina fotografica e una pellicola, l’ingrandimento di un fotogramma (il cosiddetto Blow up) possono diventare una rappresentazione della realtà, di quanto visto oppure possono diventare manipolabili? E’ attendibile una sequenza di foto? Oppure comunque tutto dipende dall’osservazione? E poi, la realtà cos’è e in cosa consiste? Guardando Blow up di Michelangelo Antonioni ci si pone queste e molte altre domande; del resto si tratta di uno dei film più analizzati e commentati della storia del cinema, che offre molte interpretazioni e molti spunti di riflessione.

Il grande regista italiano utilizza un racconto di Julio Cortazar,La bava del diavolo che fa parte di un gruppo di 5 racconti inseriti in un libro uscito in libreria con il titolo Las armas segretas modificandolo a modo suo per creare un film assolutamente unico, di difficile interpretazione univoca.I temi affrontati ( e affrontabili dallo spettatore) passano indifferentemente dal tenue confine tra sogno e realtà, mescolato all’incomunicabilità e all’isolamento dell’individuo nello specifico nella opulenta e contraddittoria società inglese. Affrontare quindi la trama del film è impresa improba,proprio per la difficoltà di distinguere le reali azioni del protagonista,uno straordinario David Hemmings, da quell’immaginario che lui vede o crede di vedere. Un rapporto con il reale che il protagonista media con la sua macchina fotografica, occhio meccanico che coadiuva,sostituisce integra quello umano,creando di fatto una vita parallela con quella quotidiana.

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David Hemmings,uno tra i volti più anglosassoni immaginabili per la parte (come del resto Caine o Moore) si muove in uno scenario quasi onirico,sospeso tra un mondo che appare reale solo a tratti;è uno stimato ed apprezzato fotografo,forse un po frivolo ma in realtà il mondo nel quale si muove,la swinging london lo è altrettanto.Un mondo fatuo, in cui i rapporti umani contano poco.Disumano e disumanizzato,alienato per certi versi.

Thomas (questo il suo nome) è diventato anche lui un elemento inerte di quel mondo; eppure ha sentimenti,è un fotografo molto attento a ciò che avviene sotto i suoi occhi.Ma è anestetizzato, è figlio parzialmente incolpevole e inconsapevole della società inglese della metà degli anni sessanta;sta per realizzare un investimento,l’acquisto di una bottega antiquaria.Tuttavia non è affatto contento di se stesso e della sua vita; pur non avendo problemi con il lavoro e con le donne è inquieto e sfoga questa sua inquietudine girando ossessivamente alla ricerca di uno scatto,di qualcosa che lo ispiri davvero.

Durante una passeggiata davanti ad un parco Thomas nota due persone intente a scambiarsi effusioni;preso da un’istintiva curiosità,scatta alcune foto cercando di non farsi notare.

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Ma una donna si accorge della sua presenza e lo insegue;Thomas si allontana e si rifugia nel suo studio dove viene raggiunto dalla misteriosa Jane,la donna del parco che gli chiede insistentemente il rullino. Con una mossa a sorpresa, Thomas consegna a Jane un rullino non sviluppato e una volta che la stessa si è allontanata decide di esaminare gli scatti fatti.La sorpresa e lo sconcerto sono evidenti:nella foto a Thomas sembra di vedere qualcuno che ha commesso un omicidio.Così il fotografo decide di investigare personalmente; recatosi al parco trova il corpo inanimato dell’amante di Jane.

Tornato in studio, scopre che tutto il materiale riguardante Jane,il parco e il presunto omicidio è stato portato via.Una corsa al parco,dopo una notte a base di droga,rivela a Thomas una verità sconcertante:non c’è alcuna traccia del corpo dell’uomo…

Blow up si conclude quindi in modo enigmatico,lasciando molte più domande e poche risposte rispetto all’assunto iniziale.A cosa abbiamo davvero assistito?Spazio all’immaginazione.

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Dopo aver letto la trama,dopo aver visto il film, ci si interroga.Fatalmente,inevitabilmente.Ad una prima visione ed analisi alcune cose sembrano oscure,con una seconda visione appare qualche sprazzo di luce.Ma non è abbastanza.Tuttavia si può azzardare qualche ipotesi semplicemente analizzando l’opera del grande maestro.Il 1966 è un anno del tutto particolare;Londra è la capitale della cultura europea con Parigi,sembra esplodere con tutti i suoi fermenti,con la musica rock e pop che impazzano tra i giovani,con gli echi della contestazione giovanile,con le mode dei giovani che sembrano fare a brandelli un mondo che era immobile da tanto troppo tempo.

Antonioni si muove in silenzio su questo sfondo,cercando di mediare il personale del protagonista con il reale della vita londinese.Thomas sembra non capire bene il mondo in cui si muove.Un mondo moderno ma anche alienante;tutta la sua arte sembra perdersi nell’estraneante vita che lo circonda.E’ un fotografo,ma quello che vede sembra non conciliarsi con quello che la fotografia,mezzo meccanico infallibile e che non ha problemi di percezioni diverse da quello che impressiona in effetti gli produce.La realtà dei dormitori sulla quale inizialmente Thomas punta l’obiettivo è una delle facce della swinging london;una realtà pesante,oggettivamente.

Poi per Thomas arriva il momento fatidico,quello in cui deve confrontarsi inevitabilmente con quello che la sua macchina vede e quello che vede lui.Una realtà che non gli piace,ma anche una realtà che ha dei limiti:dove inizia e dove finisce quello che lui vede o crede di vedere?

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E allora eccolo studiare un fotogramma,con il blow up,la tecnica che permette di ingrandire un particolare,per cercare una spiegazione reale (perchè tale è un fotogramma) a quello che lui ha visto o che forse crede di aver visto.Nel fotogramma Thomas “crede” di scorgere un omicidio,ma è realmente così? Quanto la sua mente sta sostituendo la realtà del fotogramma con l’immaginazione?Siamo già di fronte ad un bivio.

Nulla può essere reale,neanche quello che sembrerebbe per leggi naturali doverlo essere per forza;come può una pellicola ingannare?Eppure…A questo punto ci si perde:se nulla è reale,cosa è irreale?Domande su domande.

Antonioni arriva a Blow up dopo L’avventura, La notte,L’eclisse e Deserto rosso e poco prima (quattro anni) di Zabriskie Point.

Il suo percorso sull’umano arriva ad un punto fermo,determinante.Il viaggio sembra compiuto,ma non ci sono risposte,solo altre domande.E come Diogene che cercava l’uomo con la lanterna senza riuscirci,Antonioni vaga alla ricerca dell’impossibile spiegazione del reale.

Blow up è un film criptico in alcuni momenti,chiaro come un’alba in altri.

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In mezzo c’è un viaggio lunghissimo,affascinante.Una storia che storia non è,quanto piuttosto un assieme di fotogrammi con una logica ferrea eppure a tratti sfuggente.Un viaggio senza fine,come testimoniano le sequenze finali,con la partita di tennis immaginaria giocata senza palline,con quei mimi che guardano statuari e con Thomas che guarda smarrito l’immenso campo verde ripreso dall’alto,sconsolato.Bello,affascinante,difficile.

Alcune delle qualità (per alcuni critici difetti) di un film che contrariamente a quanto pensato dal solito solone che lo definisce datato è invece uno straordinario viaggio senza meta e senza fine sull’uomo.Ottimo il cast,belle le musiche,bella la fotografia,affascinante la location londinese.Splendide e bravissime Sarah Miles, Vanessa Redgrave, Jane Birkin e la modella Veruschka

Un film impeccabile.Blow up è una delle cose più belle del cinema italiano, e ben se ne accorsero i francesi che l’anno successivo lo premiarono con la Palma d’oro,riconoscimento venuto dall’estero perchè i critici nostrani,si sa, hanno sempre amato i film afgani e coreani,mozambicani o di Timbuctu.

Irresistibile leggerezza dell’essere,quella dei critici.

Il film è in versione malauguratamente (scelleratamente) priva del finale su You tube,per cui non vale la pena segnalarla.Chi vuole però può visionare il film stesso in streaming all’indirizzo http://www.nowvideo.li/video/442e2ec849d6d

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Blow-up

Un film di Michelangelo Antonioni. Con David Hemmings, Sarah Miles, Vanessa Redgrave, Jane Birkin, Peter Bowles, John Castle, Gillian Hills, Tsai Chin, Veruschka von Lehndorff, Julian Chagrin, Claude Chagrin, Jeff Beck, Susan Broderick, Chris Dreja, Melanie Hampshire, Harry Hutchinson, Jill Kennington, Mary Khal, Chas Lawther, Jim McCarthy, Peggy Moffitt, Jimmy Page, Ronan O’Casey, Rosaleen Murray, Ann Norman, Keith Relf, Janet Street-Porter, Reg Wilkins Commedia, durata 108 min. – Gran Bretagna, Italia 1966.

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Blowup banner protagonisti

David Hemmings: Thomas

Vanessa Redgrave: Jane

Sarah Miles: Patricia

John Castle: Bill, il pittore

Jane Birkin: una ragazza bionda

Gillian Hills: una ragazza bionda

Peter Bowles: Ron

Veruschka: modella

Julian Chagrin: mimo

Claude Chagrin: mimo

Blowup banner cast

Regia Michelangelo Antonioni

Soggetto Michelangelo Antonioni, Julio Cortázar

Sceneggiatura Michelangelo Antonioni, Edward Bond, Tonino Guerra

Produttore Carlo Ponti, Pierre Rouve

Casa di produzione Bridge Films

Fotografia Carlo Di Palma

Montaggio Frank Clarke

Musiche Herbie Hancock

Scenografia Assheton Gorton

Costumi Jocelyn Rickards

Trucco Stephanie Kaye, Paul Rabiger

Blowup banner incipit romanzo

Le bave del diavolo

Non si saprà mai come raccontarlo, se in prima persona o in seconda, usando la terza del plurale o inventando continuamente forme che non serviranno a niente. Se si potesse dire: io videro salire la luna, oppure: ci mi duole il fondo degli occhi, e soprattutto così: tu la donna boinda erano le nubi che continuano a correre davanti ai miei tuoi suoi nostri vostri visi. Che diavolo.

Una volta cominciato a raccontare se fosse possibile andare a prendere una birra da qualche parte e che la macchina andasse avanti da sola (perchè scrivo a macchina), sarebbe la perfezione. E non è un modo di dire. La perfezione, si, perchè qui il buco che si deve raccontare è anch’esso una macchina (d’altro genere, una Contax I.I.2), e potrebbe darsi che una macchina ne sappia a proposito di un’altra macchina più di me, di te, di lei-la donna bionda- e delle nuvole. Ma dello scemo ho soltanto la fortuna, e so che se me ne vado questa Remington resterà pietrificata sopra il tavolo con quell’aspetto di doppiamente immobili che hanno le cose che si muovono quando non si muovono. Allora devo scrivere. Uno di noi tutti deve scrivere, se tutto ciò deve essere raccontato. Meglio che lo faccia io che sono morto, che sono meno compromesso del resto; io che non vedo altro che le nubi e posso pensare senza distrarmi, scrivere senza distrarmi (ecco, ne passa un’altra con un orlo grigio), e ricordarmi senza distrarmi, io che sono morto (e vivo, non si tratta di ingannare nessuno, lo si vedrà quando verrà il momento opportuno, perchè in qualche modo devo pur procedere e ho cominciato da questa punta, quella posteriore, quella dell’inizio, che dopotutto è la migliore delle punte, quando si vuole raccontare qualcosa).

All’improvviso mi domando perchè mai devo raccontrlo, ma se uno cominciasse a domandarsi perchè fa tutto quello che fa, (…) Che io sappia, nessuno ha spiegato il perchè di questo, sicchè la cosa migliore è piantarla con i pudori e mettersi a raccontare, perchè dopotutto nessuno si vergogna di respirare o di mettersi le scarpe; sono cose che si fanno, e quando succede qualcosa di strano, quando dentro la scarpa troviamo un ragno o al respirare si sente come un vetro rotto, allora bisogna raccontare quello che succede, raccontarlo ai ragazzi dell’ufficio oppure al medico. Ahi, dottore, ogni volta che respiro…Raccontarlo sempre, sempre togliersi quel noioso stuzzichio allo stomaco. E già che stiamo per raccontarlo, mettiamo le cose un pò in ordine, scendiamo le scale di questa casa fino alla domenica 7 di novembre, giusto un mese fa. Si scendono cinque piani e ci si ritrova nella domenica, con un sole inaspettato, per un novembre a Parigi, con moltissima voglia di andarsene un pò in giro, a vedere cose, a fare fotografie (perchè eravamo fotografi, siamo fotografo). So bene che la cosa più difficfile sarà trovare il modo di raccontarlo, e non ho timore di ripetermi. (…..)

Blowup banner citazioni

“La mia vita privata è già un tale pasticcio: sarebbe un disastro se…
E allora? Un disastro è quello che ci vuole, per vedere chiaro nelle cose.”

“Non ne posso più di Londra questa settimana
-Perché?
Perché non fa nulla per me…”

“Non è colpa mia se non c’è pace. C’è chi fa il torero, il deputato. Io faccio il fotografo…”

Blowup banner recensioni

 

L’opinione di Fabio 1979 dal sito http://www.filmtv.it

(…) Blow-up costituisce una delle opere più celebri del regista ferrarese, fonte d’ispirazione dichiarata, nelle sue metafisiche ed enigmatiche speculazioni sulla percezione della realtà, sulle possibilità del cinema di coglierne ogni sfumatura, sulla sconfitta dello sguardo e il trionfo dell’illusione e dell’immaginazione, di opere come La conversazione di Coppola o Blow out di De Palma: la realtà è inconoscibile, conclude Antonioni, profetico nel sancire il dominio assoluto dell’immagine nella cultura del tempo, perchè a forza di scomporla, frammentarla e sezionarla l’occhio umano ne smarrisce la comprensione, perdendo di vista l’oggetto della sua indagine e illudendosi di riuscire ad interpretarla. Pur con alcune forzature eccessivamente compiaciute, la controversa materia è governata da Antonioni con ambiziosa e brillante ispirazione, sorretta dalla raffinatezza delle scelte stilistiche ed immersa nelle suggestive locations londinesi dei mid-Sixties, spumeggiante cornice ambientale di un thriller metafisico risolto, per assurdo, proprio nella desolante consapevolezza dell’impossibilità di un’investigazione. Fotografia, magnifica, di Carlo Di Palma, colonna sonora, strepitosa, di Herbie Hancock e Palma d’Oro al festival di Cannes.

L’opinione di Alessandro dal sito www.mymovies.com

C’è una frase di Proust che recita “Il vero viaggio, il vero bagno di giovinezza sarebbe poter guardare il mondo con gli occhi di un altro”. Credo che in questa frase si possa racchiudere il senso di questo film di Antonioni. Hemmings alla fine si arrende. Lui abituato a fotografare, a rubare immagini, volti, sentimenti si rende conto che nè lui nè il suo strumento sono necessari per guardare e capire la realtà. La realtà è ciò che vedo? Ciò che registra la mia macchina fotografica? La fotografia di ciò che ho fotografato? No la realtà è altro, e saper guardare oltre, è imparare a veder l’invisibile, ad ascoltare l’inudibile. Ecco quindi l’altro, il mimo, e la scelta di Hemmings che raccoglie la palla da tennis. Non vedo ma credo ugualmente a questa realtà, accetto il tuo gioco, consapevole della mia finitezza e della mia transitorietà. Assuefatti ad una società strabordante di immagini dovremmo riflettere su questa lezione e fermarci. Forse semplicemente per ascoltare il vento

L’opinione di Albert dal sito www.mymovies.com

Blow-up è uno dei migliori – se non il migliore – film di Antonioni, poichè il tema che sviluppa, cioè il rapporto tra la realtà e l’apparenza e il ruolo preponderante dell’immagine nella nostra epoca, è attualissimo e di straordinaria importanza nella nostra civiltà telematica e della comunicazione “virtuale”. Per questo motivo, a differenza di quanto ha scritto un altro critico (Mereghetti), il film non è affatto “datato”, ma è attualissimo. Rispetto al 1967, noi ora sappiamo quanto la manipolazione televisiva, il ruolo della pubblicità, il potere subdolo dei media nell’orientare l’opinione pubblica e le sue preferenze politiche e nelle scelte di consumatore, siano determinanti e pervasivi oggi. Nel film si parla di un delitto occulto, avvenuto sotto gli occhi del fotografo protagonista (Thomas), ma ricostruito solo attraverso le tecnologie e gli ingrandimenti fotografici, e della sfiducia di Thomas di poter arrivare alla verità, una volta che le foto sono state rubate, e il cadavere è stato fatto sparire. Come non pensare, ad esempio, al “delitto del secolo”, all’assassinio di John Kennedy, qualche anno prima del film, che ha drammaticamente dimostrato come, perfino in un omicidio avvenuto in pubblico, filmato e fotografato da più persone, dopo oltre 40 anni ci si chieda ancora come siano andati i fatti, e se gli omicidi siano stati più di uno, contro la verità “ufficiale” e manipolata del governo e della commissione Warren, dell'”assassino solitario”. Il tema “filosofico” della realtà e dell’apparenza, e delle manipolazioni tecnologiche della verità, rendono quindi questo film ancor più bello e attuale, dopo 40 anni. Significativo il fatto che Thomas, nel suo spirito anarcoide e nella sua sfiducia nelle istituzioni, esiti a rivolgersi alla polizia, ma cerchi una soluzione personale, emblema del problema endemico del distacco tra cittadini e istituzioni, e dello scetticismo nella possibilità di arrivare alla verità e ottenere giustizia rivolgendosi al potere. L’unico appunto che si può muovere al film, riguarda la tipica “antonioniana” lunghezza e lentezza delle inquadrature, la mancanza di dialoghi, ma in considerazione del tema proposto, questa scelta espressiva tutto sommato accentua la tensione psicologica e il dramma personale del protagonista. Sarebbe invece sbagliato criticare la relativa “lentezza” del film inquadrandolo nella categoria dei “gialli”. Blow-up non è un thriller, è una riflessione filosofica ed esistenziale sull’isolamento dell’individuo nella società di oggi, e sulla sua impotenza di fronte alla manipolazione della realtà da parte della tecnologia e del potere.

Opinioni dal sito www.davinotti.com

L’opinione di Galbo

Profonda riflessione sul potere dell’immagine in uno dei film più riusciti del complesso percorso artistico di Michelangelo Antonioni. Il film vale anche come testimonianza del periodo in cui si svolge (1968) e soprattutto dell’ambiente (Londra) splendidamente e realisticamente fotografato, tanto che l’estetica delle immagini supera il potere concettuale dell’opera. Il film si segnala anche per la colonna sonora, assolutamente funzionale alle riprese.

Undying

Un pezzo, un brandello, uno spaccato di realtà, visto attraverso l’obiettivo d’una macchina fotografica. Londra è immersa nel clima del ’68, con giovani praticanti nuove ritualità (dalla droga ai nuovi temi musicali, senza trascurare la moda sinonimo d’eccentricità e modernismo). Tocca a Thomas (David Hemmings), cercare di decifrare – partento da piccoli dettagli, via via di enorme singolarità grazie all’uso dell’ingrandimento – indizi nascosti (e al tempo stesso raccolti) dall’occhio indiscreto di un macchina fotosensibile. Antonioni punta alla fallibilità dell’immagine e del suo replicarsi.

Il Gobbo

Feticcio del Gobbo, che confessa quindi subito la sua assoluta parzialità, e che a Londra è andato a scovare (all’estrema, squallidissima periferia, sbagliando treno e beccandosi una fraccata di pioggia) il Maryon Park, dove sono state girate le scene clou, e che è ancora identico a com’era nel film! Film capitale e fondativo di un’estetica, riuscita riflessione teorica ma – quel che più conta al cinema – catalogo di immagini indimenticabili, con uno dei più grandi finali di sempre. Prima colonna sonora di Herbie Hancock, eccellente. Altare

Pigro

Analizzando i suoi scatti un fotografo crede di scoprire un delitto. Nella ruggente ambientazione inglese dei favolosi Anni Sessanta, Antonioni costruisce una favola allucinata, onirica, sensuale e pop, che ci risucchia nel gorgo delle illusioni della società moderna. Bella l’atmosfera, sottile la storia raccontata, saccente l’intellettualismo. Un film ambivalente, insomma, che attrae e respinge. Un classico che rischia, oggi, di essere visto più perché entrato nei libri di storia del cinema che non per la sua reale capacità di convinzione.

Homesick

Titolo epocale, sia in quanto emblema cinematografico della Swinging London – gli artisti che coabitano in periferie degradate, i giovani contestatori, i complessi beat, le modelle – sia come sintesi dell’universo cinematografico di Antonioni: le tesi sull’incomunicabilità sono condotte agli eccessi con la scissione tra realtà oggettiva e percezione illusoria e la solitudine dell’uomo che ne è corollario, mentre l’erotismo è aggraziato e gentilmente penetrante come sempre sarà. Hemmings scorrazza frenetico, tirannico e stordito in armonia con una sceneggiatura eccentrica e a tratti surreale.

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77 Pottery Lane, Notting Hill, Londra, Inghilterra, Regno Unito
Clevely Close, Greenwich, Londra, Inghilterra, Regno Unito
Consort Road, Peckham, Londra, Inghilterra, Regno Unito
Economist Plaza – 25 St James’s Street, Londra, Inghilterra, Regno Unito
El Blason Restaurant – 8-9 Blacklands Terrace, Chelsea, Londra, Inghilterra, Regno Unito
MGM British Studios, Borehamwood, Hertfordshire, Inghilterra, Regno Unito
Maryon Park, Woolwich Road, Charlton, Londra, Inghilterra, Regno Unito
Notting Hill, Londra, Inghilterra, Regno Unito
Regent Street, Londra, Inghilterra, Regno Unito
Stockwell, Londra, Inghilterra, Regno Unito

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settembre 24, 2015 Posted by | Capolavori | , , , , | 2 commenti

In nome del Papa re

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«Qui non finisce perché arrivano gli italiani, gli italiani arrivano proprio perché è finita»
Queste parole,pronunciate dal Cardinale Colombo da Priverno al suo fido perpetuo  tre anni prima di quel fatidico 20 settembre 1870,giorno in cui cadde il potere temporale dei papi, rendono appieno il tramonto di un’epoca,durata un periodo lunghissimo,oltre 1100 anni,
I fatti narrati nel film del quale è protagonista assoluto proprio Mons.Colombo avvengono nel 1867,anno nel quale venne pronunciata l’ultima condanna a morte da parte della chiesa ai danni di due patrioti ,Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, accusati di aver provocato una strage facendo saltare la caserma Serristori in Roma causando la morte di oltre venti Zuavi.
Avvenimenti,quelli narrati dal regista Luigi Magni,recentemente scomparso,che squarciano l’oscurità che avvolge un periodo storico rimosso troppo in fretta dai libri di storia e che testimoniano l’aberrazione morale e ideologica di una religione che dimentica di sana pianta il perdono e finisce per utilizzare gli strumenti di uno stato per eliminare i “nemici”,colpevoli solo di opporsi ad una secolare ingiustizia rappresentata da un potere religioso asfissiante,che ottenebrò per secoli le coscienze delle masse a tutto vantaggio dei poteri costituiti.

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Luigi Magni,autore della trilogia ideale che include oltre a In nome del papa re il bellissimo Nell’anno del Signore (1969) e il più discontinuo In nome del popolo sovrano (1990 ) narra l’episodio storico citato con garbo e ironia,creando la figura del Cardinale Colombo (peraltro storicamente esistita) e portando sullo schermo molto liberamente il racconto I segreti del processo Monti e Tognetti di Gaetano Sanvittore ,scritto in uno stile arguto e scanzonato ad onta della serietà dell’argomento trattato.
Magni fustiga senza pietà,dietro una narrazione quasi leggera ma al tempo stesso drammatica,i fatti di sangue di quel 1867 che vide la morte dei due patrioti,assassinati da un potere ormai logoro che tentava disperatamente di restare abbarbicato ad anacronistici splendori di un tempo irrimediabilmente dissolto.
La figura di Colombo,uomo pieno di buon senso in netta contrapposizione con i suoi colleghi miopi ai limiti della patologia giganteggia in un mondo di pigmei,addormentati dietro i sogni di uno splendore passato;celebre la scena del consiglio dei cardinali che deve decidere del destino dei due patrioti con un cardinale che si sveglia dal sonno per votare a favore della condanna a morte.
Una scena dolorosa,che stigmatizza e punta l’indice su un potere assoluto ormai corrotto e moribondo,come la corte di ruffiani che circondava la Santa sede e papa Pio IX, uomo ambiguo e machiavellico che alla fine sarà addirittura beatificato da papa Giovanni Paolo II nonostante la terribile macchia delle esecuzioni avvenute durante il suo pontificato.

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Tornando al film,i protagonisti in realtà sono due;il citato Cardinale Colombo e l’epoca storica in cui avvennero i fatti narrati.
L’epoca è quindi quella del tramonto del potere temporale,a cui i fatti narrati dettero un colpo mortale.
Nel film viene raccontata la storia di Cesare Costa,il giovane figlio illegittimo della Contessa Flaminia accusato insieme agli amici Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti di aver provocato la strage descritta in inizio di narrazione;la donna,per salvare il figlio,si rivolge al Cardinale Colombo,rivelandogli che il ragazzo è suo figlio,frutto della relazione intercorsa tra i due anni addietro.
L’improvvisa scoperta della paternità mette in crisi Colombo,che tuttavia decide di intervenire nascondendo in casa sua sia il Costa che Teresa,la giovane fidanzata del ragazzo.
Un’operazione che si rivelerà inutile;Colombo non riuscirà a salvare il ragazzo,che verrà ucciso dal Conte Ottavio, marito di Flaminia che lo crede amante della moglie né i due patrioti,che verranno giustiziati dopo un processo farsa nel quale nonostante la difesa appassionata di Colombo verrà decretata la morte dei due giovani.
Il film termina con la presa di Porta Pia, che finalmente abbatterà un potere marcio e sanguinario e consegnerà Roma all’Italia e restituirà almeno in parte la Chiesa ad un ruolo storico più defilato,anche se purtroppo molto influente nel secolo successivo.
Magni descrive attentamente il periodo storico,creando figure dolenti come quella di Colombo e paradossali come quella del Generale gesuita,il cosiddetto papa nero,al quale il Cardinale,con un gesto di estremo coraggio nega l’assoluzione e la comunione nel drammatico finale.
Film anticlericale,sicuramente.
Ma con tante buone ragioni.

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Le figure legate alla chiesa appaiono grottesche nel film,disumane,come del resto è disumano un potere che si arroga il diritto di giustiziare due giovani vite dimenticando in toto le fondamenta stesse della fede e sopratutto il perdono.
Ma Magni bada più a fornire un quadro storico degli avvenimenti il più veritiero possibile;ci riesce grazie anche alla presenza di un gigantesco Manfredi,in un uno dei suoi ruoli drammatici più intensi della carriera,quello dell’ironico,dolente e arguto Colombo,uomo in crisi non tanto con la fede quanto con le gerarchie ecclesiali,che avverte lontanissime anni luce dalla gente e dalla realtà.
L’appassionato discorso che Colombo/Manfredi tiene davanti al Sant’Uffizio resta una delle cose più importanti della carriera di Manfredi.
L’ironia mista a disperazione e consapevolezza dell’inutilità delle proprie parole sono rese in modo magistrale dal grande attore ciociaro.
Magni,dopo aver utilizzato Manfredi nel ruolo di Pasquino nel suo bellissimo Nel giorno del signore,film nel quale aveva scritturato un cast all stars (la Cardinale,Sordi,Tognazzi,Salerno,Hossein,lo stesso Manfredi ecc.) sceglie per questo film dei comprimari di grande valore,come Carlo Bagno, godibile e insuperabile partner di Manfredi nel ruolo del perpetuo saggio ma anche petulante,come salvo Randone,luciferino nel ruolo del generale dei Gesuiti e la bravissima Carmen Scarpitta nel ruolo della contessa Flaminia.

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Il gruppo è ben affiatato,la sceneggiatura è ottima,i costumi dell’epoca ricostruiti fedelmente,la colonna sonora (e la bandiera di tre colori è sempre stata la più bella,noi vogliamo sempre quella noi vogliam la libertà) adeguata e in tema.
Bisogna però tornare un attimo sul ruolo di Manfredi;serio,arguto e faceto,malinconico e irriverente,il suo cardinale Colombo appartiene più alla sfera dei grandi che al limitato e indolente mondo ecclesiale;un pensatore che usa troppo il cervello e poco l’obbedienza (come suggerirebbe il generale dei Gesuiti) e quindi assolutamente pesce fuor d’acqua e pecora nera del gregge ecclesiale.
La mimica e il volto di Manfredi si adattano e di volta in volta sembrano fondersi in una maschera quasi tragica,quella del testimone di un mondo in dissoluzione, rappresentante suo malgrado di un ordine,di una “specie” ormai condannata dalla storia.
Perchè tale appare la gerarchia ecclesiastica,nel film;una casta ancorata ai privilegi,fantasma muto di un’epoca per fortuna scomparsa,oscurantista e corrotta,che ha prodotto guasti incalcolabili nel corso della storia.
Bravo quindi Magni a stigmatizzare con l’ironia quel potere,senza usare il becero anticlericalismo immotivato di altri suoi colleghi.
Un film assolutamente fondamentale per capire e conoscere un’epoca così travagliata come quella raccontata nel film.

In nome del Papa re

Un film di Luigi Magni. Con Nino Manfredi, Carmen Scarpitta, Danilo Mattei, Ron, Giovannella Grifeo,Carlo Bagno, Ettore Manni, Salvo Randone, Camillo Milli, Giovanni Cianfriglia, Gabriella Giacobbe, Renata Zamengo, Luigi Basagaluppi, Giovanni Rovini Drammatico, durata 105 min. – Italia 1977.

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Nino Manfredi: mons. Colombo da Priverno
Danilo Mattei: Cesare Costa
Carmen Scarpitta: contessa Flaminia
Giovannella Grifeo: Teresa
Carlo Bagno: il perpetuo Serafino
Ettore Manni: conte Ottavio
Gabriella Giacobbe: Maria Tognetti
Camillo Milli: don Marino
Rosalino Cellamare: Gaetano Tognetti
Giovanni Rovini: presidente tribunale
Salvo Randone: Generale Gesuita
Nino Dal Fabbro: procuratore
Renata Zamengo: Lucia Monti
Luigi Basagaluppi: Giuseppe Monti

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Regia Luigi Magni
Soggetto Gaetano Sanvittore (romanzo I segreti del processo Monti e Tognetti)
Sceneggiatura Luigi Magni
Produttore Franco Committeri
Casa di produzione Jupiter Generale Cinematografica
Fotografia Danilo Desideri
Montaggio Ruggero Mastroianni
Musiche Armando Trovajoli
Scenografia Lucia Mirisola
Costumi Lucia Mirisola

In nome del papa re banner citazioni

“Sembra ieri che i leoni ce se magnavano ar colosseo”
“A Roma cambiano i tempi ma tanto chi se ne accorge;magari ve credete che siamo qui ancora a condannare Giordano Bruno”
“La nostra legge non cambia:deriva direttamente dal vangelo.
“Noi crediamo nell’obbedienza,loro nelle bombe;e certo che hanno torto ma non per questo abbiamo ragione noi”
“Le greggi vanno di qua,vanno di la,vanno dove capita;ma il pascolo è tutto del signore”
“E mo’ me poi pure sparà, perché m’hai gia sparato!”
“Però, mori’ a vent’anni fa incazzà.
Eh…i ribelli morono sempre a vent’anni: pure quando nun morono. “
“D’altra parte, io come lo crescevo? Lo mandavo alla caccia alla volpe, lo allevavo tra servi e carrozze, lo facevo diventare come il conte Ottavio… un imbecille. “
“Giovanotti, a Roma c’è la guerra, è inutile che se lo nasconnemo. E qui so’ zompati per aria ventitré soldati di un esercito che, siccome è er nostro, ce po’ pure dispiace’, ma sapete chi è stato a falli zompa’? […] soldati di un altro esercito che non è il nostro, un esercito in borghese. Ma stiamo attenti, eccellentissimi padri, che quando un esercito è in borghese, è un esercito di popolo, e cor popolo, ce se sbatte sempre er grugno. “

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I misteri del processo Monti e Tognetti, di Gaetano Sanvittore

Il prete di vettura.

“V’ha in Roma una classe di preti diseredati, che non hanno alcuna
parte nell’orgia dei lauti _piatti_ e delle grasse prebende. Questi
sciagurati vengono chiamati comunemente _preti di vettura_.

Per essi il maggior provento di lucro è quello che traggono dai
mortori; e perciò a somiglianza dei corvi costoro fiutano l’odore dei
morti, e calano a stormo sul fresco cadavere di un estinto.

La loro opera, tanto per l’_associazione_, come per la messa, viene
appigionata da un sensale, che contratta _a cottimo_ col sagrestano
della parocchia, gli fornisce un dato numero di preti, e distribuisce
a ciascuno di essi la dovuta mercede. La parte migliore del mortorio
rimane naturalmente al sensale e al sagrestano; quelli che ne ricavano
minor profitto sono i preti di vettura.

Questi preti traggono dunque una magra esistenza, accanto alle
lautezze dei prelati e dei cardinali. Potrebbero paragonarsi al
mendico che raccatta le briciole sotto la mensa dell’Epulone.
Un prete di vettura, fra i cinquanta e i sessant’anni, piccolo, magro,
con un viso da buon uomo, su cui stavano dipinte le afflizioni di una
vita stentata, il quale rispondeva appunto al nome di don Omobono,
sgambettava per le vie di Roma, nella mattina del giorno 22 ottobre
1867.
Il suo cappello colle ale disfatte, il suo abito stretto e monco, le
calze di un nero rossastro, e le scarpe scalcagnate attestavano lo
stato poco florido delle sue finanze; mentre i lineamenti del suo
volto smunto portavano l’impronta della timidezza e della
rassegnazione.”

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L’opinione di Paolo89 dal sito http://www.mymovies.it

Chiamatelo come volete: pietra miliare, cult, must. In nome del papa re è un film imprescindibile, uno di quei film che i guri americani dei manuali di sceneggiatura farebbero a gara per avere nei loro libri.
Ma non basta: Nino Manfredi è bravissimo e perfettamente convincente nella parte di un monsignore membro della Sacra Consulta, dalla fede genuina e pieno di buon senso. Ecco perchè quando un’influente contessa gli chiede di salvare il suo figlio segreto Cesare, rivoluzionario reo di aver partecipato a un attentato contro degli zuavi francesi filo-papali, cerca prima di convincerlo a tornare dalla madre e poi lo nasconde con la forza in casa sua. Il conflitto più grande, però, non è contro l’autorità che sta cercando Cesare. È contro il potere giuridico, temporale, che la Chiesa esercita in modo ottuso e intransigente, commettendo gli stessi soprusi che commetterebbe una qualsiasi altra istituzione statale ma giustificandoli dietro la parola di Dio. Ma non basta, ancora: la vicenda, drammatica e avvincente, è racchiusa in una cornice di sagace ironia, critica intelligente e umorismo, magnificamente alternati sia dall’interpretazione di Manfredi e dei suoi comprimari (Salvo Randone soprattutto), sia dai ritmi calibrati della narrazione. Il genere di meccanismo che gratifica sia chi guarda un film per puro piacere personale, sia chi lo fa con più consapevolezza perchè del mestiere. Poco importa che In nome del papa re abbia vinto quattro Nastri d’argento, perchè un’opera di valore la si riconosce a prescindere dai riconoscimenti ‘ufficiali’.
Da notare e ricordare: una coppia di scene, set-up e pay-off, in cui Manfredi dà la Comunione alla madre di uno dei condannati, rifiutato e al Generale Gesuita / Salvo Randone poi, questa volta negandogliela lui. Che bellezza!
L’opinione di Galbo dal sito http://www.davinotti.com

Probabilmente il film più riuscito di Luigi Magni, racconta una storia che investe la curia della Roma papalina, durante i moti risorgimentali.
Il film si avvale di un’ottima ricostruzione ambientale, realizzata anche grazie all’ausilio del linguaggio popolare verace, ma nello stesso tempo non ostico. Ottima inoltre la prova degli interpreti, tra i quali spiccano Nino Manfredi e il grande Salvo Randone. Da vedere.

L’opinione di Ianrufus dal sito http://www.davinotti.com

Invito i più giovani a recuperare questa splendida prova di Nino Manfredi su DVD (è un Medusa, uscito già da qualche anno) perché è la testimonianza di come ancora 30 anni fa era possibile in Italia fare pellicole belle e di grande successo (fu campione d’incasso in tempi di Guerre Stellari di Lucas). Magni e Manfredi disegnano atmosfere già bazzicate in un bel episodio di Signore e signori, buonanotte oltre che nel mitico Nell’anno del signore, altro campione d’incassi nel 1969!

L’opinione di Anthony f.dal sito http://www.filmscoop.it

Capolavoro sulla Roma Risorgimetale, secondo della famosa “Trilogia Papalina”, diretto magistralmente da Luigi magni, con un grande Nino Manfredi nei panni del giudice pontificio, monsignor Colombo da Priverno, chiamato da molti “Don Colombo”. La sceneggiatura è brillante, ricca di freschezza e di pura ironia, basata, tra l’altro, su fatti storici, realmente accaduti, e su documenti risalenti al periodo dell’ambientazione ottocentesca, tra cui “I segreti del processo Monti e Tognetti” di Gaetano Sanvittore, 1869, Milano. Le scenografie sono ben curate e soprattutto realizzate in maniera accurata e lineare; la regia di Magni, ottima sotto in punto di vista, con i suoi leggeri movimenti di macchina da presa, con le sue inquadrature lente ed accurate e con i suoi leggiadri primi piani, simili a quelli leoniani; le musiche del maestro Armando Trovajoli sono incantevoli e trascinanti, tra cui mi sento di citare il famoso canto “La Bandiera dei Tre Colori”; e gli interpreti, guidati dal grande Nino Manfredi, semplicemente magistrali.
Superiore persino a “Nell’Anno del Signore”.

L’opinione di signor Joshua dal sito http://www.filmtv.it

(…) Ma la vera abilità del regista, sta più che altro nel saper cambiare registro così rapidamente, e quasi in ogni scena, mantenendo però sempre alta la credibilità, e sempre presente il sentimento dell’opera davvero immenso). È un peccato, quindi, che una pellicola così ambiziosa e riuscita, venga fatta concludere in un finale tanto retorico, e completamente fuori posto: nella scena dell’omicidio di Cesarino, si rasenta quasi il ridicolo, con il marito tirato a lucido, la madre che corre dal figlio guerrafondaio senza versare una lacrima, ed i deliri assurdi di quest’ultimo, nonché l’immediata fuga dell’ignorante fidanzatina del ragazzo. È proprio un peccato, perché immediatamente dopo, c’è una delle scene più belle e potenti di tutto il film: gli inquisitori vanno da Manfredi che sta celebrando la messa, e quando passa di fronte al corrotto “capo”, mentre sta dando la comunione, gli dice “A te no”, e viene giù la sala (metaforicamente parlando). Riamane comunque un opera importante, che si fa notare soprattutto per un Nino Manfredi in stato di grazia che buca lo schermo, una colonna sonora bellissima, ed una storia fondamentalmente intelligente ed attuale.

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settembre 23, 2015 Posted by | Drammatico | , , , , | 6 commenti

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settembre 22, 2015 Posted by | Photogallery | | Lascia un commento

V per Vendetta

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5 novembre 1605 a Londra il trentaseienne Gui Fawkes,militare inglese,tentò di assassinare re Giacomo I d’Inghilterra e di sterminare in un colpo solo tutti i membri del parlamento inglese con un attentato passato alla storia come La congiura delle polveri,attentato dinamitardo che prevedeva di far saltare per aria l’intero Parlamento.Scoperto pochi istanti prima che riuscisse nel suo intento,Fawkes venne arrestato e sottoposto a tortura;alla fine stremato e agonizzante,l’uomo rivelò i nomi dei suoi complici che vennero arrestati e condannato a morte con loro.

Fawkes venne dapprima impiccato,poi decapitato e infine squartato,triste sorte riservata a coloro che attentavano alla vita dei monarchi.Da quel momento il suo volto,stilizzato,divenne famoso come La maschera di Fawkes.E da questo episodio storico il grandissimo Alan Moore autore di fumetti come Batman: The Killing Joke, Watchmen, From Hell ottiene ispirazione per il suo V per vendetta,mutuandone anche la maschera che diverrà l’inseparabile compagna del rivoluzionario inglese.Con la collaborazione di David Loyd,geniale illustratore,Moore crea un personaggio fra i più amati del mondo dei fumetti,anche se definire tale V per vendetta appare davvero riduttivo.Nel 2005 l’australiano James McTeigue dirige l’opera tratta dal fumetto,suscitando le ire di Moore,che disconobbe il film;il che a ben vedere suona come un paradosso,visto sia il successo ottenuto dalla pellicola sia la buona accoglienza riservata dalla critica al film.

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I motivi dei dissapori tra Moore e James McTeigue sono da ricercarsi sicuramente nelle grandi differenze tra il fumetto e la storia visiva;ancora una volta Moore rimane deluso da una riduzione delle sue opere,cosa che era accaduta ( a ragione) con film come La leggenda degli uomini straordinari e La vera storia di Jack lo squartatore entrambi davvero deboli rispetto al forte impatto visivo della penna di Moore.Grazie alla sceneggiatura dei fratelli Andy e Lana Wachowski il film vede la luce nel 2005.Sono 130 minuti di bel cinema,appassionante e dal fascino sottile il risultato di questa operazione,una delle migliori,a mio giudizio,trasposizioni cinematografiche di una Graphic novel,termine probabilmente più ampio per descrivere l’opera di Moore. La trama in breve:

Ricorda per sempre il 5 novembre, il giorno della congiura delle polveri contro il parlamento. Non vedo perché di questo complotto, nel tempo il ricordo andrebbe interrotto. Ma l’uomo? So che il suo nome era Guy Fawkes e so che nel 1605 tentò di far esplodere il parlamento inglese. Ma chi era realmente? Che tipo d’uomo era? Ci insegnano a ricordare le idee e non l’uomo, perché l’uomo può fallire. L’uomo può essere catturato, può essere ucciso e dimenticato. Ma 400 anni dopo ancora una volta un’idea può cambiare il mondo. Io sono testimone diretto della forza delle idee, ho visto gente uccidere per conto e per nome delle idee, li ho visti morire per difenderle… Ma non si può baciare un’idea, non puoi toccarla né abbracciarla; le idee non sanguinano, non provano dolore… le idee non amano. Non è di un’idea che sento la mancanza ma di un uomo, un uomo che mi ha riportato alla mente il 5 novembre: un uomo che non dimenticherò mai. (Evey)”

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Siamo in Inghilterra,il periodo è quello che va grosso modo tra il 2005 e il 2015; dieci anni di lotte intestine e sconvolgimenti sociali hanno generato un periodo di instabilità politica e sociale.Il partito nazionalista di Adam Sutler,approfittando di un attacco biologico che ha prodotto quasi centomila morti ha preso il potere,instaurando nel paese una dittatura feroce e repressiva fino agli estremi limiti.La popolazione assiste inerme e inerte,tanto che V,il giustiziere che comparirà a breve sulla scena non esita a dire parole profetiche e amare:”Ma ancora una volta, a dire la verità, se cercate un colpevole non c’è che da guardarsi allo specchio.”Tutto sembra sotto il controllo assoluto di Sutler,di Peter Creedy,potente capo della polizia segreta,che ambisce a prendere il posto di Sutller,di Lewis Prothero,presentatore televisivo di gran successo.All’improvviso a turbare l’ordine costituito arriva un misterioso individuo,V,vestito di nero e con il volto coperto da una maschera che ricorda il dinamitardo Gui Fawkes;l’uomo compare nella tv durante il pranzo,arringando in modo colto il pubblico casalingo attonito ma al tempo stesso affascinato dalle sue parole.Chi è il misterioso V,chi si nasconde dietro la sua maschera?

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Apprendiamo frammenti del suo passato. V.è stato vittima di terrificanti esperimenti biologici,promossi da Sutler per tenere sotto controllo la nazione ma anche per specularci su.E’ stato lui a incendiare il laboratorio nel quale era sottoposto agli esperimenti,rimanendo però orribilmente ustionato.Un incontro importante per l’economia della storia è quello tra V. e Evey Hammond, una giovane che ha perso la famiglia e che V. sottrae ad un tentativo di stupro all’inizio del film.V.inizia la sua vendetta,eliminando uno dietro l’altro i responsabili dell’esperimento in cui è rimasto orribilmente sfigurato ma anche della morte di decine di migliaia di persone.Lewis Prothero,il potente capo dell’informazione,responsabile del campo in cui era costruito il laboratorio è il primo a cadere.Tocca poi a James Lilliman, un vescovo pedofilo che esercitava nel campo a cadere,grazie anche alla collaborazione di Evey ed infine alla dottoressa Delia Surridge che ucciderà con una iniezione letale.Inseguito dall’ispettore capo Eric Finch,un onesto funzionario di polizia, poco convinto dell’onestà dei suoi capi, V.arriva al momento della verità,quello in cui dopo aver arringato la folla e averli finalmente convinti della necessità di agire,spinge le cose fino alle estreme conseguenze,grazie anche all’aiuto di Evey.La trama è molto più complessa e presenta tante sfaccettature,che non ho spiegato per evitare di rivelare troppo del film.Un film teso e avvincente,vibrante,una volta tanto con una tematica di fondo ben precisa e innestata su un racconto collaudato come la storia di Moore;fece molto male lo sceneggiatore inglese a misconoscere quest’opera. Ben al di là delle correzioni apportate da James McTeigue alla graphic novel,il film ha una sua vita e interesse davvero unici.

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L’appassionante storia del vendicatore mascherato,nemico del potere e libertario convinto che da solo scuote una popolazione anestetizzata dalla propaganda buca lo schermo,colpisce lo spettatore.Il messaggio anarchico di V. per quanto non condivisibile nei mezzi ma solo nelle intenzioni ha un impatto dirompente;lo spettatore parteggia per il vendicatore, anche se utilizza mezzi assolutamente poco ortodossi per raggiungere il suo scopo.Che in fondo è nobile:risvegliare le coscienze anestetizzate dalla propaganda e dal brutale sistema poliziesco instaurato da Sutler e accettato supinamente da tutti.

Molte le scene da antologia del genere;una su tutte,il gigantesco domino che V.abbatte con tanto di esplosione finale,l’imprigionamento di Evey,l’assalto alla sede della tv,la consegna delle maschere alla popolazione, i rivoltosi vestiti come V. che fronteggiano l’esercito,l’esplosione finale. Un film davvero bello, retto anche da un cast di ottimo livello,con una ottima e seducente Natalie Portman nel ruolo di Evey e in qualche modo va citata anche la recitazione corporea di Hugo Weaving,che non compare mai con il suo volto.

Bella la sequenza girata nel covo di V.,che mostrano capolavori artistici fra i quali I coniugi Arnolfini,l’enigmatico dipinto di Jan van Eyck,il superbo jukebox Wurlitzer ecc.Un film di raro interesse e fascino,che potrete vedere in una versione di discreto livello qualitativo all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=RhKD5AYHfDE

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V per vendetta

Un film di James McTeigue. Con Hugo Weaving, Natalie Portman, Stephen Fry, Stephen Rea, John Hurt,Sinéad Cusack, Nicolas De Pruyssenaere, Eddie Marsan, Tim Pigott Smith, Rupert Graves, Roger Allam, Ben Miles, Natasha Wightman, John Standing, Clive Ashborn, Emma Field-Rayner Titolo originale V for Vendetta. Fantascienza, durata 120 min. – USA, Germania 2005

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Hugo Weaving: V
Natalie Portman: Evey Hammond
Stephen Rea: Eric Finch
Tim Pigott-Smith: Peter Creedy
John Hurt: Adam Sutler
Stephen Fry: Gordon Deitrich
Rupert Graves: Dominic Stone
Roger Allam: Lewis Prothero
Ben Miles: Roger Dascombe
Sinéad Cusack: Delia Surridge
Natasha Wightman: Valerie Page
Imogen Poots: Valerie Page (giovane)
John Standing: Vescovo Anthony James Lilliman
Eddie Marsan: Brian Etheridge
Clive Ashborn: Guy Fawkes

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Gabriele Lavia: V
Connie Bismuto: Evey Hammond
Marco Mete: Eric Finch
Stefano De Sando: Gordon Deitrich
Omero Antonutti: Adam Sutler
Luciano De Ambrosis: Peter Creedy
Massimo Lodolo: Dominic Stone
Oreste Rizzini: Lewis Prothero
Christian Iansante: Roger Dascombe
Maria Pia Di Meo: Delia Surridge
Chiara Muti: Valerie Page
Bruno Alessandro: Vescovo Anthony James Lilliman
Franco Mannella: Brian Etheridge
Tonino Accolla: Sosia di Adam Sutler/Generale

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Regia James McTeigue
Soggetto Alan Moore e David Lloyd (graphic novel)
Sceneggiatura Andy Wachowski, Lana Wachowski
Produttore Larry Wachowski, Andy Wachowski, Grant Hill, Joel Silver, Lorne Orleans, Roberto Malerba, Henning Molfenter, Jessica Alan
Produttore esecutivo Benjamin Waisbren
Distribuzione (Italia) Warner Bros. Pictures
Fotografia Adrian Biddle
Montaggio Martin Walsh
Effetti speciali Till Hertrich, Michael Luppino, Uli Nefzer, Paul Corbould, Herbert Blank, Norman Ernst, Wolfgang Higler
Musiche Dario Marianelli
Scenografia Owen Paterson
Costumi Sammy Sheldon

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“Io sono il frutto di quello che mi è stato fatto, è il principio fondamentale dell’universo, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale contraria.”

“- Finch: Perché vuoi farlo?
– Evey: Perché lui aveva ragione.
– Finch: Riguardo cosa?
– Evey: Questo Paese ha bisogno di qualcosa di più di un palazzo. Ha bisogno di speranza.”

“È a Madame Giustizia che dedico questo Concerto, in onore della vacanza che sembra aver preso da questi luoghi e per riconoscenza all’impostore che siede al suo posto.”

“È strano… com’è possibile che tu sia una delle esperienze più importanti che mi siano capitate, senza che sappia nulla di te? Non so dove sei nato, chi erano i tuoi genitori, se avevi fratelli, sorelle, non so nemmeno che aspetto hai veramente!”

“Il popolo non dovrebbe temere il proprio governo, sono i governi che dovrebbero temere il popolo!”

“Creedy: Abbiamo controllato questo posto… Non hai niente! Niente a parte i tuoi diabolici coltelli e le tue belle mossette di Karate! Noi abbiamo le armi…!
V: No… voi avete la speranza che quando le vostre pistole saranno scariche non sarò più in piedi, sennò sarete tutti morti prima di aver ricaricato…”

“Voilà. Alla vista un umile veterano del Vaudeville, chiamato a fare le veci sia della vittima che del violento dalle vicissitudini del fato. Questo viso non è vacuo vessillo di vanità, ma semplice vestigia della Vox Populi, ora vuota, ora vana. Tuttavia questa visita alla vessazione passata acquista vigore ed è votata alla vittoria sui vampiri virulenti che aprono al vizio, garanti della violazione vessatrice e vorace della volontà. L’unico verdetto è vendicarsi… Vendetta… E diventa un voto non mai vano poiché il suo valore e la sua veridicità vendicheranno un giorno coloro che sono vigili e virtuosi. In verità questa vichyssoise verbale vira verso il verboso, quindi permettimi di aggiungere che è un grande onore per me conoscerti e che puoi chiamarmi V.”

Nessuno dimenticherà più quella notte e il significato che ha avuto per questo paese. Io non dimenticherò mai l’uomo e il significato che ha avuto per me.

Nascondi ciò che sono e aiutami a trovare la maschera più adatta alle mie intenzioni.

Ma ancora una volta, a dire la verità, se cercate un colpevole non c’è che da guardarsi allo specchio.

 

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L’opinione di Max the stampede dal sito http://www.mymovies.com

E’ praticamente impossibile pretendere di riassumere esaurientemente, in una manciata di righe, le caratteristiche di un’opera così profondamente stratificata e ricca di significati. V for Vendetta è un film dall’effetto devastante che si diffonde rapidamente come un’arma batteriologica, facendosi strada tra le maglie delle convinzioni in fatto di percezione, portando un attacco ai limiti del terrorismo psicologico all’apparato sensoriale. V prende i cinque sensi, li coinvolge e li stravolge tramite intricati riferimenti sinestetici e ne abbatte con una facilità disarmante le fittizie barriere divisorie, obbligandoli ad entrare completamente all’interno del suo mondo, così liricamente fantastico ma anche così drammaticamente realistico. Una volta che V entra in azione non si può più fare nulla… solo lasciarsi trasportare in un’esperienza lucidamente allucinatoria ed allucinata in cui il ‘”lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi”‘ perde il suo status di citazione ‘colta’ divenendo una vera e propria cifra stilistica, peraltro assai spontanea e per nulla forzata. Il coinvolgimento è totale, la sensazione di disagio è grande, la convinzione di trovarsi di fronte a qualcosa che è davvero limitativo definire ‘una storia’ cresce di minuto in minuto. Solo alla fine ho capito che V è un virus, diciamo così… ‘buono’. Solo alla fine ho capito che tutti i violenti traumi procuratimi erano a fin di bene… il mio bene. Solo alla fine ho capito che V ha vinto e che ora, nella mia vita, non è più il Fato a comandare. Alla fine, e solo alla fine, ho capito che l’Inghilterra ero io… e forse tutti noi. L’unica cosa che mi dispiace di tutto ciò è che io non c’entro nulla. Ha fatto tutto V… E’ questo che odio dei Capolavori… io posso solo “vederli”. Fatelo anche voi, non ve ne pentirete…

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L’opinione di Garibaldi 1975 dal sito http://www.filmtv.it

V For Vendetta è una distopia, dai tratti cyberpunk in un contesto dai colori grigiastri, ‘fumo di Londra’. E’ un luogo dove lo Stato ha il potere di detenere a tempo indeterminato quelli che percepisce come suoi nemici e dove la politica fa paura.
Per quanto non condivida il messaggio anarco-apocalittico del film, devo aggiungere che cinematograficamente rimane un buon prodotto. L’unico punto debole è Natalie Portman, che non mi è sembrata entrare nel personaggio, forse non per colpa tutta sua, ma anche a causa di una sceneggiatura piuttosto inverosimile. Anche se è bella pure con i capelli rasati alla Demi Moore del Soldato Jane.
V per Vendetta è un film di simboli. “V” sta a vendetta, valore e vittoria, così come il colore giallo simboleggia altrettanti elementi in Kill Bill, sino a contraddistinguere il film stesso.
In definitiva è un film originale, che emoziona e mistifica, mescolando dissidenza politica a i bei principi di libertà, giustizia e ambizione sociale.

 

L’opinione di Spotify dal sito http://www.filmscoop.it

Che film ragazzi, che film! Sicuramente uno dei punti di riferimento del cinema distopico degli anni 2000, se non quello principale. Rispetto ad altre pellicole appartenenti a questo filone, questa è parecchio meno influenzata dalla fantascienza, infatti a parte l’anno futuristico in cui è ambientata, del suddetto genere non c’è nulla. Questo infatti è un film molto più realistico, dove vediamo cose, che, un domani potrebbero davvero accadere. Qui non ci sono robot ribelli o persone che prendono particolari farmaci per obbedire ad ogni ordine gli venga dato, no, qui abbiamo semplicemente un anarchico che vuole spodestare un regime che va oltre la dittatura più crudele. Apposta per questo, è molto più realistico. A confermare ciò che dico, c’è il fatto che guardando tale opera, mi è venuta in mente la rivoluzione francese, che come sappiamo, è probabilmente la più celebre delle rivoluzioni popolari, e nonostante non ci fosse un giustiziere singolo, la rivolta che si scatena in seguito nel film, mi ha fatto pensare ai fatti accaduti nel 1789. Insomma, ci ho visto delle analogie. Secondo me la genialata di McTeigue sta nel fatto, che lui, almeno secondo me, ha voluto proprio rappresentare come una dittatura caratterizzi un paese, a che livelli sociali lo porta, e in realtà l’elemento di “V” è solamente di contorno e nonostante sembri il protagonista, serve solo a scatenare la rivoluzione. In altre parole, attraverso le gesta del personaggio mascherato, capiamo realmente cosa sia una dittatura, tra l’altro qui, portata a livelli insopportabili. Il regista oltre a questo, esegue il resto del lavoro ottimamente, sfoderando una regia eccellente, molto dettagliata, ci fornisce una approfonditissima analisi di ciascun soggetto e di ciò che ha passato tempo addietro. Insomma una caratterizzazione davvero capillare di tutti i protagonisti della storia. Poi grandissima direzione degli attori, tutti a loro agio, da Weaving a Rea, passando per Hurt e Portman. Strutturato benissimo il rapporto che si viene a creare tra Evey e “V”, dapprima è amichevole, poi va quasi sul conflittuale e infine diventa amoroso. Tutto costruito alla perfezione. Scene d’azione girate molto bene, magari un po’ stereotipate, ma visivamente sono da applausi. Poi non mancano anche diverse sequenze di suspense che si fondono molto bene col contesto generale, nonostante la pellicola non sia propriamente thriller. Ad esempio è fantastica e colma di tensione la scena in cui “V” incontra la dottoressa in casa di quest’ultima. Atmosfera sempre costante e che non svanisce mai, dando un ulteriore tocco di bellezza al film. Il ritmo è straordinario, 125 minuti sembra che passino in un’ora scarsa, non ci sono mai punti morti, no, la storia viene portata avanti con sapienza e ad ogni minuto si scoprono cose nuove. Il finale è stupendo, commovente, toccante. Magari è un po’ prevedibile, ma nonostante ciò, lo si apprezza con estremo piacere. Però un difetto non da poco comunque c’è: tutta la scena del combattimento, girata in slow motion, mi è sembrata presuntuosa, probabilmente si è voluto inserire quel tocco commerciale. Poi per carità, visivamente è alquanto spettacolare, però mi è sembrata troppo forzata. D’altro canto, non ci sono commenti sufficienti a descrivere la sequenza di tutta la massa di gente mascherata che marcia incurante verso le forze dell’ordine e poi osserva l’esplosione del palazzo governativo. Unica. Rappresentazione di una dittatura a 360°, si scende fin nei meandri più oscuri di essa, e vengono messi in risalto i modi con cui ci si è arrivati, modi che tra l’altro non sono molto differenti da quelli realmente accaduti nel nostro paese o in altri. Effetti speciali ottimi e usati sapientemente. Ah, altra gran cosa che fa il regista è la seguente: non ci fa mai vedere in faccia “V”, tuttavia analizza e ci fa talmente prendere in simpatia la sua immagine, che la maschera è come se la facesse parlare, e in questo modo lo spettatore non viene neanche messo a disagio dal fatto di non poter vedere il volto del giustiziere, visto che la maschera stessa ricopre il ruolo. Insomma, è una regia diretta, senza fronzoli, da gustare con gli occhi. La sceneggiatura non è male, però penso che presenta troppe sotto-trame, infatti certi punti sono un po’ contorti. Forse si è voluto addirittura strafare. Comunque alla fine McTeigue riesce, almeno in parte, a rimediare. Per il resto è buona. Grandissimi dialoghi, spesso ironici, poi molti dettagli e ottima stesura generale. Esemplare quella dei personaggi. Fotografia valida, specialmente nelle scene notturne, da un tocco abbastanza dark e ottima la scenografia, valorizzata molto dal regista. Azzeccatissima la colonna sonora. Il cast è fantastico: Weaving nonostante non venga mai mostrato in faccia riesce ugualmente a fare una gran performance, le scene d’azione inoltre lo aiutano molto. E poi, secondo me da vita uno degli anti-eroi più forti della storia del cinema. La Portman è molto brava, interpreta alla grande il personaggio di Evey, nulla da dire. Ho apprezzato molto anche Stephen Rea. Il film, oltre che rappresentare una società portata ad un livello insostenibile, vuole anche rappresentare l’individualità di ciascuno, e ciò si capisce ovviamente dal finale, dove ognuno ritrova se stesso, e può vivere la vita che vuole, senza dover essere più uno schiavo del potere. Messaggio molto bello e rappresentato altrettanto bene.Bellissimo film, da vedere e rivedere, toccante, rivoluzionario e anarchico. Un vero e proprio gioiello!!

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settembre 21, 2015 Posted by | Drammatico | , , , , | 4 commenti

Problemi di caricamento pagine

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Alcuni lettori del sito lamentano da qualche giorno difficoltà nel caricamento delle pagine.

Vorrei chiedere quindi la vostra collaborazione per sapere se effettivamente è un problema generalizzato o limitato a pochi utenti.Vi chiedo cortesemente di lasciare un messaggio in Home page nei commenti o comunque inviare una mail all’indirizzo paolobari@email.it indicando il problema riscontrato

Grazie a tutti per l’aiuto

Paul Templar

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settembre 20, 2015 Posted by | Senza Categoria | 4 commenti

Per grazia ricevuta

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Per grazia ricevuta è il secondo film diretto da Nino Manfredi,che nel corso della sua carriera cinematografica di regista girò 3 film, L’amore difficile, episodio L’avventura di un soldato ne1962,Per grazia ricevuta nel 1971 e infine il poco compreso ma affascinante Nudo di donna nel 1981.Un film bello e denso di significati,probabilmente autobiografico (anche se Manfredi non ha mai confermato la cosa) che sbancò i botteghini, divenendo nella stagione 1971 il film più visto in Italia davanti a kolossal americani come Piccolo grande uomo,Borsalino e Soldato blu e sopratutto davanti a film di enorme successo girati in Italia come Lo chiamavano Trinità e Anonimo veneziano.

Una prova da regista autorevole e di prim’ordine, che dimostra come Manfredi fosse a suo agio dietro la macchina da presa,molto più dei suoi colleghi “moschettieri” Sordi e Tognazzi,che tentarono anch’essi la via della regia,con esiti decisamente inferiori come qualità.E’ un Manfredi ispirato e a tratti lirico quello che propone questo film tutto incentrato sulla religiosità,in un periodo storico in cui l’influenza della chiesa sulla società era fortissimo e condizionante;la cosa più importante è l’equilibrio che l’attore ciociaro riesce a mantenere nel percorso del film, evitando l’anticlericalismo di facciata e sopratutto evitando di cadere nella polemica sterile e fine a se stessa.

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La storia di Benedetto Parisi anzi diventa un’iperbole sui danni che una educazione religiosa troppo soffocante e punitiva possono avere sull’individuo,arrivando alla fine a condizionarne pesantemente la vita e cambiandone in modo determinante il percorso della stessa.Con la collaborazione di Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Luigi Magni con il quale Nino Manfredi girerà altri tre film a soggetto legato alla religiosità (memorabile In nome del Papa Re),Manfredi da corpo ad un soggetto elaborato eppure schematicamente semplice.L’idea di fondo è mostrare nella sua interezza,senza però prendere una posizione aperta,quello che un’educazione religiosa troppo opprimente e punitrice può combinare sia nella psiche di un individuo sia nel suo percorso di vita. A ben vedere Benedetto,il protagonista del film,è un’immagine riflessa dello stesso Manfredi,che da piccolo ebbe la tubercolosi e che guarì in modo sorprendente,lasciando nello stesso Manfredi il dubbio che lo accompagnerà tutta la vita su un effettivo miracolo intervenuto nella sua guarigione.

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Un uomo è ricoverato in condizioni disperate in un piccolo ospedale di provincia. Ha tentato di uccidersi e un chirurgo accorre affannosamente per operarlo. In sala d’attesa,in preda a opposti stati d’animo c’è la sua compagna Giovanna,incinta e comprensibilmente tesa e la mamma di quest’ultima,che poco cristianamente vorrebbe che l’uomo morisse in modo da dare la figlia in sposa ad un avvocato.

Un salto indietro nel racconto,Benedetto è un orfano allevato dalla zia, in attesa di ricevere la prima comunione. E’ un ragazzo spigliato,come i suoi coetanei,che però vive una condizione particolare, ospite di sua zia che vorrebbe liberarsene e che gli condiziona pesantemente la vita con la sua religiosità confusa e contraddittoria.Un giorno il ragazzo,nascosto in un armadio, assiste ad un convegno amoroso della zia,che,scoperta,spaccia l’amante per Sant’Eusebio.

Dopo aver visto sua zia farsi il bagno nuda ed essere scoperto dalla stessa,Benedetto,preso dai sensi di colpa rifiuta di confessarsi e il giorno dopo, durante la prima comunione, il ragazzo fugge dalla chiesa e nel farlo precipita da una rupe.Si salva miracolosamente e da quel momento la sua vita è segnata.Portato in processione dalla folla festante, Benedetto viene affidato dalla scaltra zia che non desidera altro che di liberarsi di lui a dei francescani,dai quali Benedetto viene preso in custodia ed educato.

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Diventa il beniamino dei fraticelli, da questi trattato con simpatia e affetto,sopratutto dal priore,che capisce come Benedetto non sia pronto alla vita religiosa.Sarà l’incontro con una maestrina,alla quale succhia dalla caviglia il veleno di una vipera, a scatenare nel giovane i primi irresistibili impulsi sessuali.Si allontana dal convento, dietro l’affettuoso consiglio del priore e da quel momento diventa un venditore ambulante di biancheria intima.Adesso è libero e potrebbe sperimentare le prime esperienze sessuali, ma ancora una volta i condizionamenti religiosi lo frenano,impedendogli così di vivere la sua naturale sessualità.Sarà l’incontro con un farmacista ateo e libertino a liberare Benedetto dal suo passato e dai suoi scrupoli;infatti il giovane si innamorerà della figlia del farmacista stesso,Giovanna,con la quale vivrà il primo rapporto d’amore.Ma i condizionamenti continueranno a farsi sentire subdolamente e….

Con senso della misura,usando una garbata ironia che mai supera la soglia della presa in giro benevola, Manfredi affronta lo spinoso argomento della religiosità senza mostrare di propendere per nessuna tesi. I miracoli del film,così come il finale aperto sono lasciati all’interpretazione dello spettatore, che può scegliere da che parte schierarsi.Ovviamente il grande attore ciociaro in qualche punto fa affiorare il suo garbato sarcasmo; il Benedetto che canta a squarciagola “Me pizzica me mozzicà” all’interno del convento non è propriamente politicamente corretto così come qua e la indizi sul suo modo di pensare e di vivere la religiosità fanno capolino (le scene con Benedetto piccolo che spia la zia,il presunto Sant’Eusebio ecc) ma restano garbatamente sullo sfondo.

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E’ un Manfredi molto lontano dallo spirito popolare e popolano che ne avevano decretato il successo fino ad allora;l’attore un po’ caciarone e di stile romanesco lascia spazio ad un attore che mostra di avere il talento drammatico e “serio” nelle sue corde,come del resto dimostrerà nella sua lunghissima e felice stagione attoriale,con prove maiuscole come quelle fornite in In nome del Papa Re,Pane e cioccolata,Brutti sporchi e cattivi,film che esalteranno il suo talento spontaneo,la sua capacità di passare indifferentemente dai ruoli di attore comico a quello drammatico,dalle prove teatrali a quelle del musical (Rugantino) passando per la canzone popolare nel modo più autentico, come la sua personalissima interpretazione del grande successo di Petrolini Tanto pè cantà.

Un vero peccato che Manfredi in seguito abbia girato come regista il solo notevole Nudo di donna;il suo talento come regista era naturale,mostrava una predisposizione innata alla macchina da presa,ai tempi e ai ritmi del film,una capacità assolutamente straordinaria del dono della sintesi.

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E’ la Ciociaria la protagonista secondaria del film;terra generosa,ubertosa e ricca di colore;Manfredi,ciociaro doc,inserisce Fontana Liri e le cascate di monte Gelato a Mazzano Romano  tra i suggestivi luoghi nei quali gira il film;bella la fotografia e sopratutto ben assortito il cast nel quale figurano la bella e fresca Delia Boccardo (Giovanna) e Mariangela Melato,la maestrina che provocherà i primi turbamenti,Lionel Stander, ovvero Oreste il farmacista,che tanta importanza avrà per l’evolversi del personaggio benedetto e Mario Scaccia,il priore affettuosamente legato al giovane che capirà come la sua fede sia affatto ferma,portandolo fuori dagli angusti confini del convento.Bravi anche Paola Borbone e Tano Cimarosa,Veronique Vendell e Fiammetta Baralla,comprimari tutti ben oltre la soglia della sufficienza.Davvero un film di ottima fattura,nel quale superstizione ed elementi folkloristici della religione ben si sposano con la religiosità più intima,quella più autenticamente spirituale alla quale tutti aspirano alla ricerca di risposte spesso disattese proprio dalla natura stessa della religione,di fatto qualcosa di assolutamente intangibile e strettamente personale.

Il film ha avuto nel corso degli anni numerosi passaggi televisivi;è disponibile su You tube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=DBjm4n_iR_g in una versione purtroppo non ben visibile. In streaming (versione decisamente migliore) è disponibile all’indirizzo http://www.nowvideo.li/video/27426b066492b

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Per grazia ricevuta

Un film di Nino Manfredi. Con Nino Manfredi, Mario Scaccia, Lionel Stander, Mariangela Melato, Paola Borboni, Delia Boccardo, Véronique Vendell, Gianni Rizzo, Fausto Tozzi, Fiammetta Baralla, Enzo Cannavale, Tano Cimarosa, Gastone Pescucci, Ugo Adinolfi, Antonella Patti Commedia, durata 122 min. – Italia 1971

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Nino Manfredi: Benedetto Parisi

Lionel Stander: Oreste Micheli

Delia Boccardo: Giovanna Visciani

Paola Borboni: Immacolata

Mario Scaccia: il priore

Fausto Tozzi: il professore

Mariangela Melato: la maestrina

Tano Cimarosa: zi’ Checco

Gastone Pescucci: l’avvocato

Alfredo Bianchini: il cappellano della clinica

Enrico Concutelli: un frate del convento

Paolo Armeni: Benedetto da bambino

Véronique Vendell: la ragazza “chiacchierata”

Gianni Rizzo: il prete del paese dove Benedetto vende la biancheria

Pino Patti: Don Quirino

Rosita Torosh: la giovane maestra della colonia

Antonella Patti: la zia di Benedetto

Enzo Cannavale: il paziente “sano” della clinica

Fiammetta Baralla: la suora della clinica

Luigi Uzzo: un infermiere della clinica

Mister O.K.: Fra Gesuino

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Corrado Gaipa: Oreste Micheli

Laura Carli: Immacolata

Giorgio Piazza: il priore

Sergio Rossi: il professore

Emanuela Rossi: Benedetto da bambino

Nella Gambini: bambino amico di Benedetto

Pino Caruso: zì Checco

Mirella Pace: la zia di Benedetto/la ragazza “chiacchierata”

Mario Bardella: il prete del paese dove Benedetto vende la biancheria

Max Turilli: Don Quirino

Angiola Baggi: la giovane maestra della colonia

Isa Bellini: la suora della clinica

Enzo Liberti: un frate

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Regia Nino Manfredi

Soggetto Nino Manfredi

Sceneggiatura Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Luigi Magni, Nino Manfredi

Produttore Angelo Rizzoli jr.

Fotografia Armando Nannuzzi

Montaggio Alberto Gallitti

Musiche Guido De Angelis

Scenografia Giorgio Giovannini

Costumi Danilo Donati

Trucco Giancarlo De Leonardis

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L’Abbazia benedettina di San Cassiano

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L’acquedotto di Nepi

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Speco di san Francesco,Sant’ Urbano di Narni

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Cascate di Monte Gelato e Mezzano Romano

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Interno della chiesa di San Fortunato di Todi

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Piazza Vittorio Emanuele a Todi in una vecchia foto

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Piazza Vittorio Emanuele a Todi oggi

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Villa Volpi a Sabaudia

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“Nun te preoccupà, tanto non è morto, all’ultimo momento ha deciso di annà all’artro mondo!”

La vita, invece di viverla io me la dormo.

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L’opinione di Jonas dal sito http://www.filmtv.it

Storia in tre tempi: un’infanzia da scavezzacollo sotto la fida protezione di sant’Eusebio; una giovinezza passata in convento ad aspettare un segno divino per nascondere la paura di affrontare la vita; la scoperta del mondo, il discepolato sotto un vecchio mangiapreti, l’amore con la soave Delia Boccardo. Il tutto viene rievocato in flashback, dopo un ricovero in ospedale per tentato suicidio. Il primo film diretto da un’icona nazional popolare come Nino Manfredi (se si eccettua un episodio di L’amore difficile) è un gesto di sorprendente coraggio, qualcosa di veramente raro nell’Italia democristiana. Ma sarebbe riduttivo considerarlo solo un pamphlet anticlericale, nonostante gli obiettivi polemici siano ben individuati (l’educazione sessuofoba, il miracolismo, l’esaltazione pseudoreligiosa, l’ipocrisia dei baciapile): è soprattutto la vicenda di un uomo pieno di dubbi e in cerca di risposte, prima respinto dagli esponenti della Chiesa (“Dio è pace, serenità, non è tormento”) e poi deluso dall’incoerenza di quello che si era scelto come maestro di vita (“non è morto, all’ultimo momento ha preferito andare all’altro mondo anche lui”). A ben vedere è un film che esplora le tracce quasi impercettibili, a volte paradossali, della presenza di Dio (cominciando dal nome del protagonista, Benedetto, e finendo con l’ultima battuta, “è stato proprio un miracolo”). Un film di fede, nonostante tutto: forse l’opera più bergmaniana che il cinema italiano abbia mai prodotto.

L’opinione di Mansueto dal sito http://www.mymovies.it

Chi dell’ “auto-morte” se ne intendeva, qualche tempo fa ci testimoniò che “Il suicida è come un carcerato che, nel cortile della prigione, vede una forca, pensa erroneamente che sia destinata a lui, evade nottetempo dalla sua cella, scende giù e s’impicca da sé”.Un lontano 1971, quando crebbi, un tal Benedetto di Castro de’ Volsci ci raccontò in 122 minuti la magnificazione “dell’intera storia umana”. Quell”elogia attraverò come un qualunque raggio cosmico ogni cellula del corpo di chi ne fu attratto; la riempì senza saperlo di luce e di spazio; di coscienza e di emozioni; di contenuto e contenente. Quel racconto fu la glorificazione sintetica di ogni dottrina; teologica e filosofica; psicologica e sociologica; medica ed estetica; commerciale e culturale. Tutto in un istante.Sincretismo gnoseologico. Come dire. Irenismo ed ecumenismo di ogni dottrina:quando la sensibilità umana (terza riga del libro del mondo) diventa poesia armonizzante di ogni distinzione e di ogni diversità della conoscenza!Qui c’è tutto. L’uomo e la donna. Il Tanathos e l’Eros. La colpa, la paura, il dubbio, la leggerezza più svanita, l’elegia del “chi sono”.Alle volte gli uomini compiono miracoli senza saperlo. Alle volte nessuno sa di quelli.Eppure questo superbo capolavoro della filmografia italiana (che pecca solo di vizi tecnici) diventa un mastodontico modello di studio per chi insegna, consolazione umana per chi soffe, costruzione critica per chi giuggioneggia, dissenso al senso per chi non crede.L’avventura umana sta tutta là. In un convento “totale” della Ciociaria. Nell’ambulante ardimentoso di lingerie. Nell’alieno e diafano amore verso Delia. Nella bestemmia redenta di una canaglia di farmacista. Nella fantasia dell’ingenuità più lieve. Nel matrimonio celebrato di un senza no. In una caduta e in un tuffo. In un’apetta col vecchietto. In un bicchiere fresco… ma d’acqua calda!Se volete chiedere a qualcuno chi mai voi siate, domandatevelo imberbi a voi stessi.Inoculatevi rilassati questo film.E se non v’è risposta….Beh; allora finalmente avrete capito tutto!Ma non ditelo a nessuno…”

L’opinione di Thegaunt dal sito http://www.filmscoop.it

Bello questo film con e di Nino Manfredi che affronta in maniera tuttaltro che banale i tanti lacci che non permettono di vivere a pieno la propria esistenza. La pellicola di Manfredi non vuole essere un’invettiva anticlericale, ma una riflessione sul vivere male la religione, in cui fede e superstizione hanno confini talmente sottili da confondersi e costellata fin dall’infanzia da una marcata repressione sessuale. L’ottimo film di Manfredi non solo è dotato di una sceneggiatura di qualità, ma offre una buona caratterizzazione dei personaggi, soprattutto nel bigottismo della Borboni e nella vitalità di Stander.

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Nino Manfredi

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Mariangela Melato

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Mario Scaccia

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Flano del film

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La colonna sonora,la celebre Me pizzica…me mozzica

settembre 17, 2015 Posted by | Commedia | , , , , , , , | 2 commenti

Pauline alla spiaggia

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Pauline alla spiaggia,diretto da Eric Rohmer nel 1982 fa parte del ciclo Commedie e proverbi, i cui sei film sono stati girati nel periodo compreso tra il 1981 e il 1987.
Sono tre i cicli ideati dal grande regista parigino,il citato Commedie e proverbi,Sei racconti morali (1962-1972) e Racconti delle quattro stagioni (1990-1998) per un totale di sedici film tutti caratterizzati dallo stile sobrio ed elegante di Rohmer,fine indagatore del quotidiano e efficace illustratore delle vite comuni di gente alle prese con i problemi irrisolti o se vogliamo irresolubili delle umane cose.
Lo sguardo di Rohmer nel ciclo Commedie e proverbi si rivolge con discrezione ad un ambiente preciso,quello degli impiegati e degli studenti la dove nei racconti morali era indirizzato al mondo dell’arte con i suoi scrittori,pittori,musicisti e artisti in genere;lo sguardo attento,indagatore di Rohmer scende ad analizzare i rapporti umani nella loro complessità e difficoltà,senza mai indugiare nelle ideologie che muove la massa dei personaggi analizzati,ma guardandoli nell’ottica del quotidiano,dei rapporti di amicizia o di amore che muovono gli stessi nell’ambito sociale o di relazione di coppia.

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In Pauline alla spiaggia (Pauline a la plage),terzo episodio in ordine temporale del citato ciclo Commedie e proverbi le protagoniste principali sono due donne,anche se in realtà ad esse si potrebbero aggiungere anche i due uomini che allacceranno rapporti con le due protagoniste,con sullo sfondo altri due personaggi che potrebbero sembrare minori ma che in realtà allacceranno le loro vite ai quattro,formando un esagono ideale nel quale le vite di tutti finiscono per fondersi in quella che Balzac definiva La commedia umana.
La Pauline del titolo è una ragazza di 15 anni,alle prese con la scoperta dell’adolescenza in tutte le sue problematiche ed immersa in un mondo,quello degli adulti,che la spaventa e che al tempo stesso la attrae e del quale dovrà nel giro di pochi anni far parte obbligatoriamente.
E’ stata in vacanza con i genitori, e ora affronta l’ultima parte delle sue spensierate vacanze con sua cugina Marion, che ha il doppio della sua età e che ha già consumato in fretta un matrimonio,miseramente naufragato e che sembra piuttosto incerta sulle cose della vita.
Le due donne sono accomunate da un ideale;quello dell’amore,agognato e sospirato,visto però dalle due in modi molto differenti.
Per Pauline infatti l’amore è quello adolescenziale,timido e pieno di aspettative mentre per Marion è già un’ultima spiaggia,visto che fino al presente lo ha solo vagheggiato senza però mai incontrarlo veramente.
Sulla spiaggia dove le due si recano,Marion semina cuori infranti;è una bella donna,fisicamente molto attraente e la prima vittima è una sua ex fiamma,Pierre,che ora fa l’istruttore di windsurf.

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Pauline invece stringe amicizia con Sylvain,un ragazzo con il quale in breve tempo stringe una relazione amorosa.
Marion per quanto lusingata dalle attenzioni di Pierre gli preferisce l’affascinante Henry,un giramondo reduce anch’esso da un matrimonio fallito e che è immediatamente attratto dalla bella Marion.
Ma tra i due le ambizioni e le attese sono affatto dissimili;Marion è spasmodicamente alla ricerca dell’amore mentre Henry è quasi un sibarita,attratto principalmente dalle grazie fisiche della donna e quindi più portato all’avventura di un’estate che ad una relazione seria.
Da quel momento le relazioni tra le due coppie si intrecciano e si allacciano in modo alle volte tragicomico alle volte quasi drammatico.
Per le due la fine dell’estate e delle vacanze produrrà effetti diversi e sopratutto esperienze che le cambieranno,oltre a riflessioni differenti sul mondo e sulla vita.
La giovane Pauline imparerà che deve vivere la sua età secondo le tappe che la vita stessa pone sulla sua strada mentre Marion dovrà fare i conti con la delusione e con i dubbi che la sua esperienza estiva invece che risolvere ha messo davanti a se.
Delizioso quadretto incentrato su esistenze assolutamente normali prese con un grandangolo che fotografa sentimenti e dubbi,attese e delusioni dei vari protagonisti,Pauline alla spiaggia appare però più profondo del tono apparentemente frivolo della storia,in fondo davvero semplice e quasi banale con lo sfondo di un’estate che sembra favorire davvero l’evasione dal quotidiano e che invece finisce per diventare un’altra tappa della vita delle protagoniste.

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Pauline e Marion usciranno dalla loro storia estiva con delle convinzioni diverse e quasi con due maturità e due consapevolezze dissimili.
Alla luce del narrato,sarà proprio Pauline a mostrare un grado di maturità sorprendente;il mondo degli adulti in fondo è abbastanza deludente,meglio vivere il presente e godersi gli attimi e le storie che le si pongono davanti senza ipotecare il futuro.
Marion invece non troverà l’amore,anzi;la sua visione un po romantica e retrò la porterà malinconicamente a riflessioni sia sul suo passato che sul suo presente,ad affrontare il tema scomodo e spinoso delle illusioni e dei sogni irrealizzati.
I lavori di Rohmer come del resto gli altri cinque del ciclo assomigliano in qualche modo a delle pieces
teatrali;tanti piccoli quadri d’assieme,vite guardate con un distacco a tratti divertito a tratti ironicamente distaccato.
Quello che davvero conta è il quotidiano,la vita anonima della persona vista attraverso aspettative e delusioni,ambizioni e disillusioni nell’eterno movimento dell’individuo nella società,un individuo qualsiasi
alle prese con i piccoli e grandi problemi,che possono essere la sfera del sentimento e quindi dell’individuale più intimo in rapporto al sociale,senza però l’indagine o la presa di posizione ideologica.
A Rohmer non interessa minimamente mostrare le idee politiche o il soggettivo culturale in rapporto ai grandi tempi dell’individuo,quanto piuttosto il suo intimo.

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E questo fa del regista parigino un fine cesellatore di psicologie;ogni individuo è un universo,che si differenzia dagli altri nella sua intimità,nella sua concezione della vita,comunque e sempre guidato dai sentimenti,la cosa più importante ed individualista della persona.
Alle volte tenero,alle volte cinico,Rohmer non trancia comunque mai giudizi morali con l’accetta;usa il cesello,quasi volesse rimarcare la distanza da quei registi tanto impegnati nel sociale che però finiscono per dimenticare la persona a tutto vantaggio del collettivo.
Nel cast da segnalare le prove assolutamente positive di Arielle Dombasle e della giovane Amanda Langlet;molto bene anche il resto dei protagonisti,tutti misurati,equilibrati.
Come al solito molto bella ed efficace la fotografia,splendida la location di Granville nella Normandia.
Un film misurato,elegante e decisamente affascinante,una delle opere migliori del regista francese,purtroppo di non facile reperibilità in rete.

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Pauline alla spiaggia
Un film di Eric Rohmer. Con Arielle Dombasle, Amanda Langlet, Simon De La Brosse, Pascal Greggory, Féodor Atkine, Rosette Titolo originale Pauline à la plage. Commedia, durata 94 min. – Francia 1983.

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Amanda Langlet: Pauline
Arielle Dombasle: Marion
Pascal Greggory: Pierre
Féodor Atkine: Henri
Simon de La Brosse: Sylvain
Rosette: Louisette

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Silvia Tognoloni: Pauline
Serena Verdirosi: Marion
Sandro Acerbo: Pierre
Sergio Di Stefano: Henri
Fabrizio Manfredi: Sylvain
Emanuela Rossi: Luisette

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Regia Eric Rohmer
Produttore Margaret Ménégoz
Casa di produzione Les Films du Losange
Fotografia Nestor Almendros
Montaggio Cécile Decugis, Christopher Tate
Musiche Jean-Louis Valéro

Filmscoop

Questo articolo è dedicato alla mia bellissima amica Ylva

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L’opinione di fedeleto dal sito http://www.mymovies.it

Rohmer come sempre quando dirige riesce sempre a creare pellicole interessanti che lasciano riflettere sul tema che pone il regista.Questa volta dopo il BEL MATRIMONIO,dirige questo pellicola eccezionale,che riprende il ciclo di commedie e proverbi.Stavolta la trama (diretta e scritta da rohmer) racconta la vacanza di pauline con sua cugina marion,e appena arrivata reincontra un suo vecchio amico pierre ,e poco dopo un uomo dal quale ne viene subito attratta.Pauline anche si fidanza con un ragazzo,ma la gelosia di perre e alcune fatidiche situazioni porteranno a togliere la maschera all’uomo misterioso e si scoprira’ essere un uomo che viene attratto dalle donne ma che non vuole avere un futuro con loro anzi ne gode fisicamente e basta.E come mostra Rohmer nel meraviglioso finale,forse basta solo far finta di niente e autoconvincersi che tutto sia andato bene.La tematica su cui si sofferma rohmer e’ chi troppo parla fa male.Questo lo si vede fin dall’inizio ,il dialogo di marion verso l’uomo misterioso ove lei racconta che ha una voglia matta di innmorarsi e bruciare di passione per qualcuno,saputo cio’ quest’uomo se ne approfittera’ di lei,pierre dice tutto cio’ che pensa e le scenate di gelosia verso marion sono una prova,ma facendo cosi come dice anche marion egli la stufa e rende tutto piu’ noiso.In realta’ e’ tutto un gioco e le prime prese in giro sono le due donne pauline e marion.Grandissimo rohmer con i suoi dialoghi,assolutamente debitore della nouvelle vogue.inoltre alcune scene meritano attenzione,interessante ad esempio la scena iniziale dove si apre il cancello (l’ingresso verso un mondo nuovo) ,e l’uscita(la chiusura di questo mondo che ci si lascia alle spalle come propone di fare marion a pauline nel finale.In conclusione un ottimo film che merita di essere messo tra i capolavori di Rohmer.
L’opinione del sito http://www.glispietati.it

(…) Scolpito sul suo telaio umano/sentimentale irrisolto, il film sfugge ogni interpretazione definitiva, si concede solo al campo delle ipotesi; riferimento per generazioni di cineasti (si pensi al ruolo della “spiaggia” in Ozon) oggi è potenzialmente rivedibile e percorribile all’infinito, come ogni classico che congela il quadrante del tempo.(…)
L’opinione di Baliverna dal sito http://www.filmtv.it

Rohmer costruisce il consueto mosaico, o labirinto sentimentale tra una manciata di personaggi che si incontrano per caso e si frequentano per un breve periodo di tempo. Come al solito all’inizio sembra non succedere niente, ma ecco che si crea un intreccio di amori, attrazioni, respingimenti, inganni e indifferenze, e noi vi restiamo avvolti assieme ai personaggi. I dialoghi – come sempre nel regista francese – giocano un ruolo primario e necessitano di attenzione per essere seguiti. Le battute che andrebbero trascritte su un quaderno sono numerose, perché fanno proprio centro su certi modi di pensare e di parlare delle donne. Rohmer era un grande e acuto osservatore delle persone e del loro modo di comportarsi: qui si direbbe quasi che gli uomini li osservi dal di fuori, mentre delle donne tenti anche di cogliere le pieghe e le sfumature del loro animo, con i complessi giochi interni e le contraddizioni del caso.
Gli attori sono molto in parte, e i loro personaggi sono descritti con precisione e realismo. Guardando il film si pensa spesso che le persone sono così anche nella realtà (nel senso di tipi umani) e che con quelle persone le cose vanno spesso in quel modo. Efficaci ho trovato in particolare il tizio che fa il “vecchio” della situazione, e la bionda cugina di Pauline. E’ proprio il tipo che piace alle donne, e infatti ne ha molte, ma guai a quella che pensasse di essere l’unica, o anche di essere importante. La cugina, dal canto suo, ci casca, si innamora di lui, e si rifiuta di riconoscere che tipo sia anche quando avrebbe motivo per pesanti sospetti. L’ultimo dialogo tra lei e la ragazza è emblematico: entrambe, l’una a torto e l’altra a ragione, si sforzano di vedere gli uomini di cui sono innamorate sotto una buona luce. Il fatto che essi siano sinceri o no è qui marginale; quello che conta è il disinteresse di fondo che le due donne hanno per la verità e la propensione ad ingannarsi, o a vedere gli uomini come più loro aggrada. E’ un finale inaspettato, che lascia forse un po’ il boccone in gola, ma in fin dei conti è anche di grande intelligenza.

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settembre 14, 2015 Posted by | Commedia | , , | 2 commenti

Racconto d’inverno

Nel 1992 Eric Rohmer dirige il secondo film del ciclo delle stagioni,intitolandolo semplicemente Racconto d’inverno (Compre d’hiver in originale),preceduto da Racconto di primavera e seguito poi da Racconto d’estate e Racconto d’autunno.Un film che è contemporaneamente una storia d’amore e una storia di speranza,il racconto del dilemma di vita di una donna,alla ricerca del perduto primo amore e divisa tra l’affetto,completamente diverso nelle forme per due uomini a loro volta antitetici.

Ed è la storia di una lunga ricerca,coronata da un miracolo finale,che permetterà alla protagonista della storia di ricongiungersi inaspettatamente e in modo assolutamente casuale con il suo primo amore. Rohmer,regista dall’arte sottile e poetica, utilizza perfettamente gli strumenti a sua disposizione, creando una storia semplice ma al tempo stesso accattivante,dirigendo con la consueta maestria un cast solido anche se non composto da grandi nomi.Il regista di punta della Nouvelle vague,autore di capolavori come Il raggio verde o Pauline alla spiaggia usa la sua consueta forma elegante specie nelle riprese fotografiche morbide e delicate,un linguaggio semplice e diretto utilizzando per il racconto citazioni da autori come Shakespeare,Platone e Pascal.Una storia nel complesso semplice,articolata attorno alla figura di Felicie,una graziosa ragazza parigina che nel corso di una vacanza in Bretagna conosce l’altrettanto giovane Charles,del quale si innamora profondamente.

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I due sono giovani,belli e innamorati;la stagione estiva trascorre tra amore e coccole fino al fatale giorno del distacco.Felicie deve tornare a casa e lascia a Charles il suo indirizzo sbagliando però incredibilmente il comune delle banlieu nel quale vive.Felicie scopre di essere incinta ma Charles non si vede e non potrebbe essere altrimenti visto l’errore della ragazza.Cinque anni dopo ritroviamo Felicie alle prese con sua figlia Elise;ha una vita tranquilla,divisa tra il lavoro di parrucchiera presso Maxence con il quale ha una relazione e il timido e tranquillo bibliotecario Loic,innamorato senza speranza della donna.E’ Maxence a spuntarla su Loic ;l’uomo convince Felicie a seguirla a Nevers,dove sta per aprire un negozio di parrucchiere e dopo essersi separato dalla moglie.Felicie annuncia a Loic la decisione presa,sopratutto dopo essersi resa conto che l’ambiente che frequenta l’amico non le è affatto congeniale e parte con Maxence verso la nuova avventura.Ma il rapporto tra i due non è facile.

Maxence ha molta personalità e sopratutto tende a schiacciare la donna e ben presto Felicie si rende conto di aver fatto un errore, visto anche che Elise non sembra affatto felice nella nuova realtà in cui vive.In un colloquio con Maxence,Felicie confessa all’uomo di essere ancora innamorata di Charles,l’unico vero grande amore della sua vita poi d’improvviso decide di far ritorno a Parigi,nonostante l’opposizione di Maxence che vorrebbe tenerla con se.Così la donna ritorna alla sua vecchia vita,riallaccia i rapporti con Loic al quale racconta la verità sul suo rapporto con Maxence e quello con Charles,chiedendo a Loic di esserle amico senza però coinvolgimenti sentimentali.Una sera a teatro,mentre assiste ad una rappresentazione di A winter tale di Shakespeare a Felicie tornano in mente i ricordi dell’estate passata con Charles e prende la decisione di cercare l’uomo della sua vita.La vita scorre tranquilla.Felicie frequenta Loic che ha stabilito un ottimo rapporto con sua figlia Elise;la donna vuol bene al bibliotecario ma quando lui le chiede di passare l’ultimo dell’anno con la sua famiglia,Felicie rifiuta,conscia del fatto che l’uomo potrebbe presentarla come la sua compagna.

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L’ultimo dell’anno la lunga ricerca della donna ha una svolta inaspettata;nell’autobus sul quale sale con la figlia c’è il tanto cercato Charles in compagnia di una donna.Non reggendo all’emozione Felicie scende dall’autobus inseguito da Charles che le confessa il suo amore per lei.Tra i due può riprendere la storia interrotta dal caso anni prima.Felicie porta a casa sua Charles e sotto gli occhi stupiti della madre e della sorella piange di felicità con sua figlia Elise,,,,

Un film tenero strutturato in parte come una favola a lieto fine in parte come racconto del percorso individuale di una donna coraggiosa che non rinuncia a cercare il suo sogno,interrotto solo da un fortuito e sfortunato caso anni prima.Rohmer mette molta cura nella descrizione del rapporto a tre che Felicie stabilisce con gli altri due uomini della sua vita,il dolce e intellettuale Loic e il ben più sensuale e per certi versi forte e dominatore Maxence.Il bisogno d’affetto ma anche la ricerca della propria identità,le relazioni di Felicie con ilmondo esterno opposte al ricordo di un’estate indimenticabile che le ha comunque segnato la vita,il tenero rapporto con la figlia,frutto dell’amore con Charles e la ricerca di una via alla serenità e infine la ricerca di quella felicità che la donna sente come un giusto risarcimento,poi la ricerca di Charles,impresa ritenuta impossibile anche dagli affetti di Felicie si snodano attraverso due ore di cinema elegante e raffinato,caratteristiche peculiari del grande regista francese,uno dei più delicati e descrittivi della storia del cinema mondiale.

Il film di Rohmer ha una sua grazia leggera e un suo fascino discreto legato in primis alla figura della romantica Felicie e del rapporto che la stessa instaura con tre uomini diversi fra loro,uomini che hanno un’influenza affatto dissimile sulla sua vita.Il finale rende alla donna la felicità e stabilisce una degna conclusione di quella che è per certi versi una favola sulla fede nell’amore,un credo cieco e assoluto sulla possibilità che anche un miracolo possa accadere con sullo sfondo la ricerca di questo amore,che Felicie praticherà sempre.I legami con gli altri due uomini contano poco visto che è Charles l’oggetto del desiderio,all’apparenza impossibile, della donna.

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Ma i miracoli accadono,basta solo crederci.Accolto in modo tiepido se non freddo dalla critica,che considera questo episodio come il più debole tra i quattro racconti del ciclo delle stagioni, Racconto d’inverno ha viceversa una sua grazia sottile e una delicatezza d’espressione visiva e di narrazione esemplare.

Il mondo rohmeriano,fatto di quotidiano,di gente qualsiasi alle prese con una realtà difficile e per certi versi angosciante è qui espressa con meno profondità del solito ma con la consueta abilità di Rohmer nel mostrare aspetti delle vicende umane in simbiosi con la vita di una persona qualsiasi,come nel caso di questo film è Felicie.Se un appunto può essere mosso a Rohmer è l’aver scelto per una volta un mondo piccolo borghese che non è certo una costante dei suoi film e di aver privilegiato una conclusione del film assolutamente improbabile.Ma la linea della pellicola è quella sin dall’inizio,con l’antefatto dell’amore perso per un incredibile errore da parte di Felicie e una volta impostato il racconto in quel modo,Rohmer sceglie proprio la strada dell’improbabile,giungendo quindi alla conclusione altrettanto improbabile come l’inizio.

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Il film è lento,descrittivo,denso di citazioni e di dialoghi sulla vita,sulla morte,sull’amore e su Dio,temi da sempre cari al regista e inevitabilmente anche di sicuro fascino per il pubblico che tuttavia non apprezzò mai questo lavoro di Rohmer.

Molto brava Charlotte Very,protagonista del film, dal volto quasi anonimo ma intenso ed espressivo mentre nient’altro più che sufficienti gli altri attori.Come sempre nel cinema rohmeriano a parlare sono le scene e gli ambienti,gli attori sembrano quasi uno sfondo obbligatorio.Un film dalla difficile reperibilità,passato quasi inosservato nelle sale e apprezzato in pratica solo dai numerosi fans del regista parigino.

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Racconto d’inverno
Un film di Eric Rohmer. Con Charlotte Very, Fredric Van Den Driessche, Hervé Furic, Marie Rivière, Rosette, Roger Dumas Titolo originale Conte d’hiver. Commedia, durata 114 min. – Francia 1991

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Charlotte Véry: Félicie

Frédéric van den Driessche: Charles

Michel Voletti: Maxence

Hervé Furic: Loïc

Ava Loraschi: Élise

Christiane Desbois: la madre

Rosette: la sorella

Jean-Luc Revol: il cognato

Haydée Caillot: Edwige

Jean-Claude Biette: Quentin

Marie Rivière: Dora

Claudine Paringaux: una cliente

Roger Dumas: Léontès

Danièle Lebrun: Paulina

Diane Lepvrier: Hermione

Edwige Navarro: Perdita

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Regia Éric Rohmer

Sceneggiatura Éric Rohmer

Produttore Margaret Ménégoz

Casa di produzione Les Films du Losange, Compagnie Éric Rohmer

Fotografia Luc Pagès

Montaggio Mary Stephen

Musiche Sébastien Erms

Costumi Pierre-Jean Larroque

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L’opinione del sito http://www.4si.ch

“Questo secondo episodio dei Racconti delle Quattro Stagioni inizia come non iniziano mai i film di Eric Rohmer. In modo esplicito, quasi sfrontato. Una giovane coppia che fa l’amore su una spiaggia soleggiata della Bretagna, onde sulla sabbia e sospiri di piacere. E, come non bastasse: al bis in stanza, sentiamo lui rimproverare lei di “non avere fatto attenzione”. Eccola infatti alla sequenza successiva, con figlioletta, ma senza il padre. Perché Félicie si è sbagliata: per uno di quegli errori che sembrano impossibili, aveva dato al bell’americano un indirizzo errato. Impossibile per impossibile, tanto varrà allora giocare uno di quei giochi nei quali Rohmer eccelle: da quell’istante Félicie viaggerà da un uomo all’altro. Ed in metro, in auto, in bus ed in treno: sempre in attesa di trovare terra ferma. E, soprattutto, di un improbabile – ma ineluttabilmente voluto da chi comanda i giochi – happy end predestinato.

Tra questi due momenti d’intensa felicità RACCONTO D’INVERNO inventa l’ormai solita, deliziosa piccola musica rohmeriana. Fatta di tutto e niente. Di rispetto terrificante della realtà (nessuno, meglio di Rohmer è riuscito a parlarci della nostra epoca, legandola indissolubilmente agli affetti di un proprio mondo poetico) e di banale favolistica-fumetto; di dissertazioni sulla reincarnazione, la provvidenza o la reminiscenza platonica. E di Shakespeare. Che non solo ispira a Rohmer il tema ed il titolo. Ma conforta Félicie, quando la conducono a teatro, perché “c’è della gente che credevamo morta, ed invece resuscita”.

Félicie è parrucchiera: e l’aspetto indimenticabile di CONTE D’HIVER è la misura, la giustezza con la quale Rohmer iscrive il suo romanzo d’appendice in una realistica e poetica cornice di condizione e di sogni piccolo-borghesi ed impiegatizi. Di tendine smunte e filodendri stenti, moquette rancide e mobiletti beige.

È da questo mondo, sinistro e commovente al tempo stesso, che l’occhio impietoso e tenero della cinepresa riesce, una volta ancora a far sgorgare quelle due cose che ci sono indispensabili: la verità ed il sogno.”

Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com

B. Legnani

Pachidermico, noioso. Film che tratta dei sentimenti della protagonista, ma che lo fa con lentezza di ritmi, con appesantimenti laterali e con un linguaggio cinematografico che favorisce l’assopimento. Mi sembra di non aver notato neppure un controcampo (o forse mi ero addormentato e non me ne sono accorto: ma poco cambia). Evitabile (tranquilli: buona parte della Critica non lo ama più di tanto…).

Homesick

Nel secondo racconto del ciclo delle “quattro stagioni” i dialoghi si arrovellano ancora in citazioni letterarie (l’innesto teatrale di Shakespeare) e filosofiche (metempsicosi, Platone e Pascal), ma acquisiscono una deliziosa morbidezza mancante nel primaverile, mentre le dinamiche tra amore e Caso anticipano taluni contenuti dell’estivo, oltre ad impostare uno schema drammatico ad esso inverso e complementare (una donna divisa fra tre uomini). Veritiero il personaggio della Very nella sua parossistica indecisione associata ad un ottimismo di fondo. Epilogo accomodante e natalizio.

Saintgifts

Il racconto d’inverno inizia con un amore estivo tra i due protagonisti, che poi si perderanno di vista, per una svista, e che lascerà Felicie incinta di una bambina. È durante il Natale di quattro anni dopo che si svolge il racconto d’inverno, che ha una citazione anche per quello di Shakespeare e che vede Felicie innamorata di due uomini che prende e lascia con la velocità del suono, apparentemente in modo capriccioso. Dialoghi “colti” sulla vita, sulla religione e sull’amore, che portano ad un finale tanto consolatorio quanto improbabile.

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settembre 11, 2015 Posted by | Commedia | , | 1 commento