Il solco di pesca
Cosa sia il solco di pesca è lasciato alla fervida immaginazione dello spettatore; qualora lo stesso non fosse abbastanza smaliziato, diremo che si tratta del sedere femminile, elevato al rango di feticcio in puro stile Tinto Brass in questo film del 1975, diretto da Maurizio Liverani, alla sua seconda e ultima prova da regista, e verrebbe da dire, fortunatamente.
La storia inzia con il giovane ex seminarista Davide, che dopo aver scelto la strada della laicità, si improvvisa fotografo. In questo modo fa conoscenza con la giovane, bella e disinibita Vivien, donna sposata ad un attore cinematografico. Innamorato dei glutei femminili, il giovane Davide coinvolge la vogliosa Vivien nel suo gioco preferito.
Tra i due scoppia una torrida passione fatta di estasi e sensi, che con il protrarsi del tempo finisce per giungere a noia a.d entrambi; a quel punto Davide punta la giovane servetta di casa, attratto anche in questo caso dal solco di pesca (in verità davvero bello) della ragazza. Tuttavia Tonina, che è vergine, non vuole sacrificare la sua verginità, così con sommo gaudio di Davide, i due trovano una soluzione che possiamo definire, di compromesso.
Il marito di Vivien all’improvviso si scopre geloso, e caccia di casa la donna, che si rifugia dall’amante. Il quale, alla fine, decide di tornare in convento, dove porterà la sua strana passione verso altre mete, in questo caso un ambiguo frate. Tonina si concede al massaggiatore di Vivien, mentre quest’ultima si consola assumendo una nuova colf.
Filmetto dalla chiara matrice erotica, Il solco di pesca si segnala per la la noia quasi insopportabile che assale dopo pochi minuti, quando diventa chiaro che il film è il classico espediente per mostrare le nudità della Brochard e sopratutto di Gloria Guida; basato su una sceneggiatura approssimativa, il film mostra, fotogramma dopo fotogramma, una povertà quasi imbarazzante di idee, affidandosi ad una trama tanto pruriginosa quanto banale.
I personaggi hanno uno spessore estremamente limitato, così alle povere attrici altro non resta da fare che seguire diligentemente il copione, mettere in mostra il solco di pesca e arrivare alla ingloriosa fine, quando, in maniera quasi boccaccesca, i assiste all’improbabile ritorno di Davide tra le mura conventuali, in un ancor più improbabile amorazzo questa volta di stile omosex.
Martine Brochard
Le due attrici, la bella Martine Brochard, alle prese con le profferte pseudo artistiche del seminarista/fotografo, mostrano tutto il loro splendore, che effettivamente resta un gran bel vedere; se c’è una scena da ricordare, è quella in cui la Brochard presta le sue natiche per una serie di tatuaggi/timbri, mentre Gloria Guida, che sfodera un doppiaggio in bolognese quasi surreale, è l’altra cosa per la quale il film potrebbe valere una visione.
Il solco di pesca, un film di Maurizio Liverani. Con Gloria Guida, Martine Brochard, Emilio Cigoli, Alberto Terracina, Diego Ghiglia, Andrea Camilleri
Erotico, durata 90 min. – Italia 1976
Martine Brochard … Viviana
Gloria Guida … Tonina
Alberto Terracina …Davide
Diego Ghiglia … Marito di Viviana
Roy Bosier … Masseur
Rita Corradini … Amica di Viviana
Emilio Cigoli …Zio di Davide
Regia Maurizio Liverani
Sceneggiatura Maurizio Liverani
Produttore Tino Biasia (produttore associato)
Casa di produzione Top International Films
Distribuzione (Italia) Indief
Fotografia Angelo Bevilacqua
Montaggio Giuseppe Giacobino
Musiche Teo Usuelli
Scenografia Antonio Visone
Costumi Rita Corradini
Trucco Stefano Trani
Oh, mia bella matrigna!
Luigi, un professore universitario, resta vedovo dopo un incidente stradale, nel quale muore la giovane moglie. L’uomo ha un figlio, Claudio, che si gode la vita, tra donne e bisbocce varie. Un giorno Luigi, colto da improvvisa passione per la bella e seducente Laila, la corteggia e la sposa. La coppia si installa ovviamente nell’appartamento di lui, nel quale abita il giovane Claudio.
Sabina Ciuffini, la bella matrigna
Ben presto tra la giovane matrigna e Claudio, complici le continue assenze del professore, scoppia la fatidica scintilla. I due prendono ad amarsi, ma la presenza di Luigi diventa ben presto troppo ingombrante. Così i due amanti decidono di eliminarlo fisicamente, simulando un incidente, ma durante le prove generali dell’omicidio, qualcosa non funziona, e Laila rimarrà folgorata nella vasca da bagno.
Filmetto senza pretese, diretto da Guido Leoni nel 1976, Oh mia bella matrigna nelle intenzioni dei produttori e del regista avrebbe dovuto lanciare la carriera cinematografica di Sabina Ciuffini, all’epoca valletta del popolare Mike Bongiorno e del suo seguitissimo Rischiatutto. Scommessa persa per due motivi: Sabina Ciuffini, pur carina e simpatica, non possedeva le necessarie doti d’attrice, e nel film, una commediola erotica con qualche pretesa di essere un thriler o quanto meno un dramma famigliare, aldilà dei seni esposti con generosità, altro non mostra.
Il secondo, sicuramente più valido motivo, consiste nell’estrema insulsaggine della trama, trita e ritrita, nell’ambientazione quasi sempre casalinga del film, con scene ripetute degli amori tra Claudio e Laila, peraltro non condite dal solito erotismo sfacciato, ma limitato a qualche inquadratura del bel corpo della Ciuffini. Probabilmente per evitare fatidiosi problemi con la Rai, della quale era dipendente, forse anche per non guastare quella ua fama di ragazza libera ma non troppo, di fidanzatina degli italiani, la Ciuffini non girò nemmeno una scena senza slip, con risultati anche paradossali e divertenti; in una scena in cui fa la doccia, mostrando scarso senso per l’igiene, non si toglie gli slip!!!
Aldilà della battuta, Oh mia bella matrigna non si segnala per nessun merito particolare; film abbastanza noioso, dalla trama scontata, giocato sul rapporto peraltro visivamente molto casto tra Claudio e Laila, non ha dalla sua nemmeno una recitazione di livello. A parte il povero Ronet, che sembra capitato sul set di un film con soggetto fantascientifico, nulla resta nella memoria dello spettatore. Forse un senso di liberazione alla comparsa della fatidica scritta Fine
Oh, mia bella matrigna!, un film di Guido Leoni. Con Maurice Ronet, Sabina Ciuffini, Gianfranco De Angelis, Gloria Piedimonte, Crippy Yocard
Drammatico, durata 94 min. – Italia 1976.
Maurice Ronet: Luigi
Sabina Ciuffini: Lalla
Gianfranco De Angelis: Claudio
Gloria Piedimonte: Elvira, la domestica
Crippy Yocard: Cochi
Regia Guido Leoni
Soggetto Luigi Angelo
Sceneggiatura Guido Leoni,Sandro Leoni
Fotografia Romolo Garroni,Claudio Carradori
Montaggio Angelo Curi,Maria Pia Appetito
Musiche Renato Serio,Guido Leoni,Carol Hill
Scenografia Giacomo Calò Carducci
Il comune senso del pudore
Il comune senso del pudore è un film del 1975, diretto da Alberto Sordi, strutturato in 4 episodi.
Nel 1° episodio, protagonista lo stesso Sordi, Giacinto, un operaio, decide di andare a cinema con sua moglie; attirato da un titolo ambiguo, finisce per capitare su una pellicola a luci rosse, con grosso imbarazzo della moglie. Nonostante vaghi con la stessa alla ricerca di un film decente, si imbatterà solo in pellicole sexy se non hard; tuttavia, in qualche modo, la moglie di Giacinto ne subirà il perverso fascino.
Philippe Noiret
Il 2° episodio un giovane intellettuale idealista viene assunto in qualità di direttore di una rivista pornografica; la cosa gli porterà indubbi vantaggi, ma anche un mandato di cattura per una serie di reati contro la morale. Tutto sommato la cosa non gli dispiacerà, essendo fortemente convinto di svolgere un ruolo di paladino della libertà di costume.
La sequenza divertente della fuga dal set di Dagmar Lassander
Nel 3° episodio la moglie di un feroce nemico della stampa porno, un pretore tutto d’un pezzo, ma fondamentalmente ipocrita, scoprirà proprio nelle letture porno qualcosa che le servirà per riattivare il rapporto con il marito.
Il 4° episodio vede protagonista un’attrice, pluri premiata, che sul set di un film rifiuta categoricamente una scena ardita, mettendo in crisi sia la produzione, sia il produttore stesso, che nel film ha puntato anche soldi che non aveva. L’intervento di una serie di persone, un sacerdote, uno psicologo e altri, riporterà il tutto a posto.
Alberto Sordi e Rossana Di Lorenzo
Florinda Bolkan e Cochi Ponzoni
I quattro episodi, tutti legati al tema sesso, al comune senso del pudore, come cita il titolo, vorrebbero essere nelle intenzioni dell’attore romano una messa alla berlina di situazioni e morale predominanti nella società; il tutto commentato e illustrato con ironia e a volte con sarcasmo. In realtà alla fine vien fuori un prodotto molto modesto, illuminato solo a tratti dalla presenza dei volenterosi attori presenti, Philippe Noiret, Claudia Cardinale, Silvia Dionisio, Dagmar Lassander. Troppo fragili gli episodi, troppo poco approfondita la parte di denuncia, a tutto scapito della profondità del film, che appare più un assieme di macchiette e di gag che una fustigazione del costume.
Gli episodi non sono nemmeno male; gradevole per esempio quello con protagonista Sordi e l’inseparabile moglie cinematografica, Rossana Di Lorenzo, alle prese con una serie di pellicole dal chiaro sapore osceno. Divertente, per esempio, la parte ambientata in un cinema durante la visione di una pellicola in cui la protagonista sta per esibirsi in uno spettacolo osceno con un cavallo. Gradevole anche l’episodio con protagonista la Lassander e Noiret, mentre gli altri due soffrono delle incertezze della sceneggiatura. Sordi è sicuramente stato un grandissimo attore, spesso a disagio però nelle vesti di regista, per una certa tendenza alla superficialità, per l’innato senso del satirico veloce, poco approfondito.
Claudia Cardinale
Il comune senso del pudore, un film di Alberto Sordi. Con Claudia Cardinale, Alberto Sordi, Florinda Bolkan, Philippe Noiret, Cochi Ponzoni,Michele Malaspina, Giacomo Furia, Renzo Marignano, Gisela Hahn, Ugo Gregoretti, Dagmar Lassander, Silvia Dionisio, David Warbeck
durata 130 (123) min. – Italia 1976.
Alberto Sordi: Giacinto Colonna
Cochi Ponzoni: Ottavio Caramessa
Florinda Bolkan: Loredana Davoli
Claudia Cardinale: Armida Ballarin
Philippe Noiret: Giuseppe Costanzo
Rossana Di Lorenzo: Erminia Colonna
Silvia Dionisio: Orchidea
Giò Stajano: fotografo di moda
Renzo Marignano: regista del film Lady Chatterley
Giacomo Furia: direttore di produzione del film Lady Chatterley
Dagmar Lassander: Ingrid Streissberg
Pino Colizzi: Tiziano Ballarin
Ugo Gregoretti: primo critico
Giulio Cesare Castello: secondo critico
Marina Cicogna: una consulente
Gisela Hahn: Ursula Kerr
Horst Weinert: direttore dell’hotel
Manfred Freyberger: marito di Ingrid
David Warbeck: Mellors (nel film Lady Chatterley)
Franca Scagnetti: cameriera trattoria
Jimmy il Fenomeno: sé stesso
Enrico Marciani: direttore cinema Jolly
Macha Magall: la contessa
Regia Alberto Sordi
Soggetto Rodolfo Sonego, Alberto Sordi
Sceneggiatura Rodolfo Sonego, Alberto Sordi
Produttore Fausto Saraceni
Fotografia Luigi Kuveiller, Giuseppe Ruzzolini
Montaggio Tatiana Casini Morigi
Musiche Piero Piccioni
Scenografia Francesco Bronzi, Piero Poletto, Luciano Puccini
Costumi Bruna Parmesan
L’opinione di B.Legnani dal sito http://www.davinotti.com
Filmetto senza picchi, un po’ tirato via, qua e là prolisso. La cosa più sorprendente sono le scene piuttosto spinte che Sordi e la moglie vedono nei vari cinema. La ragazza che (qualcosa si vede, qualcosa si intuisce) è protagonista dell’ippofilo film “La cavalcata” (che non esiste) è Macha Magall, che ha fatto il vero La Bestia in calore, con Salvatore Bàccaro. Resta il dubbio se lo stesso Sordi abbia diretto questa scena (e pure quella dell’altro ipotetico film, “Il romanzo di una novizia”).
L’opinione di Ryo dal sito http://www.filmtv.it
Purtroppo in questo film, come in molti altri di Sordi regista, c’è tutta la mediocrità di un attore che è stato un importante strumento d’indagine della società dei suoi tempi in mano a registi di grande calibro e che ha avuto la presunzione di proseguire questa grandiosa opera di satira e di analisi da solo. Ma quale abisso tra il prima e il dopo. L’ampiezza di respiro di certi suoi film come “Il Medico della Mutua”, dove attraverso Sordi venivano analizzate le viscere della società post-industriale e come i cambiamenti politici, economici e tecnologici interagissero con le pulsioni profonde del popolo italiano, è soppiantata da una banalizzazione di fenomeni che avevano una ragione d’essere (in questo caso, la liberazione sessuale, i mutamenti post ’68, etc) e che li rende grotteschi. In questo modo, come con Sordi regista accadrà in seguito, Il film, specie il primo episodio, è peggiore degli aspetti peggiori della società che critica, perchè non riesce a trovare una ragione d’essere, perchè tutto sembra avvolto in una nube di irrazionalità e inspiegabilità, perchè critica svolte ragionevoli e sembra accettare (forse nel tentativo di bilanciare) autentici errori epocali, perchè l’analisi si ferma talmente in superficie che i grandi quadri d’insieme, le visioni macroscopiche dei suoi film da attore, appaiono nostalgicamente lontani. Peccato.
L’opinione Il Dandy dal sito http://www.davinotti.com
Forse è l’ultimo film in cui il Sordi regista ha ancora veramente qualcosa da dire e il suo “qualunquismo” (deboluccio l’episodio del Cochi Ponzoni scrittore) non è ancora squalificato dallo scarto generazionale che lo relegherà nella nostalgia: qui è contemporaneo e ancora graffiante (spassosissimo l’episodio con Philippe Noiret produttore, mentre quello con la Cardinale moglie di un giudice censore vale soprattutto come documento d’epoca). Il meglio è ovviamente l’episodio con Sordi attore: “Allora noi ve salutamo, annamo ar cinema”…
Sorbole che romagnola
Orietta, una giovane romagnola, si trova immischiata in una storia di conti da pagare per colpa dell’agenzia turistica per la quale lavora. Così , in cerca di un lavoro con cui poter rimediare i soldi che le servono, decide di stazionare sul posto. Qui la gente del luogo è ,al solito, provinciale e bacchettona, i notabili e non hanno come unica occupazione e svago la frequentazione di una bella e formosa mondana, che si divide equamente fra personaggi in vista e carabinieri, commercianti e professionisti.
Ria De Simone è la mondana del paese
Orietta decide di cercarsi un lavoro, così trova un posticino in una sartoria, gestita da una vedova che ha un nipote, Giorgio; ma la ragazza deve misurarsi subito con un problema. Le donne del posto hanno la pretesa di vestire bene e di essere contemporaneamente magre ed attraenti. E poichè viceversa sono quasi tutte sovrappeso, alla furba Orietta viene in mente un’idea: trasformare la sartoria in un centro estetico, con l’aiuto del giovane Giorgio che sta studiando per diventare allenatore, e che quindi ha conoscenze di medicina e di corpo umano.
Maria Rosaria Riuzzi è Orietta
La cosa funziona, e ben presto le donne della cittadina affollano il centro in cerca della bellezza e della magrezza perdute. Il centro prospererà, le donne del paese, ridiventate magre, belle e sexy riconquisteranno le attenzioni dei mariti, e Orietta, che finalmente conquista il cuore di Giorgio, troverà l’amore, mentre la mondana del paese, restata disoccupata, partirà verso altre destinazioni.
Diretto nel 1976 da Alfredo Rizzo, Sorbole che romagnola è un film da definire balneare; di erotico ha poco, visto che le scene di nudo sono limitate alle generose e abbondanti forme della solita Ria De Simone, davvero bella, e di Maria Rosaria Riuzzi, diametralmente opposta nella sua scheletrica magrezza. Non è nemmeno un film comico, visto che le situazioni illustrati si prestano più alla commedia che alle risate, mentre il cast, che presenta anche il cameo di Raffaele Pisù nel ruolo del parroco, annovera un giovanissimo Massimo Ciavarro fresco fresco del successo ottenuto come attore di fotoromanzi e null’altro. Un prodotto comunque discreto, una volta tanto privo delle solite volgarità tipiche di certa commedia scollacciata del periodo.
Ria De Simone: la mondana e i suoi clienti
Sorbole che romagnola, un film di Alfredo Rizzo. Con Maria Rosaria Riuzzi, Massimo Ciavarro, Milly Corinaldi, Mario Pisu,Carlo Rizzo, Luciano Pigozzi, Galliano Sbarra, Luca Sportelli, Marina Pierro,Ria De Simone
Erotico/commedia, durata 90 min. – Italia 1976.
Maria Rosaria Riuzzi … Orietta
Ria De Simone … Isotta
Massimo Ciavarro … Paolo
Luciano Pigozzi … Direttore Hotel
Luciana Luppi … Moglie del direttore
Regia: Alfredo Rizzo
Sceneggiatura: Alfredo Rizzo,Piero Regnoli
Musiche;Ubaldo Continiello
Fotografia:Aldo Greci
Il commissario Pepe
Siamo nella provincia veneta, a Bassano del Grappa, paese che non viene menzionato mai nel film, ma riconoscibile dalle immagini. Il commissario Pepe, arguto e tranquillo funzionario di polizia, si è adattato in qualche modo ai ritmi della vita di provincia, anche sul lavoro. Routine di ordinaria amministrazione, la sua, in una cittadina in cui sembra non accadere mai nulla, e in cui il massimo della turbativa dell’ordine pubblico sembra essere rappresentato da qualche ubriaco e dalla figura ambigua di un reduce di guerra, privo delle gambe, che sembra essere a conoscenza dei segreti intimi degli abitanti.
Un giorno al commissario arriva l’ordine di indagare su alcuni fatti che hanno a che fare con la morale pubblica; a malincuore Antonio Pepe inizia le indagini, scoprendo che sotto la quiete della cittadina si agitano turpi vizi, storie boccaccesche, prostituzione e persino atti di pedofilia e omosessualità.
Lo sconcertato commissario, che ha una relazione segretissima con Matilde, una bella ragazza del posto, si imbatte in Silvia, una studentessa minorenne legata ad uno squallido personaggio che si prostituisce un pò per noia e un pò per amore, in una suora che ha atteggiamenti lesbici nei confronti di una sua allieva, in una nobildonna che organizza strani festini, nella sorella di un collega della polizia che fa una vita mondana,
industriali che frequentano minorenni e dulcis in fundo, scopre che Matilde, la sua donna, in realtà durante le assenze per lavoro, a Milano, posa per delle foto pornografiche con il soprannome di Yolanda. L’amareggiato commissario, che ha raccolto un sostanzioso dossier sui vizi della cittadina, parla con il suo superiore, che lo invita a fare piazza pulita solo dei pesci piccoli, risparmiando notabili e persone in vista, per non turbare l’ordine sociale e sopratutto per evitare, in campagna elettorale, un grosso scandalo.
Una mattina Pepe, recatosi davanti alla locale chiesa, vede entrare tutti i personaggi coinvolti nello scandalo per partecipare alla messa; appare chiaro che i potenti hanno una vita regolamentata dall’ipocrisia. Commettono i peggiori peccati, salvo poi confessarsi e riprendere tutto come prima. Pepe, che dovrebbe a questo punto mandare sotto processo i piccoli, probabilmente i meno colpevoli, sceglie di non scegliere; brucia il dossier raccolto faticosamente, rassegna le dimissioni e si reca a prendere Matilde dalla stazione.
Ma quando arriva il treno, lui non aspetta la donna: si incammina triste e solitario sul viale della stazione, rivlge un’occhiata alla camera e con sguardo triste e malinconico dice ” E voi? Siete tutti leoni? ”
Il commissario Pepe, film del 1969 diretto da Ettore Scola è uno splendido affresco della vita di provincia, quella provincia italiana laboriosa ma anche viziosa sotto il suo manto di perbenismo; è una denuncia, amara e malinconica, del sistema di potere che garantisce ai forti l’impunità su qualsiasi cosa, che sia un reato morale o più grave.
Antonio Pepe, che ha una dignità, una moralità adattabile si, ma scevra da compromessi, alla fine sceglie la via più difficile, quella di non scegliere, lasciando al suo sostituto il compito di riaprire le indagini o far finta di nulla. Dovrà essere lui, il suo successore a decidere, commenta amaro nel finale: se sarà peggiore di lui dovrà accettare quello che lui non ha voluto subire , incriminerà i pesci piccoli salvando i potenti; se sarà migliore di lui farà quello che lui non ha avuto il coraggio di fare, cioè incriminare tutti senza favoritismi.
Antonio Pepe è interpretato in maniera ineguagliabile da Ugo Tognazzi, che presta il suo volto, la sua recitazione, al malinconico personaggio di Scola; malinconico si, ma anche arguto, ironico ,a tratti sarcastico. Interpretazione tra le migliori in assoluto di un grande attore, capace di cogliere le minime sfaccettature dei personaggi. Altrettanto brava è Silvia Dionisio, giovanissima, che interpreta la equivoca studentessa Silvia, così come brava è Marianne Comtell, che interpreta Matilde, fidanzata all’apparenza perbenista del commissario.
Cameo per Rita Calderoni, la giovane circuita dalla sua superiora, e per Elsa Vazzoler, nel ruolo di una simpaticissima mondana in pensione. Il film è tratto dal romanzo omonimo di Ugo Facco de La Garda, e a distanza di 40 anni è godibile come quando uscì.
Il commissario Pepe,un film di Ettore Scola. Con Ugo Tognazzi, Giuseppe Maffioli, Silvia Dionisio, Marianne Comtell, Elsa Vazzoler,Pippo Starnazza, Gino Santercole, Dana Ghia, Elena Persiani, Rita Calderoni
Commedia, durata 107 min. – Italia 1969.
Ugo Tognazzi: Antonio Pepe
Giuseppe Maffioli: Nicola Parigi
Silvia Dionisio: Silvia
Tano Cimarosa: agente Cariddi
Marianne Comtell: Matilde Carroni
Dana Ghia: Suor Clementina
Elsa Vazzoler: vecchia prostituta
Véronique Vendell: Maristella Diotallevi
Rita Calderoni: Clara Cerveteri
Elena Persiani: Marchesa Norma Zaccarin
Pippo Starnazza: ubriacone
Gino Santercole: Oreste
Nogara Gervasio: Barista dell’hotel
Regia Ettore Scola
Soggetto Ugo Facco De La Garda, Ruggero Maccari, Ettore Scola
Sceneggiatura Ruggero Maccari, Ettore Scola
Produttore Pio Angeletti, Adriano De Micheli
Fotografia Claudio Cirillo
Montaggio Tatiana Casini Morigi
Musiche Armando Trovajoli
Costumi Gianni Polidori
Karin Schubert
Nata ad Amburgo, il 26 novembre del 1944, Karin Schubert, classica bellezza teutonica, capelli biondi, occhi azzurri e fisico statuario, può essere eletta ad emblema del cinema che crea e distrugge la vita di una persona, come una madre che ti alleva, ti da l’illusione di averti coccolato ed educato e poi si trasforma in una cupa matrigna, pronta ad esigere un tributo salato proprio quando sembra che tutto possa sorriderti.
Dalle stelle giù nel fango; senza mediazioni, attraverso una discesa che assomiglia più ad un capitombolo, dalla quale poi esci ferita a morte, incapace di riannodare i fili di una vita che nel frattempo si è trasformata in un incubo, uno dei peggiori..Una vicenda triste la sua, che ha avuto il suo punto di svolta attorno alla metà degli anni ottanta, quando la Schubert, più o meno quarantenne, ha visto declinare velocemente quella bellezza e quella floridità fisica che la aveva caratterizzata, e che l’ha portata a scegliere, per tutta una serie di fattori concomitanti, la degradazione professionale ed umana del cinema hard, quello a luci rosse, che ha travolto nello stesso modo altre note attrici del cinema nostrano, che , come Lilli Carati, hanno avuto la forza di recuperare se stesse, attraverso un lungo e doloroso periodo di riabilitazione personale. Lei, Karin Schubert, non ha trovato la stessa forza, finendo per scendere ancora più nel baratro, finendo poi per tentare due volte il suicidio.
Karin Schubert nel film Il buio intorno a Monica
L’uomo che sfidò l’organizzazione
Karin Schubert nel film Manie di grandezza
Quando arriva in Italia, nel 1968, per girare il film La facocera, di Damiani, del quale non c’è traccia negli archivi cinematografici, Karin Schubert ha all’attivo solo una breve comparsata nel film del regista greco Kefalas Krouaziera tou tromou, uscito nel 1966. In Italia fa qualche pubblicità, partecipa da comparsa o poco più ad alcuni film poco conosciuti, come Io ti amo, di Margheriti,nel cui cast ci sono la cantante Dalida e Alberto Lupo, in Samoa regina della giungla, di Malatesta, filmetto in cui l’unica cosa decente è costituita dalla presenza della bellissima Edwige Fenech e nel film Satiricosissimo, di Mariano Laurenti,
La dottoressa sotto il lenzuolo
costruito attorno al duo Franchi-Ingrassia e alla bellezza della solita Fenech. Nel 1970 ha la sua prima occasione; entra nel cast del buon western Vamos a matar companeros, di Sergio Corbucci, solido western costruito attorno ad un cast di ottimo livello, nel quale spiccano Franco Nero, Jack Palance, Thomas Milian e Fernando Rey, nel quale lei è Zaira, unica interprete femminile del film. Da quel momento la Schubert entra in pianta stabile in produzioni disparate, che vanno dalla commedia di costume, come Scusi lei le paga le tasse (1971), diretto da Mino Guerrini al fianco dell’inossidabile duo Franchi-Ingrassia,
Nel film Quel gran pezzo della Ubalda
alla commedia Il prete sposato, di Marco Vicario, costruito attorno al personaggio emergente della commedia italiana, Lando Buzzanca, a I due maghi del pallone di Roberto Gianviti, ancora una volta al fianco di Franchi e Ingrassia.Nel 1971 gira il suo primo thriller all’italiana, Gli occhi freddi della paura, nel quale è una giovane attrice di un night club che si esibisce in una specie di siparietto erotico a sfondo giallo, e in cui compare nuda per l’intera sequenza girata.Sempre nel 1971 Karin Schubert interpreta una piccola parte nel noir di Leoni Ore di terrore, prima di avere la sua grande occasione, far parte del cast di Mania di grandezza, di Gerard Oury, un film in costume nel quale Karin è la regina di Spagna, nel cast del quale ci sono star del calibro di Louis De Funes, Yves Montand, oltre ai nostri bravi caratteristi Tinti e Borgese.
Nel 1972 inizia il periodo in cui Karin Schubert accetta di partecipare a produzioni principalmente a sfondo erotico, come il decamerotico Racconti proibiti… di niente vestiti, il pretenzioso e brutto Barbablu, che si segnala solo per il cast di bellissime attrici in desabillè, come Agostina Belli, Marilu Tolo, Nathalie Delon e la stessa Schubert. Un gran bel vedere per un’opera sprecata banalmente, nonostante la presenza come protagonista principale del grande Richard Burton, film che precede cronologicamente la partecipazione al bel film di Boisset L’attentato, uno dei film che annovera un cast strepitoso: Jean Louis Trintignant, Michel Piccoli, Gian Maria Volontè, Jean Seberg, Philippe Noiret, Roy Scheider, Briuno Cremer.
Karin Schubert in Gli occhi freddi della paura
Nel 1972 arriva anche il grande successo di pubblico, per merito di uno dei decamerotici meglio girati, Quel gran pezzo della Ubalda tutta nuda e tutta calda, di Mariano Laurenti, in cui è Fiamma, moglie di un soldato che torna assatanato dalla guerra, interpretato dal simpatico Pippo Franco.Parallelamente, la Schubert accetta di lavorare per servizi fotografici in cui compare spesso e volentieri in costume adamitico, cosa che la porterà ad accettare, d’ora in poi, parti erotiche in vari film, come lo scabroso film francese La punition, nel quale è la protagonista principale, Britt, una ragazza che finisce in una casa d’appuntamento dove sperimenterà la depravazione degli individui più degenerati della città, il bislacco Il pavone nero, brutta copia del più famoso Il dio serpente,
Emanuelle perchè violenza alle donne
Con Laura Antonelli nel film Mio Dio come sono caduta in basso
film intervallati da produzioni dignitose, come il western Tutti per uno botte per tutti, il thriller La casa della paura, di William Rose e il feuilleton Il bacio di una morta, di Infascelli.Lentamente, ma inesorabilmente, la Schubert va incontro ad un decadimento fisico; ha appena 31 anni, ma ne dimostra di più, il che, cinematograficamente, è un handicap pesantissimo. Dopo aver recitato, ed anche discretamente, nel film di Comencini Mio Dio come sono caduta in basso, al fianco della star Laura Antonelli, interpreta due ruoli discreti in Lo sgarbo e in L’uomo che sfidò l’organizzazione;
Ore di terrore
siamo nel 1975 e arriva la svolta definitiva della sua carriera. Bitto Albertini le propone il ruolo di Ann nel film Emanuelle nera, al fianco della star dell’eros Laura Gemser; film antesignano degli hard girati in seguito da D’Amato. Il film, brutto, ha però successo sia per la sua carica erotica, sia per la famosa colonna sonora di Fidenco, oltre che per la partecipazione delle due star impegnate in vere e proprie gare di nudo.La Schubert gira ancora Il buio intorno a Monica, altro brutto film in cui il decadimento fisico è già evidente, La dottoressa sotto il lenzuolo, di Martucci, film debole e confusionario,
Karin Schubert nel film La punition
salvato solo dalle bellezze impegnate, come Orchidea De Santis, Ely Galleani, Rita Forzano e la Elizabeth Turner. La fine cinematografica della Schubert può essere fatta coincidere con il film di D’Amato del 1977, Emanuelle perchè violenza alle donne; il film, terzo capitolo della saga dedicata alla reporter di colore, viene girata da D’Amato con i soliti inserti hard per il mercato estero, e finisce per etichettare la bionda attrice tedesca come protagonista di film ai confini con l’hard.
Satiricosissimo, con la Fenech,Franchi e Ingrassia
Il risultato è un rallentamento preoccupante delle chiamate dei vari registi, che coincidono anche con varie vicissitudini nella vita privata dell’attrice, che finirà per accettare anche servizi fotografici molto espliciti per riviste hard. Nei successivi 4 anni Karin Schubert lavora poco; interpreta il film francese Une femme speciale, L’infermiera nella corsia dei militari di Laurenti, Black Venus di Mulot. Qualche altra particina, poi l’oblio; non le chiedono più di partecipare a film importanti, lei sta sfiorendo visibilmente, la sua vita privata va a rotoli.
Il bacio di una morta
Così interpreta il suo primo vero hard, Morbosamente vostra, diretto da Bianchi, che conserva ancora un minimo di trama, prima di passare a pellicole che non avranno più nemmeno quella, e che non vale nemmeno la pena citare. L’attrice scompare anche dall’hard quando non è più in grado di reggere l’obiettivo della macchina cinematografica, sparendo in pratica dagli schermi e diventando un culto solo per coloro che amavano il genere cinematografico a luci rosse.
Karin Schubert in Emanuelle nera
Ricomparirà, assolutamente irriconoscibile, senza traccia dell’antica bellezza, nel Maurizio Costanzo Show, dove racconterà i particolari più scabrosi della sua vita turbolenta, a cominciare dai problemi avuti con i produttori, che a suo dire le chiedevano, per farla lavorare, solo sesso, per passare ia problemi privati, al tempestoso rapporto con il figlio tossicodipendente per aiutare il quale, pare, abbia accettato di scendere all’inferno.
Riuscirà la nostra cara amica…?
A fine carriera, il triste epilogo di Poker di donne
Nel 1994 racconterà ad Enzo Biagi la sua personale storia di violenze subite sin da piccola da parte del padre, sin da quando aveva 11 anni; poi la triste storia dei due tentativi di suicidio, uno proprio del 1994, l’altro del 1996, con l’amara esperienza di aver fatto un film hard a 50 esatti, seguita dalla ancor più amara esperienza di dover accettare, per sopravvivere, un lavoro come voce erotica per pochi spiccioli.
Hanna D.
Triste epilogo di una carriera dignitosa, almeno fino a tre quarti degli anni settanta. Una storia come purtroppo ce ne sono tante, nel dorato e a volte crudelissimo mondo del cinema. Pailettes, successo, notorietà, che si sposano, alle volte, con quanto c’è di più turpe nell’umanità.
Morbosamente vostra (1985)
Hanna D. – La ragazza del Vondel Park (1984)
Christina (1984)
Panther Squad (1984)
Black Venus (1983)
Invierno en Marbella (1983)
Lo scoiattolo (1981)
L’infermiera nella corsia dei militari (1979)
Une femme spéciale (1979)
Allarme nucleare (1978)
Emanuelle – Perché violenza alle donne? (1977)
Cuando los maridos se iban a la guerra (1976)
Frittata all’italiana (1976)
La dottoressa sotto il lenzuolo (1976)
La morte intorno a Monica (1976)
Emanuelle nera (1975)
Lo sgarbo (1975)
L’uomo che sfidò l’organizzazione (1975)
Valse à trois (1974)
Mio Dio come sono caduta in basso! (1974)
Questa volta ti faccio ricco! (1974)
Il bacio di una morta (1974)
Il pavone nero (1974)
L’ammazzatina (1974)
Tutti per uno… botte per tutti (1973)
La punition (1973)
La casa della paura (1973)
Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda (1972)
L’attentato (1972)
Barbablu (1972)
Racconti proibiti… di niente vestiti (1972)
Mania di grandezza (1971)
Ore di terrore (1971)
Gli occhi freddi della paura (1971)
Il prete sposato (1971)
I due maghi del pallone (1971)
Scusi, ma lei le paga le tasse? (1971)
Vamos a matar, compañeros (1970)
Una spada per Brando (1970)
Satiricosissimo (1970)
Io ti amo (1968)
Samoa, regina della giungla (1968)
La facocera (1967)
Barbablu
Riuscirà la nostra cara amica a rimanere vergine…?
Racconti proibiti di niente vestiti
Ore di terrore
Morbosamente vostra
L’uomo che sfidò l’organizzazione
Lo sgarbo
La casa della paura
Il prete sposato
Il pavone nero
Metti le donne altrui ne lo mio letto
Due fotogrammi da Tutti per uno botte per tutti
Frittata all’italiana
Christina
L’ammazzatina
I due maghi del pallone
Metti le donne altrui ne lo mio letto
Questa volta ti faccio ricco
Beatrice Cenci
Lucio Fulci riprende la storia di Beatrice Cenci, nobildonna romana, figlia di un uomo violento, dedito all’alcool e odiato da tutti, a cominciare dalla sua famiglia,e ne fa una saga a tinte cupe, attraverso il racconto dell’omicidio di Francesco Cenci organizzato ed eseguito da Olimpio, valletto personale di Beatrice, di lei innamorato a tal punto da rischiare in prima persona la vita. Siamo negli ultimi anni del 1500, e Francesco Cenci, grazie ad un’interpretazione molto personale di alcune leggi in vigore, approfitta del suo status per abbandonarsi a soprusi di ogni genere, finendo per colpire indiscriminatamente piccoli e grandi proprietari delle terre in cui abita.
Ma anche il lassismo generale ha un limite, e quando Cenci lo supera, le guardie dello stato pontificio intervengono, spogliandolo di parte dei suoi possedimenti e confinandolo nella tenuta di famiglia. Qui l’uomo si abbandona a gesti di violenza verso i suoi congiunti, al punto che una notte Beatrice, bellissima figlia di Francesco, confidandosi con il suo valletto personale ed amante Olimpio, ottiene da quest’ultimo una promessa; Olimpio ucciderà Francesco, simulando un incidente.
Il valletto si reca da un noto bandito e lo convince ad eseguire il delitto; il tutto viene portato a compimento una notte in cui Francesco, dopo essersi dedicato ai consueti bagordi, ritorna a casa completamente ubriaco. Il bandito uccide Francesco e Betarice, con l’aiuto della sua famiglia, lo getta da una finestra, simulando un incidente. Ma un servo di Cenci, che ha intuito la verità, informa le autorità con una lettera anonima dell’accaduto, e queste ultime indagano.
Adrienne La Russa è Beatrice Cenci
Le indagini portano immediatamente al bandito, che ha avuto l’impudenza di girare con il mantello di Francesco, dimostrando anche una disponibilità economica molto sospetta. Questa e altre prove convincono le autorità che dietro la disgrazia in realtà si cela un omicidio, e la famiglia Cenci, con Olimpio, vengono arrestati e sottoposti a tortura. Olimpio resiste eroicamente, e nega la partecipazione dell’amata Beatrice al complotto; lo stesso fa la ragazza, ma sia il fratello che la madre non resistono alla ferocia della tortura e confessano i loro ruoli nella vicenda.
Beatrice a questo punto cede, e racconta anche alcuni retroscena della vita violenta del padre, inclusa la violenza sessuale subita dallo stesso. Ma è tutto inutile; tutti i protagonisti vengono condannati a morte, una morte orribile. Solo Beatrice verrà condannata ad essere decapitata, senza squartamento. Ma da quel momento inizia la leggenda della martire Beatrice, venerata come una santa dal popolo, che inizierà a fare pellegrinaggio sulla sua tomba.
Beatrice Cenci, film del 1969 diretto dal maestro Lucio Fulci è un prodotto asciutto, rigoroso, splendidamente ambientato e ottimamente recitato; Beatrice è interpretata da una giovane e affascinante Adrienne La Russa, che purtroppo nel corso della sua carriera non toccherà più il livello di eccellenza di questa interpretazione. Molto bravo anche Thomas Milian nel ruolo di Olimpio; il film è interessante, con il suo alternarsi di passato e presente, e in maniera inusuale, parte dalla fine, dall’attesa della sentenza per ricostruire le fasi delle vite tragiche dei protagonisti. Bravissimo George Wilson, che interpreta in maniera luciferina il torbido personaggio di Francesco, uomo violento e dissoluto.
Alcuni cenni storici sulla tragica vicenda di Beatrice Cenci, extra film.
Durante il processo a Beatrice e alla sua famiglia,vennero ascoltati testimoni,che confermarono tutto quanto rivelato dagli accusati,gli stupri,le sevizie morali e materiali a cui erano sottoposti.
E forse la sentenza sarebbe stata differente se proprio durante i giorni del processo non si fossero verificati altri casi di parricidio.
Il papa decise che bisognava dare un esempio forte e definitivo,per porre un freno al dilagare degli omicidi in famiglia;così il tribunale,messo alle strette,condannò tutti alla pena capitale,con l’unica eccezione di Bernardo,che ebbe salva la vita.
L’undici settembre 1599 la carretta con i condannati giunse,stretta tra due ali di folla silenziosa,in piazza Castel Sant’Angelo.
Fu fatto scendere Bernardo,che venne obbligato ad assistere al supplizio; subito dopo toccò a Lucrezia, che venne giustiziata dalla mannaia in stato di incoscienza; toccò poi a Beatrice,che con il viso pallido, ebbe tuttavia la forza di ravvivarsi i capelli,in un ultimo gesto di civetteria.
Un attimo dopo,a mannaia del boia troncò la testa della sventurata fanciulla,mentre i due fratelli, Giacomo e Bernardo urlavano per la disperazione.
L’ultimo ad essere decapitato fu Giacomo, che fino all’ultimo gridò che Bernardo era innocente.
I corpi dei condannati restarono sulla piazza fino a tarda notte, come ammonimento,per poi essere rimossi e inviati in vari posti per la sepoltura;Beatrice venne sepolta in un loculo nella chiesa di san Pietro in Montorio.
Nel 1798 Roma era piena di truppe francesi.
Un giorno una delle soldataglie entrò nella chiesa di san Pietro in Montorio,mentre il pittore Camuccino lavorava ad un quadro all’interno della chiesa stessa.
Dobbiamo alla sua testimonianza se ci è arrivato il racconto dell’ultimo oltraggio subito dalla ragazza.
Sembra che i soldati fossero entrati in chiesa, alla ricerca di preziosi.
Aprirono alcune tombe,e fra esse quella di Beatrice Cenci;all’interno rinvennero un piatto d’argento,su cui era appoggiata una sacca nera,che conteneva il capo di Beatrice reciso dalla mannaia;gli uomini portarono via il piatto,non prima di aver gettato tra i rifiuti il cranio della giovane.
Un ultimo oltraggio brutale e gratuito.
La pietà popolare iniziò a fare girare,da allora,una leggenda,che racconta come in alcuni giorni dell’anno sia possibile vedere lo spettro della fanciulla vagare alla ricerca del suo capo.
Un’ultima annotazione riguarda i due boia che eseguirono le condanne dei Cenci;uno di loro si uccise 15 giorni dopo,oppresso dai ricordi e dal rimorso per aver eseguito la condanna;l’altro venne ucciso un mese dopo durante un tentativo di rapina.
Beatrice Cenci, un film di Lucio Fulci. Con Raymond Pellegrin, Tomas Milian, Antonio Casagrande, Adrienne La Russa,Georges Wilson, Amedeo Trilli, Mirko Ellis, Stefano Oppedisano, Umberto D’Orsi, John Bartha, Ernesto Colli, Massimo Sarchielli
Drammatico, durata 90 min. – Italia 1969.
Tomás Milián: Olimpio
Adrienne La Russa: Beatrice Cenci
Georges Wilson: Francesco, padre di Beatrice
Mavie: La madre
Antonio Casagrande: Giacomo Cenci, figlio
Umberto D’Orsi: Ispettore
Pedro Sanchez: Il brigante Catalano
Raymond Pellegrin: Cardinale Lanciani
Steffen Zacharias: Prospero Farinacci
Amedeo Trilli: Servo dei Cenci
Regia Lucio Fulci
Soggetto Roberto Gianviti, Lucio Fulci
Sceneggiatura Roberto Gianviti, Lucio Fulci
Fotografia Erico Menczer
Montaggio Antonietta Zita
Musiche Angelo Francesco Lavagnino, Silvano Spadaccino
Scenografia Umberto Turco
Costumi Mario Giorsi
Dove vai in vacanza?
Tre ottimi registi,Mauro Bolognini, Luciano Salce e Alberto Sordi per un film di discreta fattura, con un cast di ottimo livello e imbastito attorno a tre storie, intitolate Sarò tutta per te, Si buana e Le vacanze intelligenti.
Nel primo episodio, Sarò tutta per te, un maturo professionista, Enrico, decide di passare alcuni giorni di vacanza in compagnia della ex moglie, della quale è ancora innamorato.
Ugo Tognazzi
Ma nella villa di un altro ex della donna, Giuliana, arrivano un mucchio di amici imprevisti, fra i quali anche l’ex fidanzato, con siti quasi boccacceschi e rocamboleschi.
Il secondo episodio,Si buana,vede protagonista uno sfigatissimo organizzatore di safari improvvisato, che viene coinvolto suo malgrado in un omicidio da parte della moglie di un ricco industriale.Mentre afflitto racconta le sue disavventure ad un occasionale cliente di un bar, scopre che costui è un agente delle assicurazioni, mandato ad investigare proprio sulla morte dell’industriale, che è stata organizzata dalla moglie Margherita.
Annamaria Rizzoli nell’episodio Si buana
Il terzo episodio, Le vacanze intelligenti, vede protagonisti due coniugi, lui fruttivendolo e lei casalinga, i cui figli, tutti prossimi al termine degli studi, organizzano una vacanza culturale per i due genitori, con esiti assolutamente imprevisti.
Tre storie ben organizzate a livello di sceneggiatura, con un cast assolutamente di rispetto; nel rpimo episodio troviamo Ugo Tognazzi nel ruolo di Enrico e una superba Stefania Sandrelli in quello della ex moglie di Enrico, Margherita. L’episodio, diretto da Bolognini, è dei tre quello più sottilmente intriso di ironia, ed è anche il meno spassoso, anche se ruota attorno ad uno degli elementi caratteristici della commedia all’italiana, l’adulterio che questa volta è consumato, o almeno nelle intenzioni dovrebbe essere consumato tra ex coniugi.
Il secondo episodio è sicuramente il più divertente e meglio costruito; irresistibile Paolo Villaggio nel suo ruolo più congeniale, quello della vittima delle circostanze. Questa volta ad affiancarlo c’è la bellona Anna Maria Rizzoli, bella e seducente, mentre come attori di contorno ci sono due grandi caratteristi, Gigi Reder e il olito inossidabile Daniele Vargas, l’industriale fissato con il safari, a caccia di un leone che il povero Arturo dovrà recuperare facendo ricorso, sciaguratamente, alla fantasia.
L’ultimo episodio, quello diretto e interpretato da Alberto Sordi vede l’attore in compagnia della tradizionale moglie cinematografica,la bravissima Anna Longhi. Qui il tema commedia si amplia a dismisura, mostrando le disavventure della coppia di coniugi romani alle prese con opere d’arte, con una vacanza alternativa che per loro si trasforma in un incubo, prima della soluzione finale, un gigantesco piatto di spaghetti che rimette tutti d’accordo.
Episodio spassoso, ma visto solo in un’ottica meramente comica, perchè tutto sembra reggersi solo sulle figure di Romeo e Augusta, i due coniugi un pò borgatari.Il cast, come già detto, è di sicuro rispetto e comprende oltre ai citati protagonisti bellezze come Brigitte Petronio, Lorraine De Selle, Marilda Donà, Clarita Gatto. Tra gli attori un giovane Ricky Tognazzi. Film da vedere come sano divertimento, nell’ottica più pura dell’evasione.
Dove vai in vacanza?
Un film di Mauro Bolognini, Luciano Salce, Alberto Sordi. Con Paolo Villaggio, Alberto Sordi, Stefania Sandrelli, Anna Maria Rizzoli, Gigi Reder, Ugo Tognazzi, Daniele Vargas, Clara Colosimo, Ricky Tognazzi, Paolo Paoloni, Pietro Brambilla, Brigitte Petronio, Rodolfo Bigotti, Elisabetta Pozzi, Rita Silva, Clarita Gatto, Anna Longhi Commedia, durata 160′ min. – Italia 1978.
Episodio uno: Sarò tutta per te, diretto da Mauro Bolognini
Ugo Tognazzi
Stefania Sandrelli
Pietro Brambilla
Clara Colosimo
Emilio Locurcio
Adriano Amidei Migliano
Lorraine De Selle
Paola Orefice
Rosanna Ruffini
Ricky Tognazzi
Rodolfo Bigotti
Elisabetta Pozzi
Brigitte Petronio
Marilda Donà
Roberto Spagnoli
Episodio due, Si buana, diretto da Luciano Salce
Paolo Villaggio
Gigi Reder
Daniele Vargas
Anna Maria Rizzoli
Paolo Paoloni
Peter Adabire
Rita Silva
Clarita Gatto
Paola Arduini
Episodio tre, Le vacanze intelligenti, diretto da Alberto Sordi
Alberto Sordi
Anna Longhi
Evelina Nazzari
Stefania Spugnini
Alfredo Quadrelli
Filippo Ciro
Alessandro Partexano
Giovannella Grifeo
Shereen Sabet
Regia Mauro Bolognini, Luciano Salce, Alberto Sordi
Soggetto Roberto Gianviti, Furio Scarpelli, Rodolfo Sonego, Alberto Sordi
Sceneggiatura Ruggero Maccari, Iaia Fiastri, Furio Scarpelli, Sandro Continenza, Rodolfo Sonego, Alberto Sordi
Produttore Gianni Hecht Lucari
Casa di produzione Rizzoli Film – Cineriz
Fotografia Sergio D’Offizi, Danilo Desideri, Luciano Tovoli
Montaggio Antonio Siciliano, Nino Baragli, Tatiana Casini Morigi
Musiche Ennio Morricone, Piero Piccioni
Lo stallone
Cupo, fosco dramma famigliare diretto da Tiziano Longo nel 1975, su un soggetto sceneggiato da Paolo Barberio, Tiziano Longo e Piero Regnoli. Daniela, una bella ragazza unica figlia di una coppia borghese, è morbosamente attaccata al padre Guido.
Gianni Macchia
Lo lega a lui un affetto che sfocia in patologico, una sorta di complesso di Edipo al femminile; quando la ragazza incontra Valerio, un giovane artista senza un soldo, moralmente ambiguo e libertino, architetta un piano per sbatterlo nelle braccia della mamma Francesca, una donna ancora piacente, che ricorda con nostalgia i tempi in cui il marito la desiderava ancora. Francesca assiste anche ad un amplesso tra la figlia e il giovane pittore, restandone fortemente turbata. Si offre al marito, che però è distratto ed immerso nei suoi pensieri. Così quando accetterà la corte interessata del giovane, riscoprirà il piacere dei sensi.
Giorgio Ardisson (Guido) e Dagmar Lassander (Francesca)
Il marito accortosi della relazione, reagisce in maniera contraria ai desideri della figlia Daniela: guarda dapprima con distacco alla cosa, per poi prenderla come un diversivo erotico, che riaccende in qualche modo i suoi sensi sopiti, ridando slancio in questo modo alla relazione con la moglie.Ma le cose sono destinate a precipitare. La relazione tra Francesca e Valerio è ormai ad un punto di non ritorno, e quando Daniela se ne rende conto, prima che i due possano fuggire assieme, come hanno progettato, uccide i due amanti.
Lo stallone è un film giocato sul dramma borghese che coinvolge le vite dei protagonisti, l’attempato Guido, interpretato da Giorgio Ardisson, uomo freddo e distante dal suo ruolo istituzionale di amante e marito di Francesca, Dagmar Lassander, donna borghese ancora piacente, trascurata e quindi vulnerabile alle attenzioni maschili, da quella di Daniela, Annarita Grapputo, bella e morbosa ragazza legata da un affetto non propriamente filiale nei confronti del padre.
E in ultimo dalla figura di Valerio, artista a tempo perso, interpretato dal bel tenebroso Gianni Macchia, autentico perno della storia, inusuale menage a quattro con protagonisti che non suscitano in realtà grandi simpatie, persi come sono dietro meschine lotte per appagare le loro morbosità. Il film, non brutto, cerca in qualche modo di accennare alle psicologie dei personaggi, perdendosi spesso nella descrizione degli incontri erotici dei protagonisti, basandosi più che altro sulle numerose scene di nudo del film stesso, in cui predomina la figura di Francesca, a tratti ambigua, in bilico tra il legame con il marito, che all’inizio la trascura e la respinge per scoprire in seguito un morboso interesse quando la donna si sarà concessa all’amante, arrivando a spiare con un binocolo i loro incontri erotici.
Francesca è interpretata da una Dagmar Lassander magrissima, quasi anoressica, brava comunque a dare credibilità al suo personaggio, esprimendo il tormento di una donna che si vede sfiorire senza alcuna attenzione da parte dell’uomo che ha sposato tanti anni prima. Brava anche Annarita Grapputo, nel ruolo di un personaggio che definire morboso è riduttivo, quella Daniela che si spingerebbe volentieri sui sentieri proibiti dell’incesto.
Nota di merito anche per Ardisson e Macchia, i due amanti della donna, per un film che tutto sommato ha un suo interesse, anche se, come già detto, giocato troppo sull’aspetto sesso e meno su quello psicologico.
Lo stallone, un film di Tiziano Longo del 1975, con Stefano Amato, George Ardisson, Annarita Grapputo, Dagmar Lassander, Gianni Macchia, Domenico Palma. Prodotto in Italia. Durata: 85 minuti.
Annarita Grapputo: Daniela
Gianni Macchia: Valerio
Dagmar Lassander: Francesca
Giorgio Ardisson: Guido
Regia Tiziano Longo
Soggetto Piero Regnoli
Sceneggiatura Tiziano Longo, Piero Regnoli, Paolo Barbario
Produttore Lucio Giuliani
Fotografia Antonio Maccoppi
Montaggio Mario Gargiulo
Musiche Stefano Liberati, Elio Maestosi
Scenografia Franco Bottari
Costumi Liliana Calli
Quell’età maliziosa
Napoleone è un pittore, che un giorno decide di fuggire dalla sua vita, divenuta inutilmente complicata, sentimentalmente instabile anche per colpa di una fidanzata spaventosamente chiacchierona. Decide quindi di cambiare lavoro e ambiente, e si reca sull’isola d’Elba, e qui si presenta alla proprietaria di una villa, proponendosi come manutentore dei giardini.
Napoleone, Nino Castelnuovo e la conturbante Paola, Gloria Guida
La donna, una piacente signora con una figlia poco più che adolescente, lo assume, e da quel momento per il povero Napoleone iniziano i guai. La donna lo provoca in tutti i modi, facendosi vedere nuda, e lo stesso fa la maliziosa figlia, Paola, che approfitta del giovane pittore/giardiniere per esporgli le proprie grazie, in un gioco sottilmente erotico.
Anita Sanders
Le cose però sono destinate a precipitare e a volgere nel dramma; un giorno Paola invita Napoleone ad una passeggiata sulle colline dell’isola. Qui, al solito, si spoglia completamente; ma questa volta andrebbe incontro ad un brutto destino non fosse per la presenza proprio di Napoleone; un pescatore, che ha visto la ragazza nuda, stesa sotto il sole, la assale,e la ragazza per difendersi.lo colpisce con un sasso, rompendogli il cranio. Napoleone, accorso, va in cerca di qualcosa per curare l’uomo, che nel frattempo muore.
La mamma di Paola, accorsa, getta il cadavere dell’uomo in mare, e costruisce delle prove che incolpino ingiustamente il povero Napoleone qualora il delitto venga scoperto. Al pittore non resta altro da fare che fuggire ancora, meditando sul suo destino tanto simile a quello dell’illustre predecessore che portava il suo nome.
Commedia erotica in bilico tra il sexy e il drammatico, Quell’età maliziosa, film del 1975 diretto da Silvio Amadio si divide nettamente in due parti, coincidenti grosso modo con i due tempi canonici dello stesso;
ad un primo tempo scanzonato, malizioso e in qualche modo irriverente, segue una seconda parte drammatica, che culmina nell’omicidio del pescatore, passando attraverso i classici e pruriginosi fotogrammi della Sanders (la madre di Paola) e quelli con protagonista una bellissima e sexy Gloria Guida (Paola), attraverso sequenze in cui predomina un certo gusto ricercato per l’ambientazione (mare e colline dell’isola d’Elba), scene anche scanzonate (il palpeggiamento di Paola nell’autobus), la seduzione con rifiuto dell’amplesso (la madre di Paola).
Qualche caduta di tensione, tutto sommato non determinante; ben delineato il personaggio di Napoleone, un perdente su più fronti, interpretato con professionalità da Nino Castelnuovo, bene anche la maliziosa figura di Paola, interpretata dalla solita, finta ingenua Gloria Guida, che comunque ben tratteggia il personaggio della ragazza provocante e finta pudica. Un film di discreta fattura, lento quanto basta, erotico solo in alcune sequenze, il che lo discosta in qualche modo dall’abbondante produzione cinematografica a sfondo sexy.
Quell’età maliziosa,un film di Silvio Amadio. Con Nino Castelnuovo, Gloria Guida, Anita Sanders, Andrea Aureli, Mimmo Palmara
Drammatico, durata 93 min. – Italia 1975.
Gloria Guida: Paola
Nino Castelnuovo: Napoleone
Anita Sanders: madre di Paola
Mimmo Palmara: il pescatore spagnolo
Andrea Aureli: il patrigno di Paola
Regia Silvio Amadio
Soggetto Silvio Amadio
Sceneggiatura Piero Regnoli, Silvio Amadio
Casa di produzione Domizia Cinematografia
Fotografia Antonio Maccoppi
Montaggio Silvio Amadio
Musiche Roberto Pregadio
Scenografia Saverio D’Eugenio