Nenè
Il piccolo Ju è un bambino di età indefinibile, tra gli otto e i dieci anni; vive con la sua famiglia in una casa malmessa in campagna, afflitto da una sorellina impicciona e traditrice, da un padre frustrato nelle sue ambizioni e nel lavoro, e da una madre ancor più frustrata, che non smette mai di rinfacciare al marito i suoi fallimenti.
Ju è in un’età delicata.
Avverte i primi fremiti della carne, confusamente, che diventeranno ancor più confusi quando a casa dei suoi arriva Nenè, un’adolescente che i suoi genitori accolgono perchè rimasta orfana.
Ju spia il mondo dei grandi, i suoi genitori
Tra Nenè, confusa e smarrita dalla nuova situazione, anche lei presa da fremiti ormonali e il piccolo Ju si stabilisce subito una buona intesa.
I due diventano confidenti, così Ju si trova a vivere una situazione differente da quella in cui dovrebbe vivere alla sua età.
E’ circondato da donne, ognuna differente quanto possono esserlo fra loro persone appartenenti a età diverse e situazioni diverse; la madre accetta rapporti al limite del masochismo con il tanto disprezzato marito, la maestra di ripetizioni di Ju, che vede sfiorire la sua bellezza, parla al ragazzino delle disillusioni della sua vita, mentre Nenè è l’unica che lo tratta quasi come un compagno di giochi.
Siamo nel 1948, qualche giorno prima delle elezioni politiche che avrebbero dovuto significare lo spostamento a sinistra del paese, con l’avanzata del fronte popolare.
Una speranza di tanti italiani, venuti fuori dalle rovine della guerra, ansiosi di vedere un paese nuovo e una classe politica vicina alle esigenze della classe lavoratrice.
Su questo sfondo si muovono i vari personaggi, quasi tutti perdenti, dai due coniugi, frustrati nelle loro ambizioni al barbiere del paese, comunista sfegatato che per il giorno delle elezioni organizza un banchetto con musica, salvo rimanere crudelmente deluso dall’esito delle elezioni.
Anche Nenè è una perdente, perchè oltre ad aver perso i riferimenti abituali di un’adolescente, il padre e la madre, si innamorerà di un giovane mulatto, Rodi, che lega subito anche con Ju, salvo essere sorpresa dal padre del bambino mentre è in atteggiamenti affettuosi con il giovane.
La ragazza verrà frustata a sangue dall’uomo, che in qualche modo sfoga le sue delusioni (la vita provvisoria senza soddisfazioni, la sconfitta politica, un matrimonio noioso e cupo) su Nenè, provocando la reazione del piccolo Ju, che griderà verso il nulla “non voglio crescere più”, deluso da quel mondo adulto così incomprensibile per lui, assolutamente in sintonia con i suoi problemi, perchè anche il paese stesso non riesce a crescere.
Nenè girato nel 1977 da Salvatore Samperi è il film che non ti aspetti dal regista padovano.
Reduce dai fasti principalmente commerciali di Malizia, rinverditi da film di cassetta come Peccato veniale, Scandalo e Strumtruppen, Samperi adatta per lo schermo il romanzo omonimo di Cesare Lanza, con risultati sorprendenti.
Lungi dall’accentuare la parte erotica del romanzo, che in qualche modo tende a mostare i primi pruriginosi problemi del giovane protagonista Ju, Samperi guarda con sguardo sapiente e intelligente alle storie che circondano proprio il protagonista principale, raccontando con tono dimesso i fallimenti dei vari componenti del film, in parallelo con i fallimenti degli ideali di quanti speravano in un esito politico diverso delle elezioni del 48.
Lezioni di vita della maestra di Ju
La storia si muove quindi sui binari paralleli dell’iniziazione sessuale di Ju, che rimane comunque abbastanza estraneo a turbamenti che percepisce ma dei quali non sembra preoccupato, su quelli di Nenè, ben più importanti perchè presenti in una adolescente in piena tempesta ormonale e affettiva, fino al binario meno illustrato con le immagini, ovvero quello politico/sociale.
Facendo attenzione a non andare mai sul terreno minato dello scabroso e del sensazionalismo, il regista riesce a dare una visione lucida e pulita del delicato tema della sessualità nei bambini e negli adolescenti, attraverso una storia che regge bene dall’inizio, ben fotografata e sopratutto ben recitata, grazie al cast che fa miracoli.
Bene il piccolo e sdentato Sven Valsecchi, che interpreta Ju, il bambino curioso, ma non più di tanto, alle prese con l’affascinante e inesplorato mondo femminile, che esprime candore e malizia in maniera perfetta; bene Leonora Fani, forse nella sua interpretazione migliore, anche lei alle prese con un personaggio difficile.
Sorprendente Paola Senatore, in un ruolo non principale, ma importante come quello della madre di Ju; una donna dalle ambizioni frustrate, che sfoga sul marito le sue voglie inespresse e incompiute di una vita diversa.
Molto bravo Tito Schirinzi, il papà di Ju, uomo nel guado, uscito a pezzi dalla guerra, mortificato nell’animo dall’impossibilità di dare decoro alla sua famiglia e sopratutto asfissiato da una moglie nevrotica, che gli imputa i fallimenti di cui lui ha colpa molto relativa.
E infine da segnalare il personaggio dell’insegnante di Ju, interpretata benissimo da Rita Savagnone, anch’essa una donna avviata sul viale del tramonto malinconicamente, senza soddisfazioni e il personaggio del barbiere, piccolo cameo del solito eccezionale Tognazzi.
Un film da gustare, privo di volgarità; basti pensare alla delicatezza di una delle scene cruciali del film, quando Nenè e Ju sono nello stesso letto.
Alla richiesta del bambino di praticargli una fellatio, Nenè acconsente e subito dopo chiede al bimbo ” ma ti è piaciuto?” . E lui, seraficamente risponde “insomma”; il tutto chiaramente senza alcuna immagine disturbante, come accade invece nel film Maladolescenza, dove il tema della sessualità adolescenziale è esplicitato con immagini di dubbio gusto.
Un Samperi ad alto livello, in un film che personalmente ritengo il suo migliore.
In ultimo segnalazioni per la sceneggiatura di Alessandro Parenzo , la fotografia davvero sontuosa di Pasqualino De Santis e le musiche di Francesco Guccini.
Nené, un film di Salvatore Samperi. Con Leonora Fani, Paola Senatore, Rita Savagnone, Tino Schirinzi, Ugo Tognazzi, Sven Valsecchi
Drammatico, durata 97 min. – Italia 1977.
Il barbiere, Ugo Tognazzi, festeggia una vittoria che non ci sarà
Sven Valsecchi: Ju
Leonora Fani: Nené
Alberto Cancemi: Rodi, il mulatto
Rita Savagnone: maestra di Ju
Vittoria Valsecchi: Pa
Tino Schirinzi: padre di Ju e Pa
Paola Senatore: madre di Ju e Pa
Ugo Tognazzi: “Baffo”, il barbiere
Regia: Salvatore Samperi
Soggetto: Cesare Lanza (romanzo)
Sceneggiatura: Salvatore Samperi e Alessandro Parenzo
Produttore: Giovanni Bertolucci
Casa di produzione: San Francisco Film
Fotografia: Pasqualino De Santis
Montaggio: Sergio Montanari
Musiche: Francesco Guccini
Scenografia: Ezio Altieri
Costumi: Ezio Altieri
“Tutti sono delusi, in Nenè. E Samperi ce ne dà conto con un narrare tranquillo, senza improvvidi slanci, quasi una cronaca sommessa venata di pulsioni che sboccano nella violenza finale e subito rientrano nell’ombra triste dell’epilogo. Giovandosi della fotografia suggestiva di Pasqualino De Santis, delle musiche di Francesco Guccini, d’una interpretazione almeno in un caso sorprendente. Pensiamo a Tino Schirinzi, che accanto a Paola Senatore e a Rita Savagnone (la maestra) dà al film una forte impennata: bravissimo nei panni d’un padre che forse la guerra ha reso cattivo, e ormai spera soltanto di vincere alla Sisal, ma continua a proibire. Se Schirinzi, all’esordio sul grande schermo dopo teatro e Tv, è un apporto prezioso per il nostro cinema, forse per la prima volta non s’ha da dir male nemmeno di Leonora Fani: a lungo usata come lolita dei cinema di serie C (a ventitré anni ha già fatto quattordici film), e qui finalmente redenta in una Nenè graziosa e fresca. Il piccolo Ju è Sven Valsecchi, per niente lezioso. È il barbiere chi è? Sorpresa, è Tognazzi, che dà un tocco sanguigno e un rintocco accorato a un film di sconfitti: qualcosa di molto diverso dal racconto morboso promesso ai voyeurs.”
Giovanni Grazzini
“Interessante. Samperi dirige con proprietà pure i bambini (Sven e Vittoria Valsecchi), che non cadono quasi mai nel lezio. È aiutato da attori notevoli, perché Schirinzi e la Savagnone sono bravissimi, la Fani è perfettissima per la parte, la Senatore se la cava bene in un ruolo nel quale prevale il dramma. Inoltre ci presenta (non accreditato!) Ugo Tognazzi (barbiere “rosso” nel marzo-aprile del 1948), il cui figlio è aiuto-regista. Un filino sotto il “buono”, ma decisamente è da vedere.
Drammatico e distorto avvio alla scoperta delle prime “tensioni” sessuali per il piccolo Ju (il bravissimo Sven Valsecchi). A fare da guida, verso l’iniziazione delle pulsioni erotiche, dei primi turbamenti e della gelosia, nientemeno che la cuginetta (di poco più grande) Nenè (Leonora Fani). Ambientato in un dopoguerra quasi glaciale, tormentato da estremismi politici e false rivoluzioni (eccezionale il breve, ma pregnante, ruolo di Tognazzi, comunista incallito e deluso) il film di Samperi affronta con spregiudicata naturalezza un tema ostico, pur divertente ma anche doloroso e sconveniente.
L’iniziazione al sesso è sempre stata nelle corde di Samperi, ma in questo caso è sviluppata in un modo assai interessante, più giocoso che morboso e più attento ai risvolti psicologici ed esistenziali. La fotografia è molto curata e gli attori bravissimi: il candore infantile di Valsecchi, l’irrequietezza della Fani, il violento isterismo del padre-padrone Schirinzi. Sullo sfondo, l’Italia post-bellica e il rovente clima pre-elettorale del 1948, vissuto dalla figura del barbiere comunista Tognazzi, in un indimenticabile cameo.
Buon film di Samperi, perfettamente a suo agio nel raccontare con notevole delicatezza la storia di questi ragazzini di provincia nel dopoguerra, tra problemi di tutti i giorni e curiosità sessuali. Meno riuscita è la parte con Tognazzi, molto “teorica” e che non si integra a dovere col resto del film… In ogni caso nel complesso è un’opera interessante e la Fani è a dir poco spettacolare.”
L Word
The L word è stata una delle serie più amate dagli spettatori televisivi americani, la cui onda lunga è arrivata anche in Italia, raggiungendo punte record per un serial televisivo basato su una tematica forte come l’omosessualità femminile.
Il serial non parla solo di questo, affrontando tematiche disparate, comunque legate intimamente fra loro; dai rapporti spesso difficoltosi tra donne dello stesso sesso, divise da cultura, religione colore della pelle e abitudini, classe sociale, alle prese con le difficoltà di relazionarsi con un mondo in cui l’omosessualità è spesso vista con sospetto fino alle difficoltà di ordine quotidiano, come la vita in comune, la difficoltà estrema di adottare un bambino, l’inseminazione artificiale e altro.
La relazione centrale del serial, quella tra Tina e Bette
La drammatica operazione subita da Dana Fairbanks
Un serial che per la prima volta ha affrontato, senza mediazioni, il tema del lesbismo con un linguaggio crudo, con immagini spesso forti, anche se va detto mai aldilà del lecito.
In L word si intrecciano le storie di un gruppo di donne, man mano sempre più ampio grazie anche al travolgente successo della prima serie televisiva, trasmessa negli Usa nel 2004; il serial, basato sulla sceneggiatura di Ilene Chaiken, Guinevere Turner e Rose Troche ha avuto 6 stagioni consecutive di episodi strettamente legati l’uno all’altro, in cui il comune denominatore nasce attorno ai tavoli del Planet, il bar in cui un gruppo di amiche si ritrova per parlare di tutto, dalla propria sessualità alle esperienze sentimentali spesso fallimentari di ognuna di loro.
Donne alle prese con la carriera ma anche con l’amore, come quello storico che unisce due delle protagoniste più importanti ovvero Bette Porter (Jennifer Beals) e Tina Kennard (Laurel Holloman); la relazione tra la bionda Tina e la colored Bette fa da sfondo a tutte le altre vicende ed è quella sicuramente più importante anche per le implicazioni che comporta nella tempestosa unione tra le due.
Bette è omosessuale da sempre, mentre Tina ha avuto in passato relazioni con uomini, prima di approdare al rapporto con Bette. Ed è fra loro due che sorgono i problemi più importanti, legati alla carriera di Bette, insegnante e artista e quella troncata all’inizio di Tina, che si dedica anima e corpo alla gestione della casa dapprima e in seguito alla figlia Angelica
nata grazie all’inseminazione artificiale, che in seguito lascerà la sua storica partner per tornare ad un più tradizionale legame eterosessuale, coronato anche dalla sua realizzazione professionale nel campo del cinema.
Accanto a loro si muovono una pletora di figure, le più impotanti delle quali sono Jenny Schecter,(Mia Kirshner) ex eterosessuale che proprio al Planet viene iniziata agli amori omosessuali dalla conturbante Marina Ferrer (Karina Lombard), personaggio estremamente antipatico che ha creato negli spettatori autentici partiti pro e contro la sua figura, giudicata da alcuni opportunista e cinica da altri debole e bisognosa di affetto.
In questo universo si muovono anche figure come quella di Shane McCutcheon (Katherine Moennig), la divoratrice di donne, resa ambiguamente indecifrabile dalla bravissima Katherine Moennig, che veste nello sceneggiato con abiti mascolini, beve e fuma e seduce tutto quello che le capita attorno e he sarà l’unica ad arrivare sulle soglie dell’altare, prima di fuggire a gambe levate da quella che le sembrerà una prigione.
Proprio la gran varietà di personaggi presentati dal serial costituisce il valore aggiunto dello stesso, perchè lo spettatore segue con interesse le vicende del gruppo di conne che costituiscono una comunità a parte, con i loro problemi e i loro desideri, le loro voglie irrealizzate e i loro piccoli trionfi.
Così assistiamo alle vicende di Alice Pieszecki (Leisha Hailey), simpatica e disinvolta speaker radiofonica, che tiene una sua rubrica a tematica lesbica su una radio della città alle prese con svariati amori, il più importante dei quali sarà quello che nascerà tra lei e Dana Fairbanks (Erin Daniels), campionessa di tennis che morirà tra le sue braccia in seguito ad un cancro al seno.
Vediamo scorrere sul video le immagini della storia d’amore tra Kit Porter (Pam Grier) sorella di Bette, assolutamente eterossessuale e un giovane con il quale avrà una relazione tempestosa, con l’aggiunta i personaggi stravaganti, come l’androgino Moira in bilico tra la sua sessualità maschile imprigionata in un corpo femminile.
Accanto a loro storie di persone mature, come quella di Phyllis Kroll (Cybill Shepherd), direttrice di una scuola che dopo un lungo matrimonio si scoprirà attratta dalle donne, in particolare dalla volubile Alice.
Sicuramente gran parte del successo del serial è legato al cast scritturato per esso, che include anche diverse guest star arruolate in alcune puntate con lo specifico scopo di aumentare l’audience.
Tra di esse ci sono Rosanne Arquette,Simone Bailly, Kristianna Loken, Elodei Bouchez, Patricia Velásquez, che integrano il cast delle note Beals, Pam Grier e Cybill Shepherd; un cast che sembra girare all’unisono, dando spessore e coralità alla produzione, che non appare mai ripetitiva nonostante le sei stagioni in cui lo sceneggiato è andato in onda
Altri punti forti del serial sono, come detto, le storie dei vari personaggi; anche se la differenza culturale tra Usa e Italia si avverte in maniera pesante in alcuni dettagli, tutto sommato per lo spettatore non americano è facile identificarsi nei vari personaggi, pur essendo essi contraddistinti da una sessualità “diversa”;
l’amore è amore, anche tra persone dello stesso sesso, per cui alla fine si riesce a dimenticare l’omosessualità vivendo le storie dei protagonisti come storie di persone ordinarie.
Storie di gelosia e amore, di fedeltà e tradimenti, fatte di gesti eorici e di meschinità.
Uno specchio deformabile e applicabile a qualsiasi realtà quindi, non solo a quella omosessuale.
Jennifer Beals – Bette Porter
Laurel Holloman – Tina Kennard
Mia Kirshner – Jenny Schecter
Pam Grier – Kit Porter
Katherine Moennig – Shane McCutcheon
Leisha Hailey – Alice Pieszecki
Erin Daniels (Seasons 1—3) – Dana Fairbanks
Eric Mabius (Season 1) – Tim Hapsel
Karina Lombard (Season 1) – Marina Ferrer
Rachel Shelley (Season 2—6) – Helena Peabody
Sarah Shahi (Seasons 2—3) – Carmen de la Pica Morales
Daniela Sea (Season 3—6) – Moira/Max Sweeney
Dallas Roberts (Season 3—4) – Angus Partridge
Cybill Shepherd (Season 4—6) – Phyllis Kroll
Marlee Matlin (Season 4—6) – Jodi Lerner
Janina Gavankar (Season 4) – Eva “Papi” Torres
Rose Rollins (Season 4—6) – Tasha Williams
Malaya Rivera Drew (Season 5—6) – Adele Channing
Kate French (Season 5-6) – Niki Stevens
Elizabeth Keener (Season 5—6) – Dawn Denbo
Clementine Ford (Season 5—6) – Molly Kroll
1. Episodio pilota
2. Let’s do it
3. Longing
4. Lies lies lies
5. Lawfully
6. Losing it
7. L’ennui
8. Listen up
9. Luck, next time
10. Liberally
11. Looking back
12. Locked up
13. Limb from limb
Seconda stagione
1. Life, loss, leaving
2. Lap dance
3. Loneliest number
4. Lynch pin
5. Labyrinth
6. Lagrimas de oro
7. Luminous
8. Loyal
9. Late, later, latent
10. Land ahoy
11. Loud and proud
12. L’chaim
13. Lacuna
Terza stagione
1. Labia majora
2. Lost weekend
3. Lobsters
4. Light my fire
5. Lifeline
6. Lifesize
7. Lone star
8. Latecomer
9. Lead, follow, or get out of the way
10. Losing the light
11. Last dance (era “Lest we forget”)
12. Left hand of the Goddess
Quarta stagione
1. Legend in the making
2. Livin la vida loca
3. Lassoed
4. Layup
5. Lezgirls
6. Luck be a lady
7. Lesson number one
8. Lexington & concord
9. Lacy lilting lyrics
10. Little boy blue
11. Literary license to kill
12. Long time coming
Quinta stagione
1. LGB Tease
2. Look Out, Here They Come!
3. Lady of the Lake
4. Let’s Get This Party Started
5. Lookin’ At You Kid
6. Lights! Camera! Action!
7. Lesbians Gone Wild
8. Lay Down The Law
9. Liquid Heat
10. Lifecycle
11. Lunar Cycle
12. Loyal and True
Sesta stagione
1. Long night’s journey into day
2. Least likely
3. LMFAO
4. Leaving Los Angeles
5. Litmus test
6. Lactose intolerant
7. Last couple standing
8. Last word
La word chart
Jennifer Beals & Laurel Holloman
Jennifer Beals & Marlee Matlin
Katherine Moenning & Linda Boyd
Katherine Moenning & Rosanna Arquette
Cristina Boraschi: Bette Porter (stagione1)
Emanuela Rossi: Bette Porter (stagioni 2-6)
Rossella Acerbo: Jenny Schecter
Eleonora De Angelis: Tina Kennard
Laura Lenghi: Shane McCutcheon
Tiziana Avarista: Dana Fairbanks
Claudia Pittelli: Alice Pieszecki
Isabella Pasanisi: Kit Porter
Fabrizio Manfredi: Tim Haspel
Katherine Moennig è Shane McCutcheon
Leisha Hailey è Alice Pieszecki
Cybill Shepherd è Phyllis Kroll
Rachel Shelley è Helena Peabody
Jennifer Beals è Bette Porter
Laurel Holloman è Tina Kennard
Pam Grier è Kit Porter
Erin Daniel è Alice
Eric Lively è Mark Wayland
Murder obsession-Follia omicida
Mike con la sua donna, Debora, si reca a casa della madre, che abita in una villa.
L’uomo è un attore e dopo qualche giorno viene raggiunto da alcuni suoi colleghi, l’aiuto regista, un suo amico e l’attrice Beverly.
Ben resto la casa della madre di Mike diventa teatro di un’orgia di sangue; ad uno ad uno tutti i presenti nella villa muoiono assassinati.
L’autore dei crimini sembra essere Mike, che da piccolo, secondo la versione di sua madre, ha ucciso il padre per difenderla.
Ma è così?
Ultimo film di Riccardo Freda, girato nel 1980, Murder obsession-Follia omicida è un thriller fuori tempo massimo.
Il genere era ormai completamente abbandonato da tutti, anche per la concomitante crisi del cinema.
E Murder obsession, per stessa ammissione di Freda “Era una merda, girato senza soldi e con attori scarsi“; aldilà della pittoresca valutazione del regista, autore in passato di altri thriller, come Estratto dagli archivi segreti della polizia di una capitale europea, L’iguana dalla lingua di fuoco e di A doppia faccia, e con alle spalle una più che dignitosa carriera iniziata nel lontano 1942 con Don Cesare di Bazan, il film non presenta meriti particolari per svariati motivi.
Il primo dei quali, fondamentale, è legato alla sceneggiatura di basso livello imbastita da Antonio Cesare Corti, riportata sullo schermo con fiacchezza dal regista, che pure aveva un notevole cast a disposizione.
Ma proprio la trama scadente, la mancanza di effetti speciali di livello perlomeno decenti portano il film a franare clamorosamente sin dall’inizio.
In bilico tra thriller gotico, film psicanalitico e horror con connotazioni soprannaturali, Murder obsession scivola più volte anche per la scarsa volontà degli attori, quasi increduli di dover recitare in una pellicola così mal composta.
Pure i presupposti per una buona riuscita c’erano tutti; il cast infatti presentava attrici dall’ottimo passato, come Silvia Dionisio, Laura Gemser, Anita Strindberg e Martine Brochard.
Il problema alla fine si rivela proprio questo; poco supportate dalla trama, le pur volenterose attrici mostrano tutti i limiti derivanti dalle situazioni particolari di ognuna di loro.
La Strindberg, palesemente invecchiata, con i tratti del volto scavati e marcati, non riesce a trasmettere nulla dell’ambiguo personaggio di Glenda, la madre del protagonista Mike; Martine Brochard, che aveva all’attivo solo il thriller di mediocre fattura Gatti rossi in un labirinto di vetro sembra spaesata, così come sembra spaesata, in misura maggiore, la bellissima Silvia Dionisio, protagonista di una scena rimasta famosa, la corsa disperata di notte fra rovi e cespugli, a seno nudo, in una sequenza che sembra sospesa tra incubo e realtà.
La Dionisio, che interpreta la donna di Mike, Deborah, è anch’essa alla sua ultima apparizione cinematografica.
Appare apatica, svogliata, quasi avesse accettato la parte per obbligo; Laura Gemser, che nel film è Beverly (Beryl) fa quello che sa fare, ovvero pochino, risultando però alla fine forse la più credibile del mazzo.
Assolutamente fuori ruolo Stefano Patrizi nel ruolo di Mike Stanford, che avrebbe richiesto ben altro spessore e pathos recitativo.
Il risultato è quindi un ‘opera incolore, una partitura completamente scordata e stonata, in cui tutti sembrano dover assolvere in fretta al loro compito.
Così si comprende la delusione di Freda, che ebbe davvero il suo daffare per assemblare un prodotto che potesse uscire sugli schermi, senza rischiare una solenne stroncatura.
Cosa che purtroppo avvenne e a giusta ragione.
Tutto quello che rimane del progetto di contaminazione tra gotico e thriller psicanalitico è un nulla desolante; a parte la Gemser, che in pratica è nuda in tutte le sequenze che la vedono coinvolta, il resto del film si segnala solo proprio per le scene scabrose, invero limitate solo a parziali nudità delle citate Dionisio, Brochard e Strindberg, quest’ultima ripresa con luci molto soffuse, vista l’impietosa decadenza del suo corpo.
Film relegato in un angolino, prova finale di un regista molto amato ma che chiuse la sua carriera in maniera davvero poco gloriosa.
Murder obsession Follia omicida, un film di Riccardo Freda, con Stefano Patrizi, Martine Brochard, Silvia Dionisio, Henri Garcin, Laura Gemser, John Richardson, Anita Strindberg, Fabrizio Moroni Thriller Italia 1980
Stefano Patrizi … Michael Stanford
Martine Brochard … Shirley
Henri Garcin … Hans Schwartz
Laura Gemser … Beryl
John Richardson … Oliver
Anita Strindberg … Glenda
Silvia Dionisio … Deborah
Regia Riccardo Freda
Soggetto Antonio Cesare Corti, Fabio Piccioni
Sceneggiatura Antonio Cesare Corti, Riccardo Freda, Fabio Piccioni
Produttore Enzo Boetani, Giuseppe Collura, Simon Mizrahi
Casa di produzione Dionysio Cinematografica, Société Nouvelle Cinévog
Fotografia Cristiano Pogany
Montaggio Riccardo Freda
Effetti speciali Angelo Mattei
Musiche Franco Mannino
Scenografia Giorgio Desideri
Costumi Giorgio Desideri
Trucco Sergio Angeloni, Lamberto Marini
Maschio latino cercasi
Maschio latino cercasi, diretto da Giovanni Narzisi su un suo soggetto, è un film del 1977 (distribuito anche con il titolo di L’affare s’ingrossa) composto da 5 episodi con tematica a sfondo sessuale.
Il primo episodio, ambientato a Napoli, vede un turista danaroso alla ricerca di piaceri proibiti (Gianfranco D’Angelo) raggirato da uno scaltro imbroglione Carmine (Vttorio Caprioli);
Gianfranco D’Angelo e Vittorio Caprioli
l’uomo si reca in una camera d’albergo con una ragazza che crede minorenne (Brigitte Petronio), che durante l’intimità mostra un contegno pudico, rifiutando per esempio di spogliarsi con la luce accesa.
Chiaramente è un espediente, e il gonzo turista finirà male.
Il secondo episodio racconta la storia di un altro ricco babbeo, il Bislecchi (Gino Bramieri) , che ha una relazione con la giovane e affascinante Gigia (Gloria Guida), la quale è ormai stanca della relazione con l’uomo, che la molesta e la controlla con un binocolo, impedendole di fatto una vita autonoma. Così, con la scusa dell’età, lo molla.
Il ricco bauscia decide, per riconquistare la giovane amante, di sottoporsi ad una cura ringiovanente presso uno strambo professore tedesco.
La cura sarà solo un palliativo, e il bauscia ne pagherà le conseguenze.
Il terzo episodio vede protagonista Amilcare,(Aldo Maccione) tipico furbacchione che riesce a godere delle grazie di una affascinante avvocato (Dayle Haddon) sotto gli occhi del marito, un pezzo grosso dell’esercito (Luciano Salce), fidando in una prossima e annunciata amnistia.
Nel quarto episodio protagonista è Gennarino, (Orazio Orlando) che vive con la moglie Anna (Stefania Casini) in Germania, dove sopravvive interpretando squallidi film porno.
Luciano Salce,Dayle Haddon e Aldo Maccione
Ma la sua virilità sembra cedere, e riacquisterà vigore solo quando anche la moglie diverrà sua compagna di lavoro.
Nell’ultimo episodio una coppia di baroni, Nicola e Sisina (Aldo Giuffrè e Adriana Asti) ravviva il proprio rapporto di coppia con lo scambio dei partner in un club tedesco per scambisti. Mentre lui sembra a suo agio, Sisina appare titubante e inibita. Ma durerà poco e la donna diverrà ben presto una instancabile sostenitrice dello scambismo.
Film sciatto e di grana grossa, Maschio latino cercasi, lanciato anche con il titolo pesantemente allusivo di L’affare s’ingrossa (sic) ha un solo grosso merito, quello cioè di annoverare un cast di assoluto livello, che comprende attori della comicità come Caprioli, Salce, Maccione, Giuffrè, Bramieri e D’Angelo e attrici quanto meno dignitose a livello fisico, come la Guida, la Petronio e la Haddon, a cui si aggiungono due attrici di ben altro livello come la Asti e la Casini.
Eppure il film, inserito nel floridissimo filone della commedia erotica, non si solleva mai dalla mediocrità, anche per colpa di una sceneggiatura scialba, incapace di valorizzare le capacità dei tanti attori in campo.
Vien fuori un pateracchio in cui le risate latitano, mentre abbondano natiche e seni; diventa anche spiacevole vedere attori come Bramieri sprecati in ruoli assolutamente inadatti, oppure attrici come la Asti e la Casini utilizzate in parti ignobili.
E’ il caso proprio di Stefania Casini, che sembra spaesata proprio dalla difficoltà di interpretare un personaggio così grossolanamente tratteggiato come quello di Anna, la moglie che accorre in aiuto del marito alle prese con la defaillance in campo erotico sul set del filmaccio porno che l’uomo interpreta.
Tipica commedia di quart’ordine, Maschio latino cercasi arriva in un periodo, il 1977, in cui la crisi di identità, di incassi e di idee del cinema italiano si fa più evidente; mostrare tette e natiche ormai non basta più.
Siamo quasi al tramonto di un’epoca, la triste stagione dei film sempre più spinti sta per arrivare.
Maschio latino cercasi, un film di Giovanni Narzisi. Con Adriana Asti, Vittorio Caprioli, Gino Bramieri, Gloria Guida, Brigitte Petronio, Gianfranco D’Angelo, Orazio Orlando, Stefania Casini, Carlo Giuffrè, Aldo Maccione, Dayle Haddon, Luciano Salce Commedia erotica, Italia 1977
Brigitte Petronio, Gianfranco D’Angelo
Adriana Asti … Sisina
Gino Bramieri … Bislecchi
Vittorio Caprioli … Carmine
Stefania Casini … Anna
Gianfranco D’Angelo Il turista
Salvatore Funari … Nanninella
Carlo Giuffrè … Il barone Nicolino di Castropizzo
Gloria Guida … Gigia
Dayle Haddon L’avvocato
Aldo Maccione … Amilcare
Orazio Orlando … Gennarino
Brigitte Petronio La minorenne pudica
Luciano Salce Il colonnello
Regia Giovanni Narzisi
Soggetto Giovanni Narzisi
Sceneggiatura Giovanni Narzisi
Produttore Giulio Scanni
Casa di produzione Staff Professionisti Associati, Pelican Film, Capitol
Distribuzione (Italia) Capitol
Fotografia Angelo Lotti
Montaggio Raimondo Crociani
Marcello Malvestito
Musiche Lelio Luttazzi
Costumi Orietta Nasalli Rocca
La gabbia
Michael ha una relazione con una donna divorziata, Helene; la donna, che deve accompagnare suo figlio a casa della nonna, lascia quindi temporaneamente l’amante, e con il figlio si avvia a casa della madre.
Michael incontra casualmente la proprietaria dell’appartamento in cui vive la sua compagna; la donna, Marie, è stata una sua vecchia fiamma, con la quale ebbe una fugace relazione sessuale nel capanno di una spiaggia.
La donna, che ha una figlia molto bella di nome Jaqueline, lo invita nel suo appartamento e tra i due rinasce l’antica passione.
Agli incontri sessuali tra i vecchi amanti assiste anche Jaqueline; in questa atmosfera torbida Michael si lascia andare, ma il giorno dopo, in seguito ad una nottata brava, l’uomo si ritrova legato al letto nel quale ha tenuto compagnia a Marie.
La donna, temendo che l’uomo possa scappare come fece molti anni addietro, decide quindi di tenerlo prigioniero.
Inizia così l’incubo per Michael, diviso tra la folle e insana passione di Marie e le provocazioni di Jaqueline.
Nel frattempo Helene, che non riesce a mettersi in contatto con il suo uomo, cerca inutilmente tracce di Michael, che sembra scomparso nel nulla.
Michael è così costretto a subire la passione morbosa di Marie, che lo tratta ormai come un animale da riproduzione, assecondata dalla figlia.
L’uomo, nel disperato tentativo di liberarsi, cerca di convincere Jaqueline che è lei la donna che ama; ma Marie scopre tutto, e dopo aver accoltellato l’uomo, viene sorpresa e legata da Jaqueline allo stesso letto in cui giace gravemente ferito l’uomo.
Helene, disperata, dopo aver trovato la patente di Michael nelle mani di suo figlio, che l’ha presa nell’appartamento di Marie, si convince che l’uomo è prigioniero della donna.
Suona quindi disperatamente alla porta di Marie, senza ricevere risposta.
La gabbia, diretto dal regista Giuseppe Patroni Griffi, è un film immerso in un’atmosfera malsana, malata.
Si respira aria di follia, nel film, una follia che pervade le menti delle due donne che catturano il protagonista utilizzandolo come un giocattolo, arrivando alla fine a spingere l’uomo sui più bassi gradini dell’abiezione umana.
Così come durante la proiezione, complice anche una fotografia e una tecnica di ripresa che privilegia i colori cupi, sembra quasi di respirare l’aria torbida della stanza da letto nella quale Marie e sua figlia si lasciano andare alle loro insane passioni.
Ma non inganni la descrizione dell’atmosfera.
Il film è molto debole, a tratti molto noioso, perchè Patroni Griffi non riesce a coinvolgere lo spettatore nel triangolo amoroso, costringendolo invece in un ruolo da guardone; il malcapitato così è costretto a sorbirsi violenza, sesso sado maso e autoerotismo, dialoghi imbarazzanti a profusione.
Non aiuta certo la scarsissima vena di una Laura Antonelli in evidente declino, ripresa quasi sempre in penombra, probabilmente per non farle esporre un fisico appesantito; male anche la Marsillach, che interpreta Jaqueline, spaesata, che da un ‘aria di perversa innocenza al suo personaggio senza però riuscire minimamente a renderlo credibile.
Se la cava Tony Musante, con mestiere, ma non va oltre la sufficienza, mentre braca è la Bolkan che riesce a dar copro, anche se la sua presenza è davvero limitata, al personaggio di Helene.
L’atmosfera claustrofobica del film, all’inizio giustificata, alla fine diventa un’autentica palla al piede, perchè i dialoghi finiscono per diventare quasi surreali mentre sfuggono le vere motivazioni che portano Marie e Jaqueline a fare le loro azioni.
La follia da sola non basta a giustificare il tutto, così come, va detto, Patroni Griffi, nel tentativo di non “eroticizzare” troppo il film alla fine rimane nel guado dell’inespresso, sprecando il buon materiale umano che aveva ha disposizione.
Punto di merito la musica di Ennio Morricone, molto accattivante.
Nota finale; i lettori più attenti del mio blog ricorderanno che ho parlato, tempo addietro del film di Fulci Il miele del diavolo.Bene, a loro non sarà sfuggito che la trama ricorda moltissimo quella di La gabbia, e che la protagonista femminile è proprio la Marsillach.
La gabbia, un film di Giuseppe Patroni Griffi. Con Florinda Bolkan, Laura Antonelli, Tony Musante, Stefano Oppedisano, John Steiner, Laura Troschel, Roberto Bisacco, Lorenzo Piani, Giancarlo Prete, Enrico Papa, Miguel Bosè, Antonello Campodifiori, Paolo Malco, Flavio Andreini, Bryan Rostrom, Eugenio Masciari, Cristina Marsillach, Blanca Marsillach
Drammatico, durata 101 min. – Italia 1985.
Laura Antonelli … Marie Colbert
Tony Musante … Michael
Florinda Bolkan … Hélène
Blanca Marsillach … Jacqueline
Cristina Marsillach … La giovane Marie
Laura Troschel … Marianne
Regia : Giuseppe Patroni Griffi
Sceneggiatura: Francesco Barilli Lucio Fulci
Prodotto da : Jerald Intrator, Juan L. Isasi ,Ettore Spagnuolo
Musiche: Ennio Morricone
Editing: Sergio Montanari
Schiave bianche: violenza in Amazzonia
Katherine Miles è una bella e bionda ragazzona americana; una studentessa, che finiti gli studi raggiunge i genitori in Brasile.
La ragazza, che ha appena compiuto 18 anni, accetta l’invito dei genitori per fare una breve vacanza sul fiume Orinoco.
Durante il viaggio su una house boat però la famiglia viene attaccata da ferocissimi tagliatori di teste; la madre di Katherine viene uccisa con una freccia che le trapassa un’orbita, mentre il padre cade trafitto da molti dardi e successivamente i due vengono decapitati.
La ragazza si salva solo per la sua bellezza e per i capelli biondi; viene quindi trasportata nel villaggio degli indios Guanirà, dove, dopo esser stata curata dalle ferite riportate durante l’assalto all’imbarcazione sulla quale navigava, viene venduta all’asta durante una rituale radunata degli indios.
La ragazza sperimenta così un modo di vivere molto differente da quello a cui era abituata; valori come la verginità, la parità uomo/donna, presso i Guanirà non esistono, così la ragazza verra stuprata artificialmente, come avviene a tutte le componenti femminili della tribù a partire dai quattro anni di età.
Aiutata da Umukai, un giovane Guanirà un tantino tonto ma valente guerriero, la donna riesce in qualche modo ad abituarsi alle dure condizioni di vita della tribù.
Che un giorno viene completamente sterminata da un gruppo di cacciatori di taglie che vive uccidendo i nativi e intascando i soldi messi sulle loro teste.
Sopravissuta miracolosamente all’eccidio con il fido Umukai, del quale un pò è innamorata, Katherine apprende che ad uccidere i suoi genitori in realtà non erano stati gli indios, ma i cacciatori bianchi, assoldati da una coppia di zii ansiosi di mettere le mani sulle terre dei genitori di Katherine.
La ragazza decide di vendicarsi, e con l’aiuto di Umukai raggiunge gli zii, che uccide facendoli letteralmente a pezzi.
La ragazza si costituisce e racconta la sua odissea durante il processo.
Liberata dopo anni, torna ad una vita quasi normale, senza voler più raccontare la sua storia.
Diretto da Mario Gaiazzo Schiave Bianche: Violenza In Amazzonia venne girato nel 1984, quando ormai il genere cannibalistico/ avventuroso/ orrorifico era da tempo scomparso senza lasciare particolari rimpianti presso il pubblico.
Il film più che brutto è assolutamente incolore, per una serie di motivi;
la sceneggiatura è lacunosa e per larga parte non fa altro che ricalcare gli stereotipi del genere, mostrando as usual gli indios come crudeli e spietati assassini, prima di virare verso il solito atteggiamento politicamente corretto della rivalutazione del loro stile di vita, feroce ma rispettoso della natura.
I bianchi sono cattivi, anzi cattivissimi, sono spietati e assassini, la ragazza impara che gli indios viceversa non sono poi così crudeli, così assistiamo alla solita forzata convivenza tra culture distanti anni luce, con il finale violento e gore in cui la ragazza fa a pezzi, letteralmente, i veri responsabili della morte dei suoi genitori.
Il film non è nemmeno aiutato da una fotografia all’altezza; la location non è affatto affascinante, e la storia si trascina molto stancamente, fatta eccezione per l’unica novità rappresentata dalla ragazza che racconta alla corte che la sta giudicando le sue vicissitudini.
Molto forzata la storia d’amore, aldilà delle differenze culturali tra i due protagonisti; passi per l’attrazione fisica da parte di Katherine per il bello e muscoloso Umukai, ma la sceneggiatura dipinge il giovane come un tonto degno di un trono in un reality della De Filippi, e questo degrada ancor di più la storia.
Qualche scena abbastanza forte, come l’uccisione e la decapitazione dei genitori della ragazza, ma realizzata in maniera molto artigianale.
Pensare che il film doveva girarlo Deodato, che per fortuna si dedicò a L’inferno in diretta, di ben altro interesse per lo spettatore.
Un film di poche pretese, in definitiva, dipinto come un cannibal movie per motivi pubblicitari e che del filone cannibalistico non ha assolutamente nulla, se non l’ambientazione.
La recitazione è da cinema amatoriale, con la Audray che esprime il meglio di se stessa quando è senza vestiti, ovvero quasi sempre; il che è tutto dire.
Schiave Bianche: Violenza In Amazzonia, un film di Mario Gaiazzo, con Elvire Audray, Andrea Coppola, Neal Berger, James Boyle, Jessica Bridges, Dick Campbell, Mark Cannon, Sara Fleszer, Will Gonzales
Italia 1985
Elvire Audray … Katherine Miles
Will Gonzales … Umukai
Dick Campbell
Andrea Coppola … La zia di Katherine
Dick Marshall
Alma Vernon
Grace Williams
Sara Fleszer
Mark Cannon
James Boyle
Peter Robyns
Jessica Bridges
Stephanie Walters
Neal Berger
Deborah Savage
Regia Mario Gariazzo
Soggetto Francesco Prosperi
Sceneggiatura Francesco Prosperi
Fotografia Silvano Ippoliti
Montaggio Gianfranco Amicucci
Musiche Franco Campanino
Conviene far bene l’amore
Il primo decennio degli anni ottanta vede il nostro paese ( e tutti quelli del pianeta) alle prese con una crisi energetica senza soluzione. Sull’intero pianeta, infatti, le risorse sono definitivamente esaurite.Il mondo quindi è ripiombato indietro di secoli.Ferme le attività produttive, le auto, non si vola più, non ci sono più i treni e tutti gli orpelli della civiltà; le auto sono utilizzate come carrozze, trainate dai cavalli, e la gente deve inventarsi e industriarsi su come illuminare le case, sul come riscaldarsi ecc.
L’esperimento sulla cavia volontaria, l’infermiera Piera, Eleonora Giorgi
Gigi Proietti è il Professor Enrico Nobili
Ma c’è un giovane testardo, il professor Enrico Nobili, che è convinto che si possa ancora fare qualcosa. Studiando le teorie del professor Reich, Enrico decide di sfruttarle per ottenere energia elettrica.
Il professor Reich era convinto che l’attività sessuale producesse energia, così il furbo Enrico decide di dimostrare la tesi del predecessore; convince alcuni suoi collaboratori a partecipare all’esperimento, in primis una sin troppo disponibile infermiera, alla quale applica degli elettrodi.
La ragazza quindi ha un amplesso con un assistente, ma l’energia prodotta è davvero minima.Enrico decide di trovare due che abbiano più resistenza, e li trova in una coppia molto eterogenea; lui, Daniele Venturoli, direttore d’albergo, è un’insaziabile erotomane, sempre pronto a soddisfare le voglie di clienti e amiche, mentre lei, Francesca De Renzi, è un’insaziabile moglie con una caterva di figli.Con uno stratagemma Enrico li fa ricoverare in clinica e tra i due scoppia la passione.L’esperimento funziona alla perfezione,e Enrico riesce a far funzionare luci e anche ascensori della clinica.Enrico riesce a ottenere l’interessamento dei potenti, e dopo aver vinto anche la resistenza della chiesa, finisce per imporre la nuova fonte energetica.
Ma da quel momento in poi l’atto sessuale diverrà consono solo alla produzione di energia e verrà bandito dai rapporti ogni genere di affettuosità e di complicità amorosa, svuotando così di fatto il rapporto sessuale.
Conviene far bene l’amore, film del 1975 diretto da Pasquale Festa Campanile, che adattò per lo schermo un suo romanzo, uscì nel periodo più critico per il pianeta, alle prese con una crisi energetica senza precedenti, che vide in poco tempo aumentare a dismisura il costo del petrolio, con conseguenza catastrofiche per le economie mondiali.
Festa Campanile la gettò sul ridere, ottenendo un film quanto meno non usuale, pieno di nudi femminili ma mai volgare e assolutamente lontano dalla commedia erotica.
Agostina Belli è Francesca, Christian De Sica interpreta Daniele
Grazie alle superbe bellezze di Eleonora Giorgi e di Agostina Belli, la moglie ninfomane, grazie anche al buon esordio di un irriconoscibile Christian De Sica, non ancora caratterizzato dal pesante accento romanesco, Festa Campanile ottiene un buon prodotto, che si regge bene grazie anche alla superba prova di Gigi Proietti, uno stralunato, stravagante professor Enrico Nobili, e al cast di buoni attori che compaiono in parti esilaranti, come Adriana Asti, moglie del professor Enrico, Mario Scaccia nella parte di un cardinale, Mario Pisu in quella di un onorevole ecc.
Un film privo di volgarità, come del resto nelle corde del regista, che usa il suo linguaggio visivo fatto di sottile ironia accompagnandosi con una sceneggiatura di buon livello.
Il film resta in bilico tra la commedia leggera e quella impegnata, propendendo però decisamente per la prima; se le battute non sono esilaranti, si ride amaro davanti alla descrizione di una città ridotta a vivere di ricordi.
Bella la scena del rigattiere che vende un lampadario e delle lampadine, alcune fulminate e altre no all’incredibile prof. Nobili, assolutamente certo delle teorie di Reich, tanto da giocarsi il residuo prestigio di cui gode.
Da segnalare la bellissima Agostina Belli, a suo agio anche senza vestiti, nel ruolo più “nudo” che abbia interpretato sullo schermo; la sua innocente malizia è tra le cose migliori del film.
Un film da riscoprire, alla luce della crisi energetica attuale, per riflettere su come 35 anni addietro avessero dovuto fare i conti con gli stessi problemi attuali, risolti da Campanile con una risata ironica e leggera.
Il film è disponibile su Youtube,in una buona versione all’indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=0MpAIC9jZEw
Conviene far bene l’amore,un film di Pasquale Festa Campanile. Con Mario Scaccia, Christian De Sica, Adriana Asti, Mario Pisu, Agostina Belli, Eleonora Giorgi, Luigi Proietti, Franco Agostini, Quinto Parmeggiani, Pietro Tordi, Oreste Lionello, Gino Pernice, John Karlsen, Armando Bandini, Monica Strebel, Mario Maranzana, Roberto Antonelli, Enzo Robutti, Loredana Martinez, Franco Angrisano, Aldo Reggiani, Franco Mazzieri, Salvatore Puntillo, Pupo De Luca, Leo Frasso, Ettore Carloni, Vincenzo Maggio, Tom Felleghy
Commedia, durata 106 min. – Italia 1975.
Gigi Proietti … Prof. Enrico Nobili
Agostina Belli … Francesca De Renzi
Eleonora Giorgi … Piera
Christian De Sica … Daniele Venturoli
Mario Scaccia … Mons. Alberoni
Adriana Asti … Irene Nobili
Franco Agostini … Dr. Spina
Quinto Parmeggiani … De Renzi
Gino Pernice … Assistente
Mario Pisu … Ministro
Monica Strebel … Angela
Franco Angrisano … Landlord
Regia: Pasquale Festa Campanile
Soggetto: Pasquale Festa Campanile (dal romanzo omonimo)
Sceneggiatura: Pasquale Festa Campanile, Ottavio Jemma
Fotografia: Franco Di Giacomo
Montaggio: Sergio Montanari
Musiche: Fred Bongusto
Si ride e s’irride, nel film di Festa Campanile (autore anche dell’omonimo romanzo), con giovanile inventiva e ironico moralismo. La fantascienza erotica ha sempre una piega goliardica, e infatti anche qui molti spassi hanno radice in recite studentesche e numeri da avanspettacolo, benché l’idea risalga alle zampette della rana di Galvani; ma le argute e accorate riflessioni che Festa Campanile ne trae partecipano più della polemica con gli scienziati, i tecnologi e i sociologi del progresso che non dell’elogio dei sessuomaniaci. Il nostro autore furbetto, avvertendo con prensile fiuto che cresce la domanda di sentimento e il cipiglio ecologico, si allinea con prontezza, tuttavia senza perdere il suo gusto del piccante.
Il film, così, marcia allegramente in una ghirlanda di gag che coinvolgono satira della scienza e dei potenti, pochade e paradosso, cinema avveniristico e amabili spogliarelli. Vi sono squilibri e ovvietà, e la materia poteva offrire scavi più crudeli, ma l’ambizione non era poi altissima. Giustamente convinto che far ridere non costituisca una colpa, Festa Campanile è un autore per grandi platee. Se talvolta, diciamo anche spesso, è andato troppo sul facile, qui taglia per primo il traguardo, con armi scherzose ma oneste, d’un cinema per liete brigate, infastidite dalle porcheriole e dalle melensaggini. Il film, nonostante l’abbondanza di copule, è una novella pulita, che senza dirvi sul sesso più di quanto sappiate, vi persuade a non sciuparlo col farne un obbligo sociale.
Gli attori s’amano e si divertono. Christian De Sica è ben avviato sul cammino brillante apertogli da papà (colpisce ritrovarvi gesti e inflessioni, emersi dal cinema degli anni Quaranta). Agostina Belli ormai va tranquilla, dolce e graziosa, Eleonora Giorgi si spoglia con vezzi spiritosi, Adriana Asti fa macchia con gran classe, e Mario Scaccia è un esilarante monsignore, scandalizzato ma non troppo. Il peso maggiore è sulle spalle di Gigi Proietti, bravo e svelto nel dare colori assurdi e giocondi al premio Nobel dell’orgasmo. Musiche di Fred, di buon gusto.
Giovanni Grazzini,da Il Corriere della Sera, 13 aprile 1975
La terrificante notte del demonio
Un gruppo eterogeneo di turisti a bordo di un vecchio torpedone è costretto a cercare riparo in seguito ad un incidente che li blocca per strada.
Arrivano così nel castello del barone von Rhoneberg, sul quale grava un’antica maledizione; le primogenite della famiglia, infatti, da secoli subiscono l’influsso del demonio, in seguito ad un antico patto stabilito dagli avi del barone con il principe del male.
Così il gruppo di turisti, fra i quali c’è anche un seminarista inesperto, si trova a fare i conti con la diabolica Lisa Muller, figlia illegittima del barone, che stuzzica tutti i lati nascosti dei vari protagonisti, inducendoli a comportamenti amorali.
Vengono fuori così ambizioni, debolezze e altro che porteranno i vari personaggi a morire per colpa delle stesse debolezze.
Alvin, il seminarista, capisce la vera natura di Lisa, e tenta di combatterla, mentre la donna usa tutto il suo potere di seduzione per dannare l’anima del giovane.
Alla fine Alvin fa un patto con il diavolo; darà la sua anima in cambio della salvezza dei turisti.
Il diavolo accetta e così i turisti ripartono.
Ma del diavolo è sempre meglio non fidarsi…..
La terrificante notte del demonio (La plus longue nuit du diable, titolo francese), conosciuto anche come The Devil’s Nightmare, è uno dei primissimi gotici horror con forti connotazioni erotiche, come mostra la scena saffica tra due delle protagoniste, grazie anche alla fortissima presenza scenica della conturbante Erika Blanc, assolutamente perfetta nel doppio ruolo della ambigua Lisa.
Girato nel 1971, quindi in un periodo di forte censura, il film si barcamena tra l’horror e il sexy, sotto la mano del regista Patrice Romme, che non abbonda però in situazioni erotiche, limitandosi a proporre quello che la censura non avrebbe tagliato.
La storia è originale, tenendo conto del periodo in cui venne girata, ma risente principalmente della scarsa malleabilità dei protagonisti, tutti attori di secondo piano.
L’atmosfera c’è, ma il film ha un andamento lento, che non aiuta ad appassionarsi alla vicenda, che va avanti con qualche guizzo, come la morte di una protagonista nella vergine di Norimberga, oppure quella di un’altra che viene inghiottita da polvere d’oro.
La storia prevede la morte di ognuno dei turisti per colpa di un vizio capitale che incarnano; c’è l’uomo che muore soffocato per la sua ingordigia, le due donne che muoiono preda della loro lussuria e via dicendo.
Il meccanismo è quanto meno inusuale, ma nel film manca un ritmo serrato e sopratutto l’atmosfera.
Tuttavia si tratta di un prodotto discreto, anche se a vederlo oggi appare pesantemente datato.
Discreta la colonna sonora di Alessandroni che accompagna le varie fasi del film; il finale politicamente scorretto è una delle cose migliori del film, così come l’interpretazione della affascinante Erika Blanc.
La terrificante notte del demonio, un film di Patrice Romme . Con Erika Blanc, Ivana Novak, Jean Servais, Jacques Monseu, Shirley Corrigan Horror, durata 92 min. – Italia 1973.
Erika Blanc … Lisa Müller
Jean Servais … Barone von Rhoneberg
Jacques Monseau … Fratello Alvin Sorel
Ivana Novak … Corinne
Lorenzo Terzon … Howard
Shirley Corrigan … Regine
Colette Emmanuelle … Nancy
Christian Maillet … Ducha
Lucien Raimbourg … Mason
Daniel Emilfork … Satan
Si ringrazia, per l’immagine in movimento:http://altarofthedead.blogspot.ca