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marzo 31, 2014 Posted by | Photogallery | | 1 commento

Le sorelle

Le sorelle locandina 2

Diana lavora come traduttrice;ma il lavoro la stressa, così pianta tutto, sale su un treno e si avvia a incontrare sua sorella Martha che non vede da due anni.
L’incontro con Martha è affettuoso e tenero; la donna sembra felice, vive in una grande casa circondata dalle cose che desidera di più ed è sposata con Alex, che è l’uomo che ogni donna sogna. Pieno di attenzioni, delicato e innamorato di sua moglie, Alex è un coltivatore di fiori rari ed esotici.
Da subito però si capisce che tra Diana e Martha c’è qualcosa di inespresso, di sospeso nel passato: attraverso alcuni flashback intuiamo qualcosa di morboso, di ossessivo che Diana provava per sua sorella.
La sera, un altro indizio mostra che probabilmente la vita di Martha non è così felice come appare: durante un rapporto con Alex, la donna sembra quasi triste e inappagata, mentre l’uomo la guarda tristemente.
Ancora un flashback ci riporta al passato, ad una sera di pioggia in cui Martha, spaventata, si è rifugiata nel letto di Diana, che l’ha abbracciata e poco dopo baciata con sospetta passione.

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L’indomani Alex, Diana e Martha vanno sulla spiaggia, lungo le rive della quale Martha scatta alcune foto; in una di esse però Diana sotto gli occhi della sorella bacia appassionatamente Alex, mettendo i coniugi in palese imbarazzo.
Nel frattempo Diana conosce Dario, il giovane cugino di Alex, che sembra molto colpito dalla donna, che invece non sembra affatto interessata alla corte che timidamente e in seguito apertamente, Dario le fa.
Martha intanto conferma che il quadretto idilliaco mostrato alla sorella ha almeno una profonda incrinatura;la donna infatti ha una relazione sessuale con il giardiniere della tenuta in cui vive, cosa della quale probabilmente Alex è a conoscenza.
Diana si sente sempre più attratta da sua sorella, forse agganciata a quel passato dal quale Martha è invece fuggita.
Alex inizia a sospettare che Diana non sia venuta solo per affetto verso sua sorella ed esterna la cosa a Dario, invitandolo a lasciare con lui le due donne da sole, in modo da permettere loro di chiarirsi.
Durante un drammatico colloquio, Martha rimprovera a sua sorella di averla cambiata in modo irreversibile e le confessa di esser scappata da lei per paura di ciò che si era creato fra di loro.
Finale intenso e drammatico.

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Film cupo, caratterizzato da scarni dialoghi e lunghe inquadrature in cui a parlare sono i volti dei protagonisti, Le sorelle è un film di ottima fattura, ben recitato e sopratutto splendidamente fotografato.
Un film lento e introspettivo, senza accelerazioni, che trae la sua forza proprio dalla capacità delle due attrici protagoniste, le sorelle del titolo, che si guardano, cercano nei volti sentimenti e cose non dette, espressioni di stati d’animo che la mente alle volte non riesce a controllare.
Le sorelle, di Roberto Malenotti, può essere distinto in due parti ben precise; la prima, che dura per quasi tre quarti di film, che ci mostra attraverso un uso sapiente e non invasivo del flashback il morboso rapporto che Diana ha creato e Martha subito nel passato.
Un passato che le due donne si ritrovano ad affrontare e che Diana capisce essere diventato imbarazzante ed ingombrante nel presente di Martha, che scopriamo avere un rapporto profondo eppure non totale con Alex, uomo buono e gentile che probabilmente sa della relazione della moglie con il giardiniere e che pure tollera per amore.
Relazione che Martha ha probabilmente allacciato solo per trovare quel piacere sessuale che evidentemente non riesce a trovare completamente in e con Alex e che ha le sue radici nel rapporto proibito vissuto nel passato con Diana.

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Che viceversa non solo non ha legami,ma che ha conservato in se il ricordo della passione proibita per Martha e dalla quale non può e non vuole scappare.
Il finale, drammatico e assolutamente coerente con quanto narrato porta a galla una verità che peserà fino all’ultima inquadratura del film.
Che ha un suo fascino, nonostante la lentezza e i dialoghi lasciati spesso interrotti, a tutto vantaggio delle espressioni, delle cose che si vorrebbero dire e delle cose non dette.
Le sorelle è il primo dei due lungometraggi diretti da Roberto Malenotti, che in seguito, a distanza di ben 15 anni dirigerà Cenerentola 80, un riadattamento dignitoso in chiave moderna della celebre favola dei fratelli Grimm.
In questo film Malenotti mostra buona mano e indubbia capacità di direzione degli attori, che del resto sono ottimi professionisti, a cominciare dalla fascinosa e enigmatica Nathalie Delon, che interpreta Diana per passare a Susan strasberg, bella e intensa protagonista nel ruolo di Martha.
Molto bene i due “maschietti” del cast, il rodato Massimo Girotti che è la consueta garanzia di recitazione sobria e inappuntabile e un giovane Giancarlo Giannini alle prese con il personaggio di Dario l’unico forse a non essere abbastanza approfondito.
Il film non delude;appaiono davvero ingenerose le critiche che molti hanno rivolto a questo film, che invece mostra molto garbo nel trattare un argomento scabroso come l’incesto suggerito tra le due sorelle senza usare minimamente il morboso, ne nelle scene ne con nudi che sarebbero apparsi una concessione ai guardoni delle’poca,
Ad avercene di film trattati con tale delicatezza, oggi.
Per quanto riguarda la reperibilità, purtroppo non o trovato versioni in italiano sulla rete, ma sul mulo è disponibile una splendida versione in divx con dei colori praticamente perfetti e un audio unico, una delle cose migliori nelle quali sono incappato ultimamente.

Le sorelle

Un film di Roberto Malenotti. Con Giancarlo Giannini, Massimo Girotti, Nathalie Delon, Susan Strasberg,Lars Block, Attilio Dottesio Drammatico, durata 91 min. – Italia 1969

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Susan Strasberg: Marta
Nathalie Delon: Diana
Massimo Girotti: Alex
Giancarlo Giannini: Dario

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Regia:Roberto Malenotti
Soggetto Renzo Maietto Alex Fallay
Distribuzione:Euro International Film
Sceneggiatura Brunello Rondi Roberto Malenotti
Fotografia Giulio Albonico Sebastiano Celeste (operatore)
Musiche Giorgio Gaslini
Montaggio Antonietta Zita
Scenografia Luciana Marinucci
Arredamento Giorgio Bertolini
Costumi Luciana Marinucci

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L’opinione di Il gobbo dal sito http://www.davinotti.com

Spalleggiato da Rondi, Malenotti vorrebbe antonioneggiare, se non addirittura bergmaneggiare. Ma non è roba per lui e rimane in superficie. Una superficie pregevole, però, di ottima resa figurativa e con discrete atmosfere, sebbene di quando in quando rovinate da sciocchezzuole (tipo il rasoio elettrico col filo più lungo della storia del cinema). Molto bella la Delon. Passabile.

L’opinione di Il koreano dal sito http://www.davinotti.com

Se i primi dieci minuti possono definirsi la materializzazione di un colpo di genio, non altrettanto si può dire dei rimanenti novantanove: un fotoromanzo dai colori intensi, in cui la psicologia dei quattro personaggi protagonisti va a farsi benedire per lasciar spazio ad una scadente morbosità da libro erotico. Un punto di partenza per il giovane Giannini e un punto d’interruzione per Malenotti, che rimarrà inattivo per circa quindici anni. Notevole, a tratti, il commento musicale di Gaslini.

L’opinione del sito http://www.imilleocchi.com

Azzardiamo un’attribuzione a Brunello Rondi, per una proiezione che vuole inserirsi nella riscoperta a tappe del regista, anche in occasione dell’uscita di un volume cui abbiamo collaborato. Questo film con la splendida accoppiata di Susan Strasberg e Nathalie Delon è tutto fuorché quel banale pre-soft che a molti apparve. La musica di Giorgio Gaslini ben lo lega alla coeva regia Le tue mani sul mio corpo e indica che Rondi era anche qui più che solo sceneggiatore. Viatico alle successive tappe di una serie “erotica”, esige che l’opera dell’autore si sottragga agli equivoci (compreso quello dei recuperi trash).

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marzo 30, 2014 Posted by | Drammatico | , , , , | Lascia un commento

Brogliaccio d’amore

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Un momento che sembra all’improvviso spazzare via certezze e punti fermi, una vita tranquilla e probabilmente monotona, senza acuti.
E’ quello che sta vivendo l’ingegner Giacomo, un maturo uomo senza legami, abituato alla routine di una vita da scapolo in cui si muovono delle figure senza però incidere nel presente.
Stanco di tutto questo, Giacomo decide di dare un taglio netto al passato recidendo i legami con il quotidiano fatto di lavoro, amici e di donne; una roulotte, una penna e un diario è in effetti quello che gli serve e caricata un po di roba ecco che inizia l’avventura di Giacomo.
Ha deciso di scrivere, di raccontare se stesso e la sua vita e per farlo si stacca da tutto e si dirige verso il sud.
Ma ha anche bisogno di capirsi e per farlo ha bisogno di qualcuno che lo stia a sentire, che possa in qualche modo essere uno specchio vivente che ascolti e possibilmente non giudichi.

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Questo specchio si incarna in Roberta, una donna con un passato da prostituta e ora diventata una escort al servizio di uomini maturi in crisi di identità come Giacomo.
Il viaggio verso sud diventa rivelatore e si mostra sotto una luce diversa da quanto preventivato dall’uomo;Roberta è una donna complessa, intelligente e sensibile e ben presto è l’amore a far capolino.
Lui si innamora di lei, lei si innamora di lui.
Nel frattempo il suo diario cresce in dimensioni e un giorno Giacomo decide di leggere a Roberta quello che ha scritto; con la sensibilità di un elefante Giacomo ha però espresso giudizi sprezzanti sulla donna e Roberta, ferita da tanto egoismo e supponenza lo lascia a meditare sui suoi errori.
Brogliaccio d’amore è un film del 1976 ormai completamente dimenticato e non senza ragione; ampolloso, verboso e caratterizzato principalmente da un andamento lento come una lumaca, il film diretto da Decio Silla che trasporta sullo schermo una sceneggiatura in cui lo stesso Silla ha messo mani con l’aiuto di altri quattro collaboratori (Gilberto Squizzato, Luisa Montagnana, Tullio Nemi Cheli) è un prodotto ben recitato ma nulla più.
La storia trita del maturo borghese in crisi è uno degli espedienti più usati del cinema anni 70 e questo film nulla aggiunge ai tanti ritratti di uomini al bivio che sono stati disegnati in quel periodo.

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Come generalmente avviene in prodotti dalle tematiche simili, Silla cerca di intellettualizzare la storia, finendo per rendere il film pesante e indigesto, mitigato da un finale amaro che quanto meno ci risparmia il lieto fine.
Il regista di Tortona, qui alla sua prima e ultima opera cinematografica non lascia alcun segno, nonostante abbia avuto per le mani, in quest’opera, due attori bravissimi e espressivi come Enrico Maria Salerno e Senta Berger.
Che nonostante la fragilità del soggetto ce la mettono tutta, ammortizzando l’effetto noia che deriva dalla verbosità eccessiva dei dialoghi, dalla mancanza di movimento di cui il film soffre e dalla prevedibilità di quanto scorre sullo schermo.
La coppia Salerno-Berger funziona, indubbiamente, quello che non funziona è l’atmosfera da road movie autobiografico che non solo non ha fascino, ma che diventa con il passare dei minuti una palude di noia e di già visto, il tutto condito da musiche assolutamente inadeguate e da conversazioni che stimolano (più che un eventuale dialogo post film) una bella dormita sul divano, rimpiangendo il tempo passato a guardare un’opera francamente barbosa oltre il limite consentito.

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Motivo per il quale il film non ebbe nessun successo e sparì letteralmente dallo schermo per essere riesumato raramente da qualche tv in cerca di tappi per riempire la programmazione notturna.
Film da dimenticare, quindi, a meno che non si voglia assistere ad una prova maiuscola di recitazione, fornita da due grandi interpreti come Enrico Maria salerno e Senta Berger.
Troppo poco però per valere una visione.
Film praticamente introvabile in rete; esiste però una versione decente sul mulo, con una buona qualità audio video.
Brogliaccio d’amore
Un film di Decio Silla. Con Enrico Maria Salerno, Senta Berger, Paolo Carlini, Marisa Valenti, Lorenzo Fineschi Drammatico, durata 94 min. – Italia 1976.

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Enrico Maria Salerno … Giacomo
Senta Berger … Roberta
Paolo Carlini … Pierino
Marisa Valenti … Patrizia

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Regia: Decio Silla
Sceneggiatura:Gilberto Squizzato, Luisa Montagnana, Tullio Nemi Cheli, Decio Silla
Musiche:Giuseppe Cremante
Fotografia:Lamberto Caimi
Montaggio:Enzo Monachesi
Art Direction : Mimmo Scavia
Costume Design :Lia Francesca Morandini

 

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L’opinione di Il gobbo dal sito http://www.davinotti.com

Esiziale quanto misconosciuto detrito del filone sentimental-borghese, con dialoghi di inenarrabile ampollosità recitati (non senza convinzione, va ammesso) da un Salerno sdrucito in cerca di sè stesso (il guaio è che si trova) e una Senta Berger (laudata semper) improbabilissima ex-mignotta, fra musiche terrificanti (che vanno da “Marina” a una pantomima di “Europa”) e preoccupantissime mises del buon Enrico Maria. Fantastica, fra le varie amenità, la scena coi tossici moribondi raccattati sul ciglio della strada.

L’opinione di Markus dal sito http://www.davinotti.com

Il film è palloso e non ha ritmo (cosa più grave), con la presenza di ottimi attori che risollevano la pellicola. Il film si fa fatica a seguire, sostanzialmente perché è un guazzabuglio di conversazioni lunghe ed estenuanti, che oserei definire “parapsicologiche” nel senso barboso del termine. Ottima la musica di Giovanni Cremante, in cui spicca il pezzo funky che accompagna la Berger nella scena del mercato. Una pellicola rara.
L’opinione del sito http://www.gentedirispetto.com

Ho visto questo film di genere sentimentale-psicologico.
A mio avviso, il film resta in piedi grazie alla bravura del grande Salerno e alla bellezza della Berger.
La storia risulta piuttosto ingarbugliata e difficilmente credibile ed un po’ di ritmo in piu’, non avrebbe guastato: infatti nell’insieme risulta piuttosto noioso, forse per questo, al cinema nel 1976, passò quasi inosservato.

 

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marzo 29, 2014 Posted by | Commedia | , , | Lascia un commento

Dedicato al mare Egeo

Dedicato al mar Egeo locandina Masuo Ikeda era uno scrittore, illustratore,ceramista, scultore e incisore giapponese prestato al cinema in due occasioni; nella prima di queste scrisse e diresse Dedicato al mare Egeo, tratto da una sua storia dal titolo omonimo che ebbe un qualche successo in Giappone, vincendo il prestigioso Premio Akutagawa. Tante attività svolte brillantemente, alle quali però non può di certo essere aggiunta, almeno al livello di abilità conseguita, quella di regista di valore. Il film in questione, Dedicato al mare Egeo, uscito nelle sale senza alcuna visibilità nel 1979, è infatti una pellicola noiosa in maniera esemplare, una summa di quello che bisogna evitare allo spettatore che incautamente incespica in una pellicola come questa caratterizzata da una piattezza di narrazione elevata al sublime. La trama, ridotta all’osso ( e del resto c’è ben poco da raccontare) ci porta sulle orme di Nikos, giovane pittore di origine greca che frequenta una scuola d’arte e che vive temporaneamente presso Elda, una bella donna divorziata e con una figlia con seri problemi. Dedicato al mar Egeo 1

Come ovviamente prevedibile, tra i due nasce la passione e Nikos diventa l’amante della donna, stringendo contemporaneamente un bel legame con la figlia della donna, Lisa. La quale però sviluppa ben presto un’attrazione morbosa per Nikos. Il giovane, per guadagnare due soldi, accetta di diventare modello per la fotografa Gloria, che ha già una modella che presta saltuariamente il suo corpo per delle foto scattate dalla stessa Gloria. Anita, la modella, è una donna disinibita e ben presto seduce Nikos; il marito di Elda informa l’ex moglie della cosa, e naturalmente la reazione della donna è delle peggiori. Durante un viaggio in Grecia accade però qualcosa di tragico… Sospendo qua la narrazione della trama e non certo perché il finale riservi chissà quale sorpresa:anzi, se c’è una cosa che getta a mare quel pochissimo di buono che si era visto fino a questo momento è proprio la fine ridicola e francamente illogica della pellicola stessa. Spacciato come un film erotico, Dedicato al mar Egeo

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in realtà non a quasi nulla di erotico, così come il titolo è assolutamente fuorviante su una presunta location greca; le uniche scene blandamente erotiche sono girate praticamente al buio mentre abbondano i nudi di Ilona Staller, una delle protagoniste del film. Poiché del film non “dovrebbe” esistere una versione digitale, chiunque abbia visto le rare riduzioni da VHS avrà notato che la riduzione stessa presenta la censura operata dal mercato giapponese, che prevede per le inquadrature delle parti intime una pecetta bianca. Così chi vede la pellicola finisce per perdere forse l’unica attrattiva del film, ovvero le nudità generosamente esposte di Ilona Staller. Che, come attrice, ha tante pecche come il protagonista maschile del film, l’attore di fotoromanzi Claudio Aliotti, qui in una delle sue nove apparizioni cinematografiche; di ben altro calibro ovviamente la presenza di Olga Karlatos, una delle attrici peggio utilizzate dal cinema negli anni settanta e che è l’unica ad avere doti recitative a sufficienza.

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Di scarso peso la presenza di Stefania Casini, mentre il decantato mar Egeo compare in pratica sul finale del film e fa da sfondo alla quasi folle sequenza finale, che purtroppo, come già detto, chiude in maniera pessima un film di per se deludentissimo. Brutto film, quindi, insipido e senza alcun interesse, con l’unico pregio di una gradevole colonna sonora firmata dal grande Ennio Morricone Nel web è presente l’unica versione ad oggi conosciuta della pellicola, ricavata da una VHS destinata al mercato giapponese, di scarsissima qualità, con sottotitoli in giapponese e censurata in alcune parti.Il link per vedere il film è il seguente: http://my.mail.ru/video/mail/vm_gluschenko/104076/104090.html#video=/mail/vm_gluschenko/104076/104090

Dedicato al mare Egeo di Masuo Ikeda, con Claudio Aliotti,Stefania Casini,Sandra Dobrigna,Olga Karlatos,Ilona Staller Drammatico, Italia 1979

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Claudio Aliotti … Nikos Stefania Casini … Gloria Sandra Dobrigna …Lisa Olga Karlatos … Elda Ilona Staller … Anita

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Regia: Masuo Ikeda Soggetto: Masuo Ikeda Musiche:Ennio Morricone Fotografia:Mario Vulpiani Montaggio:Mario Morra

 Dedicato al mar Egeo banner recensioni L’opinione di Ronax dal sito http://www.davinotti.com Tanto per cominciare il titolo c’entra poco o nulla, visto che il Mar Egeo entra in scena solo nel finale e ha unicamente il ruolo di rassegnato spettatore dell’epilogo di questo grottesco melodrammone erotico girato dal giapponese Masuo Ikeda in vacanza fra Roma e la Grecia. Forse mai distribuito in Italia e oggi disponibile solo su un supporto nipponico con ridicole pecette censorie sul pube della Staller, il film è una somma di situazioni insensate e dialoghi insopportabili resi ancora più atroci da una recitazione canina. Evitabilissimo. L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com Tarda produzione anni Settanta, eredita umori samperiani e punta tutto sulla carta della bellezza: la bellezza del corpo femminile (prima i nudi “accademici”, poi quelli della Karlatos, della Staller e della Casini), del paesaggio naturale (l’incontaminato Mar Egeo) e delle musiche (Morricone con apporti vocali della Dell’Orso). Questo consente di prevenire i possibili agguati della noia provocata da una sceneggiatura poco brillante – financo con maldestri risvolti onirici – e un finale tanto prevedibile quanto improbabile. L’opinione di Ilgobbo dal sito http://www.davinotti.com Nikos, squattrinato e svogliato studente d’arte a Roma, se la fa con la padrona di casa, che vive con una strana bambina. Ma un incontro casuale… Erotico con pretese artistiche del giapponese Ikeda, costellato di inquadrature pretenziose e dialoghi terrificanti, musicati da Morricone con tanti sospirini e sospironi di Edda Dell’Orso: praticamente un trionfo del kitsch, specie nell’ultima parte che si svolge in Grecia. Le bellone del film si danno tutte un gran daffare, inutile dire che è Cicciolina a regalare i numeri migliori. Dedicato al mar Egeo banner foto   Dedicato al mar Egeo locandina 5   Dedicato al mar Egeo locandina 4   Dedicato al mar Egeo locandina 3 Dedicato al mar Egeo locandina sound 2

 Track list della colonna sonora

01 – Dedicato al Mare Egeo 02 – Un Grido 03 – Lisa E Nikos 04 – Cavallina A Cavallo 05 – E Fuggi Via 06 – Un Songno Al Sole 07 – Lisa Del Mare Egeo 08 – Vedere E Non Sapere 09 – Tre Per Tre 10 – La Donna Della Finestra Difronte 11 – Dedicato Al Mare Egeo 12 – Cavallina A Cavallo 13 – Dedicato Al Mare Egeo (Masuo Ikeda) 14 – Lida Del Mare Egeo (Masuo Ikeda) 15 – Dedicato Al Mare Egeo (Masuo Ikeda, Ruggero Gatti)

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marzo 28, 2014 Posted by | Erotico | , , , | 1 commento

Il vestito (The dress)

Il vestito locandina 4

Se dovessi attribuire un ipotetico premio al film più bizzarro, enigmatico e surreale che abbia visto nella mia vita, Il vestito, opera del 1996 del regista olandese Alex van Warmerdam si disputerebbe sicuramente la volata finale.
De Jurk,titolo originale della pellicola, tradotta fedelmente in inglese come The dress e altrettanto fedelmente nella versione italiana in Il vestito è una di quelle opere che non solo sconcerta, ma ti porta a fare elucubrazioni più o meno serie sul senso di quello che si è visto; e quello che capita nel film ha allo stesso tempo fascino e mistero, che permeano la pellicola intrisa di uno humor nerissimo e spesso intraducibile con la parola.
Un humor che ha del fantastico e al tempo stesso dello estraneante, una visione che solo il termine surreale può rendere appieno.

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Guardare Il vestito significa immergersi in un mondo spiazzante, quasi fiabesco eppure a tratti terribilmente reale, come una favola dall’andamento macabro che finisce lasciando irrisolti tutti i temi di partenza, ammesso poi che un tema vero esista e non sia semplicemente un pretesto per una visione quasi in slide di una serie di immagini caotiche, unite però da un disegno che nel corso della pellicola appare quasi chiaro.
Quasi.
Perchè il sospetto, dopo la visione del film, è che tutto sia più un gioco che un discorso logico o meno sulla casualità delle cose; il che comunque è del tutto riduttivo, alla fine, perchè il film sembra sfuggire a qualsiasi analisi logica, tendendo conto sopratutto del suo andamento schizofrenico.

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Come si evince dal titolo, il protagonista è un vestito; un capo d’abbigliamento brutto e kitsch, se vogliamo con quella sua colorazione assurda, con quelle foglie stampate casualmente su tutta la sua lunghezza, un abito che insomma una donna italiana non metterebbe mai addosso nemmeno in casa e nemmeno in caso d’emergenza.
Viceversa nel film l’orribile vestito sembra dotato quasi di una sua volontà o quantomeno sembra scatenare, in chiunque ne abbia contatto, una qualche forma di follia.

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L’inizio del film ci mostra l’origine del vestito stesso; Cremer, disegnatore per un produttore di tessuti, ritenuto dal suo direttore troppo avveniristico nelle sue opere, crea una fantasia particolare, ovvero un tessuto stampato in un orribile color azzurro con delle foglie marroni disegnate alla rinfusa.
Sembrerebbe una provocazione ed invece ecco quello che non ti aspetti.
Al direttore la fantasia piace e se ne decide l’utilizzo in larga scala.
Fin qua sembra tutto regolare ma ecco iniziare le stranezze; il designer dell’azienda caccia di casa la compagna che lo ha sorpreso con una gigantesca scrofa in casa e deve allontanarsi nuda dalla casa stessa mentre è insultata dall’uomo sotto lo sguardo di un terrorizzato postino che assiste di nascosto alla scena.
Intanto il vestito viene consegnato alle varie boutique e su una di queste, che espone il vestito in vetrina,capita lo sguardo di una casalinga che lo compra e lo porta a casa.Il tempo di indossarlo ed ecco che dei rapinatori entrano in casa della donna.

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Inizia così una sequenza folle di avvenimenti, perchè il vestito, steso dal marito della casalinga ad asciugare, finisce per volare via ed atterrare vicino al capanno di un giardiniere, che lo porta dalla domestica della casa in cui lavora.
La domestica lo indossa e poichè il suo compagno è un’artista, ecco che viene immortalata in un quadro dallo stesso;da qui in poi la storia diventa frenetica, mostrando i passaggi del vestito e le vicissitudini, tutte negative, che vivranno le persone che entreranno in contatto con l’abito.
In una sarabanda di situazioni paradossali, vedremo la compagna dell’artista trovarsi un uomo nel letto, che la convincerà ad avere una relazione con lui; dalla donna, che subirà in seguito attenzioni non desiderate da parte del conducente di un autobus finirà, dopo essere passato per una lavanderia addosso ad una ragazza e poi…
Dotato quasi di una volontà propria, il malefico capo d’abbigliamento sconvolgerà le vite di coloro che lo indossano, segnandone in qualche modo la vita almeno nel momento del contatto.

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Come dicevo all’inizio, è pressochè impossibile ( ed anche inutile) cercare di capire le vere motivazioni che spingono Alex van Warmerdam a mettere in piedi un film in cui anche i dialoghi appaiono slegati dalle situazioni; il paradosso, l’estremo sono sempre dietro l’angolo e il vestito, che sembra influenzare così negativamente le vite di coloro che ne subiscono l’influsso nefasto finisce per assomigliare ad un destino implacabile che decide di attraversare le vite dei protagonisti.
Il simbolo diventa quindi intelleggibile,di impossibile decifrazione anche se non privo di un lugubre fascino.
Il punto di collegamento è semplicemente la sequela di sventure che colpisce chiunque indossi o semplicemente brami l’orrido capo.

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Ironia e tenerezza, sarcasmo e malinconia, il regista olandese non fa mancare nulla, anche se alla fine il quadro d’assieme appare un po incoerente e spezzettato.Tuttavia la pellicola ha un fascino sottile, ed il vero peccato è che non esista in rete una sua versione in italiano.
E’ possibile invece visionare la pellicola in lingua originale e con sottotitoli in inglese; può valerne la pena a patto di seguire i dialoghi e le scene come tanti quadri d’assieme a tratti incoerenti, sicuramente spesso incomprensibili ma dal fascino davvero sottile.
http://viooz.co/movies/21214-the-dress-de-jurk-1996.html

Il vestito

Un film di Alex Van Warmerdam. Con Henri Garcin, Khaldoun Elmecky, Frans Vorstman, Ingeborg Elzevier, Margo Dames,Peter Blok, Jacob Derwig, Rudolf Lucieer, Maike Meijer Titolo originale De Jurk. Commedia, durata 98′ min. – Paesi Bassi 1996.

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Henri Garcin: Van Tilt
Ariane Schluter: Johanna
Alex van Warmerdam: De Smet
Ricky Koole: Chantalle

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Regia Alex van Warmerdam
Sceneggiatura Alex van Warmerdam
Fotografia Marc Felperlaan
Montaggio René Wiegmans
Musiche Vincent van Warmerdam
Scenografia Jorrit Korstenhof

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L’opinione di viagem dal sito http://www.filmscoop.it

Non un film, un gioco!
Una sceneggiatura assurda e una comicità perversa tra abusi, coincidenze e sfortune. Esemplare la scena dell’enorme scrofa che esce dalla casa per un tentativo andato a male di “sesso alternativo”. Raccapricciante la colonna sonora: i tocchi di contrabbasso segnalano l’arrivo di un’imminente violenza o abuso.
In tutto questo un vestito che non finisce di portar rogna a chi ne viene in contatto, non da ultimo a chi lo ritrae, passando di mano in mano in un’amena cittadina di provincia olandese.
Memorabile!

L’opinione di supadany dal sito http://www.filmtv.it

Un film completamente rimosso (non mi capita quasi mai di non trovare nemmeno un opinione per un film di circa quindici anni fa, soprattutto se di origine “festivaliera”) che, con un fare prevalentemente scanzonato (almeno inizialmente), fotografa un mondo senza apparenti speranze.
L’oggetto del contendere è un colorato vestito (peraltro tutt’altro che bello da vedere), complicato fin dalla sua gestazione, scaturita da una semplice copia e da successivi litigi vari tra l’”ideatore” e l’impresario che lo deve produrre.
Va da sé che porterà rogne senza fine per tutti i suoi sfortunati possessori.
Le caratteristiche più interessanti del film sono il tono sarcastico, che il regista adopera per raccontare questa storia di (macabra) fantasia (o semplicemente triste realtà?), e gli incroci che i vari passaggi di proprietà causeranno.
Infatti tutte le persone che ne entreranno in possesso saranno destinate ad incontrare i medesimi personaggi sul loro tragitto e a dover affrontare guai di diversa natura.
Storia anomala (anche poco omogenea che vira in corso d’opera), una scheggia impazzita, il vestito non manca mai, ma poi i veri protagonisti sono altri.
Personaggi alla deriva esistenziale, senza un reale sbocco alla loro esistenza.
Se vi capita (non saprei come, l’ho rivisto in un vhs da far incrociare gli occhi, non esiste in dvd, ed in tv non so se sia mai passato e tanto meno se passerà, ma un modo prima o poi capita, se non è già capitato), guardatelo e fate i vostri conti.
Per me è talmente coraggioso e visionario nella sua essenza, da farsi perdonare più di un passaggio farraginoso.

L’opinione di Daniela dal sito http://www.davinotti.com

Il disegno di un tessuto per abiti (foglie su fondo blu), usato per fabbricare un vestito estivo, ha uno strano potere: affascina gli uomini e li spinge a possedere le donne che indossano di volta in volta l’abito, riadattato in varie foggie, che si tratti delle mogli o di perfette sconosciute, indipendentemente all’età e dall’avvenenza di ciascuna. Un carosello di personaggi ora caustico ora lieve, attraversato da un vento di follia, per un film olandese bizzarro, difficilmente catalogabile, interessante anche se non del tutto riuscito.

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marzo 27, 2014 Posted by | Commedia | | Lascia un commento

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marzo 27, 2014 Posted by | Photogallery | | Lascia un commento

The witch who come from the sea

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The witch who come from the sea è un film praticamente sconosciuto in Italia, non avendo mai avuto una distribuzione regolare e sopratutto non essendo stato mai doppiato nella nostra lingua.
Il che è un vero peccato, trattandosi di una pellicola originale e dalle tematiche interessanti, oltre ad essere un film ben girato e ottimamente recitato.
Diretto dal regista Matt Cimber, questo film ha avuto una vita cinematografica travagliata sopratutto in Europa, finendo per essere inserito in Inghilterra dall’United Kingdom Department of Public Prosecutions nella lista dei suoi 74 video nasties, cosa che per anni ha limitato la visibilità alla sola proiezione domestica.
The witch who come from the sea è indiscutibilmente un film forte, ma non di certo in modo tale da finire all’indice;probabilmente a influire sulla decisione dell’organo deputato al controllo della morale in Inghilterra fu più la tematica dell’incesto legata a qualche scena splatter che la sua violenza conclamata e che in realtà appare davvero blanda.
Una storia complessa legata principalmente alla figura di una donna, Molly, che nel corso del film impariamo a conoscere come persona fortemente, emotivamente disturbata, da qualcosa che diverrà chiaro solo alla luce degli episodi di violenza che ne caratterizzeranno le azioni.
Il film si apre con una donna, Molly, che passeggia sua una spiaggia con i suoi due nipotini Tripoli e Todd;seduta sulla riva, la donna ammira due vigorosi uomini intenti a svolgere attività ginniche ma all’improvviso l’idilliaco quadretto è sconvolto da due apparizioni violente, quella del ginnasta bianco morto e appeso alle parallele alle quali l’uomo si sta esercitando e quella dell’uomo di colore al quale esce del sangue dagli occhi.

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Sono frammenti di una visione, due morti che troveranno compimento nella realtà poco più avanti.
Tornata a casa Molly racconta ai due ragazzini la storia di suo padre, un capitano disperso in mare; questo provoca la reazione di sua sorella che smentisce la visione idilliaca di Molly, secondo la quale il padre era un uomo coraggioso e gentile.A suo vedere e secondo la realtà il padre era un uomo violento e alcolizzato.
E’ il secondo segnale diretto che arriva su Molly; le visioni della donna sulla spiaggia, il quadretto romantico costruito attorno alla figura di suo padre sembrano essere una proiezione di una personalità dissociata, avulsa dalla realtà, quella insomma di una donna che si è rifugiata in un mondo immaginario per sfuggire ad una squallida realtà.
Il giorno dopo Molly porta i due sportivi in una camera d’albergo, mostrando disponibilità ad un rapporto a tre; i due uomini, convinti di partecipare ad un gioco erotico si lasciano legare al letto.
La scena muta radicalmente e ritroviamo Molly a letto con il suo datore di lavoro, Long John, proprietario del bar in cui la donna lavora.

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I telegiornale informa della morte violenta dei due atleti che abbiamo visto prima sulla spiaggia e poi nella camera d’albergo, in compagnia della donna; i corpi dei due sono stati rinvenuti privi dei genitali.
In un alternarsi di flashback che sembrano frutto della fantasia ma che in realtà altro non sono che proiezioni reali della distorta mente di Molly vediamo la donna uccidere con un pezzo di vetro Billy Batt ,una star del cinema durante una festa che l’uomo ha dato a casa sua.
Ancora una volta Molly si risveglia nel letto di Long John; la donna è coperta di sangue, ma non ricorda nulla di quanto accaduto.
Cosa provoca nella donna questo discostamento dalla realtà? Perchè Molly rifiuta la realtà e si rifugia in un mondo dorato dal quale però è implacabilmente strappata per essere riportata alla vita reale, nella quale è indubbiamente un’assassina?

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Scopriamo così che tutto è nascosto nel passato terribile di Molly; da ragazzina aveva rapporti sessuali con suo padre e durante uno di questi l’uomo era rimasto folgorato da un infarto.
La mente di Molly aveva rimosso coscientemente tutto, ma nei meandri della mente qualcosa riportava sistematicamente a galla quei ricordi rimossi, portandola contemporaneamente a “vedere” le punizioni che implacabilmente impartiva ai suoi occasionali amanti.
L’ultimo flashback ci mostra i sogni della ragazza, che naviga con una zattera in un mare tranquillo verso una libertà che purtroppo esiste solo in una parte della sua mente.
The witch who come from the sea è decisamente un bel film, anche se necessita di una certa dose di pazienza per seguire le evoluzioni della mente dissociata di Molly, che trasporta lo spettatore qua e la fra la realtà e la fantasia, attraverso continui flashback che distorcono la realtà stessa, perfino colori e suoni, quasi siano proiezioni ideali ma al tempo stesso da incubo di quello che si agita nella sua mente.

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Momenti topici e rivelatori del film si susseguono a momenti in cui il presente della donna sembra quasi indicare come Molly possa essere una donna qualsiasi, con relazioni pubbliche forse un po scandalose comunque nei limiti di una presunta normalità.
I flashback però ci trasportano all’interno di quella che è una realtà all’apparenza confusa, ma che assume un carattere chiaro e definito nel momento in cui si apprende cosa nasconda realmente il passato di Molly.
Curiosa è la scena in cui Molly decide di farsi tatuare da un suo vicino, un tipo dalla faccia patibolare che le inciderà sul corpo una sirena enorme, che parte dai seni per arrivare al pube, un chiaro simbolo di seduzione.
L’attrattiva principale del film è proprio questa, quell’andirivieni continuo fra realtà e fantasia che sembrano diventare inestricabili, interrotto solo da qualche frammento in cui Molly rivede se stessa ragazzina e che sono rivelatori del suo terribile passato.
Il titolo del film è spiegato in un fase del film, quella in cui Billy Batt, incuriosito da Molly ha un dialogo con lei:
“”Chi è lei?”chiede Billy
“Sono una strega che è venuta dal mare.” risponde Molly
“Lei non è una strega, lei è bellissima.” ribatte Billy
“Sono Venere “Venus”.
«Perché è venuta fuori dal mare ?” chiede sorpreso Billy”
“Venere nacque nel mare.” ribatte Polly
“Perché?”
“Suo padre era un dio, gli hanno tagliato le palle, il suo sperma è caduto in mare e Venere era li’ “

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Gran merito della riuscita e della credibilità del personaggio di Molly va attribuita alla performance di Millie Perkins, l’attrice che interpreta la protagonista del film; con una recitazione nervosa, quasi paranoica, la Perkins crea le premesse di un personaggio indecifrabile, che porta lo spettatore a interrogarsi di continuo sul suo stato di salute mentale.
Un film come dicevo agli inizi assolutamente unico, che purtroppo non ha nessuna traduzione in italiano; chiunque abbia dimestichezza con la lingua inglese può cimentarsi nella visione dello stesso al link http://3film.net/6619-the-witch-who-came-from-the-sea.html dove c’è una versione decorosa dello stesso, avvisando i lettori che purtroppo il sito ha al suo interno delle immagini porno, ma che il film non ha per fortuna alcun inserto extra che lo renda indegno di essere guardato.

The witch who came from the sea
di Matt Cimber, con Millie Perkins,Lonny Chapman,Vanessa Brown,Peggy Feury,Jean Pierre Camps,Mark Livingston,Rick Jason Drammatico Usa 1976 durata 83 minuti

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Millie Perkins: Molly
Lonny Chapman: Long John
Vanessa Brown: Cathy
Peggy Feury: Dora
Jean Pierre Camps: Todd
Mark Livingston: Tripoli
Rick Jason: Billy
Stafford Morgan: Alexander McPeak
Richard Kennedy: Homicide detective
George ‘Buck’ Flower: Detective Stone
Roberta Collins: Clarissa
Stan Ross: Jack Dracula
Lynne Guthrie: Carol
Barry Cooper: Newcomer
Gene Rutherford: Sam ‘The Electric Man’ Waters
Jim Sims: Austin Slade
Sam Chu Lin: Lettore notiziario
Anita Franklin: TV Commercial Girl
John Goff: Padre di Molly
Verkina: Molly giovane

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Regia Matt Cimber
Sceneggiatura Robert Thom
Produttore Jefferson Richard
Fotografia Dean Cundey
Musiche Herschel Burke Gilbert

 

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marzo 26, 2014 Posted by | Drammatico | , | Lascia un commento

Terza ipotesi su un caso di perfetta strategia criminale

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Mentre è su una spiaggia all’apparenza deserta, occupato a ritrarre la bellissima modella Olga, il fotografo carlo assiste, non visto, ad un omicidio eccellente mascherato da incidente.
La vittima è il procuratore Anchisio e le indagini sulla morte dello stesso sono affidate la valido ispettore Vezzi.
Carlo, sviluppate le foto, decide di trarre un profitto dalla situazione e propone un ricatto a Mario Ceccarelli, detto Zio Fifì, un sordido regista di filmini porno che nasconde la sua attività facendosi credere maestro di danza.
A nulla valgono i tentativi di vendere gli scatti proibiti alla mafia mentre interessato alla cosa sembra essere un settimanale che si offre di acquistare i negativi.
Accordatisi per una cospicua somma, Fifi, Olga e Carlo danno i negativi ad un inviato del settimanale, che nel frattempo viene ucciso.
Il misterioso assassino è quindi in possesso dei negativi ma per una fatalità Olga, amante e modella di Carlo, ha scambiato i negativi e così iniziano i guai.

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L’uomo uccide zio Fifi e poi con un incidente stradale ferisce gravemente la sventurata Olga.
Carlo, ormai resosi conto di essere in balia di un uomo senza scrupoli, decide di collaborare con la polizia che tende una trappola all’omicida…
Giuseppe Vari, onesto artigiano del cinema, firmandosi Joseph Warren mette su nel 1972 questo strano intreccio fra thriller e poliziesco nel 1972, uno degli anni in cui a cinema ci andavano praticamente tutti e vedendo qualsiasi cosa.Terza ipotesi su un caso di perfetta strategia criminale esce proprio in questo periodo, finendo però, proprio per l’altissimo quantitativo di prodotto offerto, per confondersi con altri prodotti dalle tematiche simili.
E poichè si tratta di un film scarno ed essenziale, senza una sceneggiatura molto coerente ecco che il film finisce presto nel dimenticatoio
In verità un po ingenerosamente, visto che il prodotto finale non è malvagio; tuttavia la trama un po ruvida, l’andamento traballante del film stesso ne decretano un sostanziale insuccesso ai botteghini.
Peccato, perchè Vari, che aveva all’attivo almeno una ventina di film appartenenti a svariati generi non era certo un pivellino; purtroppo in Terza ipotesi su un caso di perfetta strategia criminale si fa prendere la mano dalla tentazione di velocizzare la pellicola, renderla ricca di colpi di scena con il risultato di creare un film dall’andamento schizofrenico.

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Nonostante le evidenti pecche nella sceneggiatura, il film regge a fatica sorretto principalmente dall’ottimo cast assoldato per la pellicola;si va dall’onnipresente Lou Castel ( il fotografo Carlo) alla bellissima Beba Loncar (Olga, la modella e amante di Carlo), da Adolfo Celi (l’ispettore Vezzi) a Massimo Serato (lo zio Fifi).
Gli attori interpretano in maniera misurata le loro parti in un film che ha una discreta miscelazione degli elementi thriller e polizieschi, spruzzati da una piccola dose di erotismo, come del resto prevedibile visto il ruolo del protagonista, un fotografo e quello sopratutto di “zio Fifi”, una specie di ruffiano che vive dirigendo squallidi filmetti pornografici.
A proposito di erotismo, non va dimenticato lo squallido espediente, a cui probabilmente è del tutto estraneo il regista, di inserire per il mercato estero sequenze pornografiche del tutto fuori contesto, cosa che dequalifica la pellicola che al tirar delle somme non è da gettare via.

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Su You tube, all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=cJ9cCfhiMvo è possibile vedere il film completo; purtroppo si tratta di un riversamento da VHS con una qualità dell’immagine e del sonoro davvero modesta, cosa sorprendente visto che del film stesso esiste da tempo una versione digitale.
In attesa di una riduzione decente occorre accontentarsi.

Terza ipotesi su un caso di perfetta strategia criminale

Un film di Giuseppe Vari. Con Massimo Serato, Adolfo Celi, Beba Loncar, Lou Castel, Renato Baldini Poliziesco/Thriller, durata 92 min. – Italia 1972.

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Lou Castel: Carlo
Beba Loncar: Olga
Adolfo Celi: Inspector Vezzi
Massimo Serato: Uncle Fifi
Umberto D’Orsi: Romano, avvocato di Don Salvatore
Renato Baldini: Marshal Notarantonio
Consalvo Dell’Arti: Soprintendente Portella
Antonio La Raina: Mauri
Carlo Landa: Roversi
Carla Mancini: dipendente del Nightclub
Renato Malavasi: Vicenzino Rocca
Fortunato Arena: Don Salvatore Aniello
Domenico Maggio: Garrù
Alfredo Adami: Il cassiere (non accreditato)
Sisto Brunetti: Poliziotto (non accreditato)
Riccardo Petrazzi: scagnozzo di Don Salvatore (non accreditato)
Goffredo Unger: scagnozzo di Don Salvatore (non accreditato)

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Regia Giuseppe Vari
Sceneggiatura Thomas Lang
Casa di produzione Castor Film, Ital-Victoria Films
Fotografia Franco Villa
Montaggio Giuseppe Vari
Musiche Mario Bertolazzi
Costumi Osanna Guardini
Trucco Corrado Blengini

Terza ipotesi su un caso di pefetta strategia criminale banner recensioni

L’opinione del sito http://www.ilmiovizioeunastanzachiusa.wordpress.com

(…) Il 1972 è stato davvero un anno ricco di spunti e inventiva per il cinema italiano e non mi stupisco affatto (anzi) che questo interessante thriller (tra i meno noti e celebrati anche tra gli appassionati del genere) sia uscito proprio in quel periodo. Il regista Giuseppe Vari mescola un po’ di poliziesco e giallo complottistico (con un po’ di rimandi a “Blow up”), non eccede in finezze e virtuosismi registici e quindi, invece di strafare, punta onestamente all’essenziale cavando sangue dalle rape; la sceneggiatura è scarna, il cast non è proprio da urlo e quindi la recitazione non è ai massimi livelli (Celi a parte nei panni del commissario) eppure, nonostante queste premesse poco esaltanti, il film è gradevolissimo, fila via che è un piacere e si rivela una piccola sorpresa. Insomma, una visione direi che se la merita.(…)

L’opinione del sito http://www.exxagon.it

Giallaccio dell’esperto di spaghetti western e di montaggio Giuseppe Vari (Il 13º è sempre Giuda, 1971), che essendo agli inizi del successo pubblico del giallo argentiano, e quindi su binari ancora non solcatissimi, impapocchia il tutto fra thriller, mystery e poliziottesco. Ma forse Vari voleva fare le cose proprio così. La supsense più classica esce dalla porta sul retro già sulle prime e per questo e quello l’appassionato del canonico giallo rimarrà deluso. Tuttavia la storia, complessa e ricca di personaggi particolari, si costrusisce discretamente e la conclusione della faccenda è coerente. Di Argento c’è il concetto del testimone oculare di un omicidio, la soggettiva del killer e di quest’ultimo anche una parte dell’iconografia. Del poliziottesco c’è tutta la faccenda criminosa, personaggi malavitosi e qualche battuta con riferimenti colti socio-politici (vedi Solgenitsin). Un po’ viene da ridere a sentire i regionalismi e le sbandate recitative dei soliti caratteristi (Arena mafioso è cult), però buona parte degli attori dà quello che può e non dà poco: Adolfo Celi e Beba Locar al meglio, Lou Castel ha la faccia incazzata per buona parte del film (il che non è una novità), ma ce l’avrei anche io se avessi fatto le foto sbagliate. Bellissime, a mio parere, le musiche di Mario Bertolazzi, very Seventy! Poco sangue, a parte un’uccisione, ma decisamente originale il trappolone finale per beccare il cattivo di turno. Terza Ipotesi su un Caso di Perfetta Strategia Criminale non è il giallo che consiglierei, fra i tanti che si possono vedere, ma a livello tecnico e narrativo è un prodotto innegabilmente sufficiente, quindi si becca il pollice in su. Mezzo pollice in su. Però poco visto e quindi meritevole di recupero; chissà, forse in futuro sarà cult! No, non lo sarà.

L’opinione di nicola81 dal sito http://www.filmtv.it

Difficile immaginare un giallo dallo stile e dalla tematica più lontani rispetto a quelli che sono i canoni tradizionali del genere: in effetti la scelta compiuta da Vari di privilegiare il versante poliziesco comporta un inevitabile sacrificio in termini di suspense. Tuttavia l’intreccio è costruito discretamente e in modo abbastanza verosimile, la sceneggiatura di Thomas Lang si mantiene agile e il finale, una volta tanto, fornisce le dovute spiegazioni. Tra un imbronciato Lou Castel e una ornamentale Beba Loncar, spicca l’ottima interpretazione di Adolfo Celi.

L’opinione di B.Legnani dal sito http://www.davinotti.com

Dignitoso ed emblematico. Dignitoso perché il film, più poliziesco che argentiano, si lascia guardare senza accusare cadute eccessive. Emblematico perché rappresenta quei prodotti medi di cui il cinema italiano era negli Anni Settanta così felicemente dotato. Celi è splendido, anche quando lo si fa proferire cose inverosimili. Molti, impegnati in ruolo cospicui rispetto al solito, danno il massimo. La Loncar mi colpisce sempre, perché riesce contemporaneamente ad essere sia sensuosa sia rassicurante, il che da tutte non è.
L’opinione di Fauno dal sito http://www.davinotti.com

Proprio vero che più uno ha e più vuole avere… anche se non eccelle, nell’insieme è un film piacevole. Celi non fallisce mai, ma mi è molto piaciuta la scena più tragica nel rifugio estemporaneo, oltre all’immancabile classe del padrino mafioso quando pretende di assurgere ad onesto cittadino. Bravo anche Serato (ormai lo reputo un attore scalognato, perché ricalca quasi le sventure di Macchie solari). Vale comunque la pena di vederlo, non solo per onor di firma.

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marzo 25, 2014 Posted by | Thriller | , , , , | Lascia un commento

Il coltello di ghiaccio

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Jenny Ascott è una cantante molto famosa, che è in viaggio per recarsi a casa di sua cugina Martha Caldwell.
Costei è muta, dopo lo choc provato nel corso di un incidente ferroviario che ha visto tra le vittime entrambi i genitori.
Le due donne sono felici di incontrarsi e salgono in auto per recarsi nella villa dove abita Martha, ma durante il viaggio sono costrette a fermarsi;complice la nebbia che copre la zona,le due donne sembrano essere seguite da uno sguardo interessato, che si materializza nello specchio retrovisore dell’auto.
Entrambe scosse, le due donne arrivano finalmente a casa Caldwell.

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Nella notte una scossa Jenny sente un rumore provenire dal garage della villa; scende e viene uccisa da una mano misteriosa.
Partono le indagini della polizia, che prediligono da subito la traccia del maniaco; l’indiziato è quindi l’uomo misterioso i cui occhi sono apparsi a Jenny e Martha durante il viaggio dalla stazione alla villa.
Ma la mano misteriosa nel frattempo colpisce ancora; a cadere questa volta è la signora Pretòn, governante di casa Caldwell.
Le indagini della polizia proseguono ed ecco che a cadere nelle mani della stessa è un giovane sospettato di omicidio.
La sua fidanzata infatti era stata rinvenuta morta lungo il fiume e così il giovane viene tratto in arresto: sembra la fine di un incubo ma le cose sono destinate ad andare diversamente, in quanto pochi giorni dopo ecco un altro cadavere.
Questa volta a morire è la piccola Christine, una bambina che frequentava la casa di Martha Caldwell e così la polizia è costretta a riaprire le indagini.

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L’autopsia fatta sul corpo della ragazza rinvenuta lungo il fiume rivela che la donna non è morta per un atto violento, bensì per un’overdose di eroina:ma allora chi ha ucciso Jenny, la signora Preton e la piccola Christine e sopratutto, perchè?
Il coltello di ghiaccio è un thriller canonico diretto da Umberto Lenzi nel 1972, che segna il ritorno del regista di Massa Marittima al genere thriller classico, dopo la parentesi poco fortunata di un posto ideale per uccidere.
Abbastanza lontano dalla trilogia “thriller dei quartieri alti“, composta da Orgasmo (1969),Così dolce… così perversa (1969) e Paranoia (1970), Il coltello di ghiaccio presenta comunque qualche analogia con il famoso trittico, non fosse altro per la presenza dell’attrice preferita dal regista, la bionda americana Carrol Baker, che in questo film lavora con Lenzi per l’ultima volta.
In realtà, a parte l’ambientazione da giallo e la presenza della Baker potremmo dire che le analogie finiscono qui, in quanto questo film si distanzia dai precedenti per l’assoluta mancanza della componente sensuale e quindi a sfondo erotico a tutto vantaggio della scelta di operare nel campo dell’atmosfera pura, portando lo spettatore attraverso una serie di indizi a cercare di individuare il misterioso assassino che sembra perseguitare la povera Martha Caldwell, già di per se provata dalla tragica morte dei genitori.

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Il percorso è abbastanza lineare e con la scomparsa del principale indiziato, il giovane fidanzato della ragazza morta lungo il fiume, lo spettatore più smaliziato capisce che l’assassino è meno imprevedibile di quanto si possa pensare.
Il finale infatti ,se presenta sorprese per le motivazioni che hanno spinto l’assassino a compiere i misfatti di cui si è reso protagonista, non ne presenta per l’identità dello stesso.
Prodotto dignitoso, privo dell’atmosfera morbosa della trilogia dei quartieri alti, Il coltello di ghiaccio ebbe un’accoglienza controversa da parte dei fan del regista, oltre che dalla critica specializzata.
Alcuni considerarono questo film il miglior thriller lenziano prodotto fino ad allora, la maggior parte ne restò deluso, non trovando al suo interno le caratteristiche peculiari che avevano fatto la fortuna dei fil fino ad allora diretti dal regista toscano.
Il coltello di ghiaccio è sostanzialmente un thriller abbastanza classico, con tutti gli stereotipi del genere; l’assassino misterioso dall’altrettanto movente misterioso, l’ambientazione quasi padana o gotica della storia, con la nebbia, la villa misteriosa e la polizia che brancola nel buio.
Il tutto risolto alla fine, con il tradizionale colpo di scena.
Prodotto abbastanza elegante, recitato con discreta professionalità, Il coltello di ghiaccio vale una visione.
Nel cast figura come già detto Carroll Baker, qui costretta a recitare solo con la mimica facciale in quanto il suo personaggio è muto; l’attrice americana sopperisce con le sue doti espressive, spesso sottovalutate così come altrettanto degna di menzione è la presenza di Evelyn Stewart, algida ed elegante nel ruolo della sfortunata Jenny, (da segnalare che il duo Baker-Stewart si ricostituisce quattro anni dopo Il tuo dolce corpo da uccidere, film diretto da Romolo Guerrieri, un giallo di discreta fattura targato 1968)

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Segnalazione anche per Silvia Monelli,che l’anno precedente aveva interpretato la signora Giannelli nel leggendario sceneggiato tv Il segno del comando.
Discrete le musiche di Marcello Giombini.
Purtroppo questo film è di difficile reperibilità in rete anche se è passato, con una certa frequenza, sulle reti commerciali televisive.

Il coltello di ghiaccio
Un film di Umberto Lenzi. Con Silvia Monelli, Evelyn Stewart, Carroll Baker, Alan Scott, Franco Fantasia, Dada Gallotti, Georges Rigaud, Eduardo Fajardo, Luca Sportelli, Carla Mancini, Consalvo Dell’arti Giallo, durata 92′ min. – Italia 1972.

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Carroll Baker: Martha Caldwell
Alan Scott: Dr. Laurent
Ida Galli: Jenny Ascot (come Evelyn Stewart)
Eduardo Fajardo: Marcos
Franco Fantasia: ispettore Duran
Georges Rigaud: zio Ralph
Silvia Monelli: signora Pretòn
Rosa Marìa Rodriguez: Christine

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Regia Umberto Lenzi
Soggetto Umberto Lenzi
Sceneggiatura Umberto Lenzi, Antonio Troisio
Casa di produzione Tritone Film Industria (Roma); Mundial Film (Madrid)
Fotografia José F. Aguayo
Montaggio Enzo Alabiso
Musiche Marcello Giombini
Scenografia Piero Filippone
Costumi Silvio Laurenzi

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L’opinione di Nicola81 dal sito http://www.filmtv.it

Ennesima coproduzione italo – spagnola per un giallo non eccelso, ma sicuramente migliore della fama che lo accompagna. Rinunciando, coraggiosamente, ai tradizionali stereotipi del genere (sesso e violenza), Lenzi riesce comunque a creare un’atmosfera interessante e un intreccio dignitoso. Purtroppo il ritmo è davvero molto blando, e allora bisogna accontentarsi dell’inevitabile colpo di scena conclusivo, sorprendente ma un po’ truffaldino. Abbandonati i panni dell’icona – sexy, Carroll Baker fornisce un’ottima prova in un ruolo decisamente ostico. Accanto a lei alcuni discreti caratteristi quali George Rigaud (lo zio), Franco Fantasia (l’ispettore) e Silvia Monelli (la governante).
L’opinione del sito http://www.bmoviezone.wordpress.com

(…) Nonostante il ritmo sia lento e gli omicidi non particolarmente spettacolari (spesso non vengono mostrati allo spettatore al quale si fa vedere solo il cadavere al momento del ritrovamento) Il coltello di ghiaccio regge piuttosto bene la canonica ora e mezza di durata, seppur mostrando qua e là momenti un po’ di secca e mancanze; lo stesso movente che spinge l’assassino ad uccidere è tanto improbabile quanto esile. Interessante l’idea della filastrocca – tratta da Alice nel paese delle meraviglie di Carroll – recitata da Martha da bambina durante una recita scolastica e regalata alla stessa, ormai diventata adulta, dalla sorella Jenny (curiosamente la filastrocca tratta di un topo che viene processato da un gatto); in molte scene il mangianastri viene azionato e questa filastrocca riecheggia come un mantra, così pure viene usata anche nell’ultima riuscitissima scena. Originale anche l’intuizione con la quale il vero assassino viene incastrato. Fotografia forse un po’ troppo scura, ma funzionale agli scopi del regista. Colonna sonora di Marcello Giombini senza né infamia né lode.(…)
L’opinione di Joker1926 dal sito http://www.filmscoop.it

Dopo un anno dalla realizzazione dell’ottimo thriller “Sette orchidee macchiate di rosso” l’esperto e convincente Lenzi alla regia di un altro compatto e gradevole film di genere, anno di produzione 1972, ecco “Il coltello di ghiaccio”.

“Il coltello di ghiaccio” prevede una soddisfacente trama, forse in alcuni passaggi troppo statica e semplice, ma nonostante questa premessa il tutto gira a dovere, il ritmo è alto.
I personaggi sono ben scanditi, c’è anche un filo di tensione, da parte dello spettatore l’interesse e la curiosità saranno vive dal primo momento fino allo splendido ed inatteso finale.
Infatti a render grande questo film è proprio il finale altamente non pronosticabile; risulta dunque improbabile, da parte dello spettatore, captare l’identità del killer durante la proiezione, nel determinato frangente applausi alla regia.
“Il coltello di ghiaccio” vede inoltre delle buonissime interpretazioni dei vari attori, la fotografia è di buona qualità, insomma anche sul lato tecnico davvero poco da rimproverare.
L’opinione di Undying dal sito http://www.davinotti.com

Un Lenzi suggestivo, che invece di ricorrere alle (spesso facili) sequenze d’effetto, imposta la vicenda sul piano psicologico (come poi farà con Spasmo) utilizzando l’ottima performance di Carroll Baker, attrice feticcio del regista sin dalla fase dei sexy-thriller (Orgasmo, Paranoia, Così dolce… così perversa). Buona la sceneggiatura, avvalorata da raffinati dialoghi. Il giallo è un meccanismo contorto, come suggerisce un finale davvero inatteso e che sembra collegare questo film alla Lucertola con la pelle di donna. Intrigante.
L’opinione di Ciavazzaro dal sito http://www.davinotti.com

Simpatico. Non è certamente il miglior Lenzi, ma è sicuramente un buon giallo. La Baker icona lenziana è splendida e bravissima come al solito in un ruolo non proprio facile (una ragazza muta in seguito a un trauma). Cast di caratteristi, da Fajardo autista sospetto alla Galli radiosa più che mai e Riguad zio della Baker. Fantasia come al solito è ispettore. Omicidi non mostrati ma d’atmosfera (quello della Galli nel garage), discreto colpo di scena, buone musiche. I fan apprezzeranno senza dubbio.
L’opinione di Herrkinskj dal sito http://www.davinotti.com

Giallo lenziano di livello più che discreto, che pur non raggiungendo gli apici di altri suoi lavori (né come qualità, né come tasso di splatter e cattiveria) si lascia guardare abbastanza piacevolmente. Certo, la trama non è originalissima e la risoluzione del giallo è piuttosto prevedibile; ma la Baker è molto brava, il resto del cast fa il suo mestiere, la regia di Lenzi è corretta, le atmosfere sono abbastanza suggestive.. In definitiva, non imprescindibile, ma resta comunque un lavoro dignitoso che potrebbe piacere agli appassionati.

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marzo 24, 2014 Posted by | Thriller | , , , | Lascia un commento

Tranquille donne di campagna

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Pianura padana, un anno indeterminato durante il ventennio fascista.
Guido Maldini, uomo violento e fascista convinto è l’amministratore della villa e dei beni della cugina Floriana, una attrice di operette benestante economicamente.
Nella dimora di campagna, con l’uomo, vivono sua moglie Anna, i figli Alberto ed Elisa, la cameriera Aida.
Tutta la famiglia ruota attorno alla figura di Guido, che tratta in maniera sprezzante il nucleo famigliare, a cominciare dalla moglie Anna che umilia costringendola a degradanti rapporti sessuali per finire con Alberto, un giovane che vive all’ombra di suo padre, che disprezza e che è ricambiato nel sentimento da Guido che lo considera solo un debole ed un vigliacco.
Guido esercita un potere assoluto su tutti i componenti della famiglia; oltre ad Anna e Alberto, anche la cameriera Aida, che ha un debole per Alberto è costretta a rapporti sessuali con l’uomo, che insidia anche sua cugina Floriana e che non disdegna puntate nel lupanare del paese, nel quale porta anche suo figlio Alberto che, non pronto e schifato dall’esperienza, vomita addosso ad una prostituta.

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Alberto così sogna di fuggire dalla casa, ma è davvero un debole succube di suo padre.
Tenta anche di ucciderlo ma gli va male, costringendo suo padre ad una reazione violenta.
Ma la situazione precipita con l’arrivo nella villa di sua cugina Gloria, che ha da quando erano ragazzi un debole per lui; i due ragazzi si innamorano e Gloria è l’unica ad affrontare Guido e dirgli senza mezze misure cosa pensa di lui.
La reazione dell’uomo è violenta: davanti a suo figlio Alberto, gridando “ti faccio vedere io cosa si fa con le donne“, l’uomo stupra Gloria senza che il ragazzo, paralizzato dall’orrore ma anche sottomesso e soggiogato dalla volontà del padre possa reagire.
Gloria, che invano ha chiesto aiuto ad Alberto, lascia schifata la casa.
Ma quest’ultimo episodio ha colmato la misura e guidate da Floriana le donne della casa decidono di prendere l’iniziativa; durante la festa di compleanno di Floriana, fanno ubriacare Guido e lo portano nella stalla, dove lo attende la morte…

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Tranquille donne di campagna è un mediocre film che vorrebbe illustrare un quadretto famigliare borghese e bucolico analizzando le vicende di un gruppo di congiunti assoggettati al carattere dispotico del classico padre padrone dai mezzi autoritari.
Non a caso la vicenda si svolge durante l’era fascista, ma nel film, aldilà dell’illustrazione del carattere violento di Guido e della remissibilità dei vari personaggi che gli ruotano attorno non si va.
Abbondano invece gli stereotipi e le frasi maschiliste, le situazioni erotiche e le scene scabrose, anche se quanto meno non esposte con sfacciata disinvoltura.
La storia potrebbe anche reggere non fosse per il tono di imperdonabile leggerezza e di mancanza assoluta di profondità nel delineare i caratteri dei protagonisti che il film, pervicacemente, porta avanti fino alla fine.
Claudio Giorgi (che si firma Claudio De Molinis), il regista del film dirige il suo penultimo film; la sua carriera dietro la macchina da presa si chiuderà l’anno successivo con il pessimo C’è un fantasma nel mio letto.
Incapace di costruire un’atmosfera credibile attorno ai personaggi, Giorgi si limita ad osservarne le mosse indulgendo spesso sull’aspetto più pruriginoso della storia, ovvero dando largo spazio alle voglie malsane del padre padrone Guido, che dipinge in maniera rozza ed eccessiva.

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L’uomo appare infatti più come un animale da riproduzione, mosso dagli istinti che come un essere umano; i suoi modi sono da schiavista, attorno a lui non c’è un minimo di affetto ma solo paura e cieca obbedienza.
E la cosa ci può anche stare, non fosse per la caratterizzazione estremamente negativa degli altri personaggi, che appaiono deboli in maniera patologica.
La riprova è la sequenza finale, con lo stupro di Gloria, l’unica a mettere in discussione i suoi metodi.
La scena drammatica della violenza sulla ragazza vede come protagonista in negativo il giovane Alfredo, che guarda quasi impassibile la scena senza muovere un dito.
Colpa anche dell’assoluta rigidità recitativa di Christian Borromeo, l’attore che interpreta Alberto, che i più ricorderanno per le scialbe prestazioni in film pure di discreto livello come Ritratto di borghesia in nero,La casa sperduta nel parco o tenebre.
Il volto immobile di Borromeo è una delle caratteristiche negative del film, cosi come negativa è la mancanza totale di tensione; sembra che più che ad un dramma si stia assistendo ad una commedia bucolica a sfondo erotico, con qualche nudo assolutamente gratuito, con protagonista la bella e prosperosa Serena Grandi, qui al suo secondo film nell’annata 1980, dopo il controverso Antropophagus di Massaccesi.

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Giorgi sfrutta nel peggiore dei modi un cast di ottimo livello, che comprende un Philippe Leroy poco convincente nel ruolo del bestiale Guido, una bravissima Carmen Scarpitta nel ruolo di Floriana prima succube e poi ispiratrice del complotto che porterà alla morte di Guido, Rossana Podestà, lei si davvero brava nel disegnare il ruolo di Anna come quello di una donna completamente asservita al suo ruolo di moglie che non discute mai la volontà del marito, vera schiava senza catene dell’ortodossia maschilista della società fascista.
Molto bene Silvia Dionisio, interprete del ruolo di Gloria, unico personaggio con una personalità delineata e controcorrente; l’attrice, che all’epoca delle riprese aveva ventinove anni, risulta credibilissima in un ruolo che ne richiede diversi di meno.
Bene anche Serena Grandi, mentre Silvano Tranquilli fa poco più di una comparsata nel film.
Poche suggestioni quindi e poco ritmo.
Un filmf orse non bruttissimo, ma di certo con scarso appeal.
Il film è disponibile in un’ottima versione, completa e finalmente, una volta tanto, con una buona qualità visiva e audio su You tube, all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=HoTGql5W67Y

Tranquille donne di campagna
Un film di Claudio De Molinis. Con Philippe Leroy, Carmen Scarpitta, Silvia Dionisio, Serena Grandi,Rossana Podestà, Silvano Tranquilli, Elisa Mainardi, Mario Maranzana, Christian Borromeo, Antonio Serrano Drammatico, durata 91 min. – Italia 1980.

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Tranquille donne di campagna banner protagonisti

Silvia Dionisio … Gloria
Philippe Leroy … Guido Maldini
Carmen Scarpitta … Floriana
Christian Borromeo … Alberto
Rossana Podestà … Anna Maldini
Germana Savo … Elisa
Serena Grandi … Aida
Silvano Tranquilli … Il prefetto
Mario Maranzana … Il medico
Daniel Gohl … Antonio
Elisa Mainardi … Nena

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Regia: Claudio Giorgi (come Claudio De Molinis)
Sceneggiatura:Giancarlo Corsoni ,Nicola Fiore,Mario Sigmund
Fotografia:Emilio Loffredo
Montaggio:Alessandro Lucidi
Costumi:Chiara Ghigi

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L’opinione di ezio dal sito http://www.filmtv.it

Storia ambientata in una tenuta di campagna che si puo’ tranquillamente collocare nel trash.E’ un misto di dramma e timido erotismo con un Leroy che tiranneggia dall’inizio alla fine.Esordio di Serena Grandi che e’ anche l’unica che si mostra integralmente nuda nel film.Distribuito nella collana dvd della Cinekult.

L’opinione di D-fens dal sito http://www.gentedirispetto.com

Film piacevole anche se un po’ lento, del resto ricalca lo scorrere della bucolica vita di campagna. Assai maliziosa l’operazione packaging della Cinekult, che mette in copertina la Grandi nonostante abbia un ruolo del tutto secondario, per di più ricorrendo ad una foto che nulla ha a che vedere col film (nel quale la Grandi è al quasi debutto ed è quindi più giovane e acerba). Pure dentro la confezione del dvd, un’altra (celebre) foto della Grandi la ritrae sostanzialmente nuda mentre offre le terga, altra immagine completamente decontestualizzata. Insomma, un’operazione per fans della Grandi. La versione del film però pare essere integrale almeno.
Bellissima la Dionisio, contraltare poetico e delicato delle altre donne di campagna, ben più ruspanti. Leroy dà una prova da Oscar, in America avrebbe certamente vinto qualcosa. Interessanti i momenti onirici di Christian Borromeo (il figlio di Leroy nel film), che spesso svelano assai di più dei dialoghi tra i personaggi. Impagabile pure l’intervista a Leroy negli exra del dvd, nella quale l’attore si lancia in improbabili celebrazioni della sua giovane vita on the road, fino quasi a commuoversi quando parla dello Yanez di Sandokan, del quale si riteneva praticamente una sorta di reincarnazione.

L’opinione di B.Legnani dal sito http://www.davinotti.com

Film di livello piuttosto basso , ma non privo di una certo decoro nella sua povertà di mezzi. Siamo nell’estate del 1936: non avendo modo per rappresentare efficacemente l’epoca, si sceglie di ambientare il tutto in campagna, ove bastano vestiti e pettinature per dare una patina al tutto. Benché i personaggi siano un po’ tagliati con l’accetta, la corretta scelta degli interpreti aiuta ad arrivare in fondo senza problemi, nonostante una certa lentezza in alcune fasi della vicenda. Alcune situazioni erotiche paiono predisposte per l’uso di inserti hard con altri interpreti.

L’opinione di Undying dal sito http://www.davinotti.com

Ambientato nel critico periodo del fascismo, narra delle tragicomiche (dis)avventure di Guido Maldini, agiato possidente di una tenuta “bucolica” (come titolo suggerisce) nelle campagne padane. La personalità dispotica ed il carattere introverso lo mettono in cattiva luce, tanto da spingere i familiari a desiderarne la morte. Commedia che si tinge di dramma, piuttosto mal diretta anche se presenta un cast interessante. Il regista è lo stesso di C’è un fantasma nel mio letto. Serena Grandi è irriconoscibile.

L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com

Dietro il fuorviante titolo da commedia scollacciata c‘è un erotico-drammatico in perenne fase di stallo, che si rigira monotono su conflitti edipici dentro la leziosa cornice campagnola dell’Italia fascista. Sempre versatile e professionale, Leroy scolpisce il ritratto di un autentico rifiuto del genere maschile (un padre-padrone reazionario, guerrafondaio, manesco e puttaniere); effimere la Podestà e la Dionisio, più incisive l’istrionica Scarpitta e la supponente Savo.

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Christian Borromeo

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Silvano Tranquilli

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Silvia Dionisio

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Philippe Leroy

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Serena Grandi

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Rossana Podestà

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Carmen Scarpitta

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marzo 23, 2014 Posted by | Drammatico, Erotico | , , , , , , | Lascia un commento