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Deranged-il folle

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Un giornalista racconta la storia di Ezra Cobb, conosciuto come “il Macellaio di Woodsideun”.
Ezra è un contadino con gravi problemi psichici che un giorno profana il cimitero in cui è sepolta la madre per riesumarla e portarla in casa con se; all’apparenza l’uomo è una persona strana ma accettata dalla comunità, in realtà ben presto si trasformerà dapprima in un necrofilo che riesumerà altri corpi, poi in un serial killer che uccide donne per trasformarle in qualcosa di simile a dame di compagnia.
Sarà fermato dopo aver ucciso una ragazza…

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Ispirato alle terribili gesta di Ed Gein, un serial killer psicopatico e necrofilo, Deranged-il folle è un film diretto dai registi Jeff Gilen e Alan Ormsby nel 1974, che sfruttano la terribile storia del’assassino del Wisconsin per imbastire una storia a basso budget, povera di effetti ma decisamente lugubre e sopratutto carica di un’atmosfera malsana e malata che si respira per tutto il film.
Ed Gein, morto a 78 anni dopo essere stato catturato nel 1957 e condannato al carcere a vita, passò tutta il resto della sua esistenza in un manicomio criminale scampando alla sedia elettrica per il suo stato mentale, che venne definito dagli stessi dottori che lo esaminarono “insano”.
Riprendendo quindi le sue gesta, che hanno ispirato in vario modo film famosissimi come Psycho,Il silenzio degli innocenti e Non aprite quella porta, oltre ad altre produzioni meno riuscite,Gilen e Ormsby creano un film dall’andamento asciutto e carico di tensione, mostrando l’orrore quotidiano che diventa normalità della vita di Cobb/Gein, attraverso il suo macabro rapporto con la morte.

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Cobb vive in una fattoria isolata con sua madre e alla morte di quest’ultima sembra scollarsi definitivamente dalla realtà;quando riesuma il cadavere della madre instaura con esso un rapporto morboso che però mostra come l’uomo sia precipitato nella follia proprio in seguito al decesso della madre.
Cosa che accadde nella realtà a Gein, che era già malato quando era in vita la madre (probabilmente uccise il fratello, ma di questo delitto non venne accusato formalmente) e che aveva ucciso alcune persone; di questi avvenimenti non c’è la prova certa, in quanto fu lo stesso Gein a confessare gli omicidi molto tempo dopo la sua cattura.
Il film quindi segue il percorso di solitudine e follia dell’uomo, mostrando la sua discesa quotidiana nei meandri della follia testimoniata dalla riesumazione di cadaveri dal cimitero, dal primo dei due omicidi mostrati, dai pranzi macabri dell’uomo con i convitati morti seduti regolarmente a tavola fino alla morte della ragazza appesa come un quarto di bue nel capanno di Ez che così verrà rinvenuta dai vicini quando scopriranno lo squallore della vita di quel loro strano vicino.

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Ez, è questo il diminutivo con cui viene chiamato Ezra,un diminutivo che naturalmente riporta a Ed Gein; la finzione cinematografica quindi si avvicina quanto più possibile alla realtà.
Quella di uno psicopatico che, quando venne scoperto, possedeva reperti umani che lui aveva lavorato e modificato; nella casa degli orrori, come venne ribattezzata l’abitazione di Gein, la polizia trovò nasi ed ossa, teste di donna appese in camera da letto quasi fossero trofei, calotte craniche usate come ciotole o posacenere,un tamburo fatto con pelle umana oltre ad altri oggetti decorati con lo stesso materiale.
Un campionario terrificante, ma che proveniva però da corpi di persone già morte.
Perchè in realtà Gein (come del resto mostrato nel film) uccise solo due persone; la sua vera ossessione era la morte, il rituale della sepoltura.

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Nel film sono infatti due le donne uccise, secondo un rituale che la mente folle di Ez concepisce in una escalation che avrebbe provocato molte più vittime se l’uomo non avesse eliminato la commessa della drogheria del paese, cosa che porterà la polizia sulle sue tracce.
Deranged è un film quasi asettico nella sua descrizione delle gesta di Ez,un film costruito in maniera equilibrata che lascia il tempo per assimilare la follia del protagonista, interpretato magnificamente da Roberts Blossom che molti ricorderanno per le partecipazioni a film come Mattatoio 5 (1972), Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977),Fuga da Alcatraz (1979).

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L’attore statunitense è sobrio e asciutto in un ruolo molto difficile, esasperato anche dalla staticità del film stesso, che è basato tutto sulla descrizione ambientale e psicologica più che sull’azione.
Bene il resto del cast, anche perchè in questo caso funziona davvero da contorno.
Deranged è un film di difficile reperibilità in rete, mentre in tv per quanto ne sappia è passato solo un paio di volte; è disponibile tuttavia in verione digitale e merita di sicuro una visione.

Deranged-Il folle
Un film di Jeff Gillen, Alan Ormsby. Con Roberts Blossom, Cosette Lee, Robert Warner, Marcia Diamond, Titolo originale: Deranged: Confessions of a Necrophile Usa 1974 Horror, durata 84 min

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Deranged banner personaggi

Roberts Blossom: Ezra Cobb
Cosette Lee: Ma Cobb
Leslie Carlson: Tom Sims
Robert Warner: Harlon Kootz
Marcia Diamond: Jenny Kootz
Brian Smeagle: Brad Kootz
Arlene Gillen: Miss Johnson
Robert McHeady: Sceriffo
Marian Waldman: Maureen Selby
Jack Mather: Ubriaco
Micki Moore: Mary
Pat Orr: Sally

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Regia:Jeff Gillen, Alan Ormsby
Sceneggiatura:Alan Ormsby
Musiche: Carl Zittrer
Montaggio: Jack McGowan
Art Direction:Albert Fisher
Costumi: Elizabeth Leroy

Deranged banner recensioni

La recensione dell’utente Movieman tratta dal sito http://www.filmtv.it
Deranged, che col passare degli anni è diventato un mini-cult, è presentato come una ricostruzione di fatti realmente accaduti (le gesta di Ed Gein, ma i nomi sono stati cambiati e Gein diventa Ezra Cobb) con l’introduzione affidata ad un (fittizio?) giornalista che si concede anche qualche altra intrufolata-comparsata a mo’ di ulteriore narrazione. Il tutto con un sottile humor nero che pervade anche altri momenti del film i quali hanno la meglio sulla dimensione gore o splatter, sebbene non manchi qualche scena forte. Probabilmente, di tutte le trasposizioni cinematografiche sul macellaio di Plainsfield, questa (scarna, asciutta, lenta) è la più fedele per la descrizione dell’ambiente e dei personaggi.

La recensione dell’utente Neurotico tratta dal sito http://www.filmscoop.it
Inquietante e disturbante film sullo psicopatico Ed Gein. Essenziale nella sua linearità senza nessuna concessione a sensazionalismi, spettacolarismi o enfatiche messe in scena. Infatti lo stile è a metà tra taglio documentristico e approccio normale. Lo sguardo di ghiaccio da alienato, disturbato e complessato (a causa dell’educazione deviata e repressiva della madre, piena di fisime sessuali derivate dalla benedetta religione) del protagonista Ezra Cobb alias Roberts Blossom resta davvera impresso nella mente come un che di allucinante e terrificante.

La recensione di Alessandro Cruciani tratta da http://www.cinesuggestions.blogspot.it
Questo onesto b-movie insieme ad altre più famose pellicole liberamente ispirate agli eventi (vedi Psycho e Non aprite quella porta) è la trasposizione della vita di Ed Gein, il macellaio di Pleinfield che sconvolse le cronache americane con i suoi atti nefasti.
A metà quindi tra la fiction ricostruita per la televisione e b-movie puro, il film trasporta lo spettatore, senza utilizzare grandi effetti speciali o musiche particolarmente efficaci, nella vita dell’uomo, nella disturbante atmosfera della sua abitazione e nei luoghi più nascosti della sua folle psiche.
È forse proprio l’apparente povertà della messa in scena che accresce quel senso di reale e di disagio nei confronti di una storia tanto assurda quanto – in effetti – vera, realmente accaduta.
L’interpretazione di Blossom nei panni di Ezra riesce poi a catturare lo spettatore con la sua innocenza; la tranquillità con la quale si rivolge al cadavere della madre va di pari passo con la stessa semplicità con cui espone al suo amico i metodi migliori per conservare un corpo.
Lo sguardo da folle si sposa perfettamente all’atmosfera malata che si respira durante la visione del film, tra un pranzo con cadaveri, una pseudo seduta spiritica e un inseguimento nel bosco.

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aprile 29, 2013 Posted by | Horror | , , , , | 2 commenti

Il peplum, ascesa e tramonto di un genere

Il colosso di Rodi lobby card

Il cinema storico nasce in pratica in concomitanza con l’invenzione stessa del cinema da parte dei fratelli Lumiere; se è vero che la prima proiezione da parte dei fratelli francesi avviene nel 1895 è anche vero che le prime produzioni di un qualche valore si registrano negli anni 10.
In Italia il primo film storico è girato nel 1911, La caduta di Troia di Giovanni Pastrone e Luigi Romano Borgnetto, un prodotto pionieristico, che oggi fa tenerezza ma che testimonia l’interesse dei produttori e quindi del pubblico verso un tipo di spettacoli di pura evasione; non a caso negli anni successivi vennero girati film dai contenuti a sfondo storico o biblico, come Quo vadis? di Enrico Guazzoni,Jone o Gli ultimi giorni di Pompei di Giovanni Enrico Vidali, Cabiria di Giovanni Pastrone.
Questo tipo di produzioni ebbe, nel corso dei decenni successivi, un certo successo che avvicinò al cinema molto pubblico, lo stesso che poi negli anni cinquanta decretò il successo delle mega produzioni hollywoodiane come I dieci Comandamenti di Cecil DeMille del 1956 o il Ben Hur di William Wyler del 1959 seguiti da altre produzioni quasi sempre a sfondo biblico come La tunica, La Bibbia, Il Re dei Re ecc.

Ursus nella valle dei leoni

Ursus nella valle dei leoni

Una regina per Cesare

Una regina per Cesare

Nel nostro paese il film storico ebbe sempre un seguito, che sfociò verso la fine degli anni 50 in un genere a se stante, mutuato dalle produzioni americane anche se girati con molti meno mezzi.
Si tratta del peplum, un termine preso di peso dalla lingua greca mutuata dal latino, ovvero peplo, la tipica veste o tunica usata nell’antica Grecia e che i paesi di origine anglo sassone definirono come sword and sandal, ovvero spada e sandalo.
Il peplum, in Italia, ebbe un successo costante per una decina di anni circa, periodo nel qual vennero prodotti non meno di 10 film per anno, per un totale di pellicole che supera di gran lunga le 100 unità.
Una mole enorme di produzioni, che ebbero una costante precisa, ovvero una certa raffinatezza e qualità verso gli inizi per poi diventare,nel corso degli anni, prodotti a low budget caratterizzati da una progressiva sciattezza delle varie componenti di un film, quindi con cast raccogliticci, scenari utilizzati in più produzioni, sceneggiature al limite del ridicolo.

Ursus il terrore dei Kirghisi

Ursus il terrore dei Kirghisi

Ulisse contro Ercole

Ulisse contro Ercole

Ma nel momento d’oro e di massimo fulgore del peplum, quello che va grosso modo dal 1958 al 1963 si ebbero anche film caratterizzati dalla presenza, nei cast, di molti dei migliori attori e attrici del cinema italiano; alcune di queste ultime iniziarono le loro carriere cinematografiche proprio con i peplum o videro aumentare la propria visibilità in ruoli che spesso erano da protagoniste assolute.
Il peplum saccheggiò in tutti i modi il mondo epico dell’antica Grecia o la storia romana, utilizzando come protagonisti gli eroi della mitologia greca o romana, con incursioni anche nella storia di antichi popoli come gli egizi, i babilonesi, i fenici e via dicendo.
Dall’antica Grecia e dalla sua mitologia venne preso come protagonista di molti film il semidio Ercole, l’Eracle greco e l’Hercules latino, il figlio nato dall’unione fra i dio Giove e la mortale Alcmena, mentre il mitico eroe Maciste è ripreso dal film Cabiria del 1914 diretto da Giovanni Pastrone; dal mondo biblico arriva Sansone, il giudice a cui Dio aveva dato una forza sovrumana, mentre un altro eroe dei peplum, Ursus, arriva dritto dal romanzo di Henryk Sienkiewicz  Quo vadis?, che diverrà anche un film.

Salambò

Salambò

Messalina Venere imperatrice

Messalina Venere imperatrice

Ma ad essere utilizzati sullo schermo sono anche gli eroi dell’Iliade come Achille, dell’Odissea come Ulisse e dell’Eneide come Enea, oltre ai mitici personaggi dell’antica Grecia che possono essere Perseo o gli Argonauti piuttosto che il mondo romano, che vede lo sfruttamento del gladiatore Spartacus e di suo figlio, di Messalina o di Romolo e Remo ecc.
Non c’è limite alla fantasia degli sceneggiatori, che all’inizio propongono storie fantastiche ma con ancora un certo legame con la mitologia classica, come per esempio Le fatiche di Ercole di Pietro Francisci e Ercole e la regina di Lidia, come Maciste nella valle dei re di Carlo Campogalliani per poi passare a film dai titoli e dalle storie assolutamente stravaganti come Zorro contro Maciste di Umberto Lenzi o Totò contro Maciste di Fernando Cerchio, una variante comica della saga del potente eroe di Cabiria.
Dietro la macchina da presa ecco avvicendarsi alcuni dei nomi che avrebbero fatto poi la storia del cinema italiano come Sergio Leone che diresse Il colosso di Rodi nel 1961, Mario Bava che diresse Ercole al centro della Terra sempre nel 1961,Riccardo Freda con Maciste alla corte del Gran Khan del 1961, Sergio Corbucci con Romolo e Remo del 1961.

Maciste nelle miniere di re Salomone

Maciste nelle miniere di re Salomone

Maciste, gladiatore di Sparta

Maciste gladiatore di Sparta

E poi ancora Duccio Tessari, autore di uno dei peplum più belli, Arrivano i titani del 1962,Antonio Margheriti autore di Il sacco di Roma del 1963,Mario Caiano,Alberto De Martino,Domenico Paolella,Alfonso Brescia e tanti altri.
Il peplum quindi è una fucina, nella quale molti registi iniziano o perfezionano il loro mestiere, con esiti a volte esaltanti, altri ancora assolutamente irresistibili.
Ebbene si, perchè i peplum affascinano ma alle volte sono terribilmente comici nella loro sciattezza e povertà; nei peplum degli ultimi periodi, quando ormai il genere mostrava ampiamente la corda, in alcune produzioni le scene di massa sono sostituite da scene con pochissime comparse, con mura fatte in maniera evidente con il cartone e interpretate da attori destinati a scomparire nel nulla nel breve arco di due o tre anni.
Si pensi a produzioni come Gli invincibili fratelli Maciste di Mauri in cui l’eroe preso di peso da Cabiria finisce per avere un fratello oppure ad una delle ultime produzioni peplum come Ercole, Sansone, Maciste e Ursus gli invincibili diretto da Giorgio Capitani dove per attirare spettatori si mettono assieme personaggi che tra l’altro vivono in epoche storiche differenti e in zona geografiche lontanissime l’una dall’altra.

Maciste nella valle dei re

Maciste nella valle dei Re

Ma al di là di questo il peplum resta un fenomeno di massa che per qualche anno monopolizzerà buona parte del pubblico, che è composto per la maggioranza da ragazzi o adolescenti.Si tratta di coloro che sono nati dopo la guerra che affolleranno i cinema che restano il principale strumento di svago per gli italiani.
Il pubblico parteggia per il proprio eroe, che sia Ercole o il gladiatore di turno; i registi, finanziati da produttori che hanno fiutato il vento che tira, regalano al pubblico produzioni di diversa estrazione traportandoli in giro per l’Egitto, attraverso la Grecia o dentro le porte di Roma.
Gli eroi in carne ed ossa che interpretano gli eroi di celluloide si chiamano Mark Forest (che interpretò alcuni Maciste e altri peplum),Kirk Morris (un altro Maciste),Gordon Scott,Steve Reeves, forse l’Ercole più famoso mentre accanto a loro, che hanno fisici da culturisti, scolpiti come marmo agiscono attori del calibro di Rossano Brazzi,Gino Cervi, Giuliano Gemma,Enrico Maria Salerno,Massimo Serato,Giancarlo Sbragia,Riccardo Garrone, Arnoldo Foà,Alberto Lupo ecc. che non hanno il fisico dei vari Ercole e Maciste e ripiegano su ruoli da tiranno quando non da addestratore di gladiatori.
Anche in campo femminile si conta un numero rilevante di bellezze nostrane che si faranno le ossa proprio con i peplum prima di passare a generi meno “leggeri” come Rosanna Schiaffino e Eleonora Rossi Drago,Liana e Moira Orfei,Lea Massari e Gianna Maria Canale e poi ancora Marilu Tolo,Sylva Koscina,Maria Grazia Buccella,Helga Liné,Rosalba Neri…
Ma quali sono i peplum più importanti, quelli più visti e quelli più degni di nota del genere?

Maciste contro il vampiro

Maciste contro il vampiro

Ecco una breve sintesi di titoli :
Ercole e la regina di Lidia (1959) di Pietro Francisci – con Steve Reeves, Sylva Koscina, Sylvia Lopez, il primo peplum a sbancare i botteghini,con un incasso di quasi un miliardo di lire, ispirato in parte a I sette a Tebe di Eschilo.
Racconta le vicende di Ercole, sposato alla bella Jole (Sylva Koscina) che diventa oggetto delle mire della malvagia Onfale, regina di Lidia decisa a conquistare i regni vicini.
Il film, di ottimo livello, si segnala per la presenza nel cast del regista Nando Cicero, di Gabriele Antonini che comparirà in molti altri peplum di Daniele Vargas e Sergio Fantoni, con un bel commento musicale di Marisa del Frate che interpreta “Con te per l’eternità”

I giganti della Tessaglia di Riccardo Freda (1960), con Roland Carey, Massimo Girotti, Moira Orfei, Alberto Farnese, uno dei primi peplum a raccontare le vicende di Giasone e degli Argonauti, impegnati a recuperare il vello d’oro.Nel cast compare anche Massimo Girotti.

Il colosso di Rodi di Sergio Leone (1961) – con Rory Calhoun, Lea Massari, Georges Marchal, forse uno dei più belli e spettacolari, con la famosa sequenza in cui il colosso di Rodi, posto all’ingresso del porto, crolla all’interno del porto stesso.E’ l’unico film di Leone ad avere una soundtrack non composta da Ennio Morricone, in quanto per questo film il grande Sergio si avvalse della collaborazione di Angelo Francesco Lavagnino.

Maciste alla corte dello Zar

Maciste alla corte dello zar

Maciste alla corte del Gran Khan

Maciste alla corte del Gran Khan

Ercole al centro della Terra di Mario Bava (1961) – con Reg Park, Christopher Lee, Leonora Ruffo, forse il peplum più particolare, con contaminazioni fantascientifiche opera del grande Bava, che racconta il viaggio di Ercole con Teseo e Telemaco nell’Averno, situato ovviamente secondo la mitologia al centro della terra, viaggio necessario per recuperare una pietra dai poteri prodigiosi.

Romolo e Remo di Sergio Corbucci – con Steve Reeves, Gordon Scott, Virna Lisi, peplum che narra parte della storia leggendaria della fondazione di Roma ad opera dei figli di Rea Silvia fino all’assunzione fra di dei con di Romolo con il nome di Quirino.

La furia di Ercole di Gianfranco Parolini – con Brad Harris, Brigitte Corey, Mara Berni, Serge Gainsbourg, che racconta della sfida mortale tra il mitico Ercole e l’usurpatore del regno di Cindia Meniste (interpretato dall’attore, cantante e poeta Serge Gainsbourg) con la famosa scena dei ribelli giustiziati tramite lo schiacciamento del cranio provocato dalle zampe di elefanti.

La guerra di Troia (1963) di Giorgio Ferroni – con Steve Reeves, Juliette Mayniel, John Drew Barrymore, Arturo Dominici, che racconta la tradizionale opera omerica con tutti gli eroi della tradione come Achille e Paride, Ulisse e il superstite Enea, che fugge da Troia in fiamme per tentare di fondare con i suoi compagni una nuova città.Nel film ci sono molti caratteristi del peplum come Lydia Alfonsi,Mimmo Palmara,Warner Bentivegna.

Le sette folgori di Assur 1

Le sette folgori di Assur

Il crollo di Roma (1963) di Antonio Margheriti – con Carl Mohner, Loredana Nusciak, Maria Grazia Buccella,Ida Galli, che parte dalle vicende successive alla morte di Costantino il grande per raccontare la fine dell’impero romano

La fenomenologia peplum, come dicevo agli inizi, durò in pratica fino al 1964, dopo di che si esaurì quasi del tutto con qualche eccezione relativa a tarde produzioni degli anni settanta, con titoli come Il ritorno del gladiatore più forte del mondo di Bitto Albertini con Brad Harris protagonista del 1971,La rivolta delle gladiatrici di Joe D’Amato con Pam Grier del 1973,La guerra del ferro – Ironmaster di Umberto Lenzi con Elvire Audray, Williams Berger, Pamela Field, George Eastmann.

Le fatiche di Ercole

Le fatiche di Ercole

Tuttavia i peplum continuarono ad essere proiettati nei cinema ben oltre il 1964; in quegli anni un film aveva una vita cinematografica ben maggiore dei decenni successivi grazie ai cinema di visione successiva, ai cinema parrocchiali o ai dopolavori.
In ultimo vorrei ricordare la presenza di diversi attori molto quotati del cinema internazionale in diverse produzioni peplum, come quelle di Orson Welles in David e Golia di Ferdinando Baldi,di Jayne Mansfield in Gli amori di Ercole di Carlo Ludovico Bragaglia, di Debra Paget in Il sepolcro dei re di Fernando Cerchio, di Jack Palance in Revak, lo schiavo di Cartagine di Pietro Francisci.

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La vendetta di Spartacus

La vendetta di Spartacus

La regina dei Vikinghi

La regina dei vichinghi

La guerra di Troia

La guerra di Troia

La calata dei barbari

La calata dei barbari

La battaglia di Maratona

La battaglia di Maratona

Il ratto delle sabine

Il ratto delle Sabine

Il figlio di Spartacus

Il figlio di Spartacus

Il figlio di Cleopatra

Il figlio di Cleopatra

Il Conquistatore di Corinto

Il conquistatore di Corinto

Il colosso di Rodi

Il colosso di Rodi

I 7 gladiatori

I 7 gladiatori

Goliath contro i giganti

Goliath contro i giganti

Gli ultimi giorni di Pompei

Gli ultimi giorni di Pompei

Gli schiavi più forti del mondo

Gli schiavi più forti del mondo

Ercole, Sansone, Maciste e Ursus gli invincibili

 Ercole, Sansone, Maciste e Ursus gli invincibili

Ercole alla conquista di Atlantide

Ercole alla conquista di Atlantide

Ercole al centro della terra

Ercole al centro della terra

David e Golia

David e Golia

Arrivano i titani

Arrivano i Titani

Afrodite, dea dell'amore

Afrodite dea dell’amore

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Yvonne Furneaux Io Semiramide

Yvonne Furneaux in Io Semiramide

Bella Cortez Il gigante di Metropolis

Bella Cortez in Il gigante di Metropolis

Barbara carroll Goliath contro i giganti

Barbara Carroll in Goliath contro i giganti

Annie Gorassini Vulcano figlio di Giove

Annie Gorassini in Vulcano figlio di Giove

Anita Ekberg Sotto il segno di roma

Anita Ekberg  in Sotto il segno di Roma

Abbe Lane Giulio Cesare contro i pirati

Abbe Lane in Giulio Cesare contro i pirati

Chelo Alonso Il terrore dei barbari

Chelo Alonso in Il terrore dei barbari

Clara Calamai Afrodite dea dell'amore

Clara Calamai in Afrodite dea dell’amore

Claudia Mori Ursus nella terra di fuoco

Claudia Mori in Ursus nella terra di fuoco

Daniela Rocca La vendetta dei barbari

Daniela Rocca in La vendetta dei barbari

Dominique Boschero Ulisse contro Ercole

Dominique Boschero in Ulisse contro Ercole

Eleonora Ruffo Maciste contro il vampiro

Eleonora Ruffo in Maciste contro il vampiro

Genevieve Grad Il conquistatore di Corinto

Genevieve Grad in Il conquistatore di Corinto

Gianna Maria Canale Le fatiche di Ercole

Gianna Maria Canale in Le fatiche di Ercole

Gina Lollobrigida Salomone e la regina di Saba

Gina Lollobrigida in Salomone e la regina di Saba

Gloria Milland Goliath contro i giganti

Gloria Milland in Goliath contro i giganti

Helene Chanel Maciste alla corte del Gran Khan

Helene Chanel in Maciste alla corte del Gran Khan

Helene Chanel Maciste all'inferno

Helene Chanel in Maciste all’inferno

Helga Linè Il trionfo dei dieci gladiatori

Helga Linè in Il trionfo dei dieci gladiatori

Jeanne Valerie Salammbo

Jeanne Valerie in Salammbo

Leonora Ruffo Spade senza bandiera

Leonora Ruffo in Spade senza bandiera

Liana Orfei Ercole sfida Sansone

Liana Orfei in Ercole sfida Sansone

Liana Orfei Nefertiti regina del Nilo

Liana Orfei in Nefertiti regina del Nilo

Wandisa Guisa Ercole contro Roma

Wandisa Guisa in Ercole contro Roma

Virna Lisi Romolo e Remo

Virna Lisi in Romolo e Remo

Sylvia Koscina L'assedio di Siracusa

Sylvia Koscina in L’assedio di Siracusa

Susan Hayward Demetrio e i gladiatori

Susan Hayward in Demetrio e i gladiatori

Soledad Miranda Ursus

Soledad Miranda in Ursus

Sofia Loren La caduta dell'impero romano

Sofia Loren in La caduta dell’impero romano

Sofia Loren Due notti con Cleopatra

Sofia Loren in Due notti con Cleopatra

Silvana Mangano Ulisse

Silvana Mangano in Ulisse

Rossana Podestà Solo contro Roma

Rossana Podestà in Solo contro Roma

Rosanna Schiaffino Teseo contro il minotauro

Rosanna Schiaffino in Teseo contro il minotauro

Rosalba Neri Kindar, l'invulnerabile

Rosalba Neri in Kindar, l’invulnerabile

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Sodoma e Gomorra

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Saffo, venere di Lesbo lobby card

Maciste il gladiatore più forte del mondo

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Maciste alla corte del Gran Khan lobby card

L'ultimo gladiatore lobby card

Le vergini di Roma lobby card

Le sette folgori di Assur

Le gladiatrici lobby card

Le fatiche di Ercole loc.1

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Gli invincibili fratelli Maciste lobby card

Gli invincibili sette lobby card

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I magnifici sette flano

I conquistatori dell'Oriente flano

I giganti di Roma flano

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Costantino il grande flano

Atlantide continente perduto flano

Vulcano figlio di Giove flano

Saffo Venere di lesbo flano

Nefertite regina d'Egitto flano

Le legioni di Cleopatra flano

Le gladiatrici flano

L'assedio di Siracusa flano

La vendetta dei barbari flano

La distruzione di Ercolano

Il figlio di Cleopatra flano

Il conquistatore di Corinto flano

Antinea, l'amante della città sepolta loc.1

aprile 23, 2013 Posted by | Miscellanea | | 3 commenti

Cani arrabbiati

Cani arrabbiati locandina

Un uomo guida nervosamente, guardando il sedile posteriore (non inquadrato) e controlla l’orologio; nel frattempo, quattro uomini mascherati assaltano un portavalori.
Uno dei malviventi, che scopriremo chiamarsi Bisturi, senza motivo apparente accoltella il portavalori uccidendolo e subito dopo raggiunge con i complici un auto che li attende guidata da un complice.
Una guardia giurata però esplode due colpi di fucile e il rapinatore alla guida si accascia colpito a morte.
Inizia la fuga dei tre delinquenti superstiti, che si chiamano fa loro il Dottore, Trentadue e Bisturi.
Inseguiti dalla polizia i tre si rifugiano in un garage sotterraneo, dove prendono in ostaggio due donne; tenuti sotto tiro della polizia, i tre sembrano non avere scampo, ma Bisturi a quel punto uccide una delle due donne accoltellandola alla gola a morte.
La polizia lascia liberi di uscire i tre che, in auto, iniziano la fuga.

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Don Backy

Durante la folle corsa che ne segue, si imbattono nell’auto guidata dall’uomo che abbiamo visto all’inizio guidare nervosamente,il cui nome è Riccardo; il motivo dello stato d’animo dell’uomo è costituito dalla presenza in auto di un bambino febbricitante.
I tre, che hanno con loro Maria, l’ostaggio sopravvissuto, si imbarcano nella vettura di Riccardo e proseguono la loro fuga.
Da quel momento la storia del gruppo si svolgerà prevalentemente nello spazio angusto dell’auto, scandita da torture psicologiche dei tre psicopatici malviventi nei confronti di Maria e Riccardo.
Maria tenterà la fuga dopo una sosta, ma verrà ripresa da Trentadue e Bisturi, umiliata e costretta a orinare davanti ai due;la fuga continuerà fino al drammatico e imprevedibile finale.
Cani arrabbiati è un film diretto da Mario Bava nel 1973 che verrà però non verrà mai distribuito per il fallimento della casa produttrice, la Loyola Films ; sarà soltanto nel 1995 che rivedrà la luce grazie al meritevole impegno dell’attrice Lea Krueger( Lea Lander) che con il contributo della Spera Cinematografica lo editerà in Dvd, restituendo al pubblico un film controverso ma dall’altissimo valore artistico.

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Riccardo Cucciolla

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Lea Lander

Cani arrabbiati o Rabid dogs nella versione internazionale è un film claustrofobico, durissimo; è un film “malato”, sudato, appiccicoso, così come i personaggi che si muovono nella storia.
Che sono i tre psicopatici malviventi, sporchi e sudati, senza regole morali e senza futuro.
Sono anche senza un passato, perchè quello che vediamo è solo quello che loro materialmente commettono, ed è già abbastanza;durante la lunga e drammatica fuga quello che emerge dalle loro figure è un desolante ritratto di tre uomini crudeli, che compiono le loro gesta senza alcuna remora morale e senza alcun codice etico.
A farne le spese sono il portavalori, ucciso da Bisturi senza pietà e Maria, freddata nel terribile finale,così come la sventurata autostoppista uccisa ancora una volta da Bisturi perchè scopre la ferita di Trentadue, a sua volta ucciso da Bisturi, che per la prima volta mostrerà un barlume d’umanità.
Ad emergere prepotente è, nel finale, la figura di Riccardo, l’uomo che accompagna i malviventi nella fuga; un padre all’apparenza preoccupato dallo stato del figlio, che nel corso del film è sempre immerso in un sonno agitato, provocato dalla febbre che lo divora e che entrerà di forza e si ergerà come figura ambigua nel corso delle ultime battute del film, lasciato da Bava volutamente ambiguo.

Cani arrabbiati 2

Cani arrabbiati 3

George Eastman

Tratto da un romanzo di Ellery Queen (pseudonimo adottato dai cugini statunitensi Frederic Dannay e Manfred Bennington Lee) sceneggiato dallo stesso Mario Bava con l’ausilio di Alessandro Parenzo e Cesare Frugoni, Cani arrabbiati è in sostanza un on the road movie con fortissime venature thriller, un genere non molto frequentato da Bava.
Che però gira questo film libero da vincoli e lacci della produzione e che quindi può sbizzarrirsi in modo autonomo nella gestione del film stesso; il ritmo serrato e il fortissimo senso di claustrofobia sono gli elementi portanti di una pellicola che non molla mai la presa, trasportando lo spettatore, anzi sballottandolo attraverso una fuga all’apparenza impossibile, con il terzetto dei malviventi sempre tallonato dalla polizia che però in pratica è invisibile.
La vediamo solo nel garage dal quale è originata la fuga, sentiamo le sirene delle pantere in lontananza quando i tre si impadroniscono con la forza dell’auto di Riccardo, la ritroviamo all’uscita del casello autostradale mentre i poliziotti (presumibilmente) chiedono lumi al casellante.
Poi nulla più.
Un film che è un collage fatto da humour nerissimo e sequenze da brivido, in cui Bava non accenna minimamente discorsi socio politici o latro; a parlare sono solo le gesta dei protagonisti.

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A partire dallo psicopatico Bisturi, che uccide a sangue freddo con quella che è la sua arma preferita, lo stiletto per proseguire con un altro psicopatico, quel Trentadue che è forse il personaggio più rozzo e brutale, animalesco.
Il Dottore è cinico e crudele ma appare più equilibrato, ammesso che si possa usare questo termine; a lui quei due compagni di fuga piacciono poco, ma in fondo anche lui non è una mammola e ben presto finirà per condividere le efferatezze dei suoi scellerati compagni di fuga.
L’interno dell’auto, il suo abitacolo, diventano così un microcosmo dominato dalla paura e dalla sporcizia; la paura di Riccardo e Maria, che ben comprendono di avere la loro vita sospesa su un filo sottilissimo, quella dell’autostoppista, che comprenderà ben presto di aver fatto una scelta fatale quando ha chiesto loro un passaggio.Un interno d’auto in cui lo spettatore può sentirsi prigioniero, inspirare quasi il fetore delle camicie dei malviventi madide di sudore, la loro sporcizia mentale.
Su questo Bava costruisce un film forse rozzo, ma terribilmente efficace.

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Un film che è una commistione di generi, ma che avvince grazie alla sua atmosfera quasi da noir; alcune scene sono davvero da brivido, come la sequenza all’interno del garage, la già descritta scena in cui Maria iene costretta ad orinare davanti ai due delinquenti eccitati e sudati, con la macchina da presa che cattura anche gli insetti sul volto di Trentadue, l’uccisione dell’autostoppista, la bellissima sequenza finale, nella quale scopriamo un Riccardo che non è affatto migliore dei tre assassini che ha scarrozzato per tanto tempo.
Bava sceglie un cast che potremmo definire minore; il basso budget a disposizione evidentemente non permetteva di largheggiare per cui alla fine l’unica era presenza di rilievo è quella di Riccardo Cucciolla e in parte quella di Maurice Poli, assolutamente impeccabili nella recitazione.Gli altri protagonisti, Luigi Montefiori,Don Backy e Lea Lander completano l’organico; le recitazioni sono volutamente oltre le righe, in particolare quelle di Don Backy e Montefiori alle prese con due personaggi difficili.

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Ma alla fine visto il risultato tutti possono essere soddisfatti, in particolare gli spettatori.
Peccato che il film non sia mai uscito nelle sale, privando noi spettatori dell’epoca e sopratutto i numerosi fans del regista ligure della visione di un’opera da grande schermo; la tensione che si prova al cinema è indiscutibilmente superiore a quella della visione home e resterà per sempre il rammarico per una grande occasione perduta.
Il film è disponibile in digitale ed è presente su You tube all’indirizzo http://youtu.be/XXP-zjvP3bs, ed è stato distribuito anche con il titolo Semaforo rosso.
Cani arrabbiati
Un film di Mario Bava. Con Riccardo Cucciolla, Lea Lander, Maurice Poli, Don Backy, George Eastman, Erika Dario, Emilio Bonucci Rabid dogs, durata 96 min. – Italia 1974

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Cani arrabbiati banner protagonisti

Riccardo Cucciolla: Riccardo
Maurice Poli: “Dottore”
George Eastman: “Trentadue”
Don Backy: “Bisturi”
Lea Krueger: Maria
Maria Fabbri: Maria Sbravati
Erika Dario: Marisa
Luigi Antonio Guerra: impiegato della banca
Francesco Ferrini: uomo alla stazione di servizio
Emilio Bonucci: tassista
Ettore Manni: direttore della banca
Pino Manzari: casellante

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Soggetto Ellery Queen (racconto), Alessandro Parenzo, Cesare Frugoni
Sceneggiatura Alessandro Parenzo, Cesare Frugoni
Produttore Roberto Loyola, Lea Krueger (postproduzione)
Casa di produzione Loyola Films (1974)/Spera Cinematografica (1995)
Fotografia Emilio Varriano, Mario Bava
Montaggio Carlo Reali
Effetti speciali Sergio Chiusi
Musiche Stelvio Cipriani
Costumi Wayne Filnkelman
Trucco Vittorio Biseo, Angelo Roncaioli

Parte della recensione tratta dal sito www.http://ilmiovizioeunastanzachiusa.wordpress.com
“La prima cosa che mi viene in mente ogni volta che penso a questo film di Bava è: peccato. Peccato che un film così magnifico non abbia potuto godere di un più che meritato successo a causa delle disavventure finanziarie che coinvolsero il produttore Roberto Loyola che non potè quindi distribuirlo nelle sale italiane; in pratica qui in Italia nessuno ha mai visto “Cani arrabbiati” al cinema ed è una cosa davvero incredibile, sconcertante…”

Parte della recensione tratta dal sito http://www.alexvisani.com/
“Pellicola dal ritmo serratissimo, quasi interamente girata alla luce del sole, in automobile, con impressionanti momenti di violenza ( tra tutte, probabilmente, quella nella quale due malviventi costringono la donna in loro ostaggio a orinare, stando in piedi ) che sfocia in un finale sorprendente e beffardo. Qualche incertezza nel montaggio ( soprattutto nella parte iniziale ) e qualche ripetitività nella sceneggiatura non rovinano affatto questa pellicola di Mario Bava, qui alla sua terz’ultima regia. Molto bravi gli attori tra i quali figurano Riccardo Cucciola e Luigi Montefiori conosciuto anche come George Eastman”

Parte della recensione tratta dal sito http://bmoviezone.wordpress.com/
“Cani arrabbiati parte come uno dei tanti poliziotteschi dell’epoca (e infatti presenta non pochi parallelismi con Milano odia: la polizia non può sparare, film dello stesso anno di Umberto Lenzi), con la classica rapina ad un portavalori da parte di un manipolo di banditi mascherati e con conseguente sparatoria ed inseguimento in macchina. Incipit a cento all’ora, dunque, ma ancora legato ai cliché del genere che maggiormente andava (insieme al giallo) in quegli anni. Dopo pochi minuti, Bava comincia a fare sul serio: uno dei banditi, in preda alla nevrosi, sgozza senza apparente motivo un ostaggio di fronte ad alcuni agenti di polizia impietriti. Sarà l’inizio di un aberrante vortice di violenza, sporcizia e morte in mezzo al quale Bava trascinerà lo spettatore per tutti i novanta minuti.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

aprile 17, 2013 Posted by | Drammatico | , , , , , | 5 commenti

Il segno del comando

Il segno del comando -locandina 1

E’ una domenica, il 16 maggio 1971. La sera 15.000.000 di spettatori sono seduti davanti alla tv; la Rai, nelle settimane precedenti, ha pubblicizzato uno sceneggiato televisivo che promette una storia piena di mistero con risvolti parapsicologici e sovrannaturali. Così, subito dopo il tradizionale Telegiornale della sera e l’ancor più tradizionale Carosello, parte la sigla iniziale sulle note di Cento campane di uno dei fenomeni televisivi più seguiti della storia della Tv italiana, quel Il segno del comando che per 5 domeniche, sino alla puntata finale del 13 giugno 1971, catalizzerà l’attenzione del pubblico italiano che seguirà con il fiato sospeso lo sceneggiato televisivo più bello mai trasmesso dall’ente tv italiano. “Nun me lo dì stanotte a chi hai stregato er core la verità fa male lasciame ’sta visione pe’ sperà din don din don amore cento campane stanno a dì de no...” canta Nico Tirone, e il pubblico è già ammaliato da quella voce suadente che introduce le immagini di un uomo che insegue una bellissima figura femminile tra le strade deserte di Roma.

Il segno del comando 1

Silvia Monelli (la Signora Giannelli) e Ugo Pagliai (Edward Foster)

Inizia in questo modo ammaliante, accattivante, lo sceneggiato diretto da Daniele D’Anza, regista e sceneggiatore quarantanovenne nato a Milano che il pubblico televisivo conosceva per il grande successo riscosso l’anno precedente con lo sceneggiato Coralba e sopratutto per Giocando a golf una mattina, diretto nel 1969. Uno sceneggiato che oggi sarebbe assolutamente improponibile sia come costruzione nei tempi di realizzazione dell’epoca sia nella struttura stessa; un’opera dilatata nei tempi, nei dialoghi e nelle situazioni, che sono lungamente descrittive e quasi sempre statiche. Una storia, però, che aveva tutte le carte in regola per catturare l’attenzione degli spettatori, perchè mescolava elementi da sempre catalizzatori dell’attenzione del pubblico, attraverso una sapiente miscela di storie intrecciate che coinvolgono il mondo della parapsicologia, dell’occulto e della magia, attraverso un lungo percorso che si snoda sulle tracce del misterioso segno del comando.

Il segno del comando 2

Carla Gravina (Lucia)

Il segno del comando 4

A sinistra Rossella Falk (Olivia)

Lo sceneggiato inizia mostrando l’arrivo a Roma del professor Lancelot Edward Forster, uno studioso di letteratura inglese che ha scritto una serie di articoli su Lord George Gordon Byron, poeta suo conterraneo; Edward Foster ha ricevuto dal pittore Marco Tagliaferri un invito che è una sfida, trovare una piazza citata da Byron nel suo diario che Edward ritiene immaginaria e che Tagliaferri dice di essere reale. Nello stesso tempo Foster riceve l’invito a tenere una conferenza su Byron all’interno del British Council di Roma, invito che arriva dal consulente inglese George Powell. Foster si reca a casa di Tagliaferri dove incontra la misteriosa Lucia, modella del pittore, che lo invita a incontrare Tagliaferri in una locanda di Trastevere. Lo studioso, in cerca di alloggio, si reca presso l’hotel Galba, su suggerimento di Lucia; qui conosce la direttrice dell’hotel, la bellissima signora Giannelli, che però nega di conoscere Lucia.

Il segno del comando 3

Angiola Baggi (Giuliana)

Nell’albergo Foster incontra anche una sua vecchia amica (forse una vecchia fiamma), Olivia, che alloggia nell’hotel con un tipo equivoco, Lester Sullivan, che scopriremo essere un trafficante di antichità e altre attività poco chiare. Dopo aver appreso che Tagliaferri in realtà è morto, Foster si reca al British Council dove incontra Powell e la sua segretaria Barbara;la sera poi si reca all’appuntamento con Lucia, che lo porta in un posto che sembra uscito da un quadro dell’ottocento,la Taverna dell’angelo, nella quale i due attendono inutilmente l’arrivo di Tagliaferri. Edward, forse drogato, inizia ad avere delle visioni prima di svenire. Al risveglio si ritrova all’interno della sua auto dalla quale è sparita la borsa con gli appunti e le micro fiches contenenti gli studi dello studioso;dopo un’inutile tappa al commissariato, Foster trova all’interno dell’auto il bellissimo e inquietante medaglione che Lucia indossava, raffigurante una civetta. Inutilmente Foster cerca di ritrovare la taverna dell’Angelo, e il giorno dopo fa un’altra incredibile scoperta:Marco Tagliaferri è morto esattamente cento anni prima.

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La medium

L’uomo che Edward incontra nell’appartamento adiacente allo studio del pittore è infatti un suo discendente, il colonnello Tagliaferri, che racconta a Foster particolari sulla vita dell’antenato, morto giovane e in circostanze mai chiarite e del suicidio della sua modella Lucia. Naturalmente Foster è assolutamente certo di aver incontrato una donna vera, non un fantasma, tuttavia il dubbio inizia a serpeggiare nella sua mente.Un’altra sorpresa lo attende al caffè Greco, dove si reca su suggerimento del colonnello Tagliaferri; il ritratto li esposto del pittore Marco assomiglia tantissimo al volto di Foster. Recatosi in seguito ad una telefonata anonima al cimitero degli Inglesi, Foster trova anche la tomba del pittore, guidato anche in questo caso da una figura oscura che lo guida fino alla tomba. Che porta incisa la data della morte del pittore, il 28 marzo 1835, la stessa data, giorno e mese, della nascita del professore, avvenuta esattamente 100 anni dopo; Tagliaferri è morto 28 marzo del 1871 e cent’anni dopo quella data ecco che Foster dovrà tenere la sua conferenza su Byron. Intanto Foster riesce a far valutare il medaglione che Lucia gli a lasciato in auto.

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Alla ricerca dello spartito di Vitali

Prospero Barengo, un esperto d’arte,conferma che si tratta di un’opera di altissimo valore, creata da un orafo del settecento, Ilario Brandani, morto in odore di negromanzia; la sempre più spaventata Olivia cerca di convincere, inutilmente, Edward sulla necessità di andar via da Roma, mentre sarà proprio Sullivan a squarciare un altro velo di mistero raccontando a Foster che Ilario Brandani è nato il 29 marzo 1735 e morto il 28 marzo 1771, quindi cento anni prima di Tagliaferri e 200 anni prima di Edward Foster. A questo punto le sinistre coincidenze iniziano ad essere davvero tante e arriva un altro colpo di scena: Barbara, la segretaria di Powell ha scoperto che la piazza descritta da Byron e raffigurata nel quadro visto da Foster in realtà è una foto ritoccata.Il quadro vero è di proprietà del principe Anchisi, che Foster ha conosciuto da poco e che si è presentato come un esperto della vita di Byron, del quale possiede tutte le opere. Recatosi di notte nel palazzo del nobile, Foster incontra nuovamente Lucia, con la quale tuttavia non riesce a parlare. Nonostante gli avvertimenti di Barbara che gli racconta una leggenda secondo la quale il palazzo Anchisi è un luogo sfortunato, Foster si reca dal principe, nel palazzo del quale incontra anche una sua vecchia conoscenza, Sullivan, impegnato inutilmente nel tentativo di far vendere la collezione di quadri che Anchisi possiede.Il principe caccia in malo modo il trafficante e subito dopo informa Foster che il quadro andrà all’asta quel giorno stesso. Subito dopo aver avuto la notizia della morte del colonnello Tagliaferri, Edward si reca all’asta con l’intenzione di acquistare il quadro che però viene ceduto ad un anonimo acquirente.L’ennesima telefonata anonima avvisa Foster che il quadro sta per essere nuovamente venduto e il professore si reca nel posto dove dovrebbe essere effettuata la vendita.Qui però trova l’enigmatica proprietaria dell’hotel Galba, la signora Giannelli, seduta ad un tavolo per una seduta spiritica. Foster viene accolto nel cerchio e durante l’evocazione ecco che la medium parla con voce roca del quadro che si trova in una “barca a remi”. Foster scopre che la medium altri non è che la sfuggente Lucia;Foster è preda delle allucinazioni, vaga in quella che è una sartoria e si accorge che è rimasto solo.

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Lucia, donna reale o fantasma?

Recatosi nella casa di Tagliaferri, accolto dalla affranta Giuliana, nipote di Tagliaferri, Foster scopre che il colonnello è morto nell’ora esatta in cui si è fermato un orologio di gran valore in possesso del colonnello, opera ancora una volta dell’oscuro Brandani. Poichè nella cassa dell’orologio c’è un’incisione recante un effigie e il nome Sant’Onorio, Foster si reca nella chiesa romana del santo per scoprire che in realtà il sacerdote della chiesa stessa non ha mai sentito parlare di Brandani o Tagliaferri. Ma sembra esserci una svolta; in albergo Foster riceve una telefonata di Sullivan che promette importanti rivelazioni. La telefonata però è interrotta da due spri; Foster corre da Powell per raccontare l’accaduto quando all’improvviso ricorda che nella hall dell’hotel Galba, quando ha incontrato Olivia la tv stava trasmettendo un’opera di Baldassarre Vitali. E’ uno dei pezzi mancanti del puzzle, perchè proprio nella chiesa di sant’Onorio sono conservate composizione di questo artista. Recatosi nuovamente nella chiesa, Foster scopre che nella collezione di spartiti manca il salmo numero XVII, che un direttore d’orchestra li presente considera importantissimo, in quanto contenente secondo la leggenda un codice cifrato. Le rivelazioni continuano, perchè Anchisi parla a Foster di un misterioso Segno del comando,un potentissimo amuleto custodito da un messaggero di pietra che può essere trovato solo da un eletto, un talismano in grado di poter allontanare anche la morte. Foster si immerge in uno strano dormiveglia, nel quale vede funesti presagi, fra i quali la propria morte e quella dell’amica Olivia.Che in realtà è accaduta, cosa che sconvolge ancor più l’ormai confuso professore; ma la voglia, il desiderio di conoscere il bandolo di quella storia cosi complicata portano Foster a seguire l’indizio principale ancora in suo possesso, quello contenuto nel diario di Byron che rimanda ancora una volta alla piazza descritta dal poeta inglese, che contiene anche la frase oscura “Che io sia dannato se accetto ancora un invito di O.

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Grazie a Barbara, viene individuata l’abitazione in cui Byron aveva soggiornato a Roma, in Via delle Tre Spade 119 e il suo misterioso proprietario nonchè amico di Byron,Sir Percy O. Delaney; sarà un signore anziano e non vedente a dipanare ancor più il mistero, raccontando a Foster che quella casa si affacciava tempo addietro su una piazza del tutto simile a quella descritta da Byron e che il famoso salmo XVI di Baldassarre Vitali è custodito nella casa stessa. Finalmente Foster puà leggere il salmo, ma ecco il colpo di scena:passa Lucia per strada e il professore si precipita al suo inseguimento. La ragazza lo porta in un palazzo, sede della sartoria in cui Foster aveva assistito alla seduta spiritica dove c’è Powell e il redivivo Sullivan che si affrontano a pistole spianate. Sullivan nel tentativo di sfuggire a Powell precipita e muore; Powell può finalmente gettare la maschera e raccontare il suo vero ruolo nella storia, quello di un agente dei servizi segreti britannici (sulle tracce del carteggio Von Hassel, un misterioso scambio di documenti della cui esistenza sono al corrente solo 4 capi di stato, ma questo Powell non lo racconta a Foster). E’ arrivata nel frattempo la fatidica data del 28 marzo 1971,quella in cui Edward Foster deve tenere la famosa conferenza su Byron; in una sala colma di persone attentissime, fra le quali spiccano alcuni protagonisti della storia, ovvero Powell,Barbara, Anchisi; Foster rivela tutto quello che ha scoperto, giungendo infine alla parte più importante, ovvero l’assassinio di Ilario Brandani da parte del compositore Baldassarre Vitali, che aveva ucciso l’orafo per impadronirsi del Segno del comando per poi lasciare nel salmo XVII le indicazioni sul posto dove l’aveva nascosto. Ma le sorprese sono appena iniziate…

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Edward Foster nel momento del suo compleanno, un avvenimento molto pericoloso….

Ometto, per ovvi motivi, la descrizione del finale dello sceneggiato, che va gustato per intero perchè porta finalmente alla scoperta di tutti i tasselli mancanti del puzzle; la storia di fantasmi, di maledizioni,l’intrigo storico tra il poeta Byron e l’orafo maledetto Brandani, il pittore Tagliaferri e la sua bellissima modella Lucia, tra il misterioso talismano e persino una serie di documenti scottanti risalenti alla guerra è all’epilogo, un epilogo che ha del sorprendente e anche del sovrannaturale, con quella conclusione che può lasciare delusi ma che in realtà è il degno finale di una storia assolutamente lineare. E’ difficile, per chi non abbia avuto dai 15 anni in su nel 1971 capire il fascino che questo sceneggiato suscitò; per la prima volta in una edizione televisiva si vedeva una storia che mescolava con sapienza tanti elementi generalmente appartenenti al mondo della cinematografia horror o thriller, quella delle spy story o del fantastico. Questi elementi confluiscono tutti in un’unica storia che trasporta lo spettatore attraverso il tempo e una città Roma, che appare magica, fatata. La presenza di un cast assolutamente omogeneo come qualità recitativa, tutti professionisti impeccabili aggiunge valore allo sceneggiato; da Pagliai alla splendida Carla Gravina, da Checchi a Hintermann attraverso le figure degli altri caratteristi dell’opera si arriva ad un’integrazione assolutamente perfetta tra la storia e i suoi interpreti. Sono passati più di quarant’anni dal ciak si gira di Il segno del comando; molti degli attori che parteciparono a quell’esperienza sono ormai scomparsi.

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La conferenza di Foster

Non ci sono più Massimo Girotti, il bravissimo e ambiguo Powell dello sceneggiato e non c’è più Carlo Hintermann, scomparso ormai 25 anni fa, è morto Franco Volpi, grandissimo nel ruolo del principe Anchisi ed è morto Andrea Checci, il bonario commissario Bonsanti. Sono scomparsi personaggi minori del film come Serena Michelotti, la zingara e Augusto Mastrantoni, il colonnello Tagliaferri, Leopoldo Valentini (il custode del cimitero) e Roberto Bruni (Barengo),Amedeo Girardi ( il sarto Paselli) e Franco Angrisano (l’intermediario)….

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Resta lo sceneggiato, un’opera così affascinante da essere ormai diventata, nell’immaginario collettivo, la summa di quello che uno spettatore pò chiedere ad un’opera di finzione, uno sceneggiato che ancora oggi conserva quasi del tutto intatto il fascino che emanava in un tempo ormai tanto distante da noi. Un tempo in cui la tv era in bianco e nero e in cui ci si sedeva davanti alla tv in massa, in attesa spasmodica del proseguimento dell’opera, della famosa “puntata successiva” Vent’anni dopo l’uscita dello sceneggiato,sull’onda del mito che ormai aleggiava attorno al leggendario Segno del comando, il regista D’Anza rielaborò la sceneggiatura dell’opera ricavandone un romanzo che nelle intenzioni doveva chiarire i punti rimasti oscuri dello sceneggiato. Quell’opera, che ebbe un ottimo successo, venne distribuita dalla Newton Compton Editore, specializzata in opere vendute a basso costo.

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A sinistra: Massimo Girotti (Powell)

La prima edizione costava 2000 lire, un euro odierno e si faceva leggere con piacere e scorrevolezza. Il segno del comando è opera di facile visione; esistono i dvd della Elleu multimedia, casa di distribuzione che noi appassionati non dovremmo mai smettere di ringraziare e che ha permesso a tantissime persone di rivedere l’opera così come su Youtube ci sono diverse versioni, tutte complete, dell’opera televisiva. Quella qualitativamente migliore, ricavata proprio dai dvd Elleu è disponibile a questo indirizzo:                          http://youtu.be/6lcFAI4zHp4. All’utente Nino, autore del caricamento online va il mio personale ringraziamento anche per l’opera meritoria di aver messo a disposizione di tutti autentiche perle passate in tv in un’epoca ormai preistorica come la fine degli anni sessanta e gli inizi dei settanta, ovvero Donna d’onore e Il dipinto, Philo Vance e Nero Wolfe, Vita di Leonardo Da Vinci e Joe Petrosino, L’enigma delle due sorelle,Ho incontrato un’ombra, La traccia verde. In ultimo, non posso non accennare al remake dello sceneggiato diretto nel 1992 da Giulio Onesti;ambientato a Parigi invece che a Roma, con Powell e Elena Sofia Ricci nei ruoli rispettivi di Foster e Lucia, il remake è assolutamente da dimenticare e non ha nemmeno un briciolo della suspence, dell’ambientazione di tutte quelle componenti insomma che fecero la fortuna della prima edizione.

Il segno del comando banner personaggi

Ugo Pagliai: Edward Forster
Zuma Spinelli: la portinaia
Carla Gravina: Lucia
Gino Maringola: il portiere dell’albergo
Silvia Monelli: la signora Giannelli
Rossella Falk: Olivia
Carlo Hintermann: Lester Sullivan
Giovanni Attanasio: lo sconosciuto
Luciano Luisi: il telecronista
Massimo Girotti: George Powell
Laura Belli: amica di Edwar
Luciana Negrini: amica di Edwar
Paola Tedesco: Barbara
Serena Michelotti: la zingara
Giorgio Onorato: il posteggiatore
Lucia Modugno: una donna
Adriano Micantoni: maresciallo
Augusto Mastrantoni: col. Tagliaferri
Angiola Baggi: Giuliana
Leopoldo Valentini: custode del cimitero
Franco Volpi: Raimondo Anchisi
Luisa Aluigi: una bibliotecaria
Franco Odoardi: banditore
Roberto Bruni: Prospero Barengo
Giancarlo Palermo: cameriere
Amedeo Girardi: il sarto Paselli
Anna Segnini: suora
Franco Angrisano: l’intermediario
Pietro Villani: spiritista
Armando Brancia: portiere di notte
Vittoria Di Silverio: la donna con la spesa
Andrea Checchi: comm. Bonsanti
Giorgio Gusso: il prete
Jolanda Modio: una ragazza
Paola Arduini: la telefonista
Ferruccio Scaglia: il direttore d’orchestra
Evar Maran: il rigattiere
Enrico Lazzareschi: un muratore
Vittorio Duse: primo operaio
Aleardo Ward: secondo operaio
Attilio Fernandez: il maggiordomo
Silvana Buzzo: la cameriera
Armando Anselmo: un cieco
Gualtiero Isnenghi: un bibliotecario
Bianca Manenti: una bibliotecaria

 

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Ideatore Flaminio Bollini e Dante Guardamagna
Regia Daniele D’Anza
Sceneggiatura Giuseppe D’Agata, Flaminio Bollini, Dante Guardamagna e Lucio Mandarà

 

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Nun me lo dì stanotte

a chi hai stregato er core

la verità fa male

lasciame ’sta visione pe’ sperà

din don din don amore

cento campane stanno a dì de no

ma tu ma tu amore mio

se m’hai lasciato ancora nun lo dì

no nun lo di’ nun parlà

sei una donna o una strega chissà?

Me resta ‘na speranza, la speranza di quer sì…

din don, din don amore

cento campane stanno a dì de no

ma tu ma tu amore mio

se m’hai stregato dimmelo de sì

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Franco Volpi (il principe Anchisi)

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Incipit del romanzo “Una berlina targata Gran Bretagna si arrestò davanti a un austero portone di via Margutta, all’altezza dello stabile contrassegnato dal numero 53/B. L’auto – una Jaguar un po’ vecchiotta – era molto impolverata, come se avesse compiuto un lungo viaggio. Era una tarda mattinata di primavera, una classica giornata del marzo romano, quando l’aria frizzante sa di verde anche se non si scorgono né alberi né giardini. Dalla Jaguar scese un uomo vestito con sobria eleganza, biondo e con gli occhi azzurri, sui trentacinque-quarant’anni; un tipo disinvolto e piuttosto sicuro di sé, dall’aria inconfondibilmente britannica. Pareva compiaciuto di trovarsi nella lunga e stretta strada tradizionalmente abitata dagli artisti, sulla quale si affacciavano numerose le botteghe degli antiquari, dei falegnami e dei corniciai. Prese dall’auto una borsa di pelle e si soffermò ad osservare una targa che spiccava accanto al portone, scritta in caratteri neoclassici: «Studi di pittura e di scultura». Poi, con passo deciso, varcò la soglia del 53/B.” Finale del romanzo Non c’era nessuno, ad eccezione di una donna che era seduta ad un tavolo e volgeva le spalle all’entrata. La capigliatura chiara, lo scialle antico… Edward si portò davanti alla donna. Non era Lucia. Aveva capelli grigi con striature bionde e indossava un costume zingaresco. La faccia, che certamente un tempo era stata bella, era solcata da una infinità di rughe. Appariva molto vecchia, ma non era possibile definirne l’età. La donna sorrise a Edward. “Perchè mi guardi così? Siediti” Edward si calò lentamente su una sedia, dall’altra parte del tavolo. “Cercavo un’altra persona…” “Non cercavi di certo me”, disse ridendo la donna. Come ipnotizzato, Edward non smetteva di fissarla. “Sai chi sono io?” Edward non rispose. Lei continuò a ridere. “Io sono una strega…Vuoi bere?” Protese una brocca di vino nero verso il bicchiere che era davanti a Edward, il quale fece segno di no e coprì il bicchiere con le mani. “E’ genuino. Io bevo solo questo” “Anche…anche lei viene qui tutte le sere?”, riuscì a dire Edward. “Come Lucia?” “Sì. La conosce?” “Tutti qui la conoscono” Con gli occhi sbarrati, Edward deglutì per poter parlare. “La supplico, mi dica qualcosa di Lucia” “Posso raccontarti qualcosa del suo passato. Te l’ho detto che sono una strega” Edward annuì. La donna spostò altrove il suo sguardo. “Lucia era figlia illegittima di uno dei principi Anchisi. Aveva un carattere libero e ribelle. Fece la modella di Marco Tagliaferri e poichè l’amava si unì a lui…” “Continui, la prego” “Tagliaferri sapeva di essere Ilario Brandani reincarnato e passò la sua breve vita a dipingere e a cercare, con ogni pratica magica, ciò che avrebbe potuto salvarlo” “Che cosa lo avrebbe salvato?” L’interesse di Edward si era fatto spasmodico. “Ancora non sai che cos’è il Segno del Comando?”, disse ridendo la donna. “Eppure, da quando sei a Roma lo porti conte…” Edward rimase interdetto, sconvolto. “Il medaglione!” La donna fece segno di sì, poi assunse un’espressione seria. “Brandani lo incise il 31/03/1771, ma non potè goderne il potere perchè proprio quel giorno…” “Quale potere?” “Quello di prolungare la vita se è troppo breve, rispose con semplicità la donna”. Quindi riprese: “Proprio quello stesso giorno Vitali, l’organista, lo uccise e glielo rubò”. I lineamenti della donna si indurirono. “Poi, quando Vitali si sentì vicino a morire, perchè per il delitto che aveva commesso non poteva che morire, lo nascose” “E Tagliaferri lo cercò inutilmente…” “Sapeva che non poteva essere lontano da un certo luogo, la piazza che addirittura dipense, ma non riuscì a trovarlo. Morì prima dell’alba del 31/03. Cento anni fa.” “Come morì Tagliaferri?” “Lo trovarono annegato nel Tevere. Dissero che era stato il vino. Questo vino.” La donna bevve. Edward restò a guardarla. “E…Lucia?” “Si lasciò morire nello studio di via Margutta. Ma le fu concesso di continuare a cercare il medaglione.” “Le fu concesso…? Da chi?” Lo sguardo della donna si fece serio e penetrante. “Tu vivi in un mondo di certezze. Non varcare questo limite, non ti è consentito. Lucia voleva trovare il Segno del Comando per interrompere la catena maledetta delle reincarnazioni…” “Quando lo ha trovato?” “Tu non eri ancora nato, e neppure questo secolo” Le domande che assillavano Edward gli davano un’aria eccitata, febbrile. “Altri lo cercavano…e Lucia era…stava con loro…” La donna sorrise. Aveva un sorriso piacevole, giovanile. “Lucia era rimasta legata al vincolo di sangue con Anchisi. Il principe e i suoi amici se ne servivano per cercare contatti con l’aldilà. Ma Lucia doveva dare a te il medaglione, perchè tu eri il predestinato” Edward si versò un pò di vino. Aveva bisogno di bere qualcosa. “Ma dov’è Lucia? Poichè le devo la vita, vorrei…” “Non verrà”, disse la donna scuotendo il capo. “Non verrà mai più”. Edward si alzò e si portò la mano a una tasca. “Vai. Torna al tuo paese e ai tuoi studi.” “Volevo almeno restituirle il medaglione”, disse Edward mostrandolo alla donna. Lei lo prese, lo rigirò nel palmo della mano e glielo restituì. “Il Segno del Comando…Ora non è che un bel medaglione. Puoi tenerlo. Conservalo come un ricordo di Lucia.” Edward retrocedette lentamente, poi voltò le spalle alla donna e raggiunse le scale. In quel momento stava scendendo un uomo che portava una chitarra. Edward se lo ricordò: sembrava gemello del servitore (o era il padrone?) che si occupava della mescita. Edward incrociò l’uomo dalla chitarra e uscì. Il nuovo venuto si avvicinò alla donna: le parlò con estrema dolcezza. “E’ tardi, Lucia” “Sì, si è fatto tardi” Mentre le luci si facevano ancora più fioche, l’uomo si appoggiò a una parete, e si mise a cantare accompagnandosi con la chitarra. “Nun me lo dì stanotte a chi hai stregato er core. La verità fa male, lasciame ‘sta visione per sperà.” Il segno del comando banner gli oggetti Il segno del comando Gli oggetti 6

L’orologio in possesso del colonnello tagliaferri, opera dell’orafo Brandani

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Il pugnale con la lama che scatta ogni 13 colpi, opera dell’orafo Brandani

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Il messaggero di pietra che custodisce due segreti…

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La tela di Marco Tagliaferri 

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Particolare della piazza con rudere romano

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Il medaglione magico di Lucia

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La tomba di Marco Tagliaferri

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Ugo Pagliai, Edward Foster

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Carla Gravina, Lucia

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Andrea Checchi, il commissario Bonsanti

Il segno del comando -Angiola Baggi

Angiola Baggi, Giuliana nipote del colonnello Tagliaferri

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Augusto Mastrantoni, il colonnello Tagliaferri

Il segno del comando -Carlo Hintermann

Carlo Hintermann,Sullivan

Il segno del comando -Silvia Monelli

Silvia Monelli, la signora Giannelli

Il segno del comando -Paola Tedesco

Paola Tedesco, Barbara

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Rossella Falk, Olivia

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Massimo Girotti, Powell

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Franco Volpi, il principe Anchisi

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L’edizione Newton Compton del romanzo di D’Anza

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L’ultima scena dello sceneggiato

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Il nascondiglio

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Nel cimitero degli Acattolici

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Uno degli incubi di Edward Foster

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Edward, Lucia e … Il segno del comando

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La bella segretaria di Powell,Barbara

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Via Margutta 33, la casa di Marco Tagliaferri

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Lucia

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Il ritratto di Tagliaferri

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Il giorno fatidico

 

Di seguito il finale del romanzo di D’Anza,differente dallo sceneggiato televisivo;era quello che il regista avrebbe voluto ma che per varie ragioni rimase solo nella stesura del romanzo.

 

Edward camminava lentamente senza guardarsi intorno, come se conoscesse perfettamente la strada. Infatti riuscì a trovare ciò che cercava. O forse ciò che cercava si fece trovare. Ad un certo punto si trovò davanti ad un vecchio e basso edificio sul quale spiccava, bianca su nero, l’antica insegna ottocentesca: «TAVERNA DELL’ANGELO». Il cuore gli batteva forte quando, oltrepassato lo stretto ingresso, discese la breve scala curva e si trovò nel vasto scantinato dal soffitto a botte. Le lampade a petrolio e alcune torce infisse alle pareti illuminavano a malapena l’ambiente, permettendo di distinguere i due servitori che parevano usciti da una stampa del Pinelli. Edward riconobbe quello che stava al banco della mescita: allampanato, coi capelli lunghi, la faccia più che mai spettrale. Non c’era nessuno, ad eccezione di una donna che era seduta ad un tavolo e volgeva le spalle all’entrata. La capigliatura chiara, lo scialle antico… Edward si portò davanti alla donna. Non era Lucia. Aveva capelli grigi con striature bionde e indossava un costume zingaresco. La faccia, che certamente un tempo era stata bella, era solcata da una infinità di rughe. Appariva molto vecchia, ma non era possibile definirne l’età. La donna sorrise a Edward. «Perché mi guardi così? Siediti.» Edward si calò lentamente su una sedia, dall’altra parte del tavolo. «Cercavo un’altra persona…» «Non cercavi di certo me», disse ridendo la donna. Come ipnotizzato, Edward non smetteva di fissarla. «Sai chi sono io?» Edward non rispose. Lei continuò a ridere. «Io sono una strega… Vuoi bere?» Protese una brocca di vino nero verso il bicchiere che era davanti a Edward, il quale fece segno di no e coprì il bicchiere con le mani. «È genuino. Io bevo solo questo.» «Anche… anche lei viene qui tutte le sere?», riuscì a dire Edward. «Come Lucia?» «Sì. La conosce?» «Tutti qui la conoscono.» Con gli occhi sbarrati, Edward deglutì per poter parlare. «La supplico, mi dica qualcosa di Lucia.» «Posso raccontarti qualcosa del suo passato. Te l’ho detto che sono una strega.» Edward annuì. La donna spostò altrove il suo sguardo. «Lucia era figlia illegittima di uno dei principi Anchisi. Aveva un carattere libero e ribelle. Fece la modella di Marco Tagliaferri e poiché l’amava si unì a lui…» «Continui, la prego.» «Tagliaferri sapeva di essere Ilario Brandani reincarnato e passò la sua breve vita a dipingere e a cercare, con ogni pratica magica, ciò che avrebbe potuto salvarlo.» «Che cosa lo avrebbe salvato?»
L’interesse di Edward si era fatto spasmodico. «Ancora non sai che cos’è il Segno del comando?», disse ridendo la donna. «Eppure, da quando sei a Roma lo porti con te.» Edward rimase interdetto, sconvolto. «Il medaglione!» La donna fece segno di sì, poi assunse un’espressione seria. «Brandani lo incise il 31 marzo 1771, ma non poté goderne il potere perché proprio quel giorno…» «Quale potere?» «Quello di prolungare la vita se è troppo breve», rispose con semplicità la donna. Quindi riprese: «Proprio quello stesso giorno Vitali, l’organista, lo uccise e glielo rubò». I lineamenti della donna si indurirono. «Poi, quando Vitali si sentì vicino a morire, perché per il delitto che aveva commesso non poteva che morire, lo nascose.» «E Tagliaferri lo cercò inutilmente…» «Sapeva che non poteva essere lontano da un certo luogo, la piazza che addirittura dipinse, ma non riuscì a trovarlo. Morì prima dell’alba del 31 marzo. Cento anni fa.» «Come morì Tagliaferri?». «Lo trovarono annegato nel Tevere. Dissero che era stato il vino. Questo vino.» La donna bevve. Edward restò a guardarla. «E… Lucia?» «Si lasciò morire nello studio di via Margutta. Ma le fu concesso di continuare a cercare il medaglione.» «Le fu concesso…? Da chi?» Lo sguardo della donna si fece serio e penetrante. «Tu vivi in un mondo di certezze. Non varcare questo limite, non ti è consentito. Lucia voleva trovare il Segno del comando per interrompere la catena maledetta delle reincarnazioni…» «Quando lo ha trovato?» «Tu non eri ancora nato, e neppure questo secolo.» Le domande che assillavano Edward gli davano un’aria eccitata, febbrile. «Altri lo cercavano… e Lucia era… stava con loro…» La donna sorrise. Aveva un sorriso piacevole, giovanile. «Lucia era rimasta legata al vincolo di sangue con Anchisi. Il principe e i suoi amici se ne servivano per cercare di avere contatti con l’aldilà. Ma Lucia doveva dare a te il medaglione, perché eri tu il predestinato.» Edward si versò un po’ di vino. Aveva bisogno di bere qualcosa. «Ma dov’è Lucia? Poiché le devo la vita, vorrei…» «Non verrà», disse la donna scuotendo il capo. «Non verrà mai più.» Edward si alzò e si portò la mano a una tasca. «Vai. Torna al tuo paese e ai tuoi studi.» «Volevo almeno restituirle il medaglione», disse Edward mostrandolo alla donna. Lei lo prese, lo rigirò nel palmo della mano e glielo restituì. «Il Segno del comando… Ora non è che un bel medaglione. Puoi tenerlo. Conservalo come un ricordo di Lucia.» Edward retrocedette lentamente, poi voltò le spalle alla donna e raggiunse le scale. In quel momento stava scendendo un uomo che portava una chitarra. Edward se lo ricordò: sembrava gemello del servitore – o era il padrone? – che si occupava della mescita. Edward incrociò l’uomo dalla chitarra e uscì. Il nuovo venuto si avvicinò alla donna: le parlò con estrema dolcezza. «È tardi, Lucia.» «Sì, si è fatto tardi.» Mentre le luci si facevano ancora più fioche, l’uomo si appoggiò a una parete, e si mise a cantare accompagnandosi con la chitarra.

«Nun me lo di’ stanotte a chi hai stregato er core. La verità fa male, lasciame ‘sta visione per sperà. Din don, din don, amore, cento campane stanno a di’ de no, ma tu, ma tu, amore mio, se m’hai lasciato, ancora nun lo di’. No, nun lo di’, nun parlà, sei una donna o una strega, chi sa. Me resta la speranza, la speranza de quer sì. Din don, din don, amore, pure le streghe m’hanno detto no, ma tu, ma tu, amore mio, se m’hai stregato dimmelo de sì.»

FINE

aprile 15, 2013 Posted by | Serie tv | , , | Lascia un commento

I ragazzi del massacro

I ragazzi del massacro locandina 2

In una scuola milanese, durante il corso serale, un gruppo di giovani stupra e uccide la bella insegnante del corso.
Le indagini sono condotte dal commissario Duca Lamberti, che ha la certezza che il delitto è avvenuto in seno al branco; la causa scatenante la furia omicida è da ricercarsi in una bevanda drogata che ha eccitato i ragazzi fino a trasformarli in belve sanguinarie.
Ma non è stato comunque un delitto di gruppo, bensi ascrivibile ad una mano sola.
Lamberti usa il pugno di ferro per cercare la verità:così dall’interno del branco iniziano a circolare le voci sul presunto colpevole, un ragazzo che in realtà è impotente.
Duca Lamberti non va per il sottile, e per questo è malvisto dai superiori.

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Anche perchè lui decide di cercare le vere motivazioni della morte della giovane insegnante al di fuori della cerchia dei ragazzi, aiutato in questo dalla bella assistente sociale Livia Ussaro.
Mentre ormai Duca Lamberti sembra sulla strada giusta per risolvere il caso, il giovane impotente si uccide: a questo punto l’ultimo tentativo che il commissario può fare è quello di trovare tra i giovani uno che possa essere in qualche modo riabilitato e che sia disposto a collaborare.
Sarà in questo modo che Lamberti arriverà alla soluzione del caso…
Tratto dal romanzo omonimo di Giorgio Scerbanenco, I ragazzi del massacro è opera di Fernando Di Leo,che dirige il primo dei suoi film noir, inaugurando la straordinaria collaborazione con lo scrittore di origine ucraina che porterà al capolavoro di Di Leo Milano calibro 9.

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Lo scrittore ucraino, vero specialista in noir d’atmosfera presterà in seguito la sua penna ad altri film del cinema di genere, come Il caso ‘Venere privata’ (1970) di Yves Boisset e La morte risale a ieri sera (tratto dal romanzo I milanesi ammazzano al sabato) diretto da Duccio Tessari dove ritroviamo Duca Lamberti già presente in Il caso Venere privata.
Di Leo riduce per lo schermo il romanzo di Scerbanenco mantenendo intata solo la struttura del racconto e portando avanti quella che sarà la linea guida della celebre trilogia del milieu; la Milano del regista pugliese appare già nella sua versione cupa e moralmente decadente, violenta e inafferrabile nella sua struttura criminale che agisce sotto la facciata di rispettabilità e operosità della capitale economica d’Italia.
Fernando Di Leo è al bivio della sua carriera; alle spalle ha il successo di Brucia ragazzo brucia e quello meno evidente di Amarsi male; il suo cinema è sicuramente avveniristico, è un regista che non ha alcuna paura di rappresentare visivamente la violenza in una forma nuova, diretta.

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Ed è quello che fa con questo film, nel quale vediamo in azione un Duca Lamberti decisamente diverso da quello che verrà ripreso da Boisset o da Tessari.
E’ un uomo dai modi spicci, a tratti brutale.
Un uomo che crede nella giustizia ma che sa anche che per andare in guerra bisogna usare il cannone e non certo un mazzo di rose.
Ecco perchè usa metodi anticonvenzionali e brutali, metodi che lo rendono inviso ai suoi superiori.
Poichè però giunge sistematicamente ai risultati, Lamberti è tollerato anche se non incoraggiato.
Non è nato poliziotto, Lamberti, ma questo non l sappiamo dal film, bensi dai romanzi di Scerbanenco; è figlio di un poliziotto, è un ex medico che ha scontato tre anni di galera per aver somministrato un’iniezione letale ad un’anziana paziente. E’ diventato poliziotto dopo aver risolto brillantemente alcuni casi a lui sottoposti da un amico del padre.
Lamberti si muove quindi un una metropoli ormai lontana dal boom economico; nella scuola dove avviene l’omicidio non ci sono i ragazzi “normali”, quelli che in qualche modo sono figli del boom economico e si sono integrati nella realtà del lavoro e nella realtà sociale di Milano.

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Ci sono invece i ragazzi che dal boom non hanno ricavato nulla, se non abitazioni ai limiti del decoro e che vanno a scuola mentre gli altri, dopo una giornata di lavoro o di studio vanno a divertirsi.
Sono la parte nascosta di Milano, quella che la città ignora e che nasconde alla vista di chi guarda alla città stessa come ad un modello esemplare di efficienza e integrazione.
Questo è un territorio inesplorato dalla persona qualunque ed è in questo ambito che il disilluso commissario si muove, usando i suoi metodi la dove non possono funzionarne altri.
Di Leo mostra la sua capacità di analisi e di descrizione di un fenomeno poco conosciuto come il background che sta dietro la facciata rispettabile della città e che diverrà poi il suo punto di forza con la celebrata trilogia del milieu, composta da tre opere distinte ma in qualche modo unite fra loro come Milano calibro 9, La mala ordina e Il boss.

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I ragazzi del massacro è un ottimo film, accolto con diffidenza da parte della critica, incapace di vedere oltre la superficie le potenzialità di un regista a suo modo scomodo.
Un di quelli che pesca nel torbido, che mostra una realtà che evidentemente è preferibile ignorare.
Lo fa con un linguaggio scarno ed essenziale, con sangue e violenza stagliate sullo sfondo della nebbia e dell’omertà di un mondo con delle regole ferree e crudeli.
A leggere alcune recensioni (molte delle quali di pochi anni fa) non c’è che da rabbrividire; quella degli anni sessanta è una stagione irripetibile e se non si è capaci di cogliere in film come questi la capacità innovativa di raccontare senza fronzoli anche vicende marginali e squallide come quella mostrata nel film, allora si è di palato troppo aristocratico e ben abituato.
Se si paragona questo film ad opere degli ultimi 25 anni apparse in Italia, ci si rende conto come si vivesse in un’età dell’oro a livello visivo.Anni in cui la fertilità e il genio andavano di pari passo, anni in cui anche con pochi soldi si riusciva a costruire belle e affascinanti opere.

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Tornando alla pellicola, va segnalata la positiva presenza nei panni di Duca Lamberti di Pier Paolo Capponi, attore di ottime qualità che a cavallo tra il 1967 e il 1974 comparve in circa una trentina di produzioni molte delle quali di buon livello per poi passare in pianta stabile a produzioni tv di ottima fama.
L’attore di Subiaco è espressivo e duro al punto giusto, quindi Lamberti è il suo personaggio, costruito con una recitazione asciutta e senza sbavature.
Accanto a lui, defilata, c’è la bellissima Susan Scott che fa il suo con grazia e garbo, mentre il resto del cast è composto da onesti comprimari.
Discrete le musiche di Silvano Spadaccino.
I ragazzi del massacro è un film che passa molto raramente in tv, tuttavia è editato in digitale anche se è di difficilissima reperibilità sul web.

I ragazzi del massacro

Un film di Fernando Di Leo. Con Pier Paolo Capponi, Susan Scott, Marzio Margine, Enzo Liberti, Ettore Geri, Sergio Serafini, Michel Bardinet, Renato Lupi Noir/Thriller, durata 91 min. – Italia 1969.

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Pier Paolo Capponi: commissario Duca Lamberti
Susan Scott: Livia Ussaro
Enzo Liberti: questore Luigi Càrrua
Marzio Margine: Carolino Marassi
Michel Bardinet: Stelvio Sampero
Renato Lupi: Mascaranti
Danika La Loggia: Beatrice Romani
Giuliano Manetti: Fiorello Grassi
Jean Rougeul: Federico Dell’Angeletto

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Regia Fernando Di Leo
Soggetto Giorgio Scerbanenco (romanzo)
Sceneggiatura Fernando Di Leo, Nino Latino, Andrea Maggiore
Produttore Tiziano Longo
Fotografia Franco Villa
Montaggio Amedeo Giomini
Musiche Silvano Spadaccino
Scenografia Franco Bottari

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aprile 10, 2013 Posted by | Drammatico | , , | 2 commenti

La donna invisibile

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Laura ed Andrea sono una coppia profondamente in crisi; l’uomo, un docente universitario poco amato dai suoi studenti sembra ormai considerare la moglie un oggetto d’arredamento, privo di vita o di anima tanto da vederla come un fantasma. Lei invece è ancora innamorata del marito ma non sa come fare a farlo tornare a se.
A complicare la relazione tra i due c’è la presenza,in casa, della ambigua Delfina, che a differenza di Andrea cerca un dialogo con Laura anche se per motivi poco chiari.
Delfina infatti è ambigua anche dal punto di vista sessuale, tanto da trattare Laura come un oggetto dei propri desideri.Andrea guarda alla cosa con suprema indifferenza, tanto ormai è lontano dalla moglie.
Finirà in tragedia, una tragedia dai contorni surreali…

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Giovanna Ralli

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Carla Gravina

Tratto da un racconto breve di Alberto Moravia, adattato per lo schermo da Dacia Maraini e dal regista Paolo Spinola con la collaborazione dello sceneggiatore Ottavio Jemma, La donna invisibile è un film dai contorni sfumati e inafferrabili, in bilico tra la metafisica, il racconto fantastico, il dramma e la farsa.
Un film labirintico, dai ritmi blandi, teso a mostrare le chiavi di lettura che lo spettatore può ricavare dalla visione di un film che offre varie possibilità di interpretazione allo spettatore; un film che parla al tempo stesso di crisi della coppia e di valori borghesi, di moralismo bigotto in materia sessuale ma anche di liberazione dallo stretto e rigido ambito matrimoniale.
Non sono queste le uniche chiavi di lettura del film, ma fondamentalmente si può partire da qui per interpretare, ed è davvero il verbo giusto, un film molto complesso e sfuggente ad un’analisi univoca.Tra l’altro, nella versione che circola ormai solo in ambito televisivo mancano abbondantemente 7 minuti di girato.

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Il motivo è da ricercarsi nella censura che scattò ad appena 24 ore dalla proiezione della pellicola nel 1969,nel mese di agosto.
Cosa sia stato tagliato dal film è cosa difficile da dirsi, probabilmente scene di nudo o un amplesso tra Andrea e la sua amante Delfina; poichè la casa distributrice non le ha più integrate nella pellicola, occorrerà aspettare una versione digitale del film per sperare in una visione completa dello stesso.
Tornando al film, Spinola indugia moltissimo sul torbido rapporto che viene a stabilirsi tra Andrea e Delfina e tra la stessa Delfina e la sventurata Laura, vera ed autentica vittima in tutti i sensi della fine del suo rapporto amoroso con il marito e poi vittima in senso fisico nel drammatico finale.
Siamo nel 1969, in piena epoca di contestazione e di profonda trasformazione della società; il tema matrimonio, così come il tema famiglia e il tema sessualità sono alcuni dei modelli di riferimento più soggetti ad attacchi e a contestazioni da parte di buona parte della società che conta.

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E, ovviamente, anche da parte dell’ intellighenzia borghese e culturale, le prime ad agitare la fronda contro fondamenti della società considerati ormai vetusti o antiquati.
Quest’aria si respira, a tratti, nel film, anche se come dicevo agli inizi è difficile trovare il bandolo della matassa di un film che appare diverso ad ogni visione, che alterna momenti francamente noiosissimi ad altri di gran fascino.
Colpa anche di una sceneggiatura che ha allungato la storia di Moravia trasformandola in qualcosa di differente dal racconto originale.
Moravia aveva scritto un racconto in cui il tema centrale era la crisi di una coppia originata dal “disinnamoramento” di Andrea verso Laura, che si traduce in una vera e propria esclusione fisica della donna dalla vita dell’uomo, che un giorno si scopre a fissare una macchia sul muro senza rendersi conto della presenza di Laura davanti a lui.

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Nel film viene mantenuto coerentemente il racconto della coppia in crisi e il finale tragico, con una riscrittura profonda di tutto il resto.
La storia quindi viene raccontata attraverso i vani tentativi da parte di Laura di rendere la sua presenza “fisica” agli occhi del marito; la donna arriverà a raccontare un suo occasionale tradimento al marito senza però suscitare alcuna emozione apparente in Andrea.
L’amore non è eterno e quando la passione finisce o si trova qualcosa per riaccenderla o si cambia aria; anche questo può essere un tema di riflessione che il film offre, mentre la musica del solito impareggiabile Morricone sottolinea alcuni passaggi cruciali dello stesso.
A creare il giusto clima, sospeso tra cose dette e sopratutto non dette ci sono due grandi attrici del cinema del passato, Giovanna Ralli e Carla Gravina.

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Giovanna Ralli interpreta il dolente e perdente personaggio di Laura, la donna invisibile, la donna innamorata che non si rassegna alla fine del suo matrimonio, a quell’amore verso un marito che ormai non la distingue dalla tappezzeria o dai mobili di casa.Carla Gravina invece è l’ambigua Delfina, creatura eterea ma al tempo stesso torbida, come quella sua sensualità inesplicata, in bilico tra lesbismo e eterosessualità, un personaggio probabilmente non espresso in maniera compiuta a favore della vera protagonista che in fondo è la sventurata Laura.
Due donne molto diverse, quelle che appaiono nel film; due donne separate da un uomo che non ama più la moglie e che invece è irresistibilmente attratto dal terzo lato del triangolo,Delfina.
Peccato per le scene tagliate, perchè probabilmente avremmo capito di più del vero legame tra il maturo professore universitario e la donna misteriosa, sessualmente promiscua.

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Andrea è interpretato da Silvano Tranquilli, un attore spesso utilizzato in ruoli intellettualmente impegnati; questa volta il suo personaggio non è caratterizzato in maniera profonda, tanto che l’attore appare inamidato in una parte sfuggente, dai contorni poco chiari.
La donna invisibile è un film estremamente raro, passato molto tempo fa in tv nella famosa versione purgata; a meno di miracoli sarà impossibile vedere la versione originale del film, a meno che la casa che detiene i diritti non possegga il master originale nella versione completa. Anche i rete il film è pressochè introvabile.

La donna invisibile
Un film di Paolo Spinola. Con Silvano Tranquilli, Carla Gravina, Giovanna Ralli, Gino Cassani, Anita Sanders, Elena Persiani, Gigi Rizzi, Raul Martinez Drammatico, durata 92′ min. – Italia 1969.

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Giovanna Ralli: Laura
Silvano Tranquilli: Andrea
Carla Gravina: Delfina
Gigi Rizzi: Carlo
Elena Persiani: Tania
Gino Cassani: marito di Tania
Anita Sanders: Anita
Raul Ramirez: Osvaldo
Regia Paolo Spinola

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Soggetto Paolo Spinola, Dacia Maraini
Sceneggiatura Paolo Spinola, Dacia Maraini, Ottavio Jemma
Produttore Silvio Clementelli per Clesi Cinematografica
Distribuzione (Italia) Euro International Film (1969)
Fotografia Silvano Ippoliti
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Ennio Morricone

La donna invisibile Banner recensioni

L’opinione dell’utente emmepi8 tratta dal sito http://www.filmtv.it
“Spinola al terzo film, e dopo diversi anni ne ha fatto un altro, e poi ha cessato l’attività. Forse è stato un peccato, infondo era una mente abbastanza insolita per il nostro panorama cinematografico, forse un po’ troppo intellettualizzata, ma sempre diversa. Qui ha scelto un racconto di Moravia, cosceneggiato con Dacia Maraini e Ottavio Jemma, quest’ultimo in particolare tagliato più per commedie, anche grassocce, e non per operazioni come queste. Il film ha un suo valore, anche se la simbologia fantastica non si sposa bene con la realtà della storia e questo mixer stride in maniera particolare. Il tema è figlio un po’ dei tempi: siamo nel 1969 la contestazione sta di casa e la libertà sessuale, con la dovuta decadenza dei costumi borghesi, è di moda, ma tutto dipende dal tocco, e Spinola non è stato molto fortunato con i collaboratori. Ottima la fotografia di Silvano Ippoliti, ricercatissimi gli abiti delle nostre protagoniste. Il cast troneggia con Giovanna Ralli (inusuale interprete!!) e Carla Gravina, il resto è cast di serie B e si vede.

L’opinione dell’utente ilgobbo tratta dal sito http://www.davinotti.com
“Niente male questa variazione sul tema del döppelganger dal racconto moraviano. Un film che traccheggia fra due tipi d’atmosfera, privilegiando, forse involontariamente o per forma mentis del regista il cotè del dramma erotico-borghese, classico del cinema e della letteratura dell’epoca. Protagoniste notevoli, la Ralli è bella ma la Gravina (truccata come la Maraini che sceneggia) è davvero intrigante. Attonito il giusto Tranquilli, inconfondibile colonna sonora di Morricone. E a proposito di icone d’epoca, c’è anche Gigi Rizzi!”

L’opinione dell’utente Lucius tratta dal sito http://www.davinotti.com
Una fotocopia dignitosa ma pur sempre fotocopia dello stile antonioniano che si fa apprezzare principalmente per la Gravina e la Ralli, qui in due interpretazioni particolarmente indovinate. Un Moravia trasformato dagli autori, ma ugualmente fascinoso per un film che presenta un incipit originale e un filo narrativo non del tutto lineare. La difficile convivenza di una coppia borghese con tanto di accenni di lesbismo e una soundtrack eccellente del maestro Morricone, che ha nettamente contribuito ad innalzare il livello della pellicola.

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aprile 8, 2013 Posted by | Drammatico | , , , | 1 commento

Oh Serafina

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Un piccolo industriale lombardo, Augusto Valle, ha ereditato dai suoi una fabbrica di bottoni.
L’uomo è però molto più interessato alla natura e in particolare all’ornitologia che al suo lavoro; la fabbrica che possiede realizza i suoi prodotti in maniera tradizionale, essendo Augusto assolutamente nemico della tecnologia.
Accanto alla piccola fabbrica possiede un parco che vale una fortuna e sul quale hanno già puntato gli occhi alcuni speculatori; ma Augusto non ha alcuna intenzione di cedere il piccolo paradiso naturale che il parco rappresenta, anche perchè non è attratto dai soldi.
Ma Augusto un giorno cede alle tentazioni della carne, quando una sua operaia, Palmira Radice, gli si offre con poco pudore.

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Renato Pozzetto

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La seduzione di Palmira

La conseguenza è un matrimonio, dal quale nasce anche un figlio; tuttavia Palmina non sembra affatto realizzata dall’aver accalappiato il padrone della fabbrica e intenderebbe cedere il parco in modo da diventare finalmente ricca.
Visto che Augusto da quell’orecchio non sente, la donna inizia un’opera di seduzione nei confronti del sindaco del paese e dell’assessore all’urbanistica, colpendoli nelle loro debolezze.
Il primo infatti ha un debole per il bondage, mentre il secondo ha un debole per lei.
Seducendoli entrambi Palmina riesce ad avere un’ordinanza restrittiva per Augusto, che viene dichiarato incapace di intendere e di volere e internato in un manicomio.
Qui l’uomo, che mantiene nonostante tutto un candore invidiabile, riesce a ritagliarsi un suo spazio prima di conoscere Serafina Vitali, la ricca figlia di un mercante d’armi che a sua volta è stata internata per aver osato sfidare il padre,per aver avuto una relazione incestuosa con il fratello, per aver dato scandalo durante una festa e successivamente per aver preso a fucilate gli ospiti della stessa al rientro da una battuta di caccia.
I due si innamorano e ben presto sognano una vita insieme fuori dalle mura del manicomio.

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La scoperta di un nuovo amore…

Cosa che accadrà nel momento in cui rinunceranno ai loro rispettivi diritti sulle proprietà; Augusto e Serafina andranno via dal manicomio accompagnati dal figlioletto dell’uomo e da una fedele dipendente dell’ex azienda di Augusto.
Favola moderna in chiave proto ecologista diretta da Carlo Lizzani su un soggetto originale dello scrittore Giuseppe Berto, Oh Serafina è un film a corrente alternata, che mescola un coraggioso tentativo di creare una storia esemplare sul tema della coscienza ecologica con le vicende personali di due persone assolutamente anticonformiste come Augusto e Serafina, viste anche come novelle vittime sacrificali del denaro e dell’arroganza, in un sistema sociale assolutamente impermeabile alla coscienza ecologista e più in generale alla coscienza vera e propria e alla morale.
E’ netto infatti il distacco tra i personaggi positivi del film facilmente individuabili nei due protagonisti e nell’anziana operaia rimasta fedele ad Augusto e i due politici a cui va aggiunta la famiglia di Serafina.

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Dalila Di Lazzaro

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Angelica Ippolito

Un contrasto nettissimo fra idealismo e concretezza spietata, fra la coscienza di Augusto e Serafina che rispettivamente non vogliono la modernità ad ogni costo e che ripudiano il denaro fatto a spese della vita di tanta povera gente (come nel caso di Serafina) e che invece ambirebbero ad una vita più semplice e più coerente con i valori in cui credono.
La favola imbastita da Lizzani si concluderà con un happy end in perfetta armonia con la storia narrata, con i due protagonisti che rinunceranno senza alcun rimpianto al totem del denaro e del successo in cambio di una vita libera da condizionamenti e da falsi obiettivi.
Se il soggetto di Oh Serafina può sembrare abbastanza abbastanza coraggioso per la tematica che intende perseguire, va detto che Lizzani sceglie la strada più tortuosa per esplicarlo.
Il film infatti va a corrente alternata, cadendo spesso nel patetico e indugiando un pò troppo sul sentimentalismo con conseguenze nefaste per lo spettatore; il film a tratti è davvero soporifero, manca di ritmo e sopratutto ha i due protagonisti principali, Augusto e Serafina, interpretati in maniera discontinua rispettivamente da Renato Pozzetto e Dalila Di Lazzaro.

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Ci sono cose buone, molte altre meno buone, in quest’opera che comunque si segnala per alcune scene affascinanti, principalmente quella girata nel parco del manicomio che vede un uccellino mangiare direttamente dalla bocca della Di Lazzaro mentre Pozzetto è circondato da uccellini che non sembrano affatto intimoriti dalla sua presenza.
Un’atmosfera poetica e affascinante che però dura davvero poco e che vede come contro altare cadute di stile come la scena bondage con protagonista Gino Bramieri, il Sindaco, in giarrettiere e calze a rete frustrato sul sedere dalla furba Palmina.
Ombre e luci, quindi, originate più che altro dall’incertezza del soggetto originale, in bilico tra la denuncia sociale e la ricostruzione fiabesca del mondo a se stante nel quale vivono i due protagonisti, troppo puri per pretendere di vivere in un mondo che ha come supremo valore il denaro.
Renato Pozzetto è un Augusto tutto sommato credibile, a cui l’attore milanese presta il suo volto perennemente imbambolato e che restituisce in maniera convincente il candore stesso del personaggio.

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Passato al cinema dopo il grande successo televisivo ottenuto in coppia con l’amico Cochi Ponzoni, Pozzetto passa ad una storia “seria”, lontana da quelle commedie che saranno il suo marchio di fabbrica nel corso della carriera.
Dopo l’esordio in Per amare Ofelia e i lusinghieri successi ottenuti con Due cuori, una cappella,Paolo Barca, maestro elementare, praticamente nudista e sopratutto dopo il ruolo simpatico di un altro personaggio candido come il Gianni di Babysitter – Un maledetto pasticcio ecco finalmente un ruolo che mostra come Pozzetto abbia nel suo repertorio anche possibilità più estese rispetto a quelle del classico imbranato che interpreterà troppe volte negli anni a seguire.
Discreta anche la prova della Di Lazzaro, mentre va segnalata, purtroppo in senso negativo, la citata sequenza con protagonista un altro milanese doc,Gino Bramieri, umiliato in una parte ristretta e meschina.

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Il pranzo dello scandalo

Completano il cast Angelica Ippolito, la moglie di Augusto, cinica ed arrivista al punto giusto, i caratteristi Marisa Merlini e Lilla Brignone e alcuni sparring partner d’eccezione, come Franco Nebbia,Daniele Vargas,Aldo Giuffrè e Maria Monti, tutti in ruoli di contorno.
Bella la fotografia e l’ambientazione naturale,musiche impalpabili di Fred Bongusto.
Oh Serafina è un film rieditato in digitale, tuttavia di difficile reperibilità; in tv passa con rarissima frequenza ed in rete non sembra essere disponibile se non in riduzione dalle vecchie VHS.

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Finalmente liberi!

Oh! Serafina

Un film di Alberto Lattuada. Con Renato Pozzetto, Marisa Merlini, Aldo Giuffré, Gino Bramieri, Dalila Di Lazzaro, Lilla Brignone, Angelica Ippolito, Alberto Lattuada, Ettore Manni, Fausto Tozzi, Daniele Vargas, Renato Pinciroli, Maria Monti, Brizio Montinaro, Gianni Magni, Jean-Claude Verné, Enrico Beruschi, Franco Nebbia, Guerrino Crivello Drammatico, durata 102′ min. – Italia 1976.

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Carlo Giuffrè, il direttore del manicomio

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Nel parco del manicomio

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“Ma tu non porti le mutandine?”

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Gino Bramieri

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Renato Pozzetto: Augusto Valle
Dalila Di Lazzaro: Serafina
Angelica Ippolito: Palmira Radice, moglie di Augusto
Marisa Merlini: mamma di Augusto
Gino Bramieri: Il sindaco
Aldo Giuffrè: Professor Caroniti
Fausto Tozzi: Carlo Vigeva
Enrico Beruschi: Impiegato anagrafe
Lilla Brignone: Segretaria della ditta Valle
Sofia Lusy: Cameriera
Howard Ross: Romeo Radice
Brizio Montinaro: Rag.Cusetti
Gianni Magni: Tommaso
Ettore Manni: padre di Serafina
Alberto Lattuada: Medico del manicomio
Renato Pinciroli: padre di Augusto
Franco Nebbia: Colbiati
Maria Monti:
Daniele Vargas: Assessore Buglio
Guerrino Crivello: prete di Assisi
Guido Spadea: prete che celebra il matrimonio
Massimo Buscemi: operaio che porta il quadro in ditta

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Regia Alberto Lattuada
Soggetto Giuseppe Berto
Sceneggiatura Enrico Vanzina, Alberto Lattuada, Giuseppe Berto
Produttore Rizzoli Film
Distribuzione (Italia) Cineriz
Fotografia Lamberto Caimi
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Fred Bongusto, José Mascolo

Oh Serafina  banner recensioni

Opinione dell’utente Sasso 67 tratta dal sito http://www.filmtv.it
“Commedia ecologista e basagliana, condita con gli umori surreali di Pozzetto e la sensualità fatta cinema di Lattuada. Qualcosa funzione e qualcosa no, forse perché la sceneggiatura deve piegare il romanzo di Giuseppe Berto alla verve del protagonista. Tutto sommato, comunque, questa parabola francescana ed anticapitalista risulta apprezzabile e gradevole.”

Opinione dell’utente WillKane tratta dal sito http://www.filmtv.it
“In piena esplosione del fenomeno-Pozzetto, attore che, al di là del giudizio sui suoi film, ha garantito per una decina e passa di anni incassi remunerativi per produttori ed esercenti, un autore particolare ,per certi versi audace, per altri ambiguo, come Alberto Lattuada, scelse il robusto comico lombardo per essere il protagonista di questa di “Oh,Serafina!”: nelle intenzioni, questa tragicommedia sostiene la necessità di una ricerca dell’armonia, una capacità di slanci poetici in rivalsa alla grettezza imperante di provincia e non, e di una sessualità selvaggia e gentile possibile, invece dell’utilizzo della stessa per giungere a obbiettivi di comodo. Renato Pozzetto ci mette molta volontà, in un ruolo forse più consono a certe divagazioni celentanesche, Dalila DiLazzaro e Angelica Ippolito lasciano apprezzare il loro fascino, ma sono alle prese con personaggi troppo unidimensionali, e sulla riuscita del film pesano troppi cedimenti alla farsa sboccata, per convincere.”

Opinione del Morandini:
“Ereditato dal padre suicida un cotonificio in Lombardia, Augusto rifiuta di vendere ai lottizzatori un parco dove parla con gli uccelli. L’avida moglie lo fa ricoverare in manicomio dove incontra Serafina, pacifista e figlia dei fiori in urto con la famiglia alto-borghese. Fuggono insieme verso una vita nuova senza più averi o regole morali da rispettare. Da un romanzo (1973) di Giuseppe Berto, anche sceneggiatore con Enrico Vanzina, Lattuada ha cavato un film discontinuo (ma non soltanto in senso negativo) e inclassificabile: fiaba ecologica? Favola erotica? Commedia cabarettistica o sentimental-didattica? Grottesco-caricaturale? Qua e là si eccede nel mostruoso cui si contrappone l’infantile.”

Opinione dell’utente Renato tratta dal sito http://www.davinotti.com
“Un film irrisolto, con Pozzetto nei panni di un novello San Francesco (con tanto di esterni ad Assisi) che parla agli uccelli ma dirige anche un bottonificio. Per ridere non fa ridere, le sequenze erotiche sono parecchie (il film si beccò il divieto ai minori di 18 anni) ma poco significative nel contesto di un film del genere, e qualche scena (vedi quella con Bramieri) è semplicemente imbarazzante. Anche il finale è moscio, a conferma che questo di Lattuada è stato senz’altro uno scivolone.”

Oh Serafina  banner citazioni

“E da quando hai un avvocato?” (Palmina)-“Dalla nascita.E tu non lo puoi scopare, perchè ha passato i novanta” (Augusto)
“Sono felice, vuoi fare l’amore con me?”(Serafina)-“Non ho capito la domanda” (Augusto)
Alla sua età gioca ancora con gli uccellini
L’umanità è cieca, sorda e stupida. Fabbricano missili atomici quando invece bisognerebbe coltivare l’insalata, purificare i fiumi e i mari che sono pieni di merda e di petrolio.

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Oh Serafina romanzo

Il libro di Berto

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aprile 5, 2013 Posted by | Commedia | , , , , , , | 1 commento

Il clan dei siciliani

Il clan dei siciliani locandina 0

Tratto dal romanzo di Auguste Le Breton, Le Clan des Siciliens.
Roger Sartet, condannato per rapina e  omicidio evade durante il trasporto verso la prigione.
Riesce ad avere protezione da Vittorio Manalese, un siciliano a capo di una famiglia di immigrati che nasconde, dietro una facciata di rispettabilità attività losche.
Al vecchio gangster Sartet propone un piano all’apparenza impossibile; rubare i gioielli di una mostra itinerante.
Con l’aiuto di un mafioso americano, Nicosia, il piano dopo alcune vicissitudini riesce perfettamente.
Ma Sartet ha una relazione con una nuora di Manalese e, per un’ingenuità di un nipotino del gangster, la cosa si verrà a sapere.

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Alain Delon

Manalese vendica l’onore offeso uccidendo Sartet ma la cosa provocherà la fine del suo impero criminale perchè…
Il clan dei siciliani, diretto da Henry Verneuil nel 1969 è un gangster/noir movie di stampo tradizionale, che vede protagonisti tre grandi attori del cinema francese, Alain Delon, Jean Gabin e il naturalizzato Lino Ventura.
Un film dalla confezione assolutamente elegante, che ripercorre la trama del romanzo dal quale è tratto sfruttando al massimo il magnetismo dei tre attori e una sceneggiatura dall’impianto coerente, anche se davvero poco probabile.
Il clan dei siciliani è un film che privilegia la parte d’azione all’introspezione psicologica dei personaggi, giocando tutte le sue carte sul ritmo e sulle figure che dominano il racconto, quella del gangster che riesce a ideare un piano all’apparenza impossibile e quella del vecchio capo clan che si fa coinvolgere nell’avventura salvo punire l’occasionale complice nel momento in cui quest’ultimo viola la legge fondamentale di Manalese, quella che vuole intoccabile la famiglia, principalmente nell’onore.

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Amedeo Nazzari e Jean Gabin

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E’ quindi su due binari che il film gioca le sue carte, l’ideazione e la realizzazione del furto di gioielli e la relazione tra Roger Sartet e una donna del clan, il tutto condito da cambi di scena, ritmo e azione.
Sullo sfondo agisce il Commissario Le Goff, unico baluardo della società civile contro il crimine, con lo sfondo classico dei bassifondi parigini e del sottobosco che lo permea; manca ovviamente un’analisi sociale perchè Verneuil non ha la profondità per muoversi in tal senso, ma la storia non ha queste finalità e nemmeno il regista intende muoversi in un labirinto che probabilmente non sa e non può affrontare.
Così si resta abbondantemente in superficie, ma con gusto; il vedere tre colossi del cinema francese in azione è già di per se una ricompensa allo spettatore, che viene sballottato quà e là prima del finale perfettamente in linea con quanto mostrato sin dall’inizio.

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Defilata la figura del gangster americano Nicosia, interpretato dal nostro Amedeo Nazzari, ma chiedere l’inserimento di un’altra figura ampliata nella sua psicologia sarebbe stato davvero troppo.
Sulle musiche splendide di Morricone sfilano i volti di una Parigi d’altri tempi, popolati da criminali passionali e spietati contrastati da un commissario a sua volta mosso da ideali di giustizia in linea con le figure di altri agenti senza macchia e senza paura.
Un film veramente d’altri tempi, il classico prodotto da godere per due ore di fila lasciandosi trasportare da un racconto che avvince e non costringe a dover riflettere sulle motivazioni dei personaggi, che si muovono preda delle proprie passioni fino al momento in cui la legge vince, com’è giusto che sia.

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Jean Gabin e Lino Ventura

Per quanto riguarda gli attori, sontuoso, sornione e impeccabile è Jean Gabin nel ruolo del gangster dalla pubblica irreprensibile immagine, una figura che rimanda a quella di Vito Corleone del Padrino, del quale condivide quanto meno la stessa concezione di famiglia.
L’onore prima di tutto, prima anche dei rapporti chiamiamoli professionali e che metterà in gioco tutto quanto acquisito nel corso degli anni proprio per vendicare l’onore della famiglia.
Una figura ovviamente meno tragica di quella interpretata da Brando, proprio per la mancanza di un background psicologico nel film.
Ottimo anche Alain Delon, che inaugura la stagione migliore per quanto riguarda le sue interpretazioni di spessore; la figura del gangster Roger sembra essere perfettamente aderente alla sua faccia di bello e dannato.

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L’attore di Sceaux, Hauts-de-Seine l’anno successivo girerà un film dalle atmosfere se vogliamo ancor più noir con Melville, I senza nome, nel quale in pratica ripeterà un personaggio in perfetta linea con quello interpretato in questo film.
Ultimo lato del triangolo è Lino Ventura, unico personaggio positivo del film che alla fine sarà anche l’unico vincente; anche lui l’anno successivo replicherà la figura di un ispettore integerrimo nello splendido film di Josè Giovanni Ultimo domicilio conosciuto.
Qui, la sua faccia spigolosa, dura che sembra specchiare un carattere indomito e intransigente ben si sposa al personaggio di Le Goff, onesto funzionario con dei valori positivi, in netto contrasto con quelli dei suoi antagonisti.
Dietro la macchina da presa buona la direzione di Verneuil, onestissimo artigiano che alla fine della sua carriera conterà una quarantina di direzioni cinematografiche, contrassegnate da mestiere e abilità.
Il film è stato proposto più volte in tv, è di facile reperibilità in rete ed è disponibile anche in digitale; se potete guardatevi la versione originale del film, per gustarvi i magnifici dialoghi con le voci originali dei protagonisti.

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Il clan dei siciliani

Un film di Henri Verneuil. Con Jean Gabin, Alain Delon, Amedeo Nazzari, Lino Ventura Titolo originale Le clan des sicilians. Drammatico, durata 113′ min. – Francia 1969.

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Jean Gabin: Vittorio Malanese
Alain Delon: Roger Sartet
Lino Ventura: Commissario Le Goff
Irina Demick: Jeanne Malanese
Amedeo Nazzari: Tony Nicosia
Sydney Chaplin: Jack
Philippe Baronnet: Luigi
Marc Porel: Sergio Malanese
Yves Lefebvre: Aldo Malanese
Elisa Cegani: Maria Malanese
Leopoldo Trieste: Turi – l’esperto di francobolli

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Massimo Turci: Alain Delon
Arturo Dominici: Jean Gabin
Glauco Onorato: Lino Ventura
Rita Savagnone: Irina Demick
Amedeo Nazzari: Amedeo Nazzari
Cesare Barbetti: Marc Porel
Pino Colizzi: Yves Lefebvre

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Regia Henri Verneuil
Soggetto Auguste Le Breton (romanzo)
Sceneggiatura Henri Verneuil, Jose Giovanni, Pierre Pelegri
Produttore Jacques E. Strauss
Casa di produzione Les Films Du Siecle
Distribuzione (Italia) Fox Europa
Fotografia Henri Decae
Montaggio Pierre Gilette
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Jacques Saulnier
Costumi Hélène Nourry
Trucco Michel Dernelle

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aprile 1, 2013 Posted by | Drammatico | , , , , | Lascia un commento