7 volte donna
Un grande regista premiato con l’Oscar, un grande sceneggiatore ed un cast internazionale stellare non sono necessariamente garanzia di un prodotto di altissimo livello.
Ed infatti 7 volte donna (Woman seven times nell’edizione internazionale), diretto nel 1967 da Vittorio De Sica che nel 1965 aveva vinto il suo terzo Oscar (prima del quarto del 1972 per Il giardino dei Finzi Contini) con Ieri oggi e domani, sceneggiato dal grande Cesare Zavattini ed interpretato da star quali la protagonista assoluta Shirley Mc Laine,Peter Sellers,Michael Caine,Vittorio Gassman,Philippe Noiret,Anita Ekberg,Elsa Martinelli è un film disomogeneo e in fin dei conti deludente in rapporto alla qualità dei personaggi che sono dietro alla pellicola.
Un film ad episodi, sette per la precisione, come del resto anticipato dal titolo;sette episodi con una tematica precisa, la donna ed un’unica protagonista assoluta di tutti gli episodi, un’affascinante ed irresistibile Shirley Mc Laine.
Ecco gli episodi e le loro trame in breve:
-Primo episodio, “Neve”
Un misterioso corteggiatore segue con discrezione la bella Jeanne, che dapprima infastidita, in seguito si sente lusingata della cosa.La ragazza è sposata ed è proprio il gelosissimo marito ad aver creato la figura del corteggiatore che in realtà è un detective privato incaricato di seguirla costantemente…
–Secondo episodio,”I suicidi”
Un coppia irregolare, due amanti, ha preso una decisione drammatica e definitva, quella di suicidarsi assieme.Scelto così un fatiscente alberghetto, i due cercano di mettere in atto il proposito, ma alla fine abbandoneranno l’idea spaventati sia dalla morte sia perchè attratti dalla vita.
–Terzo episodio,”Due contro uno”
-Linda è una bella ma contemporaneamente fredda hostess che, durante un congresso di cibernetica, si ritrova a perdere tutta la sua glacialità per colpa (o merito) di due diverse persone, uno scozzese ed un italiano;
–Quarto episodio,”Il corteo funebre”
A Paulette è morto il marito, così arriva il giorno dei funerali e la donna accompagna la salma del marito al cimitero per la sepoltura;è una donna abituata agli agi ed infatti, mentre è in corso il corteo funebre, ecco che un amico di famiglia, molto ricco, le fa delle avance e lei accetta di sposarlo…
–Quinto episodio,”Amateur night”
Una donna morigerata,Maria Teresa, onesta e dedita alla famiglia, scopre casualmente che suo marito la tradisce.Sconvolta, decide di rendergli pan per focaccia e si unisce ad un gruppo di prostitute.Ma tra queste c’è un protettore che percuote suo marito, allora lei ne prende le difese scoprendo che vuol bene ancora a suo marito.
–Sesto episodio,”Una sera all’Opera“.
Una moglie ricca e viziata tenta i tutti i modi di evitare che una sua conoscente usi per la prima di una serata all’opera un vestito identico al suo
–Settimo episodio,”La Super Simone“.
Simone è la bella moglie di uno scrittore di successo;poichè suo marito ha creato un personaggio del quale lei è fondamentalmente gelosa decide di assomigliarle in tutti i modi, creando situazioni di imbarazzo, paradossali a tal punto da essere presa per pazza.
Le sceneggiature ad episodi sono da sempre un terreno minato, sopratutto quando nel breve arco di un’ora e mezza bisogna condensare troppi elementi, come storie con un minimo di credibilità o almeno paradossali con senso della misura,ironia, umorismo ecc.
Al film di De Sica manca il ritmo, un collante che unisca in qualche modo le varie storie o quanto meno un filo comune; si sorride in alcuni tratti, per la maggior parte del film si assiste impassibili a sequenze poco affascinanti e coinvolgenti.
L’unico episodio che in qualche modo si stacca dagli altri è quello del funerale, amaro e grottesco ma il resto del film sembra un esercizio diligente di stile e null’altro.
Ed evidentemente così devono averla pensata gli spettatori di mezzo mondo che, attratti dal nome del regista e dai nomi dei protagonisti affollarono i primi giorni della proiezione, salvo poi spandere la voce che la pellicola stessa non aveva alcuna dote particolare per cui meritasse una visione.
L’accoglienza freddissima della critica fece il resto con il risultato che la pellicola praticamente scomparve a breve tempo dai circuiti cinematografici.Vittorio De Sica dovrà attendere l’anno successivo, il 1968, per tornare ai livelli abituali,con il discreto Amanti prima di ritornare ad essere il grande regista che tutti noi conosciamo con il successivo I girasoli, nel quale ricostituisce la coppia Mastroianni-Loren e sopratutto con Il giardino dei dei Finzi Contini che gli valse il quarto Oscar della sua bellissima e indimenticabile carriera.
Sette volte donna va considerato come un film “divertissement” o come una pausa in una carriera straordinaria, sia come regista che come attore di Vittorio De Sica, uno dei padri del cinema italiano.
Per quanto riguarda il cast, l’unica presente in tutti gli episodi è Shirley Mc Laine, bella e adorabile ed è la sua presenza a salvare la pellicola da un grigiore altrimenti totale.
Tutti gli altri sono solo delle comparse, nonostante i grandi nomi.
Un film di Vittorio De Sica. Con Shirley MacLaine, Vittorio Gassman, Anita Ekberg, Rossano Brazzi, Michael Caine, Peter Sellers, Elsa Martinelli, Lex Barker, Alan Arkin, Judith Magre, Catherine Samie, Philippe Noiret, Robert Morley, Elspeth March, Clinton Greyn, Patrick Wymark, Adrienne Corri Titolo originale Woman Times Seven. Film a episodi, durata 95′ min. – USA 1967
Shirley MacLaine: Paulette / Maria Teresa / Linda / Edith / Eve Minou / Marie / Jeanne
Elspeth March: Annette – episode ‘Funeral Procession’
Peter Sellers: Jean (segmento “Funeral Procession”)
Rossano Brazzi: Giorgio – episode ‘Amateur Night’
Laurence Badie: Prostituta – episode ‘Amateur Night’
Judith Magre: Bitter Thirty – episode ‘Amateur Night’
Catherine Samie: Jeannine – episode ‘Amateur Night’
Zanie Campan: episode ‘Amateur Night’
Robert Duranton: Didi – episode ‘Amateur Night’
Lex Barker: Rik – episode ‘Super Simone’
Elsa Martinelli: Pretty woman – episode ‘Super Simone’
Robert Morley: Dr. Xavier – episode ‘Super Simone’
Jessie Robins: Marianne, Edith’s Maid – episode ‘Super Simone’
Patrick Wymark: Henri (segmento “At The Opera”)
Michael Brennan: (segmento “At The Opera”)
Adrienne Corri: Mme. Lisiere (segmento “At The Opera”)
Alan Arkin: Fred (segmento “The Suicides”)
Michael Caine: Handsome Stranger (segmento “Snow”)
Anita Ekberg: Claudie (segmento “Snow”)
Philippe Noiret: Victor (segmento “Snow”)
Clinton Greyn: MacCormack – episode ‘Two Against One’
Georges Adet: Old Man (segmento “Snow”) (non accreditato)
Jacques Ciron: Féval (segmento “At The Opera”) (non accreditato)
Vittorio Gassman: Cenci – episode ‘Two Against One’ (non accreditato)
Jacques Legras: Salesman (segmento “Snow”) (non accreditato)
Roger Lumont: Nossereau (segmento “At The Opera”) (non accreditato)
Regia Vittorio De Sica
Sceneggiatura Cesare Zavattini
Produttore Arthur Cohn
Produttore esecutivo Joseph E. Levine
Casa di produzione Joseph E. Levine Productions
Fotografia Christian Matras
Montaggio Teddy Darvas, Victoria Spiri-Mercanton
Musiche Riz Ortolani
Costumi Marcel Escoffier
Trucco Georges Bouban, Alberto De Rossi
L’opinione di atticus dal sito http://www.filmscoop.it
Lo promuovo controvoglia, solo perché Shirley MacLaine è a dir poco fantasmagorica. In realtà il film mi è sembrato un campionario di occasioni mancate: con un’attrice simile come protagonista, con un tale cast di supporto e con la premiata coppia De Sica-Zavattini fuori le scene, il risultato sarebbe dovuto essere ben altro che questo scialbo collage di barzellette senza vita.
Il primo segmento, con Shirley vedova (in)consolabile, è senz’altro il peggiore, si fa notare quello in cui interpreta una hostess fissata per l’esistenzialismo che stuzzica un eccitatissimo Gassman, o quello in cui cerca di dimostrare il proprio amore al marito scrittore travestendosi dalle sue eroine e venendo scambiata per pazza. Ma in generale il livello è piuttosto basso e il più delle volte si sorride solo grazie alla verve della protagonista.
Bellissime musiche di Riz Ortolani.
L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it
De Sica in regia e Zavattini in sceneggiatura: ragionevolmente ci si poteva aspettare di più. Un cast inernazionale stellare (Sellers e la Ekberg, Gassman e Noiret, Caine e ancora molti altri nomi famosi) che fa perno sulla protagonista unica di tutti e sette gli episodi, ovvero Shirley McLaine. Senz’altro tutti discreti i protagonisti, ma si tratta della classica disarticolata pellicola ad episodi – quasi tutti non sono che poco più di spunti – di quegli anni, seppure con un tentativo di lancio internazionale dell’operazione (peraltro non esattamente riuscito). Poco sotto la sufficienza, nel complesso.
L’opinione del Morandini
Sette aneddoti o novellette per un’attrice sola. Il migliore l’ultimo, con M. Caine, è quello della signora che si crede seguita da un corteggiatore innamorato e timido mentre è un investigatore incapace, sguinzagliato dal marito geloso. Festival personale di S. MacLaine che era allora l’attrice più completa di Hollywood. L’incontro con De Sica-Zavattini avrebbe dovuto dare frutti più sostanziosi.
L’opinione di Guru dal sito http://www.davinotti.com
La camaleontica Shirley MacLaine elabora sette figure femminili, diverse tra loro per ceto sociale e cultura, con l’intento di mostrare le reazioni, gli istinti repressi e le insoddisfazioni sviluppate nei confronti del maschio predominante. Ma anche la competizione tra il gentil sesso non viene risparmiata di fronte ad argomenti molto appetibili come… il modello esclusivo di un abito da sera. La grande personalità della protagonista ripaga della carente sceneggiatura di Zavattini.
Gli occhi azzurri della bambola rotta
Un ex detenuto sta facendo autostop per recarsi in un piccolo paese di montagna in Francia.
E’ Gilles,che ha deciso di rifarsi una vita e ricominciare da zero la sua esistenza.
Il villaggio in cui approda Gilles è, come tutti i piccoli centri, arroccato dietro la difesa dei piccoli privilegi personali e nessuno sembra essere disposto ad offrire un’opportunità all’uomo,sopratutto alla luce del suo burrascoso passato.
Tutti tranne Claude.
La donna, invalida ad una mano, decide di assumerlo come uomo tuttofare ed impiegarlo nella sua villa dove vive con le sue due sorelle;Nicole, la prima, è una donna con problemi legati ad una ninfomania irrefrenabile mentre la seconda, Yvette, vive su una carrozzella assistita dal medico condotto del paese e da una infermiera.
L’arrivo di Gilles è accolto di cattiva grazia da Renè, l’uomo che precedentemente si occupava della villa, mentre in paese accade qualcosa di grave.
I cadaveri di tre donne vengono recuperati, tutti con lo stesso tratto identificativo, ovvero la mancanza degli occhi; le tre donne avevano in comune il fatto di essere bionde e di avere gli occhi azzurri.
I sospetti ovviamente convergono su Gilles,l’ultimo arrivato e con la fedina penale sporca,il quale ha avuto problemi con Renè al punto di aver tentato di ucciderlo.
L’ispettore Pierre è convinto che il misterioso assassino altri non sia che Gilles,il quale dal canto suo ha allacciato una relazione con Claude, seguita con attenzione da Nicole, che dal’alto della sua malattia vorrebbe aggiungere Gilles alla sua vasta collezione di amanti.
Tra Claude e Nicole nasce così una rivalità accesa, troncata dall’improvvisa morte di Nicole, che viene rinvenuta cadavere;sembrerebbe un altro assassinio imputabile al misterioso killer, ma in questo caso alla donna non sono stati tolti gli occhi.
Gilles, braccato dalla polizia, completamente innocente dei delitti che gli vengono imputati viene ucciso a colpi di pistola,proprio sotto gli occhi di Claude, la sua amante.
Ma nel frattempo accade qualcosa che dimostrerà l’innocenza di Gilles.
La giovane Caroline, l’infermiera addetta alle cure di Yvette, al terza sorella, viene aggredita dal misterioso assassino e riesce a rifugiarsi, benchè ferita, nell’ambulatorio del dottor Philippe.
Il misterioso killer rivela così la sua identità:si tratta proprio di Yvette, che in realtà non è affatto affetta da paralisi;al culmine di una lotta senza tregua, Yvette uccide Caroline, prima di soccombere ad un colpo letale di coltello inferto da un’altra figura misteriosa….
Ovviamente non vado oltre nell’analisi della trama per non rivelare quello che sarà l’ultimo colpo di scena di Gli occhi azzurri della bambola rotta,film oscillante tra il thriller e l’horror diretto nel 1973 da Carlos Aured,che porta sullo schermo una sceneggiatura di Paul Naschy, uno degli interpreti del film.
Un giallo o thriller o horror che dir si voglia povero allo stesso tempo di idee e di qualità registiche, visto l’andamento ondivago della trama, lacunosa in molti punti e che ha l’unico merito di rendere così molto difficile la comprensione dell’identità del killer.
I colpi di scena finali arrivano a conclusione di un film che fino a quel momento si è distinto principalmente per la grossolanità degli effetti usati, oltre che per una certa sciatteria generale dovuta alla mancanza probabilmente di soldi per costruire un impianto più solido e meno artefatto.
Lo stile di Aured mostra evidenti tributi al giallo di casa nostra, con la differenza non da poco di ricalcare le trame argentiane tanto in voga nel nostro paese con scarsa mano e ancor più scarsa abilità.
Il film è rozzo, va a scatti, mostra più di un tributo a Gatti rossi in un labirinto di vetro, sopratutto nell’idea di rendere protagonisti del film dei cadaveri privi di occhi, estirpati al solito da un pazzo assassino.
A ben vedere gli assassini sono due e questo dovrebbe creare suspence ma in realtà, alla luce del finale assolutamente incoerente e mal girato si può parlare di classica ciliegina sulla torta che rovina però una torta dal retrogusto amaro.
Los ojos azules de la muñeca rota, tradotto letteralmente dai nostri distributori in Gli occhi azzurri della bambola rotta non ha alcun pregio e una volta tanto vede anche un buon attore come Paul Naschy, che interpreta Gilles barcollare per tutto il film in una interpretazione assolutamente incolore.
Molto meglio Dyana Loris, Eva Leon e Ines Morales, le interpreti femminili del film mentre un punto a favore è la location montanara del film; brutte le musiche per un film decisamente in tono minore e tranquillamente evitabile.
Non ho trovato traccia in rete di una versione italiana del film, per cui per vederlo occorrerà una ricerca sui p2p.
Gli occhi azzurri della bambola rotta
regia di Carlos Aured, con Paul Naschy, Dyana Loris, Eva Leon, Antonio Pica, Ines Morales, Pilar Bardem, Thriller/Horror Spagna 1973
Paul Naschy: Gilles
Diana Lorys: Claude
Maria Perschy: Yvette
Antonio Pica: ispettore Pierre
Eduardo Calvo: dottor Philippe
Eva Leon: Nicole
Pilar Bardem: Caroline
Luis Ciges: Renè
Ines Morales: Michelle
Sandra Mozarowsky: turista
Regia Carlos Aured
Soggetto Paul Naschy, Carlos Aured
Sceneggiatura Francisco Sànchez
Produttore esecutivo Josè Antonio Pérez Giner
Montaggio Francisco Sànchez
Effetti speciali Manuel Gòmez
Musiche Juan Carlos Calderòn
Scenografia Andrés Gumersindo
Costumi Humberto Cornejo
Trucco Miguel Sesé
L’opinione del sito http://www.exxagon.it
Giallone-thrillerone iberico con titolaccio pazzesco che promette benissimo. Ma non mantiene. Sotto l’egida del killer di nero guantato, che è di argentiana memoria, Carlos Aured prova a dire la sua a riguardo e, ad essere clementi (cosa facile per un appassionato del genere) in parte ci riesce, tranne che per un macroscopico difetto: una colonna sonora così scarsa da demoralizzare anche un audioleso. Vengono utilizzate sostanzialmente due brani musicali: uno e un motivetto tipicamente settanta per nulla sinistro che viene insensatamente sovrapposto alle scene più tese, tagliando le gambe all’effetto delle scene stesse. L’altro pezzo musicale è un arrangiamento di “Fra Martino” che viene utilizzato per dare una misura della degenerazione mentale del killer (Argento docet). Un pezzo musicale peggio dell’altro. Aured comunque s’impegna per cercare di replicare la lezione italiana, fra traumi psicologici, sessualità maniaca, spiegone finale e un’atmosfera quasi accettabile, resa però indigesta da scivoloni in melò. Il film, tra l’altro, non permette di scoprire chi sia il vero colpevole perché omette dei particolari necessari a intuirne l’identità, semplicemente crea una serie di false piste, compreso ovviamente il protagonista Gilles con il suo passato burrascoso. E qui si apre il capitolo Paul Naschy, al secolo Jacinto Molina, la vera mente pensante dietro Gli Azzurri Occhi della Bambola Rotta. Naschy non solo scrive la sceneggiatura (insieme al regista) ma si ritagli anche il ruolo principale del macho circondato da donne, in realtà un tarchiato latin lover dall’interpretazione discretamente abborracciata. Lui però si sente bello e le donne sotto contratto devono stare al gioco. Non manca un po’ di splatter (globi oculari per coerenza col titolo), così come di fatto l’inutilmente crudele ripresa della macellazione di un maiale. Rocambolesco finalone multiplo la cui soluzione rammenta il classico Occhi senza Volto (1960). Film per appassionati del genere, o per chi voglia farsi qualche risata, perché Gli Occhi Azzurri della Bambola Rotta di materiale che mette allegria ne ha.
L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com
Rustica imitazione spagnola dei thriller italiani coevi, erra catatonica fra donne menomate e ambigue, assassinii trash con fiotti di sangue e pupille enucleate dalle orbite, flashbacks amatoriali e un po’ di sesso, per ridestarsi tardivamente in un finale tributario di Occhi senza volto. Buchi di sceneggiatura, attori scarsi (pessimo Naschy) e musiche insulse, dall’allegro Leitmotiv al metallico “Fra Martino” che scatena la follia omicida. Deprecabile e del tutto fuori luogo lo sventramento del maiale.
L’opinione di Deepred89 dal sito http://www.davinotti.com
Mediocre gialletto spagnolo. La regia e la fotografia non sono nemmeno cattivissime ma la storia è lentissima ed accumula vari finali uno meno convincente dell’altro. Il protagonista Paul Naschy poi è imbronciatissimo e il resto del cast, pur non essendo completamente indegno, non fa nulla per farsi ricordare. Inoltre l’erotismo latita (nessuna scena di nudo) e anche il sangue è piuttosto limitato. Tremenda colonna sonora, con musichette in stile Gameboy e un delirante remix di “Fra Martino” (!) durante gli omicidi. Solo per appassionati.
L’opinione di Stefania dal sito http://www.davinotti.com
Il difetto è proprio la confezione, veramente sciatta e opaca, perché la storia non sarebbe male, e un certo indizio subliminale sull’identità dell’assassino è suggerito con una certa grazia. Inoltre il potenziale morboso-orrorifico delle tre sorelle (la monca, la paralitica e la ninfomane) c’è, purtroppo la sceneggiatura non valorizza i personaggi. Banalissime le sequenze degli omicidi. Gli interpreti? Beh, Naschy aveva già dato pessima prova di sé ne Il mostro dell’obitorio:qui, nel ruolo del maschio concupito, fa peggio. Povero ma brutto!
Doppia coppia con regina
Prima di parlare di questo film riemerso dall’oblio dopo oltre quarant’anni, vorrei ringraziare pubblicamente un manipolo di utenti di You tube che da qualche giorno sta caricando in rete una serie di film assolutamente rari, dei quali si erano perse le tracce oppure esistevano in giro solo polverose VHS.
Film spesso rintracciabili solo in versioni mutile o registrate anni addietro da canali televisivi privati, che utilizzavano vecchi master graffiati e che ora sono invece disponibili in versioni perlomeno decenti, come il rarissimo La lunga spiaggia fredda,Due occhi per uccidere oppure Crema cioccolato e paprika e molti altri.
Questa opera meritoria, spesso ostacolata dai regolamenti ottusi di You tube e dalle leggi sul diritto d’autore, andrebbe incentivata alla luce del fatto che spesso si tratta di opere datate,risalenti a oltre 40 anni addietro e quindi dal valore commerciale prossimo allo zero. Da oggi in poi,spero con buona frequenza,vedrò di aggiornare articoli e link presenti sul sito,visto che molti purtroppo sono stati cancellati.
Doppia coppia con regina,del quale fino a pochissimo tempo addietro esisteva solo una versione da videocassetta dalla qualità orrenda è riemerso improvvisamente grazie alla versione trasmessa da Rai Movie, probabilmente mutila di qualche minuto di pellicola, ma quantomeno accettabile dal punto di vista qualitativo; il film è oggi disponibile sul mulo, in una versione da 800 mega oppure in una versione molto meno compressa ai seguenti indirizzi:
https://ultramegabit.com/file/details/YZHxfMnI7cE/Dp72dvd.part1.rar
https://ultramegabit.com/file/details/1w6XjvZE8G0/Dp72dvd.part2.rar
https://ultramegabit.com/file/details/LKO5dqtF190/Dp72dvd.part3.rar
https://ultramegabit.com/file/details/Sxhm9LcG5WU/Dp72dvd.part4.rar
Veniamo al film vero e proprio, diretto nel 1972 da Julio Buchs,conosciuto in Italia per aver diretto una giovanissima Romina Power in uno dei suoi primi lavori cinematografici,I caldi amori di una minorenne
Doppia coppia con regina è un giallo classico, che si ispira scopertamente ai film lenziani e in particolare,per quanto riguarda i tempi cinematografici e l’uso della tensione narrativa a Cosi dolce cosi perversa.
La trama è innestata sulle vicende di Josè, un giovane ambizioso che,stanco di fare il meccanico,realizza tutti i suoi risparmi ed arriva a Madrid, dove però per colpa di un suo amico, resta a secco economicamente.
Grazie alla bella fotografa Elisa,Josè riesce a sbarcare il lunario, vivendo con lei e diventandone l’amante;successivamente Josè conosce i coniugi Pablo e Laura, che diviene la sua amante.
La donna coinvolge Josè in un tentativo di omicidio ai danni del marito, che però riesce a scampare all’omicidio e ricatta Josè, costringendolo a sua volta a diventare il killer della moglie.Preso in una trappola mortale, Josè dovrà riuscire a districare l’intricato rebus…
Come dicevo, un giallo tradizionale, Doppia coppia con regina , non differente nella sostanza dalla miriade di prodotti simili che pullularono nelle sale cinematografiche per buona parte degli anni sessanta e settanta;la miscela è quella classica, fatta cioè di una trama non eccessivamente contorta, di situazioni di tensione legate a sprazzi di sottile erotismo.
Questo film non fa eccezione alla regola, tuttavia si caratterizza per l’uso misurato dell’eros e per una buona tensione che serpeggia nel film per tutta la sua durata.
Grazie ad un cast impeccabile, Buchs dirige un film dal buon andamento, senza sussulti ma anche senza grosse pecche;la presenza di due bellissime brave attrici come Marisa Mell e Patrizia Adiutori, di un ottimo Gabriele Ferzetti conferisce alla pellicola dignità e un certo valore mentre molto marginale è la presenza di Helga Linè.
Marisa Mell, all’apice della sua bellezza, replica il ruolo di femme fatale interpretato in tanti film simili a questo; la differenza è che questa volta non si spoglia o quasi per nulla, a differenza di Patrizia Adiutori che mostra qualcosa in più.Non male nemmeno Juan Luis Galiardo,interprete principale del film che caratterizza il personaggi di Josè in maniera efficace,restituendoci un personaggio credibile alle prese con una storia troppo più grande di lui.
Un film di discreta caratura,quindi, in cui a supplire ad una sceneggiatura vista altre volte e quindi non particolarmente affascinante c’è quanto meno un manipolo di attori che recita decentemente.
Da vedere.
Doppia coppia con regina
Un film di Julio Buchs. Con Gabriele Ferzetti, Marisa Mell, Helga Liné, Patrizia Adiutori, Manuel Alexandre, Eduardo Calvo Titolo originale Alta tension. Drammatico, durata 90 min. – Spagna 1972.
Marisa Mell … Laura Moncada
Gabriele Ferzetti … Pablo Moncada
Juan Luis Galiardo … José
Helga Liné … Choni
Patrizia Adiutori … Elisa Folbert
Regia:Julio Buchs
Sceneggiatura:Julio Buchs
Musiche:Gianni Ferrio
Fotografia:Mario Montuori
Montaggio:Gaby Peñalba e Antonietta Zita
Production Design :Piero Filippone
Costumi:Antonio Muñoz
L’opinione di Ilgobbo dal sito http://www.davinotti.com
Aitante e squattrinato playboy (un sosia di Marino Masè!) conosce una signora ricca e frustrata, che gli propone di faR fuori il marito… L’abusatissimo spunto narrativo, il look, le belle musiche loungeggianti di Ferrio ci portano in zona Lenzi, difatti citato. Tuttavia, pur nella convenzionalità d’insieme il film non è malaccio (e di congrua brevità): Ferzetti è bravo, Marisa è Marisa, e una sequenza soprattutto è costruita sapientemente. Sciattissimo invece il finale (esauriti i fondi?). Comunque guardabile.
L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com
Uno dei tanti discendenti de I diabolici di Clouzot, filtrato con le atmosfere di casa Lenzi, riserva ben poche sorprese e funge solo da ordinario tassello per completare un determinato sottofilone cinematografico, molto in voga in Italia e in Spagna tra fine Sessanta e primi Settanta; la Mell riesce comunque a trafiggere con la sua bellezza letale – contrapposta a quella più rassicurante dell’altrettanto venusta Adiutori – e Ferzetti con la consueta bravura e professionalità. L’optical irrompe nei titoli di testa e nel décor.
L’opinione di Ciavazzaro dal sito http://www.davinotti.com
Una Mell stupenda, perfettamente a suo agio nel suo ruolo di villian, Ferzetti perfettamente antipatico, il convincente Gallardo, un ottimo cast di contorno (Auditori, Linè) e un buon intrigo che pur non essendo originalissimo cattura ed offre una certa tensione (vedi la scena del tavolo “elettrico”), rendono il film molto interessante. Ottime le musiche. Per chi ama il genere sarà un’eccellente scelta.
L’opinione di Lucius dal sito http://www.davinotti.com
Un primo tempo all’altezza di Ritratto in nero: lui, lei, l’altro e un piano diabolico per disfarsi di un uomo con cui si vive controvoglia e di cui l’unica cosa che interessa e il potere. Ed ecco che entra in scena il playboy che vuole arrivare, pronto a tutto per questo. L’errore è che entrambi i coniugi si servono di lui e allora la cosa si complica. Dal sapore di Mystere (ovviamente a questo antecedente) una pellicola dignitosa, che anche se si perde un po’ nella seconda parte, resta un giallo scorrevole e interessante, con una soundtrack ottima.
L’opinione di Stefania dal sito http://www.davinotti.com
L’incipit è grande: Gallardo, provinciale inurbato, ha un carisma rozzo, un mix di ingenuità ed arrivismo che ne fanno un epigone non indegno di un certo… Midnight Cowboy! Anche il film nel suo insieme è sicuramente epigonico e derivativo (dal noir anni ’40 al giallo erotico-complottista lenziano), ma il ritmo narrativo è ottimo, stringato, senza indugi né compiacimenti, si gioca abbastanza a carte scoperte, questo va a scapito della suspence, ma non del divertimento. Ottima e inquietante la trovata del testimone cieco. Piacevole.
Marisa Mell
Helga Linè
Gabriele Ferzetti
Patrizia Adiutori
Le lobby card presenti nell’articolo provengono dal sito http://www.dbcult.com che ringrazio vivamente.
Volete essere sempre aggiornati sulle novità del sito?
Filmscoop è su Facebook: richiedetemi l’amicizia.
Il profilo è il seguente:
http://www.facebook.com/filmscoopwordpress.paultemplar
Il sesso della strega
Agghiacciante.
Non illudetevi, è un aggettivo che non serve a qualificare questo film come un film dell’orrore o come un thriller di caratura che tiene avvinti alla poltrona.
Siamo di fronte infatti ad uno dei film più scombinati, peggio realizzati e mal interpretati della storia del cinema italiano, un prodotto all’altezza di z movie ormai diventati leggenda come Incontri molto ravvicinati del quarto tipo,La bestia in calore o Un lupo mannaro contro la camorra, girato in tempi relativamente più recenti.
Il sesso della strega, distribuito all’estero con il titolo Sex of the witch, girato nel 1973 è opera dell’ineffabile Angelo Pannacciò, responsabile tra l’altro di aver diretto altre due brutture indescrivibili come Un urlo dalle tenebre (del quale ho già parlato) e Holocaust parte seconda: i ricordi, i deliri, la vendetta, altra bruttura inenarrabile.
Scoordinato,con una sceneggiatura scritta in pochi minuti e raffazzonata come poche, mal recitato e penalizzato ulteriormente da evidentissimi limiti di budget Il sesso della strega è la quintessenza di tutto quello che andrebbe evitato quando si dirige un film.
La storia è di una banalità imbarazzante e inizia attorno al capezzale di Sir Hilton, che sentendosi in prossimità della morte ha radunato i suoi discendenti, che in un lungo e tediosissimo monologo racconta spezzoni della sua vita e in ultimo confida di voler portare nella tomba il terribile segreto di famiglia.
L’uomo finalmente muore, con gran sollievo degli spettatori e subito dopo viene letto il testamento.
Tutti i beni di Hilton dovranno essere divisi tra i legittimi eredi fatta salva la parte destinata alla sorella Evelyn, che è la pecora nera della famiglia, in quanto odiava tutta la discendenza di Hilton.
Gli eredi credono di aver ereditato una fortuna ma in realtà hanno anche ereditato una vendetta;una mano misteriosa infatti semina la morte tra di loro.
Pannacciò, amante del gotico e delle storie a sfondo “magico” torna a rielaborare una sceneggiatura sullo stile del peraltro pessimo Un urlo dalle tenebre;lo fa nel modo peggiore, dimostrando che i maestri a cui si ispira, da Bava a Freda, non solo non gli hanno insegnato niente ma hanno avuto su di lui un influsso nefasto.
Non si contano infatti gli errori elementari nelle inquadrature, nella direzione del cast già di per se di un livello molto basso e sopratutto la mancanza assoluta della capacità di creare il colpo ad effetto, quel quid che innalzi almeno a tratti il livello del film.
Per di più, Pannacciò abbonda con l’erotismo, creando un effetto domino che trascina ancor più verso il basso il tutto; non avendo il senso della misura,il regista inserisce scene di nudo o di erotismo nei momenti topici della pellicola, con conseguenze a tratti anche esilaranti.
Basti vedere una delle sequenze iniziali, quella in cui il maggiordomo e una servetta si dedicano ad un amplesso nella cappella della villa, con primo piano del maggiordomo a cui la servetta pratica (evidentemente) una fellatio e in cui lo stesso sembra più in preda a spasmi intestinali che al piacere provocato dall’atto.
E si potrebbe proseguire a lungo con l’elenco delle nefandezze proposte:si guardi l’entrata in scena surreale dell’ispettore, una sorta di tenente Colombo con tanto di impeccabile impermeabile e sorriso idiota stampato sul volto, roba da far invidia a Jeff Blinn in Giallo a Venezia.
Insomma, per farla breve,un campionario difficilmente ripetibile di bestialità e orrori cinematografici.
Il cast è quanto di peggio si possa assemblare e include il solito Gianni Dei,dall’espressione ancor più sperduta del solito,Jessica Dublin ormai over 50 e Camille Keaton, nipotina del grande Buster in un piccolo ruolo che fortunatamente le impedisce di partecipare allo scempio.
Se qualcuno dovesse butrire dei dubbi su quanto esposto su, consiglio la visione del film all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=2JJGKL1fkLY La versione è decisamente bruttina ma è quanto di meglio circoli in rete.
Il sesso della strega
Un film di Elio Pannacciò. Con Susanna Levi, Assunta Liemezza, Jessica Dullin, Sergio Ferrero, Ferruccio Viotti, Gianni Dei, Jessica Dublin, Lorenza Guerrieri, Marzia Damon, Camille Keaton Thriller/Horror, durata 91 min. – Italia 1973.
Susanna Levi … Susan
Jessica Dublin … Evelyn Hilton
Sergio Ferrero … L’uomo di Ingrid
Camille Keaton … Ann
Franco Garofalo … Tony
Donald O’Brien …L’ispettore
Gianni Dei … Simon Boskin
Augusto Nobile … Edward
Maurizio Tanfani … Nath
Marzia Damon … Gloria
Irio Fantini … Assistent Inspettore
Ferruccio Viotti … Notaio
Giovanni Petrucci Johnny
Annamaria Tornello … Ingrid
Regia:Angelo Pannacciò
Sceneggiatura:Angelo Pannacciò
Musiche:Daniele Patucchi
Fotografia:Maurizio Centini,Girolamo La Rosa
Montaggio:Marcello Malvestito
Art Direction:Egidio Spugnini
Costume Design :Osanna Guardini
L’opinione del sito http://www.exxagon.it
L’incipit l’ho trovato interessante: questo moribondo circondato dai parenti e ripreso con un grandangolo che deforma l’immagine e la sua voce che pontifica sulla vita, la morte e i “morti-viventi”, con le parole scritte dallo sceneggiatore Franco Brocani (quello di Necropolis, 1970, e si capiscono tante cose…). Anche il tema musicale di Patucchi non mi è parso malaccio. Quindi, sempre nel bel mezzo di quel diluvio di parole, una bara, e due che scopano vicino ad essa. Niente male. Poi il film inizia davvero e sono guai. Il Sesso della Strega è un film di Pannacciò (è non ci si può sbagliare perché ce lo stampa a tutto schermo in titoli da fumetto), lo stesso dietro ad ineffabili lavori quali Porno erotico western (1979) e Un urlo nelle tenebre (1975). L’idea sarebbe quella di mescolare giallo ad horror soprannaturale e spolverare tutto con diverse scene di sesso che non guastano mai, ma il risultato ottenuto da Pannacciò è sotto il livello della decenza soprattutto per la noia abissale che sprigiona da questo whodunnit pecoreccio con grandi primi piani sugli occhi abborracciati dei protagonisti. E’ la noia che proprio non si può perdonare perché con brutture, sciatterie e illogicità ci si potrebbe anche divertire ma con la noia no. Gianni Dei, al secolo Gianni Carpanelli, nei panni del segretario amante del defunto non ci fa una bella figura (non che altrove…) e così il Donald O’Brien nei panni di un ispettore decisamente incompetente. Curiosa la partecipazione di Camille Keaton che cinque anni dopo diventerà famosa (più o meno) come protagonista dello shock exploitation Non Violentate Jennifer. Il finale del film proprone una soluzione dell’enigma quantomeno assurda però si sà, il paranormale… Invece riguardo il sesso così così, anche perché Pannacciò non è un maestro dell’eros, ma non escludo che possano esserci stati dei tagli. In più, grande delusione perché sul dizionario di Giusti si dice: “L’ultima scena del film si chiude sul sesso della strega esibito in primo piano, ben divaricato”. Giusti sì che è un maestro dell’eros perché solo a leggere mi ero galvanizzato e invece salta fuori che si tratta di una con delle orribili mutande blu. Vatti a fidare. Sconsigliato. Fidatevi.
L’opinione del sito http://www.horrormovie.it
(…) Per la serie “al brutto non c’è mai limite” eccoci di fronte a “Il sesso della strega”, titolo ad effetto per uno dei più scombinati e brutti thriller a tinte paranormali che la cinematografia italiana abbia prodotto negli anni ’70.
Il nostro cinema di genere tra gli anni ’60 e ’70 ha raggiunto vette altissime aggiungendo ottimi film su ottimi film. Registi del calibro di Mario Bava, Dario Argento, Lucio Fulci, Riccardo Freda e Antonio Margheriti, solo per fare i nomi dei più celebri, hanno donato all’immaginario collettivo cinematografico veri gioielli mai più eguagliati dalle produzioni nostrane. Ma c’era anche un sottobosco di registi che si barcamenavano tra l’horror, l’erotico e chissà cos’altro che rappresentavano il lato oscuro di questa armoniosa combriccola di “Grandi nomi”, artigiani con non troppo talento che coglievano al balzo il filone in voga del momento e davano vita a discutibili Il Sesso della Stregalungometraggi che oggi vengono venerati come autentici “scult”. Tra i tanti sicuramente Angelo (in arte Elo) Pannacciò è uno dei più rappresentativi, soprattutto per questo “Il sesso della strega”, un thriller di rara bruttezza che fonde insieme il gotico italiano, il giallo-thriller (in quel periodo al suo massimo grado di diffusione) e l’erotico.
Pannacciò, autore anche della sceneggiatura insieme a Franco Brocani, aveva uno spunto interessante e soprattutto originale su cui lavorare: la magia (mista alla scienza) utilizzata per il cambiamento di sesso di un individuo. Purtroppo questo spunto non viene affatto approfondito e l’intera sceneggiatura appare troppo sconclusionata, composta da pochi eventi che si inseriscono nella narrazione spesso senza un vero nesso logico. Inoltre lo stesso autore non sembra avere le idee troppo chiare su quale genere ripiegare, se sul thriller-horror o sull’erotico. Se infatti la struttura è quella tipica del thriller, con tanto di omicidi all’arma bianca e killer misterioso da smascherare, non viene mai enfatizzata la suspense e gli stessi omicidi sono coreografati in modo Il Sesso della Stregagoffo e sicuramente poco “spaventoso”. Invece il film abbonda di scene erotiche, focosi amplessi e frequenti nudi, spesso inseriti in modo molto gratuito, solo che, ahinoi, anche in questo caso Pannacciò fallisce e le sue scene non riescono a infondere un reale erotismo, dal momento che anche in questo caso abbiamo scenette impacciate, mal girate e spesso ridicole (praticamente ogni volta che entra in scena il maggiordomo erotomane).(…)
L’opinione di B.Legnani dal sito http://www.davinotti.com
Viene la tentazione, davanti a film indescrivibili come questo, di fare la lista delle cose involontariamente esilaranti. Mi limito all’ispettore, che indossa l’impermeabile “da ispettore” anche al momento della prima colazione, e all’ambulanza che, arrivando a sirene spiegate, viene a lungo impallata da un muretto. Il resto è in linea, compreso il pazzesco finale. Nomi britannici, ma targhe automobilistiche italianissime e ambientazione nell’Appennino Laziale. Il c.s.c. Irio Fantini ha vari primi piani: un po’ poco per salvare il film..
L’opinione di Ilgobbo dal sito http://www.davinotti.com
Scompiscevole guazzabuglio di Pannacciò con vago plot occultistico sulla scia di chissà quali turpitudini di famiglia nobile, mentre per lo più nipoti lubrichi si limitano a trombare tutti con tutti (nè è da meno la servitù, dove spicca un grande Franco Garofalo in versione Igor de’ noantri), su musiche da porno-soft di Patucchi. O’Brien, che al confronto nei western pare Henry Fonda, contende al Jeff Blynn di Giallo a Venezia la palma di poliziotto più ciula, spaventosissime le mises di Gianni Dei. Irredimibile
L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com
Sul lato tecnico non c’è nulla da fare, viste la regia esangue e la totale incuria di ritmo, montaggio, continuità e locations spudoratamente nostrane spacciate per anglosassoni. Il film di Pannacciò si guadagna la fama di cult per un soggetto all’insegna di un cinema bizzarro oggi estinto: una classica trama giallo-gotica a sfondo ereditario che si contamina con l’occultismo e la fantascienza delle mutazioni genetiche, nonché con frequenti intermezzi sexploitation e musiche stranianti. Argentiano l’omicidio con la mazza. Gli attori? «Fantasmi grigi e smunti, persone di oggi e senza spessore».
L’opinione di Max92 dal sito http://www.davinotti.com
Chi si inerpica nella visione di questa pellicola da Olimpo del trash non nutre grandi aspettative. Ma Pannacciò è riuscito a superare se stesso, sciorinando allo spettatore un film di una bruttezza inusitata. Riprese amatoriali, interpreti allo sbaraglio più completo (Buster Keaton si starà rivoltando nella tomba nel vedere dove si era infognata la nipotina Camille) e scene di sesso di uno squallore indicibile (vedere la sfatta Dublin nuda, che comunque rimane recitativamente la migliore, è un’esperienza che lascia il segno). Titolo finissimo.
Volete essere sempre aggiornati sulle novità del sito?
Filmscoop è su Facebook: richiedetemi l’amicizia.
Il profilo è il seguente:
http://www.facebook.com/filmscoopwordpress.paultemplar
I giorni impuri dello straniero
Rimasta vedova per una strana malattia che le ha portato via il marito, Anne Osborne vive ora con il figlio adolescente Jonathan in una grande casa con vista sulla baia.
E’ sola Anne, consumata dal ricordo del marito; passa le sue serate in solitudine, struggendosi nel ricordo del marito e indulgendo ogni tanto all’autoerotismo sia per supplire alla mancanza di affetto, sia per calmare i sensi di giovane donna rimasta troppo presto sola.
Attraverso un buco nel muro, Jonathan ogni tanto spia la madre: non è l’unica stranezza di questo ragazzo, che si è anche legato ad una banda di pari età che propaganda una strana fede di ispirazione nazista e che chiede fedeltà assoluta.
Il capo infatti insegna loro l’ideale dell’ordine puro e perfetto della vita, un comportamento assolutamente subalterno verso quelle che sono le sue idee e principalmente l’obbedienza assoluta.
Una prova del controllo assoluto che il capo ha sui suoi adepti è l’ordine che da a Jonathan, di portargli cioè il gatto di casa che verrà crudelmente vivisezionato e gettato nella baia.
Un giorno nella baia approda il Belle, una nave che proviene dall’Asia; Anne conduce Jonathan con se ad una visita del Belle e qui i due conoscono Jim Cameron, un marinaio che influenza immediatamente madre e figlio.
Se Anne è attratta fisicamente e sentimentalmente da Jim, Jonathan vede in lui un uomo misterioso e affascinante, un vero e proprio eroe che in qualche modo supplisce nella fantasia del ragazzo alla mancanza del padre.
I rapporti fra i tre si stringono; Anne finisce per diventare l’amante di Jim mentre Jonathan si affeziona all’uomo suscitando però nel capo della banda un forte rancore verso il ragazzo.
Il capo infatti non tollera che qualcuno possa sminuire la sua autorità.
Nel frattempo Jim deve ripartire e la cosa lascia il vuoto nella vita di Anne.
I due tuttavia si mantengono in contatto per via epistolare e la vita sembra scorrere in una animazione sospesa:la donna attende con ansia e con amore il ritorno dell’uomo che ama mentre Jonathan è sempre più succube della banda.
Jim torna e l’amore tra i due scivola verso la conclusione naturale, il matrimonio.
Ma per Jonathan la cosa ha un effetto devastante.
E’ finita, volatilizzata l’aura di mistero che avvolgeva Jim, il mito si è dissolto e l’uomo appare al ragazzo come una persona qualsiasi e da questo momento le cose prendono una direzione imprevedibile e drammatica…
I giorni impuri dello straniero, bizzarro titolo italiano dato al film di Lewis John Carlino, regista e sceneggiatore di The Sailor Who Fell from Grace with the Sea è tratto dal romanzo di Il sapore della gloria di Yukio Mishima, del quale riprende l’impianto narrativo cambiandone però l’ambientazione.
Si passa infatti dal Giappone alle coste dell’Inghilterra, da Yokohama ad una zona non meglio specificata mentre cambiano anche le descrizioni delle personalità dei due protagonisti del film.
Infatti mentre il protagonista del romanzo,Ryuji Tsukazaki è un uomo che ha seri problemi di ambientazione fuori dal contesto in cui vive, la sterminata azzurrità del mare e ha grosse difficoltà nell’inserimento sociale sulla terraferma, Fusako Kuroda ,la vedova, ha una vita agiata ma solitaria un po come la Anne descritta nel film.Terzo personaggio della storia è Noboru Kuroda, adolescente, rimasto orfano di padre a 9 anni e diventato completamente succube delle teorie di Jefe, un personaggio anarcoide con velleità da capo che teorizza una vita scevra da compromessi, del tutto insofferente dei miti della società adulta.
Questi personaggi sono quindi portati da Carlino in Occidente, in un mondo e in una cultura completamente differenti; il regista sceglie consapevolmente di evitare l’aria fortemente erotica del romanzo a favore di un impianto cinematografico più sfumato, nel quale la parte preponderante è costituita proprio dalla storia d’amore tra Anne e Jim mentre parallelamente assistiamo alla nascita dell’asocialità di Jonathan e dei suoi amichetti, allo sviluppo di un complesso edipico del ragazzo e infine, nella parte più drammatica della pellicola, alla decisione di eliminare fisicamente il povero Jim, reo di aver in qualche modo tradito l’ideale di Jonathan che vede Jim come uomo scevro dai compromessi tipici del mondo degli adulti.
Il film scorre tutto su questo doppio binario.
La parte sentimentale del legame fra i due adulti si contrappone fatalmente al perverso mondo di Jonathan e dei suoi amici; carlino dedica molto tempo, forse troppo, al legame tra Anne e Jim, alla loro storia d’amore, semplificando all’osso le motivazioni che spingono Jonathan ad allontanarsi da Jim, da quell’uomo e da quella amicizia che il ragazzo sente venir meno per motivi però che nel film restano solo abbozzati.
Film che tuttavia resta in buon equilibrio sino alla fine, quando il dramma si compierà e una volta tanto la tragedia soppianterà il tradizionale happy end di molte commedie sentimentali.Il dramma è in agguato e si staglia netto contro le immagini idilliache della baia, tra tramonti romantici e sogni di un futuro che per Anne e Jim non ci sarà mai.
In conclusione, un buon film, con un andamento oscillante che però tiene; a parti noiose il regista alterna momenti di macabra suspence immergendo il tutto in splendidi paesaggi naturali.Il cast è fondamentalmente di contorno ai tre personaggi principali, ovvero Anne interpretata da una bravissima e inaspettatamente sexy Sarah Miles, un tenebroso Kris Kristtoferson nel ruolo di Jim e Jonathan Kahn, che interpreta con misura Jonathan.
Un film davvero raro nella versione italiana; non ho trovato nulla in rete ne in streaming ne in download mentre è presente in una bella e vivida riduzione in divx da digitale sui p2p
I giorni impuri dello straniero
Un film di Lewis John Carlino. Con Kris Kristofferson, Sarah Miles, Jonathan Kahn Titolo originale The Sailor Who Fell from Grace with the Sea. Drammatico, durata 104′ min. – Gran Bretagna 1976
Sarah Miles: Anne Osborne
Kris Kristofferson: Jim Cameron
Jonathan Kahn: Jonathan Osborne – Numero Tre
Margo Cunningham: Mrs. Elizabeth Palmer
Earl Rhodes: Capo – Numero Uno
Paul Tropea: Numero Due
Gary Lock: Numero Quattro
Stephen Black: Numero Cinque
Regia Lewis John Carlino
Soggetto Yukio Mishima
Sceneggiatura Lewis John Carlino
Fotografia Douglas Slocombe
Montaggio Antony Gibbs
Musiche Johnny Mandel
Scenografia Ted Haworth, Brian Ackland-Snow e Lee Poll
L’opinione del Morandini
Una giovane donna inglese ha una relazione con un amabile marinaio. Con l’aiuto di quattro compagni, il geloso figlio adolescente, succubo di un morboso amico, castra l’intruso con un complicato rito macabro. La vicenda di Gogo no eiko (Il sapore della gloria), romanzo accesamente erotico del giapponese Yukio Mishima, è stata trasferita in una località costiera inglese. È un film diseguale, ma qua e là non privo di impressionante fascino macabro.
L’opinione di Buiomega 71 dal sito http://www.davinotti.com
Sinuoso e affascinante drammone, che mischia sottotese pulsioni incestuose, atmosfere echeggianti The wicker man, lontani sentori serradoriani della maladolescenza ferina e vendicativa. Bellissime location marinare, supportate dalla notevole fotografia di Douglas Slocombe e una certa morbosità che lascia il segno. A volte allucinato e febbrile, con alcuni momenti tediosi, ma crudele quanto basta per farsi apprezzare. Insopportabile la canzone cantata da Kris Kristofferson. Comunque da recuperare e da rivalutare. Buona la regia di Carlino.
L’opinione di Lucius dal sito http://www.davinotti.com
Ha un figlio perverso ma stenta a crederlo, perchè ogni scarrafone è bello a mamma soja. Il regista si concentra su questi, analizzandone la morbosa psicologia, il resto è ordinaria vita di coppia. Una pellicola curiosa incentrata sul piccolo saccentone che si crede adulto e agisce da adulto, ma con una mentalità deviata. Sprazzi di macabro aleggiano per tutta la durata. Il rientro nella normalità non è sempre facile.
L’opinione del sito http://www.cinemaepsicoanalisi.com
Il regista trasferisce il romanzo Il sapore della gloria di Yukio Mishima sulla costa inglese e dirige una pellicola a doppia velocità: anonima e piatta quando narra la sdolcinata storia d’amore tra Anne e Jon ed inquietante ogni qual volta entrano in campo Jonathan e gli altri componenti della setta segreta. Il regista ci mostra in più occasione come il loro piccolo capo, un ragazzino despota ed autoritario li maltratta e li umilia, li chiama per numero ed al loro minimo accenno di ribellione, minaccia di degradarli. Nel corso degli incontri il capo espone loro le sue farneticanti elucubrazioni e, per dimostrare che occorre arrivare sempre al centro delle cose, dopo aver avvelenato un gatto, lo disseziona chirurgicamente e gli estrae il cuore. Il regista lascia sullo sfondo i motivi che spingono Jonathan ad uccidere così crudelmente Jon e, l’atmosfera raggelante che circonda l’ignaro Jon, mentre beve del thè avvelenato, contrasta con lo splendido panorama che fa da scenario al macabro omicidio.
“Dormi bene, caro.”
La madre chiuse a chiave dall’esterno la camera di Noboru. Chissà cosa pensava di fare nel caso fosse scoppiato un incendio: certo, si riprometteva di riaprirla subito. E se, a causa del calore, il legno si fosse ingrossato e la vernice fosse colata nella toppa della serratura? Scappare dalla finestra? Ma il terreno di sotto era lastricato e il secondo piano di quella casa allampanata disperatamente alto.
Tutta colpa sua, di Noboru. Era sgattaiolato fuori di notte, istigato dal “capo”, di cui non aveva voluto rivelare il nome.
Quella casa di Yokohama – l’indirizzo preciso era: Nakaku, Yamatemachi, Yatozakaue – era stata costruita dal padre e poi rimodernata dalle forze d’occupazione americane che l’avevano requisita: ogni camera del secondo piano aveva uno stanzino da bagno, cosicchè essere rinchiuso in una di esse non era poi tanto scomodo. Ma per un tredicenne, diventava un’umiliazione tremenda.
Yukio Mishima
Confessioni proibite di una monaca adolescente
La giovane Maria, un’adolescente contadinella che vive in un paese del Portogallo in un anno imprecisato del Rinascimento, viene sorpresa da padre Vicente mentre ha un casto dialogo con il fidanzatino, un giovane del luogo.
Padre Vicente, affascinato dalla bellezza virginale della ragazza, convince la madre di quest’ultima ad affidargli Maria per portarla in un convento, onde salvarle, a sua detta, la morale e l’anima.
L’uomo in realtà intende sottoporre la ragazza a pratiche demoniache; nel convento dove viene reclusa la ragazza infatti vengono praticate ogni sorta di nefandezze, oltre alla pratica sfrenata della lussuria.
Unioni carnali promiscue, amplessi lesbici e persino unioni con il demonio sono le pratiche quotidiane del convento;così maria si trova a dover sperimentare il tutto, in un’atmosfera corrotta e lasciva.
Dopo aver tentato la fuga ed esser stata ripresa, Maria diventa per la Badessa e per il corrotto padre Vicente una testimone scomoda delle perversioni e degli atti abominevoli che si consumano nel convento e viene quindi inviata davanti all’inquisizione per essere giudicata per gli atti che in effetti è stata costretta a subire.
La ragazza, sottoposta a tortura, ovviamente confessa tutto, senza dimenticare di accusare di tutto i diablici complici;ma ovviamente le sue parole restano inascoltate.
Condannata ad essere bruciata viva sul rogo, Maria scrive un’ultima lettera nella quale racconta con amarezza le sue vicissitudini e la fa volar via dalla cella nella quale è rinchiusa.
Mentre sta salendo sul rogo, l’esecuzione viene improvvisamente interrotta: è accaduto infatti che….
Love letters of a portuguese nun, titolo internazionale originale di questo film di Jesus Franco diretto dal regista spagnolo nel 1977 e distribuito in Italia con il titolo di Confessioni proibite di una monaca adolescente, quasi a sottolinearne l’inquadramento nel filone nunsploitation che aveva conosciuto qualche notorietà grazie ad una serie di pellicole girate all’interno di conventi, come La badessa di Castro, Le monache di Sant’Arcangelo ,Confessioni segrete d’un convento di clausura o ancora Storia di una monaca di clausura,Le scomunicate di san Valentino ricorda molto da vicino il Justine diretto dalla stesso Franco qualche anno prima, sia per la presenza come protagonista di un’adolescente virginale traviata da un corrotto sacerdote sia per l’ambientazione conventuale a tratti sacrilega e blasfema.
L’interno del convento nel quale viene infatti condotta la sventurata Marie è un ricettacolo di tutte le peggiori nefandezze possibili, cosa che avevamo già visto nel Justine, ispirato in larga parte all’opera del Marchese De Sade.
La protagonista, Marie, passa attraverso l’abisso delle perversioni in cui la trascina il malefico Padre Vicente senza perdere però la sua virtù fondamentale, il candore che l’accompagnerà fino al rogo, al quale scamperà per un fortuito accadimento.
Jesus Franco non sfugge ovviamente al copione tipico dei nunsploitation, limitandosi a cambiare solo qualche particolare ai canoni del genere;generalmente la vittima predestinata era una ragazza di buona famiglia messa in convento per svariati motivi e qui, sistematicamente,doveva fare i conti con un ambiente corrotto e retto da Badesse più simili ad indemoniate che a pie religiose.In questo film invece la sventurata protagonista è una contadinella.
Film poco più che dignitoso, in cui Franco non spinge l’acceleratore sulle scene piccanti o almeno limitando il tutto all’ambito softcore;da dimenticare la sequenza con l’arrivo del Principe delle tenebre, maldestramente interpretato da un tipo che sembra uscito da uno z movie con cappellino rosso e qualcosa di simile a un corno frontalmente. Molto carina invece la protagonista,Susan Hemingway:
l’attrice spagnola (suo vero nome Maria Rosalia Coutinho) girerà un totale di sette film, tutti diretti da Jesus Franco senza però veder mai decollare la sua carriera. Nel ruolo del demoniaco padre Vicente troviamo una vecchia conoscenza, William Berger, che fa il suo senza sbavature.
Vero punto di forza del film è la fotografia dagli splendidi colori, opera di Peter Baumgartner, un direttore della fotografia specializzato in erotici.
Il film è stato editato in digitale con traccia italiana,tuttavia sono riuscito a trovare solo la versione disponibile su You tube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=mXO1J4QI0Ps, rigorosamente in lingua inglese.
Confessioni proibite di una monaca adolescente
Un film di Jesus Franco. Con William Berger, Susan Hemingway, Herbert Fux, Isa Schneider, Dagmar Burger Titolo originale Die Liebersbriefe einer portugiesischen Nonne. Erotico, durata 87 min. – Germania 1977.
Susan Hemingway: Maria Rosalia Coutinho
William Berger: Padre Vicente da Silva
Ana Zanatti: Madre Alma
Vítor Mendes: Antonio, il sindaco
Herman José: il principe Manuel Gonçalves
José Viana: il grande inquisitore
Victor de Sousa: segretario dell’inquisitore
Herbert Fux: il Demonio
Aida Vargas: Suor Juana
Aida Gouveia: Suor Antonia
Isa Schneider: Suor Josefina
Patricia da Silva: madre dell’Maria
Nicolau Breyner: segretario dell’principe
Regia Jesús Franco
Soggetto Jesús Franco (come Manfred Gregor)
Sceneggiatura Christine Lembach
Produttore Erwin C. Dietrich (Ascot, Cinemec)
Fotografia Peter Baumgartner
Musiche Walter Baumgartner
L’opinione di chribio1 dal sito http://www.filmtv.it
Film abbastanza sconosciuto ma molto sfrontato in fatto di sevizie e torture varie.
Dal punto di vista di trama e’ un po’ il solito tema Clerical-erotico ma in questo caso con streghe di mezzo ed il Diavolo a fare da corollario ad una discreta storia,resa con sufficienza in questa Pellicola dei ’70’s.
L’opinione di uomomite dal sito http://www.davinotti.com
Feuilleton messo in scena dal maestro Jesus Franco con mirabile eleganza (anche troppa per il pubblico “cafone” al quale l’opera era destinata). Una giovane novizia viene “corrotta” da una madre badessa e da un laidissimo domenicano, entrambi adoratori di lucifero. La sequenza del rituale collettivo durante il quale la verginità di Maria viene donata al signore delle tenebre è ritmata ed eccitante come un balletto di Lola Satana su musiche di Carlos Satana. Da brividi (ho avuto una breve ma intensissimo spasmo). Susan Hemingway è bellissima. Da vedere.
L’opinione del sito http://www.pensieriframmentati.blogspot.it
(…) Probabilmente il mio approccio con Franco è stato sbagliato, Confessioni proibite di una monaca adolescente non è nemmeno segnalato in alcune sue filmografie, e questo la dice lunga sull’importanza che si dà a questo film.
Ho avuto la fortuna di beccare un rippaggio da dvd, e quindi ho potuto “godere” della messa in scena che peraltro è discreta, dai costumi, alle ambientazioni barocche; certo che il film perde di ogni credibilità fin dall’inizio quando il prete acconciato alla Nino D’angelo dei tempi d’oro, si masturba durante la confessione della piccola Maria, il cui aggettivo “piccola” le calza a pennello data l’acerbità del suo corpo. Il film oscilla tra il b-movie ed il nunsploitation più becero pur non esagerando mai nei contenuti hard. Immagini di un convento (1979), per fare un esempio, è molto più spinto (ci sono scene di penetrazione); si precipita nel trash psichedelico, alla Polselli per intenderci, con l’entrata in scena del diavolo. (…)
Maddalena
Una Lisa Gastoni bella e sensuale, qualche paesaggio marino peraltro non particolarmente affascinante e una storia abbastanza improbabile di una passione cieca e incontrollata che porta una donna sposata e insoddisfatta a cercare in tutti i modi di sedurre un giovane prete di per se già alle prese con una vocazione traballante.
Questi gli scarni ingredienti sui quali Jerzy Kawalerowicz, regista polacco poco conosciuto in Italia, scomparso nel 2007,imbastisce una storia poco interessante incentrandola sul personaggio di Maddalena, classica moglie pruriginosa che cerca al di fuori del matrimonio di soddisfare le proprie pruderie in un crescendo di eccessi che la portano dapprima ad imbottirsi di alcool per poi passare alla trasgressione sessuale
La vita dissoluta però crea anche dei problemi psicologici nella donna, che si rende conto di essere avviata verso l’abisso della perdizione; conosciuto un giovane sacerdote ad una festa, la donna, colpita dalla genuinità dell’uomo, decide di affidarsi spiritualmente all’uomo.
Così Maddalena inizia un percorso di redenzione che però ben presto si trasforma in un’autentica ossessione.
Il giovane prete è turbato da quella donna magneticamente sensuale e starebbe quasi per cedere; tuttavia quando vede Maddalena concedersi ad un pescatore, riesce a tirarsi indietro; nel frattempo vediamo attraverso dei flashback Maddalena assistere impassibile alla morte del marito, durante un incidente stradale nel quale i due coniugi restano coinvolti.
Maddalena prosegue la sua opera di seduzione nei confronti del prete fino al drammatico finale: su una spiaggia sulla quale i due si sono incontrati ….
Girato da Kawalerowicz nel 1971, Maddalena è un film senza anima che parte con un vizio capitale: quello di non avere il coraggio di approfondire le due personalità attorno alle quali si sviluppa il film, una specie di tragedia che ha un andamento saltellante.
Momenti tutto sommato felici si alternano a parti decisamente inutili o prive di un senso compiuto.
La figura della dissoluta Maddalena appare guidata solo da un istinto primario di soddisfazione dei sensi, mentre il personaggio del sacerdote, la sua crisi vocazionale e i suoi dubbi sono lasciati, man mano che la pellicola scorre, all’intuizione dello spettatore.
Gioca contro anche l’uso perseverante del rallenty, del flash back e la scarsa attitudine del regista ad andare oltre l’epidermide della storia.
In pratica, manca il coraggio.
Il coraggio di indagare sui sentimenti di Maddalena e del prete, sulle loro vere motivazioni, sulle loro crisi spirituali;tutto invece finisce per assumere un’aria morbosa nella quale annaspano le due figure.
Per fortuna Lisa Gastoni, attrice di razza e splendida e sensuale donna, riesce a tenere a galla il tutto, grazie alla sua aria inquietante e ad una interpretazione volitiva, che lascia intuire i lati oscuri della personalità di Maddalena, altrimenti mossa da sentimenti poco comprensibili.
Piatta la recitazione di Eric Woofe, il giovane prete tormentato, che porta a spasso per il film un’espressione stereotipata che mostra come l’attore sia incapace di dare profondità al personaggio.
Film poco interessante quindi,che inizia con la drammatica sequenza dell’incidente per poi mostrarci una Maddalena impegnata in uno sfrenato ballo sensuale e introdurre successivamente i personaggio centrale del sacerdote.Il tutto con poca originalità e sopratutto con poco interesse da parte dello spettatore.
Il film è disponibile in una versione passabile e in italiano su You tube, all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=vZ4S1XY7fP8
Maddalena
un film di Jerzy Kawalerowicz, con Lisa Gastoni,Eric Woofe, Ivo Garrani, Paolo Gozlino, Barbara Pilavin, Ezio Marano, Lucia Alberti, Pietro Fumelli, Ermelinda De Felice, Paolo Bonacelli Durata 116 minuti Drammatico Italia 1971
Lisa Gastoni: Maddalena
Eric Woofe: il sacerdote
Ivo Garrani: marito di Maddalena
Regia: Jerzy Kawalerowicz
Sceneggiatura:Jerzy Kawalerowicz
Fotografia:Gábor Pogány
Montaggio:Franco Arcalli
Musiche:Ennio Morricone
Produzione:UNITAS (ROMA) BOSNA (SARAJEVO)
L’opinione di Segnalazioni cinematografiche
Nel tentativo di riprendere il tema della peccatrice evangelica (qui presentata nelle vesti di una donna che cerca di redimersi tentando, con tutti i mezzi a propria disposizione, sia fisici che ideologici, un giovane prete tormentato e dubbioso), il film scade, per la insulsaggine dei e la conseguente incredibilità psicologica dei personaggi, al livello di un banale fotoromanzo. Inoltre, presenta il sacerdozio come una “deminutio hominis”, uno stato di inferiorità esistenziale, una scelta che rende chi lo esercita incapace di andare, nell’amore del prossimo, al di là delle parole pronunciate dal pulpito o nel confessionale
L’opinione di Fauno dal sito http://www.davinotti.com
Anche questo regista dal cognome impronunciabile, come altri prima e dopo, ha sfruttato appieno il fisico e l’aspetto della Gastoni, nonchè l’estrema caparbietà e spregiudicatezza per soddisfare le sue bramosie. I risultati ci sono, spesso nella prima mezz’ora i flashback danno al film una parvenza quasi metaforica. Nel seguito non dico ci sia un calo, ma non vi è neppure la progressione necessaria o la linfa vitale che possa giustificare un titolo così provocatorio. Alla fine non emerge, ma una visione la merita.
L’opinione di Ronax dal sito http://www.davinotti.com
Affascinante e dissoluta signora borghese si insinua con esiti tragici nella vita di un giovane prete dubbioso e tormentato. Opera “maledetta” del polacco Kawalerowicz in trasferta in Italia, il film procede a singhiozzo, alternando momenti di suggestione a cadute nel fumettistico e a risibili estetismi esasperati dall’uso eccessivo del rallenty e dalla splendida ma debordante musica di Morricone. Lisa Gastoni è brava e molto sensuale ma il suo personaggio è, come quello del prete e come tutto il contesto, privo di qualunque crebilità.