Stargate
Egitto, Giza,1928
L’equipe del professor Robert Langford, che è in Egitto con sua figlia Catherine, fa una scoperta sensazionale tra le sabbie del deserto:un misterioso anello di pietra che reca delle iscrizioni in una lingua sconosciuta. La piccola Catherine nasconde un amuleto raffigurante l’occhio di Ra, una delle supreme divinità egizie.
New York,1994
Il dottor Daniel Jackson tiene una conferenza stampa davanti ad una platea di studiosi ed egittologi, che di fronte alle ardite teorie esposte dal giovane professore, abbandonano l’aula in cui Jackson tiene la sua conferenza.L’unica a restare è Catherine Langford, ora ultra settantenne.
La donna chiede a Jackson di aiutarla in alcune traduzioni e Jackson, ormai senza un dollaro e deriso dalla comunità scientifica,decide di accettare.

Il giovane linguista viene trasportato in una base segreta, dove sbalordisce tutti decifrando in pochi giorni le misteriose scritte che sono scolpite sull’anello di pietra.
Le autorità militari hanno recuperato, sessant’anni prima, l’anello di pietra e ora sono interessate ai suoi misteri; Jackson scopre che l’anello altro non è che uno Stargate, una porta per le stelle, un dispositivo seppellito 10.000 anni prima e ora in grado di funzionare come trasmittente verso altri mondi.
Attivato lo Stargate e stabilito che il mondo di approdo ha un’atmosfera del tutto simile a quella terrestre, vengono inviati in perlustrazione lo stesso Jackson e una pattuglia di soldati al comando del colonnello Jonathan “Jack” O’Neil, un militare richiamato in servizio dal quale si era congedato dopo la tragica morte del figlio per un terribile incidente occorsogli mentre giocava con la pistola del padre.
Catherine Langford consegna a Jackson l’amuleto sottratto a Giza e poco dopo il gruppo formato da Jackson O’Neil,dal tenente Charles Kawalsky, dal tenente Louis Ferretti e da altri militari si smaterializza attraverso lo Stargate, destinazione la Galassia di Kalian.

Arrivato sul pianeta,il gruppo scopre che è abitato da gente tecnologicamente arretrata e che il pianeta è dominato da un’entità superiore che i nativi chiamano Ra e che venerano come un dio.
Dopo una serie di avventure, intervallate dalla storia d’amore di Jackson con la nativa Sha’re, il gruppo libererà il pianeta riportando la libertà tra i nativi, distruggendo Ra e lasciando Jackson sul pianeta, innamorato ormai di Sha’re.
Questa, in estrema sintesi, la trama di Stargate, film del 1994 diretto da Roland Emmerich, brillante regista tedesco con all’attivo quattro film, il primo dei quali diretto a soli 29 nel 1984,ovvero 1997 – Il principio dell’arca di Noè .
Stargate è una classica produzione hollywoodiana, girata con gran dispendio di mezzi ed economicamente dispendiosa (quasi 60 milioni di costo), ma dagli ottimi risultati in termini di incassi (200 milioni di dollari) derivati anche da un astuto merchandising.
Un film decisamente ben fatto, accattivante e con una trama che si lascia apprezzare grazie alla sua scorrevolezza, basata sulla sceneggiatura di Dean Devlin e dello stesso Roland Emmerich.

Qualche anno prima del grande successo riportato da Christian Jaque con i suoi romanzi ambientati sull’antico Egitto, Emmerich crea un film usando proprio la civiltà egizia come sfondo per un’avventura interstellare, uno dei film avventurosi del genere science fiction meglio strutturati di sempre.
Non c’è da gridare la miracolo, è vero, ma il film scorre splendidamente fra effetti speciali, intreccio narrativo di prim’ordine e, ciliegina sulla torta l’immancabile storia d’amore con tanto di happy end.
Coniugando diversi elementi come la fanta archeologia (mica tanto lontana dal vero,visto che le piramidi restano ancora un mistero), storia, avventura e azione, Emmerich resuscita in qualche modo il genere fantascientifico con un’operazione sicuramente commerciale ma non priva di eleganza e di discreto valore.
ottima la scelta del cast, con Kurt Russell ad interpretare il colonnello O’Neill, l’apparentemente cinico comandante della squadra, James Spader nel ruolo del simpatico e un tantino imbranato dottor Jackson, Jaye Davidson nel ruolo del perfido Ra e Alexis Cruz in quello della nativa Skaara, la donna per la quale Jackson sceglie di rimanere sul pianeta ormai libero dalla nefasta presenza di Ra.
Una segnalazione anche per la puntuale presenza di Viveca Lindfors nel ruolo della dottoressa Catherine Langford.
Il merito maggiore del film però è aver fatto da apripista alla serie Stargate SG1,che nel 1997 prese il via sul canale Showtime e che grazie al clamoroso successo riscontrato andò in onda per 10 stagioni, cioè fino al 2007.
A questa fortunata e bellissima serie si aggiunsero anche altre serie basate sempre sul film di Emmerich come Stargate Atlantis e Stargate Universe, andate in onda rispettivamente per 4 stagioni (la quinta è uscita solo in DVD) e per due la seconda.

Stargate è stato trasmesso con regolarità dalle tv private ed è disponibile in streaming all’indirizzo http://www.nowvideo.sx/video/9d2eae454f860.
Per chi ama le versioni in lingua originale, è disponibile su Youtube la versione in inglese, inficiata però da fastidiosissimi sottotitoli arabi all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=tJvdLWnsgig
Stargate
Un film di Roland Emmerich. Con Viveca Lindfors, Kurt Russell, Mili Avital, James Spader, Jaye Davidson, Alexis Cruz, Leon Rippy, John Diehl, Carlos Lauchu, Erick Avari, Gianin Loffler, French Stewart, Djimon Hounsou, Christopher John Fields Titolo originale . Fantascienza, durata 119′ min. – USA, Francia 1994.
Kurt Russell: col. Jonathan “Jack” O’Neil
James Spader: dott. Daniel Jackson
Jaye Davidson: Ra
John Diehl: ten. Charles Kawalsky
French Stewart: ten. Louis Ferretti
Erick Avari: Kasuf
Alexis Cruz: Skaara
Mili Avital: Sha’uri
Viveca Lindfors: dott.ssa Catherine Langford
Leon Rippy: gen. W.O. West
Christopher John Fields: ten. Freeman
Derek Webster: ten. Brown
Erik Holland: prof. Langford
Djimon Hounsou: Horus
Gianin Loffler: Nabeh
Carlos Lauchu: Anubis
Regia Roland Emmerich
Sceneggiatura Dean Devlin, Roland Emmerich
Casa di produzione Metro-Goldwyn-Mayer
Carolco Pictures
Fotografia Karl Walter Lindenlaub
Montaggio Derek Brechin, Michael J. Duthie
Effetti speciali Patrick Tatopoulos
Musiche David Arnold
Scenografia Holger Gross
Francesco Pannofino: col. Jonathan “Jack” O’Neil
Sandro Acerbo: dott. Daniel Jackson
Sandro Iovino: ten. Charles Kawalsky
Lucio Saccone: ten. Louis Ferretti
Miranda Bonansea: dott.ssa Catherine Langford
Alessandro Rossi: gen. W.O. West
Claudio Fattoretto: ten. Brown
Gianfranco Bellini: prof. Langford
Il testo dice: “Un milione di anni fa nel cielo è Ra, Dio del Sole. Sigillata e sepolta per sempre” …qui non è porta del cielo, è: “porta delle stelle”, STARGATE! (Dr. Daniel Jackson)
Quindi lei avrebbe risolto in due settimane quello che loro non hanno risolto in due anni? (Gen. West al Dr. Jackson)
Nessuno dovrebbe sopravvivere ai propri figli. (Jack O’Neill)
Ci può essere un solo Ra! (Ra)
Porta i miei saluti a Tutankhamon, stronzo! (Jack O’Neill)
“Sono qui, in caso abbiate successo!” (Jack O’Neill)
L’opinione di weach dal sito http://www.mymovies.it
Stargate , 1994, di Roland Emmerich, è film di successo perché ha in dote la grande la capacità di coniugare fantasia, senso di avventura ,il mistero della cultura egizia con le tesi più ardite , unitamente alla teoria di universi paralleli tanto attuale ai giorni nostre con le scienze quantistiche .
Scienziati come il nostro Massimo Teodorani, David Bohm ,unitamente a scrittori di archeologia come Grahm Hancock , Robert Bauval hanno avvalorato ed approfondito le tesi sviluppate nel film Stargate.
Ma la chiave del successo sta nel coniugare il mito delle Piramidi egizie con la parola “razza aliena”; aggiungiamo poi un’azione di avventura innovativa , ben congegnata ,con effetti speciali suggestivi, una storia di amore : il gioco è fatto.
Roland Emmerich fa qui il suo capolavoro, fa scuola e riferimento per una ampia serie di filmografie successive tutte posto a sviluppare il contatto alieno in un contesto di mondi paralleli che trasudano la loro civiltà con quella misteriosa degli egizi e dei sumeri
Genere fantasy –fantascienza con attori che sanno dare spessore alla storia come Kurt Russel ed un trasognato Daniel Jackson..
Mi sento di poter dire che ispiratore della regia possa essere stato anche lo scrittore sumerologo Zecharia Sitchin , assertore di un legame nel dna umano con civiltà antiche aliene che si insediarono nell’Egitto oltre 400.000 anni fa .
Conoscendo Roland Emmerich ,che nulla inventa e tutto costruisce a tavolino, penso proprio che qualche spunto dai signori di cui sopra lo abbia tratto.
Una bella favola, ispirata, che resta nel cuore e negli occhi dello spettatore che ottiene un grande successo di pubblico e di critica .
Ripeto una favola bella , che va a libere energie surreali ed i sogni di noi tutti , condensate in due ore di spettacolo cinematografico.
L’opinione di Pandacattivo dal sito http://www.filmtv.it
Fermi tutti. prima di esprimere un proprio parere su uno dei più importanti film ma i visti, vorrei fare una premessa socio religioso culturale, a costo di passare per un invasato.
A una domanda ad uno scienziato antropologo americano lo stesso rispose; vi siete mai chiesti come mai la razza Mongola, ossia quelli con gli occhi a Mandorla, sia il più numeroso della terra e del perché le più innovative tecnologie provengano da là?… forse perché è da più tempo che esistono? … non a caso aggiungo io, le massime di Confucio, frasi tutt’altro che banali, sono antecedenti al cristiano Gesù, di centinai di anni. Qualcuno dirrà e cosa centra, semplice, che aspetto fisico ha? a chi assomiglia di più uno di quegli ipotetici extraterrestri, indo europe? negroide’ caucasico?…
Detto ciò, per alcuni questo colossal può apparire come la solita americanata fantascentifica, priva di senso ed invece dico io, attenti! forse è la miglior se pur americanizzata opera documento di come veramente l’uomo abbia popolao la terra e sopratutto di come, abbia cominciato a credere e venerare entità divine. il discorso è articolato e molto serio, tuttavia, per rimanere nel tema, il film ha una storia incredibile, fantastica, con spunti interessantissimi sotto l’aspetto scientifico e antropologica, di come si crede sia stata qualche millenio a dietro, ottimini effetti speciali, straordinario J.Spader in una parte espressa magnificamente. un opera d’arte imperdibile e che se vista con occhio storico potrebbe far aprire la mente su molti aspetti dati fin quì per scontati ma che ad oggi non hanno risposta certa.
L’opinione di sadako dal sito http://www.davinotti.com
Uno dei primi film a dare spazio a quella disciplina nota come fantarcheologia. Giocando sulla teoria che le piramidi sono state costruite da una razza superiore, se non aliena, il film ci porta attraverso il tempo e lo spazio fino al mondo di origine (o forse di arrivo) della razza umana. Un piccolo manipolo di eroi (militari decisi a tutto e uno scienziato idealista) si trovano a combattere contro una pseudo-divinità dai poteri misteriosi. Leggero e divertente, trova il suo giusto completamento nelle serie tv (due) che ne sono seguite.
A due passi dall’inferno
John è reduce dall’esperienza terribile del manicomio, dove è stato ricoverato negli ultimi due anni su richiesta di sua zia Marta, la cui sorella (madre di John) si è suicidata.
Il giovane dopo la morte della madre era scappato e aveva girovagato per l’Europa, vivendo di espedienti e furti. Arrestato, era stato condotto davanti ad un giudice che ascoltata la zia aveva disposto il suo internamento in un istituto psichiatrico.
Qui il giovane aveva vissuto macerato dall’odio e dominato dal desiderio di vendetta fino al giorno in cui un giudice aveva deciso la sua temporanea scarcerazione e l’affidamento a sua zia Marta, unica parente che vive in una splendida casa con le tre figlie.
La donna che vive su una sedia a rotelle conseguenza di una paralisi in realtà odiava profondamente la sorella, alla quale rimproverava una condotta a suo modo di vedere profondamente immorale.
Così John arriva nella splendida casa di Marta, dove ad accoglierlo ci sono anche le cugine Therese (che disprezza John), Esther (che prova attrazione e affetto per lui) e infine Maria che fa da contraltare alle due sorelle; la ragazza infatti prova sentimenti contrastanti per suo cugino, con il quale ha avuto rapporti sessuali durante l’adolescenza.
In questa atmosfera John, che è profondamente provato dalle sue esperienze precedenti, prepara quella che dev’essere la sua vendetta nei confronti di quella famiglia che ritiene responsabile delle disavventure sue e di sua madre.
Non a caso, all’uscita dall’ospedale psichiatrico, John ha portato con se due vecchie foto, simbolo del suo legame con il passato e anche memoria futura per non dimenticare l’accaduto.
Trova un lavoro, all’interno di un mattatoio, dove assiste alla macellazione di animali e alla fine del lavoro presa la sua paga comunica al proprietario che non tornerà più, in quanto non ha più nulla da imparare.
E’ una rivelazione di quella che è la sua strategia per la vendetta.
Iniziano così i meticolosi preparativi per la vendetta, ma il giovane cosa farà davvero?
Questa la trama (per tre quarti) di un film molto particolare, un horror metafisico che si distingue da molti altri prodotti del genere per un’accurata preparazione, per un’atmosfera plumbea e di attesa che fa da preludio ad un finale davvero sorprendente e che non svelo proprio per lasciare allo spettatore il gusto di seguire le vicende di un giovane che al primo apparire da la sensazione di essere un folle, ma che è viceversa personaggio ricco di sfumature.
Claudio Guerin Hill, regista del film A due passi dell’inferno, molto popolare in Spagna con il titolo La campana del infierno e nel resto del mondo come A bell from hell dirige un ottimo film denso di atmosfera e a tratti angosciante, usando spesso i topos tipici della cinematografia horror ma con una padronanza del mezzo tecnico davvero impressionante.
La storia si sviluppa in maniera angosciante man mano che prosegue nel suo lento e sepolcrale svolgimento, tra boschi immersi nella nebbia e atmosfere piovose lugubri come quelle dei film vampireschi, ma con un occhio di riguardo alla lucida follia di John, in un gioco delle parti dove è praticamente impossibile stabilire chi siano le vittime e chi i carnefici.
L’inizio stesso del film sembra fatto apposta per immergere lo spettatore in un’atmosfera inquietante, con la MDP che mostra il lavoro di John intento a costruire un calco del suo volto, prima di inquadrare la faccia stessa deformata in un ghigno diabolico; a seguire, vediamo John alle prese con le dimissioni dall’ospedale mentre ritira i suoi effetti personali e strappa la foto della cugina davanti allo sguardo perplesso dell’anziano addetto.
In un’atmosfera sempre più angosciante, seguiamo il giovane alle prese con l’album di foto che ricordano un passato anche felice, in netto contrasto con l’ambiente lugubre, scarsamente illuminato e silenzioso in cui si trova. Poi, via via, il lavoro al mattatoio, la campana in bronzo issata sulla chiesa del villaggio, l’ingresso delle tre giovani sorelle in una atmosfera resa livida dalla nebbiolina e dalla pioggia mentre John è a tavola con lo psicologo e con sua zia Marta, il registratore a bobine sul quale John ha registrato la voce di Maria, la chiesa del villaggio con i due campanili, ripresa per un minuto nel silenzio più assoluto e sempre immersa nell’atmosfera liquida e ansiosa che pervade la pellicola,il beffardo e finto tentativo di stupro di Maria da parte di tre cacciatori, il folle scherzo cinematografico di John che finge di strapparsi gli occhi e via via tutte le sequenze che si alternano sullo schermo.
Come sfondo, una musica lugubre appena accennata.
Il sole è una rarità, così come non ci sono scene naturali che mostrino una natura quieta e tranquilla; anche quando il giovane è vicino al mare, lo stesso è agitato e si infrange sugli scogli con formidabile violenza.
E’ in questo momento che Guerin sceglie di simboleggiare con l’immagine della natura in tempesta quello che evidentemente si agita nel cuore di John, che vediamo scavare una fossa mentre una nenia infantile assolutamente incongrua si sostituisce all’organo.
Lentamente, ma inesorabilmente, il film si inerpica verso la parte centrale del racconto, sempre spiazzando lo spettatore con quelli che sembrano gesti folli di un John che è ripreso anche mentre all’interno del mattatoio sistema i ganci scorrevoli usati per appenderci il bestiame in attesa di essere squartato.
Il regista è lento metodico e ossessivo anche quando riprende il giovane a tavola con la zia e con le cugine immerso in dialoghi freddi e senza sorrisi; introduce anche un elemento che sembrerebbe normalizzare gli eventi quando mostra John spingere la carrozzella di sua zia Marta in giardino e offrirle un fiore, simbolo di una riappacificazione assolutamente falsa.
Il finale devo ometterlo, come già detto, ma conferma l’ottima struttura mantenuta fin dall’inizio; il giovane attore Renaud Verley che interpreta John da al suo personaggio nel corso del film sfumature che permettono di cogliere solo in parte i travagli dell’animo che agitano John, contribuendo in maniera determinante alla riuscita dell’impianto narrativo, così come la recitazione di Viveca Lindfors rende particolarmente affascinante il personaggio dell’ambigua zia Marta.
Molto bene Maribel Martín, Nuria Gimeno e Christina von Blanc rispettivamente nei ruoli di Esther, Therese e Maria; il resto del cast fa professionalmente da contorno.
A due passi dall’inferno ha avuto da subito la fama di film maledetto.
A contribuire in maniera determinante ci fu la morte sul set del regista Claudio Guerin, che nell’ultimo giorno di riprese cadde dal campanile dove stava girando le ultimissime riprese.
Una morte davvero singolare, almeno come raccontato da chi era presente sul set.
Pare che Guerin stesse iniziando le riprese quando il suo assistente gli chiese 5 minuti per cambiare le impostazioni delle macchine da presa. Guerin acconsentì e salì sul campanile. Sembra che la campana abbia suonato all’improvviso facendo perdere l’equilibrio al regista, che precipitò al suolo.Alcuni dei presenti, convinti si trattasse di un espediente di scena applaudirono, ma ben presto si resero conto che non si trattava di un trucco scenico. Quando accorsero sul posto dove Guerin era caduto, poterono solo constatarne la morte.
Aveva solo 34 anni e sicuramente prospettive eccellenti, come del resto già si era notato dal film precedente del regista stesso, quel Un solo grande amore con protagonista la nostra Ornella Muti uscito nel 1972.
Per chi volesse seguire la ricostruzione degli ultimi drammatici momenti di vita del regista, consiglio questo video disponibile su You tube all’indirizzo http://youtu.be/2q3gThdMLMc in cui il programma spagnolo Cuarto milenio suggerisce quella che è l’ipotesi più probabile sulla sua morte.
Le ultimissime scene del film vennero riprese da Juan Antonio Bardem, che per rispetto a Guerin non figura nemmeno tra i crediti; qualcuno probabilmente ricorderà Bardem per L’altra casa ai margini del bosco.
Un film che consiglio, aldilà delle speculazioni sulla sua fama maledetta e su tante ipotesi soprannaturali seguite alla tragica morte di Guerin; un film claustrofobico e funereo nel suo svolgimento come raramente mi è accaduto di vedere.
A due passi dall’inferno
Un film di Claudio Guerin Hill. Con Renaud Verley, Viveca Lindfors, Alfredo Mayo, Christine Betzner Titolo originale La campana del infierno. Horror, durata 106 min. – Spagna, Francia 1973.
Renaud Verley … John nella versione inglese, Juan in quella spagnola
Viveca Lindfors … Marta
Alfredo Mayo … Don Pedro
Maribel Martín … Esther
Nuria Gimeno … Teresa
Christina von Blanc … María (as Christine Betzner)
Erasmo Pascual …Il prete
Susana Latour … La madre di John
Regia: Claudio Guerin Hill
Soggetto:Santiago Moncada
Produzione: Robert Ausnit, Claudio Guerín, Luis Laso
Musiche: Adolfo Waitzman
Editing: Magdalena Pulido
Costumi: Maiki Marín
















































































