I Spit on Your Grave
La giovane Jennifer, in cerca di un posto tranquillo dove poter scrivere, si reca in una località imprecisata americana per prendere
possesso di una baita nel bosco. Fermatasi per fare rifornimento alla sua auto, ha un diverbio con tre giovani locali che con apprezzamenti pesanti
la costringono a reagire verbalmente. L’incidente non è chiuso perchè avendo bisogno di sistemare il bagno della baita è costretta ad accettare l’aiuto di un giovane con evidenti problemi mentali, Matthew. Imprudentemente, la ragazza per ringraziarlo lo bacia su una guancia e il giovane, fiero del gesto lo racconta ai tre balordi che avevano approcciato Jennifer alla stazione di servizio.
I tre si recano nella baita, ma Jennifer riesce a scappare e a chiedere l’aiuto dello sceriffo locale, che però si rivela della stessa risma dei tre teppisti; per Jennifer inizia una serie interminabile di violenze sessuali e alla fine riesce a sfuggire al gruppo di predatori gettandosi da un ponte nel fiume.
Per alcune settimane viene creduta morta dal branco, ma Jennifer, nascosta nel bosco, sta preparando la sua vendetta,che sarà terrificante…
I Spit on Your Grave, diretto da Steven R. Monroe nel 2010 è il remake del film omonimo diretto nel 1978 da Meir Zarchi, distribuito in Italia con il titolo di Non violentate Jennifer e sostanzialmente introduce nella storia originale la figura
dello sceriffo, altro personaggio sgradevolissimo destinato come il resto della banda di teppisti ad una fine orribile. Un film slasher violentissimo, di gran lunga più sanguinolento dell’originale, inseribile nel filone dei Rape & Revenge, quel particolare sotto genere
dell’horror che già dalla traduzione italiana, stupro e vendetta, inquadra immediatamente di cosa parli il tema.
Fra i Rape & Revenge più famosi molti ricorderanno L’ultima casa a sinistra, (“Last house on the left”, USA, 1972), di Wes Craven, il più famoso di questo particolare genere cinematografico caratterizzato da una violenza cieca e spesso immotivata, praticata sia dagli aggressori sia dalle vittime, con queste ultime che sorpassano in crudeltà le pur orrende azioni dei propri carnefici. I Spit on Your Grave non fa eccezione alla regola, con una escalation di violenza che supera ogni confine del sopportabile visivamente, caratterizzato da scene disturbanti che in passato erano state raramente raggiunte.
Se lo stupro di gruppo ha già in se delle scene per stomaci forti, la vendetta di Jennifer nel confronto dei suoi aguzzini raggiunge vette di orrore visivo raramente viste sullo schermo.
Dall’evirazione del capo della banda alla sodomizzazione con un fucile dello sceriffo è tutto un fiorire di immagini disturbanti, con sangue a fiumi è un’intensità della storia che raggiunge il parossismo proprio nella parte finale, quando la vendetta di Jennifer arriva a compimento.
Monroe crea, come del resto aveva fatto Zarchi, un’atmosfera emotivamente di vicinanza alla vittima, così che alla fine lo spettatore quasi la vede come una eroina nel compimento di una vendetta che trascende i pur ignobili atti subiti; uno degli espedienti più usati dai registi del genere, tesi a creare una sorta di vicinanza complice tra vittima e spettatore, che alla fine giustifica anche l’orrore più estremo da parte proprio della vittima.
Film francamente disturbante che Monroe dirige con mano ferma, usando con abilità alcune varianti come la ripresa con tanto di video camera digitale vista attraverso l’occhio della tele camera, un pictures in picture che rende ancor più fredda e allucinata la vicenda, già di per se illividita da una fotografia fredda, quasi glaciale, colorata di un grigio che toglie qualsiasi incanto ad un bosco che incombe paurosamente, sinistro, sulla vicenda.
La storia non ha elementi particolari di novità ma ha una tensione notevole, grazie anche ad un ritmo visivo che è uno dei punti di forza della storia.
Molto brava la protagonista, Sarah Butler, che assomiglia fisicamente a quella Camille Keaton di Non violentate Jennifer e che appare poi gelida, implacabile nel momento della vendetta, che colpirà anche l’unico incolpevole della vicenda, quel Matthew che in realtà partecipa allo stupro più da vittima che da carnefice.
Film cupo, violento, va visto solo se si è di stomaco forte.
I Spit on Your Grave
Regia di Steven R. Monroe, con Sarah Butler, Lindberg, Daniel Franzese, Tracey Walter, Rodney Eastman. Genere Horror 2010, durata 107 minuti.
Sarah Butler: Jennifer
Jeff Branson: Johnny
Andrew Howard: Storch
Daniel Franzese: Stanley
Rodney Eastman: Andy
Chad Lindberg: Matthew
Tracey Walter: Earl
Mollie Milligan: Mrs. Storch
Saxon Sharbino: Chastity
Amber Dawn Landrum: Ragazza alla stazione di servizio
Regia Steven R. Monroe
Sceneggiatura Stuart Morse
Produttore Lisa Hansen e Paul Hertzberg
Produttore esecutivo Jeff Klein, Gary Needle, Alan Ostroff e Meir Zarchi
Casa di produzione CineTel Films, Anchor Bay Films e Family of the Year Productions
Fotografia Neil Lisk
Montaggio Daniel Duncan
Effetti speciali Regina Chapman, Alan Lashbrook e Kenneth Speed
Musiche Corey Allen Jackson
Scenografia Dins Danielsen
Costumi Bonnie Stauch
Trucco Jason Collins, Heather Henry, Elvis Jones e Chelsea Payne
La cura dal benessere
Lockhart è un giovane ed ambizioso broker di una grossa società di assicurazioni di Wall Street; l’azienda per la quale lavora sta per fondersi con
un’altra grande ditta del ramo, ma affinchè l’affare vada in porto è necessario che Roland Pembroke, l’amministratore della società venga a firmare l’atto.
Ma l’uomo, con una strana lettera, manda a dire che non intende affatto tornare e che vuol restare in Svizzera dove a suo dire si sta disintossicando dalle scorie che gli ha intossicato l’organismo. I soci così decidono di mandare Lockhart nel paesino di montagna dove sorge la clinica presso la quale è degente Pembroke e il giovane,suo malgrado è costretto ad accettare.
La clinica è situata in un magnifico castello, sul quale grava una storia che tramanda da due secoli un fatto di sangue avvenuto
in seguito alla rivolta dei mezzadri del paese sottostante, che hanno ucciso il barone proprietario del castello e hanno bruciato sul rogo la di lui moglie, strappandone il feto che portava in grembo gettandolo nelle faglie acquifere del castello stesso.
Lockhart si trova così ad aggirarsi in un luogo bellissimo,popolato da molte persone di una certa età che appaiono impegnate in quelle che sembrano terapie disintossicanti,accuditi tutti da un folto gruppo di giovani ed aitanti infermieri. Alla fine il giovane riesce a vedere Pembroke,che gli conferma la volontà di restare in quello che sembra un paradiso; Lockhart si allontana dal
castello per poter riferire la decisione al consiglio ma non riesce ad arrivare ad in paese.Un cervo viene investito dall’auto nella quale viaggia,con un conseguente pauroso incidente. Al risveglio
il giovane si ritrova nella clinica,con una gamba ingessata e impossibilitato a comunicare con l’esterno.
Sarà l’inizio di un viaggio incredibile in un mondo che solo apparentemente è un piccolo paradiso ma che in realtà nasconde orribili segreti…
Sono costretto a fermarmi qui con la trama essenzialmente per due motivi; il primo è che è importante scoprire senza anticipazioni quello che sarà una autentica discesa all’inferno
del giovane protagonista, il secondo è che la trama è talmente intricata da richiedere una spiegazione lunghissima per essere esaustiva.
E poichè il film dura quasi due ore e mezza appare chiaro che condensare il tutto con poche parole è impresa improba.
La cura dal benessere,film del 2017 diretto da Gore Verbinski, autore del celebre The Ring del 2002 è un film horror con forti venature thriller,dal fascino straordinario e intricato in modo tale da richiedere molta attenzione ai dialoghi per capire tutti i passaggi del film.
Un film veramente affascinante,costruito attorno ad una trama che ricorda (anche visivamente) celebri film del passato,come l’ultima inquadratura che riporta alla memoria lo Shining di Stanley Kubrick.
Una pellicola a tinte fosche, costruita con una colorazione davvero da incubo che ha un contrasto stridente con lo stupendo paesaggio iniziale, quello di un castello che probabilmente è più tedesco che svizzero.
Sembrerebbe un film in cui funziona tutto, in realtà qualche appunto va mosso.
La trama,per quanto con lo scorrere della pellicola vada a dipanarsi e ad assumere contorni definiti mostra alcune incongruenze,fra le quali la principale è la dimensione onirica sospesa tra sogno e realtà che vive Lochart,
la reale consistenza delle sue visioni,tra le quali quella delle onnipresenti anguille che,unite all’acqua,sembrerebbero quasi un elisir di giovinezza,i corpi sospesi nell’acqua e altri dettagli.
Ma in fondo Verbinski riesce nell’intento di creare un’atmosfera da incubo che incombe sullo spettatore trascinandolo in un vortice di orrore che non ha bisogno dello splatter più efferato per creare emozioni forti.
Il cast fa il suo con lodevole professionalità: Dane DeHaan (visto recentemente in Valerian la città dei mille pianeti) è molto bravo nel dare un’aria quasi trasognata al protagonista del film, Lockhart mentre davvero una sorpresa è quella costituita dalla giovane Mia Goth,che interpreta Hannah e alla quale non ho accennato in descrizione,pur essendo il principale elemento attorno al quale ruota il film per non rovinare la sorpresa ai lettori e ancora Jason Isaacs, il dottor Volmer,luciferino,autenticamente demoniaco in un ruolo che sembra ritagliato alla perfezione per lui.
Detto della bellissima fotografia di Bojan Bazelli non resta che consigliare caldamente la visione di un film decisamente ben costruito,capace di far scorrere i 146 minuti della pellicola senza mai perdere la tensione iniziale.
La cura dal benessere
un film di Gore Verbinski, con Dane DeHaan, Jason Isaacs, Mia Goth, Celia Imrie, Lisa Banes, Adrian Schiller. Titolo originale: A Cure for Wellness. Genere Thriller – USA, Germania, 2017, durata 145 minuti.
Dane DeHaan: Lockhart
Jason Isaacs: dott. Heinreich Volmer
Mia Goth: Hannah
Celia Imrie: Victoria Watkins
Ashok Mandanna: Ron Nair
Adrian Schiller: vice direttore
Harry Groener: Pembroke
Tomas Norström: Frank Hill
Carl Lumbly: Wilson
Ivo Nandi: Enrico
David Bishins: Hank Green
Flavio Aquilone: Lockhart
Roberto Pedicini: dott. Heinreich Volmer
Emanuela Ionica: Hannah
Rossella Izzo: Victoria Watkins
Franco Zucca: Ron Nair
Alessandro Budroni: vice direttore
Toni Garrani: Pembroke
Ambrogio Colombo: Frank Hill
Mario Bombardieri: Wilson
Diego Suarez: Enrico
Franco Mannella: Hank Green
Regia Gore Verbinski
Soggetto Gore Verbinski, Justin Haythe
Sceneggiatura Justin Haythe
Produttore David Crockett, Arnon Milchan, Gore Verbinski
Produttore esecutivo Morgan Des Groseillers, Justin Haythe
Casa di produzione Blind Wink Productions, New Regency Productions, Studio Babelsberg, TSG Entertainment
Distribuzione in italiano 20th Century Fox
Fotografia Bojan Bazelli
Montaggio Pete Beaudreau, Lance Pereira
Musiche Benjamin Wallfisch; Hans Zimmer
Scenografia Eve Stewart
La città verrà distrutta all’alba
Evans City,Pennsylvania
Nella tranquilla cittadina in breve tempo accadono strani e inquietanti incidenti.
Alcune persone,dalla vita irreprensibile,all’improvviso mostrano pericolosi segni di squilibrio mentale.Sono loro infatti ad appiccare,senza apparente motivo, incendi in vari posti della città.
L’arrivo del maggiore Ryder e di un nucleo speciale di uomini in tute da decontaminazione radioattiva allarma quella parte di persone che sembra non avere ancora subito gli effetti di quello che sembra un virus.
E lo è,un virus.
E’ stato diffuso da un aereo governativo caduto in campagna,nei pressi di Evans City; quello che la gente non sa è che il velivolo trasportava un virus,il Trixie,ad altissima volatilità e dagli effetti micidiali.
I colpiti dal virus infatti sviluppano forme di malattie mentali che li portano ad avere atteggiamenti violenti verso gli altri; per somma di sventure il virus finisce anche nell’acquedotto cittadino,infettando in pratica tutti gli abitanti.
Inutilmente le autorità cercano di mettere in quarantena la cittadina; alcuni abitanti riescono a fuggire e anche se uno alla volta vengono abbattuti,l’epidemia è fuori controllo.
Infatti….
La città verrà distrutta all’alba di George Andrew Romero,(scomparso nel 2017), esce nelle sale nel 1973.
Un film che come tematica ricorda Andromeda (Andromeda Strain) di Robert Wyse,con la differenza sostanziale del virus che nel caso del film di Wyse è di origine extraterrestre.
Ma molto umana è,nei due film,la reazione del governo,che tenta inutilmente di insabbiare le cose.
E in questo Romero mostra ancora una volta tutto il suo antimilitarismo,vera bandiera di una carriera cinematografica di ottimo livello.
Siamo negli anni 70,la paura dell’atomica,delle malattie diffuse da armi batteriologiche è una delle tante fobie della popolazione mondiale,sospesa sempre in un’atmosfera da guerra imminente,con i due blocchi contrapposti
Usa-Urss e sopratutto dalla stessa paura alimentata anche ad arte da cinema,tv e giornali.
Romero crea una pellicola claustrofobica sia come trama che come ambientazione.
Neanche il tempo di iniziare,senza nemmeno il titolo del film o i nomi degli attori ed eccoci calati nel dramma; un uomo tenta di bruciare la casa,mentre due bambini urlano e la moglie giace morta nel letto.
E’ l’inizio,letteralmente,di un incubo cinematografico che durerà tutta la durata della pellicola,tesa e vibrante,con gli onnipresenti uomini in tuta che combattono una battaglia vana contro le persone impazzite della cittadina.
Il finale,pur essendo aperto,non lascia alcuno spazio alla speranza: la follia governativa non può arginare quello che è un virus creato e portato in giro in modo scriteriato.
Un arma,quella batteriologica, ben più pericolosa di un’atomica, che pur terribile ha comunque un effetto circoscritto in un’area mentre un virus, come nel caso del film, può diffondersi a macchia d’olio e senza un antidoto sono guai.
Un antidoto in effetti ci sarebbe, ma l’uomo in grado di crearlo viene scambiato per un abitante infetto e abbattuto.
La conseguenza è la diffusione a macchia d’olio del virus in varie città e di là, chissà.
Romero conosce bene il suo lavoro, con una regia nervosa e con abilità tecnica tiene lo spettatore incollato alla poltrona, rinverdendo i fasti della Notte dei morti viventi; dagli zombie ad un’umanità contaminata batteriologicamente il passo è breve
così come breve sembra essere la distanza tra i due film.
Anche se ci sono 5 anni di differenza tra La notte dei morti viventi e La città verrà distrutta all’alba, Romero non cambia di un millimetro la sua visione sostanzialmente pessimista dell’establishment militare.
E il film,in definitiva,trasmette il messaggio in modo chiaro.
Decisamente in parte gli attori,anche se nel cast mancano i nomi di richiamo; bene Lane Carroll,Richard Liberty, Lynn Lowry e decisamente ottima la sceneggiatura dello stesso Romero e di Paul McCollough.
Un film da recuperare,decisamente.
La città verrà distrutta all’alba
Un film di George A. Romero. Con Will Darrow MacMillan, Richard Liberty, Harry Spillman, Will Disney, Robert Karlowsky,
Robert J. McCully, A.C. McDonald, Leland Starnes, W.L. Thunhurst Jr., Edith Bell, Richard France.
Titolo originale The Crazies. Drammatico, durata 103 min. – USA 1973.
Lane Carroll: Judy
Will MacMillan: David (accreditato come W.G. McMillan)
Harold Wayne Jones: Clank
Leland Starnes: Shelby
Lynn Lowry: Kathy
Richard Liberty: Artie
Richard France: dottor Watts
Lloyd Hollar: colonnello Peckem
Edith Bell: tecnico di laboratorio
Robert Karlowsky: sceriffo Cooper
Will Disney: dottor Brookmyre
A.C. McDonald: generale Bowen
Bill Thunhurst: Brubaker
Harry Spillman: maggiore Ryder
Robert J. McCully: Hawks
Ned Schmidtke: sergente Tragesser
Tony Scott: vicesceriffo Shade
Roy Cheverie: medico dell’esercito
Jack Zaharia: prete
Adele Pellegatta: Judy
Cesare Barbetti: David
Sergio Graziani: Clank
Gianfranco Bellini: Artie
Glauco Onorato: Col. Peckem
Regia George A. Romero
Soggetto George A. Romero, Paul McCollough
Sceneggiatura George A. Romero, Paul McCollough
Produttore A.C. Croft
Casa di produzione Pittsburgh Films
Fotografia S. William Hinzman
Montaggio George A. Romero
Effetti speciali Tony Pantanello, Regis Survinski
Musiche Bruce Roberts
Trucco Doris Dodds, Gloria Natale, Bonnie Priore
La casa del peccato mortale
Padre Xavier Meldrum è un sacerdote ormai avanti negli anni,che vive in un sobborgo di Londra,in una casa tetra in compagnia dell’ormai morente madre e di una governante, segretamente innamorata di lui.
Padre Meldrum è immerso in una follia allucinata,originata anche dalla mancata vocazione;è stata sua madre infatti a costringerlo a diventare
un sacerdote,nella paura che su figlio la lasciasse.
Un giorno ascoltando la confessione di una giovane,Jenny Welch,che racconta di essere stata sedotta da un uomo;Meldrum sviluppa verso la giovane un’allucinata attrazione e da quel momento inizia a uccidere,in serie,tutti coloro che hanno un qualche legame con lei.
Dapprima sopprime un ragazzo che ritiene,ingiustamente,il seduttore di Jenny,poi il suo vero seduttore;in un crescendo diabolico,ammazza la madre di una ragazzina che per sfuggire alle sue mire si è suicidata e infine anche la sorella di Jenny,Vanessa.
Che era legata a padre Duggan,un sacerdote in crisi vocazionale che aveva deciso di abbandonare l’abito talare per amore di Vanessa Welch.
La follia di Padre Meldrum raggiunge il culmine;subito dopo la morte dell’inseparabile governante,che si uccide disperata,Meldrum sopprime anche sua madre,che ormai sa di convivere con un mostro.Il diabolico sacerdote convince Padre Duggan a ritornare sui suoi passi,a restare nella chiesa e subito dopo…
Un buon prodotto,anzi,decisamente più che buono questo La casa del peccato mortale (House of mortal sin),diretto da Peter Walker nel 1976;
un film immerso in un’atmosfera malata,tetra e allucinata,resa con grande maestria dal regista inglese Peter Walker,uno specialista del genere horror,
autore di pellicole come Marianna, fuga dalla morte ,E sul corpo tracce di violenza e Nero criminale.
Tra sacrileghe esposizioni di ostie,profanazioni dei riti cattolici,il personaggio principale,l’allucinato Padre Meldrum si inoltra sempre più nella follia che ormai lo attanaglia, in un crescendo di assassini brutali che Walker,con acume,sottolinea utilizzando un pizzico di Grand Guignol,un pizzico di sesso e tanta,tanta tensione.
Ad esaltare ancor più l’atmosfera malata del film c’è una fotografia livida,quasi spettrale che mescolata all’aria plumbea della casa in cui si svolgono gli avvenimenti crea la giusta miscela per un film sicuramente ad effetto.
Anthony Sharp è Xavier Meldrum,il folle assassino che disonora la sua tonaca con un comportamento diabolico;una recitazione asciutta,tesa,che trasferisce sullo schermo le contraddizioni del personaggio interpretato,al quale non è estraneo un anticlericalismo di fondo di Walker,del resto visibile in altre sue regie;bene Susan Penhaligon e Stephanie Beacham,rispettivamente nei ruoli di Jenny e Vanessa Welch,mentre
per quanto riguarda le scene cult del film,una su tutte è l’omicidio di Vanessa colpita con un rosario.
Per quanto riguarda la reperibilità,segnalo la versione sufficiente su You tube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=nZMvixxudYQ
mentre i streaming vi consiglio il link https://openload.co/f/7wMgZQRqnWY/La.Casa.Del.Peccato.Mortale.1975.ITA.M_L.mp4
La casa del peccato mortale
Un film di Peter Walker. Con Anthony Sharp, Susan Penhaligon, Stephanie Beacham, Norman Eshley,Sheila Keith.Titolo originale House of Mortal Sin. Giallo, durata 104 min.1975 – Gran Bretagna
Anthony Sharp … Padre Xavier Meldrum
Susan Penhaligon … Jenny Welch
Stephanie Beacham … Vanessa Welch
Norman Eshley … Padre Bernard Cutler
Sheila Keith … Signora Brabazon
Hilda Barry … La madre di Padre Meldrum
Stewart Bevan … Terry Wyatt
Julia McCarthy … La signora Davey
John Yule John Yule … Robert
Bill Kerr Bill Kerr … Davey
Victor Winding … Dottor Gaudio
Regia Peter Walker
Soggetto David McGillivray e Peter Walker
Muscihe Stanley Myers
Montaggio John Black
Fotografia Peter Jessop
Direzione artistica Chris Burke
Lo strangolatore di Vienna
Vienna,1930
Otto Lehman,di professione macellaio,viene dimesso dal manicomio in cui era rinchiuso “per aver colpito con una coscia di vitello” una sua cliente.
A casa lo attende la sua bottega,che nel frattempo è stata mandata avanti da suo cognato Brunner e sua moglie Hanna;Otto,pur di non dover
nuovamente condividere il letto con la insopportabile donna,attrezza una camera sulla bottega nella quale va a vivere.
Una sera,mentre guarda distrattamente fuori dalla finestra,scopre la dirimpettaia Berta mentre si spoglia.
La sera dopo lo spettacolo si ripete,ma mentre è intento a spiare,Otto viene sorpreso dalla bisbetica moglie,che lo minaccia di rimandarlo in manicomio e lo insulta chiamandolo mostro.
Otto perde il lume della ragione e strangola la moglie.
Resosi conto troppo tardi del suo gesto,Otto decide di far sparire il cadavere di Hanna facendolo a pezzi e usandolo per fabbricare salsicce.
Che incontrano il gusto della gente,che affolla la sua bottega per accaparrarsi la prelibata carne.
Una sera il macellaio scopre suo cognato Brunner con una prostituta e la uccide;anche la donna finisce nel tritacarne dell’ormai fuori controllo Otto,che uccide anche suo cognato.
Sarà Berta a smascherare il macellaio,grazie anche alla fortuita scoperta di un anello in un pezzo di carne da parte di un inconsapevole cliente…
Lo strangolatore di Vienna è un film diretto dal regista aretino Guido Zurli,che in questo caso si firma John Zurli;con un budget risicato all’osso,Zurli,onesto artigiano autore di una dozzina di pellicole di vario genere fra il 1963 e il 1980,riesce a fare con i fichi secchi un banchetto quanto meno decoroso.
Il film infatti ha dei buoni spunti,muovendosi con buona lena tra i binari del giallo e quelli dell’horror,aiutato principalmente da una sottile vena di humour nero che è sicuramente un valore aggiunto per la pellicola.
Prendendo spunto dalla storia di un efferato serial killer di inizi del secolo,Fritz Haarmann detto il mostro di Hannover che dal 1919 al 1924 commise almeno 25 omicidi di adolescenti,alcuni dei quali finirono per diventare pasto per inconsapevoli clienti,Zurli imbastisce una storia senza grosse pecche che si trasforma in immagini visive equilibrate.
Utilizzando delle marcette allegre,che rendono surreali anche le sequenze degli strangolamenti,Zurli conferisce un’aura particolare al film che così esce dal classico binario dell’horror per trasformarsi in una commedia nera sicuramente godibile.
Merito anche del corpulento Victor Buono,che interpreta perfettamente il personaggio del folle Lehman,faccia quasi simpatica che maschera una mente squilibrata,che esplode nella follia in seguito all’ennesima angheria della moglie.
Il volto pacioccone di Buono,quello laido di Brunner,la bella Franca Polesello e Karin Field sono l’ossatura di un film sicuramente ben diretto e con una trama originale;girato quasi tutto in studio (Vienna appare o in cartolina o in sequenze senza attori,quindi con materiale di repertorio),Lo strangolatore di Vienna rende il massimo con il minimo investimento.
Scomparso completamente dai circuiti cinematografici e televisivi,da qualche anno è stato editato in digitale,operazione che ha reso bene i vividi colori usati dal regista nelle riprese ed è oggi disponibile in una versione molto buona disponibile su You tube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=k93wawWeFUk&t=621s
Lo strangolatore di Vienna
Un film di Guido Zurli. Con Franca Polesello, Brad Harris, Victor Buono, Dario Michaelis, Luca Sportelli, Karin Field Horror, durata 92 min. – Italia, Germania 1971
Victor Buono …Otto Lehman
Franca Polesello …Berta Hensel
Brad Harris …Mike Lawrence
Dario Michaelis …Ispettore Klaus
Karin Field …Hanna Lehman
Luca Sportelli …Karl Brunner
Hansi Linder …Frieda Ulm
Regia … Guido Zurli
Sceneggiatura … Dag Molin,Dick Randall,Karl Ross
Musiche …Alessandro Alessandroni
Fotografia … Augusto Tiezzi
Montaggio … Enzo Alabiso,Graham Lee Mahin
Tre gocce di sangue per una rosa
I francesi non hanno mai avuto dimestichezza con gli horror,salvo qualche eccezione.
E anche questo scadente Tre gocce di sangue per una rosa del 1972 non si salva dal grigiore generale della massa di produzioni horror d’oltralpe.
Regista del film è Claude Mulot,scomparso a soli 44 anni e autore di una ventina di produzioni per la massima parte non editate in italiano.
Con un occhio alla fotografia e alle intelaiature di Jesus Franco e più di uno alle atmosfere di Jean Rollin,Mulot scrive e dirige un horror
convenzionale,in cui sembra di assistere ad un assemblaggio di vari film,con personaggi presi di petto come il mad doctor,la donna sfigurata per gelosia e le immancabili nudità sparse casualmente nel film senza una vera logica.
Quello che vien fuori è una pellicola debole e poco interessante,fragile non solo nella narrazione ma anche in quelli che sono i topos del cinema di genere; manca persino l’atmosfera e il film naviga in maniera sonnacchiosa tra gli immancabili fenomeni atmosferici (tuoni e fulmini) ma con un pathos uguale a zero.
La trama:
Frederic di Lansac,barone,è un appassionato di botanica;ha una splendida serra e grazie all’aiuto del dottor Rohmer crea anche nuove specie vegetali.
Il dottor Rohmer è un professionista cacciato in malo modo dall’ordine medico per aver eseguito un disastroso intervento di chirurgia facciale.
Frederic vive con il dottore e con una donna,Moira,innamorata di lui: la quale, un giorno, ha la sventura di far conoscere al barone la bella Anna,della quale Frederic si innamora.
Gelosa di Anna,Moira,proprio durante il banchetto nuziale sfigura la sventurata donna con il fuoco.
A tentar di porre riparo alle ustioni di Anna c’è Rohmer,ma le cose si complicano;finale apocalittico e assolutamente insulso.
Letteralmente scomparso dopo pochi giorni di programmazione dalle sale e lungamente ignorato anche dalle tv,Tre gocce di sangue per una rosa (La rose ecorchee ovvero la rosa rosea nella versione originale del titolo) è ricomparso qualche anno addietro nel quadro della rivisitazione che il cinema bis ha avuto in seguito all’aumento esponenziale degli amanti del cinema horror.
Che però,nel caso specifico,hanno ben poco da star allegri.
Il cast fa quello che può (poco) ed essendo composto da comprimari finisce per naufragare nella pochezza della pellicola,che rimane opera rarissima da reperire.
In rete c’è una versione pessima in lingua a questo indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=_XXOt8cFtDo&t=1681s in discreta qualità.
Tre gocce di sangue per una rosa
Un film di Claude Mulot. Con Philippe Lemaire, Annie Duferey, Elisabeth Teissier, Anny Duperey Titolo originale La rose écorchée. Horror, durata 91 min. – Francia 1972
Philippe Lemaire …Il Barone Frédéric
Anny Duperey … Anne
Elizabeth Teissier … Moira
Olivia Robin … Barbara
Michèle Perello … Agnès (as Michelle Perello)
Valérie Boisgel … Catherine
Jean-Pierre Honoré … Paul Bertin
Gérard-Antoine Huar …Wilfried
Jacques Seiler … Il poliziotto
Michel Charrel … L’uomo ombroso
Johnny Cacao … Olaf
Howard Vernon …Professor Rhömer
Regia: Claude Mulot
Sceneggiatura: Claude Mulot,Jean Larriaga,Edgar Oppenheimer
Produzione: Edgar Oppenheimer
Musiche: Jean-Pierre Dorsay
Fotografia: Roger Fellous
Montaggio: Monique Kirsanoff
L’ossessa
La bella Daniela è una giovane che frequenta l’Accademia di belle arti;durante una ricognizione in una vecchia chiesa con alcuni restauratori,viene incaricata di rimettere a nuovo una delle due statue lignee custodite nella chiesa stessa.
La sera del trasporto del crocefisso nel suo laboratorio,la ragazza scopre con sgomento che sua madre ha un amante e che ama in particolare i giochi sadomaso.
Sconvolta,si rifugia in laboratorio dove si dedica al restauro di un dipinto.
Mentre è assorta in questa occupazione,la statua crocefissa subisce una trasformazione,si anima e assume sembianze umane.
E’ il diavolo che ha scelto questo mezzo decisamente inconsueto per manifestarsi alla donna.
Così incarnato,l’entità diabolica possiede carnalmente la ragazza e subito dopo,mentre la ragazza non si è ancora riavuta dallo choc,torna ad essere una statua.
Quando Daniela si riprende crede di aver sognato;ma la notte inizia a manifestare sintomi di ninfomania estrema.
Tanto che i suoi genitori decidono di chiamare uno psichiatra che però non riesce a guarirla;dopo un orribile incubo durante il quale
Daniela sogna di partecipare ad un sabba sacrilego nel quale viene nuovamente posseduta dal diavolo.
Il risveglio della ragazza è traumatico;il corpo porta i segni della crocefissione che ha sognato.
A questo punto Mario e Luisa,genitori di Daniela,decidono misure drastiche;chiamano frate Antonio al capezzale di Daniela.
Il prete capisce immediatamente che la ragazza è vittima di una possessione demoniaca e consiglia loro di farla esorcizzare
da padre Xeno.
Così la ragazza viene trasportata in un convento,dove però la situazione precipita.
Preda di una crisi,sfascia la cella in cui è ricoverata e fugge in paese…
Servirà l’intervento di padre Xeno a guarire la ragazza?
Finale ovviamente tragico con tanto di premuta di piselli,un classico.
L’ossessa è un film del 1974,diretto da Mario Gariazzo.
Uno stravagante clone dell’Esorcista di Friedkin capostipite del filone demoniaco uscito nel 1973.
Il successo del film di Friedkin portò alcuni registi italiani a rifare pedissequamente film ispirati al personaggio di Regan,senza però
riuscire a ricreare la cupa,sinistra atmosfera del film americano.
Tra essi possiamo citare L’anticristo di Alberto De Martino,Chi sei? di Ovidio G. Assonitis e proprio l’Ossessa,il più debole dei tre.
Il film parte bene,con la scoperta dei due crocefissi e la descrizione della festa a cui partecipa Daniela.
Ma ben presto tutto svanisce,a partire dalla sequenza in cui l’amante di Luisa,madre di Daniela,frusta la donna stessa con un mazzo di rose
sul letto della donna,nudo ma con tanto di scarpe ai piedi.
Da li in poi il film scivola e poi rotola verso il banale,in una fiera del kitsch che non risparmia più nulla.
Un vero peccato non tanto perchè il film potesse dire nulla di originale,quanto per il buon cast reclutato per lo stesso.
Luigi Pistilli,Gabriele Tinti,Lucretia Love,Cris Avram,Ivan Rassimov e Umberto Raho,oltre alla protagonista Stella Carnacina meritavano
ben altro trattamento.
Manca tensione nel film e le scene di possessione si limitano ad alcune espressioni terrorizzate della Carnacina,in palese imbarazzo e a qualche
trucco di make up davvero sconfortanti.
Non è certo uno z movie, ma un film anonimo e francamente bolso.
Mario Gariazzo farà di molto peggio 4 anni dopo,girando l’allucinante Incontri molto… ravvicinati del quarto tipo;in quanto a L’ossessa vanno
segnalati solo i nudi di Lucretia Love,come al solito molto generosa nell’esposizione del suo corpo e qualche nudità di Stella Carnacina.
Davvero poco per salvare un film da dimenticare
L’ossessa
Un film di Mario Gariazzo. Con Luigi Pistilli, Gabriele Tinti, Stella Carnacina, Lucretia Love, Ivan Rassimov,
Chris Avram, Umberto Raho, Giuseppe Addobbati, Edoardo Toniolo, Andrea Scotti, Piero Gerlini,
Valentino Macchi, Bruna Beani Horror, durata 92 min. – Italia 1974.
Stella Carnacina… Daniela
Chris Avram … Mario
Lucretia Love … Luisa
Ivan Rassimov … Il diavolo
Gabriele Tinti … L’amante di Luisa
Luigi Pistilli … Padre Xeno,l’esorcista
Gianrico Tondinelli … Carlo
Umberto Raho … Lo psichiatra
Piero Gerlini … Padre Antonio
Regia: Mario Gariazzo
Sceneggiatura: Mario Gariazzo,Ambrogio Molteni,Ted Rusoff
Produzione: Paolo Azzoni,Riccardo Romano
Musiche: Marcello Giombini
Fotografia: Carlo Carlini
Montaggio: Roberto Colangeli
Recensioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
Homesick
Esponente del filone esorcistico italiano, in cui il Maligno agisce tipicamente attraverso l’arte (un Crocifisso ligneo da restaurare).
Predomina tuttavia l’aspetto erotico: dalla fresca bellezza della Carnacina – motore dell’azione e della possessione demoniaca – agli incontri sadomaso della coppia adulterina Tinti-Love, con lei che si fa frustare con un mazzo di rose. Il Bene è incarnato dall’eremita Pistilli, il Male da un Rassimov più luciferino che mai e dalla sua sacerdotessa Beani. Molto scarsa la confezione; buone le musiche di Giombini.
Cotola
Pessimo clone italiano de L’esorcista, si perde, dopo un inizio per nulla malvagio, in scene a dir poco ridicole che riciclano goffamente quelle della pellicola di Friedklin.
La regia e la sceneggiatura che sono sotto il livello di guardia. Poco altro da dire se non che sarebbe molto meglio evitarlo.
Undying
Uno dei primi film italiani nati sulla scia dell’Esorcista. L’inizio non è nemmeno malvagio, soprattutto grazie alla bizzarra idea di partenza e al dinamico montaggio, ma ciò che viene dopo non è altro che una fiacca copia del film di Friedkin con un po’ di sesso e di sangue in più e soprattutto con noia e trash ad alti livelli.
Mediocre la protagonista Stella Carnacina, ridicolo Ivan Rassimov nei panni del Diavolo, mentre il povero Luigi Pistilli fa quel che può. Musiche orecchiabili.
C’è di peggio, ma il film è comuque evitabilissimo.
L’opinione di The gaunt dal sito http://www.filmscoop.it
Una bella ciofeca, copia e incolla dell’Esorcista con una Stella Carnacina che più che un’ossessa è costretta a recitare una ninfomane all’ultimo stadio, visti i numerosi pruriti sessuali.
Bassisimo budget e si vede fin troppo bene. Divertenti e briose le scene dell’esorcismo, peccato che avrebbero dovuto far spaventare. Da recuperare forse per gli amanti del trash, materia in abbondanza che caratterizza questa, diciamo, pellicola penosa.
Le notti del terrore
Il professor Ayres,archeologo e scienziato si aggira nella vasta proprietà del conte George;armato di piccone entra in una grotta e inizia a scavare.Lo sventurato e incauto scienziato non sa che sta profanando un luogo sacro agli etruschi.Poco dopo infatti è assalito da un’orrida creatura,simile ad uno zombie che lo uccide a morsi.
Brusco cambio di scena.
Il conte George ha invitato nella sua villa un gruppo di amici che a bordo di tre auto sbarcano nel maniero; l’atmosfera lieta che si stabilisce tra il gruppo dura poco perchè un’orda di zombie si scaglia su di loro che vengono a poco a poco uccisi e divorati senza pietà.Nono stante tutti i tentativi non riusciranno ad avere la meglio sui furbi zombie che sono guidati proprio da Ayres e che alla fine riusciranno ad avere la meglio.
In estrema sintesi questa è la trama di Le notti del terrore conosciuto anche come Burial ground,o anche come Zombi horror o ancora con la traduzione letterale del titolo ovvero The nights of terror.
Diretto da Andrea Bianchi ne 1981,che in alcune versioni si firma come Andrew White,Le notti del terrore dovrebbe essere una delle tante pellicole che si ispirano al film di Romero La notte dei morti viventi,vero apri pista e padre dei film con zombi.
Film che è un vero e proprio compendio di tutto quello che un regista non dovrebbe fare nel dirigere una pellicola e al tempo stesso una delle cose più raccapriccianti in cui mi sia mai imbattuto.
E non certo perchè il film sia particolarmente spaventoso per situazioni o immagini.
Derivato da una sceneggiatura rabberciata alla meglio e spesso contraddittoria o fumosa,girato in stretta economia in una villa o al massimo nel suo parco,con attori da recita scolastica e con effetti speciali al limite (abbondantemente superato più volte) del grottesco,Le notti del terrore può ambire senza problemi alla top ten dei film più trash della storia del cinema,alla stessa stregua di pellicole come La bestia in calore o Incontri molto ravvicinati del quarto tipo.
Che ci sia qualcosa di strambo nel film lo si capisce quando troviamo degli etruschi in Inghilterra,si presume che la location sia quella
visto che le tre auto marciano a sinistra.
Il tempo di vedere gli ospiti sistemarsi nella villa ed ecco il Conte a letto con Evelyn,una delle ospiti sorpresi mentre si danno da fare
dal figlio di quest’ultima,Michael,che dovrebbe essere un ragazzino ritardato o poco più.
L’espressione di sorpresa dei tre è così innaturale da smuovere il sorriso;è il momento esatto in cui ci si rende conto che siamo di fronte ad una pellicola di serie z.
Da questo momento è tutto un susseguirsi di situazioni grottesche e assurde;gli zombie appaiono come esseri primordiali negli istinti
ma dotati di una certa intelligenza,di sicuro più acuta dei viventi che si cacciano in situazioni folli.
Bassa macelleria con scene che dovrebbero essere rivoltanti,zombie che strappano carne e la divorano,con la sequenza madre riservata al finale
delirante;l’incestuoso Michael,trasformato in zombi strappa un pezzo di seno a sua madre che lo ha avvicinato al suo petto nudo!
In mezzo sorrisi per l’improvvisazione che regna sul set e incredulità per quanto si vede sullo schermo.
Andrea Bianchi,a sei anni da Nude per l’assassino che era stato un buon successo e un buon film,tira fuori dal cilindro un film che in maniera
sospetta sembra creato apposta per far sganasciare dalle risate lo spettatore.
Funziona tutto al contrario,come già detto,e sembrerebbe un film diretto da un cine amatore.
Probabilmente, finiti gli anni d’oro del cinema anni 70 Bianchi non ha finanziamenti decenti e così ripiega su un filmaccio rabberciato sotto tutti
i punti di vista.
Sul cast stendiamo un velo pietosissimo;a parte Mariangela Giordano,gli altri commettono errori da principante,come guardare in camera ecc.
Le espressioni di terrore poi sembrano più dovute a problemi intestinali che a tentativi credibili di interpretazione.
In definitiva,uno dei prodotti peggiori in cui mi sia capitato di imbattermi,sconsigliato sotto tutti i punti di vista almeno come horror.
Ma qualche sana risata la strappa.
Le notti del terrore
di Andrea Bianchi (Andrew White).Con Mariangela Giordano,Karin Well,Gianluigi Chirizzi,Simone Mattioli,Peter Bark,Anna Valente.Horror,Italia 1981
Durata 85 minuti
Mariangela Giordano: Evelyn
Karin Well: Janet
Gianluigi Chirizzi: Mark
Simone Mattioli: James
Antonietta Antinori: Leslie
Roberto Caporali: George
Peter Bark: Michael
Claudio Zucchet: Nicholas
Anna Valente: Kathryn
Renato Barbieri: professor Ayres
Mariangela Giordano: Evelyn
Regia Andrea Bianchi
Sceneggiatura Piero Regnoli
Produttore Gabriele Crisanti
Casa di produzione Esteban Cinematografica
Fotografia Gianfranco Maioletti
Effetti speciali Gino De Rossi
Musiche Elsio Mancuso, Burt Rexon
Scenografia Giovanni Fratalocchi
Trucco Mauro Gavazzi, Rosario Prestopino
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
Renato
Film horror che assomiglia più ad una commedia demenziale, anche se non credo che la cosa fosse intenzionale…
Decine di zombi in impermeabile e maschera coi vermi assaltano una villa (ovviamente stra-isolata e senza telefono)
decimando i presenti per la nostra soddisfazione. Dialoghi risibili, regìa poverissima e musiche fastidiose… e ciononostante
il film si fa guardare fino alla fine, sempre nell’ormai celeberrima logica del brutto che affascina. Una visione, non di più.
Cotola
Perla imperdibile del trash italiano che vanta numerosissimi estimatori. Il film, infatti, pur essendo davvero brutto, diverte non poco
chi si imbatterà in esso: i dialoghi ridicoli, gli attori impresentabili, l’inverosimiglianza di alcune situazioni
(frutto di una sceneggiatura pessima e grossolana) contribuiscono a renderlo indimenticabile. Se siete in cerca di crasse risate questo è il film che fa per voi.
Ciavazzaro
Un trash che però non riesce a non piacere. Il cast è composto in gran parte da attori cani tolta la bellissima Mariangela Giordano e il bravo Caporali
(che rivedremo qualche anno dopo ne Le Nuove Comiche), ma l’ambientazione nella villa funziona e il sangue scorre copioso. Alcuni trucchi fanno pena, ma mediamente ci si diverte.
Non così orrendo come si può credere a prima vista. Da vedere.
Deepred89
Uno dei capisaldi dell’horror-trash nostrano. Attori cani (ad esser buoni), effetti splatter abbondanti ma rozzissimi, dialoghi esilaranti (molti sono ormai passati alla storia),
regia approssimativa, montaggio pieno di errori (alcuni degni di un dilettante), musiche allucinanti (con effetti in stile fantascienza di serie Zz). Comunque il ritmo è alto e non ci si annoia mai.
E poi c’è Peter Bark, il quale rende il film qualcosa di sublime. Orribile ma imperdibile.
Undying
Il fascino di pellicole come questa sta tutto nell’approssimazione: da quella data dagli interpreti a quella generata da un soggetto fatto con dialoghi allucinati e poco curati.
Andrea Bianchi è stato regista di decine di pellicole (di vario genere) fatte con questo tenore e viene – non a caso – rammentato solo in occasione di questo Zombi Horror (nobilitato dagli effetti speciali del grande Giannetto De Rossi) e del consimile (giallo) Nude per l’assassino… Un film non per nuove generazioni…
Il Gobbo
Notevolissimo. Trionfo di coratella e fegatini, affare della vita per le macellerie fornitrici, e materia di effettacci alla vaccinara davvero squisiti. Uno spettatore superficiale sarebbe incline a pensare che la tecnica sia la stessa del porno: tasto forward e via a cercare le scene clou. Grave errore, perchè il gore è la giusta punizione che la robusta etica del regista commina agli incredibili personaggi.
Ai posteri l’allattamento un po’ esagerato e gli zombi deossoriani con saio, ma non male anche lo scienziato (?) dell’inizio. Mistico.
Puppigallo
Se volete farvi quattro risate, vedendo un gruppo di pseudoidioti, tra i quali, una madre con un figlio che fa più impressione degli zombi, degli zombi etruschi fatti di pongo e cartongesso e un saggio di recitazione da teatrino dei burattini (occhio a ciò che dicono e, soprattutto, a James e alle sue espressioni), ve lo consiglio. Devono però piacervi anche le viscere esposte e i vermi, altrimenti astenersi.
Ah, dovrebbe essere un horror. Ma quando vedi certe scene (i grugni stessi degli zombi; La tagliola da lividi; I frati con sorpresa; Gli zombi organizzati), non puoi che ridere.
Homesick
Dopo gli esempi di Romero, Fulci e Girolami, anche Andrea Bianchi si dedica agli zombi, esseri in putrefazione – qui piuttosto astuti e vigorosi – risorti dall’Aldilà e famelici di carne umana. Squallidissimo, accatastato
su una sceneggiatura (di Piero Regnoli) pressoché inesistente, dialoghi pietosi, trucchi da carro di Carnevale e un cast di impresentabili che comprende, tra gli altri, le divette del soft-core dei poveri Karin Well
e Antonella Antinori e il freak Peter Bark. Roba da chiodi.
L’opinione del sito http://www.filmperpochi.it
Altro film italiano di zombie, questa volta tra più brutti che mi sia capitato di vedere! Conosciuto anche come Zombie Horror annoia dai primi minuti e continua ad annoiare fino alla fine, fatta eccezione per qualche risata che inevitabilmente
le scene assurdo/trash provocano!
Del regista Andrea Bianchi non so praticamente nulla, se non quello che è scritto su wikipedia, quindi non posso nemmeno dilungarmi in un nostalgico racconto sul passato del cinema nostrano, quindi passo direttamente all’analisi del film…
La particolarità del film è che qui gli zombie di questo film sono capaci di utilizzare oggetti o semplici armi, come asce e accette. Questa particolarità però porta solo a scene scontate, alcune delle quali stupidissime, come la morte della
povera cameriera che viene prima inchiodata alla finestra da uno zombie che scaglia il chiodo con una precisione millimetrica, e poi decapitata con una falce! Altra scena memorabile è quella della prima aggressione degli zombie, dove una ragazza
rimane intrappolata in una tagliola che non si sa perchè il conte sistema nel giardino di casa sua… Neanche il make-up degli zombie è convincente.
Il castello dalle porte di fuoco
Tardo gotico uscito nelle sale nel 1971,Il castello dalle porte di fuoco è una produzione low budget diretta da Josè Luis Merino,onesto artigiano del B movie autore,prima di questa pellicola,di una serie di film appartenenti a svariati generi,dall’euro spy al western all’horror.
Molto conosciuto in Italia tra gli amanti del cinema di serie B per Zorro la maschera della vendetta e per Zorro il cavaliere della vendetta,Merino tira giù una pellicola senza grossi sussulti,con pochissimi soldi ma con qualche buona idea.
L’ambientazione è quella tipica del gotico venato di horror,un castello,un misteroso assassino dalle sembianze mostruose
con l’aggiunta di un pizzico (davvero tale)di castigato erotismo.
Tanto da far credere che se girato tra il 67 e il 69 i risultati sarebbero stati più accettabili;negli anni settanta il gotico era ormai tramontato come genere e l’interesse per questo particolare tipo di film era ormai scemato.
Il castello dalle porte di fuoco si apre con la protagonista Ivana Rakowski (l’italianissima Erna Schurer) che viene assunta da un’agenzia per lavorare presso il barone Janos Dalmar,un uomo sul quale corrono strane voci,tutte allarmanti.
Ivana le apprende immediatamente;si mormora che le donne che hanno avuto a che fare con il barone in passato abbiano tutte
fatto una brutta fine.
Nonostante gli avvertimenti ricevuti,la donna si reca lo stesso presso il castello di Dalmar,che a sorpresa si rivela essere uomo raffinato e a suo modo affascinante.
Ben presto le preoccupazioni di Ivana svaniscono,cosa favorita dall’affiatamento raggiunto con il Barone.
Ma a turbare tutto ecco arrivare la misteriosa morte di Olga,governante del castello,seguita subito dopo dall’altrettanto inquietante morte di Cristiana,una domestica.
Per Ivana è l’inizio di un incubo.
Convinta che dietro la morte delle due donne ci sia Janos,che agirebbe in preda a furiosi attacchi di licantropia,
Ivana decide di trovare una cura per guarirlo.
La notevole attrazione che esiste tra i due porta Janos a chiederle di sposarlo,cosa che Ivana,ormai innamorata di lui accetta di buon grado di fare.
Ma la prima notte di nozze ecco che le morti misteriose delle due donne trovano una spiegazione; mentre Janos è impegnato fuori dal castello,attratto dall’improvviso abbaiare dei cani,Ivana viene assalita da un uomo orribilmente sfigurato…
Una sceneggiatura abbastanza scontata nel suo svolgimento fa da cornice ad un film che però non delude nonostante la pochezza di mezzi a
disposizione di Merino.
Certo,siamo di fronte ad un puzzle che compone diverse sceneggiature,con il classico laboratorio del dottore che per una volta non è il tradizionale “mad doctor”;c’è il classico “mostro” che uccide per motivi banali,la bellona che si innamora del sospetto e anche l’happy end.
Ma alla fine il risultato non è dei più malvagi.
Pochi colpi di scena,poca suspence ma un andamento lento che per fortuna non annoia.
Curiosa la decisione di affidare il ruolo della dottoressa in chimica alla bellona nostrana Erna Schurer,francamente poco credibile
in tale ruolo in loco della ben più espressiva Agostina Belli,relegata nel ruolo di vittima sacrificale del mostro.
In realtà la Belli aveva alle spalle solo 5 pellicole e in queste non era stata tra le protagoniste,mentre la Schurer,al secolo Emma Costantino era già una piccola star del B movie,con alle spalle film come Le salamandre e sopratutto La bambola di Satana.
Ma in fondo sono dettagli.
Dscreta la prestazione di Charles Quinney nel ruolo del Barone.
Film completamente dimenticato che è estremamente raro da trovare.
Esistono in rete alcune versione più o meno tagliate,ma tutte in inglese e senza sottotitoli.
Il castello dalle porte di fuoco
Un film di José Luis Merino. Con Agostina Belli, Erna Schurer, Charles Quiney, Christin Galloni, Giancarlo Fantini,
Ezio Sancrotti, Enzo Fisichella Horror, durata 96 min. – Italia 1971.
Erna Schurer: Ivanna Rakowsky
Charles Quinney: Janos Dalmar
Agostina Belli: Cristiana
Cristiana Galloni: Olga
Mariano Vidal Molina: Ispettore
Regia José Luis Merino
Soggetto Enrico Colombo, María del Carmen Martínez Román e José Luis Merino
Sceneggiatura Enrico Colombo, María del Carmen Martínez Román e José Luis Merino
Produttore Roger Corman
Casa di produzione Prodimex Film e Órbita Films
Fotografia Emanuele Di Cola
Montaggio Sandro Lena
Opinione tratta dal sito http://www.filmhorror.com
(…) Ecco uno dei tanti film finito (ingiustamente) nello spietato tritacarne della critica più negativa. Negli anni, IL CASTELLO DALLE PORTE DI FUOCO è stato spesso e volentieri bistrattato decisamente più del dovuto.
Intendiamoci, di esaltante o di geniale non c’è davvero nulla, ma la sceneggiatura è solida, Merino è bravo a girare e l’ambientazione gotica funziona. Erna Schurer ha una bella parte e il livello medio di recitazione va ben oltre la sufficienza.
Sarebbe superfluo stare a specificare che non si toccano le vette del cinema di Mario Bava, anche perché tutto scorre in maniera molto semplice e lo stile del regista spagnolo è piuttosto elementare, va però riconosciuto a Merino il merito di
saper creare un certo interesse nello spettatore che, trovandosi a dover fare i conti con un ritmo non certo scoppiettante, può comunque trovare nel film diversi elementi interessanti.(…)
L’opinione di Wang yu dal sito http://www.filmtv.it
Lento come una lumaca,non fa paura,non inorridisce.
L’opinione di Undijng dal sito http://www.davinotti.com
Horror italo-spagnolo che guarda al gotico di casa nostra anche se poi si sviluppa -grazie ad una sceneggiatura quantomeno originale- quasi come un giallo. Lontano da spettri e magioni infestate, Josè Luis Merino punta l’obiettivo sulla misteriosa
figura di un eccentrico Duca e sugli studi (da questi avanzati) centrati sulla ricerca di un elisir di lunga vita. Peccato che il budget (curato da Corman) imponga, prevalentemente, una messa in scena davvero povera, aggravata dalla totale assenza
di trucchi e effetti speciali. Partecipazione italiana per attori (Agostina Belli) e musica (Malatesta).
L’opinione di Il gobbo dal sito http://www.davinotti.com
Il vecchio Merino prende il cast dei suoi Zorro e lo ricicla in un gotico ravvivato da qualche tetta e compilato avendo davanti l’abbecedario del genere. I cui adepti (quorum ego) tutto sommato possono apprezzare, o quantomeno non annoiarsi troppo.
La Schurer chimica è pressappoco sullo stesso piano di Mario Tessuto fisico nucleare.
I satanici riti di Dracula
Il Professor Van Helsing, studioso addentro alle cose misteriose e ai segreti dell’esoterismo viene contattato da un reparto speciale di Scotland Yard per svolgere una delicata indagine.Si tratta infatti di investigare su una cerchia di uomini potenti della città che frequentano una villa in cui si sospetta accadano strani avvenimenti.
Prima di recarsi nella villa, Van Helsing contatta un suo vecchio amico d’università che risulta essere presente nella lista dei notabili:si tratta del professor Julian Chili,premio Nobel che sta facendo studi su un bacillo in grado di provocare un’epidemia di peste.
La Psychical Examination and Research Group,l’organizzazione a cui fa capo Dracula, il misterioso uomo che guida le fila della stessa in realtà si pone come obiettivo la distruzione dell’umanità;Van Helsing, arrivato nella villa si ritrova a doversi battere contro il vampiro, che dimora nella villa .
Van Helsing,che è accompagnato da sua nipote Jessica viene sconfitto ma qualcosa cambia improvvisamente le sorti del conflitto…
I satanici riti di Dracula è una produzione Hammer del 1973, l’ottava dedicata al celebre personaggio creato da Bram Stoker.
Ormai prigionieri dell’ambientazione gotico/horrorifica di derivazione transilvanica, i dirigenti della Hammer tentano un’improbabile dimensione post moderna, contaminando l’atmosfera tipica dei film vampireschi con una storia elaborata di congiure scientifiche per annientare l’umanità grazie a un mortale bacillo.
La Hammer affida al regista canadese Alan Gibson il compito di dirigere The Satanic Rites of Dracula tradotto poi letteralmente in Italia come I satanici riti di Dracula e contemporaneamente scrittura Christopher Lee per vestire i panni di Dracula e Peter Cushing quelli del suo celebre nemico,Van Helsing.
Non è un caso,ovviamente,visto che Gibson aveva già diretto il precedente film Hammer dedicato al re dei vampiri, quel 1972: Dracula colpisce ancora! che comunque non si era rivelato un grosso successo al box office.
E anche questo film alla fine non si rivelò una mossa vincente:nonostante la presenza del duo Lee-Cushing i risultati al box office furono deludenti.
E non certo per colpa del cast ma per una sceneggiatura molto lacunosa e sopratutto lontana dalle atmosfere tipiche dei film con protagonisti i vampiri.
In pratica la miscela vampiri/sangue/sesso, sostituita dal “terrorismo” batteriologico non funzionò e il pubblico in pratica abbandonò il genere, cosa che fece anche Christopher Lee che,fiutato il cambio di gusto del pubblico, non accettò più ruoli del genere mentre Cushing entrò nel cast di La leggenda dei 7 vampiri d’oro, ultimo film vampiresco della Hammer.
Tornando al film, di vampiresco non rimane quasi più nulla;Gibson sembra più interessato a mostrare un Dracula fiancheggiatore di poteri forti, quasi un epigono di un dittatore pronto a conquistare il mondo non più con i canini ma con un ben più pericoloso e devastante virus che è in grado di eliminare l’umanità.
Per dare un segno di contiguità con il suo precedente 1972: Dracula Colpisce Ancora! il regista riprende alcuni personaggi già presenti nel citato film come l’ispettore Murray e la nipote del professor Lorrimer Van Helsing Jessica.
Dracula non ha più canini e mantello ma veste come un uomo d’affari,i suoi mezzi di conquista sono cambiati;il protagonista è il doppio petto,come in Hanno cambiato faccia di Corrado Farina, splendido apologo del vampirismo del potere che conquista grazie alle armi del consumismo e del lavoro, della pubblicità e della religione.
Il risultato finale è un film non riuscito ma con un suo fascino; la contaminazione fra l’horror tradizionale Hammer e il poliziesco/thiller/fantapolitico ha molte pecche ma è comunque ben diretto e ben recitato.
Bene comunque il cast,impeccabile e bene anche sia la fotografia di Brian Probyn che l’ambientazione;un vero peccato che questo film sia in pratica il canto del cigno della Hammer giunto in un periodo in cui ormai l’horror vampiristico era tramontato come genere.La gloriosa casa britannica,che tanto aveva dato alla cinematografia di genere era ormai giunta al capolinea.
I satanici riti di Dracula
Un film di Alan Gibson. Con Christopher Lee, Peter Cushing, William Franklin, Michael Coles, William Franklyn,Freddie Jones, Joanna Lumley, Richard Vernon, Barbara Yu Ling, Patrick Barr, Richard Mathews, Lockwood West, Valerie Van Ost, Maurice O’Connell, Peter Adair, Maggie Fitzgerald, Pauline Peart, Fionnula O’Shannon, Mia Martin Titolo originale The Satanic Rites of Dracula. Horror, durata 88′ min. – Gran Bretagna 1973
Christopher Lee: Conte Dracula
Peter Cushing: Prof. Lorrimer Van Helsing
Michael Coles: Ispettore Murray
William Franklyn: Torrence
Freddie Jones: Prof. Julian Keeley
Joanna Lumley: Jessica Van Helsing
Richard Vernon: Colonnello Mathews
Barbara Yu Ling: Chin Yang
Patrick Barr: Lord Carradine
Richard Mathews: John Porter
Lockwood West: General Sir Arthur Freeborne
Valerie Van Ost: Jane
Maurice O’Connell: Hanson
Regia Alan Gibson
Soggetto Don Houghton
Sceneggiatura Don Houghton
Casa di produzione Hammer Film Productions
Fotografia Brian Probyn
Montaggio Chris Barnes
Musiche John Cacavas
L’opinione del sito http://www.splattercontainer.com
(…) I Satanici riti di Dracula è la copia quasi perfetta delle tematiche di Hanno cambiato Faccia, il capolavoro di Farina del 1971, un film pregno di importanti messaggi politici. Già da questa sua palese derivazione si comprende come le idee dello script affidate al regista Gibson fossero poche e confuse. Il risultato finale, a discapito di queste premesse, però non è pessimo. Il regista ha sfruttato in maniera ottimale la classica coppia Lee/Cushing con quest’ultimo a reggere quasi da solo tutto il film per colpa di un Lee a tratti leggermente logorato dal suo ruolo. Il mix tra spionaggio e fanta horror tiene sempre alta l’attenzione dello spettatore che è comunque costretto ad affrontare una storia decisamente scontata. Un pizzico di novità ce la fornisce il modo in cui alla fine il bene trionfa sul male; dopo una serie di paletti conficcati tra le tette delle fidanzate di Dracula e una pallottola d’argento che manca il bersaglio non ci si aspetta un’arma così strana come quella usata da Van Helsing per sconfiggere il vampiro. Vi ho rovinato il finale? Dai, non mi dite che non sapevate che alla fine Van Helsing avrebbe vinto?! Siamo salvi.(…)
L’opinione di Thegaunt dal sito http://www.filmscoop.it
Poco soddisfacente questo Dracula adattato ad un contesto più moderno. La trama ha indubbiamente elementi horror, ma l’ossatura principale ricorda più il genere spionistico e fantapolitico. Un mix poco riuscito dove la figura di Dracula perde carisma malgrado Lee e perdipiù penalizzata da una presenza limitata che lo penalizza.
L’opinione di zederfilm dal sito http://www.filmtv.it
Ultimo episodio della saga di casa Hammer sulla figura del Conte Dracula, questo film è considerato dai più un fiasco, principalmente per il fatto di aver portato l’azione ai nostri giorni (così come il precedente 1972 Dracula Colpisce Ancora ): invece il film non è assolutamente male, anzi, è interpretato da un cast di attori eccezionali e bravissimi, ha un inizio sfolgorante quasi da film d’azione e le ambientazioni (anche se non siamo più in Transilvania o nella Londra vittoriana ) sono sinistre e cupe, il che non fa rimpiangere le locations gotiche dei film precedenti. Eccezionali Christopher Lee e Peter Cushing come sempre nei rispettivi ruoli di Dracula e di Van Helsing. Finale memorabile (anche se improbabile). Consigliato ai cultori del genere e agli appassionati di vampiri.
L’opinione di horrormovie.it
Questa volta Dracula si mette a capo di un gruppo di…speculatori edilizi! Il suo vero scopo è quello di riuscire a diffondere sulla terra un morbo letale simile alla peste. Ma, anche stavolta, a rovinare i piani del Principe delle Tenebre ci penserà il suo nemico giurato Van Helsing… Christopher Lee e Peter Cushing si prestano, per l’ennesima volta, ad interpretare i due antagonisti per eccellenza del genere horror Dracula e Van Helsing per questo che è senza dubbio uno dei peggiori e meno riusciti film della Hammer sul mitico Conte. Assolutamente evitabile!
L’opinione di trivex dal sito http://www.davinotti.com
Sorpresa positiva questa produzione Hammer anni 70, in cui vengono sapientemente ed efficacemente coniugati gli “antichi” canoni vampireschi (leggende, croci, pallottole d’argento, etc..) con i “valori” preponderanti del mondo moderno (potere e ricchezza). Il tradizionale vampiro è l’elemento d’unione, poiché viene dal passato per distruggere il futuro (la “morte nera”) per una furibonda “sete” di vendetta. Un po’ splatter, una donna nuda da sacrificare, le donne vampiro incatenate e assetate di sangue… sì, gli anni 70 si fanno proprio vedere!