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Amarcord

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Amarcord, io mi ricordo.
Per dirla all’emiliana o alla riminese,a m’arcord.
Un passato che rivive tra nostalgia e rimpianto,tipici sentimenti di chi sa che il passato irrimediabilmente non c’è più che si fonde
magicamente,liricamente,con immagini di rara bellezza.
Tutte in galleria,come un percorso ideale intrapreso nei meandri della memoria,alla ricerca di sensazioni visive,da risvegliare.
Quelle sensazioni che ti fanno pulsare il cuore e ritornare ad un passato irripetibile,come tutto quello che appartiene
alla vita e alla storia.
Che è personale ma che si fonde mirabilmente con la storia collettiva,attraverso volti e personaggi,più o meno sfumati,più o meno importanti
ma tutti impressi come una ruga sul volto nei ricordi.
Amarcord è il film più autobiografico,più sentito di Federico Fellini.
E non poteva essere altrimenti.
Perchè quando metti mano alla tua storia personale vai a smuovere qualcosa che credi di aver messo da parte,che ti accompagna ma che
man mano esplode proprio nel momento in cui li riporti alla vita,o meglio,a nuova vita.
Così il film si trasforma in una serie ininterrotta di emozioni visive sull’onda del passato vissuto nella natia Rimini,quella degli anni trenta.
Così diversa dalla Rimini degli anni settanta proprio come è differente il grande Federico nella maturità,com’è ovvio che sia.

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Amarcord è un percorso a ritroso,ideale.
Un viaggio nella Rimini degli anni 30,probabilmente il 1933,visto che ci sono sequenze con la Mille Miglia e il passaggio del Rex,atteso dalla folla con ansia spasmodica;un percorso di un anno,di primavera in primavera,che però segna profondamente la vita del protagonista del film e lo trasporta nell’età adulta.
Una carrellata di personaggi si susseguono sullo schermo;tristi,allegri,goliardici,meschini.
Tutte le categorie umane sfilano senza soluzione di continuità,tanto che in ognuno di essi lo spettatore sembra riconoscere qualcuno deja vu.
Infatti Fellini disse “« Mi sembra che i personaggi di Amarcord, i personaggi di questo piccolo borgo, proprio perché sono così, limitati a quel borgo,
e quel borgo è un borgo che io ho conosciuto molto bene, e quei personaggi, inventati o conosciuti, in ogni caso li ho conosciuti o inventati molto bene, diventano improvvisamente non più tuoi, ma anche degli altri »
Acuta l’osservazione di Valter Veltroni:”Basterebbe il Rex,, la sequenza dell’arrivo del Rex per vedere Amarcord di Fellini. Viaggio e conquista, speranza e realizzazione, povertà e riscatto sono nel sogno di quella nave, scura e maestosa.
Il film è il Rex della memoria. È una traversata in un mondo di poesia, di frammenti di reale, di schiette furbizie dei ricordi di un tempo. Con Fellini, e con lo stupore di Tonino Guerra, guardiamo, in quella Romagna fascista, una terra carnosa e irriverente, surreale e sognatrice. Lo zio matto che dalla cima di un albero grida: «Voglio una donna» e viene salvato da una monaca nana, il volto di lince della Gradisca,
le «bombardone» della tabaccaia che inizia al sesso gli adolescenti, l’apparire del mito delle Mille Miglia, la neve che scende copiosa, il vecchietto che non smette più di fischiare e muovere il braccio per testimoniare la virilità difesa.”

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Protagonista del film è Titta Benzi,storico amico d’infanzia del regista,così come l’altra protagonista è la Rimini tanto amata e detestata;una Rimini ricostruita negli studios di Cinecittà e ad Ostia,una cittadina pigra e indolente,goliardica e provinciale.
Lo sfondo è quello dell’Italia fascista,preda di un regime menzognero e prevaricatore,un’Italia quasi infantile che subisce le angherie del regime,dalle divise dei balilla alle adunate oceaniche,dalla retorica del Duce ha sempre ragione alle sue magniloquenti quanto effimere manifestazioni di grandezza.
Titta è figlio di Aurelio e Miranda;il primo è un piccolo costruttore,la seconda una tranquilla donna di casa.
I due sono perennemente preda di bisticci familiari,mentre nella famiglia ci sono anche zio Teo,dalla salute mentale precaria e spesso ricoverato in manicomio e zio Pataca,dalla vocazione parassitaria,che vegeta alle spalle della famiglia.
Il microcosmo esterno pullula di personaggi di ogni genere;quello femminile,che provoca in Titta i primi pruriti adolescenziali ha in Gradisca la figura più potente.
La donna è una procace parrucchiera,protagonista dei sogni erotici del giovane e dei suoi amici;c’è la tabaccaia dai seni monumentali,che in qualche modo “svezzerà” Titta e Volpina,che ad onta del suo nome è una scemacchiotta ai limiti della ninfomania.
Il piccolo universo si popola anche di grottesche o tenere figure maschili,come Giudizio il matto o Biscein,il patologico bugiardo,il suonatore cieco di Cantarel e tanti,tanti altri volti che costuiscono l’humus nel quale il giovane Titta forma il suo carattere e sperimenta delusioni e alimenta speranze.
Amarcord quindi vive di questo perenne ricordo di una stagione,forse la più importante nella vita di ognuno,quella che ti strappa dalla condizione di adolescente e ti trasporta nel mondo contraddittorio,pericoloso e schizofrenico degli adulti.

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Fellini va alla ricerca delle sue radici,con nostalgia ed evidente rimpianto.
Il suo percorso negli archivi della memoria riporta a galla un periodo storico irrimediabilmente cancellato dalla storia,non certo dai ricordi personali.
Come dimenticare tuo padre antifascista costretto a bere l’olio di ricino?
Ricordi impressi come un marchio di fuoco,in cui si risveglia la tenerezza per le prime pulsioni sessuali e per le esperienze maturate con il gruppo di amici con cui ha condiviso una stagione importante della vita.
Un’esperienza visiva potente,tutta da gustare.
Che vive anche si una sonorità assolutamente straordinaria,sottolineata dalle splendide musiche di Nino Rota che accompagnano il film.
Due ore di cinema di altissimo livello.
Popolato da una galleria di attori straordinari.
Dalla sempre intensa Pupella Maggio,che interpreta la madre di Titta a Armando Brancia che interpreta il padre a Magali Noel,la conturbante Gradisca a Ciccio Ingrassia che è Teo,fino a Bruno Zanin che interpreta Titta,gli attori guidati dalla maniacale mano di Fellini danno il meglio di se.
Tra le molte sequenze memorabili del film,cito il volo del pavone nella neve,il passaggio del transatlantico Rex,la giunonica tabaccaia che soffoca Titta con i seni,Teo sull’albero,la morte della madre di Titta,episodio chiave per la crescita e l’ingresso nell’età adulta.

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L’accoglienza ad Amarcord,uscito nelle sale italiane il 18 dicembre 1973 fu da subito unanimemente entusiasta;per la prima volta un film di Fellini sbancò il botteghino e ben presto il film venne candidato agli Oscar,con la vittoria del 1975 come miglior film straniero,dopo una strenua lotta con un altro splendido film,Cognome e nome: Lacombe Lucien (Lacombe Lucien), regia di Louis Malle.
In definitiva,un film che coniuga in maniera pressochè perfetta la poesia con l’immagine;uno dei capolavori assoluti del cinema,capace di portare nel linguaggio comune un altro termine diventato un neologismo nazionale,mutuato dal titolo del film,Amarcord,come Dolce vita per indicare un’epoca storica della vita sociale italiana.
Vi segnalo la presenza su You tube di un rarissimo dietro le quinte del film,con scene riprese durante le riprese del film;https://www.youtube.com/watch?v=ptXUjMNNALc
Per quanto riguarda lo streaming (e il download del film) una bella versione è presente a questo indirizzo:https://openload.co/f/bGVOD01axmw/Federico_Fellini-Amarcord__1973.mp4

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Amarcord

Un film di Federico Fellini. Con Bruno Zanin, Pupella Maggio, Armando Brancia, Giuseppe Ianigro, Gianfilippo Carcano, Ciccio Ingrassia, Magali Noël, Nandino Orfei, Alvaro Vitali, Josiane Tanzili, Mario Liberate, Maria Antonietta Beluzzi, Antonino Faa Di Bruno, Francesco Maselli, Lino Patruno, Nando Orfei, Aristide Caporale Commedia, , durata 127 min. – Italia 1973.

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Bruno Zanin: Titta
Armando Brancia: Aurelio, il padre di Titta
Pupella Maggio: Miranda, la madre di Titta
Giuseppe Ianigro: Il nonno di Titta
Nando Orfei: Lallo, detto “Il Pataca”, lo zio di Titta
Stefano Proietti: Oliva, il fratello di Titta
Magali Noël (con il nome Magali’ Noel): Ninola “La Gradisca”
Donatella Gambini: Aldina Cordini
Gianfranco Marrocco: Il figlio del conte
Antonino Faà di Bruno: Il conte di Lovignano
Fernando De Felice: Cicco
Bruno Lenzi: Gigliozzi
Bruno Scagnetti: Ovo
Alvaro Vitali: Naso
Ciccio Ingrassia: Teo, lo zio matto
Francesco Vona: Candela
Aristide Caporale: Giudizio
Luigi Rossi: L’avvocato
Gennaro Ombra: Biscein
Domenico Pertica: Il cieco di Cantarel
Ferruccio Brembilla: Il leader fascista
Marcella Di Folco (con il nome Marcello Di Falco): Il Principe
Antonio Spaccatini: Il federale
Maria Antonietta Beluzzi: La tabaccaia
Josiane Tanzilli: La Volpina
Gianfilippo Carcano: Don Balosa
Mauro Misul: Il professore di filosofia
Armando Villella: Fighetta, il professore di greco
Mario Liberati: Ronald Coleman, proprietario del teatro Fulgor

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Piero Tiberi: Titta Biondi
Corrado Gaipa: Aurelio, il padre di Titta; Oste
Ave Ninchi: Miranda, la madre di Titta
Fausto Tommei: Il nonno di Titta
Romolo Valli: Lallo, lo zio di Titta
Paola Dapino: Gina, la cameriera
Enzo Robutti: Teo, lo zio matto
Adriana Asti: La Gradisca; La Volpina
Oreste Lionello: Giudizio; Il federale; Fighetta, il professore di greco; Muratore poeta
Solvejg D’Assunta: La tabaccaia
Enzo Robutti: Il cieco di Cantarel
Renato Cortesi: Fascista pelato dal barbiere; Uomo in strada; Ragazzo con le occhiaie; Il fascista dell’olio di ricino
Isa Bellini: Prof.ssa di matematica
Carlo Baccarini: Il fotografo; Il barbiere; Uomo che corteggia Gradisca; Operaio al cantiere; Uomo con paglietta
Gigi Reder: Prof. di scienze; Fascista sulla sedia a rotelle
Pietro Biondi: Il carabiniere Matteo, marito di Gradisca; Padrone del caffè commercio
Roberto Bertea: Madonna, il vetturino
Marcello Tusco: Il proprietario del Fulgor
Mario Feliciani: Zeus, il preside
Mario Maranzana: Un cliente del barbiere; Fascista che urla nel buio
Silvio Spaccesi: il vecchio preso in giro
Enrico Lazzareschi: Il fascista toscano
Mario Maldesi: L’emiro nano; L’infermiere del manicomio; Parole sussurrate
Enzo Liberti: Medico dell’ospedale
Laura Carli: La monaca nana
Moira Orfei: Donna sulla barca
Federico Fellini: Le pernacchie

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Regia Federico Fellini
Soggetto Federico Fellini, Tonino Guerra
Sceneggiatura Federico Fellini, Tonino Guerra
Produttore Franco Cristaldi
Casa di produzione F.C. Produzioni
Distribuzione (Italia) Dear International
Fotografia Giuseppe Rotunno
Montaggio Ruggero Mastroianni
Effetti speciali Adriano Pischiutta
Musiche Nino Rota
Scenografia Danilo Donati
Costumi Danilo Donati
Trucco Rino Carboni

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1 Amarcord 2:07
2 La fogaraccia 2:14
3 Le Manine di Primavera 3:10
4 Lo Struscio: Quel Motivetto che mi piace tanto / Stormy Weather / La cucaracha 3:54
5 L’emiro e le sue odalische: Solomè abat jour 2:30
6 Gary Cooper 1:23
7 La gradisca e il principe 2:29
8 Siboney 2:09
9 Danzando nella nebbia 1:49
10 Tutti a vedere il rex 2:27
11 Quanto mi piace la gradisca 3:08
12 La Gradisca si Sposa e se ne và 2:16

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“Mio nonno fava i mattoni, mio babbo fava i mattoni, fazzo i mattoni anche me’, ma la casa mia n’dov’è?”

“Le manine scoincidono nel nostro paese con la primavera. Sono delle manine di cui che girano, vagano qua e vagano anche là.
Sorvolano il cimitero di cui tutti riposano in pace. Sorvolano il lungomare come i tedeschi… datesi che il freddo non lo sentono loro.
Ai… Al… Vagano, vagano. Girolanz… Gironzano… Gironzalon… Vagano, vagano, vagano!”

“Commetti atti impuri? Ti tocchi? Lo sai che San Luigi piange quando ti tocchi? “

Guarda quante ce ne sono, oh. Milioni di milioni di milioni di stelle. Ostia ragazzi, io mi domando come cavolo fa a reggersi tutta sta baracca.
Perché per noi, così per dire, in fondo è abbastanza facile, devo fare un palazzo: tot mattoni, tot quintali di calce, ma lassù, viva la Madonna,
dove le metto le fondamenta, eh? Non son mica coriandoli.”

“Qual gentil donzella, tu mi appari Aldina bella, e in tutto il tuo folgore (DANG!), mi fai battere forte il cuore (DANG, DANG!).”

“E bà de mi bà diceva così: Per campè sèn bsegna pisé spes com’i chen. Per campar sano bisogna pisciar spesso come il cano.”

“Un babbo fa per cento figlioli e cento figlioli non fanno per un babbo, questa è la verità.”

“È l’inverno che muore, sai, e arriva la primavera. Me la sento già addosso io, la primavera!”

“Eh, sono ancora qui che aspetto! Vorrei un incontro di quelli lunghi, che durano tutta una vita… Vorrei avere una famiglia, io: dei bambini, un marito per scambiare due parole la sera…
magari bevendo il caffelatte… e poi qualche volta fare anche l’amore, perché quando ci vuole ci vuole! Ma più che l’amore contano i sentimenti, e io ne ho tanto di sentimento dentro di me…
Ma a chi lo do? Chi è che lo vuole?”

“Camerati, hanno detto pane e lavoro; ma non è meglio pane e un bicchiere di vino?”

“Ma come si fa a non toccarsi quando si vede la tabaccala con tutta quella roba, che ti dice “Esportazione?”!? E la professoressa di matematica che sembra un leone…
Madonna, ma come si fa a non toccarsi quando ti guarda così?”

“Le manine coincidono nel nostro paese con la primavera. Sono delle manine di cui che girano, vagano qua e vagano anche là. Sorvolano il cimitero di cui tutti riposano in pace.
Sorvolano il lungomare come i tedeschi… datesi che il freddo non lo sentono loro. Ai… Al… Vagano, vagano. Girolanz… Gironzano… Gironzalon… Vagano, vagano, vagano!”

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Oscar 1975 per il miglior film straniero
David di Donatello 1974 per il miglior film a Federico Fellini e Franco Cristaldi
per la miglior regia a Federico Fellini
Nastro d’argento 1974 per il miglior regista del miglior film a Federico Fellini
Miglior soggetto originale a Federico Fellini
Miglior sceneggiatura a Federico Fellini e Tonino Guerra
Miglior attore esordiente a Gianfilippo Carcano
Globo d’oro 1975 per il miglior film a Federico Fellini e Franco Cristaldi
National Board of Review Awards 1974 per il miglior film straniero

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febbraio 14, 2017 Pubblicato da: | Capolavori, Commedia | , , , , , , , , , , | 1 commento

Natale in casa Cupiello

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Un uomo,la sua famiglia,le tradizioni,gli affetti;l’essere un candido,rendersi conto che la vita in famiglia in realtà significa anche ferite e lacerazioni,
dolori e invidie,gelosie ecc. e contemporaneamente il capire che la vita non è un “preseppio”,che puoi isolarti nel tuo mondo fatto di ideale bontà e purezza ma che non puoi purtroppo isolarti perchè gli altri sono vicini a te,pronti a ferirti nelle cose a cui tieni di più,a colpire i tuoi sentimenti,volontariamente o no.
Queste sono alcune delle chiavi di lettura dell’opera più intimista di Eduardo De Filippo,trasportata dal teatro sullo schermo nel 1977,a ben 46 anni dalla sua uscita nei teatri.
Correva l’anno 1931 e De Filippo,che aveva esattamente 31 anni essendo nato nel 1900,rappresenta teatralmente il 25 dicembre di quell’anno la sua opera probabilmente più complessa e più densa di significato,la più tormentata se vogliamo,visto che negli anni successivi lo stesso De Filippo la modificò più volte.
Proprio nel 1977,dopo innumerevoli passaggi teatrali e riduzioni televisive ottenute da rappresentazioni a teatro,De Filippo porta sullo schermo l’ennesima variante di quella che è, a tutti gli efetti,una commedia a sfondo tragico.

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Commedia per alcune situazioni farsesche,per alcuni dialoghi che alle volte appaiono surrealmente divertenti o semplicemente ridanciani,tragedia per il suo epilogo,perfettamente in linea però con il fiabesco personaggio di Luca Cupiello, il “Lucariello” che con la sua presenza dolente e indolente,seria e scherzosa,farsesca e tragica scorazza per tutto il film,divertendo e infine lasciando l’amaro in bocca allo spettatore.
Perchè Lucariello è il buono che c’è in noi,la fiducia nel prossimo e nella vita,l’ideale utopistico.
Non è un santo,Lucariello, “tiene e difiett
Ma è convinto che gli altri,pur con i difetti inevitabili,siano un’umanità degna di essere conosciuta,con cui convivere anche se alle volte questa convivenza va stretta.
Il presepio è la naturale conseguenza di questa visione,molto ingenua,che Lucariello ha della vita;è contemporaneamente un modo per sfuggire ad un presente opprimente con il carico quotidiano di noia, di amarezze,di delusioni (come il tormentato rapporto con suo figlio) e dall’altro lato l’evasione in un mondo suggestivo e pulito,quello della natività.
Che a Napoli è la tradizione,un continuum con il passato ma anche con il futuro,qualcosa da tramandare perchè pulito,pieno di speranza.
La realtà delle cose è ben diversa,naturalmente.

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Nel quodiano della famiglia Cupiello convivono le anime speculari dell’umanità.
C’ è la moglie Concetta,la vera anima pratica della famiglia,costretta a districarsi nelle difficoltà del quotidiano,con un figlio impudente e fanullone,un cognato mal sopportato,un marito quasi etereo,una figlia fonte di continue preoccupazioni.
C’è Tommasino,il rampollo dei coniugi Cupiello,ladro,fannullone,quello che oggi qualcuno chiamerebbe “bamboccione”,viziato un po troppo dalla madre e in perenne conflitto con il padre.
Ancora,c’è Ninuccia,la primogenita,una donna in bilico tra un matrimonio praticamente fallito (con il benestante Nicolino) e l’amore impossibile nutrito per Vittorio,più giovane e fascinoso di Nicolino benchè decisamente più povero,che ama però teneramente Ninuccia.
Infine due personaggi quasi di contorno,ovvero Pasqualino,fratello di Luca,domiciliato in casa di quest’ultimo e Nicolino,marito di Ninuccia,un parvenu arricchito che è in realtà solo un greve e rozzo popolano arricchito,che considera la moglie una proprietà intangibile.
Questo microcosmo,che sembra una proiezione di un piccolo paese,vive il giorno prima della vigilia una commedia che si trasformerà,nei passi successivi,in una tragedia.
Dalle difficoltà di Luca di adeguarsi al suo squallido presente,alleviato solo dalla costruzione dell’opera alla quale tiene veramente,la costruzione del presepe,ai lamenti del fratello che si lamenta per non aver trovato più al risveglio il cappotto e le scarpe

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(sottratte dal diabolico Tommasino e vendute) alla rassegnata presenza di Concetta,costretta a dover mediare fra quelle persone così poco rispettose della sua presenza all’arrivo di Ninuccia,che distrugge il presepe in una crisi isterica,pronta a lasciare finalmente
suo marito,perdendo sbadatamente la lettera in cui confessa il tradimento e la sua decisione di scappare con Vittorio, alla crisi di Concetta che sviene,tutta la prima parte del film sembra mostrare un quadro tipico del proletariato urbano,in fondo non dissimile da quello di un’altra famiglia dello stesso ceto.
La commedia inizia a mutare pelle nella parte centrale,ovvero nel giorno della vigilia,quando alcune pure casualità si trasformeranno in casus belli e sfoceranno nella tragedia finale.
L’arrivo di Tommasino con Vittorio,suo amico,del quale ignora la relazione con la sorella e la consegna della lettera di Ninuccia,raccolta dall’inconsapevole Luca e consegnata a Nicolino avviano la commedia alla sua parte finale,attraverso equivoci,incomprensioni e situazioni paradossali e comiche.
La scoperta dell’adulterio avviene nel momento culmine della storia;Luca, Pasqualino e Tommasino,che ignorano quello che è accaduto,vestiti da Magi trovano Concetta svenuta dopo che Nicolino ha scoperto Vittorio e Ninuccia abbracciati.
L’ultima parte è quella liricamente più dolente.
Luca è colto da un colpo apoplettico alla scoperta della relazione di sua figlia.

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Il mondo perfetto in cui credeva,l’oasi di pace e tranquillità relativa,il suo mito della famiglia unita si è dissolto.
Nel suo letto di dolore,Luca vede ormai altro;delira,vaneggia,confonde il mondo reale e quello fantastico che ha costruito.
E mentre vicini,la moglie,il figlio ed altri protagonisti lo assistono affettuosamente lui vagheggia un fantastico presepe,paradigma di una vita semplice,sperata e che per lungo tempo si è illuso quasi essere reale.
Le ultime scene del film sono le più commoventi:Luca chiede a Tommasino se gli piace il presepe e il ragazzo,finalmente,lo accontenta dicendogli si.
La trasposizione tv è molto fedele al testo teatrale:
“Ottenuto il sospirato “si”, Luca disperde lo sguardo lontano, come per inseguire una visione incantevole: un Presepe grande come il mondo, sul quale scorge il brulichio festoso di uomini veri, ma piccoli piccoli,
che si danno un dà fare incredibile per giungere in fretta alla capanna, dove un vero asinello e una vera mucca, piccoli anch’essi come gli uomini, stanno riscaldando con i loro fiati un Gesù bambino grande grande che palpita e piange,
come piangerebbe un qualunque neonato piccolo piccolo…
Luca (perduto dietro quella visione, annuncia a se stesso il privilegio) Ma che bellu Presebbio! Quanto è bello!
Cala la tela.”
Con la morte di Luca è come se si spegnesse la luce.
Non c’è spazio per i sogni.
La realtà è ben crudele e gli esseri umani altro non sono che barche alla deriva.

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Luca ha avuto la fortuna,il privilegio come dice Eduardo,di vedere il mondo come dovrebbe essere,in speculare e opposto modo nel quale è realmente.
Il successo dell’opera di Eduardo è rimasto sempre inalterato,fin dalla sua uscita.
L’indubbia bravura di Eduardo nel tratteggiare le figure umane più popolari,il tema stesso della piccola saga familiare,i personaggi oltre modo riusciti dei vari Tommasino,Luca,Concetta eccetera sono da sempre dei totem per il teatro
così come Natale in casa Cupiello è tradizionalmente una delle opere più importanti della storia del nostro teatro del novecento.
La versione tv (poi passata anche nei cinema) del 1977 è,stilisticamente ineccepibile.
Bravi gli attori,dallo stesso Eduardo a Luca De Filippo,alla bravissima Pupella Maggio a Gino Maringola a Lina Sastri; tuttavia la presenza del colore toglie più che aggiungere qualcosa a quella insuperata qualitativamente del 1962,
che in un vivido bianco e nero,più adatto alla tragicommedia rappresentata,affascina sicuramente di più.
Per i pochi che non avessero mai visto quest’opera imprescindibile per la nostra cultura contemporanea,suggerisco la visione dello stesso su:
http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-d5a1a3da-053a-4762-9422-dc5fe1618ec7.html.
Per chi volesse vederlo off line,quindi in download basta incollare questo indirizzo nel sito www.http://pasty.link/

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Natale in casa Cupiello
Un film di Eduardo De Filippo. Con Eduardo De Filippo, Pupella Maggio, Luca De Filippo, Lina Sastri, Angelica Ippolito .Riduzione teatrale – Italia 1977.

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Pupella Maggio … Concetta
Eduardo De Filippo … Luca Cupiello
Luca De Filippo … Tommasino
Gino Maringola … Pasquale
Lina Sastri … Ninuccia
Luigi Uzzo … Nicola
Franco Folli … Raffaele
Marzio Honorato … Vittorio
Linda Moretti … Carmela
Marina Confalone … Olga Pastorello
Marisa Laurito … Rita
Lidia Ferrara … Maria
Bruno Marinelli … Alberto
Maria Facciolà … Armida
Sergio Solli … Luigi

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“Lucariè…Lucariè…scetate,song’ e nove”

“Luca Dove siamo arrivati? Oramai sei un giovanotto, non sei più un bambino. Io non sono eterno. I soldi ci vogliono. Dopo Natale, viene il sarto, porta i campioni e ti fai un bel vestito di stoffa pesante, questo che tieni addosso ormai è partito. Ti faccio pure due camicie. Un vestito e due camicie. (indica il presepio, ammiccando) Te piace, eh? Te piace!
Tommasino (annodandosi la cravatta) No
Luca Bè, certo adesso è abbozzato, non si può dare un giudizio, è giusto. Ti compro pure due cravatte, E per Natale ti regalo dieci lire, così se ti trovi con gli amici, puoi offrire pure tu qualche cosa, e fai bella figura. (indicando un altro punto del presepe) Qua faccio il laghetto e dalla montagna faccio l’acqua vera!
Tommasino (scettico) Già, l’acqua vera!
Luca Sì, l’acqua vera. Metto l’interoclisemo dietro, apro la chiavetta e scende l’acqua. Te piace, eh?
Tommasino No
Luca E’ questione che tu vuoi fare il giovane moderno… ti vuoi sentire superiore. Come si può dire: “non mi piace”, se quello non è finito ancora?
Tommasino Ma pure quando è finito non mi piace”
” E a chi aspettate? Fatelo! Uccidetemi pure… (imprecando contro il suo destino) ma perché sono stata così disgraziata? Però ricordatevi che io non sono più stupida come una volta…. Adesso non potete fare di me tutto quello che volete. I nervi so’ nervi e io non li controllo più comme stongo mo cu ‘e nierve, scasso tutte cose!”

“Certo. E voi fate sempre ricevimenti. Tu hai diritto. Ma vedi un padre che si vede toglire la figlia femmina che si sposa e se ne va…. (si commuove al pensiero) Che vuoi sapere…. Che vuoi sapere…. (fissando Tommasino, considera ed ammette il caso paradossale) Ti potevi sposare a quello. (indica Tommasino) Ti facevo una statua d’oro! (ne ride con gli altri).”

“Tommasino “cara madre, da oggi in poi voglio diventare un bravo giovane. Ho deciso: mi voglio cambiare. Prepararmi…”
Pasquale (interviene pronto e ironico) … ‘a cammisa, ‘a maglia e ‘e cazettine. (come tutta risposta Tommasino lancia violentemente un piatto che va a frantumarsi in mille pezzi ai piedi di Pasqualino; questi si alza di scatto e guarda esterrefatto i cocci sparsi intorno a lui, spaventato di quello che gli poteva capitare se il piatto l’avesse preso in pieno) Neh, Lucarie’, chilo m’ha menato nu piatto!”

dicembre 30, 2016 Pubblicato da: | Commedia | , , , , , | Lascia un commento