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Il compromesso

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E’ un uomo che ha tutto, Eddie Anderson.
Un uomo che è ora su un letto d’ospedale, ferito in maniera gravissima.
Che ora deve fare i conti con l’immobilità forzata e con pensieri che lo riportano a molti anni addietro, quando aveva anche un altro cognome; figlio di un commerciante greco, sembrava destinato a proseguire il lavoro di suo padre, a raccogliere fatalmente l’eredità paterna.
Invece è diventato un ottimo agente pubblicitario, che ha una splendida casa, una bella moglie e anche un’amante.
Ma basta questo a rendere felice un uomo?
In realtà no, e Eddie posto davanti allo specchio del passato, sembra rivisitare una vita che è stata vissuta fino al momento dell’incidente all’insegna del compromesso quotidiano.
Così i pezzi del puzzle della vita di Eddie si incastrano l’uno con l’altro; vediamo la sua storia con Gwen la donna che ha amato e che lo ha lasciato e che gli rimprovera quel passato in cui Eddie non ha avuto ne la voglia ne la capacità di seguire i suoi desideri, accontentandosi di vivere sotto narcosi un’esistenza dorata.

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E’ bella e intelligente, Gwen, così come bella e intelligente, oltre che innamoratissima è Florence, sua moglie.
Eddie fino all’incidente si è barcamenato tra l’una e l’altra, tra la freschezza dell’amore con Gwen e l’abitudine della sua vita coniugale con Florence.
Ora però è tempo di scegliere, di cambiare, affrontare la propria vita in modo diverso.
Ma se le intenzioni ci sono, il difficile è affrontare la realtà.
Uscito dall’ospedale, Eddie si licenzia, marcando il primo tentativo di riappropriarsi di una vita che non sente sua; più facile in teoria, quasi impossibile nella pratica, perchè le abitudini, l’educazione e i sentimenti non rispondono a comando.
Così Eddie si ritrova con la moglie Florence che non intende perderlo e che accetta anche la sua relazione con Gwen, di cui Eddie le ha parlato..
Ma l’uomo non vorrebbe più vivere l’esistenza anonima che ha condotto fino ad allora e si ritrova a dover gestire un presente che non può prescindere dal nuovo punto fermo che è rappresentato da Gwen.

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La cerca, la trova; e nulla fa la scoperta che Gwen ha avuto un figlio con chi sa chi, che attualmente vive con un uomo che sopporta la vita sregolata della donna solo per amore.
Cosa che vorrebbe fare anche Eddie,ormai deciso a proseguire il cammino sulla strada che ha intrapreso.
Ma come riuscire a liberarsi della ingombrante presenza di suo padre?
Come fare a rinunciare ad una donna come Florence, che rappresenta la stabilità dei sentimenti, della vita coniugale?
Qual’è la strada giusta da seguire, l’irrazionale vita con Gwen o quella tutto sommato quieta che ha vissuto fino ad oggi?
Tratto dal romanzo omonimo di Elia Kazan, assolutamente autobiografico, Il compromesso è un film difficile, complesso e bello, in precario ma fantastico equilibrio fra l’indagine psicologica/psicoanalitica e il dramma, con momenti che virano rapidamente dalla pellicola tout court alla piece teatrale.
Un equilibrio che sembra quasi impossibile da reggere, visti i tempi diversi delle due cose.

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Eppure Elia Kazan riesce, in modo quasi miracoloso, a barcamenarsi su una sceneggiatura molto complessa; la storia del manager di mezza età, ormai in profonda crisi esistenziale e in preda ai dilemmi su quello che è stato il suo vivere e sul futuro, funziona perchè la rappresentazione visiva dell’autobiografia della propria vita è sofferta e vera.
Kazan imprime al film una profondità di sentimenti e un tratteggio delicato delle figure che non può non affascinare lo spettatore, che vive in simultanea lo scorrere della vita di Eddie quasi fosse lui stesso il protagonista.
Certo, questo aspetto può essere marginale, non essendo lo spettatore medio una persona in fondo fortunata come Eddie; cosa manca all’uomo di successo, al manager per essere felice?
Ha tutto quello che un uomo può desiderare, casa, moglie ed amante connessa, è un uomo di successo…
Eppure quelli che sono i totem della civiltà moderna non possono guarire a volte i mali dell’animo.
E Eddie non è una persona felice.
Vive un illusione, fino al momento dell’incidente, che scompone in frammenti la sua vita, costringendolo a riconsiderare tutto quello che ha fatto e costruito.
Così lo spettatore è costretto a fare lo stesso, identificandosi non tanto nello status sociale del protagonista quanto osservando la propria vita quotidiana, in continua oscillazione tra quello che vorrebbe e quello che invece è costretto a fare.
Una serie di compromessi.

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E il compromesso, il titolo del film esprime sinteticamente la vita di ognuno di noi.
Eddie quindi diventa una figura universalmente riconoscibile, quella di un’umanità dolente costretta ad accettare le cose spesso senza la voglia o maggiormente la possibilità, di dare una sterzata alla propria esistenza.
Il protagonista del film lo fa, ma pagando un duro prezzo.
Il compromesso a quel punto non è soltanto l’accettare il quotidiano, ma accettare anche che gli altri vivano la loro vita e doversi adeguare alle scelte proprio degli altri.
C’è fuga quindi dal compromesso?
No, decisamente.
Il merito di Kazan è quello di aver suggerito, piuttosto che imposta, la soluzione finale dell’enigma.
I compromessi fanno parte integrale della nostra vita, prendere o lasciare.
Se il film, che ha grandi meriti, ha un limite è l’eccessivo spazio dato alla parte sentimentale della questione; tuttavia i sentimenti stessi sono parte integrante e preponderante dell’esistenza e in due ore di rappresentazione drammatica era praticamente impossibile dire altro.
Così Kazan crea un film quasi crepuscolare e poichè è un grande regista sa scegliere gli attori; così scrittura due mostri sacri di Hollywood come Kirk Douglas e Deborah Kerr rispettivamente nei ruoli dei coniugi Eddie e Florence,una giovane talentuosa destinata ad una grande carriera come Faye Dunaway per il ruolo di Gwen e Richard Boone per quello di Sam Arness.

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In questo modo il film diventa praticamente perfetto, con recitazioni drammatiche da applausi.
Un film con alcune pecche, ovviamente, ma dal grande fascino, che purtroppo non viene replicato in tv da tempo così come è introvabile in rete in una buona versione.
Il compromesso
Un film di Elia Kazan. Con Deborah Kerr, Faye Dunaway, Kirk Douglas, Hume Cronyn, Richard Boone Titolo originale The Arrangement. Drammatico, durata 127′ min. – USA 1969

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Il compromesso banner protagonisti

Kirk Douglas: Eddie Anderson
Faye Dunaway: Gwen
Deborah Kerr: Florence Anderson
Richard Boone: Sam
Hume Cronyn: Arthur
Michael Higgins: Michael
Carol Eve Rossen: Gloria (accreditata come Carol Rossen)
William Hansen: dottor Weeks
Harold Gould: dottor Leibman
Michael Murphy: padre Draddy
John Randolph Jones: Charles
Anne Hegira: Thomna
Charles Drake: Finnegan
E.J. André: Zio Joe
Philip Bourneuf: giudice Morris
Dianne Hull: Ellen
Ann Doran: infermiera Costello

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Regia Elia Kazan
Soggetto Elia Kazan
Sceneggiatura Elia Kazan
Produttore Elia Kazan
Casa di produzione Athena Productions
Elia Kazan (romanzo “The Arrangement”)

Fotografia Robert Surtees
Montaggio Stefan Arnsten
Musiche David Amram
Scenografia Gene Callahan
Costumi Theadora Van Runkle

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Il compromesso banner recensioni

L’opinione di Cotola, dal sito http://www.davinotti.com
Diseguale sì, ma sicuramente anche coraggioso ed a tratti davvero bello ed interessante. Conferma che Kazan è un gran regista che cercava strade nuove, lontane dalle mode hollywoodiane e che dirigeva divinamente gli attori, qui tutti di grande bravura, con una Faye Dunaway che sprizza bellezza e sensualità da ogni poro dell’epidermide, pur spogliandosi pochissimo. Particolare e di difficile analisi, tanto da essere il classico film che merita sempre una seconda occasione ed almeno una seconda visione.
L’opinione di saintgifts dal sito http://www.davinotti.com
Quanti uomini ci sono in un uomo? Per la donna è diverso, lei sa chi è e cosa vuole. Di chi è la colpa? Della famiglia, della società, degli istinti difficili da dominare? Che peso ha il denaro nella vita della gente? Il massimo peso. Un uomo si costruisce la sua stessa prigione e non riesce più ad uscirne, se non entrando in un’altra prigione. Un uomo diverso in mezzo a tanta “normalità”, che vuole essere solo se stesso. Diversi registri nello stesso film, cambi di tono, momenti migliori, profondi e altri più scontati. Cast di grande livello.

L’opinione di Zombi dal sito http://www.filmtv.it
un uomo rimette in discussione tutto della propria vita dopo un grave incidente automobilistico. tutto ciò che era prima era solo un subdolo compromesso che aveva fatto con se stesso, nascondendolo a se stesso, fino a portarlo ad odiare l’immagine di sè prima di ritrovarsi in fin di vita all’ospedale. alla soglia filmica dei 45 anni, eddie anderson(kirk) deve fare prepotentemente i conti con le sue origine e la sua giovinezza quando ancora si chiamava evangelon arness ed era figlio di un commerciante di origine greche autoritario, destinato a prendere il posto paterno. prepotentemente perchè tutto ciò che gli accade ancor prima dell’incidente, dopo aver conosciuto la bellissima gwen, lo mette in condizione di assumersene gravosamente le responsabilità. nulla di ciò che ha “conquistato” con lo status di invidiato agente pubblicitario, gli verrà risparmiato da gwen(faye). anzi qualsiasi cosa faccia, ogni passo affrontato verrà usato da colei che rifiuta la banale etichetta di amante, come una freccia che lo martirizza fino a farlo crollare coi nervi. i piedistalli sui quali si è messo, grazie anche alla moglie florence(deborah) che furente e accanitamente gli è stata accanto, si disgregano facendolo rovinare a terra e rotolare metaforicamene prima e materialmente poi negli scantinati della casa natìa, dove il padre-padrone conserva tutto della propria faticosa vita lavorativa. quella che doveva essere una storia di riabilitazione fisica da un brutto incidente, si trasforma invece in una labirintica sessione psicanalitica che coinvolge la moglie e la donna della sua vita. tratto da un romanzo dello stesso regista, quel che emerge è uno straziante quanto severo mea culpa per come si decide di indirizzare la vita. nulla di ciò che eddie ha fatto fino all’incidente soddisfa evangelon e nemmeno un tardivo riscatto con la figura paterna riesce, poichè troppi sono i non detti e i silenzi imposti da una compiacente madre, fino alla fuga da casa per diventare un pezzo grosso. film crepuscolare, scaldato da un’autunnale fotografia e sorretto dalle strepitose interpretazioni degli attori. mi rendo conto di quanto douglas sia stato un bravo attore ogni volta che lo vedo in un film. faye dunaway d’una bellezza più unica che rara è bravissima nel suo ruolo di specchio dell’anima e deborah kerr brilla in un ruolo non del tutto simpatico di compagna d’affari più che di vita. lo sa e dietro quegli occhi sgranati di lady d’altri tempi, sa far brillare mine di calcolata crudeltà.

L’opinione di sasso67 dal sito http://www.filmtv.it
Sofferta riflessione di Elia Kazan, greco di Cesarea in Anatolia, il cui vero nome era Elias Kazanioglou, come è Evangelos il vero nome del protagonista Eddie Anderson. È stato definito l’Otto e mezzo di Kazan, ma qui il tono è funereo e la durata appare eccessiva, riguardo ad un racconto dominato dalle figure ingombranti del padre (Richard Boone) e dell’amante (Faye Dunaway). Il compromesso – lo dice il titolo stesso – scaturisce dall’incapacità di accettare i vincoli familiari, sia consanguinei che giuridici (il padre, la madre e il fratello, ma anche la moglie e la cognata) e dall’impossibilità di ribellarsi ad essi. In questa riflessione di un regista che era comunque rimasto scosso dall’esperienza vissuta durante il maccartismo e che raramente avrebbe ritrovato il piglio deciso degli esordi, il tono è sofferto e vi si scontrano un confuso anticapitalismo, la psicoanalisi, un insopprimibile anelito alla libertà e le prosaiche necessità finanziarie dello stile di vita americano.

L’opinione di Atticus dal sito http://www.filmscoop.it
Ritratto onirico di una crisi esistenziale che assume sempre più le caratteristiche di un violento esaurimento nervoso con implicazioni socio-familiari, diretto da un grande regista che seppe reinventarsi con uno stile estremamente moderno (vedere per credere, da questo punto di vista è davvero un film all’avanguardia) ed interpretato da tre attori eccezionali invischiati in un tour de force masochistico di rara forza drammatica. Kirk Douglas fa rivivere ansie e nevrosi del self made man americano che viene schiacciato dal peso del suo ruolo sociale e spersonalizzato dall’apparenza perbenista dell’epoca. Peccato che la parte centrale si appesantisca in modo eccessivo tra critica dello status symbol, irrigidimento dei sentimenti e crisi dell’istituzione familiare. In ogni caso un film in larghissimo anticipo sui tempi sia per contenuti che per linguaggio cinematografico, poco amato all’epoca e oggi crudelmente dimenticato.

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Il libro di Elia Kazan dal quale è tratto il film

gennaio 10, 2014 Posted by | Drammatico | , , , | Lascia un commento

Gli occhi di Laura Mars

Gli occhi di Laura Mars locandina

Una brillante fotografa, Laura Mars, ha da poco stampato un libro intitolato “Occhi di Laura Mars”, una raccolta fotografica che racchiude alcuni suoi lavori;sono foto che suscitano al tempo stesso commenti fortemente critici e altri imbarazzati, in quanto tutte le opere di Laura sono intrise di violenza e ammiccano palesemente a situazioni erotiche.
La sera della presentazione del libro, un brutale omicidio sconvolge la premiere: la bella Doris viene brutalmente assassinata ed è in questa occasione che Laura scopre di possedere una dote assolutamente straordinaria.
E’ in grado di visualizzare, attraverso gli occhi dell’assassino, la crime scene, la scena del delitto.
Inizia così un incubo per la giovane fotografa, perchè poco dopo assiste, testimone muta e impotente, all’omicidio della sua editor, Elaine.
Sconvolta dalle visioni Laura decide di rivolgersi alla polizia e trova nel tenente John Neville uno scettico ascoltatore.
Tuttavia il poliziotto inizia ad indagare, puntando i suoi sospetti sull’ex marito dell’editrice e della stessa Laura.
Ma il colpevole è un altro e ha motivazioni ben precise.

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Thriller a sfondo parapsicologico, Occhi di Laura Mars o anche Gli occhi di Laura Mars esce nelle sale cinematografiche nel 1978, per la regia di Irvin Kershner, un onesto manovale del cinema che in passato aveva diretto tra gli altri il sequel di L’uomo chiamato cavallo, intitolato la Vendetta dell’uomo chiamato cavallo.
Poichè Irvin Kershner è un artigiano, il risultato finale del film con protagonista Faye Dunaway nella parte della fotografa Laura Mars non è certamente esaltante, pur mantenendo un certo decoro di fondo.
Quello che manca al film è un ritmo serrato o una tensione maggiore, mentre invece la pellicola sembra a tratti allentare entrambi a favore di dialoghi didascalici che sembrano più stereotipati che persuasivi.
Nonostante la presenza della citata Faye Dunaway, oscar l’anno precedente per il bellissimo Quinto potere di Sidney Lumet e interprete prima ancora dell’ottimo I tre giorni del Condor, il film stenta a prendere una sua impronta personale, finendo per diventare un prodotto con troppi altri emuli e confuso nella massa di produzioni di quegli anni.

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Tuttavia la sceneggiatura ha una sua ragion d’essere e si snoda con una certa tensione, prima dell’inevitabile finale a sorpresa, quando viene smascherato l’assassino e le sue motivazioni.
Nel cast, nel ruolo di John Neville, il dubbioso interlocutore di Laura Mars, troviamo Tommy Lee Jones:l’attore di San Saba è in uno dei primi lavori impegnativi e svolge con profitto il suo compito.
Il film è sceneggiato da John Carpenter, che non è certo abituato a cimentarsi con il genere thriller e che scrive con evidente malavoglia il soggetto di un film che ha del buono nella prima parte, quando si mantiene in precario equilibrio tra thriller e parapsicologia e che scivola nella seconda parte quando inizia la tradizionale love story che sembra messa li per dare un senso compiuto al film e che invece finisce per alterare il già precario equilibrio del film.

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Purtroppo gli stereotipi abusati della donna in carriera che deve difendersi dai serpenti che strisciano nel dorato mondo della moda e la classica situazione d’amore tra la bella e il giustiziere in uniforme di turno finisce per mortificare il tutto rendendo il film stesso un prodotto quasi indistinguibile dagli altri dello stesso genere.
Poca roba, quindi.
Poichè il film non è nemmeno facilmente reperibile in rete consiglio agli spettatori di aspettare un suo passaggio tv, avvisandoli nel contempo che potrebbe non valere la pena assistere alle due ore di proiezione di un film a corrente alternata e abbastanza deludente praticamente sotto tutti i punti di vista.

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Occhi di Laura Mars (Gli occhi di Laura Mars)
Un film di Irvin Kershner. Con Faye Dunaway, Brad Dourif, Tommy Lee Jones, René Auberjonois Titolo originale Eyes of Laura Mars. Drammatico, durata 103′ min. – USA 1978.

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Faye Dunaway: Laura Mars
Tommy Lee Jones: John Neville
Brad Dourif: Tommy Ludlow
Rene Auberjonois: Donald Phelps
Raul Julia: Michael Reisler
Frank Adonis: Sal Volpe
Lisa Taylor: Michele
Darlanne Fluegel: Lulu
Rose Gregorio: Elaine Cassel
Bill Boggs: sé stesso
Steve Marachuk: Robert
Meg Mundy: Doris Spenser
Marilyn Meyers: Sheila Weissman
Gary Bayer: primo reporter
Mitchell Edmonds: secondo reporter

Gli occhi di Laura Mars banner cast

Regia Irvin Kershner
Soggetto John Carpenter
Sceneggiatura John Carpenter, David Zelag Goodman
Produttore Jon Peters, Jack H. Harris
Fotografia Victor J. Kemper
Montaggio Michael Kahn
Effetti speciali Edward Drohan
Musiche Artie Kane
Scenografia Gene Callahan
Costumi Theoni V. Aldredge
Trucco Lee Harman
Edizione originale

Ada Maria Serra Zanetti: Laura Mars
Wanda Tettoni: zia Caroline
Ridoppiaggio

Maria Pia Di Meo: Laura Mars
Dario Penne: John Neville
Simone Mori: Tommy Ludlow
Francesco Pannofino: Michael Reisler

L’opinione di emmepi8 tratta dal sito http://www.filmtv.it
Un film ideato da Carpenter ed anche co-sceneggiato, era un po’ un debutto per il regista e autore, ma cui non fu data la regia, ripiegando il soggetto ad una prova deboluccia dove il persoanggio maschile, se non fosse interpretato da Lee Jones, sarebbe dimenticabile, mentre è il fulcro vero del racconto. Il film era un veicolo del dopo Oscar della grande Duneway, che però, vedendo il film cene rendiamo conto, non fu molto a suo agio nei panni abbastanza scontati e non bene assottigliati della fotografa dai poterei paranormali. Un’occasione di cinema a cui è stato tolto il respiro stesso del contrasto e quindi è rimasto solo un filmetto, che all’epoca ebbe anche successo, ma che oggi presenta le magagne più evidenti di un precoce invecchiamento. Bellissima la colonna musicale, che poi ha la voce della grande Streisand, le foto del film sono di Helmut Newton e Rebecca Blake

L’opinione del Morandini tratta dal sito http://www.mymovie.it
Laura Mars, fotografa che mette la violenza al servizio della moda, ha qualità extrasensoriali. “Vede” i delitti di cui rimangono vittime certi suoi collaboratori, senza scorgere mai il volto dell’assassino. Diventa una testimone scomoda. Da un copione schizoide di John Carpenter un film senza suspense, un whodunit privo di vera emozione. Per tenere desta la curiosità dello spettatore si indica un sospetto. È quello giusto? Sagacia d’effetti, film decorativo.

L’opinione del sito http://www.mediacritica.it
…Non è che sia proprio un gran film, questo Occhi di Laura Mars. Un thriller paranormale che si basa su un’unica, grande idea, sviluppandola nella maniera più banale possibile. Perché ne parliamo allora? Fondamentalmente, perché il film doveva girarlo John Carpenter, e perché quell’unica, grande idea è frutto della sua fantasia…(segue sul sito)

luglio 14, 2013 Posted by | Thriller | , , , | Lascia un commento