La grande bellezza
In una serata romana, ad una festa chiassosa frequentata dalla alta borghesia romana e da parvenu, si muove un gruppo di conoscenze comuni a Jep Gambardella, un brillante giornalista e critico teatrale.
Uomo cinico, disincantato, Jep ha scritto in passato un romanzo dal grande successo, ma poi ha avuto il “blocco dello scrittore” e si è limitato a seguire l’inclinazione che aveva da giovane, quando 40 anni prima era approdato nella città eterna con la voglia di diventare il punto fermo della mondanità.
E Jep c’è riuscito.
Protagonista di tutte le feste più importanti della capitale,frequenta un gruppo consolidato formato da Romano, uno scrittore teatrale alla ricerca di un successo, da Lello, un commerciante di giocattoli marito infedele di Trumeau, da Dadina, direttrice del giornale per il quale lavora Jep, una donna nana ma dalla grande personalità e intelligenza. Il gruppo è completato da Stefania, una scrittrice che crede di essere alternativa al sistema ma che in realtà è la sua espressione più deleteria, dalla ricchissima Viola, madre di un giovane con gravi disturbi della personalità.
Un gruppo eterogeneo,che la sera si ritrova a tutte le feste di una Roma decadente sia nei costumi che nella morale, che Jep guarda con il disincanto di un uomo che, a 65 anni, ha ormai visto e assaporato tutto il possibile.
Ma proprio il sessantacinquesimo compleanno porterà delle novità, tutte spiacevoli tranne l’ultima, che lo cambierà radicalmente.
Inizia incontrando il marito del suo primo amore, Elisa,morta improvvisamente, l’unica donna che abbia veramente amato,prosegue con l’incontro con una donna bella e fondamentalmente onesta, Ramona,che però è affetta da un male incurabile e che lo lascerà ancora più solo e disilluso.
E via via il suicidio del figlio di Viola, l’allontanamento di Stefania alla quale ha spiattellato,con brutale sincerità le contraddizioni nelle quali la donna ha sempre vissuto e infine l’abbandono del gruppo da parte di Romano,deciso a tornare ad una vita più umana nel paese di nascita e di Viola, che dopo la morte del figlio ha deciso di spogliarsi di tutte le sue ricchezze e di andare a vivere come missionaria in Africa.
Ormai anche solo oltre che disilluso, Jep trova un’inaspettata scialuppa di salvataggio in suor Maria, una donna invecchiata precocemente dalle privazioni a cui si è sempre sottoposta.
Suor Maria, in odore si santità, con poche parole lo porterà a riconsiderare la propria vita, a recuperare le radici, a tornare quindi a trovare ispirazione per un nuovo romanzo e quindi per una nuova vita.
La grande bellezza di Paolo Sorrentino, premio Oscar 2014 e pluri premiato ai Golden Globe, agli European Film Award e ai David di Donatello è un film assolutamente particolare nel panorama cinematografico italiano (ma non solo).
Un film immerso, difeso da una cortina fumogena creata ad arte da Sorrentino, con il suo classico modo di far cinema in cui il gusto per l’iperbole si unisce a quello per la dissacrazione ma anche alla poesia attraverso un linguaggio visivo sicuramente sconcertante ma dal grande effetto.
Un film in cui il racconto di una Roma decadente e priva ormai di riferimenti di ogni genere (morale in primis) si mescola all’analisi delle vite prive di significato, vuote, dedite solo all’effimero della Roma bene.
Ogni personaggio viene mostrato nei suoi limiti, derivanti da un complesso di circostanze che culminano nelle notti festaiole e assolutamente inutili passate tra feste e droga, alcool a fiumi e discorsi vacui, quando non vuoti in maniera mortificante.
Jep Gambardella attraversa questo mondo in modo consapevole, attratto eppur allo stesso tempo schifato dalla vacuità delle cose; il suo cinismo,la sua viva intelligenza non riescono a frenarlo su quella che ormai è una strada senza ritorno, fatta di un’assenza presso che totale di sentimenti che alla fine si tramuta anche in una voglia di vivere ridotta al lumicino.
Ma alle volte basta poco per trovare un inaspettato gancio nel cielo.
Jep,dopo una serie di avvenimenti anche drammatici con i quali si troverà a confrontarsi (incolpevole) finirà per frenare proprio sull’orlo del precipizio,grazie al quasi miracoloso incontro con Suor Maria.
L’analisi spietata della quasi totalità della vita,passata in un edonistico quanto effimero piacere, tanto epidermico da aver lasciato solo un senso di vuoto assoluto nella sua anima lo premierà anche oltre i suoi limiti, sicuramente oltre le sue aspettative.
La grande bellezza mescola l’ormai chiaro anticlericalismo di Sorrentino, esplicitato da due scene in particolare,la scena del prelato e della suora in un locale lussuosissimo e la figura del Cardinale Bellucci,uomo vuoto e interessato solo al cibo con una critica neanche tanto velata alla cultura della capitale (lo spettacolo teatrale,la giovanissima pittrice che insozza le tele scagliano secchi di vernice).
Si salva poco,della capitale.
Solo parte della bellezza straordinaria della sua arte, dei suoi monumenti, dei suoi palazzi.
Poi nulla più.
Un discorso, quello di Sorrentino, avvolto nel suo classico nuvolone depistante, fatto di immagini ai limiti del grottesco e da dialoghi a volte criptici ma di sicuro effetto.
Un film quindi anche provocatorio, che mescola un linguaggio poetico che qui e la si fa prepotente ad un’analisi spietata della società.
Un film di sicuro effetto,nel quale si mescola un cast di grande effetto :davvero bravo Servillo, ma la vera protagonista è un’eccellente Sabrina Ferilli,che risulta molto convincente in uno dei pochissimi personaggi positivi del film, quello della sfortunata Ramona.
Tra i tanti personaggi segnalo il bravissimo Verdone, Pamela Villoresi e i camei di Fanny Ardant e Antonello Venditti oltre al piccolo sipario dell’avventura galante di Jep con la sciocca, insulsa Orietta, interpretata da Isabella Ferrari.
Unica cosa ostica è ascoltare alcuni brani del film, festaioli e dissacranti, emblemi del trash degli anni 2000 come A far l’amore comincia tu (sic) e Mueve la coilta, il re di quella cosa deprimente che sono i balli di gruppo.
Ma c’è anche spazio,come contraltare per The Beatitudes (Kronos Quartet) e per la Sinfonia n. 3 (Dawn Upshaw).
Tra trash e bellezza,un film di cui almeno si discute,tanto.
Infine un plauso alla splendida fotografia di Luca Bigazzi.
La grande bellezza
un film di Paolo Sorrentino, con Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Carlo Buccirosso, Iaia Forte, Pamela Villoresi,Galatea Ranzi, Anna Della Rosa, Giovanna Vignola, Roberto Herlitzka, Massimo De Francovich, Giusi Merli, Giorgio Pasotti, Massimo Popolizio, Isabella Ferrari, Franco Graziosi, Sonia Gessner, Luca Marinelli, Dario Cantarelli, Ivan Franek, Anita Kravos, Luciano Virgilio, Vernon Dobtcheff, Serena Grandi, Pasquale Petrolo, Giorgia Ferrero, Aldo Ralli, Ludovico Caldarera, Maria Laura Rondanini, Anna Luisa Capasa, Francesca Golia Genere Drammatico, – Italia, Francia, 2013, durata 150 minuti, distribuito da Medusa.
Toni Servillo: Jep Gambardella
Carlo Verdone: Romano
Sabrina Ferilli: Ramona
Carlo Buccirosso: Lello Cava
Iaia Forte: Trumeau
Giovanna Vignola: Dadina
Pamela Villoresi: Viola
Galatea Ranzi: Stefania
Franco Graziosi: Conte Colonna
Sonia Gessner: Contessa Colonna
Giorgio Pasotti: Stefano
Giusi Merli: Suor Maria “La Santa”
Dario Cantarelli: Assistente della Santa
Roberto Herlitzka: Cardinale Bellucci
Serena Grandi: Lorena
Massimo Popolizio: Alfio Bracco
Anna Della Rosa: “Non fidanzata” di Romano
Luca Marinelli: Andrea
Ivan Franek: Ron Sweet
Vernon Dobtcheff: Arturo
Pasquale Petrolo: Lillo De Gregorio
Luciano Virgilio: Alfredo
Anita Kravos: Talia Concept
Massimo De Francovich: Egidio
Aldo Ralli: Cardinale
Gabriela Belisario: Maria
Isabella Ferrari: Orietta
Annaluisa Capasa: Elisa De Santis
Severino Cesari: Poeta Muto Sebastiano Paf
Fanny Ardant: Se stessa
Antonello Venditti: Se stesso
Rino Barillari: Se stesso
Regia Paolo Sorrentino
Soggetto Paolo Sorrentino
Sceneggiatura Paolo Sorrentino, Umberto Contarello
Produttore Nicola Giuliano, Francesca Cima, Fabio Conversi
Produttore esecutivo Viola Prestieri
Casa di produzione Indigo Film, Medusa Film, Babe Films, Pathé
Distribuzione in italiano Medusa Film
Fotografia Luca Bigazzi
Montaggio Cristiano Travaglioli
Effetti speciali Rodolfo Migliari, Luca Della Grotta
Musiche Lele Marchitelli
Scenografia Stefania Cella
Costumi Daniela Ciancio
Trucco Maurizio Silvi
Al lupo al lupo
Storia di tre fratelli alla ricerca della propria identità e delle proprie radici,due uomini e una donna che legatissimi da piccoli hanno finito poi per seguire le proprie vite trascurando in qualche modo il legame fortissimo,simbiotico che esisteva fra di loro.
Sarà la ricerca del padre,apparentemente scomparso senza spiegazioni,a unire di nuovo i tre ricreando la magica atmosfera,ricomponendo come un puzzle l’antico affetto che li legava.
In sintesi è questa la trama di Al lupo al lupo,film del 1992 diretto e interpretato da Carlo Verdone,un’opera sorprendentemente matura e intimista,l’undicesima diretta dall’attore e regista romano che arriva nello stesso anno in cui Verdone dirige Maledetto il giorno che ti ho incontrato e prima di Perdiamoci di vista,quindi un’opera assolutamente a se stante sia come tematiche sia come registro.
La storia parte mostrandoci Vanni Sagonà,apprezzato pianista alle prese con un concerto durante il quale per la prima volta è assente suo padre,Mario,conosciuto e apprezzatissimo scultore e poeta.
Deluso e un po preoccupato dalla sua assenza,Vanni si reca a casa di suo padre scoprendo che non c’è e trovando solo la copia delle chiavi delle loro residenze di campagna e di mare.
Convinto che Mario Sagonà sia partito per una delle due case,Vanni contatta sua sorella Livia per farsi accompagnare,non possedendo la patente.
Livia è sposata,ma ha una relazione clandestina con Paolo e sta meditando di lasciare il marito;per questo non sembra propensa ad accettare l’invito di Vanni ma alla fine più per evitare di dover partire con suo marito che spinta dalla preoccupazione per l’assenza del padre che attribuisce al carattere bizzarro dello stesso,accetta di mettersi in viaggio con il fratello.
Vanni e Livia si dirigono quindi verso la residenza di campagna,dove scoprono che il terzo fratello,Gregorio,ex musicista e violinista e attualmente Dj,ha organizzato una rumorosa festa con amici e conoscenti.Tra Vanni e Gregorio scoppia una lite sedata a fatica da Livia e il gruppo si separa;mentre i due fratelli vanno a ritirare un premio assegnato al padre,Livia sembra dirigersi verso la casa al mare,ufficialmente per cercarlo,in realtà per incontrare il suo amante.
Alla fine i tre convergono verso la casa,dove i rancori tra i due fratelli emergono prepotentemente quando a loro si unisce un gruppo di vecchi amici passati per caso in barca.
Vengono fuori l’invidia di Gregorio per il fratello,da sempre musicista di valore e il sottile disprezzo di Vanni per Gregorio,che accusa di essere la pecora nera della famiglia.
Lo scontro tra i due però avrà uno sviluppo imprevedibile.
Vanni e Livia assisteranno ad una serata in cui Gregorio mostra il suo talento di DJ;sarà in quell’occasione che Vanni abbandonerà per un po i panni del fighetto inappuntabile e si lascerà andare,complice anche una compressa di anfetamina che lo porterà a sciogliersi e ad abbandonarsi.
I tre fratelli, ora riavvicinati e finalmente complici,possono rimettersi alla ricerca del padre….
In bilico tra la commedia sentimentale con venature (e velature) comiche ma malinconiche,Carlo Verdone sceglie un ibrido agro dolce,costruendo il film come un viaggio di tre persone alla ricerca di se stessi.
Tre persone profondamente diverse,dai percorsi di vita assolutamente differenti,eppure uniti da un legame antico oltre che dal legame fortissimo del sangue.
Un padre dalla schiacciante personalità fa da deus ex machina invisibile eppure presente con la forza magnetica che da sempre esercita sulla famiglia.
Per contraltare,i tre figli sembrano volersi svincolare da quell’abbraccio soffocante;Vanni è quello che più di tutti ha rispettato il ruolo scritto per lui,seguendo le orme paterne e diventando come lui un personaggio famoso della cultura.
E’ un giovane dalle buone maniere,sempre educato e vestito impeccabilmente;non si concede mai colpi di testa e sembra rispettare in pieno il suo ruolo anche nella società.
Gregorio è l’esatto opposto di suo fratello.
Ha scelto di fare il Dj,vive come un bohemienne senza regole precise,è abituato a immergersi nel caos e ha fatto della sua vita una fucina di incontri,musica,vivendo disordinatamente e al di fuori delle regole scritte da suo padre.
Livia è una donna tormentata,in crisi matrimoniale e legata ad un altro uomo;come scoprirà in seguito,ama suo marito e sua figlia,eppure sente il bisogno di trasgredire,come quel suo ingombrante padre che pur amando la moglie la tradiva con un’altra donna.
Dei tre in fondo Livia è quella più vicina al carattere e all’indole di suo padre.
Pur non essendo presente fisicamente,se non nel finale,Mario Sagonà opprime i tre però al tempo stesso li costringe ad un affannoso viaggio che in teoria ha lo scopo di trovarlo ma che in realtà sembra essere stato provocato proprio per mettere in discussione la vita dei giovani.
Il viaggio alla ricerca del padre diverrà infatti l’occasione per ritrovare se stessi e ritrovare l’antico affetto che da piccoli li univa indissolubilmente.
Ogni singola tappa del viaggio infatti porterà Vanni,Gregorio e Livia davanti al loro passato, sull’onda di ricordi mai assopiti, ma vivi e presenti nel loro essere.
L’antico affetto riemergerà di volta in volta,man mano che i ricordi comuni affioreranno durante la convivenza forzata.
Così Vanni scoprirà di invidiare un po il suo scapestrato fratello Gregorio,che vive si una vita disordinata,ma che ha il coraggio di sfuggire al perbenismo, a quelle leggi non scritte ma inviolabili che sembrano guidare le loro vite e scritte per loro non solo dal padre,ma dalla società in cui sono costretti a vivere,dal ruolo che rivestono e sopratutto dal portare l’ingombrante cognome Sagonà.
Gregorio confesserà a suo fratello l’invidia per il suo talento e le ombre che li hanno divisi;i due si ritroveranno nella memorabile sequenza ambientata in discoteca,quando Gregorio procurerà a suo fratello una donna,imbarazzante desiderio di Vanni, evidentemente troppo preso dal suo ruolo per coltivare e gestire i rapporti umani.
Anche per Livia arriverà il momento della resa dei conti.
Durante il viaggio scoprirà di amare ancora suo marito e di desiderare solamente il ritorno ad una vita coniugale per certi versi frustrante ma i cui vantaggi sono di gran lunga superiori agli svantaggi.
Al lupo al lupo è un bel film,con qualche errore ma con tanti pregi.
Sicuramente la parte meno interessante e slegata dal film è la lunga sequenza della discoteca,tirata per le lunghe e che avrebbe richiesto tempo girato in meno,ma d’altro canto Verdone cerca di mostrare l’elemento in cui si muove il suo alter ego Gregorio,la sua vita dietro la consolle e le sue serate da DJ.
Parlo di alter ego perchè fondamentalmente il personaggio di Gregorio assomiglia molto a Verdone;da quello che racconta nei suoi libri o quando mostra la figura del padre,che sia nel film o nella vita reale,Verdone sembra richiamare il suo passato,il suo vissuto.
Bene gli attori, dallo stesso Verdone, una volta tanto misurato e attento alla bella e seducente Francesca Neri per finire con la prova matura di Sergio Rubini.
Come dicevo agli inizi,il film ha una connotazione malinconica e nostalgica che Carlo Verdone propone con senso della misura e sentita partecipazione;non sono un’estimatore del regista romano e tanto meno quando recita.Ma questa è un’opera di tutto rilievo,anche se poco apprezzata da parte del pubblico e della solita critica.
Bene il resto del cast,che però agisce sullo sfondo dei tre protagonisti,che finiscono per diventare il perno sul quale ruota tutto.Una segnalazione per Maria Mercader,che interpreta il ruolo della raffinata ed elegante amante di Mario Sagonà.
Ultimamente il film è stato riproposto più volte in tv e vista la consuetudine delle reti commerciali a riproporlo, suggerisco la sua visione caldamente agli spettatori amanti del buon cinema.
Un film di Carlo Verdone. Con Carlo Verdone, Sergio Rubini, Francesca Neri, Maria Mercader, Simona Mariani,Giovanni Vettorazzo, Giampiero Bianchi, Barry Morse, Loris Paiusco, Gianpiero Bianchi, Cecilia Luci, Alberto Marozzi, Gillian McCutcheon, Marco Marciani Commedia, durata 114 min. – Italia 1992
Carlo Verdone: Gregorio Sagonà
Francesca Neri: Livia Sagonà
Sergio Rubini: Vanni Sagonà
Barry Morse: Mario Sagonà
Giampiero Bianchi: Paolo
Cecilia Luci: Vanessa
Alberto Marozzi: Ivano
Fabio Corradi: Gregorio Sagonà da piccolo
Maria Mercader: signora anziana
Giulia Verdone: Livia Sagonà da piccola
Massimo De Lorenzo: Corrado Santoro
Regia Carlo Verdone
Soggetto Filippo Ascione, Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Carlo Verdone
Sceneggiatura Filippo Ascione, Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Carlo Verdone
Produttore Mario Cecchi Gori, Vittorio Cecchi Gori
Distribuzione (Italia) Penta Film (1992)
Fotografia Danilo Desideri
Montaggio Antonio Siciliano
Musiche Manuel De Sica
Scenografia Francesco Bronzi
L’opinione di Elias dal sito http://www.mymovies.it
Questa storia ripercorre lo stesso tipo di tematica già evidenziata col film “Io e mia sorella” con l’aggiunta di qualche opportuna variante. Anche in questo film il regista ci descrive il riavvicinamento di fratelli (per la precisione di due fratelli e una sorella), che il tempo li aveva divisi,in seguito ad un particolare episodio: l’improvviso allontanamento del padre verso una meta a loro sconosciuta. Il film riesce a mettere in evidenza le singole storie di ognuno di essi con le relative problematiche: Vanni è un affermato pianista, tanto preciso nel suo lavoro quanto insicuro e “fragile” nel suo carattere e in alcune componenti psicologiche della sua personalità; Greg. è una persona che non è riuscita a costruirsi delle solide basi per un suo futuro e pertanto è costretto ad arrangiarsi vivendo alla giornata con un’occupazione saltuaria come DJ di party privati e come compositore di canzoni senza pretese; infine Livia che sta attraversando un burrascoso rapporto matrimoniale e conducendo una relazione clandestina dagli esiti incerti. Ciò che ci ha colpito di questo film è stata l’abilità di Verdone nel non ergersi come protagonista principale ed assoluto della trama, ma di bilanciare perfettamente le storie dei tre personaggi dando ad ognuno di essi il giusto peso e la dovuta importanza. A nostro avviso mentre, in linea generale, dovrebbero essere i genitori ad aiutare i figli venendo incontro alle loro esigenze, in questo caso Verdone ci fa capire che in alcuni momenti della vita potrebbe accadere il contrario, vale a dire che questi tre fratelli, sebbene divisi dal destino, alla fine uniranno le loro forze e la loro volontà per ritrovare il padre “perso”.
L’opinione di Cherubino dal sito http://www.filmtv.it
Forse i veri cinefili non saranno d’accordo, ma io penso di averlo visto nelle condizioni ideali e cioè non sapendone nulla, neppure della trama; e non avendo visto film dello stesso regista da parecchio tempo (almeno una decina d’anni).
Esprimo dunque un parere “ignorante”, cui credo ogni film abbia diritto, specie se lo si veda per la prima volta dopo ben ventitrè anni dal suo esordio sugli schermi; e non mi sento condizionato neppure dalle primissime opere, comiche, di Verdone o dal ricordo, per me parziale e sfuocato, della sua crescita successiva come regista e come attore.
Ebbene, debbo dire che sono stati 108 minuti “belli” e che sono proprio stato soddisfatto, sia per la vicenda narrata, dall’inizio alla fine, sia per il ritmo lento della narrazione, sia per la verosimiglianza del procedere dei personaggi verso il non scontato lieto fine.
Riguardo agli interpreti, tutti e tre i principali (i fratelli) li ho trovati veramente bravi: Carlo Verdone, Francesca Neri e Sergio Rubini perfetti per i loro ruoli. Barry Morse, che non conoscevo, proprio adeguato per impersonare il padre artista nel poetico finale in cui ritrae i figli ritrovati così come sono da sempre nella sua mente.
E poi, il piacere di rivedere dopo moltissimi anni, in un’apparizione fugace, Maria Mercader, ancora un bel volto; e nostalgia.
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
Luchi78
Il miglior film di Verdone: divertente e malinconico, riflessivo e spensierato. Una bella storia diretta magistralmente, dove ognuno dei tre fratelli Sagonà segue il proprio percorso lungo tutta la durata del film. Molto divertenti le situazioni imbarazzanti che si capovolgono in comicità pura, ma soprattutto in contrasto con quella sottile angoscia che pervade tutto il film per la costante ricerca del padre. Verdone prova a riprendere il tema nel suo ultimo Io, loro e Lara, ma i risultati saranno sensibilmente inferiori.
Tomastich
All’opposto di ogni facile battuta, all’opposto del film ad episodi, all’opposto del Verdone più conosciuto, c’è questo “Al lupo al lupo”. Un road movie (che poi riprenderà in Il mio miglior nemico) che si snoda lungo mezza Italia, alla ricerca di un padre svanito nel nulla. Protagonisti sono i tre fratelli, Verdone, Neri e Rubini. Anche qui come nel film del 2006, a svelare l’arcano sarà una poesia. Finale sopra le righe.
Jandileida
Un malinconico Carlo che esagera un po’ nel calcare la mano e tende alla lacrima facile ma che riesce comunque a girare un film sincero e molto buono nella descrizione dei caratteri dei tre fratelli, paradigmatici forse, ma comunque centrati e “reali”. La Neri pre-revisione AGIP era uno splendore quasi rinascimentale ed anche una più che discreta attrice. E poi Verdone aveva (e, a volte, ha ancora) tempi comici perfetti e trova qui in Rubini una buona spalla, cosicché la pellicola risulta piacevolissima anche se qua e là il ritmo cala vistosamente.
Motorship
Uno dei più profondi e introspettivi film di Carlo Verdone. Una pellicola ben realizzata che sa inteligentemente alternare momenti malinconici con altri più comici e spensierati. La ricerca del padre “desaparecido”, i ricordi della madre scomparsa e dell’infanzia dei tre protagonisti sono trattati con una delicatezza e una tenerezza non proprio comuni, delicatezza che sfocia in un finale commovente e superlativo nella realizzazione. Ottima prova dei tre protagonsisti (Verdone, Rubini e la Neri), eccellenti le musiche di Manuel De Sica.
Stelio
Un film poetico dall’inizio alla fine, con un accompagnamento musicale magistrale e interpreti straordinari. Sergio Rubini svetta nella recitazione rispetto agli altri, Francesca Neri il fanalino di coda. Tanta malinconia e tanto mondo passato intervallati da momenti di modernità che non stonano e non fanno perdere il contatto con la realtà. Compagni di scuola è forse il film più complicato mai girato da Verdone (insieme a Ma che colpa abbiamo noi), ma il tempo spero rivaluterà Al lupo al lupo come il migliore.
L’opinione del sito http://www.agoravox.it
Un film on the road, fotografato in maniera eccelsa da Danilo Desideri che immortala le spiagge della Maremma (Capalbio, Punta Ala), le colline senesi (Bagno Vignoni e la vasca termale) e la città di Siena in tutta la loro sfolgorante bellezza. Un film di caratteri, ben scritto e sceneggiato da due decani della commedia all’italiana come Benvenuti e De Bernardi, aiutati da Filippo Ascione, ma anche dai ricordi d’infanzia di Carlo Verdone. La forza della storia è lo scontro dei caratteri tra fratelli, interpretati magnificamente da Rubini, Verdone e Neri.
Rubini è il genio di famiglia, il ricco e affermato pianista che è sempre stato la gioia del padre. Verdone è la pecora nera, il disc-jockey in perenne bolletta, privo di senso pratico, arruffone, ma simpatico. Neri è la donna in crisi che vorrebbe lasciare un marito che non sopporta, ha un amante, ma non sa decidere perché non vuole perdere la figlia. Il contrasto più forte è tra il preciso e concreto Rubini e lo strampalato e folle Verdone, gelosi l’uno dell’altro, che alla fine scopriranno di volersi bene e di potersi dare qualcosa l’uno con l’altro. Verdone procura una donna a Rubini, imbranato per quanto geniale, e lo fa divertire nella sua discoteca, ma al tempo stesso deve riconoscere che il fratello è davvero un grande pianista.
I tre caratteri contrastanti danno vita a una commedia garbata quando insieme partono alla ricerca del padre avendo come traccia soltanto una poesia. Lo ritrovano, dopo aver ascoltato il consiglio della vecchia amante (Mercader), in una baita di montagna dove si è ritirato in attesa della morte. “C’è stato un tempo in cui ho creduto di essere immortale, ma adesso so che non è vero”, dice il vecchio genitore. Il film si conclude – in maniera molto poetica – con il padre che fa il ritratto dei propri figli ma li disegna come quando erano bambini.