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Fiore di carne (Turks fruit)

Fiore di carne locandina

Turks fruit, o Turkish fruit o ancora Turkish delight (in italiano Fiore di carne) è uno dei film più importanti dell’intera cinematografia olandese, oltre che essere uno dei tre film più visti di sempre nel paese dei tulipani (naturalmente tra i film diretti in lingua orange).
Girato nel 1973 dal geniaccio olandese Paul Verhoeven, arrivò in Italia mutilo di molte scene e passò quasi inosservato, prima di riscuotere il giusto successo che meritava.
Tratto dal romanzo Turks fruit di Jan Wolkers, narra la storia di Eric, un giovane artista (per la precisione scultore) olandese che vivrà una intensa storia d’amore con la bella Olga che finirà tragicamente.
Il film inizia mostrandoci Eric che si sveglia da un incubo nel quale carica giovani autostoppiste che porta nel suo studio e con le quali  ha intensi rapporti sessuali che però non lo appagano.

Fiore di carne 3

E’ come se Eric soffrisse per qualcosa che è accaduto nel recente passato.
Ed è proprio quello che vediamo in un flashback.
Eric raccoglie una bella e affascinante autostoppista, Olga; i due familiarizzano subito e dopo poco scoprono di essere fatti l’uno per l’altra.
Così la coppia vive una intensa storia d’amore, segnata da una sessualità sfrenata e appagata in ogni occasione e momento libero.

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Due fotogrammi con la bravissima e bellissima Monique Van De Ven

Dopo poco Eric e Olga decidono di vivere insieme e sposarsi ma incontrano la feroce resistenza della madre di Olga, poco propensa a far maritare sua figlia con quello scultore che vive praticamente alla giornata.
Ma la volontà di Olga finisce per imporsi e i due coronano il loro sogno.
Dopo un iniziale periodo di armonia, Olga inizia a comportarsi in maniera stravagante, mettendo in ansia il compagno.
Il punto di rottura arriva durante una festa, durante la quale la ragazza flirta apertamente con uno sconosciuto, suscitando l’ira di Eric che la schiaffeggia.

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I due si lasciano ed Eric, arrivato nel suo studio, distrugge tutto ciò che gli ricorda la ormai ex moglie.
Ma la donna gli è entrata nel sangue e così Eric fa di tutto per rincontrarla, rimanendo però choccato dal comportamento della ex moglie, che sembra ormai priva di freni inibitori.
Eric tenta di rivedere la ragazza, incontrando però la ferma opposizione della famiglia.
Riuscirà a vederla per pochissimo con la scusa di preparare le carte del divorzio e durante l’incontro Olga gli rivela che sta per sposare un uomo d’affari americano.
Il matrimonio di Olga dura poco e la ragazza ritorna in Olanda.
Eric, che non l’ha mai dimenticata, la rivede un giorno vestita in maniera stravagante e la vede anche comportarsi in maniera assurda.
La ragazza sviene per strada ed è ricoverata in un ospedale, dove le viene diagnosticato un tumore al cervello in forma ormai terminale.
Sarà proprio Eric ad esserle affianco nelle ore che precedono la sua morte.

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Schematicamente, è questa la storia di Fiore di carne, film assolutamente e totalmente anticonvenzionale, diretto da Verhoeven alla sua seconda opera da regista cinematografico ( la prima era stata Gli strani amori di quelle signore) preceduta da una serie di short e documentari.
Paul Verhoeven, regista assolutamente visionario, mostra da subito il suo particolare talento nel descrivere storie anticonvenzionali e che vanno contro la morale corrente, usando sia un linguaggio cinematografico sia delle immagini molto forti e sopratutto influenzate dal cinema sessantottino, quello che per intenderci aveva espresso un nuovo modo di fare cinema, molto più diretto e privo di fronzoli, essenziale e anche se vogliamo politicamente scorretto.
Sono proprio i temi post sessantotto a fare capolino qua e là nel film; Eric e Olga vivono una tradizionale storia d’amore solo nella parte che riguarda i sentimenti, che sono gli stessi dagli albori dell’umanità, poi tutto viene stravolto nella visione del regista olandese.

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La coppia vive una sessualità aperta, quella che i giovani dell’epoca usarono per rimarcare la loro differenza dalle generazioni precedenti. Questo porta la coppia ad essere in aperta sfida con i valori tradizionali della società, quegli stessi valori che la figura anticonformista di Eric viola clamorosamente.
Non è un caso che i problemi maggiori lo scultore li avrà proprio con la morale borghese dei genitori della ragazza, che lo vedono come fumo negli occhi.
Può l’amore tra i due vincere questi ostacoli?
Certamente, sopratutto se si è giovani, non ci si preoccupa delle convenzioni borghesi e anzi ci si fa beffe di tutto ciò che costituisce il potere borghese stesso.

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Olga ed Eric vivono una sessualità sfrenata e giocosa, in netta opposizione al tradizionalismo sessuale borghese; il loro è un amore sensuale che si libera in amplessi che non tengono in alcun conto i limiti imposti dalla morale.
Ad un certo punto però il film diventa spiazzante; sembra quasi che Olga rivendichi a se stessa il libero arbitrio di poter scegliere un altro compagno, di poter vivere la propria vita sessuale senza le costrizioni di un legame univoco.
Così lo spettatore segue un pò stupefatto il comportamento altalenante della ragazza, che fino a poco prima sembrava pazzamente innamorata del giovane artista.
Il quale dal canto suo adora quella ragazza dai comportamenti estremi, disinibita e tenera, anticonformista e allegra.
Seguiamo quindi il repentino cambio di ruoli con l’improvvisa fine del legame tra Eric e Olga, un po delusi ma sopratutto sconcertati.

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Possibile che tutto si sia trasformato solo in un’esaltazione del ruolo femminile, nella radicalizzazione delle scelte dovute ad una libertà finalmente acquisita dalle donne e nello specifico da Olga?
Non è così naturalmente e il finale riporta il film in binari tradizionali.
La storia assume un aspetto che vira sul tragico, con un epilogo che lascia l’amaro in bocca.
Fiore di carne è un film bello e ben girato, sopratutto ben interpretato da due attori che avranno un luminoso futuro, sopratutto Rutger Hauer che sembra incarnare perfettamente lo spirito ribelle e anticonformista dell’artista Eric, mentre le bella Monique Van De Ven riesce a calarsi benissimo nel ruolo scabroso della ribelle Olga che andrà incontro ad un terribile destino.

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Il film contiene immagini al limite dell’esplicito, anche se Verhoeven non varca mai il confine che avrebbe portato il film verso una deriva pericolosa; non dimentichiamo che siamo nel 1973, che la morale negli altri paesi non è evoluta come quella olandese.
In Italia infatti il film circolò molto ai margini, privando il pubblico di una pellicola sicuramente superiore agli standard; la presenza di molti nudi della Van De Ven però era qualcosa che la censura non poteva lasciar passare facilmente, così il film ebbe una distribuzione quasi underground.
Verhoeven, che l’anno successivo avrebbe girato quel gioiellino che è Kitty Tippel mostra da subito le sue doti peculiari, che consistono in una visione lucida e anticonformista della realtà quotidiana resa visivamente con immagini spesso disturbanti ma quanto mai opportune.
Un cinema da maestro che avrà i suoi punti di massimo fulgore in Spetters e L’amore e il sangue, prima del percorso altalenante del regista con film come Basic Istinct, Robocop e Atto di forza.

Fiore di carne
Un film di Paul Verhoeven . Con Rutger Hauer, Monique Van De Ven, Mariol Flore Titolo originale Turks Fruit. Drammatico, durata 95 min. – Paesi Bassi 1974

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Monique van de Ven     …     Olga Stapels
Rutger Hauer         …     Eric Vonk
Tonny Huurdeman          …     Madre di Olga
Wim van den Brink          … Padre di Olga
Hans Boskamp          …     Winkelchef
Dolf de Vries          …     Paul
Manfred de Graaf          …     Henny
Dick Scheffer         …     Accountant
Marjol Flore          …     Tineke

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Regia     Paul Verhoeven
Soggetto     Jan Wolkers (romanzo)
Sceneggiatura     Gerard Soeteman
Produttore     Rob Houwer
Fotografia     Jan de Bont
Montaggio     Jan Bosdriesz
Musiche     Rogier van Otterloo

Le recensioni qui sotto sono prese dal sito http://www.davinotti.com

Tutti i diritti riservati.

Incipit con un paio di flash violenti, poi si passa all’erotico, inizialmente ironico, poi romantico e infine morboso, per poi assistere ad un ultimo cambio di rotta nei 20 minuti finali. Il film è discretamente realizzato ed eccessivo nel senso più positivo del termine (belle scene di sesso ad esempio, molto realistiche pur non andando oltre il softcore), ma i numerosi cambi di tono finiscono per abbassare il livello generale. Perfettamente in parte i due protagonisti. Privo di equilibrio, ma nel complesso riuscito.

La sua bella carica trasgressiva ce l’ha e riesce a variare con efficacia tra lo scherno alla società tipico del periodo e un romanticismo a tinte forti. In questo modo corregge il dubbio iniziale che fosse un film per “assatanati”. Raffinabile a livello di fotografia e montaggio ma comunque diretto con personalità e con due ottime prestazioni da parte dei protagonisti.

Né con te né senza di te… è assoluto, prepotente, folle, l’amore tra Erik ed Olga, è una vita a parte, non ci rientra nella vita quotidiana, fatta di obblighi, di compromessi, di piccolezze… è un amore bambino, innocente e indecente come tutti i bambini, che vive solo nel presente. Film estremamente romantico, che non teme neppure il finale alla Love Story: si mantiene ruvido, intenso, disturbante, persino nell’ultima dolcezza, quei pasticcini, un dono da innamorato adolescente, l’addio a un amore che non diventerà adulto. Spietato, sincero e sognante.

Io l’ho imbroccato bene, ma capisco come sia facile uscirne schifati. Il realismo è fuori dal comune, tutto viene esplicitato al massimo, ma pure l’amore più forte in assoluto che abbia mai visto in un film… è qui! Ed è di lui per lei, anche se fin quasi alla fine sembra che sia lui il più trasgressivo e bestiale. Libertà assoluta uguale sentimenti veri.

È davvero un ottimo film questa pellicola di esordio di Verhoeven. Ha il grande pregio di delineare benissimo i protagonisti e il forte rapporto che si crea fra i due personaggi, che poi sfocia nell’ossessione e infine nella follia (le cui conseguenze sono narrate nel violento e cupissimo prologo). Molto realistico, nessuna patinatura (sessualmente è molto esplicito), né toni melodrammatici. Non eccezionale a livello tecnico (brutta fotografia), ma ottima regia. Rutger Hauer è come sempre ottimo, ma anche l’attrice protagonista non è da meno.

L’ho visto almeno 4/5 volte, ma in olandese! Mi piace moltissimo perché è il primo film che vedo in cui i sentimenti sono/sembrano autentici, bestiali, umani, mi fa sognare ed è inevitabile innamorarsi dei personaggi, soprattutto di Erik. Un film unico, ma mi rendo conto non per gli schizzinosi

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Un fotogramma di un cineracconto del film

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settembre 21, 2011 Posted by | Drammatico | , , | Lascia un commento

Blade runner

Io ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi stellari in fiamme al largo dei bastioni di Orione… E ho visto i raggi B balenare nel buio presso le porte di Tannhauser… E tutti quei momenti andranno persi nel tempo come… lacrime nella pioggia. È tempo di morire.

“In una Los Angeles dallo scenario apocalittico, soffocata dall’inquinamento atmosferico che ha come conseguenza una continua pioggia battente, prendono corpo i personaggi del film-culto di Ridley Scott. Protagonista assoluto Rick Deckard (Harrison Ford), “ex poliziotto, ex cacciatore di taglie, ex killer”, come recita la voce fuori campo imposta dalla produzione nella versione ufficiale e poi tolta, lasciando maggior spazio all’immaginazione dello spettatore.

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Deckard viene incaricato di eliminare un manipolo di replicanti, organismi complessi e perfezionati rispetto agli esseri umani, cui sono superiori in forza, agilità e intelligenza. Questi androidi, fabbricati dalla Tyrell Corporation per servire gli umani in vari settori, poi ridotti alla stregua di schiavi nelle “Colonie Extramondo”, sorta di luoghi di evasione per privilegiati, nel corso del tempo sviluppano sensazioni emotive proprie, si “umanizzano” al punto che l’inquietante Mr. Tyrell decide di attivare nel loro organismo un dispositivo limitante: gli androidi potranno così vivere solo quattro brevissimi ma intensi anni “durante i quali accumulare esperienze che per noi umani sono scontate”.

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I replicanti, capeggiati da Roy Batty (un Rutger Hauer in stato di grazia), stanchi e amareggiati dalla loro condizione, decidono di ribellarsi per tornare sulla terra e tentare di convincere Mr. Tyrell a modificare la loro struttura genetica per consentire loro di vivere più a lungo e più umanamente. Deckard viene convocato a forza dal suo ex capo in seguito all’uccisione di un dipendente durante un test psicologico per androidi, che aveva smascherato uno dei ribelli.

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Rick Deckard deve in gergo “ritirare” tali replicanti, divenuti socialmente pericolosi. Ad aiutarlo nell’impresa ad alto rischio subentra Rachel (Sean Young), che il Dr. Tyrell definisce “un esperimento” perché parte integrante di una nuova speciale generazione di androidi, creata per durare nel tempo.Nel corso della narrazione emerge il profilo psicologico dei replicanti ed è sempre più evidente che la loro rivolta nasce da una profonda disperazione, da una tensione vitale insoddisfatta e da un enorme bisogno di creare legami tra loro, di avere un passato, di collezionare ricordi che giustifichino la loro esistenza.

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In fondo, la loro condizione non è poi tanto lontana da quella degli esseri umani, che si pongono le stesse domande, vivono le stesse angosce e non sanno quanto tempo e quali emozioni la vita riservi loro. I replicanti si sentono impotenti di fronte ad una scienza che li ha creati al solo scopo di sfruttarli e infine distruggerli.

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Per placare la sua sete di risposte e salvare la sua vita e quella dei suoi compagni, Roy deve assolutamente incontrare il Dr. Tyrell e sperare che l’ingegnere possa finalmente dargli le risposte che cerca. Per questo Roy costringe J.F. Sebastian, progettista genetico della Tyrell Corporation affetto da una grave malattia che lo costringe a un invecchiamento precoce, a fare da mediatore affinché l’Ing. Tyrell lo riceva. Mitico il discorso di Tyrell, indifferente alla disperazione del “figliol prodigo” che lo implora di dargli “più vita”: in una complessa spiegazione scientifica delude le aspettative di Roy, decretando l’impossibilità di modificare la struttura genetica dei replicanti senza dar luogo a mutazioni che ne causerebbero la morte istantanea.

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“Tu hai vissuto intensamente e lo sai bene Roy, la candela che arde da due parti brucia in metà tempo! Godi più che puoi!” La frase finale dell’arringa del Dr. Tyrell scatena la ribellione di Roy, che, in preda a una furia incontrollata, prima acceca il suo creatore e poi uccide J.F.

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Parallelamente s’intreccia la storia d’amore tra Rick e Rachel, sottolineata dalla stupenda colonna sonora di Vangelis che conferisce ulteriore spessore e fascino al film. Attraverso un frammento artificiale di pelle di serpente trovato a casa di uno dei replicanti, Rick scova Zora in veste di spogliarellista presso un locale di dubbia reputazione, rischia di morire soffocato dalla sua incredibile forza ma poi ha il sopravvento, braccandola lungo le strade buie e affollate di Los Angeles in un inseguimento da antologia, che culmina nella mortale caduta di Zora infrangendo alcune vetrine di un negozio. Per vendicare l’amante, Leon, il braccio destro di Roy, aggredisce Rick alle spalle, mentre Rachel, riapparsa dopo una disperata fuga nella consapevolezza di essere pure lei una replicante, spara infine a Leon e salva la vita a Rick.

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Lo scontro/incontro finale tra Roy e Rick, inevitabile dopo il “ritiro” dell’amante di Roy, la bellissima ed inquietante Priss (Daryl Hannah), è anch’esso intramontabile: schiacciato dalla potenza fisica del suo avversario, che lo tiene in scacco nonostante stia per morire, Rick viene infine salvato dal replicante stesso mentre sta per precipitare da uno dei giganteschi palazzi della città (che rimandano in qualche maniera all’ideologia dell’architettura gotica, la cui imponenza era progettata per schiacciare l’uomo e farlo sentire piccolo e insignificante di fronte a Dio: uno dei segnali del pessimismo che serpeggia nell’atmosfera del film).Mirabile la scena in cui Roy solleva “il piccolo uomo” e lo getta sul tetto del palazzo. Poi si lascia cadere a terra sfinito e spiega il motivo del suo gesto: “Io ne ho viste di cose, che voi umani non potreste immaginarvi […] E tutto questo andrà perduto nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire…” Rick lo guarda, estasiato e incredulo e comprende finalmente la condizione del suo avversario, il quale alla fine, sull’odio e sul rancore, fa prevalere l’amore per la vita. Per Rick è una grande lezione di umanità.

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Io non so perché mi salvò la vita, forse in quegli ultimi momenti amava la vita più di quanto l’avesse mai amata… Non solo la sua vita: la vita di chiunque, la mia vita. Tutto ciò che volevano erano le risposte che noi tutti vogliamo: da dove vengo? Dove vado? Quanto mi resta ancora? Non ho potuto far altro che restare lì e guardarlo morire.” dice Rick, nel finale del film.

Nella versione voluta dal regista manca il finale consolatorio ed ecologico imposto dalla produzione, in cui Rick e Rachel fuggono a bordo di una navicella verso luoghi incontaminati (lo stesso paesaggio dal respiro montano che fa da sfondo all’Overlook Hotel in “Shining” di Kubrick). È una scena liberatoria, ma altrettanto poetica e struggente è la visione dell’unicorno avuto in sogno da Deckard, l’anelito a una purezza ormai perduta (l’unica sequenza aggiunta dal regista).

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Blade runner, Un film di Ridley Scott. Con Harrison Ford, Rutger Hauer, Sean Young, Edward James Olmos, M. Emmet Walsh, Daryl Hannah, William Sanderson, Brion James, Joe Turkel, Joanna Cassidy, James Hong, Morgan Paull, Kevin Thompson, John Edward Allen, HyPyke Fantascienza,, durata 117 min. – USA 1982.

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Harrison Ford: Rick Deckard
Rutger Hauer: Roy Batty
Sean Young: Rachael
Daryl Hannah: Pris
Brion James: Leon
Joanna Cassidy: Zhora
Edward James Olmos: Gaff
M. Emmet Walsch: Capitano Bryant
Joe Turkel: Eldon Tyrell
William Sanderson: J.F. Sebastian
Morgan Paull: Holden
James Hong: Hannibal Chew

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Regia Ridley Scott
Soggetto Philip K. Dick
Sceneggiatura Hampton Fancher, David Webb Peoples
Produttore Michael Deeley
Casa di produzione The Ladd Company, Sir Run Run Shaw, Tandem Productions
Distribuzione (Italia) Warner Bros.
Fotografia Jordan Cronenweth
Montaggio Terry Rawlings, Marsha Nakashima
Effetti speciali Douglas Trumbull
Musiche Vangelis
Scenografia Jordan Cronenweth

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Michele Gammino: Rick Deckard
Sandro Iovino: Roy Batty
Emanuela Rossi: Rachael
Micaela Esdra: Pris
Sergio Fiorentini: Leon
Maria Pia Di Meo: Zhora
Piero Tiberi: Gaff
Renato Mori: cap. Harry Bryant
Gianni Marzocchi: dott. Eldon Tyrell
Massimo Giuliani: J.F. Sebastian
Paolo Poiret: Holden
Vittorio Stagni: Hannibal Chew
Luciano De Ambrosis: Taffey Lewis
Mario Milita: Abdul Ben Hassan

Blade runner banner citazioni

Io penso, Sebastian, quindi sono.”

Noi siamo stupidi, e quindi moriremo.”

Una candela che arde col doppio dello splendore brucia in metà tempo.

Bella esperienza vivere nel terrore, vero? È così che si sente uno schiavo!

Peccato però che lei non vivrà! Sempre che questo sia vivere…

Ho visto cose ….. (english)

« I’ve seen things you people wouldn’t believe. Attack ships on fire off the shoulder of Orion. I watched c-beams glitter in the dark near the Tannhauser Gate. All those… moments will be lost… in time, like tears… in rain. Time to die. »

Blade runner banner riconoscimenti
1982 – British Academy Film Awards
Migliore fotografia a Jordan Cronenweth
Migliori costumi a Charles Knode e Michael Kaplan
Migliore scenografia a Lawrence G. Paull
Nomination Miglior trucco a Marvin G. Westmore
Nomination Miglior montaggio a Terry Rawlings
Nomination Miglior sonoro a Peter Pennell, Bud Alper, Graham V. Hartstone e Gerry Humphreys
Nomination Migliore colonna sonora a Vangelis
Nomination Migliori effetti speciali a Douglas Trumbull, Richard Yuricich e David Dryer
1982 – Saturn Award
Nomination Miglior film di fantascienza
Nomination Migliore regia a Ridley Scott
Nomination Miglior attore non protagonista a Rutger Hauer
Nomination Migliori effetti speciali a Douglas Trumbull e Richard Yuricich
1982 – Los Angeles Film Critics Association Awards
Migliore fotografia a Jordan Cronenweth
1982 – Premio Hugo
Migliore rappresentazione drammatica
1983 – London Critics Circle Film Awards
Special Achievement Award a Lawrence G. Paull, Douglas Trumbull e Syd Mead
1983 – Premio Oscar
Nomination Migliore scenografia a Lawrence G. Paull, David L. Snyder e Linda DeScenna
Nomination Migliori effetti speciali a Douglas Trumbull, Richard Yuricich e David Dryer
1983 – Premio Golden Globe
Nomination Miglior colonna sonora a Vangelis
Blade runner banner recensioni
L’opinione del sito http://www.mymovies.com
In una Los Angeles piovosa e sovrappopolata, il poliziotto Deckard (Harrison Ford), dell’unità Blade Runner, viene richiamato in servizio. La sua specialità è l’eliminazione di esemplari insubordinati di “replicanti”, androidi destinati al lavoro nelle colonie spaziali. Quattro di loro, Roy Batty, Leon, Zora e Pris, hanno raggiunto la Terra per tentare di infiltrarsi nelle industrie che li fabbricano. I replicanti sono identici agli esseri umani, tranne che per la durata limitata della loro esistenza e per l’apparente incapacità di provare sentimenti. Proprio sulla registrazione delle reazioni emotive si basa il test Voigt – Kampff, con cui Deckard indentifica in Rachel (Sean Young), collaboratrice dell’industriale, una replicante sperimentale, inconsapevole della propria vera natura. Deckard si pone sulle tracce di replicanti da “ritirare”, eliminando per prima la spogliarellista Zora (Joanna Cassidy). È però Rachel a salvarlo da Leon, mentre Pres (Daryl Hannah) si installa a casa di un ricercatore per convincerlo a portare lei e Batty (Rutger Hauer) dall’industriale. L’incontro non ha esito felice: i due replicanti apprendono che non c’è modo di prolungare la loro esistenza. Deckard li raggiunge nel loro nascondiglio e, “ritirata” Pris, affronta Batty in un duello spietato. Salvato in extremis dal suo stesso avversario un attimo prima che questi muoia, Deckard recupera Rachel e fugge con lei lontano dalla città. Abile fusione di poliziesco e fantascienza, Blade Runner vive un rapporto di simbiosi con Il cacciatore di androidi, romanzo di Philip K. Dick da cui è tratto. Anche se il film risulta più coerente ed equilibrato, alcuni riferimenti sono apprezzabili solo leggendo il libro: i dettagli del test o la descrizione di un mondo in cui le riproduzioni artificiali degli animali, quasi estinti, diventano status symbol. Tuttavia il film descrive perfettamente una società multietnica e tratteggia perfettamente i diversi personaggi, tutti pervasi dall’amarezza tipica dell’opera di Dick: dallo scienziato colpito da invecchiamento precoce che vive in una casa piena di giocattoli, ai replicanti afflitti da angosce esistenziali, dalla fragile e sensuale Rachel alle prese con la propria identità sconosciuta al detective anni Quaranta trasferito nel futuro. Altrettanto efficaci sono gli effetti speciali di Douglas Trumbull e la colonna sonora di Vangelis. Blade Runner divenne rapidamente un cult-movie, cosa che anni dopo permise a Ridley Scott di distribuirne la versione “originale” ( Blade Runner: the Director’s Cut). Meno ottimistica nel finale dell’edizione nota al pubblico, essa è priva della narrazione fuori campo del protagonista e della ripresa aerea conclusiva, aggiunta per volontà del produttore, utilizzando ritagli della sequenza iniziale di Shining.
L’opinione di Joker1926 dal sito http://www.filmscoop.it
“Blade runner” ,in sublimi linee metaforiche, è quel gol che giunge in una partita tesissima e scatena l’estasi di uno stadio sigillando, ora e per sempre, quel risultato, indice di vittoria.
Rimane cosi quindi, “Blade runner”, negli albi cinematografici, un eterno dipinto di significato, visivo e vitale; nessuno sembra muover critiche, attaccare il film di Scott diventa un’impresa titanica.Nelle sale nel 1982 il prodotto americano diete immediatamente nell’occhio per via di una confezione di effetti speciali ,che in quella determinata fattispecie temporale, di inizio anni ottanta, era più che un lusso; ma non solo.
“Blade runner” incuriosisce grazie a svariati punti “cardini”, fra questi sicuramente le ambientazioni e le atmosfere.
Fa effetto, invece, (de)notare una fotografia grezza ed oscura, vari (presunti) critici affermano che è propria questa ultima a far la differenza, ovviamente in positivo.
Ai nostri occhi, insomma, la confezione che accerchia la fotografia di Scott non è nemmeno sufficiente. L’impressione è che la regia, donando un alone tremendamente dark al film, si scorda di proporre una fotografia più luminosa, ne consegue un sovrapposizione di colori pesanti che spossano mortalmente la visione di “Blade runner”.
Gli attori, più che superfluo ricordarli tutti, sono in ruoli difficilmente giudicabili, perché, detta tutta, “Blade runner” è un film da prender con le molle, costantemente. E’ certamente un film di fantascienza, ma allo stesso tempo, vuole spingere più in là la propria anima, i risultati? Non sempre soddisfacenti.
Quello di Scott è un Cult Movie dotato, o meglio orfano, di un ritmo alto, nasce un’ondata di pesantezza, i personaggi e le situazioni sembrano, quanto mai, convergere su linee epidermiche, freddezza totale.
Freddezza comunque idealizzata da Scott proprio per denunciare, diciamo così, questa fantomatica società del 2000; si toccano diverse argomentazioni, alcune di stampo filosofico, altre simboliche e religiose.
Filosofia che traspare nell’apparato psicologico umano attorniato da un bagaglio di megalomania, nei contesti la linea concettuale milita anche nei pensieri di controllo e di immortalità. Immortalità intesa come potenza e controllo raffigurato, simbolicamente, dagli occhi.
Simboli (l’unicorno) e altri messaggi, pure religiosi, sono messi nel film proprio per render l’idea di “vita” e morte, quanto mai vicine e imprevedibili.
“Blade runner” ha un menù colmo di significati, tutti abbastanza capibili; nei film di fantascienza le allusioni e le critiche alla società appaiono, quasi sempre, collimare nelle stesse cose. Praticamente sempre presente quel contrasto fra uomo e robot, chiamateli come volete, la partita a scacchi nel film potrebbe fungere da simbolo.
Scott ha avuto sicuramente le idee chiare, “Blade runner” alle volte convince per il contenuto, alle volte per le singolari atmosfere, altre delude per via della narrazione un po’ “piatta”, altre viene meno in campo di regia, alcuni passaggi appaiono frettolosi e grossolani.
Comunque il recensore non può non consigliare di vedere un film padre ispiratore di altri film nati in decenni successivi. Quanto a Scott, raggiungerà l’apice con un altro film…
L’opinione di Godardi dal sito http://www.davinotti.com
Uno dei capisaldi mondiali nella nuova fantascienza (di allora), un riuscitissimo connubio tra sci-fi e noir: è la classica storia dell’investigatore privato o bounty killer con una missione da compiere, solo che qui la compie nel futuro. Calato in una sfarzosa scenografia postmoderna è un’autentica gioia per gli occhi e per le orecchie (forse le musiche di Vangelis appaiono un po’ datate oggi). Nonostante il suo enorme successo non è un film facile, chi si aspetta un action movie veloce rimarrà deluso. Consacrazione per Ford e rivelazione per Hauer.

Lo splendido commento di Dana

Scritto nel 1968 il romanzo di fantascienza di Philip K. Dick “Do Androids Dream of Electric Sheep?” (“Il cacciatore di androidi”) ha atteso ben 14 anni prima della trasposizione sullo schermo nella versione mozzafiato di Ridley Scott e ha dovuto attendere un decennio prima di essere riconosciuto un capolavoro del cinema di fantascienza.
Al momento del lancio, il film, costato 28 milioni di dollari, è stato mal accolto dalla critica ed è stato un fiasco finanziario; solo dopo il 1992, quando emerse la nuova versione, critica e pubblico hanno pienamente riconosciuto il valore del film.
Interi libri sono stati scritti circa gli avvenimenti sul set, molti dei quali spiacevoli. Harrison Ford, a quanto pare, non andava d’accordo con la star Sean Young, la squadra ha fatto stampare magliette per esprimere l’insoddisfazione per il pesante orario di riprese, e, inoltre, anche Ford e Scott hanno avuto numerosi disaccordi. Brevissimo il commento di Ford dopo la première: “ è stato uno dei film più duri ai quali ha lavorato”.
Ma che film! Giustamente elogiato per la scenografia favolosa, l’immagine di Los Angeles anno 2019, città fredda come le luci neon che la illuminano, offuscata dalle piogge acide, sovraffollata, è stata, nel tempo, imitata da molti, tuttavia è rimasta unica.
Il detective Rick Deckard (Ford) perlustra questa città deprimente in cerca di “replicanti” – androidi ribelli che si nascondono sotto le spoglie di persone – e finisce per innamorarsi di uno (Young).
Abbondante nel uso di simboli, “Blade Runner” ha provocato molte discussioni contraddittorie nel corso del tempo; alcuni dei suoi fans sostengono che il film contiene messaggi religiosi subliminali, ( vedi la scena del replicante Roy Batty (Hauer), il quale si conficca un chiodo nella mano, la figura di Tyrell (Joe Turkel) un Dio-Padre, creatore dei replicanti, che tiene d’occhio la sua prole.

E ‘difficile immaginare questo film diretto da qualcun altro (prima di Scott sono stati consultati Adrian Lyne, Michael Apted e Robert Mulligan, e Martin Scorsese si era dimostrato interessato al romanzo nel 1969). Quanto al protagonista, inizialmente sulla lista c’erano Christopher Walken ed anche Dustin Hoffman.
Fenomenale miscuglio tra film di fantascienza del XXI secolo e noir 1940, la pellicola crea una superba antiutopia, e Ford diventa colui che è stato scelto per “mandare in pensione” gli androidi che arrivano sulla Terra in forma umana per cercare il Creatore perché forse si era deciso di “stare lì solo per dare un tocco di colore sui set di Ridley” (come ha dichiarato ad un giornalista nel 1991), ma il suo stupore si inserisce nella storia.
Una delle ragioni di popolarità di “Blade Runner”: ci sono più versioni del film – l’ultima variante ha aggiunto nuove scene, ha eliminato il passaggio narrativo di Ford ed il finale ottimistico imposto dallo Studio.
Un’altra ragione di popolarità consta nel fatto che in tanti si domandano se Deckard è un androide. Qualunque sia la risposta che uno si vuole dare – Scott ha suggerito, più di una volta, che lo è – “Blade Runner” rimane uno dei film di fantascienza più belli e più imponenti mai realizzato.

Una delle scene più belle:
Deckard: Do you love me?
Rachael: I love you.
Deckard: Do you trust me?
Rachael: I trust you.

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aprile 5, 2008 Posted by | Fantascienza | , , , , , | 8 commenti