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Le deportate della sezione speciale SS

Nazisploitation diretto da Rino Di Silvestro nel 1976,Le deportate della sezione speciale SS si distingue dalla massa
delle produzioni del filone,che ebbe breve ed effimera gloria tra il 1974 e il 1978,per la sua carica di violenza e per il finale apocalittico
che condivide con altri film del genere ma con in più una carica di ferocia e di violenza a tratti disturbante.
Rino Di Silvestro,al suo quarto film degli 8 totali che girerà,chiudendo la sua carriera con il pessimo Sogni erotici di Cleopatra dirige con
mano sbrigativa un film caratterizzato dai topos tipici del genere nazisploitation (o nazi porno),ovvero sesso estremo,violenza a tutto spiano,
caratterizzazione brutale dei nazisti,dipinti come demoni assoluti,il che non è affatto lontano dalla realtà.


La trama in breve:
Tania Wolburg,giovane ebrea,viene trasportata con alcune sventurate compagne di prigionia,in un castello,dove verranno selezionate per finire
in qualche bordello per truppe tedesche.
La sua bellezza attrae le turpi voglie del comandante Hassen,che cerca in ogni modo di far sua la donna.
Che però gli resiste,anche perchè innamorata di un altro uomo.
Quando scoprirà che le sue amiche hanno trovato il modo di fuggire,fingerà di concedersi ad Hassen;prima di farsi possedere,Tania inserisce nelle parti intime una lametta da barba,che evirerà il comandante.
Le prigioniere riescono a fuggire,ma Tania verrà uccisa.

Visto uno,visti tutti.
Le pellicole appartenenti a questo speciale genere,letteralmente di nicchia,essendo tutti film girati in fotocopia,non visibili ai minori e sopratutto
spesso disturbanti e poco accattivanti come trama e caratterizzati spesso da recitazioni approssimative ebbero uno scarso seguito,ad eccezione di Ilsa la belva delle SS, vero e proprio capostipite del genere.


Le deportate della sezione speciale SS ha quanto meno una regia attenta,anche se incline all’effettaccio splatter e al nudo più spinto;discreto anche il cast che arruola John Steiner nei panni del sadico comandante Hassen,Lina Polito e Erna Schurer.
Ma non si va oltre questo.

Le deportate della sezione speciale SS
Un film di Rino Di Silvestro. Con John Steiner, Rick Battaglia, Erna Schurer, Guido Leontini, Lina Polito, Sara Sperati Guerra, durata 95 min. – Italia 1976

John Steiner: Herr Erner
Lina Polito: Tania Nobel
Stefania D’Amario: Angela Modena
Erna Schürer: Kapo Helga
Sara Sperati: Monique DuPré
Solvi Stubing: Fräulein Greta
Guido Leontini: Dobermann
Paola D’Egidio: Kapo Trudy
Rik Battaglia: Soldier Fredrick
Ofelia Meyer: Kapo Inga
Felicita Fanny: Karol
Renata Franco: Milena
Giorgio Cerioni: Doctor Schübert

Regia Rino Di Silvestro
Soggetto Rino Di Silvestro
Sceneggiatura Rino Di Silvestro
Produttore Giuseppe Zaccariello
Casa di produzione Nucleo Internazionale Produzioni Cinematografiche
Fotografia Sergio D’Offizi
Musiche Stelvio Cipriani
Scenografia Nello Giorgetti
Costumi Ruggero Vitrani
Trucco Dante Trani

luglio 19, 2017 Posted by | Erotico | , | Lascia un commento

Erna Schurer

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Negli anni sessanta, nel cinema italiano, c’era un’abitudine diffusa: quella di assumere pseudonimi stranieri.
Questo fenomeno si diffuse anche a causa di una spiccata esterofilia degli spettatori e dei produttori i quali preferivano
lanciare nel campo cinematografico personaggi provenienti dai floridi mercati americani, inglesi ecc.
In virtù di questo, attori come Massimo Girotti,Carlo Pedersoli,Erika Colombatti ecc. si trasformarono in Terence Hill, Bud Spencer e Erika Blanc.Una moda,potremmo definirla così,alla quale non sfuggirono nemmeno i registi: anche Sergio Leone scelse di chiamarsi Bob Robertson e Barboni si trasformò in Clucher.
Così l’italianissima,napoletana, Emma Costantino divenne Erna Schurer,nome con il quale girerà 39 pellicole e parteciperà a qualche
format tv.
Bionda,molto carina,fisico da modella, la Schurer entrò da subito nel mondo dello spettacolo,lavorando con il più prestigioso dei registi teatrali,quel Giorgio Strehler che formerà molti prestigiosi nomi dello stesso teatro.
Contemporaneamente Erna lavorò come fotomodella per Harper’s Bazaar e Vogue,dove il suo fisico longilineo e la sua bellezza le spalancarono le porte verso un lusinghiero successo nel campo della moda.

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Carnalità

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Insolitamente bruna nel film Che notte quella notte!

Alla ricerca di emozioni e di avventura,Erna finirà per trasferirsi a Londra, in attesa del momento giusto per entrare nel mondo del cinema.
Nel 1960 arriverà il suo primo film,Il rossetto di Damiano Damiani e in seguito Wanted Johnny Texas di Emimmo Salvi,28 minuti per 3 milioni di dollari di Maurizio Pradaux,Lola Colt di Siro Marcellini e La battaglia dell’ultimo panzer di José Luis Merin.
Si tratta di piccoli ruoli che costituiscono finalmente l’attesa occasione per mettersi in mostra;come racconta,per poter andare avanti,in un mondo competitivo, devi accettare tutto:

“I distributori ti chiedevano,quà la scena di sesso,là la scena di sangue,questo e quell’altro…
E tante volte non avevano nemmeno letto magari la sceneggiatura che gli presentavi.Se facevi una cosa tutta intellettuale,la distribuzione insomma
non ti dava una lira.I registi come gli attori erano quindi costretti a scendere a questi compromessi,a meno che non avessero i mezzi per prodursi da soli.Molte volte,diventando amica dei registi,mi rendevo conto delle loro problematiche,della loro necessità di restare legati ad un certo tipo di cinema,nonostante avessero tutti i numeri per fare cose diverse…”.

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Erotissimo

Nel 1969 Alberto Cavallone la sceglie per il ruolo da protagonista accanto a Beryl Cunningham nel thriller con sfumature erotiche
Le salamandre.
Il ruolo di Ursula le fruisce una vasta visibilità;il suo fisico praticamente perfetto,messo a nudo quel tanto che era possibile mostrare in un
periodo di forte moralismo,in estremo contrasto con quello della Beryl Cunningham, diametralmente diversa, finisce per applicarle l’etichetta di reginetta dell’erotismo.
In una intervista concessa a Davide Pulici apparsa sul mensile specializzato Nocturno,la Schurer ricorda tra l’altro di aver scelto lo pseudonimo
utilizzato come omaggio ad una sciatrice tedesca,Erna Scheurer e di aver poi modificato in Schurer il cognome per gli errori di scrittura sui manifesti cinematografici.

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Il castello dalle porte di fuoco

A proposito di Le salamandre racconta:”Era una sceneggiatura che all’inizio non era stata giudicata abbastanza interessante.I distributori poi inserirono la storia di questo rapporto lesbico tra me che facevo la fotografa e la modella di colore…intendiamoci,rivisto con gli occhi di oggi,era una cosa da educande. Insomma,finalmente si riuscì a distribuirlo bene,anche perchè nel film entrò Aldo Adobbati,il quale mise giganteschi manifesti ovunque,lo lanciò e il film incassò uno sproposito.” (oltre un miliardo di lire ndr.)
Il successo di Le salamndre la porta ad un contratto per il film Erotissimo di Gerard Pires,nel cui cast c’è Annie Girardot;nel frattempo studia per diventare regista,la sua passione.
Come racconta, “mio zio era regista di documentari,quindi volevo un pò seguire questa strada.Anche perchè mi sembrava mi permettesse come donna di dare qualcosa di più. Allora non era come oggi;la donna doveva essere bella e basta.A me invece sarebbe interessato fare qualcosa di diverso,tanto di belle ce n’erano trecentomila…”
Nel 1969 gira un altro film che amplia notevolmente la sua popolarità.
Si tratta di La bambola di Satana,diretto da Ferruccio Casapinta nel quale è Elisabeth,una ricchissima ereditiera che verrà coinvolta in un complotto per assassinarla e che sopravviverà grazie ad una investigatrice che smaschererà i colpevoli.
Il film,pur essendo a tutti gli effetti un B movie,ottiene un discreto successo tanto da essere scritturata,nuovamente come protagonista,per il pruriginoso Le altre di Renzo Maietto,storia di un amore lesbico nella quale due compagne decidono di procreare un figlio.
Un film scandalo che dipinge ancora di più la fama di Erna come attrice trasgressiva.

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Il cineromanzo del film Le tue mani sul mio corpo

In realtà, come racconta nell’intervista a Pulici, l’attrice non si sentiva tale e non amava le scene di nudo.
“Non amavo le scene di nudo gratuito anche se sembra scontato dirlo.Però nel momento in cui il nudo era giustificato,non avevo problemi…
Come si sa,si metteva sempre un cerotto che copriva le intimità,sia per gli uomini sia per le donne per cui non era mai un nudo.”
Nel 1970 interpreta tre film con un buon riscontro di pubblico;si tratta di Le Mans scorciatoia per l’inferno di Osvaldo Civirani accanto ad una giovane ed emergente Edwige Fenech,Il castello dalle porte di fuoco di José Luis Merino,un gotico horror nel quale ha il ruolo di protagonista mentre un’altra giovanissima destinata ad un lusinghiero successo,Agostina Belli,è relegata in un ruolo secondario,quello della cameriera Cristiana.
Nell’ultimo film di questo trittico lavora con Brunello Rondi,nell’erotico thriller Le tue mani sul mio corpo,accanto a Lino Capolicchio.
Sembra quindi lanciata verso un futuro scintillante,eppure resta sempre confinata in film di secondo piano.
Nel 1971 lavora in un ottimo film di Avallone,il thriller con connotazioni sovrannaturali Un gioco per Eveline.
Un aneddoto rivelato da Erna nella sua intervista:

“Il film era finanziato da un mafioso!Era uno che ci pagava mettendo i soldi dentro un giornale,me lo ricordo che veniva ogni fine settimana
con i soldi in questi cartoccetti.Una volta ebbi mal di denti e andai dal dentista con un taxi;raccontai al taxista che stavo girando un film a Mondello e che c’era questo signore che ci dava i soldi.
Scendendo dal taxi gli dico “quanto le devo” e lui ” ah no,no!Io non prendo i soldi,questo è un mafioso,che scherza?Mi fanno un cappotto di cemento e io sparisco…”.

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Il tuo piacere è il mio

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Le tue mani sul mio corpo

Il 1972 è per lei un anno intenso;lavora in I leoni di Pietroburgo di Siciliano,in un film con modesti mezzi e dagli esiti ancor più modesti,nel pretenzioso e irrisolto film di Rondi Valeria dentro e fuori,nel quale la protagonista è Barbara Bouchet,nel modestissimo La grande avventura di Scaramouche di Piero Pierotti ed infine fa il suo esordio sul piccolo schermo,nella riduzione televisiva Sorelle Materassi tratto dal famoso romanzo di Palazzeschi.
Da questo momento in poi la sua parabola cinematografica inverte il trend;lavora ancora con buona lena,ma non raggiunge mai la piena notorietà,restando confinata in un limbo in cui i lavori che le propongono appartengono,irrimediabilmente,a film di secondo piano.
Il tuo piacere è il mio di Claudio Racca (1973),un decamerotico scadente nonostante la presenza nel cast di Eva Aulin,Femi Benussi,Barbara Bouchet,Sylvia Koscina seguito nello stesso anno da Tecnica di un amore, film sibillino ed enigmatico di Rondi (accanto a Janet Agren) e La notte dell’ultimo giorno di Adimaro Sala non lasciano praticamente traccia e rappresentano solo numeri nel suo curriculum.
Nel 1974 è ancora Brunello Rondi a scritturarla per il Wip Women in prison Prigione di donne,nel quale ha una breve parte,un pò schiacciata dalla presenza di un nutrito cast femminile che include Martine Brochard e Marilu Tolo,Katia Christine e Cristina Galbó;il ruolo di Gianna è però interpretato con stile e bravura.

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Il suo film più importante,Le salamandre

Dello stesso anno è il cinematograficamente invisibile Scusi, si potrebbe evitare il servizio militare?… No! di Luigi Petrini,accanto ad un’altra affascinante presenza del cinema sexy italiano,Orchidea De Santis.
Nel 1975 torna ad essere protagonista principale nel film di Imperoli Istantanea di un delitto,con discreti risultati al box office,mentre passa praticamente inosservato Furia nera di Demofilo Fidani;discreto successo invece per  Carnalità, di Alfredo Rizzo,dove ruba la scena alla più famosa Femi Benussi.
Nel 1975 la troviamo ancora accanto alla Fenech nel thriller Nude per l’assassino,in una piccola parte,nel 1976 nel nazisploitation Le deportate della sezione speciale SS.
Sono ormai le sue ultime prove di un certo rilievo;Erna lavora sempre meno,stanca di un cinema che non offre più alcun appagamento alle sue ambizioni e che,d’altro canto,è in fase declinante.La crisi morde,e se è vero che i suoi due lavori successivi,ovvero La vergine, il toro e il capricorno e Che notte quella notte! di Ghigo De Chiara hanno buone ambizioni,in realtà
la lasciano abbastanza in ombra,relegata in ruoli di contorno.

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Nude per l’assassino

Due apparizioni in tv,qualche lavoro con lo stesso mezzo in cui tenta di riciclarsi,ma null’altro.
Dopo il pessimo Baila guapa,di Adriano Tagliavia del 1979 che monta una storiella per sfruttare il successo televisivo della trasmissione Disco ring e sopratutto della bellissima Gloria Piedimonte che ballava la sigla dei Bus Connection,Erna abbandona praticamente lo schermo.Tornerà nel 1987 in una piccola parte,quella di una guida delle catacombe nel film Spettri,diretto da colui che l’aveva in pratica fatta scoprire,Avallone.
Una carriera decisamente in chiaro scuro,quella di Erna Schurer;qualche buona prova,ma limitata al cinema bis;che,beninteso,aveva un pubblico numericamente non indifferente ma che in pratica limitava pesantemente la carriera di un’artista, condannandola ad una fama effimera.
Ma a sentire lei la cosa non le ha creato alcun problema; il teatro con Ugo Gregoretti, Garinei & Giovannini, Mario Missiroli le ha dato qualche soddisfazione,cosi come la partecipazione a trasmissioni tv come Sereno variabile e Domenica insieme.

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Con Janet Agren in Tecnica di un amore

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Wanted Johnny Texas

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Valeria dentro e fuori

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Un gioco per Eveline

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Nel suo ultimo film,Spettri

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Sortilegio

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Prigione di donne

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Panzer division

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Nude per l’assassino

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Lola Colt

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Le tue mani sul mio corpo

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Le Mans scorciatoia per l’inferno

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Le deportate della sezione speciale SS

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Le altre

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La grande avventura di Scaramouche

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La battaglia dell’ultimo panzer

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La bambola di satana

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Ancora da La bambola di satana

                                                                                           La vergine,il toro e il capricorno

I leoni di Pietroburgo

                                                                                          28 minuti per 3 milioni di dollari

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Nel fotoromanzo Satanik

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Nel fotoromanzo Jacques Douglas della casa editrice Lancio

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Due sequenze del fumetto fotoromanzo Killing

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1987 Spettri
1979 Baila guapa
1979 Bactron 317 ou L’espionne qui venait du show
1978 Giorno segreto (Serie Tv)
1977 Reporter’s Story (Serie Tv)
1977 Che notte quella notte!
1977 La vergine, il toro e il capricorno
1976 Lo sceicco la vede così’
1976 Le deportate della sezione speciale SS
1975 Les lesbiennes
1975 Due Magnum .38 per una città di carogne
1975 Nude per l’assassino
1975 Furia nera
1975 Istantanea per un delitto
1974 Carnalità
1974 Scusi, si potrebbe evitare il servizio militare?… No!
1974 Prigione di donne
1974 Il romanzo di un giovane povero
1973 La notte dell’ultimo giorno
1973 Tecnica di un amore
1973 Il tuo piacere è il mio
1972 La grande avventura di Scaramouche
1972 Sorelle Materassi (Serie tv)
1972 Valeria dentro e fuori
1972 I leoni di Pietroburgo
1971 Un gioco per Eveline
1970 Le tue mani sul mio corpo
1970 Il castello dalle porte di fuoco
1970 Le Mans scorciatoia per l’inferno
1969 Le altre
1969 La bambola di Satana
1969 Erotissimo
1969 Le salamandre
1969 La battaglia dell’ultimo panzer
1967 Lola Colt
1967 28 minuti per 3 milioni di dollari
1967 Wanted Johnny Texas
1960 Il rossetto

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dicembre 27, 2016 Posted by | Biografie | | 1 commento

Le altre

Le altre locandina 1

Nell’Italia puritana e bigotta degli anni sessanta,ancora lontana dalla rivoluzione culturale dei decenni successivi,uno dei temi più spinosi e meno dibattuti era quello dell’omosessualità o del lesbismo.
Nonostante il movimento del 68 che in qualche modo aveva portato una ventata di rinnovamento,l’Italia viveva una situazione confusa,contraddittoria in materia di diritti legati alla sessualità.
Nel 1968 era ancora esistente il delitto d’onore,così come il reato di adulterio;diritti civili come l’aborto o il divorzio erano ancora chimere e in questo quadro desolante l’omosessualità era vissuta segretamente,quasi fosse una colpa grave.
Era considerata una malattia oltre che una devianza,di conseguenza un tema assolutamente scomodo,del quale non parlare.
Nel 1969 il regista iraniano Alessandro Fallay,sotto lo pseudonimo di Renzo Maietto,adottato per aggirare il divieto esistente verso i registi stranieri di accedere a contributi economici per film italiani dirige il film Le altre,una pellicola a suo modo coraggiosa che parla non solo di lesbismo,ma anche di procreazione di coppie omosessuali e di convivenza tra coppie dello stesso sesso.

Le altre 1

Le altre 3
Maietto dirige la sua prima e unica opera in modo forse confuso,ma coraggioso e anticonformista.
Il tema scomodissimo del lesbismo viene affrontato in modo dispersivo,senza la necessaria profondità,dovuta anche alla necessità di aggirare le forbici della censura; ma il film ha comunque il grande merito di lanciare un sasso nella palude stagnante del conformismo del pensiero comune,il merito in definitiva di parlarne.
La trama in sintesi:
Alessandra e Flavia sono legate da tempo da un legame lesbico,che però vivono serenamente,senza complessi di colpa.
Ma la relazione sembra essere arrivata ad un punto morto e come una qualsiasi coppia etero hanno bisogno sia di trovare nuovi stimoli,sia di cementare il loro affetto con quello che è il simbolo del famiglia tradizionale,un figlio.
Non potendo accedere all’adozione e non volendo affidarsi alle prime sperimentali tecniche di fecondazione in provetta,decidono di comune accordo di procreare in modo naturale.
Dopo alcune infelici esperienze,trovano finalmente il donatore.
Ma un’intervista porterà il caso davanti all’opinione pubblica con conseguenze disastrose,mentre la nascita della bimba ha mutato gli equilibri di coppia…

Le altre 7

Le altre 8
Un film coraggioso,indubbiamente,ma anche terribilmente confuso.
Ad una prima parte in cui assistiamo a dialoghi disarmanti nella loro semplicità si sostituisce una seconda parte caratterizzata dal tono documentaristico del film,che smette di analizzare le difficoltà della coppia per concentrarsi sul clamore mediatico che suscita la relazione “proibita”
Ma il film ha il merito,per una volta,di affrontare il lesbismo come una relazione di coppia e non come una devianza sessuale;le due protagoniste sono donne della porta accanto, la location è una città e non la solita  esotica che invoglia alla trasgressione di un momento.
La relazione tra Alessandra e Flavia in fondo non è diversa da una etero;hanno gli stessi problemi,sono alle prese con dinamiche di coppia perfettamente uguali a quelle di una coppia tradizionale.
Noia e gelosia,abitudine affliggono anche loro.
E un bambino che nasce altera gli equilibri come avviene in tutte le famiglie.
Film a fasi alterne quindi,con cose buone e meno buone,ma diretto in fondo con buona e onesta mano da Maietto,che quanto meno non indulge nelle inquadrature morbose.

Le altre 15
Certo,i tempi non permettevano esposizioni smodate di nudi femminili;ma una volta tanto è una fortuna,perchè Maietto si concentra sulla storia ed evita la prurigine che potrebbe scaturire dalla morbosità della storia.
Brave le due protagoniste,la italianissima e biondissima Erna Schurer e la deliziosa Monica Strebel;una coppia affiata che da un tocco di sano realismo alla storia raccontata.
Decisamente su un piano diverso il cast maschile,fatto di volti quasi sconosciuti e a tratti imbarazzante nella recitazione.
Un’opera quasi sperimentale,quindi,che però ha grandi meriti,con lo sdoganamento a cui accennavo agli inizi del tema scomodo del lesbismo.
Da segnalare le invasive musiche,peraltro brutte e fuori contesto,quasi barocche e a tratti davvero fastidiose per un film
datato ma dall’indubbio fascino,rimasto sepolto per mezzo secolo e oggi finalmente disponibile in digitale.

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Le altre

di Alessandro Fallay (come Renzo Maietto),con Erna Schurer,Monica Strebel,Gabriella D’Olive,Max Dorian
Commedia durata 90 minuti,Italia 1969

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Le altre banner protagonisti

Erna Schürer: Alessandra
Monica Strebel: Flavia
Gabriella D’Olive: Elvira
Max Dorian: collega di Alessandra
Raul Lovecchio: Carlo
Giuliano Esperanti: Giornalista

Le altre banner cast

Regia Alessandro Fallay
Soggetto Alessandro Fallay, Giulio Berruti
Sceneggiatura Alessandro Fallay, Giulio Berruti
Produttore Carlo Maietto, Renzo Maietto, Leonardo Bonomi
Casa di produzione Unifilm S.r.l.
Fotografia Giuseppe Pinori
Montaggio Paolo Lucignani
Musiche Piero Piccioni
Scenografia Mimmo Scavia
Costumi Mimmo Scavia

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Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com

Homesick

Pubblicità, giornalismo rapace e slogan pro-natalisti del cattolicesimo più retrivo sono colpiti per mezzo di un discorso in straordinario anticipo sui tempi
– la famiglia gay – ma esposto male a causa di una diegesi piatta, lunghi incisi di patetico realismo (anzi, di semi-documentarismo) sulla vita di coppia e musiche invasive e poco appropriate.
Tra gli “stalloni” rifiutati dalle conviventi more uxorio Schurer-Strebel si fa avanti il Giuliano Disperati di Hanno cambiato faccia, mentre un giovane e non accreditato
Flavio Bucci appare a sorpresa nel ruolo del fotografo.
Mco

Opera misteriosa e sepolta, che fece scalpore per la tematica affrontata (siamo nel 1969!) e sulla cui direzione è sempre regnato il caos.
Pare assodata la teoria che vuole Renzo Maietto come regista ma su Fallay vi è discordanza, per alcuni (la Schurer) essendo anch’egli vero direttore della pellicola. In sè il film non offre grandi spunti,
se si eccettua la presenza delle bellissime interpreti, ma l’alone oscuro della sua (quasi) invisibilità lo rendono comunque guardabile.
Fauno

Lento ed estetico come molti film di quegli anni. Tema imperniato su due lesbiche che vogliono ampliare la famiglia e ricercano il fecondatore idoneo, finendo per trovare quello più reazionario.
Toccante veder confermata l’aggressione a capofitto della pubblicità anche e soprattutto su queste persone così stravaganti e particolari, onde concretizzare ad ogni costo un pingue profitto monetario.
In due parole: se si ama la Schurer basta guardare le immagini, se si vuole estrapolar qualcosa di culturale è un po’ più complicato.

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agosto 21, 2016 Posted by | Commedia | , , | Lascia un commento

Il tuo piacere è il mio

Il tuo piacere è il mio locandina

Unico lungometraggio del regista Claudio Racca,più conosciuto come direttore della fotografia (suoi lavori come Valeria dentro e fuori,
Un fiocco nero per Deborah,Commissariato di notturna tra le produzioni),Il tuo piacere è il mio è un decamerotico caratterizzato dal cast di prim’ordine utilizzato e dall’assoluta mancanza di riscontro ai botteghini,dove si rivelò un flop clamoroso,tanto da rendere il film un invisibile,
ruolo che ha ricoperto a tutt’oggi.
Ad onta dei soldi spesi per ingaggiare un cast che non ha uguali nel campo dei decamerotici e che comprende artisti del calibro di Carlo Giuffrè e Eva Aulin,Silvia Koscina e Barbara Bouchet,Femi Benussi e Erna Schurer,Lionel Stander e Leopoldo Trieste per non parlare di ottimi comprimari come
Umberto Raho,Pupo De Luca,Marisa Solinas il film fu un fiasco clamoroso.
E i motivi sono da ricercare nei dialoghi francamente beceri e volgari e nella struttura del film,che dai decamerotici riprende la classica ripartizione in novelle che questa volta si rifanno ad un’opera di Honorè De Balzac (secondo almeno quanto citato nei credit) ovvero Le sollazzevoli istorie edito nel 1837.

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Lionel Stander e Eva Aulin

Il quale sicuramente si sarà rivoltato nella tomba nel vedere la sua opera ridotta al rango di sgangherata barzelletta da taverna.
De Balzac aveva creato un’opera in cui la beffa,l’intrallazzo amoroso,l’adulterio erano qualcosa che si ispirava alla migliore tradizione comico/satirica francese,con riferimenti a Rabelais o all’Heptaméron della Regina di Navarra.
Qui siamo in campo cinematografico e come già accaduto per messer Boccaccio,per Caucher,per l’Aretino o Masuccio Salernitano tutto si riduce
a comica di infimo ordine e banale scusa per l’esposizione di terga e seni delle belle attrici del cast,forse l’unica cosa di rilievo del film assieme ai costumi utilizzati.
Ben poca cosa,purtroppo.
Il film si apre con due ragazze nude che giocano nel cortile di un castello (fra di esse Erna Schurer);è l’introduzione a sei novelle raccontate durante un convivio (praticamente l’espediente più usato nei decamerotici,ripreso dal Decamerone di Boccaccio) in cui un nobile fiorentino invita i suoi ospiti a raccontare storie licenziose.
La prima vede una giovane marchesa tentare di seguire i consigli del suo confessore che la sprona ad essere all’altezza di alcune sante dai costumi molto liberi.
L’ingenua (ingenua?) marchesa,interpretata dalla bella Eva Aulin scoprirà quanto è piacevole essere accarezzata da un giovane…
La seconda novella,raccontata a tavola da un Cardinale,è un ensemble di storielle sconce mentre la terza racconta le vicende di una tintora che dopo essersi trastullata con un frate vedrà come frutto della relazione la nascita di un figlio.

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Erna Schurer

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Sylvia Koscina

La quarta ha come protagonista il re francese Francesco I che è stato fatto prigioniero dall’imperatore Carlo V d’Asburgo e che ne approfitta per divertirsi con due belle spagnole ospiti dell’imperatore.Una delle due donne con molta furbizia riesce ad ottenere l’assoluzione sia dal papa che da un cardinale.
La quinta novella si svolge temporalmente durante il concilio di Costanza,durante il quale una prostituta mette tutto a soqquadro con la sua bellezza scatenando la bramosia di buona parte dei convocati,fra i quali sacerdoti,alti prelati e persino cardinali.
L’ultima novella,che chiude il film vede protagonista un Marchese che,per consolarsi dei rifiuti continui della sua bella sposa a concedersi carnalmente (la donna è in realtà l’amante del re) finisce per andare con una prostituta che gli trasmette una malattia venerea.
Come si evince dalla trama,siamo di fronte a novelle sboccate e prive di gusto,ben lontane dallo spirito quasi goliardico di Balzac.
Il cast utilizzato è quindi sprecato in malo modo;i decamerotici in fondo erano i film più facili da girare in quanto non richiedevano particolari attenzioni.

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Femi Benussi

Racca riesce quindi a sprecare il budget ricavandone un film di bassa lega,che non riesce a strappare un sorriso in nessun modo.
A completare la performance ecco una sgangherata colonna sonora,degna più di un film della serie interminabili di Pierino che di un film con qualche velleità.
Scomparso del tutto dai circuiti televisivi o dell’home video,il film esiste oggi solo in una versione inguardabile ricavata da una videocassetta.
Il tuo piacere è il mio

Un film di Claudio Racca. Con Femi Benussi, Anna Maestri, Aldo Giuffré, Barbara Bouchet, Sylva Koscina, Erna Schurer, Ewa Aulin,
Attilio Dottesio, Giacomo Furia, Umberto Raho, Lionel Stander, Lorenzo Piani,
Marisa Solinas, Giuseppe Alotta, Duilio Cruciani Commedia erotica, durata 93 min. – Italia 1972

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Il tuo piacere è il mio banner protagonisti

Ewa Aulin: marchesa Cavalcanti
Femi Benussi: contessa Joselita Esteban De Fierro / Rosalia
Barbara Bouchet: prostituta
Aldo Giuffré: granduca
Sylva Koscina: moglie del tintore
Erna Schurer: granduchessa
Lionel Stander: marchese Cavalcanti / cardinale di Ragusa
Leopoldo Trieste: tintore
Marisa Solinas: damigella della granduchessa

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Regia Claudio Racca
Soggetto Claudio Racca
Sceneggiatura Claudio Racca
Produttore Anselmo Parrinello, Paolo Prestano
Casa di produzione Naxos Film
Distribuzione (Italia) Panta distribuzione
Fotografia Claudio Racca
Montaggio Marcello Malvestito
Musiche Franco Bixio
Scenografia Luciano Vincenti
Costumi Luciano Vincenti

Il tuo piacere è il mio banner recensioni

L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it

Verginelle vogliose, preti satiri, mariti cornuti, burle a scopo sessuale: siamo in pieno decamerotico, anche se Claudio Racca non si rivolge direttamente alle fonti primarie che hanno alimentato il genere (la letteratura ‘licenziosa’ del Boccaccio e dell’Aretino), bensì a Honorè De Balzac, con tanto di didascalia finale che dovrebbe in qualche modo nobilitare il film spiegando – con la penna dello scrittore francese – come l’uomo storicamente sia sempre lo stesso, ieri come oggi come domani, impegnato a riempirsi la pancia e a sfogare i suoi più bassi istinti. Nulla di sorprendente: ci provavano tutti.
Tutti i registi di simili prodottini a costo infimo ed esteticamente tirati via cercavano di darsi un tono con la citazione di qualche nome culturalmente altisonante; Racca peraltro qui esordisce dietro la macchina da presa, dopo un decennio di carriera come direttore della fotografia, e firma anche la sceneggiatura. L’unico ‘effetto speciale’ che ha a disposizione è rappresentato dal cast decisamente onorevole, soprattutto per una pellicola di tale risibile stampo: gli interpreti principali sono Lionel Stander, Sylva Koscina, Aldo Giuffrè, Barbara Bouchet, Leopoldo Trieste, Femi Benussi, Umberto Raho, Ewa Aulin, Giacomo Furia, Marisa Solinas e Pupo De Luca. Una parola va spesa per quest’ultimo: attore di secondo piano ma non disprezzabile, utilizzato sempre per parti minori, detiene probabilmente il record di presenze nel genere decamerotico, avendone collezionate all’incirca una decina in un filone a tutti gli effetti non molto ampio.

Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com

B. Legnani

Decamerotico di qualche pretesa (ci sono Giuffré, la Koscina, Stander, Leopoldo Trieste e molti altri), ricavato stavolta da “Les Contes drolatique” (=I racconti giocosi) di Balzac (almeno così si legge). Sullo schermo siamo alla tavola del Re, ma in realtà siamo nella mediocrità più vieta. Arriva solo qualche striminzita risatina.
L’Ubalda vince 3 a 0, e senza fatica.
Undying

Decamerotico di certo stile visivo (cifrare il cast femminile) che pecca di mancato approfondimento comico. Firmato da un regista che girerà poca altra roba, tra cui un documentario a sfondo “erotico” (Love Duro e Violento, 1985) vanta la pretesa discendenza dalle novelle francesi di Honoré de Balzac.
Forse questo è uno dei motivi che lo distanzia dalla volgare e scollacciata comicità nostrana, rendendolo meno interessante di altri titoli appartenenti al genere.
Gradevole per la variegata quantità di attrici, sulle quali predomina la bellissima Eufemia.

Homesick

Insolita cornice aristocratica e medesimi attori impiegati in ruoli diversi per episodi di genere decamerotico flosci e monchi che vantano derivazione
da “Le sollazzevoli historie” di Honoré de Balzac. La ragion d’essere proviene dal ricco cast femminile – notevoli la Schurer e la Solinas tutte ignude
al lavacro e la Aulin con gambe e piedi in bella mostra – e dall’inedita presenza del doppiatore Sergio Graziani nelle nobili vesti di Francesco I di Francia.
Demenziale la canzone sui titoli di testa.

marzo 15, 2016 Posted by | Erotico | , , , , , , | 2 commenti

Il castello dalle porte di fuoco

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Tardo gotico uscito nelle sale nel 1971,Il castello dalle porte di fuoco è una produzione low budget diretta da Josè Luis Merino,onesto artigiano del B movie autore,prima di questa pellicola,di una serie di film appartenenti a svariati generi,dall’euro spy al western all’horror.
Molto conosciuto in Italia tra gli amanti del cinema di serie B per Zorro la maschera della vendetta e per Zorro il cavaliere della vendetta,Merino tira giù una pellicola senza grossi sussulti,con pochissimi soldi ma con qualche buona idea.
L’ambientazione è quella tipica del gotico venato di horror,un castello,un misteroso assassino dalle sembianze mostruose
con l’aggiunta di un pizzico (davvero tale)di castigato erotismo.
Tanto da far credere che se girato tra il 67 e il 69 i risultati sarebbero stati più accettabili;negli anni settanta il gotico era ormai tramontato come genere e l’interesse per questo particolare tipo di film era ormai scemato.
Il castello dalle porte di fuoco si apre con la protagonista Ivana Rakowski (l’italianissima Erna Schurer) che viene assunta da un’agenzia per lavorare presso il barone Janos Dalmar,un uomo sul quale corrono strane voci,tutte allarmanti.

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Ivana le apprende immediatamente;si mormora che le donne che hanno avuto a che fare con il barone in passato abbiano tutte
fatto una brutta fine.
Nonostante gli avvertimenti ricevuti,la donna si reca lo stesso presso il castello di Dalmar,che a sorpresa si rivela essere uomo raffinato e a suo modo affascinante.
Ben presto le preoccupazioni di Ivana svaniscono,cosa favorita dall’affiatamento raggiunto con il Barone.
Ma a turbare tutto ecco arrivare la misteriosa morte di Olga,governante del castello,seguita subito dopo dall’altrettanto inquietante morte di Cristiana,una domestica.
Per Ivana è l’inizio di un incubo.
Convinta che dietro la morte delle due donne ci sia Janos,che agirebbe in preda a furiosi attacchi di licantropia,
Ivana decide di trovare una cura per guarirlo.
La notevole attrazione che esiste tra i due porta Janos a chiederle di sposarlo,cosa che Ivana,ormai innamorata di lui accetta di buon grado di fare.
Ma la prima notte di nozze ecco che le morti misteriose delle due donne trovano una spiegazione; mentre Janos è impegnato fuori dal castello,attratto dall’improvviso abbaiare dei cani,Ivana viene assalita da un uomo orribilmente sfigurato…

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Una sceneggiatura abbastanza scontata nel suo svolgimento fa da cornice ad un film che però non delude nonostante la pochezza di mezzi a
disposizione di Merino.
Certo,siamo di fronte ad un puzzle che compone diverse sceneggiature,con il classico laboratorio del dottore che per una volta non è il tradizionale “mad doctor”;c’è il classico “mostro” che uccide per motivi banali,la bellona che si innamora del sospetto e anche l’happy end.
Ma alla fine il risultato non è dei più malvagi.
Pochi colpi di scena,poca suspence ma un andamento lento che per fortuna non annoia.
Curiosa la decisione di affidare il ruolo della dottoressa in chimica alla bellona nostrana Erna Schurer,francamente poco credibile
in tale ruolo in loco della ben più espressiva Agostina Belli,relegata nel ruolo di vittima sacrificale del mostro.
In realtà la Belli aveva alle spalle solo 5 pellicole e in queste non era stata tra le protagoniste,mentre la Schurer,al secolo Emma Costantino era già una piccola star del B movie,con alle spalle film come Le salamandre e sopratutto La bambola di Satana.

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Ma in fondo sono dettagli.
Dscreta la prestazione di Charles Quinney nel ruolo del Barone.
Film completamente dimenticato che è estremamente raro da trovare.
Esistono in rete alcune versione più o meno tagliate,ma tutte in inglese e senza sottotitoli.

Il castello dalle porte di fuoco
Un film di José Luis Merino. Con Agostina Belli, Erna Schurer, Charles Quiney, Christin Galloni, Giancarlo Fantini,
Ezio Sancrotti, Enzo Fisichella Horror, durata 96 min. – Italia 1971.

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Erna Schurer: Ivanna Rakowsky
Charles Quinney: Janos Dalmar
Agostina Belli: Cristiana
Cristiana Galloni: Olga
Mariano Vidal Molina: Ispettore

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Regia José Luis Merino
Soggetto Enrico Colombo, María del Carmen Martínez Román e José Luis Merino
Sceneggiatura Enrico Colombo, María del Carmen Martínez Román e José Luis Merino
Produttore Roger Corman
Casa di produzione Prodimex Film e Órbita Films
Fotografia Emanuele Di Cola
Montaggio Sandro Lena

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Opinione tratta dal sito http://www.filmhorror.com

(…) Ecco uno dei tanti film finito (ingiustamente) nello spietato tritacarne della critica più negativa. Negli anni, IL CASTELLO DALLE PORTE DI FUOCO è stato spesso e volentieri bistrattato decisamente più del dovuto.
Intendiamoci, di esaltante o di geniale non c’è davvero nulla, ma la sceneggiatura è solida, Merino è bravo a girare e l’ambientazione gotica funziona. Erna Schurer ha una bella parte e il livello medio di recitazione va ben oltre la sufficienza.
Sarebbe superfluo stare a specificare che non si toccano le vette del cinema di Mario Bava, anche perché tutto scorre in maniera molto semplice e lo stile del regista spagnolo è piuttosto elementare, va però riconosciuto a Merino il merito di
saper creare un certo interesse nello spettatore che, trovandosi a dover fare i conti con un ritmo non certo scoppiettante, può comunque trovare nel film diversi elementi interessanti.(…)

L’opinione di Wang yu dal sito http://www.filmtv.it

Lento come una lumaca,non fa paura,non inorridisce.

L’opinione di Undijng dal sito http://www.davinotti.com

Horror italo-spagnolo che guarda al gotico di casa nostra anche se poi si sviluppa -grazie ad una sceneggiatura quantomeno originale- quasi come un giallo. Lontano da spettri e magioni infestate, Josè Luis Merino punta l’obiettivo sulla misteriosa
figura di un eccentrico Duca e sugli studi (da questi avanzati) centrati sulla ricerca di un elisir di lunga vita. Peccato che il budget (curato da Corman) imponga, prevalentemente, una messa in scena davvero povera, aggravata dalla totale assenza
di trucchi e effetti speciali. Partecipazione italiana per attori (Agostina Belli) e musica (Malatesta).

L’opinione di Il gobbo dal sito http://www.davinotti.com

Il vecchio Merino prende il cast dei suoi Zorro e lo ricicla in un gotico ravvivato da qualche tetta e compilato avendo davanti l’abbecedario del genere. I cui adepti (quorum ego) tutto sommato possono apprezzare, o quantomeno non annoiarsi troppo.
La Schurer chimica è pressappoco sullo stesso piano di Mario Tessuto fisico nucleare.

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marzo 14, 2016 Posted by | Horror | , , | Lascia un commento

Le tue mani sul mio corpo

Il figlio di un noto e ricco editore, Andrea, ha avuto un’infanzia travagliata legata principalmente ad eccessive attenzioni (anche sessuali) che sua madre gli riservava.
La morte della donna e la vista del suo corpo senza vita hanno in seguito inferto una ferita mortale all’equilibrio psicologico di Andrea, che è cresciuto così preda di complessi e di altri problemi mentali.
Quando suo padre si risposa con la avvenente Mireille, i disturbi mentali del giovane esplodono drammaticamente; dapprima segue ossessivamente le vicende sessuali della matrigna inclusi i suoi tradimenti per poi passare alle vie di fatto, ovvero iniziare una pericolosa relazione con la donna.
Andrea potrebbe salvarsi nel momento in cui conosce l’affascinante Carole, ma è troppo tardi; le conseguenze dei traumi presenti nella sua mente lo porteranno ad un gesto insano….


Le tue mani sul mio corpo è un film prettamente anni 70, con tematica particolare e svolgimento adeguato; opera di Brunello Rondi, regista intellettuale poco amato da parte della critica e snobbato da buona parte del pubblico, è un pastrocchio mortalmente soporifero pieno di dialoghi all’apparenza colti e in realtà di una desolante apparenza priva di sostanza.
La storia di per se è già abbastanza prevedibile; c’è il solito traumatizzato nell’infanzia da un incesto, c’è la solita matrigna un pochino sporcacciona, c’è l’impossibilità del giovane di trovare un punto di equilibrio tra l’infanzia e la vita da adulto e sopratutto un’identità sessuale precisa.
Già la trama, saputa in anticipo, deve mettere in guardia lo spettatore: è un deja vu di varie situazioni già viste in precedenza in altre opere e che saranno riprese con pochissime modifiche in opere pruriginose negli anni successivi.


Rondi, fratello del più noto Gian Luigi era un regista a mio giudizio eccessivamente preso da se stesso; intellettuale e indubbiamente colto, trasportava in linguaggio visivo la sua cultura e le sue idee senza però tenere presente le necessità dello spettatore e sopratutto la sua disponibilità a seguire opere spesso molto descrittive dal punto di vista dei dialoghi appesantite da citazioni o da dialoghi stessi verbosi e lunghissimi.

Colette Descombes

Le tue mani sul mio corpo assomiglia in questo ad un’opera successiva di Rondi, I prosseneti, un altro film in cui la noia e i dialoghi sostiutuiscono la mobilità dei personaggi.
Per mobilità intendo la capacità e in primis la possibilità per l’interprete di caratterizzare un personaggio nelle sue varie sfumature, rendendolo quanto meno degno di interesse.
Viceversa in questo film troviamo un attore principale, il bravissimo Lino Capolicchio, alle prese con un personaggio monocorde peraltro presente in quasi tutte le scene del film, con conseguente overdose espositiva che finisce per sfiancare lo spettatore.

Erna Schurer

Lino Capolicchio

Poichè il giovane Andrea non suscita alcuna simpatia particolare nello spettatore, eccoci costretti a seguire le sue morbosità, le sue deviazioni psicologiche attraverso i rapporti insani che il giovane stesso stabilisce con le persone che vengono a contatto con lui.
Inutile l’espediente di condire con qualche nudo (anche di troppo) una narrazione che a tratti è estenuante; si veda a tal pro la lunghissima sequenza in cui Andrea dialoga con Carole in riva al mare che mette a durissima prova l’attenzione e la pazienza dello spettatore.


Vale a poco se non a nulla l’ambientazione raffinata del regista, che almeno in questo mostrava una certa abilità; il film è un “sotto il vestito niente” ovvero un prodotto senz’anima e senza interesse.
La morbosità del rapporto matrigna/figliastro si perde nella noia, mentre in alcune sequenze si va anche nel ridicolo, come quella in cui il nostro poco simpatico eroe versa gocce di cera da candele poste su un candelabro sul corpo seminudo e discinto di una bella ragazza di colore.
Purtroppo parte del cinema settanta era anche fatto di questo, ovvero di tentativi velleitari e sottilmente autoerotici (leggasi auto masturbatori) di fare dell’intellettualismo a un tanto alla tonnellata.


In questo Rondi assomiglia ad alcuni registi di nazioni assolutamente improbabili come gusti non assimilabili a nostri che andarono purtroppo per la maggiore in quel decennio, mi riferisco ad opere di paesi comunisti come Cecoslovacchia e Romania, Polonia e Corea, opere spacciate per capolavori in grado in realtà solo di far addormentare sulle sedie gli incauti spettatori.
Va anche detto che la maggioranza del pubblico fiutava in anticipo il “mattone”, com’era chiamata l’opera indigesta ai più.
In pratica, per dirla alla Fantozzi, se la Corazzata Potemkin passava per una c****a pazzesca lo stesso termine si poteva mutuare per operazioni come questo film di Rondi.
Sugli attori poco da dire; Capolicchio è un professionista esemplare, pur in presenza di un personaggio davvero antipatico e monocorde come quello di Andrea, mentre la Schurer, tanto amata dal regista lombardo recita in maniera piatta e monocorde.
Meglio la Descombes che merita la sufficienza per la recitazione e ancor più per il fisico.
Le musiche sono nientemeno di Gaslini e spiace dirlo, sono meglio del Tavor mentre di buon livello è la fotografia.
Un film da vedere al massimo entro le 18,00 per evitare una notte addormentati sulla poltrona.

Le tue mani sul mio corpo
Un film di Brunello Rondi. Con Colette Descombes, Erna Schurer, Lino Capolicchio, Irene Aloisi, José Quaglio Drammatico, durata 92 min. – Italia 1971.

Lino Capolicchio: Andrea
Erna Schürer: Mireille
Colette Descombes: Carole
José Quaglio: Mario
Daniël Sola:
Pier Paola Bucchi: Clara – the maid
Elena Cotta:
Irene Aloisi:
Anne Marie Braafheid: Nivel
Paolo Rosani:
Gianni Pulone: Barman

Regia Brunello Rondi
Soggetto Luciano Martino, Francesco Scardamaglia
Sceneggiatura Brunello Rondi, Francesco Scardamaglia
Casa di produzione Zenith Cinematografica
Fotografia Alessandro D’Eva
Montaggio Michele Massimo Tarantini
Musiche Giorgio Gaslini

Soundtrack del film

Foto di scena del film

La lobby card del film

Il fotoromanzo

aprile 23, 2012 Posted by | Drammatico | , , , | Lascia un commento

Le salamandre

Le salamandre locandina

Nel 1969 l’esordiente Alberto Cavallone gira Le salamandre, opera a bassissimo costo ma piena di idee innovative e sopratutto di tanta voglia di sperimentare nuove vie di comunicazione cinematografica.
I soldi sono pochissimi e Cavallone è costretto ad assumere per il film la fotomodella Erna Schurer perchè è la fidanzata di Carlo Maietto che produce il film e una fotomodella assolutamente sconosciuta, la giamaicana Beryl Cunningham. Il resto del cast è composto da Antonio Casale/Anthony Vernon, che era anche aiuto regista e da Renzo Maietto, il fotografo che interpreta un personaggio secondario.

Le salamandre 1

Per risparmiare ulteriormente, si scelse di ambientare la vicenda in Tunisia e di inserire nel film sequenze di guerra e assassini e brevi frammenti di documentari sulla lotta inter razziale fra bianchi e neri.
Si tratta quindi di un prodotto assolutamente sperimentale, a partire dal formato della pellicola ovvero l’economico 16 millimetri.
Come vediamo nelle sequenze finali del film, il ciak riporta quello che nelle intenzioni doveva essere il titolo originale della pellicola, “C’era una bionda” che però venne rifiutato dalla casa incaricata di distribuire il film stesso e si optò per Le salamandre, titolo che avrebbe reso famoso un film assolutamente particolare e per certi versi unico.
Siamo nel post sessantotto e  il cinema è in evoluzione turbinosa dopo gli anni di stasi precedenti, in cui si era badato principalmente al botteghino e in cui solo qualche grande regista aveva deviato dai binari del commerciale per tentare soluzioni diverse.

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Cavallone gira un film in cui è presente un elemento fino ad allora solo sfiorato dalla cinematografia, ovvero l’omosessualità femminile integrandolo con l’inter razzialità e le difficoltà di comunicazione fra bianchi e neri e molto più ambiziosamente spingendo l’acceleratore sul colonialismo e sui danni irreversibili che aveva prodotto.
Il film narra infatti la storia fra due fotomodelle, Ursula (bianca) e Uta (nera), che hanno una relazione lesbica iniziata proprio da Ursula che ha assunto la spaesata Uta per un servizio fotografico e subito dopo ne ha fatto la sua amante.
Uta accetta la storia d’amore e sesso con la sua datrice di lavoro un pò perchè intende sfruttare a suo vantaggio la fama che può derivare dal fatto che Ursula lavora per grosse riviste, un pò per denaro (è pagata 50 dollari al giorno). Poi, probabilmente, c’è posto anche per una piccolissima dose di vero amore.
La ragazza di colore è arrivata in Africa proveniente dalla dura realtà del quartiere ghetto di Harlem a New York, in cerca di una realizzazione personale e in fuga dallo squallore delle sue precedenti condizioni di vita.
Un giorno mentre lei e Ursula stanno scattando delle foto su una spiaggia, conoscono Henri Duval, un ricco medico che vive in una spledida villa poco lontano.

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Il fascino esotico di Uta e quello fatale di Ursula turbano l’uomo e allo stesso tempo finiscono per coinvolgerlo in un impossibile tiangolo che infatti non si concretizzerà.
Mentre Uta lentamente si rende conto dell’impossibilità di stabilire un legame profondo con Ursula per via della differenza di pelle e di cultura, Henry diventa il punto di approdo di Ursula alla ricerca di una diversa identità sessuale.
Dopo aver provato inutilmente una parentesi di normalità con un giovane che ha conosciuto e con il quale ha provato senza fortuna ad avere un rapporto sessuale (i tuoi problemi devi risolverli da sola, le dice il giovane), Uta ascolta il lungo dialogo tra Ursula ed Henry in cui i due mostrano che la liberalità, la tolleranza razziale e l’amore stesso che lega Ursula a Uta sono sono belle parole senza però basi solide.
Qualche giorno dopo si compie la tragedia.
Uta raggiunge Henry e Ursula su una spiaggia, accoltella Henry e subito dopo Ursula.
Il film termina con il cast del film sulla spiaggia che discute su alcune scene e con Uta che guarda con occhi imperscrutabili verso il mare, mentre stanno per scorrere i titoli di coda.

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Un film molto difficile, Le salamandre.
La scelta del regista milanese (scomparso nel 1997 a 59 anni) di ambientare il film quasi completamente sulle diverse personalità dei personaggi arricchendola di dialoghi lunghissimi e a tratti anche noiosi trasforma la pellicola in una indagine socio culturale mescolata a elementi appartenenti alla sfera affettiva.
Il lesbismo delle due protagoniste si amalgama così alla loro evidente differenza razziale, intesa non in senso spregiativo ma come appartenenza a due culture assolutamente diverse e che per secoli sono sembrate quasi inconciliabili.
La pelle scura di Uta e la pelle chiara di Ursula sono infatti differenze sostanziali; le due donne appartengono a due mondi diversissimi.

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La bionda fotografa è una donna cinica, spietata e moralmente marcia; lo prova la maniera drammaticamente squallida in cui liquida la sua ex modella Linn arrivando a scattare fotogrammi che testimoniano gli ultimi momenti di vita della modella stessa che sta morendo suicida.
Uta sente invece già su di se una sorta di complesso di inferiorità legato al colore della sua pelle e alle sue origini proletarie.
Tra le due donne non può esserci nessun punto di contatto, su queste basi.
Il rapporto morboso che le lega è infatti accettato passivamente da Uta che in questo modo tenta di affrancarsi dalla povertà e dalla sua condizione di donna di colore. Ma, come le fa notare il giovane con il quale ha una fugace e inconcludente relazione, in realtà Uta ha scelto di vendersi e di conseguenza di affrettare in modo però inconlcudente un processo di liberazione lungo e complesso.

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A far esplodere le contraddizioni dell’impossibile coppia arriva il medico Henri, con tanti bei fumosi discorsi sulla uguaglianza e sulla morale.
Discorsi inutili, che finiranno solo per fare da detonatore alla crisi tra le due donne.
Il linguaggio di Cavallone ha un certo fascino ma è anche eccessivamente verboso e prolisso; colpa di un post sessantotto fatto anche di tanti discorsi teorici spesso non seguiti da messe in pratica adeguate.
Il regista segue i protagonisti alle volte con la MDP a mano, altre volte scegliendo inquadrature dal basso, utilizzando poi un finale assolutamente spiazzante.
Mostra insomma voglia di sperimentare e solo per questo andrebbe menzionato con lode.
Certo, a distanza di 40 anni è davvero difficile sopportare un film in cui praticamente non accade quasi nulla.
Eppure, alla sua uscita il film ebbe un notevole successo.
Merito probabilmente dell’atmosfera erotica favoleggiata dai primi recensori del film, che nella realtà esiste molto marginalmente.

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Le scene di sesso sono inesistenti mentre qua e là ci sono fugacissimi nudi della Schurer e della Cunningham (assolutamente casti e mascherati).
Ma tanto bastò evidentemente ad attirare qualche spettatore in più; il resto lo fece la critica, che salutò Cavallone come una specie di enfant prodige del cinema italiano.
Sicuramente influì moltissimo la presentazione del film avvenuta al cinema Quattro Fontane di Roma, proiezione durante la quale arrivarono a sorpresa attori del calibro della Vitti e registi come Antonioni e Patroni Griffi, che ebbero parole d’elogio per il regista.
Nel 1970, parlando di questo film, il regista milanese disse:
Ho messo in scena il rapporto lesbico fra una bianca e una negra. Il rapporto sessuale è di per sé schiavizzante, nel caso dell’omosessualità è anche un rapporto sterile. Così come è sterile e schiavizzante il rapporto fra bianchi e negri al giorno d’oggi. Invece ne “Dal nostro inviato a Copenaghen” l’eros è mostrato come un elemento di aridità della società occidentale. In questo periodo, sai bene, che l’argomento di tesi di laurea per molti studenti universitari italiani, è la sessualità nei paesi scandinavi. In Danimarca, paese del libero amore, la società è ugualmente ipocrita non meno che nei paesi dell’amore non libero. Si utilizza questo argomento per ottenere qualcos’altro, così come una volta si sussurravano paroline adulatrici ( vedi il personaggio del soldato che vuole disertare e va a letto con la studentessa di sinistra pèrchè lei lo aiuti nel suo intento).”
In un altro frammento dell’intervista Cavallone chiarisce il suo modo di vedere il cinema, anticonformista e sicuramente politicamente scorretto:
Non mi interessa la poesia. La poesia può magari venir fuori, nei miei film, ma solo per caso. Ciò che conta è solo il discorso politico. Il cinema, per me, è un modo di esprimere delle idee politiche mediante lo spettacolo…..
Ancora, parlando dell’utilizzo del sesso nei suoi film:
Io credo di avere smitizzato il sesso come strumento della rivoluzione. Molti hanno vissuto nell’illusione che, sessualizzando al massimo i loro film, o romanzi, o che altro, fosse possibile scandalizzare la società borghese ed impiantare uno nuova società. Mostrando invece l’aridità profonda del rapporto solamente sessuale, io credo di avere dato una mano a capire che la libertà sessuale non è la libertà in senso generale, ma solo una modesta parte di esse.”
Cavallone nel 1977 dirigerà quella che è la sua opera più controversa e sicuramente meglio riuscita, ovvero L’uomo la donna e la bestia-Spell, dolce mattatoio, un film che è un durissimo atto d’accusa ai modelli della civiltà.
Tornando a Le salamandre, è un film di difficilissima reperibilità; esistono solo delle versioni VHS ormai logore.
E’ stato riscoperto, dopo un oblio lunghissimo, durante una retrospettiva tenuta al cinema Trevi nel 2007, che ha permesso una rivisitazione delle oepre di un regista geniale e scomodo.

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Le salamandre, di Alberto Cavallone, con Beryl Cunningham, Erna Schurer, Tony Carrell- Drammatico Italia 1969

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Le salamandre banner personaggi

Erna Schurer         …     Ursula
Beryl Cunningham         … Uta
Tony Carrel … Il giovane confidente di Uta
Antonio Casale          …     Dottor. Henry Duval (come Anthony Vernon)
Michelle Stamp… Linn

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Regia: Alberto Cavallone
Sceneggiatura: Alberto Cavallone
Musiche: Franco Potenza
Editing: Alberto Cavallone
Aiuto regia: Antonio Casale

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Le salamandre flano
Il flano del film che annunciava la proiezione dello stesso

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Erna Schurer e Beryl Cunningham

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novembre 3, 2011 Posted by | Drammatico | , , | 2 commenti

Prigione di donne

Prigione di donne locandina

Ingresso alle celle di un carcere femminile.
Martine, una studentessa francese, guarda attonita la fila di celle che la circonda e rivive i momenti che hanno preceduto il suo arrivo e la sua detenzione nel carcere.
La giovane, una studentessa giunta a Roma per motivi di studio, gironzola con una sua amica tra le rovine della città eterna ed entra in una grotta dove ci sono dei giovani che stanno utilizzando droga.
L’arrivo della polizia fa si che uno di essi infili delle bustine di stupefacenti nella tasca del vestito di martine, che nel frattempo viene fermata, arrestata e tradotta in questura.

Prigione di donne 9
Martine Brochard interpreta Martine

Nonostante proclami la sua innocenza, la giovane viene portata in carcere, dove inizia la sua odissea.
Viene infatti sottoposta ad un’umiliante ispezione corporale e spedita in una cella in compagnia di detenute per vari reati.
Qui Martine fa conoscenza con Susanna, una prostituta che è anche la più violenta della cella, leader del gruppo di detenute, con Gianna che è una “mammana” ovvero una persona che pratica aborti clandestini, con Grazia, una detenuta politicizzata.

Prigione di donne 11

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La doccia delle detenute

Le condizioni di vita delle detenute sono disumane; angariate dalle superiori e da suore che hanno poca pena sia delle anime sia dei corpi delle stesse detenute, le donne diventano molto più ciniche e disumane proprio in virtù del trattamento che subiscono.
Le stesse alla fine attuano una serie di  vendette nei confronti delle secondine e delle superiori; adulterano il cibo, denudano una delle suore più giovani umiliandola e costringendola a girare completamente nuda e via dicendo.
Susanna promuove una rivolta per ottenere un miglioramento delle condizioni di vita, ma la rivolta tessa finisce nel sangue; sarà Grazia a pagare quando, inseguita dai poliziotti che nel frattempo hanno sedato a manganellate la rivolta, deciderà di suicidarsi pur di non tornare in cella.
Martine, ancora una volta innocente in quanto ha tentato in tutti i modi di frenare la rivolta, viene inviata con Susanna, Gianna ed altre in un carcere di massima sicurezza, dal quale però uscirà quasi subito essendo stata riconosciuta la sua estraneità alla vicenda originale che l’ha portata in carcere, ovvero la detenzione della droga.
E’ una donnamolto più matura quella che lascia il penitenziario e sale su un traghetto, guardando con pietà il carcere nel quale ci sono ancora le sue compagne di sventura.

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Marilu Tolo

Prigione di donne è un WIP, women in prison, un genere cinematografico che ebbe un certo successo ambientato sempre all’inetrno di carceri e penitenziari femminili; si distingue dagli altri numerosi cloni per una certa sobrietà sia nello stile del racconto sia per la quasi totale assenza di una delle componenti che caratterizzarono molti film del filone, ovvero le immancabili sequenze saffiche tra detenute.
La componente erotica è limitata ad un paio di scene peraltro molto caste, come la sfida lanciata da Susanna che inscena una finta masturbazione a tutto vantaggio di una guardia di custodia e a qualche immancabile scena di docce comuni.

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Il film ha anche l’ambizione di denunciare il trattamento subito dalle detenute nelle carceri, e quà fallisce un pò l’obiettivo per eccesso di zelo.
Brunello Rondi, regista molto controverso, autore di film smaccatamente erotici come I prosseneti e Velluto nero, ma anche di film di discreta fattura come Ingrid sulla strada, è troppo smanioso di conferire alla sua pellicola una patente di credibilità e mette troppa carne al fuoco.

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Il film così assume a tratti caoticità mescolata ad una denuncia forte ma anche esagerata delle condizioni di vita delle detenute; le secondine, le suore, il personale del carcere, il commissario, l’avvocato finiscono per essere caratterizzati in senso negativo e ciò nuoce alla credibilità del film stesso.
La scena del sicidio di Grazia, con tanto di tv pronta a sciacallare sull’evento con una diretta in cui il cronista altro non aspetta che la morte della ragazza per fare audience è molto forzata, così come esagerata è la recitazione della pur brava (e bellissima) Marilu Tolo che interpreta Susanna.

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L’oltraggio alla giovane suora, l’attrice Cristine Galbò

L’attrice romana dà un tono di isterismo al suo personaggio francamente irritante; molto più posata Martine Brochard che interpreta la svagata Martine, colpevole solo di essersi trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
Le altre attrici, fra le quali segnalo Cristine Galbò che interpreta la giovane suora, Erna Schurer che interpreta l’equivoca Gianna e Katia Christine, che da corpo al personaggio tragico di Grazia fanno il loro dovere con professionalità.

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La sequenza della morte di Grazia, l’attrice Katia Christine

Competano il cast Corrado Gaipa, il magistrato, Luciana Turina qui nelle vesti di una suora, Maria Pia Conte che interpreta l’amica di Martine che si guarda bene dall’intervenire al momento dell’arresto della stessa e Andrea Scotti, l’antipaticissimo poliziotto che interroga Martine facendo pistolotti abbastanza surreali sui francesi e sugli studenti che potrebbero stare a casa loro senza importunare la gente per bene.
Un film di buona fattura quindi, ben sceneggiato e ben diretto, con momenti abbastanza felici mescolati ad esagerazioni sceniche, che però non inficiano sulla buona riuscita del film, che in fondo è abbastanza interessante e coinvolgente.
Prigione di donne, un film di Brunello Rondi. Con Marilù Tolo, Martine Brochard, Erna Shurer, Andrea Scotti, Erna Schurer, Lorenzo Piani, Corrado Gaipa, Aliza Adar, Katia Christine, Luciana Turina, Christine Galbo
Drammatico, durata 90 min. – Italia 1974.

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Marilu Tolo

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Martine Brochard    Martine Fresienne
Marilù Tolo    …     Susanna
Erna Schürer    …     Gianna
Katia Christine    …     Grazia
Cristina Galbó    …     La giovane suora
Isabelle De Valvert    …     Isabelle
Aliza Adar    …     La detenuta di colore
Luciana Turina    …     Suora
Maria Cumani Quasimodo- Suor Ursula, la madre superiora
Maria Pia Conte    …     L’amica di Martine
Felicita Fanny    …     Una detenuta
Corrado Gaipa    …     Magistrato
Giovanna Mainardi…      Secondina
Anna Melita    …     Una hippie
Lorenzo Piani    …     L’hippy tossico
Jill Pratt    …     La madre di Martine

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Regia: Brunello Rondi
Sceneggiatura: Brunello Rondi, Leila Buongiorno, Aldo Semeraro
Prodotto da: Pino De Martino
Musiche: Alberto Verrecchia
Film Editing : Giulio Berruti
Costumi: Oscar Capponi

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Le recensioni appartengono al sito http://www.davinotti.com

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Uno dei primi e più riusciti (causa professionalità del regista e degli interpreti) Women in Prison di stampo italiano. Incentrato sulle vicende della nuova introdotta all’interno d’un carcere femminile, che devo sopportare ogni tipo di vessazione, a cominciare dalle ispezioni intime (decisamente forti nella versione integrale). Il tema predominante (ovvero il sesso) è esplorato in maniera distorta, come già era accaduto in un altro dramma, sempre siglato da Rondi (Valeria Dentro e Fuori, 1972). Sicuramente un titolo di punta nel genere…

Nobile assunto, ma film indeciso (fra denuncia civile e concessione all’erotismo, fra recitazione composta – la Brochard – e quella eccesivamente sguaiata – la Tolo, eccetera). Calcare troppo sugli aspetti di denuncia (penso alla figura della Cumani Quasimodo), rischia di cadere nel grottesco, nel non credibile, e quindi nel non far arrivare a bersaglio la denuncia. Gineceo favoloso: oltre alle citate, la Schurer, la Christine (sì! La vittima designata) e la Galbó (sì! Gli orrori del Liceo).

Avvalendosi della consulenza alla sceneggiatura del criminologo Semerari, Rondi getta un’occhiata polemica contro il sistema carcerario e mediatico, ma nello stesso tempo cede ai richiami del wip puro – nudi, ispezioni corporali, secondine sadiche, docce, masturbazioni, lesbismo, rivolte – per il quale dispone di una nutrita manovalanza femminile, ben caratterizzata nel fisico e nell’animo: innocente e sensibile la Brochard, burina romantica la Tolo, ribelle la Christine, vezzosa la Schurer; al di là delle sbarre, una ieratica Cumani e una fragile Galbò. Acconce musiche di Verrecchia.

Women in prison di quelli teoricamente a mezza strada tra le nobili intenzioni e le concessioni al pubblico. In realtà il lato sociale è piuttosto debole, con le solite accuse al sistema che opprime le donne eccetera; ed anche a livello exploitation il film non mi ha convinto più di tanto. Certo si tratta di un film vitale, forse persino troppo con queste donne che non fanno altro che fare caciara appena possono; ma nel complesso l’ho trovato deludente

Film su donne in prigione che per la prima volta anzichè puntare unicamente su sesso e violenza dà spazio anche a una – ridicola – denuncia sociale. Certe scene sono talmente esagerate da far ridere, vedi quando Christine chiama e chiede di parlare col presidente della repubblica (sic!) o la rivolta fatta da donne spogliate a forza. Mediocre, considerando anche il livello delle altre pellicole italiane (e estere) su questo (per fortuna oggi tramontato) sottogenere.

Di forte impatto emotivo, ma non travolgente come altri film dello stesso regista, forse anche perché la protagonista sembra un pesce fuor d’acqua e la si apprezza più che altro per la sua caparbietà a difendersi e a credere in una giustizia. Vincono la Tolo, con le sue espressioni sprezzanti e sarcastiche, i visi truccati della Schurer e la meraviglia strabiliante della Christine… Sembra che Rondi l’abbia fatto apposta a far torturare la più bella…

novembre 24, 2010 Posted by | Drammatico | , , , , , , , , | Lascia un commento

Carnalità

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Delitto e castigo in (abbondante) salsa erotica.
Un conte, ricco di nobiltà e di avito castello è costretto a cedere sotto il peso dei propri debiti; così le sue proprietà passano nelle mani dell’avido e allupato professor Lucini,misteriosamente insignito di pomposo titolo, visto che in realtà nel film  è un imprenditore con un metro di pelo sullo stomaco.
Licini ha una moglie ammalata gravemente (che lui spinge ancor più verso la morte avvelenandola quotidianamente) e un’amante, Anna, l’infermiera che dovrebbe curare sua moglie.

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Femi Benussi, l’infermiera Anna

Un giorno, mentre è a pesca, conosce una bella e biondissima sconosciuta, con la quale intreccia una relazione.
I due, da quel momento, passano gran parte del loro tempo a copulare in ogni posto e ad ogni occasione utile, con tanto di gelosia della infelice Anna, che si vede tradita anche con la cameriera.
Ma il surmenage erotico sarà fatale all’uomo; dopo la morte della moglie, toccherà a lui lasciarci le penne, in un modo, però, che molti invidieranno.

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Finale con sorpresina, annunciata e poco probabile.
Thriller? Macchè.
Carnalità, girato nel 1974, è il classico film erotico mascherato in qualche modo da giallo/thriller; mascherato male, però, perchè dopo un quarto d’ora di film si capisce dove il tutto andrà a parare.

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Erna Schurer

Il tempo che basta per vedere qualche torrida scena erotica tra i due improbabili amanti, ovvero Anna e il professore; che la danno addosso di brutto, ma non come la coppia professore/biondina, che si scatenerà in un tourbillon di imprese erotiche, passando dal comodo e tradizionale letto agli stipiti di una porta, al tavolo della cucina ovviamente ingombro di stoviglie fino allo studio dell’esimio professore.
Banale oltremodo, Carnalità diretto da Alfredo Rizzo presenta come unico elemento di rilievo la bella Femi Benussi, questa volta alle prese con un personaggio davvero scabroso.

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La splendida attrice quindi recita spesso in costume adamitico, ed è davvero un bel vedere.
L’altra protagonista è l’efebica Erna Schurer, da molti considerata un cult, che personalmente trovo inespressiva come una triglia e sexy come un ghiacciolo.
Poichè de gustibus non est disputandum, non vi resta che immergervi nell’atmosfera di questo film, godendovi tra l’altro la bella Sonia Viviani in topless en plein air, godendovi una trama prevedibile e annunciata, interpretazioni al limite del dilettantismo e poco altro.

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La location è quella del castello Odescalchi di Santa Marinella, almeno nella parte finale del film, un’occasione per godere quanto meno di una delle italiche bellezze.
Le altre italiche bellezze, la Viviani e la Benussi, valgono l’intero film.
Carnalità, un film di Alfredo Rizzo, con Femi Benussi, Pupo De Luca, Mario Pisu, Carlo Rizzo, Erna Schürer, Jacques Stany, Lea Gargano, Sonia Viviani Giallo erotico, Italia 1974

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Carnalità protagonisti

Femi Benussi-Anna

Erna Schurer-Roberta

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Regia Alfredo Rizzo
Sceneggiatura Alfredo Rizzo,Carlo Keo
Produzione: Goffredo Matassi
Musiche: Carlo Savina
Montaggio:Piera Bruni
Fotografia:Aldo Greci

giugno 18, 2010 Posted by | Erotico | , , , | Lascia un commento

La vergine, il toro e il capricorno

La vergine il toro e il capricorno locandina

Gianni Ferretti, architetto di grido e marito della splendida Giulia, seduce tutte le donne che gli capitano a tiro; un giorno, ospite di un amico nella sua villa, ha un rapporto con la moglie del proprietario, la Signora Scapicolli, nella vasca da bagno.
Giulia, insospettita dal comportamento del marito, che la sera accampa scuse per non avere rapporti con lei, lo segue nella notte e attraverso il buco della serratura scopre l’adulterio.

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Edwige Fenech è Giulia

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Il giorno dopo, davanti agli amici esterrefatti, si denuda, prende per mano un ospite inglese e si rinchiude nel garage della villa, simulando di avere un rapporto con l’uomo.
Disperato, Gianni promette alla moglie di non tradirla più, ma dopo poco tempo ci ricasca con la sua dattilografa, Enrica.

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Alberto Lionello è Gianni

E’ Luisa, un’amica di Giulia, ad avvisare la donna della nuova infedeltà del marito.
Giulia, a questo punto, pianta tutto e si rifugia ad Ischia, dove ben presto la sua bellezza miete le prime vittime; a farne le spese è Felice Spezzaferri, un playboy di provincia, che tenta in tutti i modi di sedurre Giulia.
Nel frattempo Gianni sta cercando disperatamente la moglie, e dopo una serie di disavventure, scopre che anche Enrica, la segretaria, lo tradisce; con l’inganno riesce a sedurre Luisa, facendosi dire il nascondiglio della moglie.
Che nel frattempo si è consolata con Patrizio, un giovane mantenuto da una turista; quando Gianni arriva, non può far altro che accettare la situazione.

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Sul traghetto che riporta i coniugi a casa Gianni ha però modo di agganciare proprio l’ex donna di Patrizio.
Luciano Martino dirige, nel 1977, La vergine il toro e il capricorno film appartenente as usual al genere sexy- commedia; lo fa con una storia assolutamente scontata, fatta dal classico binomio corna/bellona di turno; la musa questa volta è Edwige Fenech, affiancata da un cast notevole di caratteristi.
Ma la storia, già di per se banalissima, perde ulteriore consistenza per la mancanza di gag, nonostante nel cast figurino i migliori protagonisti della commedia sexy, ovvero Alvaro Vitali, Mario Carotenuto, Alberto Lionello, Aldo Maccione…..

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Ria De Simone, la Signora Scapicolli

A parte le rituali docce della Fenech (cronometrati 3 minuti buoni di docce, su un totale di 90 minuti di pellicola!) il film si segnala solo per l’uso del turpiloquio, assolutamente ingiustificato, e per le nudità molto abbondanti della Fenech, questa volta affiancata anche dalla brava Lia Tanzi; il resto è davvero poca cosa, a partire dallo scontatissimo tema delle corna, passando per l’immancabile guardone con binocolo che spia la provocante Giulia e Luisa, per finire al belloccio di turno, Ray Lovelock, che riesce a godersi tanto ben di Dio alla faccia del marito becco e anche contento.

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Il cast, alle prese con una commedia spompata in partenza, si arrangia come può, mancando questa volta il pezzo forte del genere, ovvero la battuta sarcastica; qui predomina la battuta da caserma, tipica dei Pierini che arriveranno di la a poco.
Così appaiono decisamente sprecati Lionello e Maccione, la Bisera e la De Simone, Carotenuto e Vitali, la Tanzi e la stessa Fenech, la Schurer, Garrone e tutto il resto del notevole cast; un film che non prende mai, che parte in sordina e termina anche peggio.

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Un esempio di battute che circolano nel film: ” Scrivi, dattilografa: sei la mia puttanografa“; il livello ahimè è questo….
Trovo molto pertinenti questi due sintetici commenti, che condivido appieno, presi il primo dal Davinotti e il secondo dal Morandini:

“Ho visto questo film quasi senza nemmeno accennare un mezzo sorriso. Purtroppo i meccanismi comici sono un po’ troppo forzati e vaghi, poco definiti; la colpa è più che altro di una sceneggiatura troppo ripetitiva e allungata all’infinito: una semplice storiella di corna che sarebbe potuta durare la metà. Alvaro Vitali, poi, compare pochissimo e si limita a diventare rosso in faccia ripetendo l’adagio “Che Bona-che Bona”. Film pessimo, più che una commedia è una storiella scema con sequenze di nudo.”

“Tradita a ripetizione dal marito, speculatore edilizio, la bella Giulia decide di rendergli la pariglia. Farsa imperniata ossessivamente sul tema delle corna con dialoghi di programmatico cattivo gusto.”

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Edwige Fenech e Lia Tanzi

Il film è disponibile su You tube,in una versione accettabile qualitativamente all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=Zpm7PEM-qhc

La vergine, il toro e il capricorno, un film di Luciano Martino  Con Edwige Fenech, Aldo Maccione, Alberto Lionello, Ugo Bologna, Riccardo Garrone, Cesarina Gheraldi, Adriana Facchetti, Mario Carotenuto, Tiberio Murgia, Fiammetta Baralla, Erna Schurer, Ray Lovelock, Pinuccio Ardia, Gianfranco Barra, Gabriella Lepori, Giacomo Rizzo, Lia Tanzi, Alvaro Vitali, Olga Bisera, Laura Trotter, Anna Melita, Michele Gammino
Erotico, durata 90 min. – Italia 1977.

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Edwige Fenech     …     Gioia Ferretti
Alberto Lionello    …     Gianni Ferretti
Aldo Maccione    …     Felice Spezzaferri
Olga Bisera    …     Enrica
Alvaro Vitali    …     Alvaro
Erna Schürer    …     Tourist with Patrizio
Michele Gammino    …     Raffaele
Mario Carotenuto    …     Pietro Guzzini
Giacomo Rizzo    …     Peppino Ruotolo
Fiammetta Baralla    …     Aida, la cameriera
Gianfranco Barra    …     Alberto Scapicolli
Lars Bloch    …     Professore mericano
Sabina De Guida    …     Marchesa
Ria De Simone    …     Signora Scapicolli
Adriana Facchetti    …     Moglie di Guzzoni
Riccardo Garrone    …     Il marito di Enrica
Cesarina Gheraldi    …     Zoraide, la madre di Gianni
Gabriella Lepori    …     La segretaria di Gianni
Patrizia Webley    …     Moglie di Raffaele
Lia Tanzi    …     Luisa
Ray Lovelock    …     Patrizio Marchi
Dante Cleri    …     Venditore di gelati
Sofia Lombardo    …     Un’altra segretaria di Gianni

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Regia Luciano Martino
Soggetto Luciano Martino
Francesco Milizia
Sceneggiatura Cesare Frugoni
Luciano Martino
Francesco Milizia
Fotografia Giancarlo Ferrando
Montaggio Eugenio Alabiso
Musiche Franco Pisano

febbraio 11, 2010 Posted by | Erotico | , , , , , , , , | Lascia un commento