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Colpo di spugna

Colpo di spugna locandina 1

Possedimenti coloniali francesi in Africa, sul finire degli anni 30.

Lucien Cordier è il poliziotto locale di una cittadina sotto amministrazione francese e dovrebbe rappresentare l’ordine costituito per la popolazione bianca e quella nativa, in precario equilibrio socio-legale per l’arroganza dei bianchi che trattano i neri come cose di nessun valore.
Purtroppo Lucien è la persona meno adatta al compito: è un uomo all’apparenza bonario e imbelle, quasi sempre sudato e con un’espressione di insopportabile bonomia mista a indecisione stampata sul volto.
Ad approfittare della sua debolezza sono un po tutti, ma in particolare Lucien è la vittima preferita di due magnaccia bianchi, che gestiscono il bordello del posto,
Anche a casa la situazione non è diversa: sua moglie Huguette lo umilia trattandolo come un inetto e non esitando a tradirlo spudoratamente con Nono, che dovrebbe essere il fratello della donna ma che in realtà altri non è che il suo amante.

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Colpo di spugna 1
L’unica distrazione del nostro anti eroe è Rose, la bella moglie di Marcaillou,un tipaccio che la maltratta nello stesso modo in cui maltratta i neri del paese.
Lucien è pigro, in una maniera quasi patologica, è un indolente e la sua indolenza si tramuta in un eccesso di prevaricazione dei bianchi verso i neri che di riflesso colpisce anche lui.
I due ruffiani lo trattano come lo zimbello della corte con conseguente perdita totale di dignità di Lucien.
Che un giorno decide di recarsi da Chavasson, il suo diretto superiore per chiedere consiglio sull’atteggiamento da tenere;l’ufficiale come risposta gli appioppa dapprima un calcio nel sedere, suscitando l’ilarità anche dei neri che assistono alla scena e subito dopo due, spiegando a Lucien che in alcuni casi occorre reagire con forza, ovvero “Quando qualcuno ti fa del male, tu gliene rifai il doppio
Durante il viaggio di ritorno incontra sul treno che lo riporta a casa la giovane maestra Anne,con la quale fa subito amicizia e alla quale dimostra in un breve dialogo, che dietro l’apparente docilità e vacuità che lo distingue sembra esserci qualcosa che cova in attesa di esplodere.
Ed è così,in effetti.
Quasi che il colloquio con il superiore gli abbia aperto nuovi orizzonti, appena tornato a casa Lucien porta i due papponi di sera in riva al fiume e sotto la minaccia di una pistola prima li costringe a cantare e poi spara loro in rapida successione.

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E’ un uomo completamente diverso ora, Lucien.
A Chavasson venuto a vedere cosa sia accaduto, mente spudoratamente dichiarando di non sapere cosa sia accaduto, non suscitando in lui alcun sospetto che lo conosce come un tipo assolutamente inoffensivo; anzi, con un abile gioco Lucien riesce a far credere in giro che Marcel Chavasson che si è vantato di aver dato ai due papponi una lezione abbia qualcosa a che vedere con la loro sparizione.
Lucien si è trasformato all’improvviso, non è più l’imbelle e indolente uomo di poco tempo prima ma nessuno se ne accorge.
Uccide a fucilate il sordido Marcaillou, che aveva picchiato un povero nero che vendeva noccioline e subito dopo va a letto con sua moglie Rose, poi insegna a quest’ultima a sparare.
La scia di sangue ormai non si interrompe più: Lucien regola i conti con un altro prepotente bianco, lo uccide e contemporaneamente uccide il povero Venerdi, un nero che sapeva troppo e a cui verrà attribuita la morte del bianco, poi assiste impassibile alla morte di Huguette e di Nono uccisi da Rose a cui ha armato la mano e che abbandona senza rimpianti al suo destino.

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E’ l’epilogo.Durante una serata danzante che si svolge in uno strano clima visto che nel mondo è scoppiata la guerra, Anne la maestrina gli confessa di amarlo ma Lucien, che non ha più l’espressione indolente e ebete stampata sul volto le risponde che non può amarla perchè impegnato a difendere con la forza gli onesti dai farabutti.
E non hai paura di ciò che può accaderti?” domanda ansiosa Anne
Paura di che?In ogni caso sono già morto da tanto tempo” risponde amaramente Lucien
La dissolvenza finale inquadra l’uomo con la pistola in mano, con un’espressione assorta sul viso mentre guarda un gruppo di bambini intenti a giocare.
Punta la pistola, prende la mira ma…
Imprevedibile, allucinante, perverso, iperbolico.
Colpo di spugna (Coup de torchon nell’edizione originale)  è un pugno nello stomaco, è un film spiazzante e irriverente, cattivo e auto distruttivo, lesionista e irreale.
Un film in cui si muovono personaggi sporchi e sudati, appiccicosi e moralmente abietti sotto il sole abbacinante dell’Africa contornati dalla popolazione indigena ridotta al ruolo di comparsa o di vittima, se vogliamo.
Vittima della prepotenza e dell’arroganza dei bianchi, della loro violenza e del loro razzismo:
Cosa vi fa credere che i negri non abbiano un anima?” chiede Lucien a Chavasson, il suo superiore, che gli risponde
Perchè praticamente i negri non sono persone
Ma allora secondo te cosa sono?”
Ma sono dei negri, soltanto dei negri e la prova è che parlando di loro non si dice che sono persone ma solo dei negri

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Il ributtante cinismo, il razzismo totale e ignorante espresso da questo breve dialogo nasconde la chiave di lettura del film, diretto da Bertrand Tavernier nel 1981, tratto da Pop. 1280, romanzo di Jim Thompson uscito in origine nel 1964.
Un film cattivissimo, a tratti incostante, a tratti volutamente oltre le righe, popolato da personaggi odiosi e amorali, antipatici, caratteristiche peculiari a cui non si sottrae nemmeno l’improvvisato giustiziere Lucien, che per quasi tutta la durata del film ha un comportamento sdoppiato.
Da un lato imbelle e vile spettatore delle nefandezze dei bianchi, dall’altro, nella parte più dura del film giustiziere e carnefice di quegli stessi personaggi che popolano la storia.
Non piacciono per ovvi motivi i due ributtanti e razzisti fratelli Le Peron, due papponi che vivono sulle spalle di giovani prostitute locali troppo povere per procurarsi il sostentamento e che saranno i primi a cadere sotto il piombo di Lucien così come abietti sono Huguette e Nono, i due amanti spudorati che vivono la loro tresca sotto gli occhi di tutti e dello stesso Lucien, all’apparenza all’oscuro della cosa che invece è conosciuta da tutti i compaesani;non può ovviamente piacere Mercaillou, il vile e manesco marito di Rose così come alla fine piace poco anche quest’ultima, che vive la sua relazione con Lucien dapprima e con Hugette in seguito e che avrà un unico sussulto d’orgoglio quando capirà che il suo amante l’ha usata per i suoi fini, uccidere la moglie e l’amante.
E alla fine non piace nemmeno il personaggio all’apparenza più pulito della storia, la maestrina Anne, che assiste senza muovere ciglio alla furia omicida di Lucien, finendo anzi per innamorarsi della parte oscura di quest’ultimo, come ampiamente mostrato nelle sequenze finali, con l’ultimo memorabile dialogo tra lei e Lucien stesso.
Un piccolo micro cosmo abietto e amorale, quindi, che vive ( e muore) tra l’indifferenza dei nativi, troppo presi dalla quotidiana lotta per la sopravvivenza e schiavizzati oltremodo dai colonialisti bianchi che hanno rubato loro la terra e in fondo anche le anime.

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Tavernier frusta selvaggiamente qua e la, senza creare nessuna alternativa morale al degrado assoluto, alla disintegrazione dei valori che avvolge come un miasma putrido tutta la pellicola.
Il film procede nevroticamente ma con una logica spietata, avvolgendo di cupo cinismo ogni cosa.
L’arroganza del potere è assoluta,totale e ad esprimerla ci sono solo personaggi che a tratti appaiono caricaturati in modo forse eccessivo.
Marcel Chavasson, il diretto superiore di Lucien, il colonnello Tramichel, appaiono come macchiette tragicomiche, non fosse per lo scenario da incubo nel quale si muovono, un colonialismo selvaggio, crudele e amorale che mostra la sua faccia in pieno sole, senza pudore e senza apparente confine.
Tavernier sceglie l’arma dell’umorismo nero, più cinico e cupo possibile.
Un film forse eccessivo, votato all’esasperazione ma un film che di certo non lascia indifferenti.
Il cinema francese degli anni 70 e 80 ha regalato spesso gioielli come questo film di Tavernier;penso a Calmos di Blier o ai film di Lelouch, Malle ecc.

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Film che spesso hanno nella provocazione, nella dissacrazione il fulcro delle loro narrazioni; Colpo di spugna assomiglia nella narrazione (come pietra di paragone,of course) al nostro Brutti sporchi e cattivi, il film disperato, metropolitano di Scola.La stessa umanità alla deriva si agita senza soluzione di continuità, senza riferimenti morali e senza modelli sociali di ispirazione. Certo, i due film sono distanti come tematiche, in uno è il proletariato urbano della metropoli che vive in condizioni miserabili, qui è la popolazione nera a farlo.
Ma i punti di contatto ci sono.
Come dimenticare i bambini neri alle prese con la sabbia del deserto, nella quale scavano per tirare fuori i vermi che mangiano avidamente e come non paragonarli ai “neri” dalla pelle bianca che vivono nelle baracche al centro della opulenta metropoli occidentale?
Come non ridere sinistramente del colonialista che entra in una latrina e se la vede esplodere sotto gli occhi uscendo poi coperto di escrementi e come non paragonarlo al sotto proletario che vive in promiscuità assoluta in una baracca accoppiandosi furiosamente mentre gli altri dormono?
L’umanità malata di Tavernier fa contemporaneamente ribrezzo e pietà.

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Colpo di spugna vive anche sulle magistrali interpretazioni del cast che Tavernier assembla.
Si va dal grandissimo Noiret, sudato, sporco e ironico, indolente e pigro eppur spaventosamente lucido nel finale apocalittico nel ruolo di Lucien alla bellssima e seducente Isabelle Huppert che ricopre con tutta la sua bravura il ruolo di Rose, passando per la bravissima Stephane Audran fino al solito immenso Marielle e in ultimo alla bella e spaesata (nel film) Irène Skobline, nel ruolo di Anne la maestrina muta testimone della lucida follia di Lucien.
Splendida la fotografia, angosciante la location, per un film che non si dimentica.

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Colpo di spugna

Un film di Bertrand Tavernier. Con Isabelle Huppert, Philippe Noiret, Stéphane Audran, Jean-Pierre Marielle, Eddy Mitchell, Guy Marchand, Irène Skobline, Michel Beaune, Jean Champion, Victor Garrivier, Gérard Hernandez, Abdoulaye Diop, Daniel Langlet, François Perrot, Raymond Hermantier, Mamadou Dioum, Samba Mone, Irénée Martin, Max Ernst, Paul Grimault Titolo originale Coup de torchon. Drammatico, durata 128 min. – Francia 1981.

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Colpo di spugna banner protagonisti

Philippe Noiret …Lucien Cordier
Isabelle Huppert … Rose Mercaillou
Jean-Pierre Marielle … Doppio ruolo di Le Peron e di suo fratello Georges
Stéphane Audran … Huguette Cordier
Eddy Mitchell … Nono l’amante di ‘Huguette
Guy Marchand … Marcel Chavasson
Irène Skobline … Anne la maestrina
Michel Beaune … Vanderbrouck
Jean Champion …Il prete del villaggio
Victor Garrivier … Mercaillou
Gérard Hernandez … Leonelli
Abdoulaye Diop … Fête Nat il servitore nero di Lucien
Daniel Langlet … Paulo
François Perrot …Il colonnello Tramichel

Colpo di spugna banner cast

Regia Bertrand Tavernier
Soggetto Jim Thompson
Sceneggiatura Bertrand Tavernier e Jean Aurenche
Fotografia Pierre-William Glenn
Montaggio Armand Psenny
Musiche Philippe Sarde
Scenografia Alexandre Trauner

Colpo di spugna banner citazioni

Tiriamo sui cadaveri che passano, a loro non da fastidio e noi ci divertiamo” (Le Peron)

Oh,ma che bel mestiere;ci sono migliaia di africani che sono morti nella Francia senza saper parlare il francese;grazie al suo lavoro impareranno a leggere il nome dei loro papa sui monumenti ai caduti” (Lucien ad Anne)

Meglio un cieco che piscia dalla finestra che il burlone che gli fa credere che sia un cesso” (Lucien a Venerdi)

Il Signore mi ha ordinato di colpire Le Péron, Leonelli, Mercaillou e Venerdi. Io non ero completamente d’accordo. Gesù Cristo“. (scritto da Lucien sulla lavagna di Anne)

Uccidere è un dovere civico, un atto di carità“.(Lucien)

Colpo di spugna banner recensioni
L’opinione di Peppe Comune dal sito http://www.filmtv.it

(…)“Colpo di spugna” (dal romanzo “Pop 1280” di Jim Thompson) di Bertrand Tavernier è un amabile pamphlet filosofico tutto costruito sull’ailare rappresentazione del labile confine tra il bene e il male, quando l’assoluta indifferenza su quelle che sono le sorti del genere umano rende, non solo largamente impunita la sistematica propagazione della morte, ma anche tollerabile la sua sardonica progettazione. Tutto è rappresentato con soave leggerezza, facendo perno sulla superba caratterizzazione di un sedicente ingenuo per portarci a guardare coi suoi stessi occhi la deriva esistenziale di un intero mondo, un mondo dove imperano la sempiterna legge del più forte la razzistica convinzione che i neri non siano delle “vere persone”, un mondo retto sulla sopraffazione impunita di pochi “notabili” bianchi, quei bianchi che hanno eletto Lucien Cordier a scemo del villaggio e che ben volentieri lo fanno assurgere a capo espiatorio di tutte le falle di sistema. Emblematiche sono le parole che Lucien rivolge ad uomo che è venuto fino a Bourkassa per sapere che fine abbia fatto il fratello : “i crimini sono tutti collettivi. Si partecipa a quelli degli altri e gli altri partecipano ai tuoi. Tuo fratello è stato ucciso da tutti. Anche da me, e forse da me più che dagli altri”. Parole che suonano come una condanna senza appello, proferite da un uomo che sembra essere seduto sull’orlo di un apocalisse imminente, intento a registrare e farsi partecipe allo stesso tempo dell’effettiva propagazione del male, a constatare l’ormai acclarata inaffettività di ogni rapporto umano. Gli indigeni sono solo delle comparse silenti, Tavernier le pone sullo sfondo, come una speranza inascoltata. (…)

L’opinione di Mauro Lanari dal sito http://www.filmscoop.it

(…) “Orribile campione della specie umana”, come lo definisce Thompson, Cordier ha una coscienza, sorniona ma lucida e radicale, della realtà.
È un cavaliere senza macchia privato della principessa da salvare e relegato a testimone impotente di un male che si diffonde già la mattina attraverso il fetore delle latrine, per poi corrodere dentro nel buio. Di fronte a tale gravità, che richiederebbe un intervento all’altezza di un Salvatore, l’unico escamotage che la natura consegna è “il dormire e il mangiare”. In particolare il gastronomico, con la parodistica urgenza del cibo, è un tema del film debordante, che asfissia la giornata dei personaggi anche negli intermezzi di maggior tensione, i quali “sono costretti” a tavola, per colazioni o pranzi o tè o aperitivi o comunque sedute che paiono indilazionabili, in qualsiasi circostanza, anche la più delicata: dopo un delitto, o un funerale, o tra un litigio e l’altro, o durante una stessa sparatoria, avvicinandoli al parossismo culinario esistenziale di Ferreri. Non c’è nulla da stimare, non c’è niente per cui valga la pena vivere, ma solo da aspettare che questo mondo avvolto dalla morte vada nella completa rovina e nel minor tempo possibile. Però, come un miraggio, la principessa arriva e, come un giglio immacolato sbocciato all’improvviso tra i rovi e le serpi, si materializza nei panni di una giovane maestra francese: Anne. È il momento di muoversi, ribellarsi e riabilitare sé stessi e il mondo fino a innalzarlo al livello di tale purezza. Ma come agire? Lucien, dando ascolto alla propria invigorita voce interiore, si sente investito da una missione assoluta, iniziando così un cammino dove tutto è messo sottosopra, tutto oscilla tra logica e follia e, in una sorta di delirio spirituale, si proclama il nuovo Ges\ù Cristo. Ma si tratta pur sempre di un Cristo impietoso e depresso, monco nelle sue qualità, più vicino all’indole di un’umanità agonizzante che a quella divina. Non esistono soluzioni nuove a cui aggrapparsi, l’unica chance è di far collassare le leggi selvagge della natura umana. Così, dopo l’ennesima umiliazione, Lucien applica in modo rigoroso, diligente, scrupoloso il suggerimento dell’autorità laica di restituire duplicato il male subito, sorta di “lex talionis” al quadrato, mentre dall’autorità religiosa apprende la lezione dell’amore verso il prossimo. Dopo aver saggiato il valore morale delle sue vittime (“Non è perché io metto la tentazione a portata di mano che bisogna forzatamente lasciarsi tentare”, “Io mi arrangio soltanto perché la gente si mostra tale quale è”…), puntualmente le elimina in nome dell’amore e di Dio.
La morte sembra essere l’unica reale alleata dell’umanità e l’unica soluzione efficace nel teatrino tragico: “Uccidere è un dovere civico, un atto di carità”. Ma il compito che egli si è prefisso si rivela alla fine utopico, titanico quanto impossibile: “Non ne posso più di essere il solo a espiare unicamente per aver fatto quello che la gente voleva che facessi e che non ha il coraggio di fare”. Perciò, dopo un improbabile ballo con Anne, nell’atmosfera paradisiaca di una piazza addobbata a festa per l’entrata in guerra, di fronte al moltiplicarsi dei bambini nella sequenza finale, cioè alla reduplicazione incontrollabile e inarrestabile della vita malefica così com’è, un Lucien ormai fiaccato getta la spugna e non sa più cosa fare, se dirigere la pistola verso i bambini oppure verso se stesso, in un'”impasse” apparentemente definitiva.

L’opinione di buiomega71 dal sito http://www.davinotti.com

(…) Immerso in situazioni grottesche che rasentano la commedia più ludica (il bagno nella merda del signorotto locale), con schegge improvvise di devastante violenza (le esecuzioni a freddo dei due macrò, la fucilata improvvisa al marito manesco e ubriacone, il tiro a segno ai cadaveri dei neri che galleggiano sul fiume, il finale con la Huppert che spara e fà un massacro nella sua stanza da letto), un erotismo sudaticcio e carnale (la Huppert quasi sempre nuda e vogliosa, la Audran milfona, con bigodini, calze nere e ciabattine col tacco)
Momenti assoluti di gran cinema: L’eclisse iniziale, il cinema all’aperto che viene devastato da una violenta folata di vento(altro che Nuovo Cinema Paradiso!), la steadycam che segue di spalle la Huppert dalla strada, alle scale, fino alla cucina dove fà colazione Noiret, e l’agghiacciante finale dove Noiret punta la pistola sui bimbi neri che giocano nel deserto.
Tavernier sà fare gran cinema, mischia erotismo ruspante, commedia nera, esecuzioni lampo e feroci, dialoghi (moltissimi) taglienti e cinici oltre ogni dire, la semplicità del male nascosta nel volto e nelle movenze paciose di un Noiret in stato di grazia.
Splendida la fotografia di Pierre-William Glenn, e lo score di Philippe Sarde sottolinea beffarda la straniante e grottesca serie di eventi.
Forse qualcosa andava sfrangiato (il film dura 123 minuti)e quà e là si gira a vuoto (troppo lunga la scena del biliardo e alcune macchiette da commediaccia- tipo i calci nel sedere a Noiret-potevano essere evitate), ma rimane un film che non assomiglia a nessun altro. Vitale, carnale dove la morte sorride a denti stretti.

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Colpo di spugna incipit romanzo

Recensione del romanzo di Thompson dal sito http://www.carmillaonline.com

(…) Ambientato nei primi anni del novecento, “Colpo di spugna” racconta la storia di Nick Corey, lo sceriffo di Potts County, una piccolissima comunità del Texas occidentale. Fin dalle prime pagine, Corey viene presentato alla stregua di un imbecille: tiranneggiato dalla moglie megera, dileggiato dai concittadini, è sbeffeggiato anche dallo sceriffo Ken Lacey. Affiorano alcuni dubbi, sospetti concreti che il fratello ritardato della moglie non sia un consanguineo ma bensì un amante segreto dalle impressionanti doti virili. Sulle prime, Nick Corey appare un tonto fenomenale, o almeno fino al momento in cui non ammazza a sangue freddo due ruffiani: si tratta di un atto di violenza feroce e insensato, che al tempo stesso spiazza e sconcerta il lettore. E ancora: sorpreso Tom Hauck, un uomo con cui ha un conto in sospeso, Nick lo sventra con due colpi di fucile. Ma allora chi è veramente lo sceriffo Corey? Una scaltra mente criminale che si nasconde ostentando stupidità? Ammazza ancora Nick e spinge anche gli altri a farlo per lui. Mente, mette i propri nemici l’uno contro l’altro, li caccia nei pasticci, li costringe a commettere errori. Progressivamente Nick si svela per quello che è: un assassino spietato e amorale. «Cosa ti è successo? Quando sei diventato così?» chiederà nelle battute finali Rose, una delle sue amanti. Il racconto è scritto in prima persona, secondo il modulo narrativo privilegiato da Thompson, ed è quindi la stessa voce interiore di Nick che tenta di spiegare, di dare alle proprie azioni quel senso che non sembrano avere. La citazione più famosa del romanzo è quella in cui Nick dice: «Così ci pensai e ci ripensai, e poi ci pensai ancora un po’. E finalmente presi la decisione. Decisi che non sapevo che cavolo fare». Ma a proposito dell’omicidio dei due ruffiani e lo stesso Nick a dire: «C’erano un sacco di cose, quasi tutte insomma, per le quali non potevo fare niente. Però, invece, potevo fare qualcosa con loro, e alla fine … alla fine ho fatto qualcosa». Non è qualcosa, ma è la concezione stessa che Thompson ha dell’omicidio: in un mondo privo di qualsiasi opzione etica, uccidere resta l’unica possibilità di agire. Alla fine il discorso di Nick assumerà, più che un tono messianico, la forma di un vero e proprio delirio schizoide: «Devo andare avanti a fare il lavoro del Signore, e Lui non ha fatto altro che indicare, scegliere la gente sulla quale io devo sfogare la sua rabbia». In realtà, c’è qualcosa di ineluttabile e inevitabile, una sorta di legame di necessità che unisce vittima e assassino. Per Nick, la debolezza è di per sé una colpa e la vittima è colpevole quanto il suo uccisore: «voglio dire, be’ cos’è peggio, il tipo che sporca di merda la maniglia della porta o quello che suona il campanello?». Perché nessuno è innocente o moralmente sano nella contea di Potts: gli abitanti sono talmente razzisti che, quando qualcuno appicca il fuoco alle baracche del quartiere nero, i cittadini importanti si preoccupano soltanto che i “loro” neri non vengano spaventati troppo. Nel caso fuggissero non rimarrebbe più nessuno per raccogliere il cotone. Del resto, anche le relazioni sociali appaiono improntante al mero formalismo e alla più meschina ipocrisia. «Be’, sai. Adesso sei ufficialmente una vedova e non mi sembra decente andare a letto con una donna vedova da neppure un’ora» dice Nick a Rose, dopo averle ucciso il marito. Si tratta del cuore rurale degli Stati Uniti, di quella grande provincia del Mid West che Thompson ha più volte rappresentato come meschina, marcia e bigotta. Anche ciò che dovrebbe avere la parvenza di un sistema giudiziario non è che un ulteriore conferma della cronica stupidità che affligge gli abitanti di Pottsville: «invece di lavorare la gente perde tanto di quel tempo a linciare altra gente e spende tanti soldi in corde e petrolio che non gli rimane più tanto di quel denaro o di ore lavorative per scopi pratici».(…)

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gennaio 11, 2015 Posted by | Drammatico | , , , , , , , | Lascia un commento

Calmos

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Provate un po ad immaginare, ai nostri giorni, la figura di un produttore che si ritrova fra le mani il copione di Calmos e che dopo averlo letto decida di produrre il film di Blier.
Credo che il fantomatico produttore, dopo aver letto le prime dieci pagine del copione prenderebbe lo stesso e lo tirerebbe sulla testa dell’incauto agente che ha osato proporglielo.
Perchè Calmos, uscito nel 1976 fra la delusione e le critiche ferocissime di molti addetti ai lavori è un film assolutamente scomodo, politicamente scorrettissimo, misogino all’ennesima potenza, sbeffeggiatore, anti femminista, cattivo e irriverente.
Potrei continuare per parecchio con gli aggettivi: però per giudicare Calmos occorre calma, mente serena, sgombra da pregiudizi e sopratutto occorre resistere alle provocazioni che il regista francese spande qua e la con invidiabile corposità, senza mai mostrare di essere pentito della linea seguita.

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Pochi secondi dall’inizio della pellicola e si parte con la prima, grossa provocazione; facciamo la conoscenza di Paul Dufour, ginecologo,che nel suo studio è intento a prepararsi un gustoso panino.
Quasi assente, non si rende nemmeno conto dell’ingresso di una paziente, che visto l’atteggiamento del ginecologo, scuote le spalle, si spoglia e allarga le gambe per la visita.
Paul non sembra ancora notare la donna, ma mentre addenta con famelica voracità il suo panino, finalmente vede la vulva spalancata della donna (sulla quale Blier fa un primo piano), la sua mano che si gratta nervosamente.L’uomo, quasi disgustato,esce dallo studio e arriva in strada dove incontra il suo amico Albert.
Ecco la prima provocazione ha colpito immediatamente:l’espressione di disgusto di Paul alla vista della vulva femminile non appare solo come conseguenza del lavoro che lui fa e che effettivamente, come scopriremo, ormai non gli piace più quanto piuttosto da un’overdose di genitali femminili, di quella parte dell’essenza femminile che,anche questo scopriremo in seguito, ormai non gli interessa più.

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Ed ecco che il film vira verso la seconda provocazione:i due decidono di abbandonare la città e trasferirsi in campagna, in un posto dove le donne non ci siano e dove possano dedicarsi ai bagordi “salutari”, ovvero un’indigestione di cibi genuini,aria pulita e calma totale.
Quà i due compagni di viaggio conoscono un curato gaudente (solo dal punto di vista del cibo e del vino) e altre persone che sembrano vivere beati anche perchè non hanno donne tra i piedi.
Ma l’illusione dei due amici non dura molto: ecco che Susanne (moglie di Paul) e Genevieve (compagna di Albert) raggiungono i due mariti, reclamando la “soddisfazione del talamo”
I due scappano, Albert finisce in un vagone del tram nel quale è l’unico uomo, guardato con concupiscenza da tutte le donne presenti;una di esse apre l’impermeabile mostrando ad Albert di essere nuda.L’uomo riesce a fuggire e ricongiuntosi con Paul fugge nelle campagne dove però vengono fermati da un gruppo di Amazzoni con tanto di armi.
Le donne li portano in un campo dove, sotto le tende,i due vengono costretti ad avere rapporti sessuali ogni due minuti con le assatanate donne del campo stesso.
Ma cosa è successo intanto?

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Molto semplicemente, seguendo l’esempio dei due amici altri uomini hanno scelto di lasciare mogli, compagne e fidanzate e rifugiarsi in campagna, sottraendosi a quello che ormai considerano un atto noioso e ripetitivo.
Paul e Albert sono in fuga, provati, stremati dal tour de force a cui sono stati sottoposti e dopo lungo vagare arrivano vicino ad una distesa d’acqua dove trovano una gigantesca donna di colore che giace nuda.I due uomini entrano nella vulva della donna e ….
E’ l’ultimo sberleffo, la fuga dalle donne e dal sesso culmina con un ritorno alle origini; sono stati partoriti da una vulva e li ritornano, non sapendo che poco dopo la donna avrà un rapporto sessuale con loro all’interno.
Il senso del grottesco e dell’eccesso trova così il suo culmine, Calmos irride tutte le istituzioni (matrimonio,rapporti di coppia,sessualità) con l’uso dell’iperbole, con immagini scioccanti e con un delirio fatto di estrema misoginia che trova il suo culmine nella fuga disperata dei due uomini e nell’inseguimento che le loro donne dapprima, poi tutte le altre dopo tentano allo scopo di riportare alla normalità i due fuggiaschi.

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Ma è normalità la vita di un uomo quando è costretto a subire gli isitinti irrefrenabili delle donne, quella loro sessualità indecente,esposta come un’esigenza di riproduzione animale, selvaggia?
Blier capovolge tutto:dalla società maschilista, basata sul sesso e sullo sfruttamento dello stesso ecco che passa ad una società dominata dalle donne, nelle cui pieghe si muovono i poveri uomini, costretti ad accettare un ruolo eminentemente riproduttivo.
Questa teoria, esposta in lungo e in largo in tutto il film, indignò e scandalizzò in egual misura critici e donne, incapaci di vedere il grandioso disegno grottesco ed estremista di Blier.
Si può ovviamente non essere d’accordo e ci mancherebbe:nella società moderna la donna non ha minimamente il ruolo ascritto loro dal regista francese,anzi.
Ma l’insieme delle surreali immagini, aggiunte ad alcune irresistibili trovate e ad alcuni quadretti ben riusciti rende il film, aldilà del valore stesso della sua feroce anarchia, meritevole di essere visto con attenzione e perchè no, con indulgenza.
Grandissimo protagonista del film Jean Pierre Marielle, uno degli attori più bravi della storia del cinema francese;il suo volto disgustato davanti alla vulva di Claudine Beccarie meriterebbe di essere incorniciato in una gigantografia.
Bene sicuramente anche Jean Rochefort,irresistibile Bernard Blier bene anche il resto del cast;in pratica la stragrande maggiornza delle donne del film compaiono nude nel film stesso.
Ben coordinata la fotografia, belle le location.
Non esiste una versione italiana del film, mentre è facilmente rintracciabile in streaming in rete la versione originale francese in ottima qualità video.

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Calmos
un film di Bertrand Blier, con Jean-Pierre Marielle,Jean Rochefort,Bernard Blier,Brigitte Fossey,Micheline Kahn,Claudine Beccarie Grottesco Francia 1976

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Jean-Pierre Marielle … Paul Dufour
Jean Rochefort … Albert
Bernard Blier … Il curato
Brigitte Fossey … Suzanne Dufour
Claude Piéplu …L’anziano combattente
Pierre Bertin …Il canonico
Micheline Kahn … Geneviève
Jacques Rispal … L’assassino
Jacques Denis …Un combattente della resistenza
Sylvie Joly …Il capo dei dottori
Claudine Beccarie …La cliente del ginecologo
Gérard Jugnot … Un seguace

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Regia:Bertrand Blier
Sceneggiatura:Bertrand Blier, Philippe Dumarçay
Produzione:Bernard Artigues,Claude Berri,Christian Fechner
Musiche:Georges Delerue
Fotografia:Claude Renoir
Montaggio:Claudine Merlin
Production Design:Jean André
Costume Design:Michèle Cerf

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dicembre 15, 2014 Posted by | Commedia | , , , , | Lascia un commento

Tutte le mattine del mondo

Tutte le mattine del mondo locandina

Ecco un film che è un’autentica perla tra le produzioni francesi degli anni 90, passato ingiustamente inosservato sui nostri schermi.
Tutte le mattine del mondo, opera del compianto regista d’oltralpe Alain Corneau, tratto dall’omonimo romanzo di Pascal Quignard rappresenta un atto d’amore ed un tributo al mondo della musica.
Musica non per tutti.
Il film infatti è ambientato fra il XVII e il XVIII secolo, a cavallo quindi fra il Seicento e il Settecento, momento d’oro per la musica classica grazie alle attenzioni del Re Sole per la musica da camera.
Ed è proprio sulla musica da camera, sull’utilizzo e le composizioni della viola da gamba che Corneau costruisce quello che è un film rigidamente aristocratico in tutte le sue componenti, algido e distaccato anche nella passioni umane che attraversano la storia raccontata nel romanzo da Quignard, che ha poi collaborato con il regista di Meung-sur-Loire nella stesura della sceneggiatura.

Tutte le mattine del mondo 1

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Madeleine fa il bagno nel laghetto, ignara dell’arrivo di Marais

Un film fatto di immagini di rarefatta bellezza, con una fotografia strepitosa e location calme e silenti, quasi scelte per rimarcare il distacco della natura e della musica dalle pulsioni dell’uomo.
Un film lentissimo, quasi didascalico, che avanza adagio per lasciare quanto più spazio possibile alla vera protagonista della pellicola stessa, la musica, vissuta dai due protagonisti come passione, amore e unica tensione vitale all’affermazione della propria sensibilità d’artista.
Gli inizi del film mostrano il Maestro Marin Marais mentre è intento a rievocare la sua carriera e la sua vita, fino dalle umili origini e dalla passione smodata per la musica da viola passando per l’incontro decisivo con Monsieur de Sainte Colombe.
Marin vuole soddisfare la propria ambizione, diventare un Maestro anch’egli e possibilmente entrare a corte che è poi la massima aspirazione di ogni musicista.

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Sainte Colombe insegna la viola a sua figlia

Così fa di tutto per diventare allievo di quello che è considerato il più grande virtuoso di quello strumento particolare che è la viola da gamba, ovvero Monsieur de Sainte Colombe, uomo dal carattere difficile; un vedovo che ha amato due cose nella vita, la musica stessa e la sua adorata moglie che lo ha lasciato vedovo con due figlie,Madeleine e Toinette.
L’incontro con Sainte Colombe si rivelerà decisivo, perchè l’uomo, dopo averlo ascoltato suonare rifiuterà di accoglierlo tra i suoi allievi, perchè come gli dice apertamente,”è un suonatore, non un interprete”.
Sarà grazie a Madeleine che convincerà il padre ad ascoltare una composizione originale di Marais che quest’ultimo finirà per diventare il miglior allievo del suo Maestro.
Inizierà contemporaneamente una relazione (più subita che voluta) con la dolce Madeleine, che terminerà in maniera tragica.

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Marais ottiene un grande successo personale il giorno che suona davanti a Luigi XIV in persona, ma questo gli varrà l’inimicizia con il suo Maestro, che gli rimprovererà una vocazione arrivista e mondana lontana dal mondo puro e assoluto della vera musica, suonata per se stessi e per passione piuttosto che per gli applausi e la fama.
Ma con il tempo la frattura si sana, nonostante la morte per suicidio della sfortunata Madeleine, avvenuta in seguito alla perdita del bambino che aspettava e all’allontanamento di Marais da lei.
Il quale tornerà molti anni dopo al suo capezzale per suonarle l’aria che aveva composto espressamente per lei, “La sognatrice”
Marais, sconvolto dalla morte della sua amante di un tempo finisce per spiare il suo ormai anziano Maestro, nel tentativo di carpirne i segreti più reconditi.

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Guillaume Depardieu è Marais da giovane

In un finale drammatico, Sainte Colombe da al suo ex allievo una lezione sulla vera musica, facendogli ascoltare la sua composizione più amata, “Le lacrime” che l’uomo aveva composto per la moglie.
Suonando in due, Marais apprende finalmente il segreto della musica, capace di evocare anche gli spiriti dalla morte: il suo percorso di vita è compiuto, adesso è finalmente un musicista.
Tutte le mattine del mondo è un film intriso di poesia, un autentico tributo alla musica e alla sua capacità di mettere l’uomo a contatto con i suoi sentimenti più reconditi; la musica è l’esaltazione dell’animo dell’uomo, la sua parte migliore e più poetica, la più ancestrale, attraverso la quale è possibile innalzarsi dal livello gramo dell’esistenza fino agli empirei del divino.

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Marais, ormai anziano, ricorda il passato

Questa è la lezione che il Maestro Sainte Colombe tenta di dare al suo allievo più brillante ma anche più mondano e deviato dall’illusione che basti suonare da virtuoso per essere nominato musicista.
Marais cade proprio in questo equivoco, lasciandosi trascinare dal fascino della corte e dei suoi lustrini, dalla ricchezza e dall’apparenza.
Quando capirà cosa ha perso nella vita sarà troppo tardi; il suo vecchio Maestro gli darà una lezione di vita quasi insostenibile, che andrà a sommarsi al rimorso per aver causato in qualche modo la morte della sua appassionata amante di un tempo, quella Madeleine che non ha più potuto riprendersi dopo l’abbandono di Marais sempre più attratto dalle sirene della corte del re Sole.
Per descrivere il percorso parallelo di vita dei due personaggi principali, Marin Marais, musicista che ebbe una certa fama nella sua vita e il Maestro Sainte Colombe, Corneau mette a confronto le due personalità opposte esaltandone difetti e pregi.

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La relazione tra Madeleine e Marais

Si nota la sua predilezione per il Maestro Sainte Colombe, uno dei personaggi più enigmatici della storia della musica, un uomo che non ha lasciato altro che tre manoscritti peraltro riscoperti solo in epoca recente.
Considerato ai suoi tempi l’interprete più straordinario di quel particolare strumento che è la viola da camera, Sainte Colombe è dipinto dal regista francese come un uomo serio e schivo a tratti anche scostante nel suo rifiuto assoluto di piegarsi alla mondanità in nome del successo.

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Viceversa Marais non è trattato benissimo.
Tratteggiato come un arrivista, edonista e narcisista, il musicista finisce per assomigliare ad un nano nei confronti del gigante Sainte Colombe.
Una delle caratteristiche vincenti della pellicola, oltre alla narrazione asciutta e rigorosa degli avvenimenti, scandita dai tempi dilatati in cui l’azione si evolve è la spettacolosa fotografia che avvolge come bambagia il film.
Paesaggi idilliaci si stagliano sullo sfondo delle avventure dei protagonisti; si pensi alla splendida sequenza in cui Marais sta per arrivare a casa di Sainte Colombe per la prima audizione e il suo primo incontro con Madeleine, che sta facendo il bagno nuda nel laghetto accanto alla dimora del Maestro, o ancora la cura quasi maniacale di Corneau nel sottolineare tutti i passaggi del film con un’attenzione che dona sicuramente un’aria aristocratica e barocca al film che si coniuga proprio con quello che sappiamo di quel periodo storico.
Per quanto riguarda il cast, vincente l’idea di affidare a Jean-Pierre Marielle il ruolo del burbero Sainte Colombe: l’attore di Dijon, molto popolare in Francia e conosciuto dal pubblico italiano più anzianotto per alcuni ruoli in film come  4 mosche di velluto grigio (1971) o Senza movente (dello stesso anno) rende il suo personaggio quasi indimenticabile.
Di buono standard qualitativo la recitazione di Gerard Depardieu, che interpreta Marais in età adulta.
L’attore francese però non è adatto alla parte, che avrebbe richiesto un attore meno “fisico” e più sfuggente come personalità.

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Madeleine, stanca e malata davanti al suo ex amante

Bene Anne Brochet, la Madeleine del film; l’attrice dona vigore al personaggio sfortunato della figlia di Sainte Colombe, vittima di un amore sbagliato. Impressionante anche la sequenza della morte di Madeleine, con l’attrice truccata talmente bene da sembrare un’altra persona.
Affascinanti le musiche per gli amanti del genere ma non solo; personalmente non conoscevo affatto la viola da gamba ed è stata una felice scoperta.
Un film molto bello, che credo possa essere definito uno dei più autentici tributi alla musa più nobile.

 Tutte le mattine del mondo
Un film di Alain Corneau. Con Gérard Depardieu, Jean-Pierre Marielle, Anne Brochet, Guillaume Depardieu,Michel Bouquet Titolo originale Tous les matins du monde. Drammatico, durata 114 min. – Francia 1991.

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Gerard Depardieu è Marais da adulto

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Jean-Pierre Marielle è Monsieur de Sainte Colombe

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Anne Brochet è Madeleine de Sainte Colombe

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Tutte le mattine del mondo banner personaggi

Jean-Pierre Marielle: Monsieur de Sainte Colombe
Gérard Depardieu: Marin Marais
Anne Brochet: Madeleine
Guillaume Depardieu: Marin Marais da giovane
Carole Richert: Toinette
Michel Bouquet: Baugin
Jean-Claude Dreyfus: Abbe Mathieu
Yves Gasc: Lequieu
Yves Lambrecht: Charbonnières
Jean-Marie Poirier: Monsieur de Bures
Myriam Boyer: Guignotte
Violaine Lacroix: Madeleine da giovane
Nadège Teron: Toinette da giovane
Caroline Sihol: Mme. de Sainte Colombe

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Regia    Alain Corneau
Soggetto    Pascal Quignard (romanzo)
Sceneggiatura    Alain Corneau e Pascal Quignard
Produttore    Jean-Louis Livi
Produttore esecutivo    Bernard Marescot
Casa di produzione    Film Par Film, D.D. Productions, Divali Films, SEDIF, FR3 Films Production, Paravision International
Distribuzione (Italia)    Academy Pictures
Fotografia    Yves Angelo
Montaggio    Marie-Josèphe Yoyotte
Musiche    Jordi Savall
Scenografia    Bernard Vézat
Costumi    Corinne Jorry

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Il romanzo di Quignard dal quale è tratto il film omonimo

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Sainte Colombe:Les pleurs,Gavotte du tendre,Le retour
Marin Marais:Improvvisazione sulle Folies d’Espagne,L’arabesque
Le Badinage,La rêveuse
Jean-Baptiste Lully: Marche pour la cérémonie des Turcs
François Couperin: Troisième leçon de Ténèbres
Jordi Savall:Prélude pour Monsieur Vauquelin
Une jeune fillette da una melodia popolare
Fantaisie en mi mineur da un anonimo del XVII secolo

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Il Dvd del film

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Locandina spagnola

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novembre 28, 2011 Posted by | Drammatico | , , , , | 5 commenti

Folli e liberi amplessi (Les galettes de Pont Aven)

Di folle in questo film c’è soltanto il titolo, assolutamente fuorviante, visto che tradotto letteralmente significherebbe I biscotti di Pont Aven. Un film che di erotico non ha praticamente nulla, fatta eccezione per qualche scena di nudo inserita in un contesto più drammatico che da commedia.

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Henry è un rappresentante di commercio, vende ombrelli; un lavoro che svolge con impegno, ma i suoi problemi sono a casa: la sua famiglai sembra ignorarlo, se non disprezzarlo. Lui conduce la sua vita monotona tra lavoro e hobby, quello della pittura. Un giorno, dopo aver avuto una fugace relazione con Madame Licquois, una sua cliente che aveva commissionato un ritratto, Henry, mentre torna a casa ha un incidente d’auto. Conosce così il pittore Emile, che ha il suo stesso hobby e conosce anche Angela, la sua disinibita amante.

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Folli e liberi amplessi 1Andrea Ferreol è la signora Licquois

Con l’evidente beneplacito di Emile, Henry si ritrova ben presto a diventare l’amante della ragazza. Così riacquista d’un colpo vitalità, voglia di tornare a dipingere e sopratutto si innamora. Per qualche giorno le cose sembrano funzionare, ma la ragazza decide di rientrare al suo paese, il Canada, e lo fa senza avvisare l’amante. Henry la cerca, ma poi, deluso, decide di rientrare a casa. qui lo attende una brutta sorpresa: trova la moglie a letto con un altro uomo. Deluso, Henry ritorna a Pont Aven, dove aveva conosciuto Emile e Angela: qui, senza più un valido motivo per combattere, decide di darsi all’alcool, abbruttendosi.

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Reincontra Emile, ma sopratutto ha la fortuna di imbattersi in Marie, una giovane e brava ragazza che lavora in un albergo locale. sarà proprio Marie a fare uscire l’uomo dal tunnelFolli e liberi amplessi 4

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dell’alcool, e per lei Henry sceglierà di restare a lavorare come cameriere in spiaggia.

Diretto da Joel Seria nel 1975, il film vive sopratutto sulla grande interpretazione di Jean Pierre Marielle, che presta il suo volto al personaggio di Henry, uno dei tanti anonimi personaggi che popolano le città a tutte le latitudini. Anche se molto discontinuo, e a tratti anche improbabile, il film si lascia guardare con piacere, attraverso l’odissea di un uomo qualunque, in un posto qualunque, afflitto da problemi che possono tranquillamente essere considerati universali.

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Ben assortito il cast, che include, oltre al citato Marielle, una bella Andrea Ferreol nei panni della signora Licquois, la prima avventura di Henry nella sua nuova vita, la bella Dolores Mc Donough nel ruolo della disinibita canadesina Angela, Jeanne Goupil nel ruolo chiave di Marie, la fresca e bella ragazza che con il suo candore sarà il viatico di Henry per il ritorno dall’inferno dell’alcool e dell’abbruttimento.

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Un film di discreta fattura, ben girato, ben recitato  e che scorre via con piacere e interesse da parte dello spettatore.

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Folli e liberi amplessi (Les galettes de Pont Aven),un film di Joël Séria. Con  Claude Piéplu, Jean-Pierre Marielle, Bernard Fresson, Dolores McDonough, Jeanne Goupil,Romain Boutelle,Andréa Ferréol
Titolo originale Les galettes de Pont-Aven. Commedia, durata 105 min. – Francia 1975.

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Jean-Pierre Marielle : Henri Serin,
Bernard Fresson : Emile
Jeanne Goupil : Marie
Andréa Ferréol : Madame Licquois
Claude Piéplu
Dolorès Mac Donough : Angéla
Romain Bouteille : il curato
Dominique Lavanant : Marie Pape, la prostituta con il costume
Gisèle Grimm : la moglie d’Henri
Nathalie Drivet : Une serva
André Chaumeau : un commerciante
André Lacombe : Un pittore di Pont-Aven
Louison Roblin : Una commerçiante

agosto 4, 2009 Posted by | Commedia | , , , | 2 commenti