Plagio
In una Bologna agitata dalla contestazione del 68,Angela e Massimo che partecipano ad una manifestazione soccorrono Guido,aggredito da tre giovani estremisti.
E’ l’inizio di una bella amicizia tra i ragazzi,divisi praticamente da tutto;mentre Angela e Massimo infatti appartengono a famiglie del popolo,Guido è figlio di una famiglia ricca e in vista.
A dividerli c’è anche il profondo rapporto esistenze tra Angela e Massimo,che ben presto Guido scopre di invidiare.
Ma la cosa non sembra turbare,almeno all’inizio,il rapporto tra i tre.
Solo che Guido,abituato ad ambienti completamente diversi dal loro,sembra non conoscere l’affetto e l’amore per una donna.
E così ben presto scopre di essere attirato da Angela.
Turbata dal giovane, alla fine Angela,nonostante l’amore che prova per Massimo,cede a Guido.
Il quale,correttamente,informa della cosa Massimo.
Il giovane reagisce scappando e ritornando nella sua Rimini,ma ben presto l’affetto che si era stabilito tra i tre prevale e il gruppo si ricompone.
Nasce così un improbabile e insostenibile menage a trois che vedrà anche l’evolversi di un rapporto gay tra i due ragazzi.
I tre si lasciano andare ad un rapporto sessuale che però sconvolge Guido,che il giorno dopo si allontana.
Per motivi sconosciuti (disgrazia?suicidio?) la sua auto finisce fuori strada e il giovane muore.
Ai funerali di Guido partecipano solo i due ragazzi.
Angela con un fascio di fiori si allontana da Massimo,quasi a voler simboleggiare la fine del rapporto con lui…
Plagio è uno dei quattro film diretti da Sergio Capogna.
Siamo nel 1969 e la tematica del triangolo consapevole è di sicuro scottante e moralmente condannata.
Ragion per cui il regista romano è costretto ad andarci con i piedi di piombo per evitare di incappare nella censura e motivo anche
di una linea non precisa del film.
Che parte con uno sfondo politico (il 68,il movimento e gli scontri di piazza) e si conclude malinconicamente con il tema sentimentale
scandito durante la narrazione dall’uso del flash back in bianco e nero o color seppia,quasi a voler rimarcare il tono
dolente del film.
Che in realtà assomiglia più ad una tragedia,visto che le vite dei tre protagonisti saranno definitivamente cambiate dagli avvenimenti.
La storia d’amore impossibile nasce e si sviluppa con sensi di colpa da parte dei tre giovani,incapaci di vivere appieno i sentimenti che li sconvolgono,
in una società apertamente oscurantista in materia di sesso.
Sarà il più debole dei tre,apparentemente,ovvero Guido a pagarne il prezzo più alto,morendo in un incidente la cui dinamica resta volutamente
oscura:si suicida perchè sa che non c’è futuro per la loro storia oppure finisce fuori strada casualmente?
La storia non lo chiarisce,resta solo il finale,molto amaro, a dire che i tre hanno vissuto qualcosa di unico ma anche di irripetibile.
Pacato,descrittivo e affascinante sopratutto per la confezione estetica,Plagio è opera di buon livello a cui nuoce però l’acerba interpretazione dei tre attori principali,molto impacciati e poco comunicativi.
Mita Medici è bella ma algida e fredda,Ray Lovelock imbarazzato e Alain Noury acerbo e inespressivo.
Così la parte del leone la fa la bella e brava Cosetta Greco,l’operaia saggia e disponibile che ha una storia con Guido.
In quanto a Capogna mostra buona mano e padronanza del mezzo tecnico,alla luce anche del fatto che in pratica la storia è figlia sua in tutti i sensi,
visto che cura la regia,la sceneggiatura e alla fine anche il montaggio.
Con buona tecnica e con buone capacità dicevo.
Inspiegabilmente passerà diverso tempo prima che il regista metta mano ad un altro film,quel Diario di un italiano che nel 1973 sarà l’ultima sua opera.
Quattro anni dopo infatti il regista scomparirà a soli 50 anni per una brutta malattia.
Un vero peccato,alla luce della sua capacità analitica e dal tono malinconica di eviscerare le figure protagoniste dei suoi film.
Che in questo Plagio appaiono silenziose e quasi presaghe di un futuro negato.
Sicuramente un’opera datata,vista l’evoluzione dei costumi e della morale,ma che va inquadrata in un’epoca in cui parlare di sentimenti e di sesso
a tre era veramente un azzardo.
Nella pellicola c’è qualche fugace scena di nudo di Mita Medici,probabilmente sostituita da una controfigura,scene giustificate e comunque decisamente pudiche mentre l’accenno alla relazione omosessuale tra i due protagonisti maschi è appena abbozzata.
Belle le location.
Si va da una Bologna romantica e sognante in cui gli scontri di piazza sono solo in sottofondo ad una fugace sortita per Padova,poi attraverso una Rimini quasi felliniana e infine alla splendida,palladiana villa Cordellina Lombardi in Via Giacomo Matteotti a Montecchio Maggiore (VI)
storica residenza affrescata tra l’altro da Giambattista Tiepolo.
Plagio è rimasto a lungo un film sepolto;riemerso poco tempo fa,è oggi disponibile in una splendida versione digitale che restituisce il fascino di un’opera che ebbe molto successo sopratutto all’estero e che racconta con pudore e senso della misura una storia d’amore sullo sfondo del finire degli anni sessanta,l’ultima epoca ingenua di un’Italia che di li a poco avrebbe conosciuto il triste periodo degli anni di piombo.
Bella la colonna sonora,con brani rock e classici,bella la fotografia.
Da vedere
Plagio
Un film di Sergio Capogna. Con Ray Lovelock, Mita Medici, Alain Noury, Cosetta Greco,Dino Mele, Giuliano Disperati Drammatico, durata 85 min. – Italia 1969
Ray Lovelock: Guido
Alain Noury: Massimo
Mita Medici: Angela
Dino Mele: Roberto
Cosetta Greco: Edera
Libero Grandi: professore universitario
Giuliano Esperanti: poliziotto
Raffi: sorella di Guido
Regia Sergio Capogna
Soggetto Sergio Capogna
Sceneggiatura Sergio Capogna
Produttore Giuliana Scappino
Casa di produzione Faser Film (Roma); Prodimex (Paris)
Distribuzione (Italia) Regionale
Fotografia Antonio Piazza
Montaggio Sergio Capogna
Musiche Gustav Mahler, Dirtan Michailev
Scenografia Franco Bottari
Costumi Franco Bottari
L’opinione di Franred dal sito http://www.mymovies.it
Di Plagio mi ha colpito la profonda sensibilità con cui Capogna ha raccontato i delicati sentimenti di Guido,Angela e Massimo.La rivoluzionaria regia con scene a colori e virate,lo stile sicuro,raffinato,inusuale,al di fuori di ogni schema.Un film coraggioso e sincero da vedere o rivedere con ottimi attori e una splendida fotografia e musica(l’Adagietto di Mahler due anni prima che Visconti lo scegliesse per Morte a Venezia e brani rock).
Dal sito http://www.cinematografo.it
(…) ci pare di intravvedere in questo malinconico e triste film di Capogna le linne di una sostanza intima, una poesia delle cose, e riesca a comunicarci emozioni che oltrepassano il frasario chiuso della materia narrativa (…). Comunque il suo è un film piuttosto ingenuo, ma non banale.” (G. Turoni, ‘Bianco e Nero’, 9/10 ottobre 1969)
Da Segnalazioni cinematografiche vol. 67, 1969
“E’ un film incentrato sulla figura di un giovane desideroso di entrare in una comunità di affetti, vista come integrazione della propria personalità. La storia appare nel complesso artificiosa: il legame con la contestazione studentesca, che gli fa da sfondo, incoerente; mentre gli stessi personaggi sono psicologicamente approssimativi. Bella la fotografia e l’ambientazione.”
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
Homesick
Ménage à trois consensuale delimita la carenza di affetti comunicata dalla voce flebile e sommessa di Lovelock e dalle sue crisi emotive. Pregevole la fotografia d’atmosfera – l’uggioso interludio riminese anticipa Zurlini – e uso sapiente della colonna sonora in cui si alternano indomito rock e malinconiche sinfonie classiche. I tre giovani attori se la cavano, ma si avverte il loro divario con la veterana Cosetta Greco, prostituta-operaia bella, saggia e rassicurante che appaga i sensi (a questi provvede anche la Medici) e l’animo. Solo sullo sfondo le contestazioni studentesche del ‘68.
Deepred89
Ménage à trois alla bolognese (ma con qualche trasferta) con tocchi decadenti, un film piccolo piccolo che sta in piedi grazie all’elegante confezione. Brava la Medici, così così Noury, Lovelock davvero mediocre (come lui stesso ammetterà), intreccio banale ma nemmeno malvagio, anche se la conclusione non soddisfa. Curiosi gli accenni gay, anche se timidi quanto tutti il resto. Non imprescindibile, ma interessante per il suo mostrare un sessantotto vissuto nelle retrovie.
Lucius
Grande successo internazionale per questa pellicola basata su una storia vera. Avrei invertito i ruoli ai due attori per una propensione maggiore verso i rispettivi personaggi ma, detto questo, trattasi di una bella perla del cinema italiano. Il triangolo no, non lo avevo considerato, in un’ambientazione sessantottina, tra movimenti studenteschi e sentimenti difficili da gestire. Qualche remora sul finale, ma realistico al cento per cento. Ottima anche la scelta delle location.
Fauno
Un bellissimo film e per nulla melodrammatico, che descrive ed esprime in maniera intatta e integra molte delle sensazioni presenti nei giovani, senza vergogna di scandagliare nel loro animo più recondito. Attori abbelliti e scenari selezionati con criterio, il film non ha pecche, non sfocia mai nel patetico e non cala. Dovendomi però trovare davanti alla biforcazione finale, umanamente son più dalla parte di Noury che da quella della Medici.
Il regista Sergio Capogna
Villa Cordellina Lombardi in Via Giacomo Matteotti a Montecchio Maggiore (VI)
Vista frontale,oggi
Sullo sfondo,il Grand Hotel di Rimini
Il Grand Hotel di Rimini oggi
Prato della Valle,Padova, nel film
Prato della Valle oggi
Il cinema Odeon di Bologna nel film
Il cinema Odeon di Bologna oggi
Un posto ideale per uccidere
Non c’è niente di peggiore per un regista di dover preparare un film basato su una sceneggiatura precisa e doverlo poi stravolgere per esigenze di produzione, che spesso hanno una logica stringente legata al botteghino o, in alcuni casi, alla necessità di evitare il fallimento di un film per colpa della morale pubblica o della censura.
E’ quello che accade a Umberto Lenzi nel 1971, quando gira Un posto ideale per uccidere (An ideal place for a murder); nelle intenzioni del regista toscano e dei co-sceneggiatori Lucia Drudi Demby e Antonio Altoviti la storia doveva narrare le vicende di due ragazzi danesi in viaggio in Italia che per sbarcare il lunario facevano spaccio di droga.
Viceversa, la produzione per problemi legati alla censura e alla paura di fare fiasco al botteghino con una storia di droga, obbligò il regista a trasformare i due giovani in venditori di foto sexy.
Lenzi mandò giù la cosa ma inevitabilmente finì per non credere più nel suo film, tanto da fargli dire in seguito che il film stesso era una porcheria e che il disastro ai botteghini era in pratica già nelle premesse.
Dick e Ingrid scattano foto osè (anche qui la Muti ha come controfigura Antonia Santilli)
In realtà il film non è affatto brutto, come l’iper critico Lenzi volle far credere, e lo scarso risultato in tema di biglietti venduti ebbe sicuramente altri fattori scatenanti.
In primis lo scarso fascino di una storia in cui l’elemento giallo/thriller non è supportato da sangue, omicidi ed effetti splatter, poi i soliti insondabili motivi per cui presso il pubblico alcune storie facevano presa ed altre no.
La vicenda inizia con i due protagonisti, i giovani danesi Dick Butler e Ingrid Sjoman che varcano la frontiera italiana (lasciando allo stupefatto doganiere un opuscolo con foto pornografiche) diretti in Toscana.
Qui Ingrid tenta di mollare delle sue foto sexy, scattate in una cabina fotografica, a un maturo signore che in realtà è della polizia.
Portati in questura, i due vengono redarguiti e subito dopo liberati, ma sono senza soldi e con la loro spider a corto di benzina.
Così il loro viaggio termina davanti ad una lussuosa villa, dove vediamo Dick tentare di rubare dal serbatoio di un auto della benzina; ma il giovane viene sorpreso sul fatto dalla padrona di casa, la signora Barbara Slesar moglie di un diplomatico.
La donna decide di donare ospitalità alla coppia di giovani che ovviamente accettano; quello che non possono sapere è che Barbara Slesar ha appena ucciso suo marito e ne ha nascosto il corpo in una vettura in garage.
La diabolica donna ordisce un piano per appioppare il delitto ai due ragazzi; nel frattempo si concede anche una scappatella con Dick suscitando l’ira di Ingrid.
Ma alla fine i due ragazzi scoprono il piano della donna, ma sfortunatamente per loro le cose si incastrano in maniera diabolica, tanto che devono ancora una volta fuggire.
Sulla strada, dopo essersi fermati a fare un bagno, vengono intercettati dalla polizia e nel disperato tentativo di fuggire finiscono giù per una scarpata perdendo la vita. La signora Slesar così ha ottenuto quello che voleva.
Nessuna scena di sangue, nessun omicidio, se non quello del signor Slesar che peraltro vediamo già cadavere nel bagagliaio dell’auto.
Siamo di fronte quindi ad un dramma giocato sulla tensione e sulla caratterizzazione dei tre personaggi principali.
Se Ingrid e Dick ci appaiono come due hippy giramondo, liberi sessualmente e liberi sopratutto da vincoli logistici o famigliari, la signora Slesar è la classica borghese annoiata che approfitta biecamente della presenza dei due giovani per concedersi sia una fugace avventura con Dick sia (cosa ben più importante) per rifilare loro l’omicidio del marito.
E il caso vuole che alla fine il delitto paghi, visto che i due giovani periscono e la donna venga salvata proprio dall’incidente mortale in cui incappano Dick e Ingrid che non potranno così raccontare la loro versione dei fatti.
Un film interessante, aldilà delle valutazioni personali di Lenzi; se la trama non presenta particolari elementi di novità, vista l’eliminazione del discorso droga che probabilmente avrebbe arricchito la storia di implicazioni socio-culturali, Lenzi dirige con mano ferma un cupo dramma in cui alla mancanza di azione si sostituisce la buona caratterizzazione dei personaggi.
Una buona metà e più del film si svolge all’interno di casa Slesar, con alcuni momenti davvero felici; la scoperta del cadavere del diplomatico da parte dei due giovani, la felice scena del tentativo di tortura di Barbara da parte di Dick, la movimentata notte in cui i due giovani sono costretti a fuggire e infine l’inseguimento mortale sono scene ben dirette e di un certo pathos.
Nel cast troviamo tre attori che svolgono egregiamente i ruoli a loro assegnati; bene lo scanzonato Ray Lovelock, molto bene la giovane e affascinante Ornella Muti nei panni di Ingrid, bene la Papas in quello di Barbara.
Per quanto riguarda la Muti, c’è una curiosità da rimarcare; le fugaci scene di nudo che la vedono protagonista in realtà vennero girate con l’ausilio di una controfigura.
L’attrice romana all’epoca in cui venne girato il film non aveva ancora 16 anni e quindi venne sostituita da Antonia Santilli, attrice di buone qualità che però nel corso della sua carriera non ebbe molta fortuna, finendo per interpretare una decina di film tra il 1972 e il 1974, tra i quali i decamerotici Fratello homo sorella bona,Decameroticus e Boccaccio.
Le musiche del film, discrete, sono del compianto Bruno Lauzi mentre la produzione è del grande Carlo Ponti che in seguito ad una lite con Lenzi non affidò più sue produzioni al regista toscano.
Sicuramente un film sottovalutato, che invece vale davvero una visione, sopratutto oggi che il film stesso è stato rieditato in versione digitale.
Un posto ideale per uccidere
Un film di Umberto Lenzi. Con Irene Papas, Ornella Muti, Ray Lovelock, Jacques Stany,Umberto Raho, Calisto Calisti, Umberto D’Orsi, Franco Ressel, Sal Borgese, Ugo Adinolfi, Michel Bardinet Poliziesco, durata 90 min. – Italia 1971.
Ornella Muti
Ray Lovelock
Irene Papas
Irene Papas: Barbara Slesar
Ornella Muti: Ingrid Sjoman
Ray Lovelock: Dick Butler
Michel Bardinet: Baratti
Jacques Stany: Ufficiale di polizia
Calisto Calisti: Ispettore di polizia
Antonio Mellino:Agostino
Sal Borgese: amico di Agostino
Regia Umberto Lenzi
Soggetto Umberto Lenzi
Sceneggiatura Umberto Lenzi, Lucia Drudi Demby, Antonio Altoviti
Produttore Carlo Ponti
Fotografia Alfio Contini
Montaggio Eugenio Alabiso
Musiche Bruno Lauzi
Murderock-uccide a passo di danza
Candice Norman è una bellissima donna che in passato è stata una brava ballerina prima di dover smettere per colpa di un incidente stradale.
Dirige una scuola di danza in cui ballerini e ballerine di una certa abilità cercano il perfezionamento delle loro doti in attesa di avere un colpo di fortuna che li proietti in un musical o che comunque spiani loro la strada verso la celebrità.
Ma all’improvviso nella scuola si scatena un’ondata di omicidi apparentemente senza spiegazioni; alcune ballerine vengono barbaramente uccise con uno spillone conficcato nel cuore subito dopo essere state narcotizzate con del cloroformio.
La stessa Candice da quel momento vive una situazione da incubo: in sogno vede un uomo che tenta di ucciderla con il modus operandi del killer che sta facendo strage di ballerine.
L’uomo è un fotomodello di nome George Webb e Candice alla fine riesce a trovarlo, ma inspiegabilmente invece di denunciarlo ne diventa l’amante.
Nel frattempo il commissario Borges che è incaricato di svolgere le indagini brancola nel buio, in quanto ai feroci omicidi manca sia un movente che una relazione tra le vittime, se non quella costituita dall’appartenenza delle vittime alla scuola professionale di danza.
Dopo un colloquio con Candice, Borges crede di aver identificato il misterioso killer in George Webb, ma ben presto dovrà ricredersi, prima di arrivare alla sconvolgente verità….
Murderock – uccide a passo di danza è un film diretto nel 1984 da Lucio Fulci, reduce da una serie altalenante di prove da regista sopratutto nel campo dell’horror puro.
Dico subito che Murderock è un giallo/thriller che a mala pena raggiunge la sufficienza sopratutto dopo l’ultima grande prova che il regista romano aveva dato dirigendo uno dei thriller più interessanti dell’intero decennio settanta, ovvero Sette note in nero da lui diretto nel 1977.
Siamo purtroppo lontanissimi dal risultato qualitativo del film citato; Fulci che ormai è abitato alle atmosfere horror dei film che ha diretto da allora in poi sembra quasi dimenticare l’originalità e l’innovazione che erano stati i punti di forza di film come Una lucertola con la pelle di donna e dello stesso Sette note in nero.
L’incubo di Candice
Olga Karlatos è Candice
L’atmosfera è troppo “argentiana”, la storia abbastanza risibile e per colmo di sventura anche poco appassionante.
Colpa di una serie di fattori concomitanti; la sceneggiatura è lacunosa, nel film manca una tensione continua che appare solo a sprazzi, la colonna sonora di Emerson è sparata oltre i limiti della decenza, il finale è banale e quasi scontato.
Forse può sembrare una recensione troppo cattiva, ma va detto che Fulci e questo thriller appaiono corpi estranei.
Il meglio di se il maestro romano l’ha dato con film come Non si sevizia un paperino (1972), con il graffiante
All’onorevole piacciono le donne (Nonostante le apparenze… e purché la nazione non lo sappia) (1972), con il sensuale Una sull’altra (1969).
In Murderock il mestiere c’è, ma manca il guizzo; la regia è piatta e testimonia di una fase involutiva che il regista imbocca e che lo porterà a dirigere opere assolutamente incolori come Quando Alice ruppe lo specchio (1988) quando non anche assolutamente inguardabili come nel caso di Il fantasma di Sodoma (1988)
Qualche sprazzo luminoso, ma ad abbondare sono le zone d’ombra.
Il cast vede svettare i tre protagonisti principali, ovvero la bella Olga Karlatos nei panni di Candice, la solita sicurezza rappresentata da Ray Lovelock che interpreta George Webb e da Claudio Cassinelli nei panni del commissario Borges.
Il resto è buio totale, con attori che sono molto al di sotto della sufficienza.
Un’opera quindi se non da dimenticare da guardare con poca simpatia.
Murderock – Uccide a passo di danza
Un film di Lucio Fulci. Con Olga Karlatos, Ray Lovelock, Claudio Cassinelli, Cosimo Cinieri, Christian Borromeo Thriller, durata 96 min. – Italia 1984.
La paura negli occhi di Candice
Olga Karlatos: Candice Norman
Ray Lovelock: George Webb
Claudio Cassinelli: Dick Gibson
Giuseppe Mannajuolo: professor Davis
Cosimo Cinieri: Borges
Belinda Busato: Gloria Weston
Berna Maria do Carmo: Joan
Maria Vittoria Tolazzi: Jill
Geretta Marie Fields: Margie
Christian Borromeo: Willy Stark
Carla Buzzanca: Janice
Angela Lemerman: Susan
Robert Gligorov: Bert
Carlo Caldera: Bob
Riccardo Parisio Perrotti: Steiner
Giovanni De Nava: portinaio
Al Cliver: analista della voce
Silvia Collatina: Molly
Lucio Fulci: Phil
Regia Lucio Fulci
Soggetto Gianfranco Clerici, Vincenzo Mannino, Lucio Fulci
Sceneggiatura Gianfranco Clerici, Vincenzo Mannino, Roberto Gianviti, Lucio Fulci
Produttore Augusto Caminito, Sergio Iacobis, Piero Lazzari
Produttore esecutivo Gabriele Silvestri
Casa di produzione Scena Film
Distribuzione (Italia) CDE – Compagnia Distribuzione Europea
Fotografia Giuseppe Pinori
Montaggio Vincenzo Tomassi
Musiche Keith Emerson
Scenografia Paolo Biagetti
Costumi Michela Gisotti
Trucco Franco Casagni
Delusione. Un film a-centrico, nel senso che manca di corpo centrale, di una parvenza di linearità di trama. Presenta invece parentesi talora strambe, talora semivuote, con l’aggravante di avere una soluzione di una banalità sconcertante. Non si sevizia un paperino, scusate ora la mia banalità, è di un altro pianeta.
I gusti di B. Legnani
Un thriller sensuale, ben sviluppato e ispirato, oltreché dal musical Flashdance, dai classici gialli anni ’70. Fulci imprime un ritmo serrato, ben sostenuto dalle musiche di Keith Emerson e privo di banali (e facili) sequenze splatter. Il killer uccide in maniera sorprendentemente delicata (previa anestesia), trapassando con spillone i morbidi (e giovani) seni delle sensuali ballerine. La Karlatos ha un ché di magnetico (e tristemente infelice) aspetto che trasuda da ogni poro ma soprattutto dai glaciali occhi… Malinconico.
I gusti di Undying
Altra prova dell’eclettismo di Fulci che, accantonati gli eccessi del precedente Lo squartatore, mette in scena un giallo delicato e praticamente senza sangue, cavalcando l’onda dei coevi film sulle scuole di ballo e della passione per i videoclip. Richiami a Una lucertola (il personaggio della Karlatos e i suoi incubi) e un finale che anticipa Fatal frames. Sensuali i passi di danza delle belle e giovani ballerine al ritmo delle incalzanti musiche di Emerson.
Passo che indirizza il caro Lucio verso il viale del tramonto, da lì in poi tristemente percorso saltando con l’asta. Un canovaccio agatachristiano con echi lucertoleschi e invidie alla “Saranno famosi”, intercalato da goffe coreografie che manco le peggiori performance di “Amici”, e ritmicamente scandito da uno spillone-metronomo che decima scarsi comprimari che altro non meritano che di sparire di scena. Piace tuttavia che Fulci onori la classica formula dell’whodoneit-cavalcata da un Cinieri in gran forma- accantonando una tantum le iperboli splatter.
Filmettino fulciano dalle chiare coloriture “argentiane”: la scuola di danza viene dritta da “Suspiria” e la scelta di Keith Emerson per la colonna sonora (brutta) ricorda “Inferno”. Giallo di una pochezza sconcertante (con omicidi a base di spilloni) che non riesce minimamente ad avvincere e creare tensione. Tra i peggiori film del regista romano.
Fulci torna al giallo all’italiana, ma purtroppo lo fa contaminandolo con il genere alla “saranno famosi”. Ne esce un ibrido che, soprattutto nella prima parte, risulta noioso e ripetitivo (se si levano le scene inutili dedicate al ballo, rimane molto meno di un’ora di spettacolo). Gli attori sono sulla sufficienza e anche sotto, le musiche di Emerson non sono degne di essere ricordate. Pastrocchio totale allora? No, fortunatamente alcune scene ben girate ci sono, anche se il film rimane sotto la sufficienza piena.
Fulci dirige un buon giallo, anche accantonando le scene sanguinolente. Oltre a una serie di buoni colpi di scena, il film viene sorretto dalle solide interpretazioni di attori come la Karlatos (che torna a recitare per Fulci dopo Zombi 2) e Lovelock (e c’è pure Borromeo). Come è stato giustamente descritto, un Flashdance in chiave gialla, da vedere. Nient’affatto un Fulci minore: crea ottime scene di tensione.
Thriller appena passabile. Il primo tempo è lento e piuttosto noioso ma nel secondo il film decolla e diventa abbastanza godibile. Davvero niente male l’ultimo colpo di scena. Buona la regia di Fulci, insolitamente cupa la fotografia, discrete le musiche di Emerson, buono il cast. Quasi totalmente assenti le scene violente.
In questo film (bello il titolo) troviamo una sorta di “Saranno famosi” in chiave thriller-orrorifica, al quale si aggiungono alcuni spunti del “giallo solare” per eccellenza quale è l’argentiano Tenebre, uscito appena l’anno prima. Insomma, niente di nuovo, d’altronde Fulci ci ha abituati a queste operazioni. Tolti gli interminabili balletti (sfiancanti), rimane un giallo di discreta qualità e con alcuni guizzi di genio tipici del regista.
Invecchiato male, questo giallo del grande Fulci; le terrificanti musiche di Emerson, interminabili balletti, scenografie povere, una fotografia spenta e un clima dimesso, danno proprio una sensazione di “vecchiume” che non si riscontra normalmente nel cinema del regista. A parte una tipica misoginia di fondo tutta fulciana, la trama è così così, con uno svolgimento abbastanza ripetitivo e una soluzione finale francamente forzata ed improbabile. Tutto sommato un prodotto professionale, ma superfluo e un po’ scialbo; alquanto trascurabile. **
La settima donna
La vita di un gruppo di ragazze, di una donna di servizio e di una suora, intente a provare la recitazione di un testo di Shakespeare per la recita di fine anno,tranquilla e pacifica, viene brutalmente sconvolta dall’arrivo di tre spietati banditi, schakal, come li chiamerà la versione tedesca del film;
i tre delinquenti, reduci da una sanguinosa rapina in banca, come primo atto di violenza massacrano la donna di servizio con un ferro da stiro. Subito dopo iniziano a torturare sia psicologicamente che fisicamente il gruppo di ragazze.
Florinda Bolkan è Suor Cristina
In due violentano contemporaneamente una di esse, mentre uno dei banditi è truccato vistosamente da donna. La ragazza farà una brutta fine, verrà impalata senza pietà.
Poi tocca a suor Cristina subire l’oltraggio della violenza carnale. Un’altra ragazza viene brutalmente violentata, e il suo carnefice, l’indomani, al rifiuto della ragazza di portargli un fumetto, la colpisce al volto senza pietà con una pedata. Le efferatezze continuano, mentre suor Cristina e le ragazze superstiti, terrorizzate, subiscono.
Ma la violenza subita provoca la reazione della religiosa, che, sciogliendo i suoi voti, dapprima avvelena uno dei banditi, uccide l’altro con la pistola e dopo un drammatico confronto, riesce a far cadere in trappola l’ultimo superstite e lo abbandona alla violenza delle ragazze, che lo uccidono a bastonate.
La settima donna, conosciuto in America come Terror venne girato da Franco Prosperi nel 1978, con una splendida e intensa Florinda Bolkan nel ruolo di suor Cristina. Un film che si discosta dalla produzione horror thriller non solo per la trama, ma per la sobrietà della recitazione e per l’intensità della violenza utilizzata, che però non sfocia mai nell’esagerazione. Belle le musiche e la fotografia, per un film sicuramente da riscoprire.
La settima donna, un film di Franco Prosperi, con Florinda Bolkan, Ray Lovelock, Flavio Andreini, Laura Trotter,Sherry Buchanan
Giallo, durata 93 min. – Italia 1978.
Florinda Bolkan … Suor Cristina
Ray Lovelock … Aldo
Flavio Andreini … Walter
Sherry Buchanan Lisa
Stefano Cedrati … Nino
Laura Tanziani
Laura Trotter
Karina Verlier
Luisa Maneri … Matilde
Regia di : Franco Prosperi
Sceneggiatura: Ettore Sanzò
Screenplay: Romano Migliorini,Gianbattista Mussetto
Produzione: Pino Buricchi .
Musiche: Roberto Pregadio
Film editing: Francesco Malvestito
Costumi: Dario Micheli
Citazioni:
“Meglio una ragazza violentata che una vergine morta“
“Io le conosco quelle come te: moquette, doppi servizi, marito con l’ulcera, figli programmati… Credo che quando tutto questo sarà finito mi rimpiangerai“