Il giocattolo
La rivincita di un uomo qualunque.O anche la giustizia fai da te che si sostituisce all’ordine costituito.O ancora una pistola come prolunga fallica in grado di diventare una ragione di vita.O altro ancora,scegliete voi.Le chiavi di lettura di Il giocattolo sono tante,molteplici.
E ognuna si incastra perfettamente nella sceneggiatura del film che Giuliano Montaldo dirige nel 1979 in un momento storico particolarmente confuso;l’Italia è ancora sotto choc dal cruento episodio di Via Fani,durante il quale ha scoperto un terrorismo ormai avviato allo scontro frontale con lo stato e senza più mediazioni.La parabola crudele e violenta del terrorismo stesso sta per volgere al termine (anche se ci saranno colpi di coda negli anni 80) ma questo gli italiani non lo sanno.C’è solo molta paura,in giro,c’è voglia di sicurezza,di tranquillità.Invece gli episodi cruenti legati al terrorismo e alla malavita organizzata (sono gli anni della banda della Magliana) hanno diffuso insicurezza e instabilità.
Montaldo scrive una sceneggiatura in cui questi temi entrano da una porta secondaria,almeno all’apparenza;viceversa una lettura attenta propongono drammaticamente sullo sfondo le vere motivazioni del film,nel quale il personaggio di Barletta,uomo placido e dalla vita qualunque viene coinvolto in qualcosa molto più grande di lui e finisce per diventare un simbolo della ribellione del cittadino qualsiasi alla violenza quotidiana.Ma non bisogna farsi attrarre dalla facile lettura univoca di questo aspetto del film;nello stesso sono toccati più temi,quello dell’amicizia e quello del quotidiano di una vita anonima,quello del sociale e quello del quotidiano di tutti coloro che si trovarono a vivere quegli anni straordinari ma al tempo stesso così complicati,in un periodo storico che traghettò l’Italia dagli anni di piombo agli incredibili anni ottanta,quelli del tutto è a portata di mano e quelli della vita da cicale che avrebbero fatto da incubatrice alla grande crisi socio economica degli anni duemila.
Il protagonista della pellicola è un uomo assolutamente e totalmente anonimo, il ragionier Vittorio Barletta;vita tranquilla,una delle tantissime nascoste nelle pieghe di una metropoli violenta e disumanizzante,vita condizionata dalla frustrazione sul lavoro ma sopratutto dalle precarie condizioni di salute di sua moglie Ada.L’unica consolazione del “ragiunier” sono gli orologi,che Vittorio ama e ai quali dedica il tempo libero;il lavoro è frustrante,sopratutto perchè Vittorio lo svolge alle dipendenze di un suo ex compagno di scuola,Nicola Griffo, che lo fa lavorare alle sue dipendenze non certo per amicizia.Griffo è un’affarista senza scrupoli,che ha trovato in Vittorio un comodo e servile collaboratore sul quale scaricare le eventuali responsabilità di affari sporchi nei quali quotidianamente si muove.
Così Vittorio divide un’esistenza soffocante, disumanizzante, stretto fra una falsa amicizia,un lavoro insoddisfacente e una moglie malata.Sarà una rapina in un supermercato a segnare una svolta imprevedibile nella sua vita.Coinvolto nella sparatoria seguente all’atto criminale,Vittorio resta ferito seriamente ad una gamba;durante la riabilitazione conosce un poliziotto,Sauro Civera,che gli mostra immediatamente simpatia.Vittorio è meridionale come Sauro,napoletano;la matrice comune,l’identità che i due ritrovano nel sentire e nel vedere,in quell’essere emigrati in una terra fondamentalmente ostile li avvicina e tra loro nasce un rispetto e un’amicizia solida.
Sarà il poliziotto a cambiare per sempre la vita di Vittorio il giorno in cui lo porta ad un poligono e gli fa sparare i primi colpi di pistola.Sotto lo sguardo allibito dell’istruttore del poligono (il compianto Daniele Formica),Vittorio mostra un talento naturale nell’uso della pistola tanto da centrare tutti i bersagli.Sauro regala a Vittorio una pistola,che lo stesso avrà modo di usare contro un bersaglio umano una sera nella quale le vite dei due finiscono per dividersi definitivamente;Sauro muore in un conflitto a fuoco e Vittorio uccide uno dei banditi.
Per il ragionier Barletta la vita diventa un incubo.Se per i cittadini è un eroe che ha fatto vendetta da se,per i malviventi è diventato un nemico.Vittorio viene perseguitato con minacce,mentre la situazione di salute di sua moglie continuano a peggiorare.Con il cuore colmo di angoscia la vita prosegue,ma sempre più alienante;una sera Vittorio viene circondato da alcuni malviventi. Dopo aver finto paura,spara e ferisce alcuni malviventi.Ora non è più solo un giustiziere ma anche un uomo pericoloso,che la polizia incrimina per eccesso di legittima difesa.La situazione precipita.Vittorio viene incarcerato proprio mentre sua moglie si aggrava;una sera riceve la visita della figlia di Griffo,Patrizia,che lo seduce e poi racconta tutto a suo padre.Griffo decide di licenziare Vittorio,non prima di essersi re intestato conti e danari detenuti da Vittorio.Ora per il ragioniere è davvero finita.
Medita vendetta e di usare per l’ultima volta il giocattolo,la sua fedele pistola ma…Un Nino Manfredi una volta tanto non romano presta il volto all’anonimo Vittorio Barletta con misura e drammaticità,come del resto richiesto dalla sceneggiatura.Alla quale collaborò lo stesso attore ciociaro,mostrando la sua poliedricità come autore e sopratutto un camaleontismo incredibile come attore.Basti pensare alle due grandi interpretazioni successive in Cafè express e in Nudo di donna (terza e ultima regia dell’attore),in cui metterà in scena due personaggi differenti e complessi.
Il giocattolo è un film molto interessante, al quale si può riconoscere un difetto grosso anche se non capitale,ovvero l’aver voluto mettere troppa carne al fuoco contemporaneamente alla descrizione della figura,tutto sommato dolente,di un ragioniere qualsiasi alle prese con vicende troppo più grandi di lui.Ma la regia scorre veloce e grazie ad un cast estremamente misurato e di valore naviga a gonfie vele fino all’amaro finale e alle parole profetiche (un po retoriche) che Barletta e sua moglie pronunciano,
””Ma dove sono tutti?”
“E dove sono? Sono tutti lì davanti alla televisione!”
“Ma qualcuno avrà pure sentito lo sparo…?”
“Ma ormai chi vuoi che s’accorga di un colpo di pistola?”
Una resa del cittadino qualunque che capisce di essere un granello di sabbia in un deserto.Sicuramente a tratti affiora l’ombra del qualunquismo,alcune scene e alcuni concetti sono davvero tagliati con l’accetta.Ma l’impianto narrativo resta di prim’ordine e la maschera dolente di Manfredi copre alcune inevitabili grossolanità della trama.Tributi a Un borghese piccolo piccolo di Monicelli (la vendettad i un uomo qualsiasi in questo caso sull’assassino del figlio),Il giustiziere della notte (un uomo abile con la pistola fa giustizia da se) e L’arma di Squitieri.Per quanto riguarda il citato cast,straordinario Arnoldo Foa, unico nei ruoli di “antipatico”,che spesso gli venivano affidati per quella sua aria a metà strada tra il canagliesco e l’aristocratico.Bravissimo il compianto Vittorio Mezzogiorno,bravissimo nel ruolo del poliziotto Sauro che inizierà Barletta all’uso della pistola,mentre decisamente brave sono le principali interpreti femminili,ovvero Marlene Jobert che rende perfettamente la fragile e malata Ada,Pamela Villoresi nel ruolo della figlia di Griffo,Patrizia (memorabile la scena dei “gorillini”che intende rifilare al padre) e infine Olga Karlatos,nobile e bellissima nel ruolo della moglie dello scaltro Nicola Griffo.
Molte luci,mescolate a diverse ombre; Montaldo passa dalle biopic Giordano Bruno e Sacco e Vanzetti ad una storia che comunque affonda le radici nella storia degli anni di piombo.Lo fa a modo suo,con lucidità ma anche con mano pesante.Un film controverso,comunque da vedere.
Pur passando spesso in tv,Il giocattolo non ha ancora una versione digitale.E’ presente in una versione presa dalla tv su You tube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=f8Hif5fxvTU
Il giocattolo
Un film di Giuliano Montaldo. Con Nino Manfredi, Olga Karlatos, Marlène Jobert, Pamela Villoresi, Arnoldo Foà, Vittorio Mezzogiorno, Loris Bazzocchi, Mario Brega, Mario Cecchi, Carlo Bagno, Luciano Catenacci, Arnaldo Ninchi, Renato Scarpa, Daniele Formica Drammatico, durata 118 min. – Italia 1979
Nino Manfredi: Il ragioniere Vittorio Barletta
Olga Karlatos: Laura Griffo
Marlène Jobert: Ada, sua moglie
Pamela Villoresi: Patrizia Griffo
Arnoldo Foà: Nicola Griffo
Vittorio Mezzogiorno: Sauro Civera
Loris Bazzocchi
Mario Brega: Un rapinatore
Mario Cecchi
Carlo Bagno: Lo scopino del carcere
Luciano Catenacci: “Gorilla” di Griffo
Arnaldo Ninchi: L’intervistatore della tv
Renato Scarpa: L’armaiuolo
Daniele Formica: Gualtiero l’istruttore di tiro
Margherita Horowitz: Proprietaria della pizzeria
Regia Giuliano Montaldo
Soggetto Sergio Donati
Sceneggiatura Sergio Donati, Giuliano Montaldo, Nino Manfredi
Produttore Claudio Mancini, Sergio Leone
Fotografia Ennio Guarnieri
Montaggio Nino Baragli
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Luigi Scaccianoce
Costumi Franco Carretti, Erminia Ferrari Manfredi
“Eh, non lo so! Oggi si rischia la vita tutti i minuti; vale la pena di curarsi il mal di testa? Non lo so, fai te!”
“Questa è una 38 con bam masterpiece, canna da 165, 1332 gr. di peso, massima precisione, è un fatto di balistica, ma voi che cazzo ne sapete di balistica?”
L’opinione di Will Kane dal sito www.filmtv.it
Inquadrato fin dall’inizio come un uomo pavido e alle prese con situazioni troppo grosse per lui, Vittorio è un ometto sulla cinquantina senza pretese, che conduce una vita familiare monotona, ha una moglie con cui comunica relativamente, e spesso preferisce occuparsi della riparazione della sua collezione di orologi:fin quando non si ritrova nel bel mezzo di una rapina in un supermercato, dopodichè gli entra una fissa per le pistole e monta in lui una paranoia sempre crescente che lo porta ad affezionarsi troppo al peso di un’arma in mano. Su un tema del genere uscì, quasi contemporaneamente, “L’arma” di Squitieri con Stefano Satta Flores, ed è chiarissimo il riferimento all’operazione di Monicelli-Sordi con la riuscita di “Un borghese piccolo piccolo”. Anche se il cast tecnico è di prima categoria(Morricone però fa un pò troppo il verso a se stesso e “Indagine su un cittadino…”), Montaldo infarcisce di eccessi retorici copione e film fino a renderlo da drammatico grottesco, vedasi l’incredibile declamazione finale in una scena altrimenti di forte impatto, e non sfrutta bene un Manfredi che vorrebbe ripetere il numero di Albertone in veste violenta:abbastanza ambiguo nella fin troppo sottolineata tesi di base( la violenza è punita solo se a praticarla è un poveraccio come il protagonista? e allora che deve fare un uomo per recuperare rispetto e dignità, secondo la sceneggiatura), “Il giocattolo” sembra andare avanti a tastoni, dimenticandosi di un personaggio imprescindibile per la storia come quello di Vittorio Mezzogiorno dopo la sua dipartita.E se la coppia al centro della vicenda ha momenti di credibilità concreta, soprattutto quando l’uomo, di fronte alle difficoltà adotta un modo di reagire bambinesco e passivo, molti dei personaggi di contorno sembrano tagliati con l’accetta.
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
B. Legnani
Incredibile come il film, dopo un primo tempo davvero buono, crolli nel secondo, laddove l’accettabile romanzesco si fa inverosimiglianza allo stato puro, ma non quella che s’amalgama col grottesco, bensì quella che fa dire “ma non è possibile…”, fino al bruttissimo, gratuito finale (non sapevano come chiudere il film?). Manfredi bravissimo, anche se talora la sagace ironia tipica dei suoi caratteri non si sposa benissimo col personaggio. Grandi pure Foà e Mezzogiorno: molto più del film, se viene preso nel suo complesso.
Galbo
Vero e proprio noir italiano, il film di Giuliano Montaldo è per molti versi complementare al capolavoro di Monicelli Un borghese piccolo piccolo. Gran parte del merito per la riuscita del film va ad un ottimo Nino Manfredi, che riesce a rendere con molta efficacia il ruolo di un uomo qualunque, completamente soggiogato dal possesso di un’arma che diventa mezzo per l’affermazione della propria personalità.
Homesick
Storia tragica che affronta i temi della delinquenza dilagante, il diritto alla legittima autodifesa, i rischi della giustizia privata, lo sciacallaggio e il cinismo dei giornalisti, le contraddizioni della legge. Superlativi Manfredi, che passa con disinvoltura dal comico al drammatico, lo spregiudicato affarista Foà, la malinconica ed apprensiva Jobert, la ninfomane Villoresi, il gagliardo Mezzogiorno. Da vedersi parallelamente a L’arma di Squitieri, con il quale, tra l’altro, condivide l’idea della pistola come estremo rimedio ad una virilità frustrata.
Markus
Il regista Giuliano Montaldo si cimenta nella commedia, narrando la vicenda drammatica di un modesto ragioniere, timido e riservato di giorno, ma giustiziere di notte (il richiamo a Il giustiziere della notte è evidente), adattandolo al clima terroristico dei nostri anni di piombo e aggiungendoci l’aggravante di aspetti psicologici che turbano il rapporto di coppia tra il ragioniere e la moglie, oltre che molti aspetti della società malsana, per altro ancora molto attuali.
Cangaceiro
Altra variazione italiana sul tema de Il giustiziere della notte dopo Un borghese piccolo piccolo. Manfredi dosa bene il suo sarcasmo e conferma una volta di più la propria bravura nei panni del povero Cristo solo e sprovveduto con moglie malaticcia a carico. Montaldo conferisce alla vicenda un’atmosfera cupa e plumbea che colpisce molto. La storia però soprattutto nella seconda parte perde di veridicità, risultando approssimativa, con un finale troppo melodrammatico e improbabile. Perfetta comparsata di Mezzogiorno, ossessive le musiche di Morricone.
Dedicato al mare Egeo
Masuo Ikeda era uno scrittore, illustratore,ceramista, scultore e incisore giapponese prestato al cinema in due occasioni; nella prima di queste scrisse e diresse Dedicato al mare Egeo, tratto da una sua storia dal titolo omonimo che ebbe un qualche successo in Giappone, vincendo il prestigioso Premio Akutagawa. Tante attività svolte brillantemente, alle quali però non può di certo essere aggiunta, almeno al livello di abilità conseguita, quella di regista di valore. Il film in questione, Dedicato al mare Egeo, uscito nelle sale senza alcuna visibilità nel 1979, è infatti una pellicola noiosa in maniera esemplare, una summa di quello che bisogna evitare allo spettatore che incautamente incespica in una pellicola come questa caratterizzata da una piattezza di narrazione elevata al sublime. La trama, ridotta all’osso ( e del resto c’è ben poco da raccontare) ci porta sulle orme di Nikos, giovane pittore di origine greca che frequenta una scuola d’arte e che vive temporaneamente presso Elda, una bella donna divorziata e con una figlia con seri problemi.
Come ovviamente prevedibile, tra i due nasce la passione e Nikos diventa l’amante della donna, stringendo contemporaneamente un bel legame con la figlia della donna, Lisa. La quale però sviluppa ben presto un’attrazione morbosa per Nikos. Il giovane, per guadagnare due soldi, accetta di diventare modello per la fotografa Gloria, che ha già una modella che presta saltuariamente il suo corpo per delle foto scattate dalla stessa Gloria. Anita, la modella, è una donna disinibita e ben presto seduce Nikos; il marito di Elda informa l’ex moglie della cosa, e naturalmente la reazione della donna è delle peggiori. Durante un viaggio in Grecia accade però qualcosa di tragico… Sospendo qua la narrazione della trama e non certo perché il finale riservi chissà quale sorpresa:anzi, se c’è una cosa che getta a mare quel pochissimo di buono che si era visto fino a questo momento è proprio la fine ridicola e francamente illogica della pellicola stessa. Spacciato come un film erotico, Dedicato al mar Egeo
in realtà non a quasi nulla di erotico, così come il titolo è assolutamente fuorviante su una presunta location greca; le uniche scene blandamente erotiche sono girate praticamente al buio mentre abbondano i nudi di Ilona Staller, una delle protagoniste del film. Poiché del film non “dovrebbe” esistere una versione digitale, chiunque abbia visto le rare riduzioni da VHS avrà notato che la riduzione stessa presenta la censura operata dal mercato giapponese, che prevede per le inquadrature delle parti intime una pecetta bianca. Così chi vede la pellicola finisce per perdere forse l’unica attrattiva del film, ovvero le nudità generosamente esposte di Ilona Staller. Che, come attrice, ha tante pecche come il protagonista maschile del film, l’attore di fotoromanzi Claudio Aliotti, qui in una delle sue nove apparizioni cinematografiche; di ben altro calibro ovviamente la presenza di Olga Karlatos, una delle attrici peggio utilizzate dal cinema negli anni settanta e che è l’unica ad avere doti recitative a sufficienza.
Di scarso peso la presenza di Stefania Casini, mentre il decantato mar Egeo compare in pratica sul finale del film e fa da sfondo alla quasi folle sequenza finale, che purtroppo, come già detto, chiude in maniera pessima un film di per se deludentissimo. Brutto film, quindi, insipido e senza alcun interesse, con l’unico pregio di una gradevole colonna sonora firmata dal grande Ennio Morricone Nel web è presente l’unica versione ad oggi conosciuta della pellicola, ricavata da una VHS destinata al mercato giapponese, di scarsissima qualità, con sottotitoli in giapponese e censurata in alcune parti.Il link per vedere il film è il seguente: http://my.mail.ru/video/mail/vm_gluschenko/104076/104090.html#video=/mail/vm_gluschenko/104076/104090
Dedicato al mare Egeo di Masuo Ikeda, con Claudio Aliotti,Stefania Casini,Sandra Dobrigna,Olga Karlatos,Ilona Staller Drammatico, Italia 1979
Claudio Aliotti … Nikos Stefania Casini … Gloria Sandra Dobrigna …Lisa Olga Karlatos … Elda Ilona Staller … Anita
Regia: Masuo Ikeda Soggetto: Masuo Ikeda Musiche:Ennio Morricone Fotografia:Mario Vulpiani Montaggio:Mario Morra
L’opinione di Ronax dal sito http://www.davinotti.com Tanto per cominciare il titolo c’entra poco o nulla, visto che il Mar Egeo entra in scena solo nel finale e ha unicamente il ruolo di rassegnato spettatore dell’epilogo di questo grottesco melodrammone erotico girato dal giapponese Masuo Ikeda in vacanza fra Roma e la Grecia. Forse mai distribuito in Italia e oggi disponibile solo su un supporto nipponico con ridicole pecette censorie sul pube della Staller, il film è una somma di situazioni insensate e dialoghi insopportabili resi ancora più atroci da una recitazione canina. Evitabilissimo. L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com Tarda produzione anni Settanta, eredita umori samperiani e punta tutto sulla carta della bellezza: la bellezza del corpo femminile (prima i nudi “accademici”, poi quelli della Karlatos, della Staller e della Casini), del paesaggio naturale (l’incontaminato Mar Egeo) e delle musiche (Morricone con apporti vocali della Dell’Orso). Questo consente di prevenire i possibili agguati della noia provocata da una sceneggiatura poco brillante – financo con maldestri risvolti onirici – e un finale tanto prevedibile quanto improbabile. L’opinione di Ilgobbo dal sito http://www.davinotti.com Nikos, squattrinato e svogliato studente d’arte a Roma, se la fa con la padrona di casa, che vive con una strana bambina. Ma un incontro casuale… Erotico con pretese artistiche del giapponese Ikeda, costellato di inquadrature pretenziose e dialoghi terrificanti, musicati da Morricone con tanti sospirini e sospironi di Edda Dell’Orso: praticamente un trionfo del kitsch, specie nell’ultima parte che si svolge in Grecia. Le bellone del film si danno tutte un gran daffare, inutile dire che è Cicciolina a regalare i numeri migliori.
Track list della colonna sonora
01 – Dedicato al Mare Egeo 02 – Un Grido 03 – Lisa E Nikos 04 – Cavallina A Cavallo 05 – E Fuggi Via 06 – Un Songno Al Sole 07 – Lisa Del Mare Egeo 08 – Vedere E Non Sapere 09 – Tre Per Tre 10 – La Donna Della Finestra Difronte 11 – Dedicato Al Mare Egeo 12 – Cavallina A Cavallo 13 – Dedicato Al Mare Egeo (Masuo Ikeda) 14 – Lida Del Mare Egeo (Masuo Ikeda) 15 – Dedicato Al Mare Egeo (Masuo Ikeda, Ruggero Gatti)
Tortura
“Un’ultima cosa: sappi che se dovesse succedermi qualcosa,sappi che nella vita non ho provato maggior sofferenza che aver dato la tortura al tuo corpo nudo”
L’invisibile Hamdias parla tramite un nastro registrato ad un’altra invisibile, Galai; lui è un regista cinematografico clandestino, lei è la sua donna ed è anche un’attrice; entrambi però appartengono ad un movimento terroristico che si oppone alla presenza francese in Algeria.
In questo momento però siamo a Parigi e Hamdias consiglia a Galai il comportamento da clandestina, fatto di solitudine e circospezione, in un paese (come dice il regista) in cui anche l’accento è importante.
Galai sta girando un film che deve essere il più realistico possibile; per far ciò deve sperimentare, sulla sua pelle, le più terribili torture.
Non esita quindi a martirizzare il suo corpo, spegnendo sigarette roventi sul suo petto nudo, applicando elettrodi sui capezzoli e sul pube, registrando infine l’urlo disumano di dolore su una cassetta, come richiesto dal suo amante.
Questo è l’inizio di Tortura, il film di Papatakis girato nel 1975, uscito nelle sale francesi e subito dopo praticamente scomparso in seguito all’attentato di probabile matrice islamica che distrusse un cinema parigino mentre veniva proiettato il film.
Un film cupo in maniera esponenziale, un viaggio infernale attraverso il dolore e l’umiliazione personale della protagonista Galai, attrice si ma anche simbolo della resistenza algerina all’occupazione militare francese;due ruoli che Galai interpreta mescolando finzione e realtà,attraverso un viaggio che confonde le entità distinte ma intimamente connesse della terrorista e dell’attrice, che accetta la degradazione per amore del suo compagno, con il quale ha un figlio e anche per amore della libertà verso il suo paese.
In una delle scene del film, la più cruda e realistica, mentre la Galai terrorista è interrogata dai soldati francesi, alla domanda su chi ha commissionato degli attentati e su chi è a capo della resistenza algerina, la donna risponde urlando mia madre, intendendo così elevare l’Algeria a ruolo di genitrice, come confermerà nel proseguimento dell’interrogatorio.
Ritornando al film, la vicenda personale di Galai vira improvvisamente spiazzando lo spettatore, raccontando senza soluzione di continuità le aspirazioni della Galai attrice, quella che sogna di essere chiamata da un regista qualsiasi per fare il suo lavoro, quello dell’attrice, mentre invece il solito nastro la invita a parlare da sola in caso di attacchi di solitudine, simulando la presenza dell’invisibile Hamdias, simulacro di una realtà che invece è esattamente l’opposto.
E’ in questa destrutturazione della realtà vissuta dalla donna invece la chiave del film;seguiamo qualcuno che spia la vita monotona e solitaria di Galai, che continua a parlare nel vuoto, raccontando l’ansia per il figlio e il dolore per il distacco da Hamdias e l’improvviso cambio di rotta del film, spiazzante nel momento in cui Galai riceve la tanto attesa telefonata.
Un regista vuole vederla per offrirle una parte;sarà umiliante vedere Galai trattata come una povera cosa dal produttore, che per prima cosa le chiede di mostrare cosce e seno, perchè è quello che il fantomatico regista del film che il produttore si appresta a finanziare vuole.
da questo momento finzione e realtà diventano difficilmente distinguibili; Galai è al tempo stesso una donna che vuole realizzarsi e diventare una stella ed è la visione proiettata della terrorista che prepara la bomba.
I due personaggi convivono sullo schermo senza fratture visive che indichino quale sia la vera realtà in cui si muove Galai; è quella desolata e squallida della stanza inquadrata, scarna, disadorna oppure è quella che consegna la bomba fabbricata ad un anonimo terrorista?
“Dov’è la vera differenza fra finzione e realtà?”, canta una voce mentre Galai attraversa uno spettrale paesaggio delle banlieu parigine;ed è in questa breve strofa la chiave di lettura di Tortura.
Da adesso in poi il film seguirà un suo discorso coerente ma inevitabilmente ostico per il pubblico; che è spiazzato,irretito e al tempo stesso sconvolto da quello che si avvicenda sullo schermo.
Come in un folle susseguirsi di immagini frammentate e senza filo conduttore, assistiamo alla totale commistione tra i due personaggi; vediamo la tortura fisica su Galai, non più auto inflitta ma applicata da un soldato francese che vuole annichilire quella donna che in fondo rappresenta una nazione e che usa il tormento fisico e l’umiliazione per fiaccare la resistenza della stessa.
Ma Galai è l’Algeria ed è al tempo stesso un’idea di libertà, insopprimibile.
E la libertà puoi solo limitarla temporaneamene, non per sempre.
Inutile continuare a descrivere una trama che in realtà non esiste se non come forma di racconto visivo delle tesi del regista; che sono diverse e che coinvolgono in maniera più ampia discorsi politici e sopratutto l’uso della tortura da parte del Potere come forma di alienazione e di mortificazione morale e fisica.
Un discorso ambiguo, visivamente, perchè davvero si fa fatica a seguire gli spostamenti dall’immaginaria figura dell’attrice che continua a praticare sul suo corpo la tortura e quella delle torture che davvero vengono praticate alla Galai terrorista.
Finzione e realtà diventano così tutt’uno, continuando a inseguirsi fino al finale assolutamente imprevedibile.
Tortura è un film difficile anche da descrivere se non con l’ausilio di aggettivi, slegati fra di loro; claustrofobico, angosciante,scarno, ermetico.
Un’opera estremamente complessa,per lunghi tratti simbolista in maniera eccessiva ma anche affascinante; un’opera non di certo per il grande pubblico, chiusa com’è in un elitarismo che è al tempo stesso il fascino e il limite dell’opera.
“Non me ne frega un cazzo degli spettatori”, dice Hamdias tramite il produttore che afferma voler scritturare Galai per il fantomatico film citato;probabilmente è il pensiero, estrinsecato, di Papatakis.
Che porta avanti coerentemente il suo complesso discorso sulla tortura come mezzo di coercizione ampiamente utilizzato anche dall’Occidente, così spesso schierato in maniera ipocrita dietro la bandiera della libertà e della democrazia.
A raffigurare il tutto in maniera fisica c’è Galai, archetipo della sofferenza mescolato all’ansia di libertà.
A sua volta Galai è fisicamente interpretata dall’attrice Olga Karlatos, all’epoca compagna del regista.
Ed è probabilmente in un’ottica di “famiglia” che va interpretata la presenza della bellissima attrice greca in un film per certi versi estremo, con immagini molto forti e una presenza fisica sullo schermo che richiede l’esposizione senza pudore del corpo nudo oltraggiato dalla violenza.
L’attrice ateniese, ventinovenne all’epoca in cui venne girato il film, era appena uscita dall’esperienza di Amici miei che le aveva dato molta fama in Italia; il bellissimo volto della signora Sassaroli, che tutti avevano imparato ad ammirare nel film di Monicelli e che aveva fatto seguito all’interpretazione eccezionale di Didone nell’Eneide televisivo, appare in Tortura trasfigurato.
L’attrice appare smagrita, smunta, con il volto bellissimo solcato dal dolore.
Quasi fosse una Galai in versione reale, la Karlatos resta in scena praticamente per tutto il film cambiando espressione mostrando il suo corpo quasi scheletrico coperto da bruciature, violentato da una bottiglia (la scena più dura e difficile da digerire del film)
Un’interpretazione da attrice di razza, eccezionale, che pure è restata praticamente coperta dall’oblio fino a qualche anno fa, quando quest’opera straordinaria di Papatakis ha finalmente avuto la visibilità che meritava.
Un film che quindi è tutt’uno con l’attrice che lo interpreta, tanto da rendere praticamente un corredo il resto del cast; Papatakis dirige una Karlatos perfetta, Una Galai che sembra riassumere, sui tratti scavati del volto e sulla nudità scarnita del corpo, l’orrore della tortura, del suo uso umiliante e della degradazione morale e fisica che rappresenta.
Oggi è possibile finalmente vedere l’opera di Papatakis in streaming, cosa che consiglio vivamente agli amanti del cinema non banale, quel cinema fatto di potenza visiva, di dialoghi e situazioni non usuali in una versione probabilmente completa, almeno stando a quel poco che ho potuto ricavare dalla rete.
Pare infatti che l regista greco abbia messo mani alla versione attualmente disponibile inserendo scene che aveva dovuto tagliare in occasione della sua sfortunata prima rappresentazione.
Vista l’assurda aria di caccia alle streghe che circola ultimamente nei confronti dei siti in streaming (perchè bloccare la visione di film che ormai hanno quasi 40 anni?), consiglio di seguire questo link e visionare la pellicola: http://www.nowvideo.ch/video/ac277edaf89cb
In ultimo ricordo che il film è stato distribuito anche con il titolo Gloria mundi; sotto troverete due fotogrammi molto crudi tratti dal film, che ho provveduto a modificare come avvenuto in passato per evitare la condivisione in chiaro e la conseguente visione dei minori.
Tortura (Gloria Mundi), un film di Nikos Papatakis,con Olga Karlatos,Roland Bertin,Philippe Adrien,Mehmet UlusoyArmand Abplanalp,Christiane Tissot,Drammatico,Francia 1976
Olga Karlatos … Galai
Roland Bertin … Raftal
Philippe Adrien … Gilles
Mehmet Ulusoy … Naki
Armand Abplanalp … Sainof
Christiane Tissot … Marsanne
Jean-Louis Broust … Biseau
Regia: Nikos Papatakis
Sceneggiatura: Nikos Papatakis
Montaggio: Yves Lafaye,Jean-Paul Pradier,Frédéric Variot
Fotografia:Jean-Claude Bonfanti
Musiche: Barbaud Brown Klein
Costumi: Janina Ryba
Produzione: Nio Productions (FR)
Parte dell’opinione dell’utente OGM tratta dal sito http://www.filmtv.it.Il resto della recensione è disponibile sul sito citato.
“…Che cos’è la rivoluzione, se non un dolore autoinflitto, in risposta all’orrore perpetrato ai danni di altri? Si può cercare il martirio nella tortura e trovare nel proprio grido l’autentica voce della verità. L’attrice Galaï non deve fingere di essere una terrorista algerina: deve esserlo realmente, provare strazio e paura quando trasporta una borsa esplosiva o subisce le scariche elettriche dei suoi aguzzini, ed incutere le stesse sensazioni nello spettatore. Il popolo è chiamato a partecipare, a lei è la sua eroina. Il suo nume ispiratore è Hamdias, il suo marito e regista, nonché mente di un’organizzazione eversiva: un’entità invisibile ed onnipresente, che in ogni luogo può farsi sentire ed, a sua volta, ascoltare. I suoi mezzi sono microfoni e registratori a cassette, ma la sua presenza ubiqua è comunque ammantata di una divina perentorietà…”
L’opinione dell’utente Deepred89 dal sito http://www.davinotti.com
Cupo e complesso, piuttosto monocorde e difficilmente digeribile per chi, come il sottoscritto, poco conosce a proposito del contesto storico dei fatti narrati. Non mi resta così che apprezzare la buona confezione e un’interpretazione intensissima della Karlatos, che offre anima e corpo al film restando in scena in praticamente ogni sequenza, mostrandosi ripetutamente spogliata e torturata e cantando anche la colonna sonora di Nico Fidenco (che però è preferibile in versione strumentale). Consigliabile solo ad un pubblico informato e preparato.
L’opinione dell’utente Fauno dal sito http://www.davinotti.com
Terrificante e claustrofobico. Pone bene in evidenza le contraddizioni sia dei rivoluzionari eversivi che dei controrivoluzionari, con tutte le illusioni disattese per ambo le parti, ma pone anche in luce l’aspetto più interiore ed inquietante del fanatismo politico e ci ricorda tragicamente che anche noi, il vecchio continente, culla della civiltà, ci siamo macchiati di nefandezze delle quali non ci piace parlare né tanto meno provarne vergogna. Peso da digerire e da accettare, ma merita eccome!
L’opinione dell’utente Markus dal sito http://www.davinotti.com
Il regista Papatakis, servendosi dell’allegoria del meta-cinema, ci mostra l’istituzione della tortura e della depravazione dello stato sul sovversivo (o presunto tale), poco importa se nel caso specifico si cita la guerra franco-algerina (l’anno del girato in fondo ci ricorda che in molti paesi del mondo vigono dittature sanguinarie). Convincente e sentita l’interpretazione della Karlatos che però si macchia di una perla trash quale la canzoncina cantata da lei stessa sul tema di Fidenco. Peccato.
L’opinione dell’utente Saimo84 dal sito dvd.forumcommunity.net
Si tratta di un film maledetto, quasi invisibile, La tortura di Nico Papatakis. Come al solito, il DVD contiene soltanto la versione italiana, ma va sottolineato che in questo caso la situazione era complessa: il film è uscito in Francia nel 1975 ma è stato subito ritirato dalle sale, arrivando poi tortuosamente in Italia nel 1977, in una versione rimaneggiata per il nostro mercato sotto la supervisione dello stesso regista, che è poi tornato una terza volta sul film nel 2005, rimontandolo e aggiungendo delle scene girate ex novo. Un’edizione in DVD completa, va da sé, dovrebbe quindi render conto di tre diversi montaggi, ma per il momento purtroppo ci tocca accontentarci di quel che passa il convento, che purtroppo non è granché: la Mosaico ha telecinemato un vecchio 35mm pieno di difetti, con moltissimi segni e frequenti salti di fotogrammi, anche molto fastidiosi. Guardabile, ma a malapena sufficiente.
Val la pena sopportare un’edizione così? Tutto sommato direi di sì, perché secondo me il film oltre a essere rarissimo è anche abbastanza straordinario. Avevo già visto, in una retrospettiva del 2009, due altri film di Papatakis (Les équilibristes e Ia fotografia), e anche questo terzo titolo conferma la grandezza di un autore misconosciuto purtroppo non solo al grande pubblico ma anche a moltissimi di noi appassionati. Si tratta, sia chiaro, di un cinema che potrà non piacere, ma almeno gli estimatori di Godard e Fassbinder dovrebbero secondo me dargli una possibilità. La tortura, che per certi versi mi ha ricordato Partner. di Bertolucci, è un film estremo in tutti i sensi, sia per le tematiche e le immagini che mostra: una riflessione anche agghiacciante sul terrorismo, la violenza e il capitalismo, condotta però attraverso i cascami del metacinema, del neo-melodramma e del sadomasochismo. La storia, ridotta all’osso e insieme eccessiva, ruota infatti intorno a un’attrice divisa fra cinema e terrorismo, trasformata dal suo regista-pigmalione in una specie di arma di distruzione di massa. Un film poverissimo ma spesso geniale, fatto di pochi spazi e pochi personaggi, costruito soprattutto su una serie di assenze e lontananze, sia affettive che politiche ed esistenziali. Non amo per niente i film “politici”, ma qui il verbo si fa carne sotto i nostri occhi, e la performance di Olga Karlatos (all’epoca compagna del regista) è davvero memorabile.
L’opinione del sito http://www.filmhorror.com
TORTURA si potrebbe definire un film sperimentale, composto da un mix micidiale di sesso, torture, sangue, politica e surrealismo. Il piatto è decisamente forte, ma ben presto l’impegno sociale strillato dai flani dell’epoca (nella locandina viene addirittura citato Nietzsche, più o meno a sproposito), che vorrebbe condannare le istituzioni fasciste che spingono i poveri a diventare terroristi, cede il posto a uno spettacolo di pura exploitation.
Assolutamente spiazzante è anche la colonna sonora (realizzata da Nico Fidenco) in cui è la stessa Karlatos a cantare una canzone che si chiama appunto La Tortura (un testo assurdo che parla di pseudo-amore con agghiaccianti urla in sottofondo). L’uso del sesso è finalizzato alla rappresentazione dello squallore e, fra bottiglie infilate nella vagina e maschilismo gettato a piene mani, emerge un’atmosfera di assoluto degrado che, a conti fatti, è il punto forte del film.TORTURA è una pellicola atipica che potrebbe rivelarsi indigeribile per molti, che di certo non può definirsi “bella” e che si presenta come un pugno nello stomaco inaspettato. Se ve la sentite…
Ridendo e scherzando
Ridendo e scherzando è un film del 1978, strutturato in 5 episodi con tematica identica, ovvero il tradimento coniugale.
Il primo episodio, intitolato “Nozze d’argento“, vede protagonista un maturo notaio a cui vien fatta trovare in camera da letto dell’albergo Aurora una gigantesca scatola regalo, all’interno della quale c’è una splendida ragazza vestita da coniglietta. Dopo i dubbi iniziali, il notaio decide di “usufruire” del regalo, ma dopo aver consumato si vede piombare in casa un commissario mandato su denuncia della suocera preoccupata dalla mancanza di notizie sulla figlia.
Luciano Salce e Licinia Lentini, protagonisti del primo episodio
Stefano Satta Flores
Trasportato in commissariato sotto gli occhi esterrefatti dei vicini, viene raggiunto dalla moglie che è in realtà colei che gli ha fatto il regalo.
Finirà a ceffoni tra i due coniugi e l’ignaro cameriere ai piani dell’albergo Aurora che si era offerto di accompagnare la signora Procaccini, moglie del notaio in Questura.
Il secondo episodio è intitolato “Corpi separati“, e vede protagonista un contrabbandiere di sigarette napoletano, Michele Sintona,tifosissimo della squadra della sua città che si appresta ad andare allo stadio per seguire l’evento sportivo; confuso per un banale caso di omonimia per il famoso banchiere Sindona, bancarottiere ricercato da diversi corpi di Polizia, si vede piombare in casa Digos, servizi segreti ed antiterrorismo. Riuscirà a cavarsela solo facendo fare una lite furibonda ai tre graduati che comandano i rispettivi corpi.
Il terzo episodio, “Per favore ammazzami il marito” vede protagonista una bella americana dell’Oregon stanca della volgarità del marito. La donna decide di usare il cameriere di casa per procurare un incidente al marito, ma tutti i tentativi saranno vani. Alla fine la donna si riconcilierà con il marito sotto gli occhi attoniti del cameriere.
Macha Meril
Il quarto episodio è “Melodramma della gelosia“, con protagonista un bancario innamorato follemente della moglie e gelosissimo, che però, per tenere su il menage famigliare, è costretto ad assumere un attore che di volta in volta interpreti un personaggio diverso, un fantomatico amante della moglie che alla fine viene scovato dal marito geloso.
L’ultimo episodio, “Costi quel che costi” è incentrato invece sulla figura di un portinaio di uno stabile lussuoso, nel quale vive una splendida donna con il geloso marito.
La stupenda Orchidea De Santis
Il portiere scoprirà che la donna si prostituisce per 300.000 lire, e fattesele prestare dal marito della donna, approfitta delle grazie della stessa dicendo poi al marito cornuto che ha restituito i soldi che lui gli ha prestato proprio alla moglie.
Ridendo e scherzando è un film del 1978, diretto da Vittorio Sindoni (che qui si firma come Marco Aleandri) che vorrebbe ricalcare la commedia sexy all’italiana senza innestare nessuna innovazione, anzi, sfruttando quelle che erano le caratteristiche peggiori della commedia stessa, ovvero trama esile basata su sketch, dialoghi infarciti di volgarità e qualche spruzzatina di erotismo come collante del tutto.
A sinistra, Gino Bramieri
Il regista utilizza un cast di assoluto buon livello, che include Luciano Salce e Didi Perego con Licinia Lentini (primo episodio) , Stefano Satta Flores (secondo episodio) Macha Meril, Fiorenzo Fiorentini e Carlo Hinterman (terzo episodio) Walter Chiari, Enrico Simonetti e Olga Karlatos (quarto episodio), Gino Bramieri e Orchidea De Santis (quinto episodio)
Un cast all star che finisce malauguratamente in una commedia debolissima e stramba, in cui è difficile trovare un solo momento in cui si riesca se non a ridere almeno a sorridere e che si regge solo sulla simpatia e professionalità dei vari interpreti.
Un’altra bellissima dello schermo, Olga Karlatos con il compianto Walter Chiari
A parte la banalità assoluta della sceneggiatura, tutti gli episodi sono debolissimi e basati solo su equivoci visti e rivisti, su battute scontatissime e sul triste corollario del peggio delle commedie pecorecce italiche, con tanto di parolacce e ceffoni, doppi sensi et similia.
Tutti gli episodi sono molto al di sotto della sufficienza, ma a voler sceglierne uno, si può optare per il meno peggio ovvero l’ultimo, che vede protagonisti Gino Bramieri e Orchidea De Santis.
Mentre l’attore milanese dimostra di essere presente solo per guadagnarsi il pane, la splendida attrice pugliese quanto meno, nel grigiore generale, appare in tutta la sua superba bellezza.
L’episodio con Salce è deprimente, quello con Stefano Satta Flores (vi compare una giovane Maurisa Laurito) inguardabile, poco più su quello con la Meril (anch’essa bellissima), catastrofico e sconclusionato quello con protagonisti Chiari, una bellissima Karlatos e il compianto maestro Enrico Simonetti.
Il film ebbe uno scarso successo alla sua uscita nelle sale cinematografiche italiane e la cosa è facilmente comprensibile; quando un film che ha un titolo esplicito come Ridendo e scherzando non riesce nemmeno a far sogghignare si è fallito l’obiettivo primario.
In aggiunta, quando si usano solo i classici stereotipi come il tifoso napoletano contrabbandiere e furbo che conclude con un triste “Forza Napoli” urlato verso gli spettatori, il marito geloso che trova l’amante della moglie nell’armadio ( o tristemente appeso ad un lampadario!) vuol dire che si è di fronte ad una preoccupante mancanza di idee.
Un vero peccato, perchè con un cast di questo tipo di poteva tirar fuori ben altro film.
Ridendo e scherzando
Un film di Marco Aleandri. Con Walter Chiari, Orchidea De Santis,Olga Karlatos,Fiorenzo Fiorentini,Gino Bramieri, Macha Méril, Luciano Salce,Stefano Satta Flores, Didi Perego, Licinia Lentini, Enrico Simonetti
Commedia, durata 94 min. – Italia 1978
Episodio 1, “Nozze d’argento”
Luciano Salce … Il notaio
Licinia Lentini …. La coniglietta
Didi Perego ….. signora Procaccini, moglie del notaio
Episodio 2, “Corpi separati”
Stefano Satta Flores … Michele Sintona
Marisa Laurito …. La moglie
Episodio 3, “Per favore ammazzami il marito”
Macha Meril … La signora americana dell’Oregon
Carlo Hinterman …. Il marito
Fiorenzo Fiorentini … Il domestico
Episodio 4, “Melodramma della gelosia”
Walter Chiari … Il marito geloso
Olga Karlatos …La moglie
Enrico Simonetti … Il finto amante
Episodio 5, “Costi quel che costi”
Gino Bramieri … Il portinaio
Orchidea De Santis … La squillo
Regia : Vittorio Sindoni
Sceneggiatura : Marco Aleandri
Musiche: Enrico Simonetti
Casa di produzione: Megavision FilmTV
Fotografia : Alfio Contini
Murderock-uccide a passo di danza
Candice Norman è una bellissima donna che in passato è stata una brava ballerina prima di dover smettere per colpa di un incidente stradale.
Dirige una scuola di danza in cui ballerini e ballerine di una certa abilità cercano il perfezionamento delle loro doti in attesa di avere un colpo di fortuna che li proietti in un musical o che comunque spiani loro la strada verso la celebrità.
Ma all’improvviso nella scuola si scatena un’ondata di omicidi apparentemente senza spiegazioni; alcune ballerine vengono barbaramente uccise con uno spillone conficcato nel cuore subito dopo essere state narcotizzate con del cloroformio.
La stessa Candice da quel momento vive una situazione da incubo: in sogno vede un uomo che tenta di ucciderla con il modus operandi del killer che sta facendo strage di ballerine.
L’uomo è un fotomodello di nome George Webb e Candice alla fine riesce a trovarlo, ma inspiegabilmente invece di denunciarlo ne diventa l’amante.
Nel frattempo il commissario Borges che è incaricato di svolgere le indagini brancola nel buio, in quanto ai feroci omicidi manca sia un movente che una relazione tra le vittime, se non quella costituita dall’appartenenza delle vittime alla scuola professionale di danza.
Dopo un colloquio con Candice, Borges crede di aver identificato il misterioso killer in George Webb, ma ben presto dovrà ricredersi, prima di arrivare alla sconvolgente verità….
Murderock – uccide a passo di danza è un film diretto nel 1984 da Lucio Fulci, reduce da una serie altalenante di prove da regista sopratutto nel campo dell’horror puro.
Dico subito che Murderock è un giallo/thriller che a mala pena raggiunge la sufficienza sopratutto dopo l’ultima grande prova che il regista romano aveva dato dirigendo uno dei thriller più interessanti dell’intero decennio settanta, ovvero Sette note in nero da lui diretto nel 1977.
Siamo purtroppo lontanissimi dal risultato qualitativo del film citato; Fulci che ormai è abitato alle atmosfere horror dei film che ha diretto da allora in poi sembra quasi dimenticare l’originalità e l’innovazione che erano stati i punti di forza di film come Una lucertola con la pelle di donna e dello stesso Sette note in nero.
L’incubo di Candice
Olga Karlatos è Candice
L’atmosfera è troppo “argentiana”, la storia abbastanza risibile e per colmo di sventura anche poco appassionante.
Colpa di una serie di fattori concomitanti; la sceneggiatura è lacunosa, nel film manca una tensione continua che appare solo a sprazzi, la colonna sonora di Emerson è sparata oltre i limiti della decenza, il finale è banale e quasi scontato.
Forse può sembrare una recensione troppo cattiva, ma va detto che Fulci e questo thriller appaiono corpi estranei.
Il meglio di se il maestro romano l’ha dato con film come Non si sevizia un paperino (1972), con il graffiante
All’onorevole piacciono le donne (Nonostante le apparenze… e purché la nazione non lo sappia) (1972), con il sensuale Una sull’altra (1969).
In Murderock il mestiere c’è, ma manca il guizzo; la regia è piatta e testimonia di una fase involutiva che il regista imbocca e che lo porterà a dirigere opere assolutamente incolori come Quando Alice ruppe lo specchio (1988) quando non anche assolutamente inguardabili come nel caso di Il fantasma di Sodoma (1988)
Qualche sprazzo luminoso, ma ad abbondare sono le zone d’ombra.
Il cast vede svettare i tre protagonisti principali, ovvero la bella Olga Karlatos nei panni di Candice, la solita sicurezza rappresentata da Ray Lovelock che interpreta George Webb e da Claudio Cassinelli nei panni del commissario Borges.
Il resto è buio totale, con attori che sono molto al di sotto della sufficienza.
Un’opera quindi se non da dimenticare da guardare con poca simpatia.
Murderock – Uccide a passo di danza
Un film di Lucio Fulci. Con Olga Karlatos, Ray Lovelock, Claudio Cassinelli, Cosimo Cinieri, Christian Borromeo Thriller, durata 96 min. – Italia 1984.
La paura negli occhi di Candice
Olga Karlatos: Candice Norman
Ray Lovelock: George Webb
Claudio Cassinelli: Dick Gibson
Giuseppe Mannajuolo: professor Davis
Cosimo Cinieri: Borges
Belinda Busato: Gloria Weston
Berna Maria do Carmo: Joan
Maria Vittoria Tolazzi: Jill
Geretta Marie Fields: Margie
Christian Borromeo: Willy Stark
Carla Buzzanca: Janice
Angela Lemerman: Susan
Robert Gligorov: Bert
Carlo Caldera: Bob
Riccardo Parisio Perrotti: Steiner
Giovanni De Nava: portinaio
Al Cliver: analista della voce
Silvia Collatina: Molly
Lucio Fulci: Phil
Regia Lucio Fulci
Soggetto Gianfranco Clerici, Vincenzo Mannino, Lucio Fulci
Sceneggiatura Gianfranco Clerici, Vincenzo Mannino, Roberto Gianviti, Lucio Fulci
Produttore Augusto Caminito, Sergio Iacobis, Piero Lazzari
Produttore esecutivo Gabriele Silvestri
Casa di produzione Scena Film
Distribuzione (Italia) CDE – Compagnia Distribuzione Europea
Fotografia Giuseppe Pinori
Montaggio Vincenzo Tomassi
Musiche Keith Emerson
Scenografia Paolo Biagetti
Costumi Michela Gisotti
Trucco Franco Casagni
Delusione. Un film a-centrico, nel senso che manca di corpo centrale, di una parvenza di linearità di trama. Presenta invece parentesi talora strambe, talora semivuote, con l’aggravante di avere una soluzione di una banalità sconcertante. Non si sevizia un paperino, scusate ora la mia banalità, è di un altro pianeta.
I gusti di B. Legnani
Un thriller sensuale, ben sviluppato e ispirato, oltreché dal musical Flashdance, dai classici gialli anni ’70. Fulci imprime un ritmo serrato, ben sostenuto dalle musiche di Keith Emerson e privo di banali (e facili) sequenze splatter. Il killer uccide in maniera sorprendentemente delicata (previa anestesia), trapassando con spillone i morbidi (e giovani) seni delle sensuali ballerine. La Karlatos ha un ché di magnetico (e tristemente infelice) aspetto che trasuda da ogni poro ma soprattutto dai glaciali occhi… Malinconico.
I gusti di Undying
Altra prova dell’eclettismo di Fulci che, accantonati gli eccessi del precedente Lo squartatore, mette in scena un giallo delicato e praticamente senza sangue, cavalcando l’onda dei coevi film sulle scuole di ballo e della passione per i videoclip. Richiami a Una lucertola (il personaggio della Karlatos e i suoi incubi) e un finale che anticipa Fatal frames. Sensuali i passi di danza delle belle e giovani ballerine al ritmo delle incalzanti musiche di Emerson.
Passo che indirizza il caro Lucio verso il viale del tramonto, da lì in poi tristemente percorso saltando con l’asta. Un canovaccio agatachristiano con echi lucertoleschi e invidie alla “Saranno famosi”, intercalato da goffe coreografie che manco le peggiori performance di “Amici”, e ritmicamente scandito da uno spillone-metronomo che decima scarsi comprimari che altro non meritano che di sparire di scena. Piace tuttavia che Fulci onori la classica formula dell’whodoneit-cavalcata da un Cinieri in gran forma- accantonando una tantum le iperboli splatter.
Filmettino fulciano dalle chiare coloriture “argentiane”: la scuola di danza viene dritta da “Suspiria” e la scelta di Keith Emerson per la colonna sonora (brutta) ricorda “Inferno”. Giallo di una pochezza sconcertante (con omicidi a base di spilloni) che non riesce minimamente ad avvincere e creare tensione. Tra i peggiori film del regista romano.
Fulci torna al giallo all’italiana, ma purtroppo lo fa contaminandolo con il genere alla “saranno famosi”. Ne esce un ibrido che, soprattutto nella prima parte, risulta noioso e ripetitivo (se si levano le scene inutili dedicate al ballo, rimane molto meno di un’ora di spettacolo). Gli attori sono sulla sufficienza e anche sotto, le musiche di Emerson non sono degne di essere ricordate. Pastrocchio totale allora? No, fortunatamente alcune scene ben girate ci sono, anche se il film rimane sotto la sufficienza piena.
Fulci dirige un buon giallo, anche accantonando le scene sanguinolente. Oltre a una serie di buoni colpi di scena, il film viene sorretto dalle solide interpretazioni di attori come la Karlatos (che torna a recitare per Fulci dopo Zombi 2) e Lovelock (e c’è pure Borromeo). Come è stato giustamente descritto, un Flashdance in chiave gialla, da vedere. Nient’affatto un Fulci minore: crea ottime scene di tensione.
Thriller appena passabile. Il primo tempo è lento e piuttosto noioso ma nel secondo il film decolla e diventa abbastanza godibile. Davvero niente male l’ultimo colpo di scena. Buona la regia di Fulci, insolitamente cupa la fotografia, discrete le musiche di Emerson, buono il cast. Quasi totalmente assenti le scene violente.
In questo film (bello il titolo) troviamo una sorta di “Saranno famosi” in chiave thriller-orrorifica, al quale si aggiungono alcuni spunti del “giallo solare” per eccellenza quale è l’argentiano Tenebre, uscito appena l’anno prima. Insomma, niente di nuovo, d’altronde Fulci ci ha abituati a queste operazioni. Tolti gli interminabili balletti (sfiancanti), rimane un giallo di discreta qualità e con alcuni guizzi di genio tipici del regista.
Invecchiato male, questo giallo del grande Fulci; le terrificanti musiche di Emerson, interminabili balletti, scenografie povere, una fotografia spenta e un clima dimesso, danno proprio una sensazione di “vecchiume” che non si riscontra normalmente nel cinema del regista. A parte una tipica misoginia di fondo tutta fulciana, la trama è così così, con uno svolgimento abbastanza ripetitivo e una soluzione finale francamente forzata ed improbabile. Tutto sommato un prodotto professionale, ma superfluo e un po’ scialbo; alquanto trascurabile. **
Quelle strane occasioni
Quelle strane occasioni e un film del 1976 strutturato in tre episodi diretti da tre ottimi registi italiani, ovvero Nanni Loy, Luigi Magni e Luigi Comencini.
Tre episodi in bilico tra la tradizionale commedia all’italiana e la commedia sexy, a cui strizza l’occhio in particolare l’episodio 1, diretto da Nanni Loy ma non firmato dal regista, sicuramente a disagio sia per la tematica trattata sia per le scene di nudo presenti nello stesso episodio.
Episodio 1, Italian Superman
Paolo Villaggio e Valeria Moriconi
Giobatta è uno sfigato venditore di castagnaccio, da lui soprannominato kastanjakken, che ha scelto l’Olanda per vendre il suo prodotto, con ben scarsi risultati.
L’uomo è sposato con Gabriella italiana come lui, che con Giobatta divide una misera abitazione ricavata in un barcone ancorato in uno dei canali di Amsterdam.
Nonostante la buona volontà, Giobatta fatica a sbarcare il lunario; ma una sera le cose cambiano radicalmente.
Un gruppo di teppisti lo deruba, ma durante la perquisizione corporale a cui viene sottoposto lo sventurato italiano, uno dei rapinatori si rende conto che Giobatta ha una dote molto particolare, ovvero è un superdotato sessualmente.
Così Giobatta viene trasportato di peso dal proprietario di un locale notturno dove si esibiscono coppie in live show, spettacoli in cui una coppia si produce in performance sessuali dal vivo.
Giobatta fa credere alla moglie di aver venduto tutti i suoi prodotti alla regina d’ Olanda, ma dopo qualche giorno le sue bugie vengono clamorosamente a galla.
Gabriella infatti, abituata a spremere sessualmente come un limone il marito, si rende conto che l’uomo non riesce più ad accontentarla.
Così dopo averlo seguito, scopre la verità sul lavoro dell’uomo.
Ne segue una furibonda lite, durante la quale Giobatta fa presente alla moglie la loro nuova situazione economica; la coppia infatti ora ha una nuova lavatrice, la tv a colori, vive decisamente meglio rispetto al passato, ai giorni in cui Giobatta era costretto a vendere qualche pezzo di castagnaccio.
La donna così decide di diventare lei la partner del marito nei live show, ma Giobatta, intimidito dalla presenza della moglie, non riesce a ripetere gli exploit precedenti.
Malinconicamente, sarà costretto a fare il portiere e a reclamizzare la moglie che si esibisce con un forzuto turco.
Episodio 2, Il cavalluccio svedese.
Antonio è un professionista dalla mentalità molto retrograda; è sposato con la bellissima Giovanna della quale è gelosissimo e ha una figlia, Paola, che controlla in maniera addirittura ossessiva.
L’ipocrita equilibrio della famiglia, in cui madre e figlia sono costrette a vivere, nascondendo la loro vita privata ad Antonio, viene rotto definitivamente da Cristina.
La ragazza, figlia di un collega con cui Antonio ha lavorato in Svezia, amico anche di Giovanna, arriva all’improvviso in casa di antonio proprio mentre madre e figlia sono assenti.
La ragazza, disinibita e sfrontata, rivela la sera durante la cena che da piccola aveva preso una cotta per Antonio.
Così la notte, complice un furioso temporale, la ragazza si infila nel letto di Antonio.
Al risveglio l’indomani Antonio riceve la telefonata di Paola, che sentendo rispondere al telefono Cristina e sentendo il padre ansimante, mangia la foglia e racconta al padre di essere rimasta a casa di un suo amico.
Antonio è costretto così a ingoiare il rospo; l’uomo infatti ha raccontato a Cristina l’esatto opposto sui rapprti esistenti in famiglia.
La ragazza, credendo che la famiglia sia disinibita come la sua, racconta ad Antonio che suo padre ha avuto una breve ma intensa relazione con Giovanna.
Al ritorno della moglie, l’evidente malumore di Antonio si manifesta in un laconico “io faccio finta di non sapere, ma quando voglio so tutto”
Episodio 3, L’ascensore.
Stefania Sandrelli è Donatella
Siamo a Roma, in un torrido week end di ferragosto, in uno stabile elegante della città si incontrano casualmente Mons.Ascanio, in visita alla sua amante (una bellissima vedova) e Donatella, una avvenente abitante dello stabile.
I due prendono l’ascensore, che durante la salita si blocca.
Nonostante i due prigionieri chiedano ripetutamente aiuto, nessuno ascolta l’appello.
Così alla fine anche se a malincuore Mons. Ascanio e Donatella sono costretti a coabitare in attesa di soccorsi.
Che però non arrivano; complice lo spazio ristretto in cui i due sono costretti a vivere, accade il fattaccio.
I due verranno liberati solo dopo molte ore; Ascanio così può raggiungere la sua amante, alla quale raccomanda di cambiare le molle del letto, perchè Donatella sa che in casa della donna arriva un misterioso amante con il quale la bella vedova si da alla pazza gioia.
Nino Manfredi
I tre episodi, molto diversi tra loro, ma con una sola tematica di fondo, il sesso visto come elemento aggregante ma anche discriminante e soggetto ideale per un discorso molto vario sull’ipocrisia e perbenismo che circonda la materia, possono essere considerati gradevoli, anche se siamo lontani da discorsi impegnati sulla reale portata del problema.
Sicuramente il più riuscito è Italian superman, diretto da Nanni Loy, non tanto per la tematica trattata, quanto per le situazioni paradossali in cui vengono a trovarsi i coniugi protagonisti dello sketch.
Ottimo Paolo Villaggio, anche se per l’ennesima volta il suo personaggio è troppo simile a Fantozzi mentre sicuramente scalore desta la parte della bravissima valeria Moriconi alle prese con un personaggio scabroso.
L’attrice esibisce splendidi nudi, anche se non viene mai ripresa in primo piano; bene anche Flavio Bucci, che compare nei panni del direttore del locale porno.
Di buona fattura l’episodio 2, Il cavalluccio svedese, diretto da Luigi Magni con mano leggera e piglio ironico.
Nei rapporti tra la famiglia Pecoraro il regista inserisce l’elemento sessuale come discriminante dei rapporti interni alla famiglia stessa; l’ipocrisia che vi regna non troverà soluzione nemmeno nel finale, quando Antonio scoprirà come le due donne di casa in realtà abbiano una doppia vita.
Paola è la figlia ribelle, Giovanna la moglie adultera; entrambe però probabilmente hanno una giustificazione per le loro gesta, ovvero quella gelosia morbosa che attanaglia Antonio.
Il discorso non è ampliato, ma l’episodio è più girato tra le righe che esplicitamente.
Bene sicuramente Manfredi, bellissima la Karlatos.
Luigi Comencini è il regista del terzo episodio; riesce ad imbastire un sottile e amaro apologo sull’ipocrisia attraverso i dialoghi che intrecorrono tra Alberto Sordi e Stefania Sandrelli, gli ottimi protagonisti dell’episodio stesso.
Regia asciutta, divertita: Comencini non si sforza troppo affidando ai due attori il compito di alleggerire l’atmosfera claustrofobica dell’episodio stesso, tutto girato in un ascensore.
In ultima analisi un film di discreto livello, godibile, ben recitato .
Quelle strane occasioni, un film di Luigi Comencini, Luigi Magni. Con Nino Manfredi, Valeria Moriconi, Paolo Villaggio, Alberto Sordi, Stefania Sandrelli, Olga Karlatos, Beba Loncar, Giovannella Grifeo
Commedia a episodi, durata 115 min. – Italia 1976.
Episodio 1:
Paolo Villaggio … Giobatta
Lars Bloch… Gestore locale
Valeria Moriconi … Gabriella moglie di giobatta
Flavio Bucci … Réné Bernard il direttore del locale
Episodio 2:
Nino Manfredi … Antonio Pecoraro
Olga Karlatos … Giovanna
Giovannella Grifeo … Paola
Jinny Steffan … Cristina
Episodio 3:
Alberto Sordi … Mons. Ascanio La Costa
Stefania Sandrelli … Donatella
Beba Loncar … Vedova Adami
Regia Luigi Comencini, Nanni Loy, Luigi Magni
Soggetto Sergio Corbucci, Rodolfo Sonego
Sceneggiatura Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Rodolfo Sonego
Produttore Fausto Saraceni
Fotografia Armando Nannuzzi, Claudio Ragona, Aldo Tonti
Montaggio Nino Baragli, Franco Fraticelli, Ruggero Mastroianni
Musiche Piero Piccioni
Le recensioni qui sotto appartengono al sito http://www.davinotti.com
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Non visto per oltre un trentennio: potevo tranquillamente allungare il periodo. Pessimo l’episodio con Villaggio (male sfruttata la Moriconi). Mediocre quello, telefonato, con Manfredi (si salvano le dinamiche dei primi minuti: poi, se non ci fosse il protagonista a usare con maestrìa tempi e espressioni, sarebbe inguardabile). Mediocre pure quello con Sordi, che esagera, salvandosi solo nella “confessione” e nel finale, con biglietto da visita e teoria del libero arbitrio.
Tre episodi di qualità altalenante, anche se – in generale – realizzati con certa cura. Mattatore dell’intera operazione è Nanni Loy, all’opera con Villaggio per dare corso al segmento più divertente e riuscito (Italian superman). Segue il peggior pezzo della trilogia (Il cavalluccio svedese), nel quale Manfredi non viene valorizzato come meriterebbe. A finire un Sordi monotematico, limitato da una sceneggiatura contenuta a causa di una location quasi claustrofobica (L’ascensore). Si ricorda, però, di quest’ultima parte l’affascinante presenza della Sandrelli, in un ruolo “perturbante”.
Tre episodi: il superdotato Villaggio in versione pornocomica (regia di Loy, non firmata); l’architetto Manfredi insidiato da una giovane svedese (Magni); il monsignore Sordi chiuso in ascensore con una spregiudicata ragazza (Comencini). Nel complesso il film è piuttosto scarso nonostante i tre pezzi da novanta coinvolti. L’episodio migliore rimane, nonostante tutto, il terzo, in cui Sordi può disegnare sottilmente un altra maschera delle sue, senza la grossolanità del primo o la piattezza del secondo.
Una commedia non troppo riuscita e assai poco originale: l’episodio con Villaggio è volgare e fantozziano, quello di Manfredi scontato e senza mordente. Decisamente meglio l’ultimo, “L’ascensore”, con un Sordi monsignore alle prese con una scosciatissima e vacanziera Stefania Sandrelli.
Viste le firme e gli interpreti a disposizione una cocente delusione. Di risate, infatti, se ne fanno poche e la colpa non è solo degli attori un po’ sottotono ma anche e soprattutto di una sceneggiatura bolsa e poco originale priva di verve e di mordente. Non è certo inguardabile ma avrebbe potuto essere ben altro.
Commedia ad episodi non eccelsa ma neppure disprezzabile. Il top è raggiunto dall’episodio di Nino Manfredi, divertente e non volgare, con la splendida Jinny Steffan a fare da spalla. Dalle parti della sufficienza gli altri due: risicata nel caso di “Italian superman”, poco più che una barzelletta, abbondante, in “L’ascensore”, un po’ prolisso ma con qualche trovata niente male. In ogni caso bravissimi i tre protagonisti (anche se Villaggio non fa che riproporre il suo solito personaggio in stile Fantozzi) e ottima la fotografia. Si può vedere.
Un tris di episodi natalizi (cinepanettone ’76) a mio parere ben confezionati, grazie anche alla presenza di attori di peso ed anche a una manifestazione di erotismo per i tempi piuttosto esplicita. Il primo episodio con Villaggio, (Italian superman) è un mio piccolo culto ed è molto divertente, ma il secondo con Manfredi (il cavalluccio svedese) è il mio preferito, poiché il suo sottile umorismo romanesco qui trova la massima espressione. Il terzo episodio con Sordi, (L’ascensore) è curioso ed eroticamente stuzzicante.
Olga Karlatos
Nel 1971 la Rai trasmette la riduzione televisiva del poema epico Eneide di Virgilio , con il titolo Avventure di Enea; il regista è Franco Rossi e nel ruolo del leggendario eroe troiano compare l’ottimo Giulio Brogi. Ma c’è un’attrice bellissima, dai grandi e profondi , magnetici occhi a catalizzare l’attenzione del pubblico; è un’attrice greca che interpreta il ruolo della sfortunata Didone, donna amata da Enea e che morirà suicida. Il suo nome anagrafico è Olga Vlassopulos, è nata ad Atene nel 1947 ed è praticamente una sconosciuta,almeno da noi. In patria ha lavorato in un film diretto da suo marito, Nikos Papatakis, in un film girato 4 anni prima del suo esordio italiano, Oi voskoi (1967).
Olga Karlatos in Riavanti, marsch
Olga Karlatos, il nome che le darà una certa fama nel nostro paese, attira quindi attenzioni di critici e spettatori per la sua straordinaria bellezza. E’ anche un’attrice capace, e lo dimostra sopratutto nella sequenza ad alta tensione che vede il suicidio di Didone.
Sembra l’inizio promettente della carriera di un’attrice che ha mostrato subito un talento drammatico non comune; invece inspiegabilmente tutto si ferma.
Olga Karlatos nel film Oi tembelides tis eforis koiladas
Recita in Paulina 1880 (1972) e in uno sceneggiato prodotto dalla tv tedesca, Aufs Kreuz gelegt (1974), ma dell’attrice che ha interpretato la Didone almeno da noi si sono perse le tracce.
Nel 1975 Mario Monicelli la chiama sul set del film Amici miei; le affida il ruolo di Donatella Sassaroli, la moglie del primario Adolfo Celi/Sassaroli, della quale si invaghisce perdutamente Rambaldo Melandri (Gastone Moschin), che per lei si accolla famiglia e cane incluso.
Per la seconda volta quindi il pubblico italiano scopre questa attrice così bella e dallo sguardo intenso, che però non ama pubblicizzarsi, preferendo rimanere in disparte dalle luci della ribalta.
Con Laura Antonelli nel film Mogliamante
Eppure nel 1976 volente o nolente la Karlatos sotto i riflettori ci finisce per forza; il marito Papatakis la dirige nel film Gloria mundi, distribuito poi in Italia con il titolo Tortura.
Il film suscita scandalo sia per la trama sia per le sequenze davvero forti che lo contraddistinguono; è la storia di un’attrice che deve interpretare il ruolo di una terrorista e che non esita a sperimentare sul proprio corpo, per meglio interpretare la parte che la riguarda, vari tipi di torture, come delle sigarette spente sul seno, scosse elettriche ecc.Tanto basta per darle quel pizzico di visibilità di cui ha bisogno, tant’è vero che arriva la scrittura, nello stesso anno, per il film western Keoma, di Enzo G. Castellari, nel quale è Lisa, una donna cacciata da un villaggio perchè incinta e accusata di essere una prostituta. Aiutata da un misterioso vendicatore a cavallo (Franco Nero), finirà comunque per morire dopo il parto.
Nero veneziano, diretto da Ugo Liberatore
Anche questo film conferma il suo indiscutibile talento drammatico, eppure il ruolo successivo è per un film comico.
Si tratta di Quelle strane occasioni, film a episodi diretto da Comencini, Nanni Loy e da Luigi Magni. Lei compare proprio nell’episodio diretto da Magni, tra l’altro il migliore dei tre. E’ Giovanna, la moglie adultera di Antonio/ Nino Manfredi, che avrà una breve avventura con una ragazza invaghita di lui fino dall’infanzia.
Il 1977 la vede sul set del discreto Diamanti sporchi di sangue di Fernando Di Leo; lei, con la consueta bravura, interpreta Maria, mentre gira in contemporanea il misconosciuto Per questa notte , per la regia di
Carlo Di Carlo, film noto davvero a pochi intimi.
Olga Karlatos in due fotogrammi tratti da Murderock di Lucio Fulci
Un altro ruolo drammatico la attende nel 1977; si tratta del complesso personaggio della dottoressa Paola Pagano, la donna bisessuale che ha una relazione con Luigi, il commerciante dalla doppia vita che evade da una situazione famigliare davvero difficile. Il film è il riuscito Mogliamante
Sembra davvero che la Karlatos si avvii a diventare un’attrice di prima grandezza.
Ma a frenare le ambizioni e la carriera di Olga arriva strisciante la grande crisi che sta per travolgere il cinema italiano, con la conseguente riduzione dell’offerta di parti e sopratutto con la drastica diminuzione delle produzioni.
Infatti nel 1978, anno drammatico per la storia italiana, dopo aver lavorato in Ridendo e scherzando di Aleandri, caratterizzato dal sontuoso cast che ci lavora e che include Luciano Salce e Walter Chiari, Gino Bramieri e Stefano Satta Flores, Macha Meril e Orchidea De Santis, ottiene una parte solo in Nero veneziano, controverso noir/horror di Ugo Liberatore.
Olga Karlatos, accanto a Nino Manfredi, nell’ottimo Il giocattolo di Montaldo
Il suo è un ruolo complesso, perchè interpreta tre personaggi; il film ha un suo fascino, ma è stroncato da larga parte della critica.
Nonostante tutto, a dispetto anche della crisi, Olga ottiene diverse scritture per film di discreto livello, come Cyclone, diretto da René Cardona Jr., film del filone catastrofico interpretato tra gli altri da Carroll Baker e Arthur Kennedy,(lei è Monica, la donna incinta), come il successivo Un poliziotto scomodo, tardo poliziottesco diretto dallo specialista Massi e interpretato al fianco di Maurizio Merli. In questo film lei è Anna, la donna del Commissario Olmi.
Il 1979 è l’anno di massima attività dell’attrice; ha 32 anni, il fascino della donna matura, che tecnicamente ha raggiunto quasi il top e si è fatta un certo nome.
Tortura (Gloria mundi)
I film successivi, però, non sono dei film di primissimo piano; si va da Dedicato al mare Egeo, di Masuo Ikeda, in cui è Elda, una donna che ha una figlia problematica e che intesse una relazione con un suo giovane pensionante a Belli e brutti ridono tutti, film a episodi diretto da Paolella, caratterizzato da una certa sciatteria nella sceneggiatura.
Lei interpreta la Contessa Bisi, vedova di un ricchissimo conte, costretta a sfornare un bebè in 9 mesi per ereditare l’immenso patrimonio lasciato dal marito, e che per riuscirci non esiterà a sedurre Don Enzo (Walter Chiari), alla cui parrocchia andrebbe l’eredità in mancanza di un erede nei termini previsti.
Il ruolo che la rivela al pubblico italiano: è Didone nelle Avventure di Enea
Decisamente di ben altro livello è lo splendido Il giocattolo, di Giuliano Montaldo, la drammatica storia di un semplice ragioniere, Vittorio Barletta, che scopre uno straordinario talento nell’uso delle pistole, che utilizzerà per vendicare un amico poliziotto con funeste conseguenze. Lei interpreta Laura, la moglie di Griffo, un losco figuro che diverrà la principale causa delle disavventure di Barletta.
Sempre nel 1979 è la protagonista di Zombie 2, disarmonico thriller/horror di Lucio Fulci, nel quale interpreta il ruolo di Paola Menard, divenuto famoso principalmente per la scena in cui uno zombie la afferra per i capelli e le trafigge un occhio con una scheggia di legno.
Nel controverso Gloria mundi, diretto da suo marito
Questo intenso periodo di lavoro la vede protagonista ancora sul set del film Senza buccia, mediocre film erotico in cui è Adriana, la donna che “svezza” sessualmente il giovane protagonista del film, seguito dal buon Riavanti marsch di Salce, da Mani di velluto, girato accanto a Celentano e alla Giorgi in cui ancora una volta interpreta il ruolo della moglie “antipatica” che tenta di sottrarre al marito l’immenso patrimonio.
L’ultimo film del decennio 70 è Agenzia Riccardo Finzi, praticamente detective, diretto da Corbucci e tratto da un romanzo di Luciano Secchi, il celebre Max Bunker dei fumetti creatore di Kriminal, Satanik e Alan Ford. Questa volta il suo ruolo è quello della madre assassina, Clara, che fa uccidere la figlia per motivi di gelosia.
E’ davvero il culmine della sua carriera, perchè da questo momento in poi, in concomitanza con l’esplosione della crisi del cinema in tutta la sua dirompente forza, lavorerà pochissimo, almeno in Italia.
Un celebre fotogramma che la vede protagonista in C’era una volta in America, capolavoro di Leone
Nel 1980, infatti, lavora in Italia solo nel film di Tarantini Una moglie, due amici, quattro amanti, per poi trasferirsi in Grecia dove è protagonista di Eleftherios Venizelos: 1910-1928 e di Exodos kindynou, seguiti da un’apparizione nello sceneggiato tv tedesco Der Schatz des Priamos.
In Italia ritorna solo sul piccolo schermo; i lavori per la tv sono Peter and Paul, Le rose di Danzica,Scarlatto e nero; poi arriva il piccolo ruolo (ma rimasto nella memoria di tutti) della donna del cinema in C’era una volta in America, il capolavoro di Sergio Leone.
Lei è la ragazza avvinghiata al suo uomo che le palpeggia un seno, scoperto dalla pistola del sicario che cerca Noodles.
Si avvicina a grandi passi la fine della carriera della bellissima attrice:chiamata nuovamente da Fulci per il suo Murderock, Olga interpreta il ruolo di Candice, l’assassina misteriosa.
Il film è deludente, Fulci ormai è in pieno declino e il film viene stroncato dalla critica.
Così la Karlatos, dopo aver lavorato in due film passati praticamente inosservati come Inganni del regista Luigi Faccini (1985) e Purple rain, al fianco della star del rock Prince, chiude la sua carriera cinematografica.
Riapparirà solo sul piccolo schermo in Quo vadis e nel primo episodio della fortunata serie Miami vice.
Penalizzata oltremodo dalla crisi del cinema, Olga Karlatos ha messo in mostra, nel corso della sua carriera, indubbie qualità di attrice drammatica.
Peccato, perchè avesse iniziato prima a recitare, avrebbe sicuramente trovato spazio nel cinema italiano degli anni settanta, quello che si caratterizzò non solo per la mole di opere prodotte, ma anche per la qualità offerta agli spettatori. Non dimentichiamo che tra il 1970 e il 1976 vennero prodotti lo stesso numero di film che vennero prodotti poi nei successivi 15 anni!
Anche per lei vale il discorso fatto per molte attrici di quel periodo; in pratica è scomparsa senza lasciare traccia.
A questo proposito, se qualcuno avesse sue notizie, sarei grato se mi inviasse documentazione o tramite mail oppure usando lo spazio commenti.
Agenzia Riccardo Finzi praticamente detective
Olga Karlatos e Claudio Cassinelli
Zombie 2
Paulina 1880
Oi voskoi
Oi tembelides tis eforis koiladas
Exodos kindynou
Quelle strane occasioni
Scarlatto e nero
Miami vice
Dedicato al mar Egeo
Ridendo e scherzando
The sins of Dorian Gray
Quo Vadis
L’ingranaggio
Inganni
George Sand
Miami Vice (1 episodio, 1986)
Quo Vadis? (1985) TV mini-serie
Inganni (1985)
Purple Rain (1984)
Murderock – uccide a passo di danza (1984)
C’era una volta in America (1984)
The Sins of Dorian Gray (1983) (TV)
Scarlatto e nero (1983) (TV)
George Sand (1981) TV mini-series
Le rose di Danzica (1981) TV mini-serie
Scruples (1981) (TV) .
Peter and Paul (1981) (TV) …. Bernice
La storia vera della signora dalle camelie (1981)
Der Schatz des Priamos (1981)
Exodos kindynou (1980)
Eleftherios Venizelos: 1910-1927 (1980)
Una moglie, due amici, quattro amanti (1980)
Agenzia Riccardo Finzi, praticamente detective (1979)
Mani di velluto (1979)
Riavanti… Marsch! (1979)
Senza buccia (1979)
Zombi 2 (1979)
Il giocattolo (1979)
Belli e brutti ridono tutti (1979)
Dedicato al mare Egeo (1979)
Un poliziotto scomodo (1978)
Oi tembelides tis eforis koiladas (1978)
Cyclone (1978)
Il ritorno di Simon Templar (Tv)
Nero veneziano (1978)
Effetti speciali (1978) (TV)
Ridendo e scherzando (1978)
Mogliamante (1977)
Per questa notte (1977)
Diamanti sporchi di sangue (1977)
Quelle strane occasioni (1976)
Keoma (1976)
Gloria mundi (1976)
Amici miei (1975)
Aufs Kreuz gelegt (1974) (Tv)
Paulina 1880 (1972)
Avventure di Enea (1971) Tv
Oi voskoi (1967)
Mogliamante
Luigi ed Antonia sono una coppia sposata da qualche tempo.
Lui è uno stimato commerciante di vini, lei è una donna ricca, che però vive confinata in una camera da letto afflitta da una paralisi che è soltanto provocata da problemi psicologici.
I due vivono una relazione complicata; lui accusa la donna di essere frigida, lei gli rimprovera di lasciarla sempre sola.
Luigi in realtà ha una doppia vita; oltre ad essere un commerciante di vini, quindi sempre in giro per lavoro, è anche uno scrittore dagli ideali anarchici. Si cela dietro lo pseudonimo di Ulisse, con il quale pubblica saggi clandestini. Oltre a questo, tradisce a tutto spiano la moglie, per rifarsi di quella mancanza di affetto e di vita coniugale che non trova più con Antonia.
Una sera Luigi si trova ad assistere ad un omicidio, senza vedere chi l’abbia compiuto; avvicinatosi al cadavere dell’uomo viene visto da una ragazzina.
Certo di essere incolpato dell’omicidio, Liigi scappa con il suo calesse, che abbandona poco lontano da casa e si rifugia da suo cugino ( e vecchio amico) Vincenzo, che ha una merceria proprio di fronte casa sua.
Qui Luigi, che è ferito, si nasconde ma ha anche la possibilità di vedere quel che accade in casa sua.
Antonia, che ha visto ritornare il calesse senza il marito, decide di prendere in mano le redini dell’attività dell’uomo, e parte per visitare i suoi clienti.
Poco alla volta scoprirà che in fondo ha sposato un perfetto sconosciuto; il marito aveva in pratica una doppia vita, perchè manteneva una stanza in una locanda nella quale si rifugiava per scrivere, aveva una stanza anche al circolo cittadino, nella quale si incontrava con una sua amante, la dottoressa Paola e a volte anche con la segretaria, Clara, una ragazza in procinto di sposarsi e che vive con loro.
Non solo.
Luigi ha avuto anche un rapporto a tre con Clara e Paola.
Per Antonia è troppo.
Decide quindi di vendicarsi del marito, allacciando dapprima una relazione con un carabiniere, poi, insoddisfatta, con un medico idealista ingiustamente accusato di essere omosessuale e infine andando a letto sia con Paola che con il conte Brandini, allacciando così un triangolo proprio come aveva fatto suo marito.
Luigi, dalla sua stanza sulla merceria, assiste alla metamorfosi della moglie, impotente.
La vede tradirlo con il medico, trasformarsi in una donna completamente diversa da quella che lui ha conosciuto.
Un giorno Antonia capisce che il marito è vivo e si nasconde di fronte casa sua; incontra infatti Vincenzo, che non fuma, in una tabaccheria mentre fa scorta delle sigarette che fuma suo marito.
Marcello Mastroianni
Così, accompagnandolo a casa, vede socchiudersi le finestre di fronte e capisce che il marito è vivo.
La scoperta della vera identità dell’assassino, Enrico, adesso marito di Clara, pone fine alla necessità da parte di Luigi di nascondersi.
L’uomo torna a casa, dove Antonia lo attende, ancora innamorata di lui.
La coppia può riprendere a vivere insieme, ma su basi completamente diverse.
A quattro anni di distanza dal lusinghiero successo di Paolo il caldo, Marco Vicario, dopo l’esperienza non propriamente felice del film L’erotomane, torna sul set con un film ambientato ancora agli inizi degli anni venti, ancora una volta con un soggetto riguardante la middle class.
Questa volta non c’è un soggetto letterario a vincolare il regista, che scrive una sceneggiatura a due mani con Rodolfo Sonego; il risultato è più che accettabile, perchè la trama è intrigante e ben costruita.
Il cast è di ottimo livello, costruito attorno alla coppia Mastroianni-Laura Antonelli, con attori come Elsa Vazzoler, Gastone Moschin, Olga Karlatos, Annie Belle, William Berger,Hélène Chanel a fare da contorno.
Inaspettatamente, Mastroianni sembra un tantino in difficoltà con un personaggio tutto sommato non complesso, mentre la Antonelli, al culmine della sua bellezza, per una volta non si spoglia per nulla e recita più che dignitosamente.
Molto bene le altre due protagoniste femminili, ovvero Annie Belle, amante di Luigi e poi giovane vedova e Olga Karlatos, intensa nel ruolo della dottoressa Paola; Gastone Moschin è la solita sicurezza.
Il film ha qualche punto debole sul piano del ritmo e nell’eccesso di primi piani, quasi tutti riservati a Laura Antonelli e al suo personaggio che all’inizio appare davvero ambiguo.
Bella la fotografia, curata da Ennio Guarnieri, le musiche sono di Armando Trovaioli
Mogliamante, un film di Marco Vicario. Con William Berger, Marcello Mastroianni, Olga Karlatos, Laura Antonelli, Leonard Mann, Stefano Patrizi, Attilio Dottesio, Gastone Moschin, Elsa Vazzoler, Enzo Robutti, Luigi Diberti, Armando Brancia, Annie Belle
Drammatico, durata 107 min. – Italia 1977.
William Berger, Laura Antonelli e Olga Karkatos
Laura Antonelli – Antonia De Angelis
Marcello Mastroianni – Luigi De Angelis
Leonard Mann – Dr. Dario Favella
William Berger – Conte Brandini
Gastone Moschin – Vincenzo
Olga Karlatos – Dr. Paola Pagano
Stefano Patrizi – Enrico, fidanzato di Clara
Enzo Robutti – Il prete
Daniele Gabbai – IL carabiniere
Hélène Chanel – La locandiera
Paul Muller – Hotel concierge
Elsa Vazzoler – Teresa la cameriera
Annie Belle – Clara
Regia: Marco Vicario
Sceneggiatura: Marco Vicario, Rodolfo Sonego
Produzione: Franco Cristaldi, Alberto Pugliese
Musiche: Armando Trovajoli
Editing: Nino Baragli
Costumi:Luca Sabatelli
Nero veneziano
Mark, un ragazzo di quattordici anni, cieco e sua sorella Christine rimangono orfani dei genitori, e vanno a vivere con gli zii che gestiscono una pensione nell’isola della Giudecca a Venezia.
Mark è un ragazzo molto sensibile, dotato di particolari poteri; spesso ha delle visioni in cui anticipa il futuro, nelle quali vede chiaramente un uomo che lui è convinto essere il demonio.
All’interno della pensione infatti alcuni sinistri presagi di Mark si avverano; muore impiccato lo zio, poi è la volta della zia, poi ancora di un amico di Mark.
Il ragazzo ha una sola persona che in qualche modo crede in lui; è Giorgio, il fidanzato di sua sorella, l’unico che gli mostra amicizia e che sembra prestar fede ai racconti del ragazzo.
Sua sorella intanto inizia a diventare sempre più strana, ma si avvia comunque all’altare con il suo fidanzato.
La morte improvvisa di Giorgio lascia Mark completamente solo, mentre Christine, che ha ereditato la pensione inizia a circondarsi di strani personaggi, fra i quali spicca un pensionante fascinoso, Dan, che altri non è che l’uomo visto nelle visioni da Mark.
Ely Galleani, una delle adepte di Christine
Nella pensione arrivano anche alcune ragazze equivoche, che sembrano girare attorno a Christine con gran devozione; la ragazza intanto ha scoperto di essere incinta, pur non avendo avuto rapporti con nessuno se non in una sorta di dormiveglia, in cui appare al suo fianco il sinistro Dan.
Mark trova consolazione e credito presso padre Stefani, l’unico che sembra avvertire l’aria sinistra che gira attorno a Christine; ma anche il religioso morirà, subito dopo aver tentato di battezzare il figlio di Christine, Alex.
In un drammatico finale, Mark ha il sopravvento sul neonato, e mentre è nel cimitero dove è sepolto il cognato Giorgio, vede proprio l’amico scomparso che gli racconta e conferma la natura diabolica di Alex.
Le ultime immagini che Mark vede, dopo che ha riacquistato miracolosamente la vista bagnandosi gli occhi con l’acqua del pozzo che è nella pensione, è quella di Alex tra le braccia di Christine.
Il demonio non può morire……
Ultimo film diretto da Ugo Liberatore nel 1978, Nero veneziano è un anomalo horror con venature thriller, massacrato all’epoca della sua uscita sia dalla critica che da buona parte del pubblico.
In realtà il film non è affatto malvagio, pur essendo evidenti i tributi ai caposaldo del genere, con più di un occhio strizzato al celebre film di Roeg “A Venezia un dicembre rosso shocking”; il tributo è assolutamente chiaro, sopratutto nella scelta di ambientare il film a Venezia, nella particolare esposizione fotografica usata e nell’aria di sovra naturale che pervade la pellicola.
Un film troppo sottovalutato, che ha delle pecche solo in fase di sceneggiatura: il soggetto di Ottavio Alessi è spesso confuso, lasciando troppa libertà di immaginazione allo spettatore.
Va aggiunta anche la scellerata decisione di Liberatore di affidare il ruolo del demonio all’insulso Yorho Voyagis, che sembra un bamboccione in vacanza premio nella sua città preferita.
Il volto dell’attore rimane quasi sempre impenetrabile, con un sorrisino che vorrebbe sembrare enigmatico e invece assomiglia ad uno spocchioso sorriso di sufficienza.
Però il film ha una sua dignità, sopratutto grazie all’ambientazione, con una Venezia misteriosa e cupa, come raccontata nel titolo; il nero veneziano è rappresentato dalla vicenda, dai luoghi misteriosi come il cimitero della Giudecca, dalla pensione in cui si svolgono i fatti.
Un film a tratti blasfemo, come nella sequenza in cui le prostitute che circondano Christine inscenano una parodia dell’Ultima cena che è una delle cose da dimenticare del film.
Se Renato Cestiè se la cava egregiamente, anzi, bene nel ruolo di Mark, il giovane veggente cieco, molto algida e fredda appare Rena Niehaus nel ruolo dell’ambigua Christine, che sin dall’inizio appare visceralmente antipatica allo spettatore, mentre bravo è Fabio Gamma ad interpretare Giorgio, lo sfortunato fidanzato/marito della diabolica Christine.
Tra le co-protagoniste vanno citate tre attrici comprimarie come Ely Galleani, l’ex diva dei fotoromanzi Angela Covello e Lorraine De Selle, tutte interpreti di ruoli di prostitute, le stesse che diverranno la corte dei miracoli di Christine.
La migliore interpretazione di questi ruoli secondari è quella di Olga Karlatos, che interpreta Madeleine Winters.
Come già detto, la segnalazione più importante va alla fotografia e alla direzione artistica di Canevari, Ugo Liberatore dirige bene il film, che risulta alla fine il migliore dei sette girati fino al 1978, di gran lunga superiore ai mediocri Incontro d’amore e Noa Noa.
Angela Covello
Nero veneziano, un film di Ugo Liberatore. Con Renato Cestié, José Quaglio, Rena Niehaus, Yorgo Voyagis, Fabio Gamma, Olga Karlatos, Ely Galleani, Angela Covello,Lorraine De Selle
Horror, durata 93 min. – Italia 1978
Renato Cestiè … Mark
Rena Niehaus … Christine
Yorgo Voyagis … Dan
Fabio Gamma … Giorgio
José Quaglio … Padre Stefani
Ely Galleani … Christine
Angela Covello … Christine’s Friend
Lorraine De Selle … Christine’s Friend
Florence Barnes … Christine’s Friend
Olga Karlatos … Madeleine Winters / Vicky’s Mother / The Midwife on the ferry
Bettine Milne … Grandmother
Tom Felleghy … Martin Winters