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Calamo

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Massimo Pirri, regista e sceneggiatore romano prematuramente scomparso nel 2001 a 55 anni è stato un regista che nella sua carriera ha diretto solo 7 film, il più famoso dei quali è sicuramente L’immoralità,uscito nel 1978 e che suscitò un’ondata di polemiche sia per il tema trattato (una relazione a tre tra un assassino pedofilo, una donna e la sua figlia adolescente) sia per le scene di sesso tra il protagonista e Karin Trentephol,all’epoca appena tredicenne, che ovviamente venne sostituita da una controfigura nelle scene più torride.
Calamo è il suo primo film diretto nel 1976 ed è opera complessa e al tempo stesso irrisolta, densa com’è di riferimenti al mondo borghese e ai giovani rampolli della borghesia stessa, stretti tra il desiderio di evasione e di ribellione al mondo a cui appartengono e l’impossibilità di sfuggire alla prigione dorata nella quale vivono comunque agiatamente e dei cui simulacri non sanno e non possono fare a meno.

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Lino Capolicchio e Valeria Moriconi

Un film in cui Pirri mescola elementi tipici del cinema di Bunuel, senza minimamente arrivare a lambire le vesti del vate spagnolo a tentativi di innovazione del cinema, attraverso dialoghi e situazioni che spesso spiazzano lo spettatore rendendo il film per certi versi affascinante ma per la maggior parte del tempo piuttosto noioso attraverso una verbosità eccessiva ed estenuante.
Pirri mette troppa carne al fuoco e stende una sceneggiatura a tratti schizofrenica, disinteressandosi della trama e privilegiando la contrapposizione frontale tra i due mondi a cui appartengono i due gruppi di individui che costituiscono l’ossatura del film, visti attraverso i comportamenti spesso incomprensibili che mostrano nel corso del film.
Discorso che può apparire fumoso, ma certo è concettualmente difficile esprimere a parole un film dall’andamento poco lineare, in cui i personaggi principali appaiono a tratti quasi grotteschi nelle personalità, nei gesti e più ancora nei dialoghi.

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Con queste premesse diventa difficile anche dare indicazioni sulla trama senza rischiare di fuorviare l’attenzione dello spettatore;cosa è più importante nel film, la vicenda personale del protagonista oppure il mondo che lo circonda, i giovani borghesi che frequenta oppure gli hippy che segue senza tuttavia integrarsi?

La pellicola inizia mostrandoci il protagonista, Riccardo, un giovane che studia in Svizzera da seminarista osservare una ragazza e due ragazzi in riva al mare;la ragazza si spoglia davanti ai due ragazzi, salvo poi fuggire appena si accorge della presenza di Riccardo.Il giovane,turbato, torna a casa dove ad attenderlo c’è la sorellastra Stefania, con la quale ha una relazione incestuosa;la scena si trasferisce a tavola, dove un gruppo eterogeneo di persone è seduta accanto al padre di Riccardo.
Durante il pranzo,l’uomo pontifica sulla situazione politica, usando termini sprezzanti verso le la classe operaia (“ci vorrebbe il manganello, nessuno tira la cinghia come abbiamo fatto noi“), suscitando la reazione di Riccardo quando accenna al desiderio di quest’ultimo di diventare prete.

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E’ il primo momento topico del film, distonico e schizofrenico, in cui la varia umanità del mondo borghese sembra unirsi compiutamente attraverso dialoghi reazionari;la scena in cui la ragazza che i genitori vorrebbero affibbiare a Riccardo si mette le mani tra le gambe toccandosi le parti intime e poi passandosi vogliosa le dita tra le labbra suggerisce compiutamente l’unione con un altro simulacro del mondo borghese,il sesso.
Riccardo sfugge a questo primo “agguato” urlando la sua voglia, il suo desiderio di diventare prete; forse è una reazione al mondo ipocrita a cui comunque appartiene,forse è solo un gesto di sfida verso il padre,chissà.
Per tutto il film non sapremo mai quanto il giovane sia convinto della sua scelta e quanto piuttosto intenda rimarcare la distanza con quel mondo che sembra essergli così estraneo.
Poi Riccardo riprende la sua tormentata relazione con Stefania, fino a quando la donna non gli confessa di essere sul punto di sposarsi;Riccardo torna in Svizzera e casualmente incontra un gruppo di giovani hippy, con i quali stringe amicizia.
Attratto dai giovani, un gruppo di borghesi che sembra voler vivere fuori dai rigidi schematismi della classe alla quale appartengono,Riccardo si lega ad una ragazza del gruppo; è l’inizio di un’esperienza tormentata, che passerà attraverso il superamento dei rigidi schemi borghesi, attraverso la sperimentazione dell’amore libero e dell’uso delle droghe.

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Quando alla fine,Riccardo capirà che quella del gruppo è solo una ribellione pro forma alla società ed ai suoi totem, deciderà di riprendere la tonaca da prete,che ha portato sempre con se ma…
Con un andamento schizoide, mescolando dialoghi a volte eccessivamente verbosi, a volte schematici e irritanti, a volte ancora semplicemente decadenti,Pirri da la sua descrizione del mondo borghese senza tuttavia uscire dal rigido binario del dualismo conformismo/anticonformismo.
Lo stesso personaggio principale, Riccardo, appare prigioniero di un mondo al quale vorrebbe sottrarsi ma che lo irretisce anche quando decide di uscirne, finendo per lasciarsi andare in maniera indolente incontro ad esperienze che alla fine lo lasceranno ancor più pieno di dubbi.
Dubbi che assalgono anche lo spettatore, indeciso su come decifrare gli ambigui messaggi di Pirri; scene apparentemente slegate dal tema principale si susseguono creando un’atmosfera di palese imbarazzo.
Cosa pensare ad esempio delle sequenza disturbante dell’aborto della giovane “hippy” interpretata dalla Senatore?
Pesanti dubbi vengono poi analizzando l’interpretazione di Capolicchio; il personaggio di Riccardo ha una personalità ondivaga e lui ne accentua le caratteristiche con una recitazione ai limiti dell’isteria, accentuando quelli che sono di base i tormenti di un’anima inquieta con una resa recitativa più da teatro che da cinema.

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Paola Montenero

Cosa che fa anche la Moriconi, il cui personaggio è ancor più indecifrabile sia nelle mosse sia nelle motivazioni che la spingono tra le braccia del fratellastro, attraendolo e respingendolo contemporaneamente,in un assurdo gioco di seduzione sado masochistico.
La bravissima attrice sembra anch’essa dare un taglio teatrale alla sua interpretazione, tanto che se aggiungiamo la bravissima Paola Montenero, che interpreta il ruolo della ragazza di cui temporaneamente si innamora Riccardo, avremo un gruppo di attori che sembrano strappati di peso da un palcoscenico.
Curiosa la decisione di Pirri di far lavorare la sua compagna del tempo, la Montenero, con le parti intime completamente depilate, cosa che rende il film più incline ad essere un softcore movies che una pellicola d’autore.
Troppe infatti le scene di nudo fuori contesto per non ingenerare il legittimo sospetto che Pirri abbia voluto ancor più assorbire l’attenzione dello spettatore con il buon vecchio sistema di sbandierare l’eros a tutto spiano.
Nel cast figurano anche Paola Senatore, con un colore di capelli biondo che le stravolge completamente il volto e il compianto Aldo Reggiani, sacrificato nel ruolo di un giovane borghese che non ha alcun peso nel film.
Il giudizio finale sul film stesso non può non partire dalla considerazione che comunque è apprezzabile il tentativo da parte di Pirri di percorrere strade poco battute;il problema è il modo in cui lo fa e qui abbiamo praticamente già detto tutto in fase di recensione.

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Per chi volesse cimentarsi con quest’opera comunque anticonvenzionale, arriva a proposito la riduzione in divx del film, splendida e luminosa caricata pochi giorni fa da un emerito “youtubista”: il film infatti è disponibile all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=RbUEv1W7_lE e dovrebbe essere in versione integrale.

Càlamo
Un film di Massimo Pirri. Con Valeria Moriconi, Raffaele Curi, Aldo Reggiani, Lino Capolicchio, Paola Senatore, Paola Montenero, Rita Livesi, Lorenzo Piani, Jacques Stany Drammatico, durata 100′ min. – Italia 1976.

Vi prego di dedicare 30 secondi per rispondere al sondaggio che segue:le vostre opinioni sono importantissime!

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Lino Capolicchio: Riccardo
Valeria Moriconi:Stefania
Paola Montenero:La ragazza hippy
Paola Senatore:la bionda hippy
Aldo Reggiani:un giovane hippy

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Regia: Massimo Pirri
Sceneggiatura: Massimo Pirri, Pier Giovanni Anchisi
Musiche:Claudio Tallino
Montaggio:Cleofe Conversi
Fotografia:Riccardo Pallottini

“ E’ un film che parla di giovani e dell’impossibilità materiale di comunicazione fra i due grandi gruppi in cui essi si dividono. Nel primo, quelli pienamente realizzati o che hanno già individuato strade e strumenti per raggiungere i loro obiettivi. Nel secondo, coloro che questi strumenti non li possegono, per diversi motivi, e che dunque non riescono a realizzarsi. L’incontro o lo scontro di questi due blocchi, che reciprocamente si attirano, provoca un “corto circuito”. Ci sono implicazioni politiche, ma mediate da questi elementi: il mio esame si compie attraverso un occhio che non divide in fazioni, ma che diviene, però “fazioso” quando individua le strutture che ingabbiano molti giovani, occultando loro i mezzi che possono aiutarli a definirsi e prendere coscienza di se stessi”. (Massimo Pirri)

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L’opinione di mm40 da http://www.filmtv.it
Il debutto dietro la macchina da presa del trentunenne Massimo Pirri è all’insegna del cinema autoriale, con una sceneggiatura complessa e spigolosa scritta dal regista stesso in collaborazione con Pier Giovanni Anchisi, fino a quel momento caratterista e autore per produzioni di serie B/C. Non che qui la situazione sia nettamente migliore, anzi: il budget è piuttosto ridotto e l’unica nota davvero positiva a riguardo della produzione sta nello sfoggio di un poker di interpreti di discreto livello (Lino Capolicchio, Valeria Moriconi, Aldo Reggiani, Paola Senatore). Per il resto il film naufraga ben presto, vittima di ambizioni troppo alte, con dialoghi pretenziosi che si accoppiano (male) a frequenti scene di nudo spesso totalmente gratuite; si dice che Pirri puntasse a scimmiottare Bunuel, ma forse sarebbe stato già abbastanza per lui raggiungere un Alberto Cavallone. Ad ogni modo ciò che qui manca è la personalità del regista, roba che non si compra, nè tantomeno si imita. Fotografia cupa (ma chissà quanto dipende dalla visione in vhs di qualità scadente) di Riccardo Pallottini, fra un poliziottesco e l’altro, che diventerà collaboratore fisso di Pirri nei suoi prossimi lavori.

L’opinione di ezio da http://www.filmtv.it
Un cultissimo del cinema di genere anni settanta.Ambizioni alte e non tutte risolte ma si intravede una interpretazione psicologica ben descritta dall’ottimo Capolicchio e dalla brava Montenero,attrice di teatro prestata al cinema,come spiega bene lei negli extra dell’imperdibile collana cinekult ,la bibbia dell’home video sul cinema di genere.Siamo sempre li!! Cinema cosi’ oggi possiamo solo sognarcelo.,allora si rischiava,nel bene e nel male.Imperdibile per gli appassionati del genere.Tanti nudi ,anche quello depilato di Paola Montenero,il regista spiega il perche’ negli extra….

L’opinione di Homesich dal sito http://www.davinotti.com
Parabola mortale di un giovane seminarista senza vocazione, schiacciato dal marciume borghese e dai proclami finto libertari di un gruppo di hippies. Pirri dichiara di essersi ispirato niente meno che a Buñuel (!) e scrive una sceneggiatura confusa, provocatoria e pretenziosa, che causa frequenti moti di disgusto. Da apprezzare la sfaccettata interpretazione di Capolicchio, la Moriconi sempre più somigliante alla Gastoni, la carnale e filiforme Montenero e certe parti musicali di Tallino, il compositore di Spell.

L’opinione di Fauno dal sito http://www.davinotti.com
Di quelli che ho visto è il meno riuscito. Per i primi 40 minuti va a scheggia ad emettere come lava le sensazioni più contorte e le libidini più sopite, che esplodono tutte in una volta, del rapporto di lui con la sorellastra… il resto sono fenomeni che vediamo spesso. Tutti son bravi a predicare e a coinvolgere nelle loro porcherie il solito bonaccione senza personalità e così mansueto da non voler mai contraddire nessuno, salvo poi scaricarlo come un rifiuto biologico quando non fa più comodo. In due parole: fatevi valere e non siate così fessi.

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novembre 15, 2013 Posted by | Drammatico | , , , , , , | Lascia un commento

La donna della domenica

La donna della domenica locandina

Torino.
E’ una caldissima giornata estiva e la città è quasi deserta.
In un appartamento cittadino si compie un dramma: l’architetto Garrone, un viscido e traffichino frequentatore dei margini della società bene torinese viene ucciso brutalmente.
L’arma del delitto è quantomeno inusuale.
All’architetto infatti è stato sfondato il cranio con un pesante fallo di pietra.
A dirigere le indagini viene chiamato il romano Santamaria che da subito si rende conto di ritrovarsi tra le mani una brutta gatta da pelare.
L’uomo infatti frequentava il salotto buono della città, in particolare quello dei coniugi Dosio che lo disprezzavano apertamente.
L’esclusivo gruppo lo tollerava pur ritenendolo un uomo gretto e meschino;sopratutto Anna Carla Dosio, l’annoiata moglie dell’industriale Dosio era in prima linea tra i detrattori del losco architetto.

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Marcello Mastroianni (Santamaria)  e Jean Louis Trintignant (Massimo Campi)

Quando i superiori di Santamaria apprendono i nomi di coloro che sono indagati per il delitto, iniziano a premere sull’inquirente per raccomandargli prudenza.
Le indagini iniziano così proprio nella cerchia dei frequentatori del salotto, fra i quali c’è la coppia omosessuale composta da Massimo Campi, erede di una ricchissima e antica famiglia torinese e da Lello Riviera, un giovane timido e riservato che ama Massimo profondamente.

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Claudio Gora, il viscido architetto Garrone

L’unica traccia che ha Santamaria è la descrizione sommaria dell’assassino fatta da colui che ha scoperto il cadavere, il geometra Bauchiero, che descrive la presenza sul luogo del delitto di una donna bionda che indossava un impermeabile, che aveva con se una borsa sportiva arancione e nelle mani un tubo porta disegni.
Muovendosi con circospezione in un ambiente che mostra di avere tanti segreti, alcuni dei quali innominabili e sopratutto una morale gretta e meschina tipica di un ambiente esclusivo poco propenso all’apporto esterno di persone considerate socialmente “al di sotto”, Santamaria arriverà alla soluzione dell’enigma trovando l’insospettabile colpevole e sopratutto allacciando una fugace relazione con la bella signora Dosio che alla fine lo pianterà per riprendere la solita oziosa e inutile vita da ricca borghese.

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La bottega dei falli di pietra

Tratto dal bellissimo romanzo di Carlo Fruttero e Franco Lucentini edito nel 1972, La donna della domenica è la quasi fedele trasposizione del romanzo stesso operata da Luigi Comencini nel 1975, con esiti assolutamente felici.
Il grande regista di Salò mette la sua ironia, una volta tanto non pesante in eccesso e sopratutto non colorata di nero al servizio di un’opera cinematografica che si segnala per tutta una serie di peculiarità.
Prima di tutto per la splendida sceneggiatura curata dagli stessi scrittori del romanzo ampliata dalla presenza di due fini sceneggiatori come Age e Scarpelli, poi per la presenza di un cast di grandissimo livello e infine per l’abilità di Comencini di riprendere le atmosfere del romanzo riportandole con grande fedeltà sullo schermo.
Sono cose che contribuiscono in maniera determinante alla credibilità del film stesso, che per lunghi periodi appassiona, diverte, fa riflettere anche se sempre in maniera leggera, così come leggera e la vicenda che seguiamo sullo schermo.

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Pino Caruso ( Commissario De Palma) e Lina Volonghi (Ines Trabusso)

Leggera, si, nonostante il delitto iniziale; prima di tutto per la scelta dell’arma da parte dell’assassino, un fallo di pietra, poi per la mancanza totale dell’elemento sangue.
C’è stato un delitto, è vero, ma la cosa ha poca importanza.
Prima di tutto perchè il defunto è un essere spregevole, uno di quelli che l’umanità non piange di certo poi perchè le vicende dei vari sospettati prendono immediatamente il sopravvento su tutto.
L’ambiente indolente, a tratti vizioso, principalmente afflitto da una morale piccolo borghese ed esclusiva che lo avvolge come una cortina impenetrabile ci suona così antipatico che non parteggiamo per nessuno dei protagonisti.
Forse l’unico a suscitare un piccolo moto di simpatia è l’innamoratissimo Lello, che diverrà poi la seconda vittima della vicenda quando verrà ucciso al mercato del Balun dopo aver capito chi è l’assassino.

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Jacqueline Bisset è Anna Carla

Seguiamo così il buon Santamaria alle prese con i superiori che da un lato lo spingono ad usare la massima circospezione ( un vero e proprio tentativo di insabbiamento, in effetti) e alle prese anche con un movente che all’inizio sembra più passionale che venalmente economico.
Così, dopo una vasta carrellata di tutti i personaggi implicati nella storia, ci ritroviamo immersi in un giallo in cui l’ironia di Comencini fa da musa invisibile.
Splendida la visita di Santamaria e di Anna Carla Dosio alla fabbrica di falli di pietra che si conclude con la distruzione di un bel mucchio degli stessi, destinata al mercato degli stranieri, con Anna Carla tutta eccitata dalla novità rappresentata sia dagli eventi che scuotono il torpore dorato in cui vive, sia dall’attrazione che prova per il bel commissario romano.

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Lello confessa la sua relazione con Massimo

Quando il film si conclude, restiamo con un tantino di amaro in bocca non certo per la delusione nello scoprire le motivazioni del colpevole, quanto perchè sono passate due ore di sano divertimento e vorremmo usufruirne ancora.
Grazie sopratutto a Marcello Mastroianni che disegna splendidamente la figura del cinico ma sorridente Santamaria, uno che affronta la vita come un gioco a cui partecipare con il distacco più grande possibile; merito di una bellissima Jacqueline Bisset che è naturalmente predisposta al ruolo della donna di classe, ricca elegante e bella e sopratutto annoiata dalla sua vita dorata fatta del nulla più totale, ovvero cene, parrucchiere e pettegolezzi.

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A sinistra: Aldo Reggiani (Lello Riviera)

E merito anche del cast variegato di caratteristi e non che affollano la pellicola; a partire da Pino Caruso, il Commissario De Palma anche lui furbo e cinico, per proseguire con la coppia omosessuale Jean Louis Trintignant e Aldo Reggiani (Massimo Campi e Lello Riviera), entrambi credibilissimi nel ruolo degli amanti impossibili.
Claudio Gora è inscindibile dal suo personaggio interpretato, quel Garrone viscido come una lumaca senza guscio, Lina Volonghi si cala perfettamente nel ruolo di Ines Tabusso, la donna che si lamenta del via vai di prostitute che ha sotto casa (memorabile la sequenza della caccia ai frequentatori di lucciole, che produrrà alcune grosse sorprese, non tutte piacevoli)

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La splendida Jacqueline Bisset

Spazio anche a grandi caratteristi come Gigi Ballista, Antonino Faà di Bruno, Omero Antonutti e segnalazione per il visagista delle dive, Gil Cagnè che interpreta se stesso rifacendosi ironicamente il verso.
Insomma, una commedia tinta di giallo, gustosa, fresca e divertente che permette di passare due ore davanti allo schermo in perfetta sintonia con quello che accade sullo schermo, impigrendosi al caldissimo sole di Torino, sorridendo dei tanti vizi che costellano la vita sociale dell’alta borghesia della città stessa.
Sopratutto riconciliandosi con un certo tipo di cinema, quello della commedia, che nella metà degli anni settanta doveva fare i conti da un lato con la triste realtà degli anni di piombo, dall’altro con un cinema in cui la volgarità e il sesso avevano purtroppo largo spazio.
Infine, menzione d’onore per la precisa e puntuale colonna sonora di Ennio Morricone

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Al centro della foto l’indimenticabile Franco Nebbia

La donna della domenica, un film di Luigi Comencini. Con Claudio Gora, Jacqueline Bisset, Jean-Louis Trintignant, Marcello Mastroianni, Aldo Reggiani,Pino Caruso, Gigi Ballista, Tina Lattanzi, Lina Volonghi, Clara Bindi, Giuseppe Anatrelli, Ennio Antonelli, Omero Antonutti, Renato Cecilia, Mauro Vestri, Antonio Orlando, Franco Nebbia
Commedia/Giallo, durata 105 min. – Italia 1975.

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La retata sotto casa della Trabusso

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Le indagini dei due commissari

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La seconda vittima, Lello Riviera

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Gigi Ballista (la location è il mercato Balon di Torino)

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Marcello Mastroianni: Commissario Santamaria
Jacqueline Bisset: Anna Carla Dosio
Jean-Louis Trintignant: Massimo Campi
Aldo Reggiani: Lello Riviera
Pino Caruso: Commissario De Palma
Lina Volonghi: Ines Tabusso
Franco Nebbia: Bonetto
Maria Teresa Albani: Virginia Tabusso
Omero Antonutti: Benito
Claudio Gora: l’architetto Garrone
Gigi Ballista: Vollero
Fortunato Cecilia (col nome di Renato Cecilia): Nicosia
Tina Lattanzi: la madre di Massimo
Antonino Faà di Bruno: il padre di Massimo
Gil Cagné: il parrucchiere
Mauro Vestri: ragioner Cerioni:
Giuseppe Anatrelli: commissario
Antonio Orlando: Salvatore
Ennio Antonelli: ceramista Zabataro
Dante Fioretti: ragioner Buccero

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Regia     Luigi Comencini
Soggetto     Fruttero e Lucentini
Sceneggiatura     Fruttero e Lucentini, Agenore Incrocci, Furio Scarpelli
Produttore     Marcello D’Amico
Fotografia     Luciano Tovoli
Montaggio     Antonio Siciliano
Musiche     Ennio Morricone
Scenografia     Mario Ambrosino arredamento di Claudio Cinini
Costumi     Mario Ambrosino

 

La donna della domenica libro
Il romanzo di Fruttero & Lucentini

La donna della domenica locandina sound

Le recensioni qui sotto appartengono al sito http://www.davinotti.com

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Bissetiano. Impossibile non innamorarsi di Jacqueline Bisset, che sposa bellezza ed eleganza in modo splendido. Grandissimo cast, con una Lina Volonghi fantastica, da urlo. Ma tutti sono bravissimi. Ci sono anche, fra i tanti, Gigi Ballista (antiquario disonesto), Antonutti, Anatrelli puttaniere. In picccolo ruoli, ma con una bella battuta, Mauro Vestri e Antonino Faà di Bruno. Non per provare tensione, ma per provare divertimento intelligente. “Deus ex machina” risolutivo un po’ diverso dal libro di Fruttero e Lucentini: già perdonato.

Tratto da un bel romanzo di Fruttero & Lucentini, il film si avvale dell’ottima sceneggiatura di Age & Scarpelli, che rimangono fedeli al romanzo, adattandolo in maniera ottimale ai tempi cinematografici. Ottima la ricostruzione dell’ambiente alto borghese di Torino, rispetto al quale il commissario Santamaria (romano trapiantato in Piemonte) mostra sempre un elegante distacco (Mastroianni appare attore ideale per il ruolo). Buona la caratterizzazione psicologica dei personaggi e cast (non solo il protagonista) all’altezza.

Age & Scarpelli, particolarmente attivi con Totò, imbastiscono una sceneggiatura dalle sfumature grottesche (quasi da commedia), ma che poi approdano – con millimetrica precisione – al giallo. Ottima la regia di Comencini, che riesce a valorizzare un cast significativo, partecipe e coinvolto con professionalità nella realizzazione del film. Titolo memorabile, per via d’un “modus operandi” del killer che sembra avere influenzato future produzioni (ora mi sovvengono solo L’Osceno Desiderio e La Sorella di Ursula).

Era inevitabile perdere per strada molte delle finezze del classico romanzo di Fruttero & Lucentini (basti per tutte l’inestinguibile cruccio dell’americanista Bonetto per lo sprezzante “taluno” sparato da un conferenziere rivale… ), ma un film è un film, e questo è buono. Mastroianni è un credibile Santamaria, la Bisset una dea, notevolissimo il cast secondario, col miglior ruolo al cinema della Volonghi. Forse stecca il solo Trintignant, non sempre vispo. Buono.

Discreta riduzione cinematografica del bel romazno giallo di Fruttero e Lucentini. Il ritmo non è certo vertiginoso (come d’altronde nel libro) eppure riesce ad essere abbastanza intrigante e coinvolgente. Peccato che la regia di Comencini sia un po’ troppo piatta. Buone invece le interpretazioni degli attori.

Chi ha ucciso il traffichino Garrone? Nei primi 10 minuti il film ci presenta tutti i sospettati, per poi riunirli tutti sul luogo del secondo omicidio. Bella gente, impiegati comunali, galleristi truffaldini, tutti indagati da Mastroianni, scettico e sornione, e da Pino Caruso, esuberante e perennemente sopra le righe. Da un famoso romanzo, Comencini mette in scena una Torino non molto filmata dal nostro cinema, con un cast di stelle e caratteristi doc. Il meccanismo giallo non è granché (un po’ alla Ellery Queen), ma il film si vede con piacere.

Discreta pellicola in bilico tra giallo e commedia. Registicamente il film non fa una piega, la fotografia è notevole e le musiche di Morricone sono un po’ sottotono ma comunque ben arrangiate e sempre piazzate al posto giusto. Molto lenta la sceneggiatura, soprattutto nella prima parte, anche se il coinvolgimento cresce lentamente per poi diventare molto elevato nell’ultima mezz’ora. Ottimo cast, con un perfetto trio di protagonisti e soprattutto pieno di gustosissime apparizioni in ruoli secondari.

Partendo dall’ottimo giallo di Fruttero & Lucentini, Comencini confeziona una discreta trasposizione che però si concede troppe libertà. Rispetto al testo la storia viene un po’ troppo semplificata e snellita, a discapito di alcuni personaggi fondamentali. Da ricordare soprattutto per il sempre bravo Mastroianni che dona al suo commissario Santamaria un buono spessore e l’ironia giusta.

Bella prova corale, equilibrio tra regia ferma e attori di gran livello che sanno condividere tra loro la scena e soprattutto alla base un gran bel romanzo. Un testo importante, ben scritto, dove in fondo l’ambientazione, l’atmosfera e lo sviluppo dei caratteri dei personaggi prevale sull’intreccio in senso stretto. Un’affascinante Torino, per certi versi sempre un po’ segreta e secretata al grande pubblico. Tre pallini.

Un giallo impeccabile, con un’ottima ricostruzione, ottimi personaggi e una trama solo apparentemente nella norma, ma che diventa incalzante pian piano che si dipana la matassa della brillante sceneggiatura su cui la pellicola si basa. Una Torino inedita e un film che brilla ad ogni fotogramma, musicato da una soundtrack di Morricone semplicemente superba.

Magari l’intellettuale di turno seduto sulla poltrona con la faccia un po’ schifata e il sopracciglio inarcato pensa che dormirà per tutto il film, ma sceneggiatori, regista, musicisti, attori e perfino i costumisti, si meritano un bel “bravo”. Perchè questo è un film dei singoli e anche corale. Immagino che ci sarà voluta una grande fermezza per disciplinare tanti mostri di bravura: un plauso a Comencini, tanto bravo da non sovrapporsi alla storia. La location del Balùn è da menzionare. Mastroianni è il solito grande attore, godibilissima Lina Volonghi.

Pregevole tentativo (imitato poco e male) di “terza via” al giallo italiano, qui epurato dai fremiti pruriginosi del filone lenzian-martiniano (ma se ne mantiene il contesto “vip”) e dalla violenza di quello argentiano. Comencini firma un giallo “maturo”, che coniuga grotteschi personaggi da commedia con il realismo mutuato dal poliziesco di costume. Non è perfetto ma non è nemmeno, come poteva sembrare dalla matrice letteraria, solo un film tutto sceneggiatura e attori: si respira aria di cinema, anche grazie a Tovoli e Morricone.

Da una storia poco intrigante il regista ha realizzato un gran bel film, che si fa guardare molto piacevolmente. Bravi tutti gli attori (in particolare Mastroianni) e bellissime le ambientazioni in una splendida Torino.
I gusti di Dusso

Bel film, cast all stars per la trasposizione cinematografica di uno dei migliori gialli italiani, scritti dalla premiata ditta Fruttero e Lucentini. Ambientazioni stile Anni Settanta molto gustose, protagonista bellissima (una Bisset in gran forma), sceneggiatura tutto sommato all’altezza del libro (e non era certo impresa facile). Claudio Gora si segnala in una delle sue migliori interpretazioni di viscido squallore, Mastroianni rende con la consueta maestria la sorniona nonchalance del Commissario Santamaria.

Da un capolavoro della scrittura non poteva uscire un film scadente. Questo bel giallo, torinese nell’anima, rimane come una delle opere più riuscite degli anni Settanta. Cast di prim’ordine con Mastroianni e Trintignant su tutti, trama complicata e storia appassionante. Con tutto un sostanzioso contorno di personaggi genuinamente macchiettistici e coloriture regionali che danno vita ad un’ambientazione molto definita: è il maggior pregio del film. Grande fotografia dell’Italia che fu: vicina a noi ma irrimediabilmente perduta.

Questa è una di quelle pellicole in cui attori come Mastroianni, magari in cerca di riposo da pellicole più impegnate, avrebbero potuto limitarsi a seguire il copione senza particolari sforzi interpretativi, considerate le intenzioni modeste del film. Invece, guarda caso, il film e l’attore in questione si rivelano essere molto al di sopra di qualunque aspettativa; la trama ha uno sviluppo apparentemente lento, poi progressivamente si infittisce, fino alla scoperta finale dell’assassino; ma prima di questa c’è sempre tempo per gustare i piccoli spunti di comicità che Comencini ha disseminato.


aprile 9, 2011 Posted by | Commedia | , , , , , , , , , , , , , | 4 commenti