Una vita lunga un giorno
E’ passato molto tempo da quando Andrea è partito da Sanremo per imbarcarsi per lavoro.
Il giovane infatti è un marinaio e alloggia periodicamente presso la pensione della signora Andersson; questa volta trova un’amara sorpresa, perchè la donna è morta tre giorni prima del suo arrivo.
Una lettera arrivata la mattina al portiere della pensione informa che la nipote della signora Hilde Andersson arriverà alla pensione, cosi Andrea va a prendere la ragazza alla stazione.
Anna è una bella ragazza e ben presto tra i due nasce l’amore;nel frattempo inutilmente Andrea cerca un imbarco.
Una mattina Anna, mentre sta facendo la doccia, viene assalita da un uomo: la ragazza è salvata dallo stupro da Andrea giunto opportunamente nella sua camera.
Andrea porta Anna ospedale per accertamenti dove però ha un’amara sorpresa; la ragazza infatti, a detta del medico, soffre di un grave disturbo al cuore e necessita di una delicata ( e costosa) operazione a cuore aperto per essere salvata.
Avvicinato da un misterioso personaggio, Andrea scopre che ha la possibilità di guadagnare in un colpo solo la somma che necessita per l’operazione.
Un gruppo di annoiati professionisti, fra i quali spicca un depravato riccastro, Philippe, è disposto a dargli la somma necessaria a patto che riesca a coprir la distanza che c’è tra le alture della cittadina ligure e il porto sfuggendo a cinque tentativi di omicidio che avverranno secondo modalità assolutamente impreviste da Andrea.
Il giovane accetta e da quel momento la sua vita dipenderà solo dalla fortuna e dalla sua capacità di essere preda.
Dopo il primo tentativo andato a vuoto, durante il percorso con la funicolare che lo porta sulle colline, Andrea riesce a sfuggire casualmente al tiro di un cecchino armato di fucile di precisione,per poi finire nel letto della bellissima moglie di Philippe, sfuggire alle fiamme (dolose) che avvolgono una baracca per poi giungere, pesto e sanguinante al porto.
Qui scoprirà di essere stato parte di un gioco ancora più perverso, al quale non è estranea l’amata Anna, che ha funzionato dall’inizio come esca per l’ingenuo marinaio.
Finale drammatico e sconsolante.
Sotto lo pseudonimo di Sam Livingstone il regista Ferdinando Baldi dirige nel 1973 Una vita lunga un giorno subito dopo il discreto successo di Afyon oppio (1972) e quello dell’inusuale western Blindman del 1971 che molti ricorderanno per aver avuto come protagonista un pistolero cieco.
In questo strano film, a metà strada tra il sentimentale e il thriller venato di noir, Baldi cerca di armonizzare una sceneggiatura molto lacunosa destreggiandosi a fatica con un film che ricorda moltissimo, troppo in realtà, il più fortunato La decima vittima di Petri.
Ad una prima parte del film caratterizzata da una lentezza quasi esasperante, fa seguito una seconda in cui il ritmo accelera improvvisamente e in cui il protagonista è costretto a muoversi come una belva braccata da un invisibile mini esercito di killer che lo aspettano al varco per ucciderlo.
L’amalgama del film però risulta alla fine assolutamente ondulatorio e non giova certo all’economia dello stesso l’espressione monocorde del protagonista principale, quel Mino Reitano all’epoca idolo delle folle in un ambito ben differente, quello del panorama musicale.
Il cantante di Fiumara, prestato al cinema dopo l’esperienza sfortunata di Tara Poki, western di Amasi Damiani del 1971 e prima dell’unico film di discreto livello interpretato, ovvero Povero Cristo di Pier Carpi conferma di non essere adatto al grande schermo.
Colpa della sua rigidità espressiva, caratterizzata dall’espressione perennemente imbabolata e monocorde del viso.
In questo film poi, in cui era necessaria un’espressione mobile dello sguardo per passare dal contesto romantico a quello drammatico,Reitano conferma i suoi evidenti limiti condannando il film ad un giudizio negativo.
Che, per inciso, meriterebbe di già per lo scarso coordinamento fra le varie parti del film, che oscilla e sbanda indeciso su quale strada prendere.
Se la trama non è già di per se originale, il resto del film risente di calate di ritmo e brusche accelerazioni, con scene d’azione che avrebbero richiesto un dosaggio più equilibrato per essere credibili.
Non fosse per la squadra di caratteristi utilizzata, nella quale figurano ottimi mestieranti come Luciano Catenacci,Dante Maggio, Franco Ressel e la “star” Philippe Leroy la pellicola sarebbe naufragata ancor più miseramente di quanto fece.
Una vita lunga un giorno infatti non ebbe praticamente alcun successo al botteghino e sparì completamente dalla circolazione.
Nel film troviamo la svedesina Eva Aulin alla sua penultima interpretazione; l’attrice di Landskrona infatti tornerà sul set nel 1996, a ventitre anni di distanza con il film Mi fai un favore di Giancarlo Scarchilli e Eva Czemerys, nel ruolo minore della debosciata moglie dell’ancor più debosciato Philippe. Discreta la colonna sonora composta dai fratelli Reitano.
Un film quindi non particolarmente affascinante, più che altro anonimo che è stato recentemente ripescato dall’oblio e che può essere visionato in una versione passabile su You tube all’indirizzo: http://youtu.be/05XU4lfa92o
Una vita lunga un giorno
Un film di Ferdinando Baldi. Con Philippe Leroy, Luciano Catenacci, Franco Ressel, Ewa Aulin, Mino Reitano,Dante Maggio, Franco Fantasia, Eva Czemerys Drammatico, durata 94 min. – Italia 1973.
Mino Reitano: Andrea Rispoli
Ewa Aulin: Anna Andersson
Philippe Leroy: Philippe
Eva Czemerys:Moglie di Philippe
Luciano Catenacci: Spyros
Nello Pazzafini: Nello
Franco Ressel:Il dottore
Anna Maria Pescatori:Frieda
Dante Maggio:Zio GIuseppe
Regia Ferdinando Baldi
Soggetto Ferdinando Baldi
Montaggio:Eugenio Alabiso
Fotografia:Aiace Parolin
Musiche Franco Reitano e Mino Reitano
Scenografia Claudio Cinini
Produzione:Manolo Bolognini
L’opinione del sito http://www.bizzarrocinema.it/
Passato nei cinema di allora nella quasi totale indifferenza, riproposto ogni morte di papa nelle più infime tv locali, privo di quell’alone di culto che solitamente contraddistingue opere così rare, Una vita lunga un giorno non ha avuto certo un destino felice. I difetti non mancano e si mostrano senza remore: il ritmo – componente essenziale per un buon thriller – è a velocità bradipo zoppo, la sceneggiatura presenta buchi tipo voragini e, certuni interpreti – Leroy su tutti – hanno palesemente il pilota automatico azionato. A ciò aggiungiamo che il soggetto non è tra i più originali: trattasi di chiaro “ricalco” dello splendido La pericolosa partita di Ernest B. Schoedsack. Eppure, basta poco. Basta un primo piano del nostro Beniamino – di nome e di fatto – a farci dimenticare, come d’incanto, tutti i difetti di questo film e a darci quell’estasi che solo noi esteti del Bizzarro possiamo provare. Reitano, tenace e stoico come solo lui sa essere (e chi l’ha potuto ammirare nelle sue storiche ospitate televisive sa benissimo di cosa parlo), abbatte totalmente il senso del ridicolo, va avanti per la sua strada di “attore per caso e non si ferma davanti a nulla. Guidato dalla mano sapiente del regista Livingstone/Baldi, il nostro eroe attraversa un’odissea notturna degna del Bruce Willis dei tempi migliori, ma anche del Griffin Dunne di Fuori orario e – perché no? – del Joel McCrea protagonista de La pericolosa partita (di cui sopra). è troppo? Forse. Mi limiterò dunque a consigliarvi caldamente questa insolita visione. Armatevi di pazienza e di vhs (o dvd) vergine, piantonate la programmazione di tutte le tv locali e state pronti a spingere il tasto “rec”, Una vita lunga un giorno potrebbe capitarvi sotto mano. Per noi amanti del Bizzarro, fidatevi, non c’è modo migliore per commemorare l’artista Reitano come merita.
L’opinione di renato dal sito http://www.davinotti.com
Un film interessante, almeno nella prima parte in cui Ferdinando Baldi introduce la vicenda con indubbio stile. Peccato poi che l’ultima mezzora diventi troppo meccanica e prevedibile, quando inizia la discesa verso il mare di Mino Reitano. Su quest’ultimo come attore non c’è molto da dire… Se non che mantiene la stessa espressione imbambolata per tutto il film, ma grazie al cielo venne almeno doppiato da un professionista. Meravigliosa Ewa Aulin, ma questa non è certo una notizia. Girato in esterni a Sanremo.
L’opinione di Undying dal sito http://www.davinotti.com
Incasinato dramma sentimentale, che trova in Love Story (la Aulin è cardiopatica) ed una miriade di altri ben più riusciti titoli (La decima vittima su tutti, causa caccia spietata alla preda umana) il nucleo portante e fulcro dell’intera sceneggiatura. Il regista può contare su un bravo attore (uno spietato Philippe Leroy) ed una bellissima attrice (la Aulin, qua su uno degli ultimi set cinematografici che la ospita), ma fallisce nel far indossare un “vestito sfilacciato” al protagonista (un monocorde e poco espressivo Mino Reitano).
L’opinione del sito www.robydickfilms.blogspot.it
Reitano attore sarà sicuramente un po’ monotono, ma non è così inespressivo come si potrebbe credere.
Baldi dalla sua parte dirige come al solito abbastanza bene, anche se l’ultima mezz’ora in cui dal sentimentale il film vira decisamente verso l’azione, cade nella prevedibilità e soprattutto nell’inconcludenza.
Luciano Catenacci, con quella sua faccia, se la cava come sempre, ovviamente nella parte del cattivo.
Per ogni adoratore del povero Mino, così prematuramente scomparso, il film è certamente opera a dir poco magnifica, ma bisogna dire che come versione italiana di film rientrabile nel filone delle “Manhunt”, della “caccia all’uomo”, non è secondo a molti altri titoli ben più celebrati, a partire proprio dal datato e decisamente invecchiato male, irrisolto, “La Decima vittima” (’66) di Elio Petri. Al quale Baldi nelle scene d’azione, anche quando un po’ assurde, spacca letteralmente il culo.
Ascoltare la introvabile colonna sonora rock strumentale del film, composta da Mino con il fido fratello Franco, per rendersi bene conto di quanto i Reitano fossero stati dei musicisti molto lontani da quello che avrebbero dovuto essere, una volta raggiunto il successo popolare.
La scena della rivelazione finale “ Face to face” con la Aulin, è inarrivabile e una vera e propria gemma, per chiunque pensa che comunque Reitano “non è mai stato un attore”, altro che far ridere.
Mangiati vivi
Una serie di misteriosi e raccapriccianti omicidi si abbatte sulla città di New York: un misterioso assassino, armato di una cerbottana che lancia micidiali dardi intrisi di un letale veleno estratto dalle ghiandole dei cobra, dopo aver assassinato alcune persone, muore investito da un camion.
Ivan Rassimov
Addosso all’uomo la polizia rinviene una pellicola girata dalla sorella di Sheila Morris, Diana, e la polizia convoca quindi Sheila sia per informarla della cosa sia sperando in un qualche aiuto da parte della donna. Visionando la pellicola, Sheila apprende che Diana probabilmente è entrata a far parte della Setta della Purificazione, guidata dal santone Melvyn Jonas, che ha abbandonato la civiltà per rifugiarsi in Guinea, in una zona impenetrabile, pericolosissima, sia per l’ambiente, particolarmente ostile, sia per la presenza di tribù dedite al cannibalismo.
Decisa a ritrovare sua sorella Diana, Sheila parte per la Guinea, dove conosce Mark, un ex combattente del Vietnam ora ridotto a fare la guida. Con il miraggio di un compenso molto alto, trentamila dollari, Sheila convince la riluttante guida a mettersi in cammino per la giungla. I due partono così sulle tracce di Diana; la marcia di avvicinamento al villaggio sarà un’autentica odissea, ma i veri pericoli attendono la coppia proprio nel villaggio.
Melvyn Jonas guida il gruppo dei fuggitivi dalla civiltà con mano dura e rituali pagani; per aumentare l’ascendente sulla gente, non esita a usare droghe, oltre a servirsi di alcuni nativi per scoraggiare fughe e defezioni. Sheila e Mark stessi vengono costretti all’obbedienza; la donna, drogata, viene stuprata con un fallo artificiale. Diana, riemersa dai fumi delle droghe che il santone le somministrava, chiede a Sheila di organizzare la fuga. I tre, con la collaborazione di Mownara, una donna nativa rimasta vedova, riescono a fuggire, ma devono separarsi.
Diana e Mownara, inseguite dai cannibali, vengono divorate vive, mentre Sheila e Mark, allo stremo delle forze, dopo una rocambolesca fuga inseguiti dai cannibali, riescono a saltare su un elicottero inviato alla loro ricerca. Jonas, resosi conto che a breve avrà l’esercito contro, convince i suoi seguaci a morire in un rituale di suicidio collettivo.Rientrati a New York, Sheila e Mark apprendono dello sterminio di massa; all’appello però manca proprio Jonas, che sembra essere fuggito. La donna scopre anche che Diana aveva donato tutti i loro beni al santone. Mangiati vivi ppartiene alla nutrita schiera dei cannibal movie, il genere a cui proprio Lenzi, regista del film, diede un contributo importante con il primo film che inaugurò la serie, Il paese del sesso selvaggio.
In questa pellicola utilizza nuovamente Me Me Lay e Ivan Rassimov, che avevano ben lavorato nella pellicola citata. Il film è di buona fattura, anche se purtroppo, ancora una volta, si segnala anche per la presenza di scene disgustose riguardanti l’uccisione di animali, in questo caso dei coccodrilli e dei serpenti. Il finale del film, violentissimo, ricorda la terribile storia del reverendo Jim Jones e del suicidio di massa avvenuto nella Guyana nel 1978 .
Me Me Lai
Quando Umberto Lenzi gira Mangiati vivi, l’eco della terribile storia del massacro della Guyana era ancora molto viva; il film infatti è datato 1980, quindi erano passati solo due anni dai tragici fatti di Jonestown, quando oltre 900 persone si immolarono per la follia del reverendo Jones. Il film si lascia vedere, il ritmo c’è e la sceneggiatura non perde colpi; Lenzi aggiunge anche scene piccanti, come lo stupro rituale di Mownara, oppure le scene della violenza subita da Diana ad opera dei nativi agli ordini di Jonas.
Molto crude le scene di violenza, girate con indubbia abilità, incluse le famigerate scene in cui Diana e Mownara vengono mangiate a pezzi staccati dal corpo mentre sono vive. raccapricciante la scena della mutilazione di diana, a cui viene strappato un seno e una gamba da un cannibale, che poi divora il tutto con evidente soddisfazione. Il cast, oltre ai citati Rassimov e Me Me Lai, include la bella Janet Agren, che interpreta dignitosamente Sheila Morris e Paola Senatore, che interpreta Diana. Il ruolo di Mark è affidato a Robert Kerman, che se la cava discretamente. Nel film, in una piccola parte c’è anche Mel Ferrer
Mangiati vivi, un film di Umberto Lenzi. Con Janet Agren, Mel Ferrer, Paola Senatore, Ivan Rassimov.Robert Kermann, Franco Fantasia, Me Me Lai Horror, durata 94 min. – Italia 1980. –
Robert Kerman: Mark Butker
Janet Agren: Sheila Morris
Ivan Rassimov: reverendo Melvyn Jonas
Me Me Lay: Mownara
Paola Senatore: Diana Morris
Regia: Umberto Lenzi
Sceneggiatura: Umberto Lenzi
Fotografia: Federico Zanni
Montaggio: Eugenio Alabiso
Musiche: Budy Maglione