Ingrid sulla strada
La giovane e bella Ingrid è diretta a Roma,dopo aver subito violenza da suo padre.
Sul treno che dalla finnica Rovaniemi porta in Italia,la ragazza si lascia sedurre da un uomo accettandone la ricompensa in denaro.
Dopo l’arrivo nella città eterna,Ingrid girovaga per la città,affascinata dalla sua bellezza e incontra casualmente la prostituta Claudia che
la carica su una carrozzella.
Tra le due c’è subito amicizia e complicità;Claudia la introduce nel suo ambiente,facendogli conoscere un pittore con il quale ha una relazione.
Alcune esperienze singolari attendono le due compagne di avventura,come l’incontro con un degenerato,Urbano,che con la complicità della moglie
instaura un improbabile rapporto a 4 a sfondo necrofilo.
Successivamente Ingrid fa la conoscenza del pappone di Claudia,il brutale e psicopatico Renato che,per vendicarsi dell’evidente disprezzo che da subito la ragazza mostra per lui,la fa violentare dai suoi uomini,con Claudia che perde la vita nel tentativo disperato di aiutarla.
Sconvolta,Claudia si uccide.
Brutto senza appello questo Ingrid sulla strada,diretto da Brunello Rondi nel 1973.
Ad un inizio anche lirico,con Ingrid che raggiunge la stazione tra candidi paesaggi innevati,si oppone il sordido e violento mondo romano,descritto dal regista come coacervo di tutti i peggiori vizi.
La parte centrale del film poi rasenta la narcosi profonda,sopratutto nell’episodio che vede le due donne partecipare ad una grottesca orgia con un degenerato e maturo cliente.
Il finale è sin troppo violento,un vero colpo di frusta che nelle intenzioni vorrebbe stigmatizzare l’ipocrita ambiente della capitale,all’apparenza elegante e nella realtà sordida e viziosa.
Invece il tutto appare come un ibrido mal amalgamato,in perenne bilico fra la farsa e la tragedia,con personaggi caricati all’inverosimile di vizi e sopratutto moralmente abietti e disadattati,asociali.
In equilibrio assolutamente precario tra il Pasolini delle borgate e la Roma da cartolina,il film deraglia quasi subito per eccesso di cinismo e per l’irrealtà dei personaggi mostrati.
La Agren, che interpreta la finnica Ingrid,è solo un bel volto gelido e algido mentre la Coluzzi (Claudia) dovrebbe essere un personaggio che ispira simpatia e che nella realtà,invece,appare ancor più censurabile degli altri,fatta eccezione per l’improponibile Citti,descritto come un satanasso senza morale e senza umanità.
Un sadico pervertito che maschera la propria carica di violenza con atteggiamenti da folle nazista nascosto nemmeno bene da intellettuale dei poveri.
Un film senza capo e sopratutto senza coda,un ritratto inverosimile e non credibile di una realtà che forse potrebbe anche appartenere agli anni settanta e alla capitale,ma che viene resa con un linguaggio e con una filmica inverosimili.
Rondi per l’ennesima volta cicca clamorosamente la palla e fa autogoal;accadrà con il pretenzioso I prosseneti scendendo ancora più in basso con Valeria dentro e fuori e sopratutto con Velluto nero.
Un cinema,il suo,molto arrogante e poco concreto.
Non bastano le buone intenzioni e una discreta tecnica per creare opere degne di essere ricordate;Rondi è poco più che un artigiano,peraltro presuntuoso.
Mescolare la poesia espressa dal paesaggio selvaggio con la brutalità dell’urbano richiede una sapiente opera alchemica,ovvero la capacità di passare da una realtà all’altra con discrezione e non ex abrupto.
Film quindi di scarso o nullo valore,nonostante l’esaltazione di qualche critico e di una manciata di adoratori del regista valtellinese,del quale non salverei nemmeno gli attori,fatta eccezione forse per Enrico Maria Salerno,alle prese con un personaggio odioso e ridicolo,che però esprime con la consueta bravura ed eleganza.
Buona la fotografia,innocue e dimenticabili le musiche di Carlo Savina
Il film è presente su Youtube in una splendida versione all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=Gvp-cj3bmIY
Ingrid sulla strada
Un film di Brunello Rondi. Con Janet Agren, Enrico Maria Salerno, Franco Citti, Francesca Romana Coluzzi,Marisa Traversi, Bruno Corazzari, Fred Robsham, Luciano Rossi Drammatico, durata 92 min. – Italia 1974
Janet Agren: Ingrid
Franco Citti: Renato
Francesca Romana Coluzzi: Claudia
Bruno Corazzari: il pittore
Luigi Antonio Guerra: uomo della gang di Renato
Fulvio Mingozzi: padre di Ingrid
Alessandro Perrella: giornalista
Luciano Rossi: il traditore
Enrico Maria Salerno: Urbano
Regia Brunello Rondi
Sceneggiatura Brunello Rondi
Produttore Carlo Maietto
Casa di produzione Thousand Cinematografica
Fotografia Stelvio Massi
Montaggio Marcello Malvestito
Musiche Carlo Savina
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
Luchi78
Dalla Lapponia con furore, alle botticelle con i coatti che fanno battute in tipico stile romanesco. Il salto è troppo ardito e il film perde subito la verve acquisita con
l’ottimo inizio. Non bastano poi le scene di violenza sostenute da un Citti non troppo nella parte, per non parlare di Salerno decisamente fuori luogo. Neanche le due protagoniste,
la Agren e la Coluzzi, riescono ad esprimersi a buoni livelli: la prima troppo trattenuta, la seconda troppo “alla romana”. Insomma, un film non riuscito.
Daidae
Mediocrissimo film che parte in quinta (la sequenza sul treno è favolosa) ma si sfalda appena Ingrid arriva a Roma. Assurdi i personaggi della Coluzzi ma sopratutto di Citti che, nonostante reciti bene,
è poco credibile nel ruolo del capo di una banda di neonazi-papponi-terroristi. In particolar modo la politica sembra una forzatura; “stupenda” la battuta del compagno che indica in papa Giovanni XXIII
il mandante dell’attentato! Totalmente fuori posto anche Enrico Maria Salerno. Film molto mediocre che, forse, ha come unico pregio i primi 5 minuti e gli ultimi 3.
Schramm
Chissà dove ha battuto la testa Rondi prima di mettersi a girare questo non plus ultra dello scultissimo coabitato da un sordido Citti -fisionomicamente beniano, in quest’occasione- che lo risolleva un pochino,
ma cinto d’assedio dalle armate del ridicolo a ogni minuto: bastino per tutti i dialoghi cacciati in bocca a Salerno, naufragante in situazioni che sono un inno all’umorismo involontario.
L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it
Si tratta di un film senz’altro ‘alla Rondi’: intento di denuncia, sguardo rivolto alle problematiche sociali, ma poca fantasia e un’attrazione irrisolvibile verso le morbosità. Già dal titolo si intuisce che quella di Ingrid non sarà una storia felice;
brava la protagonista Agren (che è in realtà svedese e non finlandese), affiancata da un tris di ottimi nomi come Salerno, che ha poco più che un cameo, la Coluzzi e Citti (Franco), doppiato fra l’altro da Oreste Lionello. Soggetto e sceneggiatura di Rondi,
con apice della storia nella scena-shock del taglio della lingua di un ‘infame’. Echi di Pasolini (complice anche la presenza di Citti)? Ma Pasolini aveva una leggerezza nella narrazione che non sfiora neppure l’apparato grottesco e macchinoso di Rondi.
Il saprofita
Il giovane Ercole studia da seminarista, in attesa di prendere i voti; ma in seguito ad un trauma, perde apparentemente la voce ed è costretto quindi a lasciare il seminario. Grazie alle conoscenze mondane del Superiore del seminario, Ercole finisce a servizio del generale Augusto Bezzi e di sua moglie Clotilde, baronessa.
La coppia ha due figli, Brunilde e il giovane Parsifal, costretto all’immobilità su una sedia a rotelle.
Ercole riesce immediatamente a farsi benvolere sia da Clotilde che da Parsifal; mentre con la baronessa l’ex seminarista allaccia quasi subito una relazione sessuale con Parsifal Ercole sembra legare in maniera speciale. Il giovane Parsifal infatti lo adora, anche quando scopre che tra lui e sua madre c’è una relazione.
Che Parsifal cerca di ostacolare, inutilmente.
Nel frattempo il Generale,dopo un litigio con la Baronessa che gli rimprovera di essere diventato un vecchio inutile cosa che del resto fa Brunilde, compie un gesto estremo lanciandosi da un balconcino della casa, proprio mentre Clotilde e Ercole sono impegnati in un focoso amplesso.
La morte del generale sembra paradossalmente sopire le tensioni della casa e le vite dei protagonisti scorrono tranquille.
Un giorno Clotilde, consigliata dal parroco Don Vito decide di inviare Ercole e Parsifal a Lourdes, in un estremo tentativo di trovare una soluzione ultraterrena alla menomazione di Parsifal.
Durante il viaggio i due conoscono Teresa Adiutori, una bella e morigerata giovane che accompagna sua nonna in Francia; ben presto il giovane Parsifal, in piena tempesta ormonale, si lega morbosamente alla ragazza ma non ha fatto i conti con il suo accompagnatore Ercole.
Che seduce la ragazza; scoperto durante un convegno amoroso (sul letto nel quale dorme la nonna di Teresa), Ercole insegue per il corridoio dell’albergo Parsifal che gli sta urlando contro e con un calcio fa precipitare giù per le scale il ragazzo, che muore.
Quasi miracolato dall’insano gesto, Ercole riprende a parlare e alla gente accorsa alle grida di Parsifal, presenta il tutto come un miracolo invitando i presenti alla preghiera…
Saprofita (termine derivato dal greco) indica quegli organismi che si nutrono di materia organica morta o in decomposizione; e tale appare il giovane e opportunista Ercole, che forse finge una afasia post traumatica semplicemente per sfuggire alla vita sacerdotale, per la quale forse non è tagliato.
E Il saprofita è il titolo di questa interessante opera prima di Sergio Nasca, che precede lo splendido Vergine e di nome Maria che nel 1975 lo impose all’attenzione del pubblico.
Il saprofita esce nelle sale nel 1974 ed è accolto in maniera controversa dal pubblico e dalla critica, se vogliamo con ottime motivazioni.
Il film ha una trama interessante, uno spunto di partenza che si presta ad un’analisi sui vizi delle famiglie borghesi meridionali, tema molto sfruttato ma capace di offrire continui spunti di riflessione.
Ercole è un personaggio ambiguo, come del resto ci appare da subito; freddo e glaciale, aiutato in questo dalla sua impossibilità di comunicare (voluta o subita ha un’importanza relativa), riesce ad installarsi nella famiglia Bezzi come un parassita, pronto a sfruttare le contraddizioni della famiglia stessa.
La Baronessa Clotilde è preda facile: bella e trascurata da un marito molto più anziano di lei, che non può più avere rapporti con sua moglie per una menomazione ( o semplicemente per gli stravizi in cui è vissuto, come rimproveratogli dalla moglie), Clotilde trova nel bel tenebroso Ercole un surrogato di felicità, che compra con regali in denaro, convincendo Ercole ancor più della bontà della sua scelta.
Il saprofita Ercole si installa quindi come farebbe una tenia nel suo ospite, sfruttando la situazione e ricavandone sesso e soldi. Poichè la Baronessa è ancora una splendida donna, il sacrificio è meno duro del preventivabile.
Unico ostacolo è Parsifal, un giovane gretto e meschino, costretto su una sedia a rotelle dalla quale sogna di evadere e che nel frattempo però spia sua madre e il suo amico/nemico Ercole nei convegni amorosi.
Non migliore è Brunilde, una ragazza astiosa in competizione con sua madre.
Memorabile la sequenza in cui con fare da donna consumata tenta un approccio con Ercole, venendo da quest’ultimo respinta.
Nella parte finale del film, la meno convincente e la più discontinua, seguiamo il percorso sulla strada mistico-religiosa che porterà l’improbabile coppia di amici/nemici a Lourdes, attraverso la conoscenza casuale della bella e bigotta Teresa fino all’amaro epilogo che vedrà la morte di Parsifal.
Se in Il saprofita funziona almeno parzialmente l’analisi cruda dei vizi della famiglia protagonista a non funzionare è il quadro d’assieme, molto discontinuo e frammentato.
Momenti felici si alternano a momenti in cui il sarcasmo e la voglia di pungere di Nasca perdono l’orientamento, finendo per creare un panorama generale confuso e contraddittorio.
Colpa dell’inesperienza, forse o colpa anche di una sceneggiatura non lineare, colpa della voglia di Nasca di stigmatizzare i personaggi che delinea, tutti preda di pulsioni e difetti caratterizzati all’eccesso.
Non c’è un solo personaggio che induca alla simpatia nel film e forse questo alla fine pesa nell’economia della pellicola.
Tutto è troppo marcatamente negativo, dal saprofita Ercole al giovane Parsifal, dalla baronessa al generale passando anche per i personaggi minori del film come Don Vito e Brunilde.
Tuttavia da questo quadro confuso emerge un ritratto al vetriolo della famiglia medio borghese che ha una sua consistenza, così come può essere definito ben realizzato il quadro di una società ipocrita e moralista anche nelle manifestazioni di fede.
Certo a colmare la misura arriva anche il personaggio della bigotta Teresa, che avrebbe potuto risollevare il film da un nichilismo che abbiamo respirato sin dal primo minuto di proiezione; ma Nasca va fino in fondo e ci propone un ultimo personaggio meschino e perdente lasciando finire il film su un binario che ha tracciato dall’inizio, quello della dissoluzione morale.
Il cast del film è molto eterogeneo e comprende un buon Al Cliver quasi mefistofelico e impenetrabile alle emozioni, come del resto rappresentato dall’accostamento con un parassita che si nutre di beni materiali installandosi nel suo ospite pronto a sfruttarne al massimo le pulsioni vitali.
Valeria Moriconi
Janet Agren
Bellissima e affascinante Valeria Moriconi, valente attrice di teatro che disegna geometricamente la figura della Baronessa abbagliata e offuscata dai sensi, così come discreta è Janet Agren nel ruolo di Teresa.
Poco sopra la sufficienza Giancarlo Marinangeli, a tratti indisponente ben aldilà dell’antipatia che suscita il suo personaggio; rivedremo l’attore in Peccatori di provincia, in Ritratto di borghesia in nero e in Cicciolina amore mio, prima della sua eclissi cinematografica.
Un film discontinuo, a tratti rozzo a tratti efficace, ma opera comunque molto interessante e di pregio.
Per fortuna il film è stato recentemente digitalizzato splendidamente ed è quindi visionabile in una versione che ha sostituito quella logora e inguardabile delle vecchie VHS.
Il saprofita
Un film di Sergio Nasca. Con Valeria Moriconi, Janet Agren, Leopoldo Trieste, Al Cliver, Cinzia Bruno, Rina Franchetti, Marisa Traversi, Dada Gallotti, Valentino Macchi, Nerina Montagnani, Daniele Dublino, Clara Colosimo, Luca Sportelli, Giancarlo Badessi, Giancarlo Marinangeli, Carlo Monni Drammatico, durata 100′ min. – Italia 1974
Al Cliver: Ercole
Valeria Moriconi: La baronessa Clotilde
Leopoldo Trieste: Don Vito
Janet Agren: Teresa
Rina Franchetti: Bigotta di chiesa
Nerina Montagnani: La serva del Santone
Clara Colosimo: Signora alla veglia funebre
Giancarlo Badessi: Superiore del Seminario
Carlo Monni: Generale Augusto Bezzi
Cinzia Bruno: Brunilde
Valentino Macchi: Fascista al funerale
Giancarlo Marinangeli: Parsifal, figlio di Clotilde
Pia Morra: Addolorata, servetta
Regia Sergio Nasca
Soggetto Sergio Nasca
Sceneggiatura Sergio Nasca
Fotografia Giuseppe Acquari
Montaggio Erminia Morani, Giuseppe Giacobino
Musiche Sante Maria Romitelli
Scenografia Giorgio Luppi
Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio
Commedia all’italiana del 1983 diretta da Sergio Martino e strutturata in due episodi.
Il primo, Il pelo della disgrazia, narra le vicissitudini di Altomare Secca (Lino Banfi) che ha problemi di vario ordine, sia sul lavoro dove ha come collaboratrice una ragazza svampita, sia a casa con una moglie che vive in pratica incollata alla tv divorando quantità industriali di telenovelas e con una figlia fidanzata ad un giovane a metà strada tra il punk e il lavativo.
Le cose per Altomare sembrano andare malissimo, ma subiscono un’ulteriore accelerazione verso il peggio quando viene a stabilirsi nell’appartamento di fronte al suo Corinto Marchialla, un distinto signore sulla sessantina con una moglie splendida, Ludovica.
Lino Banfi con Dagmar Lassander…
Il superstizioso Altomare, a cui capitano ormai disavventure come al biblico Giobbe, attribuisce le disgrazie al nuovo venuto; sarà un mago a predire all’uomo la fine dei suoi guai se riuscirà ad estirpare al malefico vicino un pelo che l’uomo ha sul petto.
Da quel momento iniziano una serie di divertenti vicissitudini per Altomare, che è anche oggetto di attenzioni dalla splendida Ludovica: l’uomo rinunecrà ad un appunamento galante pur di poter togliere il pelo famoso dal petto di Corinto.
Ci riuscirà alla fine, rasando completamente il petto dello sfortunato Corinto che non è affatto la causa delle disgrazie di Altomare.
Infatti, come scoprirà con costernazione, la responsabile di tutto è la domestica di casa Secca, una praticante ridi voodoo…
Paola Borboni
Il secondo episodio, Il mago, vede protagonista uno scalcinato maghetto di periferia, Gaspare Canestrari, che per sopravvivere mette in scena spettacoli indecorosi.
L’uomo è talmente mal ridotto da dover accettare ospitalità dalla sua fidanzata e da suo cognato, ma le cose per lui cambiano un giorno mentre sta passando sotto il balcone della Marchesa De Querceto.
Anna Kanakis e Johnny Dorelli
La donna, molto anziana, attratta dalla sua voce lo fa entrare nella sua stanza da letto, dove fa bere a Gaspare una pozione che a suo dire lo trasformerà in un mago potentissimo in cambio di un semplice gelato al pistacchio.
Lo scettico Gaspare ben presto deve ricredersi, perchè si trasforma in un autentico mago capace di vari prodigi.
Il sortilegio tuttavia svanirà per incanto alla morte della Marchesa; preso dalla sua fama e dal successo Gaspare ha dimenticato di comprare il famoso gelato e i suoi poteri svaniscono nel momento peggiore, durante una diretta tv nella quale si appresta a sfidare il mago Silvan…
Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio è una commedia di sufficiente livello, con due episodi però molto diseguali come ritmo e divertimento. Se il primo, Il pelo della disgrazia vede protagonista un irresistibile Lino Banfi, autentico alfiere di un certo tipo di comicità in bilico tra una dose tollerabile di volgarità e una maschera espressiva di consumata abilità, il secondo vede protagonista un Johnny Dorelli poco ispirato e molto a disagio con una storia peraltro confezionata in fretta e furia.
Milena Vukotic
Nel primo episodio sono esilaranti le varie vicissitudini del povero Altomare, che sembra calamitare attorno a se tutte le negatività possibili e immaginabili; come non restare attoniti per esempio di fronte alle mancate avventure con due donne del calibro di Janet Agren e Dagmar Lassander? Oppure come restare indifferenti di fronte alla reazione di Corinto-Mario Scaccia che si risveglia con il torace completamente rasato da Altomare, alla ricerca del pelo maledetto?
A ciò si aggiunga anche la presenza di ottimi comprimari come le citate Lassander e Agren, oltre alla sempre bravissima Milena Vukotic e a quella della simpatica salentina Gegia.
Menzione d’onore per Mario Scaccia, grandissimo attore di teatro che si diverte un mondo nel ruolo del luciferino Corinto, in realtà assolutamente innocente dall’accusa di essere un menagramo.
L’episodio con protagonista Dorelli ha qualche momento ilare, per merito della grande Paola Borboni che bestemmia come un carrettiere e che caratterizza da par suo il personaggio della Marchesa.
Bello anche lo schetch con protagonista una giovane Anna Kanakis nei panni di una donna che quando bacia o ha rapporti sessuali emana fortissime scariche elettriche.
Film da serata di svago che può valere una visione.
Occhio malocchio prezzemolo e finocchio, un film di Sergio Martino. Con Janet Agren, Johnny Dorelli, Lino Banfi ,Milena Vukotic, Dagmar Lassander,Anna Kanakis, Renzo Montagnani, Paola Borboni,Mario Scaccia Adriana Russo.Commedia, durata 119 min. – Italia
Episodio 1, Il pelo della disgrazia
Lino Banfi: Altomare Secca
Milena Vukotic: Giovanna Secca
Janet Agren: Helen
Gegia: Mariella Secca
Elisa Kadigia Bove: Jenny, la governante
Dagmar Lassander: Ludovica Marchialla
Mario Scaccia: Corinto Marchialla
Luigi Costa Uzzo: Il Commissario
Bruno Rosa: Bruno. il commesso
Franco Javarone: il Re dell’Occulto
Andrea Azzarito: Carluccio
Jessica Leri: Commessa negozio
Dino Cassio: Ispettore torinese
Episodio 2, Il mago
Johnny Dorelli: Il Mago Gaspar
Paola Borboni: Marchesa De Querceto
Mario Brega: Alberigo
Franco Solfiti: Presentatore gara dei maghi
Ugo Bologna: Commendatore Raggiotti
Nicoletta Pietrasanti: Aiutante mago
Renzo Montagnani: Cavaliere Aldovrandi
Roberto Della Casa: un cliente del Mago
Silvan: sé stesso
Adriana Russo: la moglie di Gaspar
Anna Kanakis: una cliente del Mago
Calogero Caruana: Provocatore del Mago
Luigi Leoni:Artemio
Regia Sergio Martino
Soggetto Franco Bucceri, Romolo Guerrini, Roberto Leoni, Franco Verrucci
Sceneggiatura Mario Amendola, Franco Bucceri, Bruno Corbucci, Romolo Guerrini, Roberto Leoni, Sergio Martino, Franco Verrucci
Fotografia Giancarlo Ferrando
Montaggio Eugenio Alabiso
Musiche Guido De Angelis, Maurizio De Angelis
La più bella serata della mia vita
Un industriale romano, Alfredo Rossi, viaggia verso la Svizzera proveniente da Milano.
A bordo della sua auto ha una grossa somma di denaro, che l’uomo deve esportare in barba alle leggi valutarie.
L’arrivo in Svizzera riserba all’uomo una sgradita sorpresa; la banca dove deve depositare il denaro è chiusa, per cui Alfredo si ritrova nell’imbarazzo di dover occupare il suo tempo in attesa della riapertura della banca stessa.
Si mette quindi alla ricerca di un albergo, ma si imbatte in una motociclista e la segue lungo le montagne.
Un nuovo imprevisto lo blocca ancora: la sua Maserati si pianta di colpo, così alla fine si reca ad un vicino castello per chiedere ospitalità.
Qui si imbatte in un “simpatico” gruppo di ex magistrati che vivono sotto lo stesso tetto dopo essere andati in pensione.
Per gioco, Alfredo accetta di farsi processare dai quattro, che sembrano sapere sul suo conto molto di più di quello che Alfredo racconta.
Così poco alla volta lo squallore morale del personaggio emerge, sotto le domande incalzanti dei quattro giudici.
Il rito si conclude con la sua condanna a morte: così Alfredo, dopo una serata di bagordi, va a letto e durante la notte sogna di andare a morte mentre la bella motociclista (che lo ha servito a tavola durante la serata precedente) gli gira attorno con la moto.
La mattina, ancora spaventato dal sogno della notte, Alfredo si vede recapitare il conto della sua permanenza al castello.
I quattro giudici infatti usano il sistema di creare tutta la messinscena proposta ai danni di Alfredo a tutti i turisti facoltosi che hanno la ventura di capitare nel loro castello.
Alfredo paga e va via ma lo attende una bruttissima sorpresa….
Tratto da un romanzo di Friedrich Dürrenmatt, La panne. Una storia ancora possibile edito nel 1956, La più bella serata della mia vita esce sugli schermi italiani nel 1972, diretto da Ettore Scola e su sceneggiatura dello stesso regista e di Sergio Amidei.
Il film si differenzia molto dal romanzo, e questo non aiuta di certo l’economia del film che si smarrisce per due motivi fondamentali
-Il primo è la presenza di un Alberto Sordi bravo ma strabordante, egocentrico che ingombra con il suo talento finendo per diventare l’elemento accentratore del film e lasciando in disparte tutto il resto; i quattro giudici, francesi non solo per nascita ma anche per flemma, sembrano annichiliti dalla vitalità dell’Albertone;
– il secondo è la mancanza di un ritmo lineare della pellicola, che accelera, decelera e poi sonnecchia per lunghi tratti.
Molte le differenze con il testo teatrale, troppe; se nel film troviamo ancora i quattro giudici che imputano ad Alfredo il delitto da lui commesso ai danni del suo ex principale, alla fine il film si discostra troppo dal finale del testo originale.
Mentre nel romanzo Alfredo sceglie in qualche modo di pagare i suoi errori con un suicidio rituale, nel film le cose cambiano radicalmente ed Alfredo trova la morte in ben altro modo, quindi non scegliendo personalmente l’espiazione, ma subendola dal caso.
Scola, uno dei maestri del cinema italiano, tenta di dare un percorso personale al film, ma alla fine se ne discosta troppo e trasforma la drammaticità del racconto di Dürrenmatt in qualcosa di completamente diverso; Sordi contribuisce in maniera determinante così alla fine manca proprio l’omogeneità al racconto.
Pure il film non è da bocciare, perchè per alcuni tratti proprio le sue pecche conferiscono un tono di leggerezza al racconto che lo rendono quasi simile ad una commedia.
E qui vale il solito discorso sulle possibilità di adattare con accuratezza testi letterari nati per ben altri scopi; Scola fa come buona parte di coloro che riduce pieces per teatro o letterarie, modifica a suo piacimento senza badare all’aderenza con il testo originale.
Fa bene, fa male?
Visto il risultato la risposta sarebbe scontata, ma va anche detto che perlomeno ci prova, discostandosi anche da buona parte della produzione del cinema di inizi anni settanta, quasi sempre poco attento a tematiche “profonde”
Per quanto riguarda i quattro giudici, Scola sceglie i mostri sacri del cinema francese: Michel Simon, Charles Vanel, il meno conosciuto Claude Dauphin e Pierre Brasseur lo ripagano con interpretazioni quasi in carta carbone.
Poco liberi di muoversi a piacimento, i quattro subiscono lo strapotere di sordi e si limitano a svolgere il loro compitino.
Bene invece l’affascinante Janet Agren in un ruolo che l’attrice sente e che svolge nel migliore dei modi.
In ultimo, segnalazioni di merito per le musiche di Armando Trovajoli e per la fotografia di Claudio Cirillo.
La più bella serata della mia vita, di Ettore Scola, con Janet Agren, Alberto Sordi, Michel Simon, Charles Vanel, Pierre Brasseur, Jean-Claude Dauphin, Claude Dauphin, Bruno Boschetti, Giuseppe Maffioli
Commedia, durata 108 min. – Italia 1972.
Alberto Sordi: Alfredo Rossi
Michel Simon: Avvocato Zorn
Janet Agren: Simonetta
Charles Vanel: Giudice Dutz
Claude Dauphin: cancelliere Bouisson
Pierre Brasseur: Conte La Brunetiere
Giuseppe Maffioli: Pilet
Regia Ettore Scola
Soggetto La panne. Una storia ancora possibile
Sceneggiatura Ettore Scola, Sergio Amidei
Produttore Dino De Laurentiis
Fotografia Claudio Cirillo
Montaggio Raimondo Crociani
Musiche Armando Trovajoli
Scenografia Luciano Ricceri
Citazioni dal romanzo:
“Noi quattro qui seduti a questo tavolo siamo ormai in pensione e perciò ci siamo liberati dell’inutile peso delle formalità, delle scartoffie, dei verbali, e di tutto il ciarpame dei tribunali. Noi giudichiamo senza riguardo alla miseria delle leggi e dei commi.”
“Il suo è un delitto perpetrato in modo così raffinato da essere brillantemente sfuggito, è ovvio, alla giustizia dello stato”
Indagine su un delitto perfetto
Un misterioso sabotatore manomette l’aereo del presidente di una importante compagnia; l’uomo muore senza lasciare testamento e neppure disposizioni su chi dovrà succedergli alla guida della società.
La stessa multinazionale ha tre vicepresidenti, Harold Boyd, Sir Arthur Dundee e il giovane Paul de Révère, che sono quindi in lizza per la successione.
Harold Boyd ha sposato una donna ricchissima, Gloria, alle spalle della quale vive disprezzato dalla moglie, alla quale riserba lo stesso sentimento, tradendola con la giovane Polly, che in realtà è manovrata da Arthur Dundee.
Il quale, a sua volta, mira ovviamente alla successione a a capo della multinazionale.
Paul De Revere, il più giovane del gruppo, esce di scena immediatamente; l’auto sulla quale viaggia mentre torna a casa dalla anziana madre Lady Clementine De Revere finisce contro un camion e precipita giù da una scogliera.
Anche in questo caso tutto sembra essere frutto di una tragica casualità, come testimoniano i due guidatori del camion contro il quale si è schiantata l’auto di Paul.
Joseph Cotten è Sir Arthur Dundee
Ma l’auto è stata sabotata, e ad accorgersene è il Soprintendente Jeff Hawks che decide quindi di indagare.
Ma la occulta regia che sembra manovrare dietro le quinte colpisce ancora: a morire questa volta è Arthur Dundee.
La mano misteriosa lo uccide in maniera molto ingegnosa, facendogli andare in corto circuito il pacemaker durante una notte di tempesta.
Anche in questo caso Hawks ha forti sospetti che indicano un omicidio, ma nessuna prova, così come si ritroverà davanti ai cadaveri di Boyd e Gloria che apparentemente si sono uccisi fra di loro, con il suicidio finale di uno dei due.
Ma ecco il colpo di scena.
Paul riappare raccontando una storia credibile; riuscirà a farla franca perchè nonostante i sospetti di Hawks ha un alibi di ferro fornitogli da Polly, sua complice sin dall’inizio.
Anthony Steel è il Soprintendente Jeff Hawks
Una trama ingarbugliata, con colpo di scena finale, per un giallo non sempre convincente, anzi a tratti forzato e poco credibile.
Indagine su un delitto perfetto, regia di Giuseppe Rosati, film girato nel 1978 ebbe diverse traversie di lavorazione, tanto che venne dapprima sospeso e poi ripreso (pare per mancanza di fondi), il che giustificherebbe alcune discrepanze temporali e alcune sequenze apparentemente senza molta logica.
Siamo di fronte ad un giallo ambientato in Inghilterra, di tipica derivazione dai gialli di Agatha Christie, ma con attori internazionali ad interpretare personaggi inglesi.
Un cast ad alto livello, tra l’altro, che include Adolfo Celi, Joseph Cotten, Alida Valli, Janet Agren, Leonard Mann, Anthony Steel, Paul Muller e Gloria Guida, che fanno il loro lavoro con inappuntabile professionalità.
Peccato per la farraginosità della trama, per le incongruenze e per il finale davvero tirato per i capelli, perchè per larghi tratti il film avvince, anche se è girato con tempi e sequenze molto blande.
Le location sono davvero molto belle, come quella della casa/tenuta dei coniugi Boyd, in cui viene girata una scena di caccia alla volpe molto ben fatta, sicuramente costosa e sfarzosa.
La regia è di maniera, senza grossi fronzoli, buone le musiche di Savina.
L’inatteso ritorno di Paul De Revere
Indagine su un delitto perfetto, un film di Giuseppe Rosati. Con Joseph Cotten, Adolfo Celi, Leonard Mann, Alida Valli,Claudio Gora, Franco Ressel, Anthony Steel, Janet Agren, Gloria Guida
Giallo/Thriller, durata 90 min. – Italia 1978.
Gloria Guida – Polly
Leonard Mann – Paul De Revere
Joseph Cotten – Sir Arthur Dundee
Adolfo Celi – Sir Harold Boyd
Anthony Steel -Soprintendente Jeff Hawks
Janet Agren – Lady Gloria Boyd
Alida Valli – Lady Clementine De Revere
Franco Ressel – Sergente Phillips
Paul Muller – Gibson
Mario Novelli – Sabotatore
Regia Aaron Leviathan (Giuseppe Rosati)
Soggetto Aaron Leviathan
Sceneggiatura Aaron Leviathan
Produttore Ferry Flay
Casa di produzione C.L.C.
Distribuzione (Italia) Ciat Martino
Fotografia Jerry Delawaree
Montaggio Frank Robertson
Musiche Carlo Savina
Scenografia Robert Frogs
“Colpo di coda di un certo filone thrilling italiano con qualche ambizione (il cast internazionale) e d’impostazione classica, ma rabberciato alla meglio e infatti pieno di tempi morti e smagliature. Sprecato il grande Celi, Cotten ormai fuso, la Gloria invece è sempre un bel vedere. Leonard Mann/Manzella ora fa il medico, e diciamo che il cinema non ha perso poi tanto. Inconsistente.
Discreto giallo ereditario con meccanismo à la Agatha Christie, da cui si riprende uno dei suoi classici trucchi per nascondere l’identità dell’assassino (in realtà facilmente intuibile, anche ricordando la disposizione dei nomi nei titoli di testa). Non mancano alcuni stilemi argentiani e omicidi brutali e ingegnosi, come quello di con il pacemaker di Cotten. Apprezzabile soprattutto per il nutrito cast internazionale, che affianca la Guida al sullodato Cotten.
Cast grandioso per questo film che -com’è noto- venne interrotto e ripreso solo molto tempo dopo e senza poter disporre di tutti gli attori che sarebbero serviti. Lo sviluppo narrativo è comunque piuttosto lineare nonostante le traversie produttive, peccato solo che il film giunga ad un finale davvero inverosimile. Qualche esterno cartolinesco londinese e le solite ville romane, ovviamente. La Guida mostra il pelo, il che non è un dettaglio.
Afflitto da disavventure produttive, il film si regge su un colpo di scena finale (per altro non del tutto imprevedibile agli spettatori più scafati) assolutamente inverosimile per non dire truffaldino. Fino a quel momento la pellicola non regge malissimo (nonostante la tensione non sia certo alle stelle), ma l’epilogo rovina tutto. Curioso e ricchissimo il cast.
Film interrotto per mancanza di soldi, poi ripreso e completato (ma pare senza pagare nessuno) e in qualche modo comunque fatto uscire in sala (in alcune sequenze si usò una controfigura della Guida perchè l’attrice non era disponibile a riprendere la lavorazione). Tenta di fare il giallo all’inglese e in Inghilterra è infatti ambientato, ma si aggroviglia in una miriade di colpi di scena degni della peggior telenovela brasiliana. Per non parlare dell’evento chiave, su cui si snoda tutto il mistero: improponibile. Però il cast è eccezionale.
Giallo con un cast davvero fenomenale. Non manca nessuno: la Guida, la Agren, la Valli… e funziona anche sul versante maschile con gli ottimi Celi, Cotten (degno di nota il suo omicidio molto violento), Gora, Ressell, Tom Felleghy! C’è pure Paul Muller! La storia ha qualche punto morto e vero e il finale non convince troppo (decisamente aperto a mio avviso), ma si fa vedere. Sufficiente. Ottime musiche di Carlo Savina.
Ambientazione inglese per questo film che ricorda i gialli del passato a causa delle sue atmosfere plumbee e i guanti neri spesso in evidenza. Un intreccio industriale tra faide e morti accidentali con lo scontato sorpresone finale. Cast di buon livello ma regolato in maniera aziendale. La Guida si concede a destra e pure a manca.
Non male. Si trasporta il killer argentiano coi guanti di pelle nel giallo inglese raffinato e ne esce un discreto film stile Agatha Christie (scordatevi quindi il sangue e la violenza). Ha qualche motivo d’interesse in un’ottima fotografia e in belle scenografie, nelle piacevoli musiche di Savina e, soprattutto, nello strepitoso cast: Celi, la bella Guida (fa il sicario!), Cotten (vittima dell’unica morte un po’ violenta e sadica), Manzella, la Valli… Anche la sceneggiatura fila bene, peccato per il finale. Raffinato: Due pallini e mezzo.
Interessante giallo con commistioni in stile Agatha Christie e pseudo/argentiane (guanti di pelle neri e cappello), si fa vedere con gusto grazie ad un ottimo montaggio in grado di supplire alle traversie produttive e ai buchi di sceneggiatura sparsi qua e là. I giallisti più smaliziati scopriranno dopo un quarto d’ora chi è l’assassino e non si lasceranno certo sorprendere dal colpo di scena finale… però il risultato finale è più che dignitoso. Ottimo cast e sempre audace la Guida con un paio di nudi integrali decisamente gratuiti.”
L’assassino ha riservato nove poltrone
Nove persone e una decima che si nasconde nell’ombra di un teatro, all’apparenza vuoto, di proprietà di uno dei 9.
Patrick Devenant invita otto suoi amici (ma il termine è decisamente eccessivo) a trascorrere una serata in un suo teatro, completamente vuoto.
Così i 9 arrivano a destinazione; immediatamente ci si rende conto che tra di essi non regna l’armonia, anzi.
Sembrano esserci antipatie e anche odio, oltre ad asti dovuti a svariati motivi.
Cè’ Patrick che ha una relazione con Vivian, Rebecca Davenant che ha una relazione lesbica con Doris, Lynn Davenant con Duncan Foster, c’è Kim che ha una relazione con Russell e infine c’è Albert; un gruppo assolutamente eterogeneo di persone, che ben presto però verrà coinvolto in una spirale di morte.
La prima a cadere è la giovane Kim, uccisa mentre recita davanti al gruppo; subito dopo tocca a Doris, schiacciata tra due pesanti porte.
Paola Senatore
E’ poi la volta di Rebecca, straziata a pugnalate e corcefissa, poi toccherà a Russell, impiccato…..
Uno dopo l’altro gli sventurati ospiti di Davenant cadono vittime del misterioso assassino; dal teatro non è possibile uscire in alcun modo, perchè l’assassino ha inchiodato le porte.
Riuscirà qualcuno a sopravvivere?
L’assassino ha riservato nove poltrone , film del 1974 diretto da Giuseppe Bennati su sceneggiatura dello stesso unitamente a Paolo Levi è un thriller con connotazioni soprannaturali.
Un film decisamente in tono minore, sopratutto per lo stanco espediente di ricalcare per l’ennesima volta la trama di 10 piccoli indiani della Christie e sopratutto penalizzato da una sceneggiatura assolutamente ostica, in cui è difficile districarsi nonostante il finale in qualche modo cerchi di spiegare ciò a cui abbiamo assistito.
La lunga teoria di morti non da tensione al film, che appare molto slegato; tuttavia l’efferatezza delle scene rende quanto meno poco soporifero il film, afflitto da ua cronica mancanza di tensione.
Tra un morto ammazzato e l’altro troppe pause, che il regista cerca di colorare di sexy mostrando le varie protagoniste in abiti succinti, risparmiando solo la Schiaffino.
Eros e tanatos, quindi, presenti in ogni buon thriller anni settanta ma in un amalgama davvero imperfetto.
Poca colpa va attribuita agli attori, che appaiono spaesati più dal dover recitare in un luogo vuoto in cui non è presente una minaccia visibile (l’assassino sembra un’ombra dell’aldilà, cosa che rende ancor più increibile il film) che per colpe specifiche o mancanze proprie.
Nel cast c’è Eva Czemerys, che interpreta Rebecca, alle prese con una relazione lesbica con Dorys, interpretata da Lucrezia Love; se la prima mostra qualche imperfezione recitativa, la seconda appare davvero svagata e fuori parte.
C’è ancora la bella Janet Agren, nei panni di Kim, la prima a morire ammazzata quindi poco giudicabile nel complesso; cè la bella Rosanna Schiaffino, che interpreta Vivian, l’unica delle protagoniste femminili a restare abbottonata e con i vestiti ben calzati addosso.
C’è Paola Senatore, che quanto meno si fa perdonare per la sua bellezza esplosiva e generosamente mostrata, che intepreta una stravagante Lynn, donna dagli ambigui costumi; tra gli uomini vanno segnalati Howard Ross (Russell) e Cris Avram (Patrick), che fanno la loro parte con relativa sufficienza.
Lucretia Love
Janet Agren
Quello che disturba principalmente, nel film, è l’isterismo di cui sembra preda il cast femminile, costretto a usare grida e espressioni di paura per sopperire alla assoluta mancanza di tensione nel film, che alla fine risulta essere l’arma in meno dello stesso.
Un thriller decisamente mediocre, mal diretto e poco attraente.
L’assassino ha riservato nove poltrone ,un film di Giuseppe Bennati. Con Rosanna Schiaffino, Lucretia Love, Howard Ross, Andrea Scotti, Chris Avram, Janet Agren, Paola Senatore, Eva Czemerys,Gaetano Russo
Giallo, durata 92 min. – Italia 1974.
Janet Agren e Lucretia Love
Howard Ross e Rosanna Schiaffino
Eva Czemerys
Rosanna Schiaffino … Vivian
Chris Avram … Patrick Davenant
Eva Czemerys … Rebecca Davenant
Lucretia Love … Doris
Paola Senatore … Lynn Davenant
Gaetano Russo … Duncan Foster
Andrea Scotti … Albert
Eduardo Filipone … L’assassino misterioso
Luigi Antonio Guerra … Caretaker (credit only)
Renato Rossini … Russell (come Howard Ross)
Janet Agren … Kim
Regia di Giuseppe Bennati
Prodotto da Dario Rossini
Sceneggiato da Giuseppe Bennati,Paolo Levi
Musiche di Carlo Savina
Editing di Luciano Anconetani
“L’intreccio narrativo è poca cosa, trattandosi dell’ennesima versione di “Dieci piccoli indiani” adagiata all’interno di un teatro frequentato da gente non proprio esemplare e – come morale “horror” vuole – passabile pertanto di punizione. Ma il folto gineceo femminile attira l’attenzione e dona un plus all’estetica del film: dei gialli questo è forse l’unico esemplare che raduna siffatte bellezze. Né è parco di delitti, prospettati in maniera assai feroce ed intervallati a sequenze d’erotismo (per l’epoca) spinto. Thrillerotico
Interessante pellicola, che incomincia come un classico giallo gotico, incrociato con “Dieci Piccoli Indiani”, ma che presto vira verso il fantastico e il mystery-tale, con risulati originali e border-line. Memorabili gli omicidi, tutti efferati, e il finale nei sotterranei del lugubre teatro.
Partendo da una situazione trita e ritrita (alcune persone che restano intrappolate in luogo chiuso e cominciamo a morire una dopo l’altra sotto i colpi di una mano misteriosa), il regista Bennati è incerto su quale strada prendere e dà così vita ad un film debolissimo e noioso, che si trascina avanti tra situazione viste e riviste, fino ad arrivare ad uno sconcertante finale, che lascia più che interdetti per la sua inconcludenza.
Spesso sottovalutato, è invece uno dei migliori gialli ambientati in luoghi chiusi che io abbia mai visto, che può contare su un nutrito cast di buoni attori (Avram, Ross) e alcune delle migliori bellezze femminili del nostro cinema (Agren, Senatore, Czemerys, Love), che però si spogliano moderatamente. L’atmosfera è assicurata dall’ambientazione nel vecchio teatro e dalle musiche di Carlo Savina (parzialmente riprese da Contronatura). Coraggioso e riuscito lo svolgimento finale.
Buon giallo di vecchio stampo. Lento quanto basta, come deve essere un giallo doc, gode dell’ottima ambientazione teatrale, decisamente efficace e a tratti claustrofobica. L’effetto “siamo in trappola e non ci sono vie di uscita” è formidabile e funzionale al racconto. Rivisto oggi è un film piuttosto invecchiato, forse destinato solo agli aficionados del cinema settantiano italico, ma d’altronde chi altri può avere il desiderio di rivedere questo film?
Grande, grandissimo giallone anomalo e suggestivo. Unica pecca: il ritmo non altissimo e qualche momento di noia (caratteristica quasi insita nel genere!). Per il resto solo cose positive: l’atmosfera malsana, il riuscito incipit di cui avevo letto su Nocturno, l’inquietante maschera dell’assassino, la brutalità degli omicidi. Eppoi il finale, che proprio nel suo crossover di generi (dal thriller al gotico nel breve volgere di una sequenza, come se gli attori, scendendo nei sotteranei, entrassero in un altro film) riesce a spiazzare lo spettatore. Sorprendente.
Interessante anche se molto tardivo rispetto al suo genere, molto più in voga nel decennio precedente. La presenza di Janet Agren e il duo lesbico Czemerys-Love giustificano appieno il ritardo. Non mancano la suspense e neppure le disinibizioni erotiche, almeno a livello concettuale. Una claustrofobia poetica, non fastidiosa e ossessiva. Siamo lontani dai thriller più lugubri di altri registi contemporanei, ma merita di essere visto.
Curiosa ambientazione teatrale, che ispirerà altri registi in seguito. Il film mescola il giallo classico (alla Dieci piccoli indiani) con i toni più maliziosi e violenti del thrilling all’italiana. Come spesso accade in questo tipo di cinema, la regia interrompe la narrazione per indugiare (piacevolmente) sulle grazie femminili, raffreddando però il phatos del racconto. Gli attori se la cavano e l’assassino è molto fantasma del palcoscenico”
L’onorevole con l’amante sotto il letto
L’onorevole Armando Battistoni vive tranquillo dividendosi tra sua moglie Virginia (che ha un amante, un collega del marito) e la sua amante, Anna Vinci, professoressa di scienze naturali.
Quest’ultima lavora fuori Roma presso una scuola privata, fino a quando non viene allontanata per aver rimproverato aspramente i fratelli Pacetti, figli dell’intoccabile sindaco locale.
Per Armando i guai cominciano proprio di qui, allor quando Anna arriva a Roma per chiedere aiuto al suo amante onorevole.
Janet Agren e Lino Banfi
Divisi da un cardinale prima, da un vescovo in cerca di favori poi, in ultimo dalla moglie fedifraga, Armando e Anna decidono di concedersi una vacanza in montagna, dove però guarda caso, è destinata ad arrivare anche Virginia con il suo amante.
La boccacesca vicenda prosegue tra equivoci di vario genere, fino al finale da fotoromanzo rosa, quando cioè Anna lascerà il suo maturo amante per un giovane ferroviere, partendo con lui.
Lori Del Santo, la cameriera
Rozza e scollacciata commedia sexy, L’onorevole con l’amante sotto il letto non sfugge al peggior clichè di questi film seriali, nei quali il peso totale del film e della sceneggiatura è affidato da un lato al solito Lino Banfi, che fa del suo meglio, senza riuscirci, per tenere a galla una storia sgangherata e vista mille volte, mentre dall’altro lato c’è la bellona di turno, questa volta la nordica e affascinante Janet Agren.
Alvaro Vitali
A completare il tutto la solita procace cameriera, Lori Del Santo, più nuda che vestita e il solito segretario che alla fine è quello che ci guadagna di più, un Alvaro Vitali presenza imprescindibile di questi film seriali a metà strada tra il demenziale e la commedia pecoreccia.
Mariano Laurenti, il regista, non ci mette nulla di nuovo, affidando il tutto alle solite gag di Banfi e mostrando epidermide delle protagoniste, ammiccando così sguaiatamente al pubblico di palato grosso.
A completare il cast, un antipatico in maniera patologica Teo Teocoli, la sventurata Marisa Merlini, ormai abituata ad accettare parti becere in filmacci di serie B,(questa volta nella parte di Virginia, moglie adultera di Armando) un professionista come Gigi Reder (il vescovo) quasi vergognoso e timoroso.
Film che va annoverato tra quelli appartenenti agli ultimi fuochi della commedia sexy, uscito nelle sale nel 1981, quando proprio la commedia sexy stessa era ormai stata seppellita senza rimpianti sia dai produttori sia dal pubblico, sempre più scarso nelle sale e sempre più selettivo, vista anche la grandissima offerta televisiva di questo genere di pellicole, che passavano a tutte le ore sopratutto nei canali televisivi della provincia, che prolificavano come funghi.
L’onorevole con l’amante sotto il letto, un film di Mariano Laurenti. Con Janet Agren, Lino Banfi, Alvaro Vitali, Marisa Merlini, Giacomo Furia, Gigi Reder, Galliano Sbarra, Leo Gullotta, Teo Teocoli, Clarita Gatto, Renzo Ozzano
Commedia, durata 92 min. – Italia 1981.
Lino Banfi … Armando Battistoni
Janet Agren … Anna Vinci
Alvaro Vitali … Teo Mezzabotta
Marisa Merlini … Virginia Battistoni
Teo Teocoli … Controllore
Giacomo Furia … Zio Efisio
Gigi Reder … Vescovo
Leo Gullotta … Segretaria Sgarbozzi / Onorevole Sgarbozzi
Lory Del Santo … Cameriera
Jimmy il Fenomeno … Suor Consuelo
Galliano Sbarra … Passeggero del treno
Regia Mariano Laurenti
Soggetto Luciano Martino, Francesco Milizia
Sceneggiatura Francesco Milizia, Alberto Silvestri
Produttore Camillo Teti
Fotografia Federico Zanni
Montaggio Alberto Moriani
Musiche Gianni Ferrio