Femmine insaziabili
Solito, ignobile titolo da porno di serie B affibbiato a questo giallo/thriller del 1969 diretto da Alberto De Martino come specchietto per le allodole per attirare il pubblico con la promessa di chissà quali pruderie celate dietro la facciata del giallo.
In realtà il film è un robusto giallo di fine anni sessanta, molto ben curato nella confezione,girato in America e impreziosito da una bella colonna sonora e da una convincente fotografia.
Il regista romano Alberto De Martino, dopo aver navigato fra western,peplum e film bellici (suo il bel Ardenne 44 un inferno) passa al genere giallo, che nel 1969 inizia a conoscere un successo sempre più vasto tra il pubblico,che in quel periodo affolla le sale cinematografiche nonostante ormai il boom economico sia ormai da tempo esaurito.
Il cinema resta però lo strumento di svago preferito dagli italiani e fra i generi più popolari il giallo si avvia a conoscere una fortunatissima stagione, per merito anche di prodotti come Una sull’altra di Fulci che mescolano con sapienza robuste sceneggiature ad un pizzico di erotismo che rappresenta la nuova frontiera del cinema.
Robert Hoffmann e Nicoletta Machiavelli
In realtà in questo Femmine insaziabili l’erotismo latita, mentre sono presenti delle castigatissime scene di nudo, che però aggiungono un pizzico di pepe alla storia.
Che inizia mostrandoci il giovane e affascinante giornalista Paolo Sartori alle prese con la sua nuova esperienza di vita negli States,ove si è trasferito.
Qui incontra il suo vecchio amico Giulio Lamberti, perso di vista da anni e che ora è diventato un pezzo grosso della International Chemical;i rapporti tra i due si riallacciano ma per poco.
Giulio Lamberti infatti muore improvvisamente in un incidente automobilistico che suscita da subito in Paolo forti sospetti.
Aiutato dal direttore del giornale per il quale lavora,Paolo indaga sulla vita dell’amico,scoprendo però che l’uomo non aveva affatto una buona fama.
Le indagini portano alla morte di Salinger,direttore del giornale mentre Paolo grazie a Mary Sullivan,segretaria dell’industria per la quale lavorava Giulio scopre che la Chemical è sotto ricatto da un misterioso individuo che minaccia di rendere pubblici dei diari di Giulio che contengono informazioni scottanti sulla Chemical stessa.
Dorothy Malone
Chi è il misterioso ricattatore, perchè agisce nell’ombra e sopratutto come fa ad avere i diari di Giulio?
A Paolo il compito di sciogliere il nodo e di raccoglierne il merito dopo aver fatto luce, cosa che però lo porterà ad integrarsi in quel meccanismo fatto di seduzione del potere,di ambizioni e di egoismo che avevano già contagiato Giulio…
L’oggi ultra ottantenne cineasta romano gira un film ben equilibrato, dalla trama interessante anche se lo spettatore più smaliziato ben presto intuisce chi regge le fila del gioco;in questo è aiutato da un cast ben assortito nel quale figurano Dorothy Malone, vecchia gloria di Hollywood nel ruolo di Vanessa Brighton,maggiore azionista della Chemical e in passato amante di Giulio,Luciana Paluzzi in quello di Mary Sullivan, la segretaria dell’azienda che darà una mano decisiva a Paolo nella soluzione del giallo, Robert Hoffmann nel ruolo di Paolo.
Luciana Paluzzi
Hoffmann,attore austriaco di sufficienti doti recitative era stato lanciato nel cinema come alter ego del ben più celebre Alain Delon, grazie alla sua prestanza fisica e al suo indubbio fascino virile.In Femmine insaziabili recita discretamente,usando il suo charme sulle “femmine insaziabili” che si muovono nella storia raccontata.
Come Romina Power, vogliosa adolescente che nel film ricopre il ruolo della figlia della Malone, con scarse doti recitative ma con un indubbio sex appeal,come Nicoletta Machiavelli (sorella di Giulio) e come Rosemarie Lindt, immancabile nelle parti di contorno di molte produzioni dell’epoca.
Un film decoroso, sorretto da un impianto valido e in cui tutte le componenti ovvero fotografia,sceneggiatura,montaggio,location eccetera sembrano ben amalgamate.
Trasmesso raramente in tv in versioni censurate (in realtà sono state oscurate solo brevi sequenze di casti nudi) è presente in rete in una buona versione rippata da Rete 4; i link per visionarlo sono i seguenti
https://uploadto.us/file/details/aD33LeTfqOA/C6a9nal.part1.rar e https://uploadto.us/file/details/ZcC9oC4Y61k/C6a9nal.part2.rar
Femmine insaziabili
Un film di Alberto De Martino. Con Luciana Paluzzi, Robert Hoffman, Dorothy Malone, Romina Power, John Karlsen, Frank Wolff, Rosemarie Lindt, Nicoletta Machiavelli, Elena Persiani, Robert Mark, John Ireland, Roger Fritz Giallo, durata 90 min. – Italia 1969
Romina Power
Dorothy Malone: Vanessa Brighton
Robert Hoffmann: Paolo Vittori
Luciana Paluzzi: Mary Sullivan
Frank Wolff: Frank Donovan
John Ireland: Walter Salinger
Roger Fritz: Giulio Lamberti
Romina Power: Gloria Brighton
Nicoletta Machiavelli: Luisa Lamberti
Ini Assmann: Segretaria di Salinger
Rainer Basedow: Donovan’s henchman
Elena Persiani: Claire
Rosemarie Lindt: Patty
Regia Alberto De Martino
Soggetto Alberto De Martino e Vincenzo Flamini
Sceneggiatura Lianella Carell, Alberto De Martino, Vincenzo Flamini e Carlo Romano
Produttore Edmondo Amati
Fotografia Sergio D’Offizi
Montaggio Otello Colangeli
Musiche Bruno Nicolai
Scenografia Nedo Azzini
Costumi Gaia Romanini
L’opinione di Dusso dal sito http://www.filmtv.it
Gradevole giallo di fine anni 60,è un film che è molto curato sia negli esterni californiani molto belli che nei ricchi interni.La trama purtroppo non è davvero nulla di che e gira un po’ a vuoto limitandosi a presentarci i vari personaggi del film,il quale ha uno dei suoi punti di forza in alcune scene davvero notevoli come la lunga orgia e la sequenza della piscina con una notevolissima Romina Power.Finale a sorpresa
L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it
Nonostante il titolo a un passo dall’hardcore, Femmine insaziabili è una pellicola piuttosto casta nelle immagini e nel linguaggio, anzi pure un po’ banalotta e priva di particolare verve. Un paio di nomi stranieri nel cast (Robert Hoffman, austriaco, e la statunitense Dorothy Malone) e un altro paio di americani trapiantati in Italia (Frank Wolff, attivo nel nostro cinema già da una decina d’anni, e Romina, figlia di Tyrone, Power, a tutti gli effetti cittadina italiana) sono affiancati da nomi dignitosi, ma non altisonanti come quelli di Nicoletta Machiavelli o Luciana Paluzzi; anche sul copione le firme sono quelle che sono: Alberto De Martino, Lianella Carell, Vincenzo Flamini e Carlo Romano. Produzione modesta (Edmondo Amati) per un tentativo di giallo/thriller parzialmente riuscito; la tensione è scarsina e i colpi di scena non molto sorprendenti, nonostante una confezione non disprezzabile. De Martino proveniva da una serie di peplum e spaghetti western di poco valore, comunque riuscendo a non precipitare mai nella serie Z e proponendo un onesto cinema fatto di pochi mezzi e un po’ di mestiere. La Power era già compagna di Al Bano e qui ha una particina minore.
L’opinione del sito http://www.bmoviezone.wordpress.com
(…) Sebbene non sempre granitico nella sceneggiatura, uno dei punti forti di Femmine insaziabili è l’accattivante atmosfera sixties, con uomini determinati a tutto, giovani donne disinibite, pestaggi e festoni psichedelici (memorabile la scena dell’orgia hippie – “mentre stanno guardando un video girato in Africa in cui alcuni mercenari sono impegnati in uno stupro collettivo” – nella villa di una giovanissima Romina Power, che in un’altra sequenza girata in una piscina mostra generosamente le sue forme). Buona la componente erotica che poggia perlopiù sull’avvenenza delle giovani attrici (la rediviva Dorothy Malone si esibisce in uno spogliarello davvero inguardabile per quanto inevitabilmente cult!) e sulle avventure del misterioso Giulio “Lambert Smile”. (…)
L’opinione di Il gobbo dal sito http://www.davinotti.com
Bel thrillerone con solido cast internazionale, da B-movie con soldi, in cui spicca una sciupatissima Dorothy Malone. La trama non è priva di pecche e chi ha visto 6 o 7 film del genere indovina con largo anticipo come va a finire, ma come (quasi) sempre a far premio sul plot sono le atmosfere d’epoca. Riuscita inoltre la componente morbosetta, dall’orgiona psichedelica nella villa di Romina Power (sempre lessa), al patetico strip della Malone. Grandissima la colonna sonora. Da recuperare.
L’opinione di Ciavazzaro dal sito http://www.davinotti.com
Non male. Un cocktail 60’s con un’ottima soundtrack di Bruno Nicolai per un thriller con qualche scena per l’epoca ardita (la Power mostra le chiappe fugacemente) e un ottimo cast, sia maschile sia femminile. Cito Dorothy Malone e il suo strip, il protagonista Hoffman, ma anche il caratterista John Karlsen, la Paluzzi, Wolff, Ireland. Discreto colpo di scena nel finale, sulla scia del potere che corrompe. Merita la visione, senza ombra di dubbio.
Luciana Paluzzi
Dorothy Malone
Romina Power
Nicoletta Machiavelli
Un apprezzato professionista di sicuro avvenire
Un flashback iniziale: l’avvocato Vincenzo Artuni sta per andare a letto, dove lo attende la moglie Lucetta. In lontananza si ode il suono di una sirena e Vincenzo sembra scosso dalla cosa.
La scena cambia e ci troviamo all’interno di una chiesa, sul pavimento della quale giace il corpo di don Marco, giovane parroco della chiesa stessa. Accanto a lui la cassetta delle elemosina, derubata del suo contenuto.
La storia prosegue in presa diretta alternando flashback al presente; Vincenzo è un giovane professionista molto ambizioso, che ha sposato la bella e ricca figlia di uno speculatore edile.
Il giorno delle nozze, durante il quale il suocero ha fatto sfoggio di ricchezza in modo molto cafone, Vincenzo si appresta a consumare le nozze con Lucetta.
Vincenzo e Lucetta, Lino Capolicchio e Femi Benussi
Ma l’uomo sembra avere evidenti problemi con il sesso.
Dopo due lunghi anni di matrimonio, durante i quali Vincenzo ha fatto strada, non è ancora arrivato il tanto sospirato erede, così l’avvocato si ritrova a dover rendere conto della cosa al suocero, che invece aspetta solo l’arrivo di un bebè.
Alle strette, Vincenzo decide di rivolgersi all’amico Don Marco, il quale, vincolato dalla tonaca, non potrà mai raccontare quello che ha appreso dall’amico. Il quale, però, gli chiede qualcosa che va oltre sia l’amicizia sia i doveri che Don Marco ha verso la sua fede, ovvero di mettere incinta Lucetta.
Dopo un drammatico colloquio tra i due, Don Marco rompe gli indugi e accetta di avere rapporti con la stessa Lucetta, previa somministrazione di un narcotico che impedisca alla donna di vedere chi sarà il padre del bambino.
Così avviene, ma le cose sono destinate a prendere una strada tragica.
Don Marco, scoperti i piaceri della carne, entra in una profonda crisi di vocazione e decide di lasciare la tonaca, cosa che getta nello sconforto Vincenzo, che teme che un giorno Marco possa vantare diritti sul nascituro o peggio raccontare la storia come in realtà si è svolta.
Durante un drammatico faccia a faccia in chiesa, Vincenzo colpisce con un candeliere l’amico, uccidendolo sul colpo.
Dopo di che, simulando una rapina, si allontana dalla scena del crimine.
Vincenzo poi ha un colpo di fortuna:un disoccupato, Nicola Parrella, lo sequestra mentre è in un autobus e lo trascina nella sua baracca, sperando che il gesto possa sollecitare le autorità ad un atto che risolva i suoi problemi.
L’avvocato decide così di seminare indizi a carico del Parrella; arriva anche a gettare l’arma del delitto nel canale vicino la baracca nella quale l’uomo vive con la moglie e i suoi due figli.
Ma commette un errore, perchè inavvertitamente perde un fazzoletto insanguinato con le sue iniziali.
Nicola Parrella però non è uno stupido, tutt’altro: riesce a rendersi conto di come si siano svolti realmente i fatti e ottiene un colloquio sull’impalcatura di una casa in costruzione.
Nicola propone a Vincenzo uno scambio; lui si assumerà la responsabilità dell’omicidio e in cambio l’avvocato assicurerà un futuro dignitoso alla sua famiglia.
Vincenzo accetta e Nicola finisce in galera, pagando per un delitto che non ha commesso.
Un apprezzato professionista di sicuro avvenire, datato 1971, è l’ultimo film( il 13°) diretto da Giuseppe De Santis, il regista dei celebri Ossessione e Riso amaro ed arriva a sette anni di distanza da Italiani brava gente.
E’ un buon film, un giallo con forti connotazioni sociali, ma anche sfortunato perchè non incontrò un gran successo di pubblico, cosa che costrinse il regista laziale ad abbandonare i set cinematografici.
Eppure il film non è affatto malvagio, anche se risente di una sceneggiatura alle volte confusa e farraginosa.
Fatali, a mio giudizio, sono due componenti del film che non vennero apprezzati: l’uso del flashback, che porta avanti e indietro la storia creando anche parecchia confusione e la recitazione oltre le righe di Lino Capolicchio.
Due elementi determinanti a ben vedere; i momenti in cui Vincenzo ricorda gli episodi così come sono avvenuti sono corredati da una recitazione che porta Capolicchio a usare troppa energia nel tratteggiare il personaggio di Vincenzo, con il risultato di rendere tutto troppo artefatto.
La drammatica sequenza del rapporto tra don Mario e una Lucetta inconsapevole
A contro bilanciare l’eccesso di zelo di Capolicchio c’è la recitazione misurata di Riccardo Cucciolla, che interpreta Nicola Parrella, l’emigrato meridionale con un gran cervello ma con ben poca fortuna.
Cucciolla, barese di nascita, usa fluidamente il dialetto pugliese riuscendo quindi a dare il massimo della credibilità al suo personaggio.
Bene anche Femi Benussi, che però ha oggettivamente un problema, quello cioè di essere terribilmente sexy e anche un tantino inadatta al ruolo della moglie ingenua “che non ha mai visto un uomo nudo”, come racconta il personaggio Lucetta durante uno dei primi incontri con Vincenzo.
La Benussi però avrebbe benissimo fatto dannare un santo, per cui è comprensibile la sua scelta quando la storia arriva nel suo punto culmine, il momento in cui Don Marco salta il fosso e si congiunge carnalmente con la moglie dell’amico, arrivando poi alla decisione fatale di abbandonare la tonaca dopo la scoperta della bellezza di quell’atto d’amore, pur consumato senza la collaborazione della donna.
Se il film affronta marginalmente il problema dell’integrazione dei lavoratori del sud, affidando a Cucciolla/Nicola Parrella il compito di illustrare amaramente gli aspetti dell’emigrazione, lo si deve alla decisione del regista di mostrare la carriera, per certi versi sgradevole, di Vincenzo, un uomo senza grossi scrupoli, che per la carriera e per i soldi non esita a compiere una serie di misfatti che lo degraderanno moralmente sempre più.
Fino alla decisione finale di mandare in carcere un innocente pur di salvaguardare la propria onorabilità e la propria posizione, già ampiamente compromessa dal dubbio legame con il suocero, palazzinaro un tantino mafioso e dagli oscuri interessi.
Un film in chiaro scuro, ma con una sua drammaticità ben esaltata dalla fotografia di Carlo Carlini; curiosa la scelta di utilizzare la Carmina Burana di Orff nelle sequenze iniziali, che, unite al crepuscolo, danno un’idea abbastanza originale di un dramma che sta per compiersi. Tuttavia molto meglio la versione orchestrale che venne utilizzata dieci anni dopo nell’Excalibur di Boorman.
Tra gli attori vanno segnalate vecchie glorie del cinema anni 40 e 50 come Yvonne Sanson, Andrea Checchi e Massimo Serato, protagonisti della stagione del cinema dei telefoni bianchi; bene inoltre un intenso Robert Hoffman nel ruolo di Don Marco.
Un apprezzato professionista di sicuro avvenire,un film di Giuseppe De Santis. Con Femi Benussi, Yvonne Sanson, Andrea Checchi, Robert Hoffman, Riccardo Cucciolla,Ivo Garrani, Lino Capolicchio, Nino Vingelli, Massimo Serato, Vittorio Duse, Sergio Serafini, Lina Alberti, Enrico Papa, Luisa De Santis
Drammatico, durata 129 min. – Italia 1972.
Lino Capolicchio – Vincenzo Arduni
Femi Benussi – Lucetta
Riccardo Cucciolla – Nicola Perella
Robert Hoffmann – Don Marco
Andrea Checchi – Padre di Vincenzo
Ivo Garrani – Padre di Lucetta
Yvonne Sanson – Madre di Lucetta
Nino Vingelli – Maresciallo
Pietro Zardini – Giacomo il sacrestano
Massimo Serato – Il cardinale
Vittorio Duse – Padre di Don Marco
Luisa De Santis – Moglie di Nicola
Regia Giuseppe De Santis
Soggetto Giuseppe De Santis, Giorgio Salvioni
Sceneggiatura Giuseppe De Santis, Giorgio Salvioni
Fotografia Carlo Carlini
Montaggio Adriano Tagliavia
Musiche Maurizio Vandelli
Scenografia Giuseppe Selmo, Enrico Checchi
Le recensioni appartengono al sito http://www.davinotti.com
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Alcuni snodi che definire romanzeschi è usare un eufemismo comprimono il livello della trama e, di conseguenza, del film, che resta però interessante in molte sue componenti, a partire da ambientazioni azzeccate e dalla scelta dei Carmina Burana come accompagnamento musicale. I personaggi principali sono tutti un po’ sopra le righe (ad eccezione di Hoffman, che è fin troppo composto), per cui la palma va alla splendida compostezza del grande Andrea Checchi. Medio, ma con un suo specifico perché: l’amore per i film italiani degli Anni Settanta.
Un avvocato (Lino Capolicchio), coniugato con donna benestante (Femi Benussi), non riesce a dare corso al rapporto intimo e per avere un figlio ricorre all’aiuto d’un prete. Ma quando quest’ultimo vuole abbandonare la veste, l’impotente lo uccide e tenta di invischiare, nel delitto, uno straccione innocente (Riccardo Cucciolla). Discreta prova (l’ultima purtroppo) di regia per Giuseppe De Santis che realizza un film decadente, tragico e dalle atmosfere talvolta deprimenti. Ottimo l’apporto dato da un cast convincente e calato nella parte.
Avvocato rampante uccide un prete, il suo migliore amico, e tenta di addossare la colpa a un poveraccio. Ma… Singolarissimo finale di carriera per il vecchio De Santis (curiosamente accreditato come “direttore artistico”), con un film giocato su più registri, dal grottesco al giallo al cinema di denuncia, e costruito su un complesso meccanismo di flashback a incastro. Magari poco verosimile, ma certamente audace, non stupisce che sia praticamente scomparso. Attori ben in parte, Capolicchio di rara laidezza (e sì che… ). Da vedere.
I continui rimbalzi tra presente e passato allacciano spunti delle pregresse esperienze neorealiste di De Santis – le miserie proletarie di Cucciolla – alle nuove tendenze del cinema dei primi Settanta, incline sia al discorso politico-civile-giudiziario su esempio di Petri che a quello sessuale nelle sue componenti esibizionistiche (le rigogliose nudità della Benussi), patologiche (l’impotenza di Capolicchio) e religiose (i dubbi di Hoffmann): l’esito è torbido e disarmonico, ma non privo di ambizione e fascino. Nella scena del battesimo, apparizione lampo della polselliana Stefania Fassio.
Non mi è piaciuto per niente. Attori orrendi (salvo solo Cucciolla), in particolare Capolicchio qui è a livelli di rara incapacità, trama banale e dialoghi da far accapponare la pelle (la seduta comunale quando discutono degli alberi sembra un litigio da osteria…).
Scoprire di essere impotenti ed aver paura di perdere tutto, oltre la propria dignità, anche la posizione sociale acquisita con un matrimonio “alto” e cercare di far tutto per evitare che questo accada. Capolicchio, perfetto nel suo ruolo in grado di cogliere e trasmettere le sfaccettature del suo personaggio, in una trama romanzata in cui anche un prete viene descritto (antisegnanamente per i tempi) con le debolezze di un uomo. Il tessuto ideologico della pellicola è forte e inusuale per i tempi in cui è stato realizzato. Da vedere.
Può una trama degna di un fotoromanzo assurgere al livello di atto d’accusa nei confronti della morale cattolica borghese? Sì, se sviluppata con estro talmente visionario e grottesco da sembrare ambientata ai tempi del Fascismo pur senza esserlo! L’ultimo film di un regista da cui non ti aspetteresti niente del genere. Ha ragione chi vi ha visto un parallelo con Petri. La vena allucinata della riuscita struttura a flashback è ben valorizzata dalla colonna sonora psichedelica di Maurizio Vandelli (all’epoca ancora nelle fila dell’Equipe 84).
Film interessante, racconta la storia di un giovane avvocato di umili origini, che sposa la bella figlia di un costruttore molto “introdotto” e sfrutta la posizione sociale del suocero per fare carriera, professionale e politica. La sua vita sarebbe perfetta, se non si mettesse in mezzo la morte del suo migliore amico sacerdote… L’intreccio tra denuncia del malcostume politico e sociale, morbosità coniugali e segreti familiari è sviluppato in modo originale, anche se alcuni passaggi risultano un po’ forzati. Capolicchio è quasi apprezzabile.