La sbandata
Salvatore Cannavone ha lavorato duramente per oltre trent’anni in America.
Ciabattino,lustrascarpe e altro,risparmiando centesimo su centesimo ha messo da parte una piccola fortuna e ha deciso di rientrare in Sicilia,spinto dalla nostalgia.
Qui l’uomo viene accolto in casa (in modo interessato) da suo fratello Raffaele,sposato con l’avvenente Rosa e padre della bella Mariuccia.
Da subito l’uomo avverte una tempesta ormonale;anni di astinenza e di desideri repressi fanno divampare in lui il desiderio di una donna.
E sotto il suo sguardo interessato non può non finire Mariuccia,che dal canto suo sembra accettare la corte di suo zio,spingendosi anzi in la, coinvolgendo il maturo uomo in un gioco fatto di provocazioni e ammiccamenti.
La ragazza intuisce il punto debole dello zio e ne incoraggia i pruriti e le fantasie;senza mai accettare esplicitamente rapporti completi,tiene l’uomo sulla graticola e ne approfitta per ricavarne regali in denaro,sotto lo sguardo assente (ma non troppo) del padre.
Dopo un po di tempo sia Raffaele che Mariuccia hanno ciò che vogliono:l’uomo una casa nuova e la ragazza soldi e corredo.
A questo punto ecco che spunta un giovane che chiede la mano della ragazza,accordata dai genitori.
Per Salvatore sembra che la beffa sia compiuta ma al contrario sarà proprio in quel momento che riuscirà ad avere finalmente la ragazza e con essa anche la bella cognata…
La sbandata è un film del 1974 diretto da Alfredo Malfatti,primo e unico film diretto in carriera dal regista.
E a vedere l’esito di questa prova,non si può certo dire che il cinema abbia perso un protagonista memorabile.In realtà,secondo quando dichiarato dalla protagonista del film,Eleonora Giorgi,la pellicola è stata diretta da Salvatore Samperi, che non volendo (e non potendo) firmare il film,si nascose dietro la figura oscura di Malfatti per dirigerla completamente.
Storia di corna,incesto e tradimenti,La sbandata è il classico film samperiano,pruriginoso e ammiccante,nello stile tipico del regista di Malizia,ben lontano qui dal risultato della commedia che aveva visto come protagonista la splendida Laura Antonelli.
Il film è banale e sciatto,appesantito anche dall’insopportabile figura di Domenico Modugno,che caratterizza all’eccesso la figura dell’emigrante figliol prodigo Salvatore Cannavone, affetto da evidente sindorme senile di attività ipersessuale.
Sigari a gogo,un’espressione tra il laido e il furbo alla Calandrino,Modugno imperversa per il film rendendo particolarmente odiosa la figura di Salvatore,tanto da far desiderare allo spettatore di vederlo punito e spogliato completamente dei suoi averi.
Invece finisce diversamente,e la commedia che in qualche momento aveva cercato la strada improbabile della satira,sbanda e finisce in farsa.
A ben vedere il titolo del film,La sbandata,andava applicato letteralmente,intendendo il tutto come una sbandata in corso d’opera di un prodotto della commedia sexy all’italiana,anche se in realtà di pecoreccio e voyeuristico non è che ci sia chissà cosa.
Il film è tratto dal romanzo Il volantino di Pietro A. Buttitta e ne riprende l’ambientazione sicula, cara a tanti registi del cinema nostrano.
Indolenza,pigrizia e ancora malizia e furbizia,scarsa voglia di lavorare,il siciliano con i baffi,la donna furba e vogliosa,il familiare becco e contento,insomma tutti i segni caratteristici da sempre attribuiti ai meridionali e nello specifico ai siciliani;la solfa è sempre la stessa,cambiano i protagonisti ma mai gli scenari e gli sfondi.
A parte Modugno,indisponente e antipatico,nel film c’è una giovane e bella Eleonora Giorgi,ventunenne,che si era fatta apprezzare per gli scabrosi Storia di una monaca di clausura e Appassionata e sopratutto per Alla mia cara mamma nel giorno del suo compleanno, di Luciano Salce,film che le aveva dato anche una patente di attrice in erba dalle buone qualità e non solo dal bel corpo.
L’attrice romana non demerita,pur nel grigiore (oserei dire squallore) generale, mentre sicuramente più apprezzabile, anche se defilata rispetto ai due protagonisti citati è la splendida Luciana Paluzzi,nel ruolo della madre di Mariuccia.
C’è posto anche per uno spaesato Pippo Franco,presenza fissa di tantissime commedie sexy.
Null’altro da segnalare se non il consiglio di lasciar perdere un film stanco e banale,in cui il tentativo di Samperi di fare satira bonaria e comicità ridanciana svanisce dopo pochi minuti dall’inizio della pellicola.
La sbandata
Un film di Alfredo Malfatti. Con Luciana Paluzzi, Domenico Modugno, Eleonora Giorgi, Umberto Spadaro,Pippo Franco, Franco Agostini Erotico, durata 90 min. – Italia 1975
Domenico Modugno: Salvatore Cannavone
Eleonora Giorgi: Mariuccia, figlia di Raffaele
Pippo Franco: Raffaele Cannavone
Luciana Paluzzi: Rosa, moglie di Raffaele
Umberto Spadaro: dottore
Nino Musco: avvocato
Franco Agostini: Giovanni Liga
Gino Pernice: Carluzzo
Renzo Rinaldi: giocatore a carte
Regia Salvatore Samperi (non accreditato), Alfredo Malfatti
Soggetto Pietro A. Buttitta, dal suo romanzo “Il volantino”
Sceneggiatura Salvatore Samperi, Ottavio Jemma
Casa di produzione Mondial
Distribuzione (Italia) Titanus
Fotografia Franco Di Giacomo
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Domenico Modugno
Scenografia Ezio Altieri
Costumi Ezio Altieri
L’opinione di sasso67 dal sito http://www.filmtv.it
Uno di quei film di cui, a quasi quarant’anni di distanza, non si riesce a capire la motivazione (se non la speranza di incassare qualche milioncino con un’operazione a metà tra il pruriginoso e la commedia folkloristica). Ma soprattutto non si capisce perché l’autore di Vecchio frack e Nel blu dipinto di blu accettase di partecipare a simili filmacci: che anch’egli avesse bisogno di soldi?
L’opinione di mm40 dal sito www,filmtv.it
L’unica cosa atipica di questa farsetta sguaiata è il protagonista: Modugno in una parte in cui sarebbe stato perfetto Lino Banfi è davvero qualcosa da sbiancare. Per il resto tutto procede come a quei tempi era solito che procedesse: qualche scenetta di nudo, un sottofondo incessante di volgarità e misoginia, Pippo Franco nel ruolo dichiaratamente ‘comico’ (poichè, dato il tema pesantissimo dell’incesto, occorre senz’altro sdrammatizzare ed a Modugno manca il physique du role), stereotipi italioti ammanniti a volontà. Non brilla certo per fantasia, questa Sbandata scritta dallo stesso Samperi (con Ottavio Jemma) che girerà o ha già girato innumerevoli varianti sul tema morboso dell’incesto fra le mura domestiche (da Nenè a Casta e pura, da Peccato veniale all’esordio di Grazie zia). Poco entusiasmo.
L’opinione del Mereghetti
Il film poteva puntare su elementi più provocatori (la frustrazione senile, l’avidità di denaro), invece risolve tutto con palpiti pruriginosi e bozzettismo di maniera. (P. Mereghetti Dizionario dei Film)
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
Undying
Non è una fissazione del sottoscritto, ma un dato di fatto: il cinema italiano Anni Settanta accarezzava con frequenza pressoché costante il tema dell’incesto (con predilezione del rapporto zio-zia/nipote). In tal caso, pur essendoci di mezzo Domenico Modugno (che pure, come ovvia conseguenza, si occupa del reparto musicale) il film appare fiacco, noioso e ben poco morboso. La Giorgi non può competere con le coève attrici disponibili sulla piazza, che sarebbero di certo apparse ben più credibili nei (pochi) panni di meridionali focosette…
Il gobbo
Mimmo Modugno zio d’America con proverbiale gruzzolo torna al paesello, e conosce una nipotina (ben) cresciuta… Ennesimo sotto-Malizia scritto dallo stesso Samperi: ormai di prammatica l’atmosfera calda e appicicaticcia, ma non se ne può più. Modugno ha in effetti un bel daffare fra la Paluzzi e una Giorgi che ha sicuramente degli argomenti, ma che come sicilianuzza dell’interno pare leggermente poco credibile. Un titolo che mantiene quanto promette.
Homesick
Samperiano e monotono, rispolvera alcuni degli argomenti preferiti della commedia erotica alla siciliana (ritorno dagli USA, incesto, matrimonio, soldi) utilizzando un pur valido Modugno come zio danaroso e voglioso. Piuttosto scialba la Giorgi, con il suo candore fuori luogo; ben più consistente la Paluzzi. Si può soprassedere.
B.Legnani
Brutto. Parte male, col volerci mostrare un protagonista simpaticissimo, col bel risultato di rendercelo fastidioso (al quinto sigaro, poi, diventa quasi odioso). Giorgi fuori parte (la Paluzzi, inoltre, se la mangia a colazione), Pippo Franco ripetitivo, come le scenette al circolo, insopportabili già alla seconda volta. Non c’è erotismo se non ci sono finezze e qui tutto è tagliato via con un coltello male affilato. Come se non bastasse, i tentativi umoristici funzionano una volta su dieci.
Femmine insaziabili
Solito, ignobile titolo da porno di serie B affibbiato a questo giallo/thriller del 1969 diretto da Alberto De Martino come specchietto per le allodole per attirare il pubblico con la promessa di chissà quali pruderie celate dietro la facciata del giallo.
In realtà il film è un robusto giallo di fine anni sessanta, molto ben curato nella confezione,girato in America e impreziosito da una bella colonna sonora e da una convincente fotografia.
Il regista romano Alberto De Martino, dopo aver navigato fra western,peplum e film bellici (suo il bel Ardenne 44 un inferno) passa al genere giallo, che nel 1969 inizia a conoscere un successo sempre più vasto tra il pubblico,che in quel periodo affolla le sale cinematografiche nonostante ormai il boom economico sia ormai da tempo esaurito.
Il cinema resta però lo strumento di svago preferito dagli italiani e fra i generi più popolari il giallo si avvia a conoscere una fortunatissima stagione, per merito anche di prodotti come Una sull’altra di Fulci che mescolano con sapienza robuste sceneggiature ad un pizzico di erotismo che rappresenta la nuova frontiera del cinema.
Robert Hoffmann e Nicoletta Machiavelli
In realtà in questo Femmine insaziabili l’erotismo latita, mentre sono presenti delle castigatissime scene di nudo, che però aggiungono un pizzico di pepe alla storia.
Che inizia mostrandoci il giovane e affascinante giornalista Paolo Sartori alle prese con la sua nuova esperienza di vita negli States,ove si è trasferito.
Qui incontra il suo vecchio amico Giulio Lamberti, perso di vista da anni e che ora è diventato un pezzo grosso della International Chemical;i rapporti tra i due si riallacciano ma per poco.
Giulio Lamberti infatti muore improvvisamente in un incidente automobilistico che suscita da subito in Paolo forti sospetti.
Aiutato dal direttore del giornale per il quale lavora,Paolo indaga sulla vita dell’amico,scoprendo però che l’uomo non aveva affatto una buona fama.
Le indagini portano alla morte di Salinger,direttore del giornale mentre Paolo grazie a Mary Sullivan,segretaria dell’industria per la quale lavorava Giulio scopre che la Chemical è sotto ricatto da un misterioso individuo che minaccia di rendere pubblici dei diari di Giulio che contengono informazioni scottanti sulla Chemical stessa.
Dorothy Malone
Chi è il misterioso ricattatore, perchè agisce nell’ombra e sopratutto come fa ad avere i diari di Giulio?
A Paolo il compito di sciogliere il nodo e di raccoglierne il merito dopo aver fatto luce, cosa che però lo porterà ad integrarsi in quel meccanismo fatto di seduzione del potere,di ambizioni e di egoismo che avevano già contagiato Giulio…
L’oggi ultra ottantenne cineasta romano gira un film ben equilibrato, dalla trama interessante anche se lo spettatore più smaliziato ben presto intuisce chi regge le fila del gioco;in questo è aiutato da un cast ben assortito nel quale figurano Dorothy Malone, vecchia gloria di Hollywood nel ruolo di Vanessa Brighton,maggiore azionista della Chemical e in passato amante di Giulio,Luciana Paluzzi in quello di Mary Sullivan, la segretaria dell’azienda che darà una mano decisiva a Paolo nella soluzione del giallo, Robert Hoffmann nel ruolo di Paolo.
Luciana Paluzzi
Hoffmann,attore austriaco di sufficienti doti recitative era stato lanciato nel cinema come alter ego del ben più celebre Alain Delon, grazie alla sua prestanza fisica e al suo indubbio fascino virile.In Femmine insaziabili recita discretamente,usando il suo charme sulle “femmine insaziabili” che si muovono nella storia raccontata.
Come Romina Power, vogliosa adolescente che nel film ricopre il ruolo della figlia della Malone, con scarse doti recitative ma con un indubbio sex appeal,come Nicoletta Machiavelli (sorella di Giulio) e come Rosemarie Lindt, immancabile nelle parti di contorno di molte produzioni dell’epoca.
Un film decoroso, sorretto da un impianto valido e in cui tutte le componenti ovvero fotografia,sceneggiatura,montaggio,location eccetera sembrano ben amalgamate.
Trasmesso raramente in tv in versioni censurate (in realtà sono state oscurate solo brevi sequenze di casti nudi) è presente in rete in una buona versione rippata da Rete 4; i link per visionarlo sono i seguenti
https://uploadto.us/file/details/aD33LeTfqOA/C6a9nal.part1.rar e https://uploadto.us/file/details/ZcC9oC4Y61k/C6a9nal.part2.rar
Femmine insaziabili
Un film di Alberto De Martino. Con Luciana Paluzzi, Robert Hoffman, Dorothy Malone, Romina Power, John Karlsen, Frank Wolff, Rosemarie Lindt, Nicoletta Machiavelli, Elena Persiani, Robert Mark, John Ireland, Roger Fritz Giallo, durata 90 min. – Italia 1969
Romina Power
Dorothy Malone: Vanessa Brighton
Robert Hoffmann: Paolo Vittori
Luciana Paluzzi: Mary Sullivan
Frank Wolff: Frank Donovan
John Ireland: Walter Salinger
Roger Fritz: Giulio Lamberti
Romina Power: Gloria Brighton
Nicoletta Machiavelli: Luisa Lamberti
Ini Assmann: Segretaria di Salinger
Rainer Basedow: Donovan’s henchman
Elena Persiani: Claire
Rosemarie Lindt: Patty
Regia Alberto De Martino
Soggetto Alberto De Martino e Vincenzo Flamini
Sceneggiatura Lianella Carell, Alberto De Martino, Vincenzo Flamini e Carlo Romano
Produttore Edmondo Amati
Fotografia Sergio D’Offizi
Montaggio Otello Colangeli
Musiche Bruno Nicolai
Scenografia Nedo Azzini
Costumi Gaia Romanini
L’opinione di Dusso dal sito http://www.filmtv.it
Gradevole giallo di fine anni 60,è un film che è molto curato sia negli esterni californiani molto belli che nei ricchi interni.La trama purtroppo non è davvero nulla di che e gira un po’ a vuoto limitandosi a presentarci i vari personaggi del film,il quale ha uno dei suoi punti di forza in alcune scene davvero notevoli come la lunga orgia e la sequenza della piscina con una notevolissima Romina Power.Finale a sorpresa
L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it
Nonostante il titolo a un passo dall’hardcore, Femmine insaziabili è una pellicola piuttosto casta nelle immagini e nel linguaggio, anzi pure un po’ banalotta e priva di particolare verve. Un paio di nomi stranieri nel cast (Robert Hoffman, austriaco, e la statunitense Dorothy Malone) e un altro paio di americani trapiantati in Italia (Frank Wolff, attivo nel nostro cinema già da una decina d’anni, e Romina, figlia di Tyrone, Power, a tutti gli effetti cittadina italiana) sono affiancati da nomi dignitosi, ma non altisonanti come quelli di Nicoletta Machiavelli o Luciana Paluzzi; anche sul copione le firme sono quelle che sono: Alberto De Martino, Lianella Carell, Vincenzo Flamini e Carlo Romano. Produzione modesta (Edmondo Amati) per un tentativo di giallo/thriller parzialmente riuscito; la tensione è scarsina e i colpi di scena non molto sorprendenti, nonostante una confezione non disprezzabile. De Martino proveniva da una serie di peplum e spaghetti western di poco valore, comunque riuscendo a non precipitare mai nella serie Z e proponendo un onesto cinema fatto di pochi mezzi e un po’ di mestiere. La Power era già compagna di Al Bano e qui ha una particina minore.
L’opinione del sito http://www.bmoviezone.wordpress.com
(…) Sebbene non sempre granitico nella sceneggiatura, uno dei punti forti di Femmine insaziabili è l’accattivante atmosfera sixties, con uomini determinati a tutto, giovani donne disinibite, pestaggi e festoni psichedelici (memorabile la scena dell’orgia hippie – “mentre stanno guardando un video girato in Africa in cui alcuni mercenari sono impegnati in uno stupro collettivo” – nella villa di una giovanissima Romina Power, che in un’altra sequenza girata in una piscina mostra generosamente le sue forme). Buona la componente erotica che poggia perlopiù sull’avvenenza delle giovani attrici (la rediviva Dorothy Malone si esibisce in uno spogliarello davvero inguardabile per quanto inevitabilmente cult!) e sulle avventure del misterioso Giulio “Lambert Smile”. (…)
L’opinione di Il gobbo dal sito http://www.davinotti.com
Bel thrillerone con solido cast internazionale, da B-movie con soldi, in cui spicca una sciupatissima Dorothy Malone. La trama non è priva di pecche e chi ha visto 6 o 7 film del genere indovina con largo anticipo come va a finire, ma come (quasi) sempre a far premio sul plot sono le atmosfere d’epoca. Riuscita inoltre la componente morbosetta, dall’orgiona psichedelica nella villa di Romina Power (sempre lessa), al patetico strip della Malone. Grandissima la colonna sonora. Da recuperare.
L’opinione di Ciavazzaro dal sito http://www.davinotti.com
Non male. Un cocktail 60’s con un’ottima soundtrack di Bruno Nicolai per un thriller con qualche scena per l’epoca ardita (la Power mostra le chiappe fugacemente) e un ottimo cast, sia maschile sia femminile. Cito Dorothy Malone e il suo strip, il protagonista Hoffman, ma anche il caratterista John Karlsen, la Paluzzi, Wolff, Ireland. Discreto colpo di scena nel finale, sulla scia del potere che corrompe. Merita la visione, senza ombra di dubbio.
Luciana Paluzzi
Dorothy Malone
Romina Power
Nicoletta Machiavelli
La morte non ha sesso
Una serie di delitti sconvolge il mondo della malavita di Amburgo; sono tutti delitti riconducibili ad un losco personaggio,Shurmann, un trafficante di droga.
A indagare sulla catena di omicidi è l’ispettore Franz Bulov, che è assolutamente certo che dietro tutto ci sia proprio Shurmann.
Ma non ha prove o quantomeno gli manca la prova decisiva.
Gli informatori che potrebbero far luce sulla storia finiscono in qualche modo ammazzati e l’ispettore ha anche problemi personali.
La sua giovane e affascinante moglie, Lisa,ha probabilmente una relazione extraconiugale e Bulov, anche se non ha certezze, è convinto dell’infedeltà della moglie.
Improvvisamente però le cose sembrano andare per il verso giusto: un killer pagato da Shurmann subito dopo un omicidio perde un portafortuna, cosa che permette a Bulov di identificarlo.
L’ispettore corre ad arrestarlo ma durante il tragitto vede sua moglie alla guida di una fuoriserie.
Fuori di se dalla gelosia, Bulov chiede al killer di uccidere la moglie in cambio dell’impunità.
Ma Max (il killer) non rispetta i patti; stringe una relazione carnale con Lisa, cosa che Bulov scopre casualmente.
Da quel momento l’ispettore decide di dare una sterzata alle indagini, inserendosi direttamente nell’organizzazione…
La morte non ha sesso è un thriller/noir diretto da Massimo Dallamano nel 1968, con protagonista la splendida Luciana Paluzzi,reduce dal grande successo personale riscosso con il film Agente 007 Thunderball (Operazione tuono) girato accanto a Sean Connery.
Un film, diciamolo subito, dall’andamento molto lento, sicuramente più descrittivo che d’azione.
Molti dialoghi e tanta descrizione d’ambienti e di situazioni, quindi, che però alla lunga influiscono sul film che già di per se non ha una sceneggiatura di livello accettabile.
Un vero peccato, perchè Massimo Dallamano era un regista di ottime qualità, come del resto dimostrato da film come Il dio chiamato Dorian, La polizia chiede aiuto e Cosa avete fatto a Solange?
Va anche detto che il film non è certo brutto, perchè la mano del regista milanese si sente e si vede.
Il cast si muove discretamente, attorno alla figura centrale di Bulov, ispettore tormentato dalla dicotomia dedizione al lavoro-gelosia.
John Mills era un attore di razza, così come molto bravo è nel film Robert Hoffman; nel cast figura anche Jimmy il fenomeno, nel ruolo dell’informatore di polizia.
Un discorso a parte merita la bellissima e sensuale Luciana Paluzzi, all’epoca trentunenne, nel pieno della maturità artistica e fisica,l’attrice romana rende conturbante il personaggio di Lisa, una donna volubile e dal passato reso volutamente oscuro dalla sceneggiatura.
Un film comunque vedibile, che precorre le strade delle future fortune dei thriller all’italiana.
Il film è disponibile in un qualità eccellente su You tube ed è comunque facilmente reperibile in rete.
La morte non ha sesso
Un film di Massimo Dallamano. Con Luciana Paluzzi, John Mills, Carlo Hintermann, Renate Kasch, Enzo Fiermonte, Loris Bazzocchi, Tullio Altamura Giallo, durata 91 min. – Italia 1968
John Mills: Ispettore Franz Bulon
Luciana Paluzzi: Lisa
Robert Hoffmann: Max Lindt
Renate Kasché: Marianne
Tullio Altamura: Ostermeyer
Carlo Hinterman: Mansfeld (con il nome Carlo Hintermann)
Enzo Fiermonte: Siegert
Loris Bazzocchi: Kruger
Jimmy il Fenomeno:
Paola Natale:
Mirella Pamphili:
Vanna Polverosi: Ursula
Rodolfo Licari: Olaf
Bernardino Solitari: Muller
Carlo Spadoni: Eric
Giuseppe Terranova: Rabbit
Robert Van Daalen: Dr. Gross
Regia Massimo Dallamano
Soggetto Giuseppe Belli
Sceneggiatura Giuseppe Belli, Massimo Dallamano, Vittoriano Petrilli
Produttore Giancarlo Marchetti
Casa di produzione Filmes Cinematografica, PAN Film, Top-Film
Fotografia Angelo Lotti
Montaggio Daniele Alabiso
Effetti speciali Enrico Catalucci
Musiche Giovanni Fusco, Gianfranco Reverberi
Scenografia Giorgio Aragno
Costumi Bonizza Aragno
Trucco Raul Ranieri
Estratto dagli archivi segreti della polizia di una capitale europea
Tre ragazzi e una ragazza che ritornano da una vacanza restano a secco di benzina proprio mentre sta per scatenarsi un temporale.
I quattro si trovano in una zona semi deserta e di conseguenza cercano un riparo nell’unico posto che incontano, una villa isolata.
La sinistra dimora è abitata da una donna molto bella e misteriosa, che li accoglie ma da quel momento i quattro si troveranno prigionieri di un incubo, sopratutto la ragazza…
Trama non raccontabile, quella di Estratto dagli archivi segreti della polizia di una capitale europea a meno di non voler svelare l’unico elemento che fa da collante ad una vicenda intrisa di mistero con elementi gotici e horror.
Diretto da Riccardo Freda nel 1972, Tragic ceremony diventato in italiano Estratto dagli archivi segreti della polizia di una capitale europea è un film misconosciuto, rimasto per lunghissimi anni sepolto nelle cineteche prima di essere ripescato e trasmesso da qualche tv privata.
Luciana Paluzzi
Camille Keaton
Un film molto strano che parte come un mistery, si sviluppa come un thriller e termina come un horror, con qualche sequenza splatter messa su da Rambaldi, che crea trucchi al solito molto efficaci.
Freda girò questo film tra molte difficoltà e fu costretto ad abbandonare il set, che venne rilevato da Ratti; questo raccontano le cronache dell’epoca e possono essere delle motivazioni per la clandestinità del film stesso, che scomparve del tutto sopratutto dopo lo scarso successo del film, che venne visto da pochissimi fedeli del regista.
Il quale aveva diretto l’anno precedente il thriller L’iguana dalla lingua di fuoco, con discreto successo ma ormai lontano dallo standard qualitativo che l’aveva reso uno dei registi più interessanti dei due decenni precedenti.
Strano film, Estratto dagli archivi; immerso in un’atmosfera da incubo, ambientato pressochè totalmente in una villa che sembra nascondere oscure minacce, vive i suoi momenti migliori proprio quando crea atmosfere da incubo allacciate alla figura di Jane, l’unica donna del gruppo di amici che avrà la sventura di capitare nel posto sbagliato e che pagherà con la vita la scoperta di quello che accade nella villa misteriosa.
Strano anche per l’ambientazione gotica in epoca contemporanea; i ragazzi infatti, veri e propri hippy almeno negli atteggiamenti e nei vestiti, si ritroveranno immersi in un’atmosfera d’altri tempi, con una padrona di casa (Lady Alexander) enigmatica ed affascinante con un consorte subalterno e succube, Lord Alexander.
La storia quindi si sviluppa all’interno di questa villa misteriosa, dove accadranno fatti anche inspiegabili e non certo per questioni di trama.
Freda infatti gira un’opera che sembra più un incubo psichedelico, con richiami alla metafisica piuttosto che un film tradizionale; il tutto si condenserà alla fine in una storia dall’intreccio abbastanza improbabile ma con una sua logica anche se distorta.
Purtroppo non mi è possibile addentrarmi in spiegazioni più esaustive se non raccontando particolari che toglierebbero il gusto allo spettatore di guardare questo prodotto che ha un suo fascino sinistro.
Legato, come già detto, all’ambientazione tipica dell’horror gotico con in più una trama a tratti confusa a tratti sviante, che però troverà la sua logica conclusione in un finale che svelerà i ruoli chiave di Jane e Lady Alexander.
Nel film ci sono parti con un fascino sinistro, legate alle grandi capacità di Freda di usare la suspence anche in funzione ambientale; se il temporale è un classico molto sfruttato del cinema thriller/horror, appare funzionale alla scena in cui i giovani incontrano l’ambiguo benzinaio, così come fascinosa è la sequenza che porta Jane a scoprire quello che realmente accade all’interno della villa.
E’ la parte migliore del film, con Jane che impugna un candeliere e si immerge nella casa in penombra, che sembra presagire momenti terribili.
Ambientazione dark e gotica quindi, nella quale si muovono a loro agio le due protagoniste principali, ovvero Jane e Lady Alexander rispettivamente interpretate da Camille Keaton e Luciana Paluzzi.
La prima, nipote del grandissimo Buster fa del suo meglio per dare sostanza al personaggio di Jane che se appare priva di una psicologia profonda diventa con lo scorrere del film personaggio tragico e legato ad un destino segnato. Camille, che qualche anno dopo lavorerà nel truculento Non violentate Jennifer si era messa in mostra nell’ottimo thriller Cosa avete fatto a Solange? e in questo film conferma l’ottima impressione destata nel film di Dallamano nel quale aveva interpretato il ruolo della sventurata Solange.
Decisamente bene Luciana Paluzzi, che interpreta il ruolo chiave della storia, quello dell’enigmatica Lady Alexander; l’ex Bond girl è donna dal fascino sensuale, è elegante e sopratutto è attrice di razza.
Sacrificato nel ruolo di consorte troviamo Luigi Pistilli, la solita sicurezza mentre il resto del cast si muove con disinvoltura.
Se il film può essere giudicato positivamente, lo si deve in primis alle capacità di Freda di utlizzare la MDP con padronanza, alla sua dote specifica di creare atmosfere lugubri e avvincenti; grazie all’ottima scelta di un tema musicale davvero ispirato, composto dal bravissimo Stelvio Cipriani, almeno la parte ambientale regge e supera la sufficienza.
Lo spettatore odierno potrà trovare mille difetti e buchi nella sceneggiatura, probabilmente a ragione; ma non vanno dimenticate le peripezie del film e sopratutto l’abitudine, a tratti sciagurata, di voler cavalcare l’onda del momento.
Nel 1972 infatti siamo nel pieno del boom del thriller/giallo/horror, con decine di produzioni che si accavallano spesso però con esiti discutibili; il Freda degli anni 70 non è il massimo, nel senso che il meglio di se lo ha già dato. I 5 film successivi al già debole A doppia faccia, ultimo film del decennio sessanta, non brilleranno affatto per originalità o per interesse.
Invece questo film può meritare una visione, sopratutto alla luce della recente pubblicazione in digitale, che permette di apprezzare il gioco di ombre che Freda riesce a creare.
Estratto dagli archivi segreti della polizia di una capitale europea, un film di Riccardo Freda , con Camille Keaton,Luciana Paluzzi, Luigi Pistilli,Máximo Valverde,José Calvo,Irina Demick,Paul Muller Thriller-Horror Spagna-Italia 1970
Camille Keaton … Jane
Tony Isbert … Bill
Máximo Valverde … Joe
Luigi Pistilli … Lord Alexander
Luciana Paluzzi … Lady Alexander
José Calvo … Benzinaio
Giovanni Petti … Fred
Irina Demick … Madre di Bill
Paul Muller … Il dottore
Beni Deus … Ferguson
Regia: Riccardo Freda
Sceneggiatura: Mario Bianchi,José Gutiérrez Maesso,Leonardo Martín
Produzione: José Gutiérrez Maesso
Musiche: Stelvio Cipriani
Fotografia: Francisco Fraile
Montaggio: Jolanda Benvenuti
Effetti speciali: Carlo Rambaldi
Le guerriere dal seno nudo (Le Amazzoni di Terence Young)
Tra la combattiva gente delle Amazzoni è tempo di scegliere la nuova regina; tutte le aspiranti al trono scendono in campo.
Le migliori atlete Amazzoni si sfidano in gare molto dure, e alla fine la vincitrice è la bella e biondissima Antiope, che sconfigge in gara anche sua sorella Oreteia.
Antiope ripristina l’antica regola che vigeva tra le Amazzoni, ovvero un misto di disciplina militare con una castità assoluta.
Alena Johnston è la regina Antiope
Instaura infatti il divieto di avere rapporti con uomini, salvo una volta all’anno per motivi di procreazione.
Così, per il rituale accoppiamento, vengono scelti dei greci, ai quali viene promesso in cambio del rame, materiale molto prezioso per i greci stessi.
Ma Teseo, re dei greci, decide di tendere una trappola alle Amazzoni, facendole attaccare dagli Sciti, salvo poi attaccare gli stessi Sciti per presentarsi alla guerriere come il loro salvatore.
Luciana Paluzzi
Antiope, che ha scoperto il trucco, dopo aver sventato anche una congiura di palazzo ai suoi danni ordita dalla sorella Oreteia, decide di uccidere i greci durante l’ultima delle notti d’amore tra greci e Amazzoni.
Dopo una serie di alterne vicende, Antiope accetterà di far convivere pacificamente greci e Amazzoni, rinunciando cosi ai retaggi del passato.
Rosanna Yanni
Le guerriere dal seno nudo, film del 1974 diretto dal regista Terence Young è un sorprendente prodotto che mescola vari generi, usando come spunto il peplum per diventare, durante lo svolgimento, dapprima una parodia in chiave moderatamente sexy e infine un film quasi drammatico.
La storia è ben congegnata, e mescola elementi tipici di più generi; se la base è essenzialmente peplum,visto che il film narra la vicenda del conflitto tra due antichi popoli, le semi leggendarie amazzoni e i greci guidati da Teseo, si nota nella pellicola una affiorante vis comica che rende alcuni passaggi abbastanza buffi.
Ma il film resta comunque drammatico, almeno nel suo svolgimento e nel suo finale, con più di un accenno ad un femminismo ante litteram, testimoniato da una società, quella delle Amazzoni, retta e governata esclusivamente al femminile, in cui il ruolo del maschio è decisamente marginale se non addirittura riduttivo, visto che i greci, nel film, sono ridotti al ruolo di stalloni.
Young strizza anche l’occhio al cinema sexy, spogliando le sue belle interpreti senza però usare una malizia eccessiva; se è vero che nel film ci sono molti nudi, è anche vero che l’erotismo è molto limitato se non addirittura inesistente.
Il regista, infatti, punta molto sull’avvenenza delle protagoniste non inserendole però nel solito contesto godereccio; le scene in cui le Amazzoni sono in tenero colloquio con i greci infatti costituiscono più un supporto alla storia (intrighi, vendette, tentativi di avvelenamento ecc)
che un mero tentativo di strizzare l’occhio al solito spettatore guardone.
Il cast è ben assortito, includendo attrici davvero avvenenti come Helga Linè, Malisa Longo e Rosanna Yanni oltre alla vera protagonista Alena Johnston che interpreta la regina Antiope e alla splendida Luciana Paluzzi, qui in un ruolo da comprimaria.
Un buon prodotto, insomma, di un regista capace, autore fra l’altro del primo leggendario 007 e di Sole rosso, un western atipico girato negli anni 70 con un gran bel cast.
Da notare che l’anno dopo venne immesso sul mercato cinematografico Le Amazzoni-Donne d’amore e di guerra di Alfonso Brescia, discreto prodotto ma nulla più.
Le guerriere dal seno nudo – Le amazzoni di Terence Young,un film di Terence Young. Con Luciana Paluzzi, Fausto Tozzi, Angelo Infanti, Alena Johnston, Sabine Sun, Helga Liné, Malisa Longo
Avventura, durata 92 min. – Italia 1974.
Alena Johnston … Antiope
Sabine Sun … Oretheia
Rosanna Yanni … Penthesilea
Helga Liné … Grande sacerdotessa
Rebecca Potok … Melanippe
Malisa Longo … Leuthera
Lucy Tiller … Alana
Almut Berg … Cynara
Luciana Paluzzi … Phaedra
Angelo Infanti … Theseus
Fausto Tozzi … Generale
Ángel del Pozo … Capitano
Franco Borelli … Perithous
Benito Stefanelli … Comandante
Regia: Terence Young
Sceneggiatura: Richard Aubrey, Massimo De Rita
Prodotto da: Nino Crisma, José García Moreno,Gregorio Sacristán
Musiche: Riz Ortolani
Editing: Roger Dwyre
Production Design: Mario Garbuglia
La mala ordina
Luca Canali è un magnaccia di piccolo cabotaggio, che vive ai margini della malavita organizzata.
Ha una moglie e una figlia, e vive separato dalla moglie che lavora come parrucchiera.
Gli accade di venir individuato, dal potente capo di una cosca mafiosa americana, come l’autore di un audace colpo ai danni della cosca stessa, depredata dei proventi di un traffico di droga per il valore di svariati miliardi di lire.
L’uomo viene quindi braccato dai killer mandatigli contro dalla cosca, ma con abilità riesce a cavarsela, tanto che la cosca americana si affida ad una cosca locale quella comandata da don Vito Tresoldi per tentare di punire l’uomo.
Così inizia un’altra dura battaglia, senza esclusione di colpi; il mafioso fa uccidere la moglie e la figlia di Luca, che da quel momento giura vendetta.
E la compie, sterminando la gang del mafioso e uccidendo i due killer americani mandati dalla cosca statunitense.
Fernando Di Leo, dopo il capolavoro Milano calibro 9, prova a rinverdire i fasti del primo capitolo della trilogia del milieu, a cui appartiene questo La mala ordina ,
diretto dal regista pugliese nel 1972, comprendente anche la parte finale, ovvero Il boss e affidando la parte del protagonista a Mario Adorf, già presente nel film precedente.
Lo fa imbastendo un noir ben dosato, in cui azione e ritmo non mancano; memorabile, ad esempio, la lunga sequenza dell’inseguimento di Luca Canali, appeso ad uno sportello di un furgone al guidatore del furgone stesso, chiuso dalla violenta scena in cui Luca sfonda a testate il parabrezza del mezzo.
Forse, rispetto a Milano calibro 9, in La mala ordina c’è meno tensione, la sceneggiatura non è brillantissima e manca il personaggio di spicco di Ugo Piazza, sostituito questa volta da un malvivente di mezza tacca, Luca Canali, piccolo magnaccia che saprà districarsi dai guai in cui involontariamente finirà per cacciarsi; pur tuttavia il mestiere di Di Leo c’è tutto, e si materializza in scene davvero ben congegnate, come il citato inseguimento e sopratutto la parte finale, in cui Luca ha la sua vendetta in un cimitero di auto demolite, in cui uccide i due sicari americani.
Punto debole del film sono le interpretazioni; se da un lato c’è un ottimo Adorf, abilissimo nel tratteggiare la figura un pò guascona di Luca Canali, all’opposto troviamo un Henry Silva, nella parte di uno dei due gangster americani, impegnato a mostrare un quantomai inopportuno sorriso smagliante, assolutamente non indicato in un film che ha una forte vocazione noir.
Più aderente al personaggio invece è Woody Strode, legnoso e rigido ma quantomeno più credibile.
Le parti femminili sono affidate alle bellssime Luciana Paluzzi, Femi Benussi e Sylva Koscina; la prima se la cava dignitosamente nei panni dell’interprete dei due gangster, che troverà la morte nel convulso finale; Femi Benussi, un’autentica sicurezza, è al solito perfetta nel suo ruolo, che questa volta è quello di una prostituta amica e protetta di Luca.
Adolfo Celi è Don Vito Tressoldi
Infine c’è Sylva Koscina, brava ma troppo elegante e fine per interpretare la moglie di Luca, il piccolo pappone che non ha certo una laurea o una cultura; la Koscina pur professionale, sembra davvero un elemento estraneo al film, con quella sua aria aristocratica inadatta al ruolo di parrucchiera e moglie di Luca.
Qualche errore di troppo, quindi, mascherato comunque dalla solita professionalità di Di Leo, un vero marchio di fabbrica.
Un film comunque tra i migliori, nel suo genere; non a caso Tarantino lo cita spesso, assieme al resto della trilogia, tra i film che lo hanno impressionato e influenzato maggiormente.
Buone le musiche di Armando Trovajoli; tra le curiosità, la presenza di lara wendel nei panni della figlia di Luca Canali e il doppiaggio di Mario Adorf, affidato al compianto Stefano Satta Flores.
La mala ordina, un film di Fernando Di Leo, con Mario Adorf, Henry Silva, Woody Strode, Adolfo Celi, Luciana Paluzzi, Franco Fabrizi, Femi Benussi, Gianni Macchia, Peter Berling, Francesca Romana Coluzzi, Cyril Cusack, Sylva Koscina, Jessica Dublin, Omero Capanna, Giuseppe Castellano, Giulio Baraghini, Andrea Scotti, Imelde Marani, Gilberto Galimberti, Franca Sciutto, Ulli Lommel, Vittorio Fanfoni, Giuliano Petrelli, Pietro Ceccarelli, Pasquale Fasciano, Alberto Fogliani, Giovanni Cianfriglia, Guerrino,Lina Franchi,Lara Wendel
Mario Adorf … Luca Canali
Henry Silva … Dave Catania
Woody Strode … Frank Webster
Adolfo Celi … Don Vito Tressoldi
Luciana Paluzzi … Eva Lalli
Franco Fabrizi … Enrico Moroni
Femi Benussi … Nana
Gianni Macchia … Nicolo
Peter Berling … Damiano
Francesca Romana Coluzzi … Trini
Cyril Cusack … Corso
Sylva Koscina … Lucia Canali
Jessica Dublin … Miss Kenneth
Omero Capanna … Vito’s Goon
Giuseppe Castellano … Garagaz
Giulio Baraghini … Gustovino
Andrea Scotti … Garo
Gilberto Galimberti … Vito’s Goon
Franca Sciutto … Ballerina
Ulli Lommel … Ballerina
Vittorio Fanfoni … Uomo di don Vito
Giuliano Petrelli … Uomo di don Vito
Pietro Ceccarelli … Uomo di don Vito
Pasquale Fasciano … Uomo di don Vito
Regia: Fernando Di Leo
Sceneggiatura: Fernando Di Leo, Augusto Finocchi
Prodotto da: Armando Novelli .
Musiche: Armando Trovajoli
Effetti speciali: Basilio Patrizi
“Adorfiano ed alterno. Adorf supera se stesso di Milano Calibro 9. Il film no, per snodi di trama assai meno logici rispetto a MC9, che si perdonano perché Adorf è fantastico, la fotografia è un gioiello etc. Si trovano temi presenti nell’opera di Di Leo: le cose che altrove funzionano, pure qui lo fanno egregiamente, mentre ciò che altrove non convince, non convince neppure qui (il mondo giovanile poi ripreso in Avere vent’anni). Inoltre la Dublin non strappa manco un sorriso, analogo risultato del tremendo Colpo in canna.
Tra i migliori esempi di film di genere italiano, ed ottimo esempio di noir, è anche una delle opere migliori di Fernando Di Leo. Girato con grande ritmo non appare mai patinato e artefatto, ma sempre efficacemente realista e spietato, con sequenze d’azione che, sebbene a volte siano un po’ “forzate”, appaiono sempre efficacissime. Ottima la prova del cast (specie del bravo Mario Adorf), così come la colonna sonora.
Il modesto macrò Luca Canali (Adorf) viene utilizzato come capro espiatorio dal padrino Don Vito Tressoldi (Adolfo Celi): a lui è attribuita la mancata consegna di un carico di droga pari a 3 miliardi delle vecchie lire. L’americano Corso (Cyril Cusack), che ha subìto il contraccolpo economico, invia due killer con lo scopo di dare una vistosa lezione al protettore, in colpa di defezione. Eccezionale noir, ispirato alla larga da Scerbanenco, ma frutto d’una sceneggiatura puramente ascrivibile al grande Di Leo (Ingo Hermes è imposto dalla co-produzione tedesca). Adorf domina e buca lo schermo.
Molto convincente Mario Adorf, nel ruolo di un pappone milanese un po’ sbruffone, che viene incastrato dal boss locale. Il film si trasforma quasi subito in una caccia all’uomo, soprattutto quando arrivano i due sicari per eliminare Canali (Adorf). Bravo il protagonista a costruire il personaggio, che da omuncolo dalla lingua lunga si trasforma in vendicatore, quando viene attaccato negli affetti più cari. Nessuna morale. Il boss difenderà nome e credibilità a tutti i costi. Da vedere.
Altro potente capitolo del noir italiano, che rispetto a MC9 appare meno cupo e tragico e più essenziale, lineare ed immediato. L’immenso Adorf tratteggia un macrò leale con gli amici, tenero con la sua famiglia, ma spietato con gli avversari, che vengono abbattuti dalla furia delle sue testate vendicatrici. Silva è insolitamente plastico, esuberante e parolaio e cede la sua granitica impassibilità al collega Strode. Scelta ottimale di volti (Cusack. Celi, Paluzzi, Coluzzi, Fabrizi, Berling…) e attori-stuntmen (Capanna, Galimberti).
Storia di un piccolo macrò della mala milanese che si ritrova braccato da due spietati killer americani senza un motivo apparente… Di Leo, autore anche del soggetto, è bravo nel descrivere con cura la disperata deriva di un uomo finito in un ingranaggio più grosso di lui, gira scene d’azione di tutto rispetto e tratteggia con cura anche i personaggi secondari. Se aggiungiamo l’interpretazione di un eccellente Mario Adorf, credo di aver reso l’idea di un grande film, senz’altro tra i migliori del regista pugliese.
Grandissimo film di Di Leo che ci regala uno dei più straordinari noir italiani di sempre. Livido, violento e spietato come pochi altri e per questo degno di autori più quotati come Don Siegl e Melville. Sceneggiatura tesa e vibrante. Musiche di Trovatoli che si fondono efficacemente con le immagini. Maestosa la prova di Adorf che ci regala uno splendido personaggio ed un finale assolutamente memorabile.
Una partita di eroina rubata, un pesce piccolo a cui addossare la colpa, una vendetta cieca e rabbiosa. Tutti elementi noti al genere noir, che Di Leo usa con mestiere confezionando un altro film “scerbanenchiano” dopo Milano Calibro 9 (curiosamente, quello è il titolo del racconto da cui viene l’idea di partenza del film). Meno intenso e più fiammeggiante, mette in prima linea un grande Mario Adorf, pappone con una sua dignità che non accetta compromessi e si fa giustizia da solo. Qualche tributo al gusto pop dell’epoca. Il finale è eccessivo “
L’infermiera
Un fresco vedovo, Leonida, viene colto da infarto mentre si sta consolando con la moglie del custode del cimitero nel quale ha sepolto sua moglie. La notizia invece di turbare, rallegra gli avidi parenti prossimi dell’uomo, ansiosi di mettere le mani sull’azienda vinicola che Leonida possiede, in modo da poterla vendere ad un ricco imprenditore. Per far ciò però hanno bisogno che all’uomo sia fatale un secondo infarto; così il genero di Leonida chiama al capezzale dell’infermo una splendida e avvenente infermiera, con il palese intento di provocare nell’uomo un mortale infarto.
Ma la donna, all’inizio d’accordo con il piano, impara a conoscere e stimare Leonida; gli si affeziona, e decide di sposarlo. Così caccia dalla villa del futuro marito tutti i parenti e parte in viaggio di nozze con l’uomo. Ma a Leonida sarà fatale proprio la bellezza della moglie: non resiste, infatti, al suo charme e dopo un amplesso cade fulminato dal secondo infarto.Anna, divenuta sua erede, commossa tributa all’uomo dei solenni e fastosi funerali.
Commedia sexy diretta da Nello Rossati nel 1975, L’infermiera si segnala per l’ottimo cast allestito dal regista e per la trama non disprezzabile, anche se il canovaccio resta abbastanza orientato sulle generose nudità della bellissima ex Bond Girl svizzera Ursula Andress; l’attrice, nel pieno della maturità fisica, è uno spettacolo per gli occhi.Il resto del film fila via sui binari della comicità non triviale, anche se abbastanza telefonata, e sulle gag dei numerosi co-protagonisti, a cominciare da Mario Pisu che interpreta Leonida, proseguendo per un’altra splendida Bond girl,
Luciana Paluzzi, e ancora con Duilio Del Prete (il genero di Leonida), Daniele Vargas, la bella Carla Romanelli, Lino Toffolo e come guest star Jack Palance, nei panni dell’industriale americano. In ultimo, il bravo Lino Toffolo, nei panni del servitore, costretto, per l’ennesima volta in carriera, a fare l’ubriacone.
Film tutto sommato non disprezzabile; a parte la musicalità del dialetto veneto, irresistibile, usato a piè spinto, la bella Andress da valore aggiunto alla pellicola. Memorabile il bagno in piscina, con l’attrice completamente nuda e generosamente esposta. Il regista adriese, reduce dal buon successo di La nipote, dirige quasi con taglio drammatico il film, rendendolo superiore alla media delle pellicole della commedia sexy.
Lino Toffolo e Carla Romanelli
Luciana Paluzzi
L’infermiera, un film di Nello Rossati. Con Duilio Del Prete, Daniele Vargas, Mario Pisu, Ursula Andress, Luciana Paluzzi, Jack Palance, Carla Romanelli, Lino Toffolo, Marina Confalone, Stefano Sabelli
Erotico, durata 105 min. – Italia 1975.
Ursula Andress: Anna
Duilio Del Prete: Benito Varotto
Mario Pisu: Leonida Bottacin
Daniele Vargas: Gustavo Scarpa
Carla Romanelli: Tosca Floria Zanin
Marina Confalone: Italia Varotto
Stefano Sabelli: Adone
Luciana Paluzzi: Jole Scarpa
Lino Toffolo: Giovanni Garbin
Jack Palance: Mr. Kitch
Attilio Duse: Dottor Pavan
Regia Nello Rossati
Soggetto Claudia Florio, Roberto Gianviti, Nello Rossati, Paolo Vidali
Sceneggiatura Claudia Florio, Roberto Gianviti, Nello Rossati, Paolo Vidali
Produttore Carlo Ponti
Produttore esecutivo Romano Dandi
Casa di produzione Compagnia Cinematografica Champion
Distribuzione (Italia) Interfilm
Fotografia Ennio Guarnieri
Montaggio Alberto Gallitti
Musiche Gianfranco Plenizio
Scenografia Toni Rossati
Costumi Toni Rossati
Trucco Francesco Corridoni, Maria Teresa Corridoni, Giulio Mastrantonio
A tutte le auto della polizia
Fiorella Icardi ( Adriana Falco) , figlia sedicenne di un barone della medicina, il professor Icardi (Gabriele Ferzetti) ammanigliato con politici e affarista senza scrupoli, scompare di casa misteriosamente. Il padre,il professor Icardi, coinvolge immediatamente le sue conoscenze, e alla polizia arriva l’ordine di impegnare tutte le forze nella ricerca della ragazza. Carraro (Enrico Maria Salerno), il capo della squadra mobile, delega alle stesse il commissario Solmi (Antonio Sabato), uomo burbero ma ligio al dovere e l’ispettrice Giovanna Nunziante (Luciana Paluzzi);
seguendo la flebile pista lasciata dalla ragazza, che è andata via di casa senza soldi e con il motorino, con l’aiuto di cani addestrati, i due riescono a individuare il posto in cui giace il cadavere della povera Fiorella; è a pochi metri dalla riva, nel lago, legata al suo motorino. L’assassino le ha sparato un colpo alla nuca.
Il motivo diventa chiaro durante l’autopsia; la ragazza infatti era incinta di tre mesi. Grazie ad una soffiata involontaria, Solmi rintraccia Tummolo, un guardone che si apposta tra gli alberi nel bosco che circonda il lago per spiare le coppiette e apprende così, nonostante l’evidente reticenza dell’uomo, che la ragazza una volta a settimana si recava sul posto per amoreggiare con un uomo in possesso di un auto bianca con targa straniera.
Ma è l’ispettrice Giovanna a determinare la svolta nelle indagini: seguendo Carla (Gloria Piedimonte), un’amica di Fiorella, arriva a scoprire un giro di prostituzione minorile capeggiato da Franz Hekker, un losco individuo già implicato in precedenza in traffici del genere. Durante l’irruzione alla villa di Hekker, la polizia trova foto compromettenti delle ragazze e una lunga lista di nomi di personaggi in vista, fa cui un ex ministro. La polizia sospetta sia di Hekker che di Tummolo, ma quest’ultimo vine ucciso dal misterioso assassino.
La stessa fine fa dapprima il ginecologo che aveva visitato Fiorella, poi Carla, che si era rifugiata in casa di Hekker. Il misterioso killer sta eliminando una ad una tutte le tracce che potrebbero portare alla sua identificazione, ma una brillante trappola, preparata da Solmi, porterà alla scoperta della sua identità, con colpo di scena finale.
A tutte le auto della polizia, diretto da Mario Caiano nel 1975, è un ibrido che potrebbe tranquillamente appartenere alla categoria thriller così come a quella, di gran fortuna in quegli anni, del poliziesco all’italiana. La trama è ben congegnata, e non manca la suspence per tutta la durata del film, grazie anche allo stuolo di bravi attori che fanno parte del cast, a partire da Gabriele Ferzetti, nei panni dell’arrogante professor Icardi, del sempre bravo Enrico Maria Salerno, il capo della mobile Carraro, di Antonio Sabato, un cinico e disincantato ispettore Solmi e della sempre bella Luciana Paluzzi. Bene anche Gloria Piedimonte, che ha una buona parte nel film; l’attrice avrà il suo momento di celebrità ballando nella sigla della trasmissione musicale televisiva Discoring.
Nel film compare, per pochi istanti, e nuda come suo solito il futuro onorevole Ilona Staller, nel ruolo di una prostituta che lavorava nella villa. Tutto sommato un buon lavoro, come al solito stroncato dai critici poco propensi a riconoscere una qualche dignità ai film di produzione italiana, definiti sprezzantemente B movie. Solo qua in patria, però, visto che negli Usa furono molti i registi che si ispirarono al cinema italiano per prendere idee.
A tutte le auto della polizia.Un film di Mario Caiano. Con Gabriele Ferzetti, Enrico Maria Salerno, Antonio Sabato, Luciana Paluzzi,Elio Zamuto, Ettore Manni, Marino Masé, Bedy Moratti, Benedetto Benedetti, Ida Di Benedetto, Leila Ducci, Ilona Staller, Attilio Dottesio, Tino Bianchi, Fernando Cerulli, Andrea Scotti, Valentino Macchi, Franco Ressel, Fulvio Mingozzi, Gloria Piedimonte Poliziesco, durata 100 min. – Italia 1975
* Antonio Sabàto: Fernando Solmi
* Enrico Maria Salerno: Capo della squadra mobile Carraro
* Gabriele Ferzetti: Professor Icardi
* Elio Zamuto: Professor Giacometti
* Ettore Manni: Enrico Tummoli
* Luciana Paluzzi: Ispettore Giovanna Nunziante
* Bedy Moratti: Signora Icardi
* Gloria Piedimonte:Carla
* Margherita Horowitz: Antonietta
* Franco Ressel: Ginecologo
Regia Mario Caiano
Soggetto Fabio Pittorru, Massimo Felisatti
Sceneggiatura Fabio Pittorru, Massimo Felisatti
Casa di produzione Capitol Jarama
Distribuzione (Italia) Capitol
Fotografia Pier Luigi Santi
Montaggio Romeo Ciatti
Musiche Coriolano Gori
Scenografia Renato Postiglione
007 Thunderball-Operazione tuono
Operazione tuono segna il ritorno di Terence Young dietro la macchina da presa;il tandem ormai collaudatissimo con Sean Connery nel ruolo di James Bond prosegue,con la quarta avventura della serie,sempre tratta dai romanzi di Fleming.
Una splendida Claudine Auger è Domino
Largo (Adolfo Celi),il numero 2 della SPECTRE,ha intenzione di rubare da un aereo due testate atomiche con le quali ricattare l’Inghilterra e il mondo.M,il capo dell’Intelligence inglese riceve il messaggio e prima di cedere al ricatto manda in Kenia 007,con l’incarico di fare il possibile per recuperare le bombe.
Qui Bond,con l’aiuto di Domino (una delle donne di Largo),nuova Bond girl,penetra all’interno di una base sottomarina in cui sono custodite le bombe,le recupera,e dopo una furibonda battaglia tra sommozzatori trasportati via aereo ,chiamati da Bond e tra gli uomini di Largo,lea partita fnisce con James che insegue lo yacht di Largo e lo uccide.
Sean Connery è James Bond, Agente 007
Spettacolare e pieno di effetti speciali,prodigiosi per l’epoca in cui venne girato il film,Operazione tuono fu un grande successo di pubblico;meno,ovviamente di critica,sempre pronta a colpire film all’apparenza disimpegnati e fatti per il puro intrattenimento. La Bond girl di turno è la bellissima Claudine Auger,algida e sdegnosa nel ruolo di Domino,pentita di prassi e pronta a seguire il fascino indiscreto dell’agente inglese;ottima la prova di Celi,che disegna un Largo satanico,spietato.
La colonna sonora è cantata da Tom Jones,,cantante assai in voga nel 1965.
007 Operazione Tuono,
un film di Terence Young, con Sean Connery,Claudine Auger, Bernard Lee,Lois Maxwell,Desmond Llewelyn,Rik Van Nutter,Adolfo Celi,Luciana Paluzzi, Guy Doleman,Philip Locke
Martine Beswick,Molly Peters colore 129 minuti. – Produzione Gran Bretagna
James Bond Sean Connery
Felix Leiter Rik Van Nutter
Fiona Volpe Luciana Paluzzi
Emilio Largo, SPECTRE #2 Adolfo Celi
Dominique ‘Domino’ Derval Claudine Auger
Count Lippe Guy Doleman
Paula Caplan Martine Beswick
M Bernard Lee
Q Desmond Llewelyn
Miss Moneypenny Lois Maxwell
Major Francois Derval Paul Stassino
Vargas Philip Locke
Regia Terence Young
Soggetto Ian Fleming, Kevin McClory, Jack Whittingham
Sceneggiatura John Hopkins, Richard Maibaum
Fotografia Ted Moore
Montaggio Ernest Hosler
Musiche John Barry, Monty Norman
Tema musicale Thunderball – Tom Jones
Pino Locchi: James Bond
Maria Pia Di Meo: Dominique “Domino” Derval
Giorgio Capecchi: M
Rosetta Calavetta: Miss Moneypenny
Gino Baghetti: Q
Sergio Graziani: Felix Leiter
Rita Savagnone: Fiona Volpe
Cesare Barbetti: Conte Lippe
Mario Mastria: Francois Derval
Sergio Tedesco: Vargas
Giulio Panicali: Ernst Stavro Blofeld
Gianni Bonagura: Wladislav Kutze
Fiorella Betti: Paula Caplan
Valeria Valeri: Patricia Fearing