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Gloria Bell

Gloria Bell ha ormai superato da un po i cinquant’anni.
Ha alle spalle un divorzio non traumatico, due figli ormai adulti, uno dei quali sposato e ha un lavoro.
In pratica è una donna indipendente, che vive quella fase di vita in cui, libera da obblighi,può permettersi di dedicarsi a quello che più le piace.
Si concede qualche amante ma la sua vera passione è la musica e il ballo; ama talmente tanto la musica da cantare a squarciagola quando è in auto, ama il ballo tanto da tuffarsi in sfrenate serate sopratutto a base di musica revival, quella in voga tra il finire degli anni settanta e la prima metà degli ottanta, quando quindi era ancora una ragazzina.
Ed è ad una di queste serate che conosce Arnold, che è separato dalla moglie.


Tra i due nasce una improvvisa attrazione e Gloria ci si tuffa con entusiasmo, tanto da arrivare a presentarlo al suo ex marito e ai figli.
Arnold sembra l’uomo giusto con cui ricominciare, è dolce e premuroso ma è anche succube delle figlie, sempre pronto ad accorrere ad ogni minima loro richiesta.
Agli inizi Gloria sopporta, ma poi…
Sebastian Lelio gira Gloria Bell, il remake personale del film Gloria del 2013, del quale ho già parlato qui https://filmscoop.org/2019/12/29/gloria/ nel 2018 ,riprendendo quasi completamente la trama
della prima versione ma con due sostanziali differenze.
La prima è l’ambientazione americana, la seconda è la scelta di due ottimi attori come Julianne Moore e John Turturro in luogo di Paulina García e Sergio Hernández; sono passati solo 5 anni da quel Gloria
che Lelio aveva presentato ottenendo un lusinghiero successo di critica e di pubblico e ciò lo porta a farne una versione più adatta al pubblico americano, con attori autoctoni e una location adatta allo stesso pubblico.


Il personaggio di Gloria Bell acquisisce uno spessore più sbarazzino con una sceneggiatura più agile e più costruita addosso alla Moore,attrice di razza e abituata a ruoli brillanti tipici delle comedy.
Gloria Bell è una ottimista, ha tante fragilità ma è al tempo stesso una donna consapevole dei propri mezzi; avrà una sola debolezza,legata al bisogno istintivo d’affetto che le costerà un’altra delusione, dopo quella legata la suo matrimonio.
Ma ne verrà fuori, più forte,con il carattere intatto; scena clou è quella in cui impugna l’arma da soft air e bersaglia l’ormai ex amante con pallottole di vernice colorata.
Nel film c’è una colonna sonora da urlo, che include la celebre Gloria di Umberto Tozzi in versione cantata dalla Branigan, Total Eclipse of the Heart di Bonnie Tyler,Alone Again di Gilbert O’Sullivan,Love’s in the Air di J.P.Young e tante altre, che hanno per il film
la valenza di un viaggio sul filo dei ricordi.
In quanto a Julianne Moore c’è la conferma del suo grande talento,così come apprezzabile e la prova di Turturro; film di buona caratura,che merita di sicuro una visione.

Gloria Bell
Un film di Sebastián Lelio,con Julianne Moore, John Turturro, Caren Pistorius, Michael Cera, Brad Garrett, Holland Taylor, Jeanne Tripplehorn, Rita Wilson, Sean Astin, Alanna Ubach, Cassi Thomson, Jordan Garcia, Kevin Hager Titolo originale Gloria. Commedia, durata 102 min. – USA 2018.

Julianne Moore: Gloria
John Turturro: Arnold
Michael Cera: Peter
Caren Pistorius: Anne
Brad Garrett: Dustin Mason
Holland Taylor: Hillary
Jeanne Tripplehorn: Fiona
Rita Wilson: Vicky
Barbara Sukowa: Melinda
Alanna Ubach: Veronica
Sean Astin: Jeremy
Cassi Thomson: Virginia

Roberta Pellini: Gloria
Pasquale Anselmo: Arnold
Davide Perino: Peter
Eva Padoan: Anne
Stefano De Sando: Dustin Mason
Ludovica Modugno: Hillary
Alessandra Korompay: Fiona
Emanuela Rossi: Vicky
Marina Tagliaferri: Melinda
Irene Di Valmo: Veronica

Regia Sebastián Lelio
Soggetto storia di Sebastián Lelio e Gonzalo Maza
adattamento di Sebastián Lelio e Alice Johnson Boher
Sceneggiatura Sebastián Lelio
Produttore Juan de Dios Larraín, Pablo Larraín, Sebastián Lelio
Produttore esecutivo Julianne Moore, Shea Kammer, Rocío Jadue, Ben Browning, Glen Basner, Milan Popelka, Alison Cohen
Casa di produzione Fabula
Distribuzione in italiano CINEMA
Fotografia Natasha Braier
Montaggio Soledad Salfate
Effetti speciali Tomas Roca
Musiche Matthew Herbert
Scenografia Dan Bishop
Costumi Stacey Battat

Maggio 15, 2020 Posted by | Commedia | , , | 2 commenti

La vita segreta della signora Lee

Per Pippa Lee è il momento di un cambio di vita radicale.
In seguito ad un infarto subito da Herb,suo marito,molto più grande di lei, ha deciso di seguirlo in quella che l’uomo chiama la residenza della pensione dopo una vita passata nell’editoria.
E’ anche il momento di guardare al passato con occhi nuovi, rivedere quello che è accaduto e sopratutto capire il perchè sia diventata per tutti una specie di enigma vivente.
Perchè Pippa sembra avere per tutti parole di comprensione, essere conscia del suo ruolo di moglie e madre di due figli ormai adulti,un figlio che è ormai prossimo a diventare avvocato e una figlia fotografa e reporter di zone di guerra,che però ha con lei un rapporto conflittuale.
Attraverso l’uso del flash back conosciamo così particolari sulla vita di Pippa, sulla sua famiglia nativa,con una madre dall’umore incostante che avendo 5 figli e un marito pastore protestante tirava avanti assumendo sempre più anfetamine e che la plasmava secondo i desideri del momento,come una bambola o come una vamp per esempio, condizionandole l’infanzia.


Fino al giorno in cui aveva deciso di trovare una strada nuova, allontanandosi da casa accolta da sua zia, che intratteneva una relazione saffica con una scrittrice/fotografa.
Poi la fuga anche dal nuovo rifugio, scoperta da sua zia mentre posava per delle foto erotiche scattate da Kat, la sua compagna e l’inizio di una fase turbolenta, con l’assunzione di stupefacenti fino al momento di svolta,l’incontro con Herb, editore con 30 anni più di lei, il matrimonio e la nascita di figli.
Così la vita di Pippa aveva preso una strada sicura tranquilla e borghese, fino al presente, in cui la donna è diventata per amici e vicini un punto di riferimento, un porto sicuro e una confidente alla quale ricorrere nei casi di problemi quotidiani.
Che ovviamente non mancano,come in tutte le esistenze.
Pippa però è rimasta troppo nell’ombra, sacrificando se stessa alla famiglia e al marito, un uomo terrorizzato dall’età che avanza e dalla morte al punto che allaccerà una relazione extraconiugale con l’amica di sua moglie, Sandra,una donna fragile ed emotiva sposata ma in crisi con suo marito.
La scoperta inaspettata porterà Pippa ad analizzare in modo diverso tutto ciò che la circonda e a prendere coscienza di se stessa; si è annullata, è stata una moglie fedele ma ora è il momento di cambiare.
Ed è esattamente quello che la donna farà…


Un film che si muove tra flash back e presente analizzando il comportamento di una donna che realizza,nel momento in cui tutto sembra scorre come un placido fiume, una nuova possibilità di vita dopo essere stata nell’ombra,tranquilla custode
e moglie affettuosa relegata in un ruolo marginale, quasi un soprammobile bello ma di pura decorazione per un marito fondamentalmente egoista e per degli amici e conoscenti abituati a vederla troppo in ruoli subalterni.
E’ la sintesi di La vita segreta di Pippa Lee, film diretto da Rebecca Miller (figlia del grande commediografo Arthur) nel 2009; una storia raccontata come una biopic nella quale si assiste all’evoluzione di una donna che finalmente prende coscienza di se stessa
dopo un’infanzia condizionata fortemente da una madre instabile e un’adolescenza turbolenta, segnata dalla ribellione e dagli eccessi,fatta di occasionali amanti e di droghe fino all’episodio che la spingerà ancora una volta a mettere in discussione tutto, alla ricerca
del suo vero ruolo umano e sociale.
Non più moglie fedele e madre, donna comprensiva con tutti e confidente,ma persona capace di scegliere e di decidere, di riannodare i fili dell’esistenza con la consapevolezza che ci sono nuove sfide,nuove occasioni.


Con un uso non ossessivo del flashback la Miller mostra così quella che è stata la vita di Pippa Lee almeno fino all’incontro con suo marito,che la donna sposerà quasi avesse una missione,prendersi cura di un uomo tanto più anziano di lei.
Herb, suo marito, si trasformerà in un padre pigmalione, un doppio ruolo che però finirà fatalmente per stringere Pippa in un recinto.
Dal quale la donna avrà la forza di uscire,complice anche un avvenimento che porterà le cose in una direzione imprevista.
La vita segreta di Pippa Miller è anche un film blandamente satirico sul vuoto pneumatico che sembra avvolgere le esistenze borghesi, prive di problemi concreti e quindi soffocate dalla noia generata dall’agiatezza; il barbecue,le cene, il pettegolezzo,amori clandestini,ovvero
l’armamentario con cui si combatte un quotidiano fondamentalmente votato alla noia.
Per contrappasso la ribellione e la presa di coscienza di una donna,Pippa, che finalmente realizza come oltre i simboli citati ci sia una via differente ;la vita non termina certo con un tradimento,anzi,può ricevere nuova linfa e spingere a decisioni impreviste.


Film gradevole, caratterizzato dalla presenza di un cast di sicuro valore: da Robin Wright Penn (Pippa Lee) a Keanu Reeves ( Chris) da Julianne Moore (Kat) a Alan Arkin (Herb) e Winona Ryder (Sandra), da Maria Bello (Suky) Monica Bellucci (la prima moglie di Herb) ogni componente
del cast fa la sua parte con professionalità facendo acquisire valore ulteriore al film.
Che resta una commedia leggera con momenti drammatici tenuti volutamente con bassi profili; perchè lo scopo della MIller è quello di raccontare un’evoluzione,quella di Pippa,che avviene per gradi.
Dall’iniziale senso di colpa agli accadimenti di varia natura che condizioneranno la vita di Pippa, tutto è mostrato con abilità dalla Miller e il risultato finale è un film di buon livello che si gusta senza particolari momenti di noia.
Consigliato.

La vita segreta della signora Lee

Un film di Rebecca Miller. Con Winona Ryder, Robin Wright, Julianne Moore, Keanu Reeves, Monica Bellucci, Blake Lively, Maria Bello, Alan Arkin, Zoe Kazan, Robin Weigert, Tim Guinee, Mike Binder, Madeline McNulty, Ryan McDonald, Drew Beasley, Christin Sawyer Davis, Beckett Melville, Adam Shonkwiler, Cornel West, Audrey Lynn Weston, Teresa Yenque Titolo originale: The Private Lives of Pippa Lee.Drammatico, durata 100 min. – USA 2009.

 

Robin Wright Penn: Pippa Lee
Keanu Reeves: Chris
Monica Bellucci: Gigi
Winona Ryder: Sandra
Alan Arkin: Herb Lee
Maria Bello: Suky Sarkissian
Julianne Moore: Kat
Blake Lively: Pippa Lee adolescente
Robin Weigert: Trish
Zoe Kazan: Grace Lee
Mike Binder: Sam Shapiro

Regia Rebecca Miller
Soggetto Rebecca Miller
Sceneggiatura Rebecca Miller
Produttore Brad Pitt, Lemore Syvan
Casa di produzione IM Global
Fotografia Declan Quinn
Montaggio Sabine Hoffmann
Scenografia Michael Shaw

febbraio 9, 2020 Posted by | Commedia | , , , , , , , | Lascia un commento

Blindness-Cecità

Un bianco abbacinante, totale.
Un muro insormontabile fatto del colore più candido possibile, opposto al nero che è quello della cecità totale.
E’ quello che “vede” un asiatico fermo ad un semaforo.
Smarrito, chiede aiuto e viene aiutato da un uomo che però poco dopo averlo accompagnato a casa si dilegua con l’auto del non vedente.
Per il medico a cui viene condotto dalla moglie può trattarsi di qualcosa di psico somatico,ma le cose stanno ben diversamente.
Infatti a poche ore di distanza sia la moglie dell’uomo (nessuno dei protagonisti ha un nome), sia il medico che altri pazienti dello studio mostrano gli stessi sintomi del paziente zero.


Le autorità corrono ai ripari e isolano il primo nucleo in un ospedale psichiatrico in abbandono; ma poco alla volta il gruppo aumenta esponenzialmente. Tra i ricoverati c’è la moglie dell’oculista che per primo ha visitato il paziente zero,che fingendosi non vedente segue il marito nella struttura. Che ben presto si trasforma in un lager, dove si vive in condizioni disumane visto che i non vedenti vengono abbandonati a se stessi.
Con il passare dei giorni e l’aumento esponenziale dei pazienti, le autorità usano la forza per contenere quella che sembra un’epidemia infettiva; guardie armate circondano la struttura che ormai scoppia ma i casi aumentano esponenzialmente. All’interno dell’ospedale intanto un piccolo gruppo di violenti impone la regola del più forte, togliendo il cibo agli sventurati pazienti e pretendendo dapprima oggetti preziosi e poi sesso per dare loro il minimo indispensabile alla sopravvivenza.


Sarà la moglie dell’oculista a guidare una rivolta e a uccidere il leader dei violenti; scoprirà anche che a guardia dell’ospedale non c’è più nessuno.
Il contagio si è esteso e quando pochi sopravvissuti seguono la donna, arrivano in una città spettrale, quasi abbandonata, dove sopraffazione e violenza hanno preso il sopravvento. Si lotta per il cibo,per l’acqua.
Ancora una volta sarà la moglie dell’oculista a prendere in mano la situazione…
Blindness Cecità è un film apparentemente del genere fantascientifico/catastrofico; ma se il topos del film porta in questa direzione, lo stesso è qualcosa di più complesso. Tratto dal romanzo Cecità di José Saramago,uscito nel 1995, Blindess è diretto dal regista Fernando Meirelles nel 2008.
Molto fedele al romanzo, il film non cita nessun nome dei personaggi ne indica il nome della città in cui avvengono i fatti; una decisione presa dalla produzione in base a precise richieste dello scrittore premio Nobel portoghese,che morirà meno di due anni dopo l’uscita del film.
La differenza sostanziale tra il romanzo è il film è tutta concettuale. Mentre Saramago con il romanzo punta l’indice su quella che è una cecità umana del tutto intellettuale che si trasforma in una cecità fisica, il film punta molto più sulla storia tout court, raccontando le difficoltà dei non vedenti, la reazione scomposta delle autorità prima e della popolazione poi. Per Saramago il mondo è afflitto da una cecità dovuta alla mancanza di volontà del vedere la complessa summa dei problemi umani, dall’egoismo individuale alla povertà passando per tutti i comportamenti
che possono essere la guerra, la violenza, l’odio ecc. L’uomo quindi è cieco, per indolenza.


Meirelles invece mostra le conseguenze di una cecità della quale non sappiamo (ne sapremo) l’origine; l’importanza è tutta nell’impossibilità da parte dell’uomo di procedere solo con i sensi. Senza la moglie del medico il gruppo di non vedenti è perso, immerso in un bianco panna montata nel quale non c’è un punto di riferimento.
Così tutti i protagonisti dapprima affondano nei loro escrementi, negli avanzi di cibo e nella spazzatura. Poi divengono preda del più forte, agnelli spauriti braccati da un lupo.
Meirelles non emette giudizi e affida alle immagini una cronaca dettagliata degli avvenimenti.


L’ambientazione è claustrofobica mentre il finale, un po a sorpresa, resta volutamente aperto, con uno spiraglio di speranza.
Un buon film, con qualche svarione di sceneggiatura; una donna con la vista tra centinaia di non vedenti non riesce a guidare immediatamente una rivolta contro dei violenti? Poco credibile.
Ma al di là di questo siamo di fronte ad un buon film sostenuto anche da bravi attori in primis la stupenda Julianne Moore, una delle attrici più brave degli ultimi decenni.
Fotografia cupa e estraneante in un film fatto anche di contrasti,come quelli tra il bianco abbagliante e l’angosciante cupezza dell’ospedale.
Un film da vedere.

Blindness-Cecità

un film di Fernando Meirelles, con Julianne Moore, Mark Ruffalo, Alice Braga, Danny Glover, Gael García Bernal Genere Drammatico, Fantascienza – Giappone, Brasile, Canada, 2008, durata 118 minuti.

Julianne Moore: moglie del medico
Mark Ruffalo: medico
Gael García Bernal: barista/re della corsia 3
Danny Glover: uomo con la benda sull’occhio
Alice Braga: donna con gli occhiali scuri
Yûsuke Iseya: primo cieco
Don McKellar: il ladro
Sandra Oh: Ministro della Salute

Roberta Greganti: moglie del medico
Fabio Boccanera: medico
Emiliano Coltorti: barista/re della corsia 3
Angelo Nicotra: uomo con la benda sull’occhio
Domitilla D’Amico: donna con gli occhiali scuri
Massimo Lodolo: il ladro
Sabrina Duranti: Ministro della salute

Regia Fernando Meirelles
Soggetto José Saramago (romanzo)
Sceneggiatura Don McKellar
Produttore Niv Fichman, Andrea Barata Ribeiro, Sonoko Sakai
Fotografia César Charlone
Montaggio Daniel Rezende
Musiche Marco Antonio Guimarães
Scenografia Matthew Davies, Tulé Peak
Costumi Renée April

febbraio 6, 2020 Posted by | Drammatico | , | 2 commenti

A single man

A single man locandina 1

“Il risveglio comincia con due parole, sono e ora. Poi ciò che si è svegliato resta disteso un momento a fissare il soffitto, e se stesso,
fino a riconoscere Io, e dedurne Io sono ora. Qui viene dopo, ed è, almeno in negativo, rassicurante; poiché stamattina è qui che ci aspettava
di essere, come dire, a casa.
Ma ora non è semplicemente ora. Ora è anche un freddo promemoria; un’intera giornata più di ieri, un’anno più dell’anno scorso.
Ogni ora ha un’etichetta con una data, che rende obsoleti tutti gli ora passati, finché prima o poi, forse – no, non forse, di sicuro –
succederà.
La paura contorce il nervo vago. Un malsano ritrarsi da ciò che, da qualche parte là fuori, ci sta aspettando.”
George Falconer è un uomo solo, A single man, come recita il titolo del film e il titolo del romanzo di Christopher Isherwood pubblicato nel 1964.
E’ un professore californiano di mezza età,omosessuale,in profonda crisi con se stesso dopo la morte del compagno che adorava.
Un uomo talmente solo da aver deciso di farla finita,di liberarsi di una vita che avverte vuota ed inutile,priva di riferimenti affettivi
appena mitigata dall’amicizia con Charlotte,una sua vecchia fiamma oggi amica che vive anch’essa una vita frustrante dopo il divorzio e dopo
il fallimento anche come madre,che cerca in George un’impossibile legame affettivo.
E’ l’ultimo giorno di vita,per George.

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Ha deciso di morire,stanco e sopraffatto da un’angoscia esistenziale senza rimedio.
Lo seguiamo mentre si muove nell’abbacinante sole californiano,tanto forte da rendere irreale anche il contorno dell’ambiente in cui si muove;
irreale anche perchè per George i ricordi hanno colori sfumati o virati verso il seppia,verso il marrone.
Tiene quella che vuole sia l’ultima lezione davanti ai suoi ragazzi,parlando del tema della paura,la paura verso il diverso,verso chi non
rispetta i canoni imposti dalla società.
In effetti George è comunque un diverso;lo è nella scelta dell’amore,che lo ha portato a stabilire una relazione profonda e appassionata con Jim,
che ama teneramente ed è da lui ricambiato.
Siamo nel 1962,una relazione gay non è certo una cosa da osteggiare pubblicamente;la società perbenista e puritana americana condanna senza appello l’omosessualità e per George e Jim c’è anche l’ostracismo totale dei genitori di lui.
Per George inizia un doloroso ritorno ai momenti principali della sua relazione con Jim.
Mentre quella che sarà la sua ultima giornata si dipana nella assoluta normalità,rivive in flash back i momenti salienti della sua relazione,a partire
da un sogno in cui si vede chino su Jim mentre lo bacia disperatamente dopo che quest’ultimo giace inerte in seguito all’incidente in cui ha perso
la vita.
Non aveva potuto nemmeno rendere l’ultimo saluto al compagno della vita per l’ostracismo dei genitori di lui,e questo ha sicuramente contribuito
a rendere ancora più straziante il ricordo dell’amante e compagno.

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Dopo mesi George è ormai incapace di vivere una vita,di riprendersi nelle mani il presente ed il futuro.
Vediamo scorrere la giornata tra i preparativi per il suicidio,le lettere che George scrive,la meticolosa preparazione dei suoi effetti personali,
perfettamente allineati sulla scrivania e gli incontri casuali di quell’ultimo giorno,quello con un ragazzo che tenta di adescarlo e che George
paga senza accettarne le prestazioni,quello con una ragazza che possiede un terrier praticamente identico a quello che possedevano loro,
sopratutto l’incontro con Bruce,uno dei suoi studenti attratto da lui per quella sua disperazione,quella sua profondità d’animo che adesso
finalmente traspaiono abbattendo l’aspetto serio e posato dell’insegnante,travolgendo le barriere.
Finalmente George può essere se stesso;sta per morire,nulla lo può più ferire o colpire.
Incontra la sua vecchia amica Charlotte,con la quale si confida e dalla quale ricava solo il senso di smarrimento,di delusione e di frustrazione che
la donna vive.
Sarà proprio con Bruce che passerà le sue ultime ore,un contatto umano che lo porta a rivedere il suo desiderio di morte,quasi una nuova opportunità
che la vita gli offre,un risarcimento per la perdita dolorosa che ha subito.
Ma il destino è beffardo e ha in serbo per lui la conclusione che George aveva scelto e non aveva attuato;morirà per un malore improvviso
sognando,negli ultimi istanti di vita,il volto del suo amato Jim che lo bacia.
Diretto nel 2009 da Tom Ford,stilista prestato al cinema alla sua prima e finora unica regia cinematografica,A single man è un film rigoroso,quasi asettico nel suo svolgimento,caratterizzato da una studiata e analitica lentezza descrittiva,dall’uso del flash back distinto dal presente grazie all’uso
di colori molto tenui,sfumati,che rendono i ricordi stessi quasi palpabili.

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Un film sull’amore,che non cerca assolutamente di guardare l’omosessualità nel suo complesso di problemi etici e morali,sociali o altro.
Non è un’indagine o un atto di denuncia A single man.
E’ un film d’amore e sull’amore,una storia come tante tra due persone che si amano in modo esclusivo e che la sorte divide per sempre;una storia come tante,purtroppo,nella quale il superstite non riesce più a trovare ragioni valide per vivere,quasi fosse stato amputato al suo corpo buona parte degli organi tanto da rendere impossibile il proseguimento della vita.
Sarà il giovane Bruce a rappresentare il gancio in mezzo al cielo,l’ancora di salvezza a cui aggrapparsi,una nuova speranza per il futuro.
Ma per una volta i sogni non muoiono all’alba,ma al tramonto e per George non ci sarà un futuro.
Bello davvero questo film.
Patinato,ricercato in ogni dettaglio ma non per questo meno autentico.Dolore e amore,rimpianto e abbandono della vita,rifiuto della realtà e rinascita
si fondono in una storia nella quale l’omosessualità è marginale.
Un amore è un amore e prescinde dall’orientamento sessuale.Un compagno perso vale un’amante o una moglie persa,una compagna o semplicemente un affetto.
Leggendo alcune critiche in rete mi sono reso conto di come le storie d’amore,sopratutto omosessuali vengano ancora viste come
qualcosa di sbagliato o come di un film delicato come questo si osservi solo la superficie senza osare scavare alla ricerca della sua essenza.
Atteggiamento comune ai superficiali,di coloro che vivono esistenze vuote,di coloro che non hanno provato un dolore assoluto e totale
come la perdita della compagna o del compagno.

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Sopratutto di come la vita possa risarcirti mettendo sulla tua strada un angelo che ti restituisca la voglia di vivere e di credere ancora nella vita stessa.
Una esperienza condivisa da chi vi scrive,che in un momento ben preciso della sua vita,duro e quasi impossibile da superare,ha incontrato
una persona speciale,Ylva,che lo ha aiutato a ritrovare la voglia di vivere.
Bello,dunque,questo film.
Ford ha talento registico e la sua cultura ed esperienza nella moda lo portano a curare quasi maniacalmente i dettagli;si veda la vestizione e il trucco
di Charlotte,o l’eleganza formale di George.
Un film d’amore,sull’amore,null’altro.
Una storia tenera e disperata,almeno nella conclusione.
In mezzo spazio ai sentimenti descritti con mano leggera e felice da un regista che aspetto a nuove opere.
Bravissimo l’interprete principale,Colin Firth,misurato e quasi estraneato dal dolore,dal mal di vivere che si impossessa del suo
personaggio e che lo porta alla decisione di darsi la morte.
Molto bene Julianne Moore;splendida la scena in cui i due dialogano sdraiati sul pavimento,vestiti di tutto punto e finalmente
vicini,come due amici pieni di angoscia che si confidano le pene della vita.
Bellissima la fotografia,per un film affascinante e pieno di emozioni.
Da vedere.

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A Single Man

Un film di Tom Ford. Con Colin Firth, Julianne Moore, Nicholas Hoult, Matthew Goode, Jon Kortajarena, Paulette Lamori,
Ryan Simpkins, Ginnifer Goodwin, Teddy Sears, Paul Butler [II], Aaron Sanders, Keri Lynn Pratt, Nicole Steinwedell, Ridge Canipe, Nicholas Beard, Brad Benedict, Jenna Gavigan, Brent Gorski,
Adam Gray-Hayward, Marlene Martinez, Paul Butler, Alicia Carr, Lee Pace Drammatico, durata 95 min. – USA 2009

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A single man banner protagonisti

Colin Firth: George
Julianne Moore: Charlotte
Nicholas Hoult: Kenny
Matthew Goode: Jim
Jon Kortajarena: Carlos
Paulette Lamori: Alva
Ryan Simpkins: Jennifer Strunk
Ginnifer Goodwin: Susan Strunk
Teddy Sears: Mr. Strunk

A single man banner doppiatori

Massimo Lopez: George
Franca D’Amato: Charlotte
Gabriele Lopez: Kenny
Francesco De Francesco: Jim

A single man banner cast

Regia Tom Ford
Soggetto Christopher Isherwood
Sceneggiatura Tom Ford, David Scearce
Produttore Tom Ford, Andrew Miano, Robert Salerno, Chris Weitz
Casa di produzione Artina Films, Depth of Field, Fade to Black Productions
Distribuzione (Italia) Archibald Film
Fotografia Eduard Grau
Montaggio Joan Sobel
Musiche Abel Korzeniowski
Shigeru Umebayashi
Scenografia Dan Bishop

A single man banner citazioni

“Nella vita ho avuto momenti di assoluta chiarezza, quando per pochi, brevi secondi, il silenzio soffoca il rumore
e provo un’emozione invece di pensare e le cose sembrano così nitide e il mondo sembra così nuovo.
E’ come se tutto fosse appena iniziato.Non riesco a far durare questi momenti,
io mi ci aggrappo, ma come tutto svaniscono.
Ho vissuto una vita per quei momenti,mi riportano al presente
e mi rendo conto che tutto è esattamente come deve essere…
E all’improvviso, lei è arrivata.”

“….l’ esperienza non è ciò che accade ad un uomo ma ciò che ne fa di quello che gli accade….”

“A me piacciono le donne, ma mi innamoro degli uomini.”

“Le creature più stupide sono quelle più felici…pensa a tua madre!”

“Paura di sentirci soli, paura di essere inutili in ciò che abbiamo da dire”

“…dobbiamo sempre apprezzare i piccoli doni della vita!”

“A volte cose orribili hanno la loro bellezza.”

“Mi ci vuole tempo alla mattina per diventare George, tempo per mettere insieme ciò che George è e come si deve comportare. Quando mi sono vestito e mi sono dato l’ultima lucidata alle scarpe so pienamente quale parte recitare”

A single man banner incipit

A single man locandina libro 1
Waking up begins with saying am and now. That which has awoken then lies for a while staring up at the ceiling and down into itself until it has recognized I, and therefrom deduced I am, I am now.
Here comes next, and is at least negatively reassuring; because here, this morning, is where it has expected to find itself: what’s called at home.
But now isn’t simply now. Now is a cold reminder: one whole day later than yesterday, one year later than last year. Every now is labeled with its date, rendering all past nows obsolete, until — later or sooner — perhaps — no, not perhaps — quite certainly: it will come.
Fear tweaks the vagus nerve. A sickish shrinking from what waits, somewhere out there, dead ahead.

A single man banner recensioni
L’opinione di veronick dal sito http://www.mymovies.it

L’inutilità della vita senza affetti, la lotta dell’uomo solo contro il resto del mondo,
la maschera di perfezione che tutti noi siamo costretti ad indossare per piacere ed essere accettati dagli altri:
sono i temi di questo film, che emoziona e fa soffrire seguendo il tormento di questo professore, magistralmente interpretato da Colin Firth,
la cui vita finisce nell’attimo stesso in cui perde il suo compagno in un incidente stradale. Un film che fa riflettere sulla banalità della vita
che spesso diviene un peso insostenibile e spinge l’uomo a scappare. La vita è fatta di attimi di piacere immersi in un mare di noia e di ripetitività
ed è proprio per quegli sprazzi di gioia che vale la pena vivere. Il film descrive molto bene il vuoto lasciato dalla perdita di un amore,
la linfa vitale per questo uomo solo e senza amici, che piomba improvvisamente in un dolore da cui non c’è scampo. I continui primi piano ci proiettano direttamente nell’intimo del professore,
il suo corpo diviene impalpabile, e siamo costretti a soffrire con lui. La morte, per infarto, è in fondo quasi una nota felice. Quando finalmente, con l’aiuto di uno studente infatuatosi di lui,
capisce che c’è sempre qualcosa per cui vale la pena vivere e ritorna a sorridere, la morte lo coglie all’improvviso, in un attimo di pura felicità, e lui non saprà mai se quella gioia ritrovata
era una rinascita o solo un piacere effimero dato da una notte di follia

Recensione del sito http://www.spietati.it

A single man è un film sorprendente e molto, molto coraggioso. E’ un film sorprendente perché rappresenta il debutto nel cinema di Tom Ford – geniale stilista che, prima di esordire col proprio marchio,
rilanciò nel mondo casa Gucci – con un lavoro molto accurato e cosciente. Coraggioso, perché Ford lo trae da una perla lucente della produzione di Christopher Isherwood, una delle massime penne in lingua inglese
del secolo scorso: un romanzo non solo di magnifica scrittura (in Italia, Un uomo solo), ma tutto imperniato sul percorso interiore del suo protagonista che si snoda contemporaneamente a un percorso esteriore che acquista
rilevanza intrecciato col primo, col carico di riflessioni che emerge dal pensiero del protagonista, un romanzo straordinariamente difficile da portare sullo schermo e che Ford, anche sceneggiatore, non ha alcuna remora a rileggere,
modificare, adattare alla sua idea di film. A stravolgerne il senso, quando necessario, allineando alla chiarezza di idee sul fronte visivo, una determinazione sul fronte della concezione altrettanto stupefacente(…)

Recensione del sito http://www.cinema.everyeye.it

Che relazione c’è tra il mondo della moda e quello del cinema? Il rapporto è, in realtà, più importante di quanto non si pensi comunemente: molti film lanciano veri e propri trend, anche nel campo dell’abbigliamento, e film sull’alta moda,
spesso in bilico tra favolosa realtà e vivida fantasia, si affacciano periodicamente sul grande schermo (esempio recente il bel Valentino, The Last Emperor). Nel 2001, uno spassoso film di/con Ben Stiller, Zoolander, ironizzava pesantemente
sull’universo dell’Haute couture. Tra i tanti volti noti che si sono prestati per un cameo in quella pellicola impossibile non ricordare Tom Ford, storico nome associato, fino a pochi annifa, all’ancor più storico marchio Gucci. A distanza di cinque anni,
dopo aver lasciato la guida creativa del gruppo fiorentino ed aver creato un proprio marchio, il fascinoso stilista texano torna ora al cinema, non da attore ma da regista, autore e produttore, con un film molto ben accolto alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com

Galbo

Lo stilista Tom Ford realizza un film che, non a sopresa, punta molto sull’aspetto estetico, offrendo una raffinata ricostruzione ambientale che riguarda abiti, oggetti e design generale (il film è ambientato negli anni ’60 durante la crisi tra gli USA e Cuba).
Ma nell’opera c’è anche un’indubbia cura per la caratterizzazione dei personaggi, specie specie quello del protagonista, ottimamente interpretato da Firth. Peccato per lo scadente doppiaggio italiano.

Pigro

Proprio nel suo essere impeccabile stanno i limiti di un film che, con una storia così bella e intensa come la sconfinata solitudine di un uomo rimasto solo dopo la morte del compagno, non riesce a trasmettere vera emozione e partecipazione,
preferendo porgere allo spettatore un’opera tecnicamente e stilisticamente raffinata, direi quasi leccata e laccata, ma senza vera anima. Rimane comunque a un buon livello, sia per l’eccellente Firth che per la potenza della situazione in sé, ripresa dal romanzo di Isherwood. Stiloso.

Rebis

Premessa necessaria: il doppiaggio italiano è penoso. Superato l’inconveniente, ci imbattiamo in un cinema a cui non siamo più abituati: Ford investe di lirismo gesti, pensieri e parole di un uomo infestato dalla bellezza, traduce in decadentismo esistenziale il glamour di una classe sociale
che il pubblico faticherà a compiacere. Un esordio ardito, elegante e demodè, la cui vocazione fassbinderiana spinge a ridondanze formali e squilibri in un’assidua elaborazione di colori e inquadrature volte a catturare l’emozione in atto. Meravigliose le note di Korzeniowski e Umebayashi. Ottimo Firth.
Capannelle

Se un facoltoso decide di produrre un film non c’è che esserne felici e se riesce pure a girarlo in modo personale e delicato, beh allora bravo a Tom Ford. Il suo Single man, forse troppo rileccato nel complesso (ma certi dettagli anni 60 es. l’interno della macchina sono da elogiare) e titubante nella parte centrale,
lascia comunque il segno andando aldilà dell’esercizio di stile e sfrutta bene le qualità di Colin Firth e del compositore Umebayashi (quello di In the mood for love).
Matalo!

Un buon film; perlomeno Ford dà l’impressione di aver messo in scena qualcosa che gli “urgeva” dentro. Tutte le caratteristiche formali di questa tipologia di film sono osservate ed è un limite perché troppa correttezza impedisce un vero volo. Però Colin Firth è davvero straordinario, interpretando un gay senza “effetti” recitativi.
Buona e composta la cornice d’epoca, anche troppo. Un buon risultato, fondamentalmente onesto per un piccolo film da non disprezzare.

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novembre 9, 2015 Posted by | Drammatico | , , | 1 commento

America oggi

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America oggi (1993) di Robert Altman è uno spaccato sugli Usa che assomiglia pericolosamente e in maniera sinistra alla società moderna di uno qualsiasi dei paesi industrializzati, non necessariamente occidentali.
Un film cinico e crudele e allo stesso tempo asettico come una sala operatoria, cattivo al punto giusto e didascalico, con storie intrecciate legate fra loro da sottilissimi fili a con protagonista un’umanità disorientata e a tratti amorale, maleducata e sfrontata, rissosa e priva di orientamento.

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Altman utilizza 9 racconti e 1 poesia di Raymond Carver, lo scrittore di Clatskanie morto 23 anni addietro all’età di 50 anni e li trasforma in potenti immagini cinematografiche  usando un linguaggio crudo ed essenziale, un pò come sono le vite dei vari protagonisti del film.
L’America pre 11 settembre appare desolante, chiusa in egoismi personali, in cui i rapporti umani appaiono mediati solo dall’interesse o dall’ego dei vari soggetti, pronti ad aggredire e a plagiare le vite altrui.
Gli altri però fanno lo stesso, così alla fine guardiamo amareggiati un gatto che si morde la coda, riflettendo però su quanto siamo simili noi a quella gente che ci appariva distante anni luce.

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Si, perchè nel frattempo il film di Altman si è attualizzato, così che un italiano piuttosto che un inglese o un francese possono riconoscere buona parte dei propri difetti in una pellicola che non risparmia niente.
Il senso desolante di deja vu nella vita quotidiana si fa così pressante e per fortuna il grande regista americano si limita ad una fredda esposizione di storie e situazioni, senza accennare ad alcun biasimo morale o senza prendere posizione.
Il film dura 188 minuti, un’enormità.
Le storie che seguiamo sullo schermo, intimamente collegate fra loro si incrociano, si dividono.
I protagonisti litigano, fanno cose tremende sotto i nostri occhi; lo spettatore finisce per chiedersi se dentro di se non aleggi malignamente lo spettro evocato sullo schermo, se quel personaggio in fondo in qualche modo non gli somigli.
Dal volo degli elicotteri iniziale, quasi un Apocalipse now in versione metropolitana al terremoto finale, non potentissimo ma che sembra presagire lo spettro del temutissimo Big one, il terremoto che raderebbe al suolo buona parte dei totem della civiltà americana, è un susseguirsi di storie tragiche nella loro banalità.
Così come in fondo è banale l’esistenza dell’uomo qualunque descritta nel film, fatta di birra e sesso ma anche di malignità, rivalità e gelosie.

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La donna sposata con due figli, che lavora come voce erotica e che cambia il pannolino alla figlia mentre sussurra parole a luce rossa al telefono, sotto lo sguardo quasi assente di un marito frustrato è una delle immagini più spietate del film. E’ un “lavoro” semplice, il suo; in fondo parlare di sesso orale mentre tuo figlio segue la tv o tua figlia ti sputa in faccia l’omogeinizzato è sempre meglio che alzarsi presto per andare in fabbrica.
Cosa c’è di meglio che ripetere oscenità stando semplicemente seduta a casa o impegnata nelle faccende domestiche?
E’ questa l’America oggi di Altman.
E’ quella dei pescatori in libera uscita che mentre pescano sulle rive di un torrente rinvengono un corpo nudo di ragazza e decidono di non privarsi del divertimento, ignorandolo e continuando a pescare; “Perchè pisci nell’acqua?“, chiede uno dei pescatori, “Mi piace il rumore che fà” è la risposta di colui che scopre il cadavere della ragazza che giace poco sotto il pelo dell’acqua.
The show must go on, il divertimento deve andare avanti perchè è il personale che conta, non l’altro.
Così i pescatori sono l’emblema di un americano medio ormai narcotizzato a tal punto da considerare la morte degli altri un intralcio, una limitazione al proprio piacere.

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C’è l’americano crudele e menefreghista, rappresentato dal telegiornalista che in ospedale sta seguendo un avvenimento drammatico, la morte del figlio mentre suo padre con il quale non è più in contatto da tanti anni si disinteressa della sorte del nipote, recandosi a far visita ad un giovane nella stanza accanto, con il quale non ha nessun legame di sangue e che non ha mai visto prima: è la disgregazione della famiglia?
In un certo senso si, perchè la famiglia tradizionale ormai è un dinosauro estinto da tempo, consumato dall’egoismo personale e dalla mancanza di valori, che ormai resiste solo nel ricordo come qualcosa che c’era e non c’è più, che non richiede nemmeno il rimpianto.
America oggi è la coppia mal assortita con lui ubriacone e alcolizzato e lei cameriera, che si riavvicinano dopo un incidente durante il quale la donna travolge e uccide il figlio dei vicini.

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Tutte le storie sono legate fra loro, come dicevo all’inizio ma in realtà possono essere considerate come vite parallele di universi paralleli, distanti e destinati a non incontrasi se non per puro caso, a incrociare le vite non volutamente ma per quella causalità che è poi una delle caratteristiche specifiche della vita.
Questi i tanti pregi del film.
Che venne giustamente omaggiato alla Mostra del cinema di Venezia con il Leone d’oro.
Tuttavia un difetto di base c’è ed è grande come una casa.
Tre ore e passa di film sono davvero tante per un film che in pratica dedica oltre 20 minuti in media ad ogni singolo episodio pur inquadrabile in un quadro di fondo omogeneo; la tendenza di Altman ad essere principalmente didascalico e a basare gran parte del film sui dialoghi può ingenerare insofferenza nello spettatore.

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Generalmente film così lunghi appartengono alla tradizione dei film d’avventura o alle epopee alla Dottor Zivago o ad affreschi (grandiosi) come i film di Leone.
Altman osa l’inosabile arrivando a mostrare 180 minuti di vita vera in cui però ad un certo punto ci si smarrisce proprio per l’estenuante concatenarsi delle storie e delle vicende dei vari protagonisti; un difetto non da poco.
Quando Altman gira America oggi è reduce dal gran successo di I protagonisti, girato l’anno precedente che ottenne la Palma d’oro a Cannes; è quindi un periodo fecondo, quello del gran regista americano, reduce da anni di lavoro quasi oscuro segnato da produzioni low budget e da sperimentazioni.
Per questo film ingaggia un gruppo di attori emergenti o già affermati, inserendo anche la star Jack Lemmon; nel cast troviamo Andie MacDowell e Julianne Moore, Tim Robbins e Madeleine Stowe, Jennifer Jason Leight, Tom Waits… insomma un cast che alla fine risulta omogeneo nonostante le diverse scuole di recitazione dalla quale provengono gli attori, che si muovono all’unisono sullo sfondo asettico della città degli angeli.
A fare da collante al film, una colonna sonora classica fino al midollo.

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Si spazia (in senso letterale strettissimo,perchè la mente vola sulle note) da Bach a Dvorak con il suo cello, da Igor Stravinsky a Mark Isham; una musica che ci trasmette il senso apocalittico del film.
L’apocalisse di Altman, la rivelazione in senso letterale non è quella biblica, ma è quella metropolitana, la disperata solitudine dei gesti e delle parole, di tutti i protagonisti messi di fronte alla loro realtà quotidiana che rappresenta il passato, il presente e probabilmente anche il futuro.

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Noi sappiamo che al momento non è ancora accaduto quanto lasciato presagire da Altman; ma l’America oggi del 1993 non è l’America post 11 settembre, quella per intenderci che ha scoperto di essere vulnerabile e non più invincibile, il grande mito dell’epopea storica americana.
E’ una nazione piena di contraddizioni che si sono acuite e che Altman in qualche modo aveva presagito.
Qesto forse è il gran merito di America oggi, l’aver posto delle domande senza retorica, l’aver mostrato un mondo in crisi già vent’anni addietro.
Una crisi che è allo stesso tempo strutturale,individuale, sociale, collettiva, di sistema e di ideologia.
Tanta carne al fuoco cucinata benissimo da uno dei grandi maestri della cinematografia.

America oggi
Un film di Robert Altman. Con Anne Archer, Jack Lemmon, Madeleine Stowe, Lily Tomlin, Tim Robbins,Matthew Modine, Tom Waits, Buck Henry, Andie MacDowell, Fred Ward, Peter Gallagher, Bruce Davison, Julianne Moore, Chris Penn, Jennifer Jason Leigh, Robert Downey Jr., Frances McDormand, Lori Singer, Lyle Lovett, Huey Lewis
Titolo originale Short Cuts. Drammatico, durata 188 min. – USA 1993.

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Andie MacDowell: Ann Finnigan
Bruce Davison: Howard Finnigan
Jack Lemmon: Paul Finnigan
Julianne Moore: Marian Wyman
Matthew Modine: Dr. Ralph Wyman
Tim Robbins: Gene Shepard
Madeleine Stowe: Sherri Shepard
Anne Archer: Claire Kane
Fred Ward: Stuart Kane
Jennifer Jason Leigh: Lois Kaiser
Chris Penn: Jerry Kaiser
Lili Taylor: Honey Bush
Robert Downey Jr.: Bill Bush
Tom Waits: Earl Piggot
Lily Tomlin: Doreen Piggot
Frances McDormand: Betty Weathers
Peter Gallagher: Stormy Weathers
Annie Ross: Tess Trainer
Lori Singer: Zoe Trainer
Lyle Lovett: Andy Bitkower
Buck Henry: Gordon Johnson
Huey Lewis: Vern Miller

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Regia     Robert Altman
Sceneggiatura     Robert Altman, Frank Barhydt
Fotografia     Walt Lloyd
Montaggio     Suzy Elmiger Geraldine Peroni
Musiche     Johann Sebastian Bach Antonín Dvorák Gavin Friday Victor Herbert Mark Isham Doc Pomus Igor Stravinsky

Capolavoro di uno dei più grandi registi americani contemporanei: con questo film (cui devono molto Magnolia di Anderson e Crash di Paul Haggis), Altman conferma la sua abilità nel raccontare storie; la sceneggiatura è quasi perfetta e la durata del film (pur non indifferente) non pesa sullo spettatore grazie alle ottime performance di un grande gruppo di attori (tra i migliori del cinema americano) tra i quali spiccano Jack Lemmon e Julianne Moore.

Un capolavoro. Il graffio beffardo e amaro del grande Altman colpisce ancora con un affresco di storie meschine e disperate di una grande metropoli sull’orlo del baratro: il terremoto fisico, pronto a sancire apocalitticamente la fine di un mondo che ha perso l’orizzonte dell’etica e dell’umanità. Straordinaria la capacità di raccontare “banalmente” le micro-storie “banali” dei diversi personaggi “banali” che si intrecciano più o meno casualmente, trasformando tutto in una catastrofe antropologica. Epocale.

Tratto da un libro di racconti di Carver, un gran film corale griffato Altman che si conferma il regista più capace nel girare pellicole di questo tipo. Tante storie che si intrecciano molto bene tra loro con denominatore comune lo sguardo impietoso e pessimista nei confronti del popolo americano. La durata fiume (tre ore piene) non impedisce un ottimo controllo del materiale narrativo e dell’incastro tra i vari pezzi. Inoltre tutti gli attori del ricchissimo cast sono diretti, al solito, molto bene e fanno la loro parte.

Alcuni giorni nelle vite di abitanti di LA, fatterelli, amori, liti, drammi. Ispirato ai racconti di Raymond Carver, il film è il capostipite di un filone i cui epigoni non sono riusciti ad avvicinarsi al modello, forse proprio per la mancanza di una solida base di scrittura. La cruda prosa minimal di Carver finisce sullo schermo disegnando storie comuni che ci costringono a guardare, o almeno a sbirciare anche dentro di noi. Straziante l’episodio (quasi letteralmente preso dal racconto) della torta di compleanno. Non per tutti, ma bellissimo.

America oggi sta agli anni 90 come Nashville stava agli anni 70. Assoluto capolavoro Altmaniano, forse il suo film testamento, una summa di tutto il suo cinema. Gli elicotteri all’inizio che sovrastano Los Angeles fanno venire alla mente il Coppoliano Apocalypse now, Jennifer Jason Leigh che fa sesso telefonico mentre è affacendata in lavori domestici, un cadavere di donna che galleggia nelle fogne, Chris Penn che dà improvvisamente di matto ed esplode in una violenza feroce e inaspettata con l’arrivo del terremoto… Capolavoro.

Episodi drammatici come la perdita di un figlio, ordinari come mariti e mogli con amanti vari, surreali come una madre che alleva i propri figli mentre lavora al telefono per una hot-line: è questo il quadro bizzarro che Altman riesce a cucire insieme realizzando un film di oltre 3 ore che non pesano assolutamente. Lo spettatore si diverte a riconoscere dai piccoli curatissimi particolari le peculiarità di ogni personaggio. Un cast eccezionale mantiene alto il livello recitativo.

Ennesimo grande film per l’indiscusso Maestro del cinema corale USA. Uno sguardo approfondito, veritiero ma distaccato nelle vite di una serie di personaggi che vivono nella realtà e che vivono la vita come tutti noi, ognuno con i propri problemi, ognuno con i propri ostacoli da superare. Altman dirige l’intricata matassa splendidamente, con lo sguardo analitico e lucido di chi vuole lasciare allo spettatore la possibilità di giudizio. Ma i toni disperati e impietosi non lasciano scampo… anche ai non americani, ovvio. Egregiamente interpretato.

Uno splendido manifesto core. Le storie di nove o più famiglie si intrecciano, si collegano tra loro in un modo o nell’altro, anche solo per uno sguardo o una situazione. Uno scontro continuo che scivola in un vortice di tensione, culminante con un avvenimento/metafora finale. Ed è in questo modo che possiamo seguire le vite e le vicissitudini di alcuni personaggi dell’America anni ’90 allo sbando. Altman si “limita”, in maniera eccellente, a raccontare gli avvenimenti con grande lucidità e partecipazione, lasciando a noi la libertà di giudicare.

America oggi è un’appropriata traduzione italiana di ciò che il film vuole mostrare: una nazione quanto più malata e disastrata anche nei ceti medi (-alti). Le tre ore di durata certo non facilitano la gestione del ritmo ed infatti si notano alcuni cali sopratutto nella parte centrale, che pur non essendo gravi si fanno sentire. Comunque bilanciato è il cast, composto da molti volti noti. Ottima la regia di Altman.

Interessante sguardo realista dell’America (di ormai 20 anni fa), il film è l’intreccio di vite di molti personaggi a Los Angeles; più che altro si sofferma sui problemi delle giovani coppie, i tradimenti, le insicurezze e i rapporti genitore/figlio. Un film vero e drammatico che raccoglie qualche giorno di quotidiana vita intrecciata in un meccanismo perfetto di incontri/scontri.

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settembre 14, 2011 Posted by | Capolavori | , , , , , , , , , , , , , , , , | Lascia un commento