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Peccatori di provincia

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Alla morte di Emanuele Lo Curcio l’intera famiglia del defunto esulta: i presunti eredi hanno grossi problemi di denaro e tutti indistintamente contano sul lascito per risollevarsi.
Ma con grande stupore e con sommo rammarico scoprono che il defunto Lo Curcio ha lasciato tutta la cospicua eredità alla figlia naturale Domitilla della quale ignoravano l’esistenza.
Per colmo di sventura, quando la ragazza arriva nella casa del padre, con costernazione gli eredi Lo Curcio si rendono conto che la ragazza sta per diventare suora.

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Il Sindaco del paese Renzo Montagnani), marito di una delle figlie di Emanuele, Vincenzina, la sorella del Lo Curcio Concetta e la nipote Gigia sono così costretti a studiare un sistema per spogliare la ragazza di quanto destinatole dal padre.
Dopo varie vicissitudini, sarà Gigia ad avere un’idea: fotografare la suorina nuda nel bel mezzo di un’orgia per farla dichiarare indegna.
Ma il diavolo fa le pentole e non i coperchi….

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Renzo Montagnani

Peccatori di provincia (1976) rappresenta uno dei punti più bassi toccati dall’ormai moribonda commedia sexy.
Commediaccia di grana grossissima infarcita di gratuite volgarità, priva di una trama almeno credibile riesce a reggersi fino in fondo solo per la professionalità del cast assemblato dal regista Tiziano Longo, autore di otto pellicole una più sciagurata dell’altra con l’unica eccezione del discreto Mala amore e morte.
Il regista di Sedicianni, La prova d’amore e Lo stallone punta solo ed esclusivamente al botteghino, riunendo i peggiori stilemi della commedia sexy; turpiloquio, oscenità, battute di grana grossolana e scene sexy.
Se questo amalgama in passato ha funzionato vuoi per qualche felice trovata vuoi per la simpatia di alcuni caratteristi utilizzati nel film in questione ha un peso specifico molto modesto perchè il film è davvero poca cosa.

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Daniela Halbritter

Poche battute che possono strappare un sorrisetto, scene sexy affidate alla splendida Femi Benussi sempre più spogliata e alla legnosissima Daniela Halbritter (qualcuno al ricorderà in Labbra di lurido blu) e sopratutto una trama assolutamente inconsistente e ridicola.
E’ di scena la solita eredità contesa, la solita famiglia di avvoltoi e l’espediente della suorina fotografata in pose compromettenti per renderla indegna dell’eredità paterna; insomma un già visto desolante e privo di fantasia che umilia il cast utilizzato.
Renzo Montagnani e Macha Meril,  Lauretta Masiero e Riccardo Garrone , Femi Benussi non possono da soli, anche con la loro simpatia e professionalità risollevare un prodotto privo del benchè minimo motivo di interesse.
Gli unici sussulti vengono dalle scene di nudo della Benussi, ed è tutto dire mentre l’aver spogliato la Daniela Halbritter dei veli monacali e averla messa in reggicalze (una novizia?) va a tutta dannazione dell’ingegno di chi ha partorito l’idea malsana.
Passi per un filmetto del filone conventuale, ma una scena del genere in una commedia sia pure a sfondo sexy appare blasfema e ridicola.

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Insomma, un prodotto da cinema di serie z a cui apparterrebbe di diritto non fosse per la presenza dei diversi caratteristi citati che un mezzo punto in più lo meritano più come riconoscimento alla carriera che per la loro presenza in questo film.
Prodotto apparso diverse volte in tv però privo di alcune scene sexy che rendono ancora più ridicolo il tutto.
A scrivere la sceneggiatura ci si sono messi in tre, ovvero Paolo Barberi, Nicola e Marino Onorati; non dubito che l’abbiano partorita in una decina di minuti, visto il risultato ottenuto.
Un’ultima cosa.
Passi l’idea di produrre una pellicola erotica (blandamente tra l’altro) e passi anche la scarsa fantasia nello stendere la sceneggiatura e nel girare il film stesso.
Quello che non può passare è il consueto stereotipo della provincia vista come bacchettona e allo stesso tempo maliziosa e sporcacciona.

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E sopratutto non può passare l’immagine di famiglie bramose di denaro e pronte a tutto pur di intascare denaro, composte da persone lascive e dedite ai peggiori vizi privati e affette da ingordigia spropositata oltre che subdolamente descritte come ipocrite e farisee.
Un’immagine deleteria già più volte descritta sopratutto nelle ambientazioni logistiche del Sud Italia; a cambiare questa volta è la location, quella descritta è la provincia opulenta del centro nord, quasi un’universalizzazione dei difetti italici.
Il messaggio veicolato è quello che dalle Alpi alla Sicilia tutti gli italiani sono gli stessi, con poche virtù e tantissimi vizi.

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Peccatori di provincia
Un film di Tiziano Longo. Con Femi Benussi, Macha Méril, Renzo Montagnani, Lauretta Masiero, Riccardo Garrone, Fernando Cerulli, Luciana Turina, Stefano Amato, Otello Belardi
Erotico, durata 90 min. – Italia 1976.

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Renzo Montagnani    …     Sindaco
Macha Méril    …     Vincenzina Lo Curcio
Femi Benussi    …     Gigia
Lauretta Masiero    …     Concetta Lo Curcio
Daniela Halbritter    …     Domitilla Bertacchi
Riccardo Garrone    …     Avvocato

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Regia: Tiziano Longo
Sceneggiatura: Paolo Barberi, Nicola e Marino Onorati
Produzione: Alberto Longo
Musiche: Elio Maestosi,Filippo Trecca
Fotografia: Alfio Contini

dicembre 12, 2011 Posted by | Commedia | , , , , , | Lascia un commento

L’innocente

L'innocente locandina

L’innocente, tratto dall’omonimo romanzo di Gabriele D’Annunzio, è l’ultima opera cinematografica di Luchino Visconti.
Diretto nel 1976, il film è una trasposizione abbastanza fedele del romanzo, fatte salve alcune significative differenze tra i personaggi letterari e quelli cinematografici oltre ad una diversa interpretazione del grande maestro milanese che morì prima di vedere il suo film nella stesura definitiva.
Infatti Visconti, colpito da un ictus poco prima del montaggio definitivo non ebbe modo di vedere la sua opera come venne poi presentata al pubblico e per quanto se ne sa non rimase affatto contento di ciò che aveva realizzato.
Sarà la sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico ad approvare la versione che venne poi proiettata al Festival di Cannes del 1976, proprio nell’anno del trionfo di Brutti sporchi e cattivi di Scola.

L'innocente 1Giancarlo Giannini

Un film che quindi Visconti non amò particolarmente.
E che non ebbe nemmeno tanti estimatori tra i critici, che rimproverarono al Maestro l’aver scelto di ignorare parzialmente l’aria di decadentismo che permea il romanzo di D’Annunzio, quella messa in scena della fine della nobiltà e del mondo altero e distaccato di quelli che erano gli ultimi rampolli dell’italica nobiltà, destinati di li a poco a essere spazzati via dalle tragedie che si abbatterono sull’Italia subito dopo la fine della prima guerra mondiale.
L’Innocente è ambientato sul finire del 1800, esattamente nel 1891, sotto il regno di Umberto I° che 9 anni più tardi sarà stato ucciso da Bresci; narra le vicende del nobile Tullio Hermil, un aristocratico arrogante con tutti i difetti della sua casta che ha una relazione con la contessa Teresa Raffo pur essendo sposato con le remissiva e dolce Giuliana.
L’uomo approfitta a mani larghe del carattere docile della moglie sbandierando pubblicamente la sua relazione con l’affascinante Contessa; ma al ritorno da un viaggio Tullio scopre che Giuliana ha una relazione con Filippo D’Arborio, un giovane ed affascinante studioso che ha fatto breccia nel cuore della donna.

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Laura Antonelli

Tullio, più per vanità ferita che per amore, tenta di riconquistare la moglie ma scopre che la stessa aspetta un figlio da Filippo; il letterato scompare improvvisamente per una breve e fulminante malattia lasciando Giuliana di fronte ad una scelta difficilissima, tenere o no il frutto della relazione proibita con il giovane.
La donna decide di non abortire e allevare quel figlio frutto di una breve passione, suscitando in Tullio una gelosia morbosa che si rivolge contro il frutto del peccato, il piccolo nascituro.

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La sera della vigilia di Natale Tullio da sfogo all’odio represso lasciando il piccolo esposto al vento freddo della notte, causando così la sua morte.
Per Giuliana è un dramma, aggravato dalla consapevolezza della responsabilità del marito nell’accaduto.
Tullio, abbandonato dalla moglie, si consola tra le braccia di Teresa alla quale racconta gli avvenimenti; la donna ascolta impietrita e ……
L’innocente è un film raffinato e patinato, tecnicamente riuscito ma poco coinvolgente.
I personaggi che si muovono nel dramma famigliare e che si stagliano solo marginalmente nell’atmosfera corrotta moralmente dell’aristocrazia lombarda non suscitano emozioni, tanto sono lontani dalla vita dell’uomo comune.

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Jennifer O’Neill

E’ un dramma aristocratico che si svolge fra case lussuose e vestiti elegantissimi, tra famiglie abituate a tutti gli agi e alle comodità più totali, quindi non appartengono alla nostra vita.
E non sono nemmeno un modello di riferimento per le ambizioni di nessuno, proprio perchè i personaggi e gli ambienti mancano di qualsiasi scrupolo morale o di qualsiasi valore di riferimento.
Tullio o Giuliana, Teresa o gli aristocratici protagonisti non suscitano alcuna simpatia, fatta eccezione ovviamente per il piccolo innocente protagonista del dramma finale.
Parlavo di dramma finale non a caso; per lunga parte del film, assistiamo alle vicende umane della gente che si muove sullo schermo senza provare alcuna emozione nei loro confronti che non sia quella del disprezzo per gente senza valori pregnanti, impegnata in dialoghi futili o in operazioni del vivere quotidiano improntate al massimo dell’inutilità. Un tema che Visconti (che non dimentichiamo era un nobile) aveva già affrontato in opere come La caduta degli dei o Gruppo di famiglia in un interno, film nei quali il mondo snob e fuori dalla realtà dei nobili viene rappresentato come un’elite avulsa dalla realtà, preda di passioni deleterie come la soddisfazione del proprio ego, l’accumulo spasmodico di ricchezze finalizzate all’aumento del proprio prestigio e potere oppure come un gruppo di persone in cui la morale è poco più di una fastidiosa appendice.

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Ma se nei due film citati il discorso di Visconti è più omogeneo e duro, in L’innocente siamo di fronte ad un’operazione più di facciata che di sostanza.
Così come gli unici punti di contatto tra il decadentismo raffinato e indolente di D’Annunzio e quello sociale, morale e di calsse tante volte messo all’indice da Visconti si tramuta solo in una raffigurazione visiva molto elegante ma anche molto fredda.
Per quanto riguarda il cast, le prestazioni dei vari interpreti risentono moltissimo del freddo glaciale che si respira nel film e sopratutto della mancanza di simpatia assoluta che ispirano.
Per quanto tutti facciano il loro dovere con professionalità, è indubbia una certa difficoltà da parte di alcuni di loro nell’esprimere la personalità poco più che abbozzata dei protagonisti del film.
Poco più che sufficiente Giannini, sufficiente la bellissima Antonelli che appare però spaesata, quasi che il personaggio-vittima di Giuliana fosse agli antipodi alle sue corde recitative.
Meglio se la cava Jennifer O’Neill, la sofisticata Contessa che l’attrice di origini irlandesi/ispaniche interpreta con classe; la sua eleganza aristocratica, la sua bellezza altera si prestano perfettamente al personaggio di Tersa Raffo, amante di Tullio che alla fine resterà inorridita dal crimine mostruoso commesso dall’amante stesso.

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Discreto Marc Porel nel ruolo di Filippo, bene due grandi artisti come Girotti e la Morelli.
Lodi alla fotografia di Pasqualino De Santis e alle scenografie di Mario Garbuglia, mentre le musiche sono prese da opera di Chopin, Lisz e Mozart e a mio parere sono una delle cose migliori del film.

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L’innocente
Un film di Luchino Visconti. Con Giancarlo Giannini, Laura Antonelli, Jennifer O’Neill, Rina Morelli, Massimo Girotti.  Didier Haudepin, Marie Dubois, Roberta Paladini, Claude Mann, Marc Porel, Marina Pierro, Christine Pascal, Didier Haudepin, Philippe Hersent, Elvira Cortese, Siria Betti, Enzo Musumeci Greco, Margherita Horowitz, Riccardo Satta, Vittorio Zarfati, Alessandra Vazzoler, Alessandro Consorti, Filippo Perego Drammatico durata 129 min. – Italia 1976

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Giancarlo Giannini: Tullio Hermil
Laura Antonelli: Giuliana Hermil
Jennifer O’Neill: Teresa Raffo
Rina Morelli: Madre di Tullio
Massimo Girotti: Conte Stefano Egano
Didier Haudepin: Federico Hermil
Marie Dubois: La Principessa
Roberta Paladini: Miss Elviretta
Claude Mann: Il Principe
Marc Porel: Filippo d’Arborio

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Regia Luchino Visconti
Soggetto Gabriele D’Annunzio (romanzo)
Sceneggiatura Suso Cecchi D’Amico, Enrico Medioli, Luchino Visconti
Produttore Giovanni Bertolucci
Casa di produzione Rizzoli Film, Les Films Jacques Leitienne, Paris
Fotografia Pasqualino De Santis
Montaggio Ruggero Mastroianni
Musiche Chopin, Gluck, Liszt, Mannino, Mozart
Scenografia Mario Garbuglia

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Andare davanti al giudice e dirgli: «Ho commesso un delitto. Quella povera creatura non sarebbe morta se io non l’avessi uccisa. Io, Tullio Hermil, io stesso l’ho uccisa».

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Giancarlo Giannini interpreta il personaggio di Tullio

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Giannini, Visconti e la Antonelli in una pausa della lavorazione del film

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Jennifer O’Neill interpreta Teresa

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Laura Antonelli è Giuliana

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Luchino Visconti e la O’Neill

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Lobby card del film

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dicembre 9, 2011 Posted by | Drammatico | , , , , , | Lascia un commento

L’ultimo dei Mohicani

L'ultimo dei Mohicani locandina

Come recita la didascalia iniziale, la vicenda è ambientata nel Nord America nel 1757, durante l’epoca della guerra tra Francia e Inghilterra per il controllo delle colonie.
Un ufficiale inglese si reca in un villaggio di nativi americani per tentare una difficile opera di reclutamento, utilizzando come sistema di persuasione il dovere morale dei nativi stessi di difendere il territorio sotto la giurisdizione inglese.
Il fiero capo dei Mohicani, Chingachgook, che è momentaneamente ospite del villaggio assieme a suo figlio Uncas e ad un bianco da lui adottato perchè orfano di genitori (inglesi) di nome Nathan ma soprannominato Occhio di falco per il suo straordinario talento di cacciatore con il fucile, rifiuta di farsi coinvolgere in quella che ritiene una guerra assurda e continua con i suoi compagni il lungo viaggio che ha intrapreso.
Tuttavia, durante il viaggio, accade qualcosa che fatalmente costringerà i tre compagni a doversi schierare con gli inglesi: si imbattono infatti in una piccola colonna inglese che è stata attaccata dai nativi Uroni, alleati dei francesi.
Grazie all’aiuto provvidenziale di Chingachgook, di Uncas e di Occhiodifalco, sopravvivono all’attacco il maggiore Heyward e due ragazze, le figlie del comandante di Fort Henry colonnello Munro.

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L’arrivo nel forte davanti al colonnello Munro

Le due giovani donne, Cora e Alice Munro, arrivano così sane e salve al forte, non prima però di essere passate per un’altra esperienza orribile.
Sul cammino che porta a Fort Henry il gruppo assiste ad uno spettacolo raccapricciante: tutti gli appartenenti alla fattoria di John Cameron sono stati massacrati dai nativi Ottawa, anch’essi alleati con i francesi.
Mentre Heyward è convinto che ad operare il massacro siano stati dei semplici banditi, i tre amici hanno capito che ormai la rivolta ha assunto livelli estremamente pericolosi.
Raggiunto il forte e consegnate le due ragazze al padre, per tutta ricompensa Occhiodifalco, Chingachgook e Uncas vengono di fatto resi prigionieri e a loro viene impedito di allontanarsi dal forte.

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Alice e Cora

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I tre amici scoprono il massacro dei coloni

La difesa del forte stesso è impossibile, così dopo una breve resistenza, gli inglesi capitolano e accettano l’offerta del comandante francese Gen Montcalm che propone loro la vita salva e l’onore delle armi in cambio della resa.
Durante il mesto ritiro delle truppe inglesi, le stesse vengono attaccate vigliaccamente dagli Uroni guidati da Magua, che si aspettava un bottino di guerra ben più cospicuo.
Il colonnello Munro viene ucciso da Magua, sotto gli occhi impotenti del gruppetto superstite, che conta ormai soltanto le due ragazze, i due nativi Mohicani e Occhiodifalco, perchè anche Heyward verrà selvaggiamente ucciso.
Nel frattempo accanto a tanto orrore si sviluppano e si intrecciano le storie d’amore tra Alice e Uncas e Nathan Occhiodifalco e Cora: il destino, dopo tutta una serie di avventure, serberà a questa coppia un fato favorevole.
Infatti sia Uncas che Alice morranno, il primo ucciso da Magua, la seconda suicidandosi pur di seguire l’amato.
Nel finale, Chingachgook vendicherà suo figlio e Alice uccidendo il malvagio Magua e ai funerali con tristezza chiederà ai suoi dei di pazientare per lui, Chingachgook ormai l’ultimo della fiera stirpe dei Mohicani seguirà presto suo figlio.
Epico, spettacolare, magnifico esempio di film d’avventura è questa riduzione del romanzo di James Fenimore Cooper L’ultimo dei Mohicani, realizzata da Michael Mann usando fedelmente il testo scritto e sceneggiando quella che è una delle opere più belle nella storia del cinema sia per quanto riguarda la compattezza e lo svolgimento degli avvenimenti sia per tutta un’altra serie di motivi che illustrerò in seguito.

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Momenti di tenerezza fra Nathan e Cora

Michael Mann, regista di Manhunter – Frammenti di un omicidio crea un film praticamente perfetto in cui tutti i meccanismi che servono per creare un’opera epica e di gran respiro appaiono perfettamente studiati e realizzati.
Scenografie maestose e location affascinanti, ritmo e azione, recitazione di un cast assolutamente adeguato con la ciliegina sulla torta costituita da una colonna sonora tra le più belle dell’intera cinematografia di tutti i tempi concorrono a creare un capolavoro pressochè unico e inimitabile non solo nei limiti del film d’azione e d’avventura.
Quello che Mann fa è dare risalto e potenza visiva ad un romanzo che dilata i tempi rendendo più lento lo scorrimento delle varie vicende dei protagonisti: così mentre nel romanzo di Cooper le storie d’amore dei quattro giovani protagonisti ovvero Nathan, Cora, Alice e Uncas appaiono più dettagliate, nel film per forza di cose tutto si accelera, anche se sempre con un’acuratezza visiva e di sintesi che lascia sbalorditi.

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Il feroce capo degli Uroni, Magua

Grandissima la prova di recitazione di Daniel D.Lewis, protagonista tra l’altro di apparizioni in film importanti come Domenica, maledetta domenica, Gandhi,Il mio piede sinistro e che dopo questa grande prova apparirà in film importanti come Gangs of New York e Il petroliere.
Bravissima Madeleine Stowe, la Cora Munro che sceglie di amare quell’uomo fiero, dai grandi valori che ha appreso dal suo padre putativo e maestro spirituale Chingachgook che si chiama secondo l’usanza indiana Occhiodifalco; bravissimo Wes Studi, che essendo nativo d’origine rappresenta al meglio l’integrazione tra il personaggio del film e la fisicità tipica dei nativi americani.
Il suo sguardo truce, la sua “cattiveria” sono espresse con una capacità interpretativa che lascia stupefatti. L’attore americano infatti verrà utilizzato per un altro capolavoro ambientato tra i nativi, Balla coi lupi.
Dopo tutta questa serie di doverosi riconoscimenti, appare chiaro che andare a parlare di difetti della pellicola appare un esercizio di stile assolutamente fine a se stesso: il film coinvolge, attrae e alla fine commuove.

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La cattura delle due sorelle Munro

Cosa chiedere di più ad una pellicola d’evasione?
Nulla.
Per cui si può tranquillamente assurgere L’ultimo dei Mohicani all’Olimpo dei film più belli di sempre, almeno nel campo del cinema d’evasione.
Accanto ad altre riduzioni di romanzi, come Blade runner, per esempio.
Due annotazioni ancora.
Lo scenario delle Blue Ridge Mountains della Carolina del Nord sono il suggestivo sfondo del film; una natura lussureggiante e selvaggia che lascia senza fiato e che diventa un biglietto di presentazione turistico senza pari.
Infine la colonna sonora, scritta e composta dal duo Randy Edelman, Trevor Jones e che ebbe una fortunata versione da parte del musicista greco Vangelis, che a tratti è incantevole tanto da sembrare tutt’uno con quello che ci scorre sotto gli occhi.

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Nhatan prigioniero degli Uroni…

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…e prigioniero degli inglesi

Sottoscrivo, quindi, il giudizio del Morandini, verso il quale come sanno i lettori del mio blog, sono spesso ferocemente critico :” Con diversi aggiustamenti narrativi e ideologici, M. Mann, robusto specialista di cinema d’azione, e il suo cosceneggiatore Christopher Crowe si rifanno alla sceneggiatura scritta da Philip Dunne per l’edizione del 1936. Come e più che nelle versioni precedenti, il vero eroe è il bianco Occhio di Falco (Day-Lewis in gran forma), mentre i due Mohicani amici, Chingachook e suo figlio Uncas, gli fanno da spalla. Più che in passato, il culmine della vicenda è l’assedio di Fort William Henry in cui, durante la guerra franco-britannica dei sette anni (1756-63), gli inglesi furono sconfitti da forze francesi preponderanti. Difetti e debolezze non mancano, ma molto gli dev’essere perdonato perché ricrea un senso antico dell’avventura e dei grandi spazi, restituisce (anche per merito del colore di Dante Spinotti) il sapore di un’epoca col gusto di una vecchia stampa, ha la forza ingenua dei grandi sentimenti. Il film dà concretezza visiva alla parola “imboscata” e tiene fede alla bella immagine che gli fece da manifesto: l’agile Day-Lewis in corsa col tomahawk in pugno e la lunga carabina a tracolla.”
In ultimo, un appunto personale che riguarda le recensioni di quella che ormai è la bibbia personale dalla quale ricavo le recensioni di spettatori appassionati di cinema come me.

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Il massacro degli inglesi

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Il trionfo di Magua

Nel Davinotti ho letto critiche un tantino maliziose al film, accusato di essere troppo perfetto e studiato a tavolino. Il che è un controsenso, parlando di film in cui la vera protagonista è l’avventura; probabilmente qualche critico del noto sito dimentica che tutto è tratto dal romanzo omonimo e che ad esso va rapportato. Se non si è letto il romanzo, risulta davvero difficile capire la portata del lavoro fatto da Mann.
Insomma, in ultima analisi,un film che deve esser presente in ogni cineteca che si rispetti e che va visto almeno un paio di volte per apprezzarne appieno la bellezza.

 

L’ultimo dei mohicani, un film di Michael Mann. Con Daniel Day-Lewis, Madeleine Stowe, Russell Means, Eric Schweig, Jodhi May,Steven Waddington, Maurice Roëves, Wes Studi, Dylan Baker, Patrice Chereau, Edward Blatchford, Terry Kinney, Tracey Ellis, Justin M. Rice, Dennis Banks, Pete Postlethwaite, Colm Meaney
Titolo originale The Last of the Mohicans. Western, durata 122 min. – USA 1992.

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Daniel Day-Lewis: Nathaniel “Occhio di falco”
Madeleine Stowe: Cora Munro
Russell Means: Chingachgook
Eric Schweig: Uncas
Jodhi May: Alice Munro
Steven Waddington: Maggiore Duncan Heyward
Wes Studi: Magua
Maurice Roëves: Colonnello Edmund Munro
Patrice Chéreau: Gen Montcalm
Edward Blatchford: Jack Winthrop
Terry Kinney: John Cameron
Tracey Ellis: Alexandra Cameron
Justin M. Rice: James Cameron
Dennis Banks: Ongewasgone
Pete Postlethwaite: Capitano Beams

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Regia Michael Mann
Soggetto James Fenimore Cooper
Sceneggiatura Christopher Crowe, Michael Mann
Produttore Michael Mann, Hunt Lowry
Casa di produzione Morgan Creek Productions
Distribuzione (Italia) 20th Century Fox
Fotografia Dante Spinotti
Montaggio Dov Hoenig, Arthur Schmidt
Effetti speciali Trix Unlimited
Musiche Randy Edelman, Trevor Jones
Scenografia Wolf Kroeger
Costumi Elsa Zamparelli
Trucco Peter Robb-King
Sfondi Robert Guerra, Richard Holland

Maestoso ed imponente (in primis per scenari, battaglie e colonna sonora) film storico di stampo classico-avventuroso; con ottimi interpreti e scene ben fatte (alcune anche abbastanza crude), talvolta però è un po’ prolisso e manca di un vero senso di coinvolgimento.

Tutto pensato in grande: paesaggi (esaltati dalla splendida fotografia), scene, musica. In questo affresco spettacolare, di indubbio fascino visivo, i personaggi rischiano di sembrare figure bidimensionali, e ciò nonostante le belle interpretazioni sia di Daniel Day-Lewis che di Wes Studi. Non mancano l’avventura, il dramma, l’amore, ma il risultato finale è uno di quei film che, pur risultando ammirevoli sotto tanti aspetti, non riescono a convincere fino in fondo. Potenziale capolavoro cui manca quel “quid” di difficile definizione.

Ottimamente confezionato, è un film d’avventura molto ben girato in cui la vena di Mann, pur non essendo all’altezza di altri suoi lavori passati e futuri, permette di raggiungere alla pellicola risultati ben superiori alla media. Piacevole ed abbastanza avvincente, si segnala per una certa sobrietà sia nella durata non oceanica come spesso accade in operazioni del genere, sia negli sviluppi narrativi che evitano inutili scene madre.

Dal celebre romanzo di Cooper, il regista americano per definizione più votato all’action moderno (Mann) dirige un’avventura di ampio respiro e di stampo straclassico. Nessuna sovrastruttura ideologica o complicazioni di sorta: avventura allo stato puro, personaggi semplici e lineari, grandi spazi (bella la fotografia di Dante Spinotti) ed un interprete inaspettato (DD Lewis) ma in forma, straordinariamente fedele ed aderente al personaggio. Forse un po’ prolisso, ma godibile.

Veri punti di forza di questo film sono l’ambientazione e la colonna sonora. Seguono poi gli attori, più che passabili (un plauso allo spietato indiano, di rara cattiveria). Il protagonista, un bianco (Occhio di Falco, detto anche Long Carabine), nonostante all’inizio sembri un po’ troppo hollywoodiano, diventa via via più convincente e l’azione, quasi costante, consente alla pellicola di far mantenere vivo l’interesse dello spettatore, grazie anche a un inseguimento finale con sorprese (la decisione della sorella della protagonista). Buono e consigliabile.

Guerra franco-inglese nelle colonie americane del 700: due donne attraversano foreste e battaglie, aiutate da alcuni indiani e braccate da altri. Maestoso film d’avventura che non lesina sul grandioso: paesaggi mozzafiato, fotografia impeccabile, musica d’effetto (spalmata su tutto fino alla nausea), spiegamento di mezzi e comparse. Ma tutto ciò non basta: questa versione del noto romanzo è tutta esteriore, attenta all’azione, senza anima né calore, senza un senso profondo che muova le cose. Tutto è talmente perfetto da risultare arido.

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L’incantevole paesaggio delle Blue Ridge Mountain nella Carolina del Sud

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Le Bald Falls Blue Ridge Mountains, teatro dello scontro finale

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Un’altra inquadratura delle Bald Falls Blue Ridge Mountains

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Due suggestive vedute delle Blue Ridge Mountain, location del film

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Daniel D. Lewis è Nathan

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Madeleine Stowe interpreta Cora Munro

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Jodhi May interpreta Alice Munro

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Wess Studi è Magua

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Eric Schweig è Uncas

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Lobby card del film

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Soundtrack del film

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dicembre 6, 2011 Posted by | Avventura | , , | 2 commenti

L’ultima casa a sinistra

L'ultima casa a sinistra locandina 5

In un tranquillo paese americano Mary Collingwood si appresta a festeggiare il suo diciassettesimo compleanno.
E’ l’occasione per la famiglia Collingwood di preparare una festa per la ragazza mentre Mary ha già stabilito di passare la giornata con l’amica Phyllis Stone.
Le due ragazze si fermano in un negozio, dove conoscono Junior che ben presto propone loro di andare a casa sua per festeggiare il compleanno di Mary con una fumata di spinelli.
Le giovani malauguratamente accettano e da quel momento per loro inizierà un incubo senza fine.
A casa di Junior infatti oltre al padre Krug che è un maniaco criminale psicopatico c’è anche la sua banda, evasa con lui.
Phyllis viene violentata e brutalizzata per tutta la notte, sotto lo sguardo terrorizzato di Mary che a sua volta il giorno dopo verrà fatta oggetto di crudeli violenze in un bosco nel quale il gruppo di sadici criminali si rifugia per sfuggire alla caccia della polizia.

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Nel bosco, Mary tenta di convincere Junior a lasciarla andare, convinta che il ragazzo non sia come il resto della banda mentre Phyllis approfittando della distrazione momentanea dei delinquenti tenta di fuggire.
La ragazza non ha fortuna e viene raggiunta e uccisa a colpi di machete, dopo di che la successiva vittima della violenza brutale del gruppo è Mary, violentata e marchiata da Krug.
Mary tenta la fuga, ma viene raggiunta da un colpo di pistola proprio mentre sta per gettarsi nel lago; la ragazza non muore, e il gruppo si allontana alla ricerca di un riparo per la notte.
Purtroppo la casa che i delinquenti raggiungono è proprio quella di Mary Collingwood, l’ultima casa a sinistra; da questo momento gli eventi precipitano perchè il gruppo riesce a farsi aprire dagli abitanti della casa, che però scopriranno con chi hanno a che fare e metteranno conseguentemente in pratica una sanguinosa vendetta.
L’ultima casa a sinistra (The last house on the left), diretto nel 1972 da Wes Craven è uno dei più famosi film rape & revenge diventato nei decenni successivi il punto di partenza di molti film clone o comunque ispirati a questa storia diventando contemporaneamente un cult per molti spettatori.
Lo straordinario successo del film è da ascriversi a diversi fattori, il primo dei quali è l’inusitata violenza delle immagini e della storia, che presenta gli archetipi dei R&R, ovvero la violenza sui giovani e la successiva vendetta quasi sempre cruenta.

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L’incubo ha inizio

Poi, non va dimenticato l’obbligatorio inquadramento temporale della pellicola; siamo nel 1972 e i film “forti” dal punto di vista visivo e della storia non sono poi tantissimi.
Uno degli esempi più calzanti è rappresentato da Arancia meccanica di Kubrick,che ovviamente appartiene ad un altro genere (anche dal punto di vista qualitativo, infinitamente superiore) ma che porta sullo schermo una storia in cui la violenza diviene non solo il mezzo espressivo di Alex e della banda dei drughi ma anche il paradigma di una società in tumultuoso divenire, ipotizzata da Anthony Burgess in A Clockwork Orange che è il romanzo da cui Kubrick trasse il suo capolavoro.
Tornando a L’ultima casa a sinistra, Craven crea un film in cui la storia in fondo è solo un contorno alle immagini di inaudita violenza che la pellicola propone.
Per la prima volta sullo schermo ad essere protagonista è lo stupro, mostrato con una crudezza e un realismo senza precedenti.
Chiaramente nel futuro il tema verrà ampliato e se vogliamo ancor più incrudito, come nel famoso I spit on your grave, Non violentate Jennifer di Meir Zarchi, in cui lo stupro assume dimensioni ancor più amplificate.
Ma tra il film di Craven e quello di Meir Zarchi ci sono anche 6 anni di differenza, un abisso temporale per il cinema, sopratutto per quello degli anni settanta.

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Craven è costretto a misurarsi con la morale americana dell’epoca, con una commissione censorea che ostacola in tutti i modi la proiezione del film nella versione integrale; le cose andarono anche peggio in Europa, come nel caso del Regno Unito che bandì il film e che ancora oggi lo tiene all’indice dei film vietati sia come distribuzione sia come proiezione.
Perchè tanto accanimento verso questo film e sopratutto cosa giustifica la messa al bando della pellicola stessa?
A ben vedere quasi nulla.
Il film non ha una grossa tensione, non è recitato in maniera particolarmente brillante, contiene scene crude, è vero, ma oggi largamente superate da diverse pellicole anche di altro genere.
Quindi tutto rimanda decisamente all’epoca della prima proiezione.
Forse il motivo dell’accanimento non è da cercare tanto nelle scene di violenza quanto piuttosto nella morale insita nel film.

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La celebre sequenza nel bosco

La giustizia dei parenti di Mary appare come una vendetta amplificata e lancia quindi un messaggio sociale molto pericoloso.
Che una famiglia borghese come la stragrande maggioranza di quelle che compongono la società americana possa passare dal suo status naturale tranquillo e educato ad un comportamento violentissimo e bestiale non è un messaggio accettabile.
E’ lo stato che deve tutelare il cittadino e il farsi giustizia da soli in modo così amplificato non è accettabile.
Craven quindi si scontra con la morale corrente aggiungendo alla violenza un’immagine della polizia assolutamente critica; i tutori dell’ordine non riescono a impedire che Krug e la sua banda di pazzi criminali riesca a compiere le sue gesta giustificando quindi l’autodifesa dei genitori di Mary, anche se eccessiva sopratutto nei metodi.
Detto questo e restituito a Craven il giusto tributo per aver osato proporre una storia politicamente scorretta e tanto disturbante non possiamo dimenticare le molte lacune del film, che in alcuni casi superano gli indubbi meriti dello stesso.
La sceneggiatura non ha molto di originale, la tensione latita, la recitazione fatta salva l’interpretazione di David Hess (Krug Stillo), di Sandra Cassel (Mari Collingwood) e di Lucy Grantham (Phyllis Stone) non appare molto significativa.
Sono solo alcuni dei difetti del film, a cui si potrebbero aggiungere altre lacune tecniche come l’imprecisione della MDP ecc.

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Ma fare le pulci a questo film, 40 anni dopo la sua dirompente uscita significa usare un metro inutilizzabile, che costringerebbe a rivedere tante celebrate pellicole con gli occhi di oggi, cosa che farebbe a pezzi tantissimi miti. Un esercizio di stile che non si addice minimamente ad un recensore obiettivo e oggettivo.
Wes Craven non scrive un soggetto originale, tutt’altro.
La sceneggiatura è ripresa pari pari dal celebre La fontana della vergine di Bergman uscito nel 1960, ( a sua volta tratto da una leggenda svedese); nel film del grande regista svedese la giovanissima Karin accompagnata dalla serva Ingeri

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deve consegnare dei ceri per la Vergine ma durante il viaggio viene violentata e uccisa da tre assassini che si rifugiano successivamente nella casa di Karin e grazie ad Ingeri scoperti e uccisi dalla famiglia della giovane scomparsa.
Il film di Bergman è, ovviamente, di ben altra levatura; punta il dito contro Dio (che permette simili atrocità), contro la società e contro il fato.

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Craven non è Bergman e sopratutto non ha le ambizioni del regista svedese, è un esordiente e come tale riesce a creare un ottimo prodotto nei limiti già citati.
In seguito, il regista americano amplierà la sua esperienza nel genere ottenendo ottimi risultati con pellicole come Le colline hanno gli occhi,Nightmare – Dal profondo della notte,Il mostro della palude e Il serpente e l’arcobaleno.

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L’ultima casa a sinistra resta quindi un prodotto imprescindibile per capire l’evoluzione del genere R&R, oltre che per apprezzare parte del clima che si respirava agli inizi degli anni settanta, quando la morale borghese e sopratutto le opere ad essa ispirate proponevano un’immagine della stessa fatta di stereotipi molto precisi quanto ipocriti.

L’ultima casa a sinistra
Un film di Wes Craven. Con Sandra Cassel, Lucy Grantham, David A. Hess, Fred J. Lincoln, Jeramie Rain,Marc Sheffler, Richard Towers, Cynthia Carr, Ada Washington, Marshall Anker, Martin Kove, Ray Edwards
Titolo originale Last House on the Left. Drammatico, durata 91 min. – USA 1972.

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L'ultima casa a sinistra banner personaggi

Sandra Cassel: Mari Collingwood
Lucy Grantham: Phyllis Stone
David Hess: Krug Stillo
Fred J. Lincoln: Fred ‘Weasel’ Podowski
Jeramie Rain: Sadie
Marc Sheffler: Junior Stillo
Gaylord St. James: Dr. John Collingwood
Cynthia Carr: Estelle Collingwood
Ada Washington: Ada
Marshall Anker: Sceriffo
Martin Kove: Vice sceriffo
Ray Edwards: Postino

L'ultima casa a sinistra banner cast

Regia     Wes Craven
Soggetto     Wes Craven
Sceneggiatura     Wes Craven
Produttore     Sean S. Cunningham
Fotografia     Victor Hurwitz
Montaggio     Wes Craven
Effetti speciali     Troy Roberts
Musiche     Roy Webb
Costumi     Susan E. Cunningham
Trucco     Anne Paul

L'ultima casa a sinistra banner doppiatori

Vittoria Febbi: Phyllis Stone
Glauco Onorato: Krug Stillo
Vittorio Stagni: Junior Stillo
Luciano De Ambrosis: Dr. John Collingwood
Ferruccio Amendola: Sceriffo
Manlio De Angelis: Vice sceriffo
Pino Ammendola: Narratore (ed. italiana)

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Curiosità

Al film di Craven, che si ispira come già detto alla Fontana della vergine di Ingmar Bergman (1960) si ispirerà a sua volta Aldo Lado per L’ultimo treno della notte; per il film furono spesi meno di 100.000 $ mentre il film stesso venne girato in poco più di un mese.
Craven ha raccontato, in un’intervista, come nacque il titolo del film e le prime reazione della gente alla visione dello stesso:
“E ‘una storia interessante su come una campagna pubblicitaria e  un titolo possano influenzare un film. In origine, il titolo di Ultima Casa A Sinistra doveva essere La notte della vendetta. Quando il film è uscito, questo titolo non ci piaceva,quindi abbiamo fatto un grande concorso tra tutti gli amici e parenti, e siamo arrivati ad una selezione finale che ha imposto il titolo definitivo.
Lo hanno proiettato in tre città contemporaneamente, tutti con (più o meno) la stessa popolazione, ma con campagne pubblicitarie diverse. In una città non venne nessuno ,mentre nelle altre due che avevano proiettato il film con il titolo “L’ultima casa a sinistra” spinto dalla campgana pubblicitaria che recitava “Continuare a ripetere, è solo un film!”, venne tanta gente. E la notte seguente, ci fu il doppio della folla, permettendo al film di decollare. Questo è  un esempio  di come un semplice cambiamento di titolo e una campagna pubblicitaria adeguata possano decidere le sorti di una pellicola.Ancora oggi ci sono persone che ricordano la campagna pubblicitaria. Alle proiezioni del film è possibile ascoltare il pubblico ripetere: “E ‘solo un film!”

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dicembre 2, 2011 Posted by | Horror | , , , | 1 commento