Perdutamente tuo… mi firmo Macaluso Carmelo fu Giuseppe
Carmelo Macaluso ha trentacinque anni, quindici dei quali passati in Germania.
E’ un ex emigrante, figlio di un mezzadro siciliano che si suicidò per aver contratto un debito con l’affittuario delle terre su cui lavorava, debito non più restituito.
Dopo tanti anni è arrivata l’ora della rivincita, per Carmelo.
Ha lavorato duramente, ma ha risparmiato cento milioni e ora viaggia in Mercedes e al rientro nel paesino da quale è emigrato anni addietro ha la soddisfazione di vedere gli sguardi di invidia dei compaesani.
Il primo gesto plateale è l’apertura di un libretto di risparmio, contenente i cento milioni faticosamente guadagnati, seguito dalla restituzione del mezzo milione del debito contratto da suo padre, che il siciliano, sprezzante, raddoppia.
Stefano Satta Flores
Macha Meril
Sempre inseguendo il sogno di una rivincita, Carmelo accetta la corte interessata della baronessa Lamia, moglie del barone proprietario delle terre su cui lavorava suo padre.
La donna è anche disposta ad un matrimonio di interesse, ma per sua fortuna Carmelo è avvisato delle vere intenzioni della baronessa da Don Calogero, che a sua volta vuol far sposare il giovane con la figlia.
Carmelo inizia a capire che la realtà del suo paese non è quella che aveva lasciato tanti anni prima, che l’avidità, la grettezza e l’interesse sono molle potentissime, che fanno del suo denaro non certo un mezzo di rivalsa, ma un concreto rischio di essere avvicinato solo per motivi di interesse.
Finirà in malo modo,con Carmelo che, dopo varie peripezie, perderà tutti i soldi.
In un drammatico e amaro dialogo impossibile con suo padre morto, Carmelo racconterà il modo in cui ha guadagnato i suoi soldi e riprenderà il treno verso la Germania, povero in canna come era partito.
Commedia amara e con una garbata vena di satira sociale, Perdutamente Tuo,mi Firmo Macaluso Carmelo fu Giuseppe è un film piacevole ed interessante che narra una storia di emigrazione molto simile a quella narrata in Pane e cioccolata di Brusati, in cui però la storia è capovolta.
Carmelo ha fatto soldi con il duro lavoro.
Ha lavorato in una birreria, per poi prendere servizio in un garage e in ultimo ha affittato dieci materassi a compatrioti che come lui hanno cercato fortuna in una terra indifferente e se vogliamo ostile.
Il suo sogno di una rivincita sulla vita ma sopratutto sul paese e sul barone che ha costretto suo padre al suicidio si infrange malinconicamente davanti ad una serie di situazioni che Carmelo non è pronto ad affrontare.
Il paese che ha lasciato lo respinge, per invidia sopratutto ma anche perchè la mentalità meschina dei suoi abitanti è impossibile da scardinare.
Lo scopriamo attraverso i vari volti che si susseguono nel racconto, pieno di personaggi avidi, gretti; per Carmelo, più simile ad un agnello che al lupo calato per mostrare la sua forza a chi lo aveva costretto all’emigrazione, non c’è scampo.
Il finale amarissimo vede il siciliano dividere lo scompartimento di seconda classe con tre emigranti in Germania, ai quali racconta la storia di un emigrante partito tanti anni prima e tornato ricco “con cento milioni e una Mercedes 220 diesel che ha perso tutto per colpa di una ragazza minorenne“.
E’ l’ultima umiliazione, perchè i tre scoppiano a ridere di fronte a tanta ingenuità: “cento milioni per una fimmina?” sarà il loro commento beffardo e spietato.
Vittorio Sindoni, regista del film, realizza un ritratto grottesco e amaro della Sicilia della provincia, in cui con toni garbati e mai sopra le righe racconta una storia di un perdente diventato vincente che vuole stravincere e finisce viceversa per ritornare perdente.
Il regista siciliano, diventato in seguito fertile regista di fiction televisive utilizza al meglio l’ottimo cast di cui dispone, piegandolo al servizio di una commedia di costume che ha come difetto qualche pausa e qualche sbavatura ma anche al suo attivo una storia crudele quanto basta interpretrata magnificamente dal compianto Stefano Satta Flores, uno che con i perdenti aveva grande dimestichezza (come dimenticare lo splendido ritratto di Nicola Palumbo in C’eravamo tanto amati).
L’attore napoletano, prematuramente scomparso nel 1985 a soli 48 anni è interprete di classe: lo dimostra giganteggiando in un film che sembra essere al suo servizio, in cui l’identificazione con il personaggio triste e sconfitto di Carmelo è quasi assoluta.
Cinzia Monreale
Attorno a lui si muovono gli altri attori ingaggiati per il cast, nel quale ognuno fa la sua parte con diligenza:molto brava (ed affascinante) Macha Meril nel ruolo della baronessa Lamia, bravo anche Umberto Orsini in quello dell’avvocato amante della baronessa.
Bella e brava Cinzia Monreale, un’attrice che avrebbe meritato ben altro spazio nelle produzioni a cui ha partecipato, mentre ci sono camei preziosi per Luciano Salce e Marisa Laurito.
Perdutamente Tuo,mi Firmo Macaluso Carmelo fu Giuseppe è un film rimasto per tantissimi anni in un angolo, prima di essere riproposto dai canali Mediaset; oggi ci sono in rete copie di buon livello del film, che può anche essere visionato su You tube in versione completa.
Perdutamente tuo… mi firmo Macaluso Carmelo fu Giuseppe
Un film di Vittorio Sindoni. Con Leopoldo Trieste, Macha Méril, Stefano Satta Flores, Cinzia Monreale,Pino Ferrara, Luciano Salce, Giuliano Persico, Umberto Orsini, Renato Pinciroli, Vito Cipolla, Marisa Laurito, Deddi Savagnone Commedia, durata 100′ min. – Italia 1976.
Stefano Satta Flores: Carmelo Macaluso
Leopoldo Trieste: don Calogero Liotti
Macha Méril: Baronessa Valeria Lamia
Cinzia Monreale: Jessica
Umberto Orsini: avvocato Vito Orsini
Luciano Salce: Barone Alfonso Lamia
Marisa Laurito: Tindara Liotti
Roberto Della Casa: Impiegato di banca
Pino Ferrara: L’avvocato difensore
Renato Pinciroli: don Saverio
Deddi Savagnone: La moglie di don Calogero
Regia Vittorio Sindoni
Soggetto Ghigo De Chiara, Vittorio Sindoni
Sceneggiatura Ghigo De Chiara, Vittorio Sindoni
Produttore Luciano Giotti
Fotografia Safai Teherani
Montaggio Mariano Faggiani
Musiche Enrico Simonetti
Scenografia Vittorio Sindoni
Il paese di Stignano
Gerace
Caulonia
Villa Caristo a Stignano
Amore mio non farmi male
Marcello e Anna sono due studenti legati da un tenero rapporto.
Tra i due tutto è ancora fermo all’amore platonico, ma Anna inizia a premere per andare oltre.
Così un giorno trascina Marcello in un campo dove finalmente consumerebbero il primo rapporto per entrambi non fosse per l’arrivo di un contadino che guasta loro le uova nel paniere.
Da quel momento i due ragazzi proveranno più volte a coronare il loro desiderio d’amore fisico ma incontreranno ostacoli di tutti i tipi, a cominciare dalle loro famiglie.
Marcello è figlio di Carlo,un avvocato e di Simona, una donna bigotta in maniera patologica mentre Anna è figlia di Paolo, un pilota d’aerei e di Linda, una ex hostess.
Leonora Fani
Macha Meril
Sia Simona che Paolo, per motivi molto simili, vorrebbero che i loro figli si mantenessero vergini mentre Carlo e Linda cercano di capire e di giustificare Marcello e Anna.
Nel frattempo Marcello, dopo i tentativi ripetuti tutti coronati da insuccesso, entra in crisi e così suo padre si adopera per “svezzare” il suo rampollo; convince così un suo cliente ad organizzare un incontro con una prostituta e subito dopo cerca di far sedurre il ragazzo dalla sua segretaria. Ma ancora una volta le cose vanno per il verso storto e ci vorrà l’intervento della madre di Anna per rimediare a tutto e dare ai ragazzi l’opportunità giusta…
Gabriella Giorgelli
Vittorio Sindoni, regista siciliano da diversi anni specializzato in film e produzioni tv (sue sono le regie di Le ragazze di San Frediano,La mia casa è piena di specchi,La ragazza americana ) dirige nel 1974 Amore mio non farmi male una gradevole e garbata commedia senza grossi acuti ma anche senza cadute di stile tipiche delle produzioni dell’epoca.
Un film che si segnala principalmente per un cast di notevole levatura, con attori e attrici di fama come Walter Chiari e Valentina Cortese, Luciano Salce e Roberto Chevalier, Leonora Fani e Ninetto Davoli, Gabriella Giorgelli e Macha Meril.
Il film basa tutte le sue chance proprio sul cast, visto che la sceneggiatura è molto lineare e non presenta acuti o particolari difficoltà; il tema della sessualità giovanile, del tabù che sembra insormontabile per i genitori è affrontato con estrema leggerezza, con toni da commedia e senza alcuna velleità socio-culturale.
Luciano Salce e Roberto Chevalier
Un film che meriterebbe anche un votazione alta non fosse per le interpretazioni fuori dalle righe di due grandi dello schermo, Walter Chiari e Valentina Cortese.
Il primo, nei panni del genitore di Anna, geloso in maniera quasi morbosa della figlia, va spesso oltre le righe accentuando in maniera macchiettistica le caratteristiche del suo personaggio, che appare sguaiato, rumoroso ed esagitato oltre misura.
Lo stesso si può dire di Valentina Cortese, assolutamente fuori parte per l’eccesso caricaturale dato al suo personaggio, che richiedeva maggior misura e minore carica di energia nell’interpretazione stessa.
Bene invece il resto del cast: misurato, elegante ed ironico Luciano Salce (il padre di Marcello), bella e raffinata Macha Meril in quello di Linda, la mamma di Anna.
Da segnalare le prove dei due studenti innamorati, ovvero Roberto Chevalier e Leonora Fani.
Il primo è impacciato e imbranato quanto basta, la seconda è la solita garanzia, con un carico di fascino e grazia senza uguali.
C’è spazio anche per Gabriella Giorgelli nel ruolo della prostituta mentre microscopiche parti sono riservate alla CSC Carla Mancini e a Sandra Mantegna.
Un film decoroso, senza grandi sussulti ma gradevole.
Recentemente passato in tv dopo un lunghissimo oblio, è disponibile in rete in una versione rippata da satellite.
Amore mio, non farmi male
Un film di Vittorio Sindoni. Con Walter Chiari, Valentina Cortese, Macha Méril, Luciano Salce, Roberto Chevalier, Leonora Fani, Giuliano Persico, Pia Velsi, Ninetto Davoli, Enzo Robutti, Gino Pagnani, Carla Mancini, Mico Cundari, Sandra Mantegna Commedia, durata 100′ min. – Italia 1974.
Roberto Chevalier: Marcello Foschini
Leonora Fani: Anna De Simone
Luciano Salce: Carlo Foschini
Valentina Cortese: Simona Foschini
Walter Chiari: Paolo De Simone
Macha Méril: Linda De Simone
Ninetto Davoli: Giovanni Procacci
Gabriella Giorgelli: Cicci
Enzo Robutti: Laganà
Leopoldo Trieste: avv. Musumeci
Orazio Stracuzzi: Oro Falso
Sandra Mantegna: Wanda
Carla Mancini: Greta
Pia Velsi: Sora Teresa
Gino Pagnani: tassista
Mico Cundari: medico
Jimmy il Fenomeno: carcerato
Angelo Pellegrino: carcerato
Valentino Simeoni: carcerato
Franca Scagnetti: portinaia a Trastevere
Regia Vittorio Sindoni
Soggetto Ghigo De Chiara, Vittorio Sindoni
Sceneggiatura Ghigo De Chiara, Vittorio Sindoni
Produttore Nicholas De Witt
Produttore esecutivo Enzo Giulioli
Distribuzione (Italia) Cecchi Gori
Fotografia Safai Teherani
Montaggio Mariano Faggiani
Scenografia Giorgio Luppi
Costumi Adriana Berselli, Lamberta Baldacci
Trucco Giulio Mastrantonio
Ridendo e scherzando
Ridendo e scherzando è un film del 1978, strutturato in 5 episodi con tematica identica, ovvero il tradimento coniugale.
Il primo episodio, intitolato “Nozze d’argento“, vede protagonista un maturo notaio a cui vien fatta trovare in camera da letto dell’albergo Aurora una gigantesca scatola regalo, all’interno della quale c’è una splendida ragazza vestita da coniglietta. Dopo i dubbi iniziali, il notaio decide di “usufruire” del regalo, ma dopo aver consumato si vede piombare in casa un commissario mandato su denuncia della suocera preoccupata dalla mancanza di notizie sulla figlia.
Luciano Salce e Licinia Lentini, protagonisti del primo episodio
Stefano Satta Flores
Trasportato in commissariato sotto gli occhi esterrefatti dei vicini, viene raggiunto dalla moglie che è in realtà colei che gli ha fatto il regalo.
Finirà a ceffoni tra i due coniugi e l’ignaro cameriere ai piani dell’albergo Aurora che si era offerto di accompagnare la signora Procaccini, moglie del notaio in Questura.
Il secondo episodio è intitolato “Corpi separati“, e vede protagonista un contrabbandiere di sigarette napoletano, Michele Sintona,tifosissimo della squadra della sua città che si appresta ad andare allo stadio per seguire l’evento sportivo; confuso per un banale caso di omonimia per il famoso banchiere Sindona, bancarottiere ricercato da diversi corpi di Polizia, si vede piombare in casa Digos, servizi segreti ed antiterrorismo. Riuscirà a cavarsela solo facendo fare una lite furibonda ai tre graduati che comandano i rispettivi corpi.
Il terzo episodio, “Per favore ammazzami il marito” vede protagonista una bella americana dell’Oregon stanca della volgarità del marito. La donna decide di usare il cameriere di casa per procurare un incidente al marito, ma tutti i tentativi saranno vani. Alla fine la donna si riconcilierà con il marito sotto gli occhi attoniti del cameriere.
Macha Meril
Il quarto episodio è “Melodramma della gelosia“, con protagonista un bancario innamorato follemente della moglie e gelosissimo, che però, per tenere su il menage famigliare, è costretto ad assumere un attore che di volta in volta interpreti un personaggio diverso, un fantomatico amante della moglie che alla fine viene scovato dal marito geloso.
L’ultimo episodio, “Costi quel che costi” è incentrato invece sulla figura di un portinaio di uno stabile lussuoso, nel quale vive una splendida donna con il geloso marito.
La stupenda Orchidea De Santis
Il portiere scoprirà che la donna si prostituisce per 300.000 lire, e fattesele prestare dal marito della donna, approfitta delle grazie della stessa dicendo poi al marito cornuto che ha restituito i soldi che lui gli ha prestato proprio alla moglie.
Ridendo e scherzando è un film del 1978, diretto da Vittorio Sindoni (che qui si firma come Marco Aleandri) che vorrebbe ricalcare la commedia sexy all’italiana senza innestare nessuna innovazione, anzi, sfruttando quelle che erano le caratteristiche peggiori della commedia stessa, ovvero trama esile basata su sketch, dialoghi infarciti di volgarità e qualche spruzzatina di erotismo come collante del tutto.
A sinistra, Gino Bramieri
Il regista utilizza un cast di assoluto buon livello, che include Luciano Salce e Didi Perego con Licinia Lentini (primo episodio) , Stefano Satta Flores (secondo episodio) Macha Meril, Fiorenzo Fiorentini e Carlo Hinterman (terzo episodio) Walter Chiari, Enrico Simonetti e Olga Karlatos (quarto episodio), Gino Bramieri e Orchidea De Santis (quinto episodio)
Un cast all star che finisce malauguratamente in una commedia debolissima e stramba, in cui è difficile trovare un solo momento in cui si riesca se non a ridere almeno a sorridere e che si regge solo sulla simpatia e professionalità dei vari interpreti.
Un’altra bellissima dello schermo, Olga Karlatos con il compianto Walter Chiari
A parte la banalità assoluta della sceneggiatura, tutti gli episodi sono debolissimi e basati solo su equivoci visti e rivisti, su battute scontatissime e sul triste corollario del peggio delle commedie pecorecce italiche, con tanto di parolacce e ceffoni, doppi sensi et similia.
Tutti gli episodi sono molto al di sotto della sufficienza, ma a voler sceglierne uno, si può optare per il meno peggio ovvero l’ultimo, che vede protagonisti Gino Bramieri e Orchidea De Santis.
Mentre l’attore milanese dimostra di essere presente solo per guadagnarsi il pane, la splendida attrice pugliese quanto meno, nel grigiore generale, appare in tutta la sua superba bellezza.
L’episodio con Salce è deprimente, quello con Stefano Satta Flores (vi compare una giovane Maurisa Laurito) inguardabile, poco più su quello con la Meril (anch’essa bellissima), catastrofico e sconclusionato quello con protagonisti Chiari, una bellissima Karlatos e il compianto maestro Enrico Simonetti.
Il film ebbe uno scarso successo alla sua uscita nelle sale cinematografiche italiane e la cosa è facilmente comprensibile; quando un film che ha un titolo esplicito come Ridendo e scherzando non riesce nemmeno a far sogghignare si è fallito l’obiettivo primario.
In aggiunta, quando si usano solo i classici stereotipi come il tifoso napoletano contrabbandiere e furbo che conclude con un triste “Forza Napoli” urlato verso gli spettatori, il marito geloso che trova l’amante della moglie nell’armadio ( o tristemente appeso ad un lampadario!) vuol dire che si è di fronte ad una preoccupante mancanza di idee.
Un vero peccato, perchè con un cast di questo tipo di poteva tirar fuori ben altro film.
Ridendo e scherzando
Un film di Marco Aleandri. Con Walter Chiari, Orchidea De Santis,Olga Karlatos,Fiorenzo Fiorentini,Gino Bramieri, Macha Méril, Luciano Salce,Stefano Satta Flores, Didi Perego, Licinia Lentini, Enrico Simonetti
Commedia, durata 94 min. – Italia 1978
Episodio 1, “Nozze d’argento”
Luciano Salce … Il notaio
Licinia Lentini …. La coniglietta
Didi Perego ….. signora Procaccini, moglie del notaio
Episodio 2, “Corpi separati”
Stefano Satta Flores … Michele Sintona
Marisa Laurito …. La moglie
Episodio 3, “Per favore ammazzami il marito”
Macha Meril … La signora americana dell’Oregon
Carlo Hinterman …. Il marito
Fiorenzo Fiorentini … Il domestico
Episodio 4, “Melodramma della gelosia”
Walter Chiari … Il marito geloso
Olga Karlatos …La moglie
Enrico Simonetti … Il finto amante
Episodio 5, “Costi quel che costi”
Gino Bramieri … Il portinaio
Orchidea De Santis … La squillo
Regia : Vittorio Sindoni
Sceneggiatura : Marco Aleandri
Musiche: Enrico Simonetti
Casa di produzione: Megavision FilmTV
Fotografia : Alfio Contini
Peccatori di provincia
Alla morte di Emanuele Lo Curcio l’intera famiglia del defunto esulta: i presunti eredi hanno grossi problemi di denaro e tutti indistintamente contano sul lascito per risollevarsi.
Ma con grande stupore e con sommo rammarico scoprono che il defunto Lo Curcio ha lasciato tutta la cospicua eredità alla figlia naturale Domitilla della quale ignoravano l’esistenza.
Per colmo di sventura, quando la ragazza arriva nella casa del padre, con costernazione gli eredi Lo Curcio si rendono conto che la ragazza sta per diventare suora.
Il Sindaco del paese Renzo Montagnani), marito di una delle figlie di Emanuele, Vincenzina, la sorella del Lo Curcio Concetta e la nipote Gigia sono così costretti a studiare un sistema per spogliare la ragazza di quanto destinatole dal padre.
Dopo varie vicissitudini, sarà Gigia ad avere un’idea: fotografare la suorina nuda nel bel mezzo di un’orgia per farla dichiarare indegna.
Ma il diavolo fa le pentole e non i coperchi….
Renzo Montagnani
Peccatori di provincia (1976) rappresenta uno dei punti più bassi toccati dall’ormai moribonda commedia sexy.
Commediaccia di grana grossissima infarcita di gratuite volgarità, priva di una trama almeno credibile riesce a reggersi fino in fondo solo per la professionalità del cast assemblato dal regista Tiziano Longo, autore di otto pellicole una più sciagurata dell’altra con l’unica eccezione del discreto Mala amore e morte.
Il regista di Sedicianni, La prova d’amore e Lo stallone punta solo ed esclusivamente al botteghino, riunendo i peggiori stilemi della commedia sexy; turpiloquio, oscenità, battute di grana grossolana e scene sexy.
Se questo amalgama in passato ha funzionato vuoi per qualche felice trovata vuoi per la simpatia di alcuni caratteristi utilizzati nel film in questione ha un peso specifico molto modesto perchè il film è davvero poca cosa.
Daniela Halbritter
Poche battute che possono strappare un sorrisetto, scene sexy affidate alla splendida Femi Benussi sempre più spogliata e alla legnosissima Daniela Halbritter (qualcuno al ricorderà in Labbra di lurido blu) e sopratutto una trama assolutamente inconsistente e ridicola.
E’ di scena la solita eredità contesa, la solita famiglia di avvoltoi e l’espediente della suorina fotografata in pose compromettenti per renderla indegna dell’eredità paterna; insomma un già visto desolante e privo di fantasia che umilia il cast utilizzato.
Renzo Montagnani e Macha Meril, Lauretta Masiero e Riccardo Garrone , Femi Benussi non possono da soli, anche con la loro simpatia e professionalità risollevare un prodotto privo del benchè minimo motivo di interesse.
Gli unici sussulti vengono dalle scene di nudo della Benussi, ed è tutto dire mentre l’aver spogliato la Daniela Halbritter dei veli monacali e averla messa in reggicalze (una novizia?) va a tutta dannazione dell’ingegno di chi ha partorito l’idea malsana.
Passi per un filmetto del filone conventuale, ma una scena del genere in una commedia sia pure a sfondo sexy appare blasfema e ridicola.
Insomma, un prodotto da cinema di serie z a cui apparterrebbe di diritto non fosse per la presenza dei diversi caratteristi citati che un mezzo punto in più lo meritano più come riconoscimento alla carriera che per la loro presenza in questo film.
Prodotto apparso diverse volte in tv però privo di alcune scene sexy che rendono ancora più ridicolo il tutto.
A scrivere la sceneggiatura ci si sono messi in tre, ovvero Paolo Barberi, Nicola e Marino Onorati; non dubito che l’abbiano partorita in una decina di minuti, visto il risultato ottenuto.
Un’ultima cosa.
Passi l’idea di produrre una pellicola erotica (blandamente tra l’altro) e passi anche la scarsa fantasia nello stendere la sceneggiatura e nel girare il film stesso.
Quello che non può passare è il consueto stereotipo della provincia vista come bacchettona e allo stesso tempo maliziosa e sporcacciona.
E sopratutto non può passare l’immagine di famiglie bramose di denaro e pronte a tutto pur di intascare denaro, composte da persone lascive e dedite ai peggiori vizi privati e affette da ingordigia spropositata oltre che subdolamente descritte come ipocrite e farisee.
Un’immagine deleteria già più volte descritta sopratutto nelle ambientazioni logistiche del Sud Italia; a cambiare questa volta è la location, quella descritta è la provincia opulenta del centro nord, quasi un’universalizzazione dei difetti italici.
Il messaggio veicolato è quello che dalle Alpi alla Sicilia tutti gli italiani sono gli stessi, con poche virtù e tantissimi vizi.
Peccatori di provincia
Un film di Tiziano Longo. Con Femi Benussi, Macha Méril, Renzo Montagnani, Lauretta Masiero, Riccardo Garrone, Fernando Cerulli, Luciana Turina, Stefano Amato, Otello Belardi
Erotico, durata 90 min. – Italia 1976.
Renzo Montagnani … Sindaco
Macha Méril … Vincenzina Lo Curcio
Femi Benussi … Gigia
Lauretta Masiero … Concetta Lo Curcio
Daniela Halbritter … Domitilla Bertacchi
Riccardo Garrone … Avvocato
Regia: Tiziano Longo
Sceneggiatura: Paolo Barberi, Nicola e Marino Onorati
Produzione: Alberto Longo
Musiche: Elio Maestosi,Filippo Trecca
Fotografia: Alfio Contini
Siamo tutti in libertà provvisoria
Durante un incontro amoroso con una misteriosa donna, l’onorevole Virgizio viene colto da infarto e muore. Ai funerali la vedova dell’onorevole, parlando con i figli, si dice convinta che il marito sia morto durante un’orgia.
Confida così i suoi dubbi al giudice Langellone, del quale è amico; il giudice è momentanemente sottoposto a indagini per aver partecipato ad una riunione di magistrati di orientamento politico fascista.
Langellone riesce a convincere il suo superiore della necessità di riaprire le indagini, nonostante quest’ultimo non abbia alcuna intenzione di concedere l’autorizzazione.
Marilù Tolo: Emilia moglie di Langellone
Macha Méril : Gisella moglie di Mario De Rossi
Ma con furbizia Langellone ottiene ciò che vuole e affida le indagini al Commissario Panzacchi, un integerrimo funzionario di polizia che affronta il suo lavoro con entusiasmo, nonostante capisca che la legge non è uguale per tutti.
Avrà modo di veder confermati i suoi peggiori sospetti, man mano che le indagini entrano nel vivo e permettono di far luce sulla vicenda.
Nel frattempo, viene sottoposto a indagini Mario De Rossi, un solerte e incorruttibile funzionario del ministero di giustizia, un uomo anonimo ma tutto di un pezzo, già trasferito due volte per non aver voluto accettare l’uso delle bustarelle nei ministeri in cui aveva prestato servizio.
Per sua sfortuna, il nome di De Rossi viene trovato tra le carte dell’onorevole defunto, e il pover’uomo, non riuscendo a ricordare dove fosse la sera dell’accaduto finisce per essere arrestato.
Riccardo Cucciolla: Mario De Rossi
Panzacchi, con tenacia, ricostruisce intanto la vicenda, grazie anche all’aiuto assolutamente involontario di una sua vecchia conoscenza milanese, Giuseppe Mancini detto ‘Pulcinella’ un ex palo di una banda.
Mancini infatti racconta di come abbia collaborato a trasportare il corpo dell’onorevole Virgizio fuori da un appartamento affittato di volta in volta a coppie illegali e gestito proprio dalla moglie di De Rossi, una donna profondamente innamorata del marito ma anche amante della bella vita.
La donna approfittava dell’ingenuità di Mario De Rossi facendogli credere di vincere frequentemente al lotto, giustificando così le cospicue entrate della gestione della casa d’appuntamento che la donna utilizzava con la collaborazione di un malvivente di mezza tacca.
Proseguendo le indagini, Panzacchi scopre anche il nome della misteriosa donna che era con l’onorevole durante il congresso carnale clandestino;si tratta di Emilia, moglie del giudice Langellone che si concedeva svariati amanti per sfuggire alla routine matrimoniale.
Il commissario naturalmente indirizza con malizia i sospetti del giudice raccontandogli di aver trovato tra le carte del morto poesie d’amore dell’amante a Emilia, in cui sospirava d’amore e desiderio, di voglia di baciarle “quella tua voglia di fragola che hai sulla coscia”
Langellone collega immediatamente la moglie al morto e durante un colloquio notturno costringe la moglie a confessare.
Il giorno dopo presenta un’arringa al suo superiore, unitamente ad una lettera di dimissioni.
Ma il superiore riesce ad insabbiare tutto, promuovendo il giudice ad altro ufficio e soffocando lo scandalo.
L’unico a rimetterci davvero è il povero De Rossi, che finisce in un manicomio completamente fuori di senno, assistito però amorevolmente da sua moglie Gisella.
Francesca Romana Coluzzi: la vedova Virgizio
Film disomogeneo, disorganico, penalizzato da una eccessiva lunghezza e da alcuni “siparietti” davvero monotoni, Siamo tutti in libertà provvisoria esce nelle sale italiane nel 1971 per la regia di Manlio Scarpelli, più conosciuto per aver scritto sceneggiature di fiction televisive (all’epoca chiamate serie Tv) come Il commissario De Vincenzi e la riduzione televisiva del Sandokan.
Creato con dispendio di mezzi e con un cast di primissimo piano, Siamo tutti in libertà provvisoria mostra la corda dopo poco più di venti minuti, arenandosi in una serie di ritratti poco incisivi e superficiali dei protagonisti della vicenda.
Che sicuramente, nelle intenzioni di Manlio Scarpelli e Ruediger von Spiess che curarono la sceneggiatura, prevedeva una sorta di satira sociale sui mali della giustizia e sul perbenismo della buona società, sulla inutilità di essere portatori di valori sani (testimoniata dalla ingiusta reclusione di De Rossi) e viceversa sul delitto che paga, anche se in questo caso siamo davvero di fronte a reati di pochissimo conto che colpiscono più la morale che le leggi che governano la società civile.
Il mondo della magistratura è visto come un’ambiente più simile ad una giungla, dove vige la legge del più forte che un mondo dove il cittadino sa di potersi rivolgere per ricevere giustizia; ma il tutto è raccontato sia in parole che in immagini così sommarie e mal definite da risultare sterile.
Deprimenti sono ad esempio le interruzioni della narrazione intervenute per mostrare gli incubi del povero De Rossi, che non riesce in alcun modo a spiegarsi come la giustizia possa sbagliarsi un modo tanto maldestro, così come assolutamente fuori luogo è la lunga partita a carte tra il commissario Panzacchi e il piccolo furfante Pulcinella.
Philippe Noiret,Il giudice Langellone
L’ultima perla è il duello in aula tra l’avvocato difensore e la pubblica accusa, naturalmente anche questo girato ad alta velocità e con immagini sfumate, quasi a voler simboleggiare il confine tra sogno e realtà.
Il cast, pur di gran livello, non riesce a uscire dalla palude dei luoghi comuni e del deja vu che infestano la sceneggiatura; così troviamo un buon Riccardo Cucciolla che interpreta con garbo e in maniera dolente lo sfortunato e onesto de Rossi accanto a Vittorio De Sica assolutamente svogliato e svagato nel ruolo poco credibile del napoletano Mancini-Pulcinella, bene Ivo Garrani nel ruolo del capo dei magistrati e bene anche Cirino (il commissario Panzacchi), Macha Meril (la moglie di De Rossi), Marilu Tolo (la moglie di Langellone). Malissimo Noiret(Langellone) ,
lento apatico e doppiato in maniera dilettantesca e altrettanto male Lionel Stander, l’avvocato difensore di De Rossi. Piccole parti per Francesca Romana Coluzzi (la moglie dell’onorevole Virgizio) e per la grande Lia Zoppelli, che interpreta la direttrice di un atelier.
Vi segnalo la amena recensione del Morandini, assolutamente sbagliata che mostra ancora una volta l’inattendibilità di parte delle recensioni stesse; fate voi stessi il confronto fra il plot “vero” e quello del Morandini stesso; “Protagonista è un poveraccio afflitto da una moglie che crede di avere il bernoccolo degli affari. La donna si lancia in una serie di speculazioni ai limiti del codice e chi ne fa le spese è il marito che si ritrova da un giorno all’altro indiziato di reato. Durante l’istruttoria lo accusano formalmente di peculato. A suo carico ci sono solo indizi, ma intanto per il poveraccio è una via crucis di cui non s’intravede nemmeno la conclusione.” Sic….
Langellone rinfaccia a Emilia la sua doppia vita
Siamo tutti in libertà provvisoria,un film di Manlio Scarpelli. Con Vittorio De Sica, Riccardo Cucciolla, Lionel Stander, Philippe Noiret, Mario Pisu, Claudio Gora, Vinicio Sofia, Vittorio Sanipoli, Riccardo Garrone, Mimmo Poli, Ivo Garrani, Andrea Bosic, Umberto Raho, Marilù Tolo, Macha Méril, Francesca Romana Coluzzi, Bruno Cirino, Francesco Sineri
Commedia, durata 93 min. – Italia 1971.
Bruno Cirino :Commissario Panzacchi
Vittorio De Sica: Giuseppe Mancini detto ‘Pulcinella’
Riccardo Cucciolla … Mario De Rossi
Philippe Noiret … Giudice Francesco Langellone
Macha Méril … Gisella moglie di Mario De Rossi
Bruno Cirino … Commissario Panzacchi
Lionel Stander … Avvocato Bartoli
Vittorio De Sica … Giuseppe Mancini detto ‘Pulcinella’
Marilù Tolo … Emilia moglie di Langellone
Ivo Garrani …Procuratore generale
Francesca Romana Coluzzi … Moglie dell’onorevole Virgizio
Claudio Gora … Capo del Ministero, superiore di De Rossi
Vittorio Sanipoli … Questore
Lia Zoppelli … Direttrice dell’atelier
Umberto Raho … Di Meo
Regia Manlio Scarpelli
Sceneggiatura Manlio Scarpelli, Ruediger von Spiess
Casa di produzione Zafes Film
Fotografia Marco Scarpelli
Montaggio Carlo Reali
Musiche Augusto Martelli
Una donna di seconda mano
Firenze, anni 50. Luca, uno studente orfano di entrambi i genitori, vive con suo zio Augusto, un donnaiolo cinquantenne, proprietario di un negozio di scarpe. L’uomo è legato sentimentalmente a Clelia, una sua dipendente. La donna ha una figlia, Simona, che è la ragazza di Luca. Un giorno suo zio, per svezzarlo sessualmente, lo porta in un bordello, dove il ragazzo conosce Nerina, una matura ma seducente prostituta.
Enrico Maria Salerno è Augusto
Il giorno dopo, in seguito all’ennesimo rifiuto di Simona di avere rapporti con lui, la violenta. La ragazza racconta tutto alla madre, che decide di vendicarsi. Istruisce la figlia a dovere, con l’incarico di sedurre il maturo Augusto. Il piano riesce, e Simona circuisce Augusto. Un amico di Luca scopre la ragazza mentre è in auto con il suo amante e informa il giovane, che reagisce male. Ritorna al bordello e si fa consolare da Nerina. Nerina però ha un suo piano: è stufa di essere una donna di seconda mano, come si definisce durante un colloquio con una collega, e medita di farsi sposare.
Senta Berger
Nel frattempo Simona si sposa con Augusto, e il giovane per un pò riesce a consolarsi tra le braccia di Nerina. Ma un giorno la donna scompare, e sarà un amico camionista di Luca a scoprirla casualmente a Venezia: la donna è riuscita nel suo intento, ha sposato un ricco uomo d’affari. Luca, dopo aver respinto la corte di Simona, segue Nerina a Venezia, dove riesce a riallacciare la relazione. Ma la donna non vuol perdere quanto faticosamente conquistato, dichiara al giovane di non amarlo e lo lascia, prende un vaporetto e guarda in direzione del giovane, con uno sguardo appena velato dalla nostalgia, mentre Luca urla dal ponte che non la ama.
Nonostante l’ottimo cast, che include Enrico Maria Salerno (Augusto), Senta Berger (Nerina), Macha Meril ( Clelia), Rena Niehaus (Simona), Stefano Satta Flores (l’autista amico di Luca), Stefano Amato (Luca), Una donna di seconda mano, film del 1977 diretto da Pino Tosini e sceneggiato da Renato Izzo, scorre sullo schermo nella più assoluta indifferenza dello spettatore. Colpa principalmente di una trama scontata sin dall’inizio, di una sceneggiatura raffazzonata e sopratutto della scarsa volontà mostrata dal cast, che sembra svogliato e impigrito, quasi anestetizzato da ruoli senza spessore.
Luca alla ricerca di Nerina nel bordello
A salvarsi è il solito Salerno, in parte la deliziosa Niehaus e parzialmente anche Senta Berger, troppo sorridente e poco incisiva. Un film che penzola tra il dramma e la commedia e che forse aveva l’ambizione di mostrare uno squarcio del mondo dei bordelli prima della legge Merlin. Alla fine tra qualche casto nudo, qualche amplesso una volta tanto mostrato con pudore, si arriva senza scossoni alla parte finale, che forse è la più interessante, non fosse per la fretta e per la scarsa incisività degli attori, tra i quali spicca in senso negativo proprio il protagonista principale, Stefano amato, che piattamente interpreta Luca.
Poca roba, alla fine, forse l’unica cosa da rimarcare è la location, parzialmente ambientata a Firenze nelle parti iniziali e a Venezia in quelle finali. Un’altra nota dolente è il fiorentino di Augusto-Enrico Maria Salerno, davvero poco credibile anche nel doppiaggio.
Una donna di seconda mano, un film di Pino Tosini con Stefano Amato, Senta Berger, Macha Meril, Rena Niehaus, Enrico Maria Salerno, Stefano Satta Flores, Bruno Valente, Italia 1977
Senta Berger- Nerina
Enrico Maria Salerno:Augusto
Macha Meril:Clelia
Stefano Amato:Luca
Rena Niehaus:Simona
Stefano Satta Flores:l’autista
Regia Pino Tosini
Soggetto Sergio Perillo
Sceneggiatura Renato Izzo
Casa di produzione Boxer Films
Fotografia Tonino Nardi
Montaggio Massimo Ferlicco
Musiche Michele Francesio
Scenografia Massimo Lentini
L’ultimo treno della notte
L’uscita di questo film di Aldo Lado, nel 1975, fu accompagnata da violente polemiche per il contenuto giudicato troppo violento e per l’atmosfera dark, per i dialoghi e per le scene crude che conteneva. In effetti L’ultimo treno della notte è un film che in qualche caso può disturbare, sopratutto verso la parte finale, dopo una buona oretta molto descrittiva, in cui il regista si limita a creare un’ambientazione alla storia, che esplode in un finale gore, tipico dei film rape e revenge. Ma in effetti, a guardarlo bene, il film ha ambizioni ben diverse dal solito thriller con effettacci truculenti. E, nonostante quello che i critici dissero, o almeno parte di essi, il film centra le problematiche che vuole affrontare; la violenza fine a se stessa, tipica della prima metà degli anni settanta.
Macha Meril, la misteriosa signora del treno
L’inizio del film è segnato da un episodio di violenza gratuito, perpetrato ai danni di un Santa Klaus, al quale due balordi rubano il misero incasso; i due scappano e li vediamo salire su un treno diretto in Italia. Sullo stesso treno viaggiano anche due ragazze, che devono tornare a casa, in Italia, per raggiungere i genitori di una di essa e festeggiare il Natale, e una enigmatica signora, molto raffinata. Elisa e Margareth, le due ragazze, non sanno che stanno andando incontro ad una spaventosa sorte.
All’interno del treno, infatti, i due balordi si muovono già con violenza, anche se limitata ad una aggressione ad un controllore. Uno dei due ha anche un rapporto sessuale con l’enigmatica signora ben vestita, una donna che sotto l’apparente rispettabilità nasconde un animo nero come la pece.
Il treno, durante il percorso, viene fermato in una stazione, e le due ragazze ne approfittano per scendere e telefonare ai genitori, senza però riuscire a contattarli. Salgono su un altro treno, ma purtroppo per loro anche i due balordi e la ricca signora hanno fatto altrettanto. E’ l’inizio di un incubo: le due ragazze vengono dapprima molestate, in seguito violentate, dapprima da un guardone costretto ad abusare di Elisa, poi da uno dei due balordi, che, incitato dalla signora, la violenta con la lama di un coltello, che farà morire l’altra ragazza, Margareth dissanguata.
Alla fine i due gettano Margareth dal treno, mentre Elisa, inseguita, preferirà gettarsi dal treno in corsa piottosto che continuare a subire la violenza cieca dei due; il treno prosegue la sua corsa, mentre i genitori di elisa attendono l’arrivo delle ragazze. E di quà la storia assume un’altra direzione, che culminerà con il violento finale.
Il film di Lado vive sul contrasto fortissimo che caratterizza le varie fasi della storia; alla violenza cieca seguono infatti scene di stacco con i preparativi dei genitori per accogliere le due ragazze: all’atmosfera serena del Natale, con una fotografia luminosa, si sussegue l’atmosfera cupa del treno, dove si consuma la storia, con ombre che sinistramente si proiettano sui vagoni dello scompartimento. Ombre e luci, così come ombre e luci appaiono rispettivamente i due balordi e la misteriosa signora e le due ragazze.
Un film cattivo al punto giusto, senza mediazioni, in cui la denuncia del sistema che produce questi guasti è appena accennata nei dialoghi che i genitori di Elisa hanno con i loro convitati. Il padre di Elisa, buonista e comprensivo, sceglierà viceversa la vendetta più crudele quando ad essere toccato nei suoi affetti sarà proprio lui.
Un film bello, cupo e dannato, che, come già detto, venne molto sottovalutato all’epoca e che viceversa ha alcuni punti di contatto con il capolavoro di Kubrick, Arancia meccanica, almeno nella parte che riguarda la violenza ome tematica. Bravi gli attori, fra i quali si segnalano la luciferina Macha Meril, un inedito Flavio Bucci, nel ruolo del meno perfido dei due balordi, e di Enrico Maria Salerno, il papà di Elisa. Brave le due attrici che interpretano rispettivamene Elisa e Margareth, ovvero Laura D’Angelo e Irene Miracle
L’ultimo treno della notte,un film di Aldo Lado. Con Enrico Maria Salerno, Macha Méril, Flavio Bucci, Marina Berti,Franco Fabrizi, Daniele Dublino, Irene Miracle
Drammatico, durata 91 min. – Italia 1975.
Flavio Bucci: Primo balordo
Marina Berti: Laura Stradi
Macha Méril: Signora sul treno
Enrico Maria Salerno: Giulio Stradi
Gianfranco De Grassi: Secondo balordo
Franco Fabrizi: Il guardone
Irene Miracle: Margareth Hoffenbach
Laura D’Angelo: Lisa Stradi
Regia Aldo Lado
Soggetto Roberto Infascelli, Ettore Sanzò
Sceneggiatura Roberto Infascelli, Renato Izzo
Casa di produzione European Corporation
Fotografia Gábor Pogány
Montaggio Alberto Gallitti
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Franco Bottari
Costumi Franco Bottari
Profondo rosso
Ci sono opere cinematografiche a basso costo nate per caso,diventate per caso cult e per caso tramandate ai posteri come capolavori assoluti.Profondo rosso,diretto da Dario Argento nel 1975,è la sintesi perfetta del caso.Non ci sono molti attori ,nel film, quelli che ci sono all’epoca erano quasi degli sconosciuti,fatta eccezione per Clara Calamai,diva del cinema muto,ma da anni in disparte.La colonna sonora è affidata ad un gruppo assolutamente sconosciuto,i Goblin,capitanati da Claudio Simonetti,famoso all’epoca solo per essere il figlio di Enrico.L’unico a godere di una certa fama è proprio lui,il regista.Che ha esordito come sceneggiatore e aiuto regista,aiutato sicuramente dal fatto che il papà,Salvatore,era un valente critico e produttore cinematografico.Mangia pane e cinema,Dario.
Si fa le ossa come sceneggiatore e grazie all’aiuto del padre,produce e dirige L’uccello dalle piume di cristallo,che diventa il suo primo successo al botteghino,confermato poi da Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio.Nel 1975 nasce,come detto,il progetto Profondo rosso.La trama è universalmente riconosciuta,inutile quindi riproporla.Interessante,viceversa,curiosare tra le varie scene.In una di esse,per esempio,precisamente quella dedicata al primo omicidio,quello della sensitiva Helga Hulmann,interpretata magistralmente da Macha Meril,c’è una location che rappresenta un tributo di Argento ad un grande pittore americano,Hopper.Il bar che si vede nella piazza,ricostruito alla perfezione,altri non è che la trasposizione nella realtà cinematografica di Nighthawk,quadro dalla bellezza eccezionale.La scena dell’omicidio è magistrale.L’assassino colpisce con un’accetta Helga,mentre,dal basso,Mark e Carlo stanno parlando.
La scena è un piccolo gioiellino,perché porta su due piani temporali contemporanei lo spettatore;si assiste al dietro le quinte dell’omicidio,quasi in anticipo su quello che vede il vero protagonista della storia,il musicista Mark.Interpretato da David Hemmings,il pianista americano è un personaggio che ispira da subito simpatia.
Come del resto ispira simpatia Gianna Brezzi,una svagata giornalista qui interpretata dalla musa di Argento,Daria Nicolodi.
La colonna sonora dei Goblin,assolutamente impeccabile,continua a percorrere,con discrezione e in parallelo,le varie scene del film.Il momento successivo,la visita del misterioso assassino a casa di Mark,è scandita dalla nenia infantile che fuoriesce con discrezione dal magnetofono.Il passo successivo,l’assassinio di Amanda Righetti,la scrittrice autore del libro dal quale Mark ha tratto la foto della villa dei misteri ,è la scena più brutale del film.La donna viene selvaggiamente massacrata nel suo villino,sfracellata contro il bordo della vasca da bagno.La trovata geniale è il messaggio sullo specchio,che comparirà in seguito,quando Mark intuirà che con il vapore può far comparire il messaggio della sventurata scrittrice.Il crescendo è rossiniano.La morte del professor Giordani, ucciso con selvaggia ferocia,una morte che oggi definiremmo splatter;la visita di Mark alla misteriosa villa,il dipinto coperto da intonaco sulla parete,mentre l’ossessiva musica dei Goblin scandisce inesorabile gli eventi.
Poi la scuola,con Gianna colpita dalla mano invisibile,Carlo che finisce con la testa sotto le ruote di un camion della spazzatura e …..Il cast risponde appieno al delirio visivo di Argento:Hemmings è svagato quanto basta,la Nicolodi altrettanto;Gabriele Lavia rende bene il personaggio tormentato di Carlo,la Calamai è perfetta nel ruolo della psicotica madre di Carlo;Glauco Mauri è così perfetto nel ruolo di Giordani da essere identificato,negli anni successivi,con il personaggio del film.
Ma qual è il motivo del successo internazionale del film,del suo essere diventato cult?
L’alchimia perfetta della storia,non banale,delle musiche assolutamente straordinarie,della regia attenta,rigorosa di Argento,del cast perfettamente integrato alla storia.Non è mai facile riuscire a integrare le varie componenti,ma in questo caso funziona tutto.Un ricordo personale è legato alla prima del film,che vidi nella primavera del 1975.
Quando uscii dal cinema ero convinto di aver visto un capolavoro.
Solo l’Esorcista di Friedkin,Apocalipse now di Coppola e l’Arancia meccanica di Kubrick mi avevano colpito allo stesso modo.Ed evidentemente il pubblico che affollò le sale la pensava allo stesso modo.Profondo rosso fu il film più visto di quell’anno,e non dimentichiamo che quell’anno uscirono Amici miei,Qualcuno volò sul nido del cuculo,Barry Lindon e film di cassetta come Fantozzi.Un risultato straordinario per Dario Argento.Il punto più alto del suo cinema.Perché,come succede spesso,proprio con Profondo rosso Dario Argento segna la fine della sua parabola ascendente.
Il successivo Suspiria,pur opera di buona levatura,era una rivoluzione copernicana.
Niente giallo,ma incursione nell’horror parapsicologico.
Inferno segnerà una ulteriore caduta di tensione,che proseguirà con il pessimo Tenebre,l’incerto Phenomena fino al punto più basso,quel Il cartaio sconclusionato e brutto in maniera indecorosa.
Profondo rosso può essere definito,in pratica,il canto del cigno di un ottimo regista,che però da 25 anni ha quasi perso smalto e inventiva. Profondo rosso è disponibile su You tube in una versione pressoche perfetta all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=H7V_UjiGciE
Profondo rosso
un film di Dario Argento. Con David Hemmings, Clara Calamai, Macha Méril, Eros Pagni, Giuliana Calandra, Gabriele Lavia, Glauco Mauri, Daria Nicolodi, Attilio Dottesio, Furio Meniconi, Glauco Onorato, Mario Scaccia, Piero Vida, Aldo Bonamano, Lorenzo Piani, Vittorio Fanfoni, Piero Mazzinghi, Fulvio Mingozzi, Geraldine Hooper, Salvatore Baccaro, Salvatore Puntillo. Genere Giallo, colore 123 minuti. – Produzione Italia 1975.
David Hemmings: Marc Daly
Daria Nicolodi: Gianna Brezzi
Gabriele Lavia: Carlo
Glauco Mauri: prof. Giordani
Giuliana Calandra: Amanda Righetti
Clara Calamai: madre di Carlo
Macha Méril: Helga Ulmann
Eros Pagni: comm. Calcabrini
Nicoletta Elmi: Olga
Piero Mazzinghi: Bardi
Liana Del Balzo: Elvira
Aldo Bonamano: padre di Carlo
Vittorio Fanfoni: assistente dell’ispettore
Dante Fioretti: fotografo della polizia
Geraldine Hooper: Massimo Ricci
Jacopo Mariani: Carlo da bambino
Furio Meniconi: Rodi
Fulvio Mingozzi: agente Mingozzi
Lorenzo Piani: addetto impronte digitali
Salvatore Puntillo: agente della polizia
Piero Vida: agente grasso
Salvatore Baccaro: fruttivendolo
Bruno Di Luia: uomo preoccupato nel bagno
Attilio Dottesio: fioraio
Tom Felleghy: chirurgo
Mario Scaccia: partecipante alla conferenza
Franco Vaccaro: Pietro Valgoi
Regia Dario Argento
Soggetto Dario Argento, Bernardino Zapponi
Sceneggiatura Dario Argento, Bernardino Zapponi
Produttore Salvatore Argento, Angelo Jacono
Produttore esecutivo Claudio Argento
Casa di produzione Rizzoli Film, Seda Spettacoli
Fotografia Luigi Kuveiller
Montaggio Franco Fraticelli
Effetti speciali Germano Natali, Carlo Rambaldi
Musiche Goblin, Giorgio Gaslini
Scenografia Giuseppe Bassan
Costumi Elena Mannini
Trucco Giuliano Laurenti, Giovanni Morosi
Luigi La Monica: David Hemmings
Isa Bellini: Clara Calamai
Emanuela Rossi: Nicoletta Elmi
Corrado Gaipa: Furio Meniconi
Wanda Tettoni: Liana Del Balzo
“ Brindo a te, vergine stuprata! ”
“ Quello che credi di vedere, e quello che vedi realmente, si mischiano nella tua memoria come un cocktail. Tu credi di dire la verità, e invece dici soltanto la tua versione della verità ”
“ Tanto non mi sfuggirai. Ti ucciderò lo stesso, una volta o l’altra! ”
M:”Senti Carlo, m’ è successo un fatto strano, tanto strano che non so neanche se è vero! Quando entrai nella casa di quella donna la prima volta mi parve di vedere un quadro, ma dopo qualche minuto quel quadro non c’ era più! Cosa può essermi successo?”
C: “A te niente! Forse il quadro è stato fatto sparire perchè rappresentava qualcosa di importante…”
M: “Come hai detto?”
C: “Rappresentava qualcosa di importante!!!”
M: “No, no, non credo! A quanto mi ricordo, era… era una specie di composizione di volti, una cosa molto strana!”
C: “Guarda, magari hai visto qualcosa di talmente importante che non te ne rendi conto, sai, a volte le cose che vedi realmente e quelle che immagini, si mischiano nella memoria come un cocktail, del quale non riesci più a distinguere i sapori.”
M: “Ma io ti sto dicendo la verità!”
C: “No Mark.Tu credi di dire la verità e invece … dici soltanto la tua versione della verità. A me accade spesso…”
La realtà e la fantasia spesso si confondono come un Cocktail di cui non riesci a distinguere i sapori.
L’assassino è uno schizofrenico paranoico.L’individuo che uccide con quella furia lo fa solamente quando è in preda a un raptus.
Senti perché non molli tutto e sparisci? PERCHÈ STUZZICARE UN PAZZO? Perché è senz’altro un pazzo chi ha commesso un delitto così mostruoso.
“…sono entrata in contatto con una mente perversa. I suoi pensieri sono pensieri di morte via …via! Tu hai già ucciso e sento che ucciderai ancora.”
L’opinione di snaporaz 68 dal sito http://www.filmtv.it
(…) Già l’inizio con la musica incalzante dei Goblin ( e di Giorgio Gaslini) sui titoli di testa inframezzato dal piccolo flashback rivelatore (con annessa filastrocca infantile) fa davvero scorrere i brividi.
Argento fa virare il giallo classico verso il rosso pompeiano, esaltando gli aspetti parapsicologici e soprannaturali, zoomando su dettagli (le armi e i pupazzetti dell’assassino), sottolineando nella decorazione degli ambienti gli aspetti mostruosi e deformi, i colori accesi e le zone oscure.
Argento è talmente padrone del mezzo espressivo da sfidare lo spettatore facendogli vedere l’assassino nella scena del primo omicidio (provate a fare un fermo immagine su uno dei quadri orrorifici che “decorano” il corridoio della casa della parapsicologa, avrete una bella sorpresa) e mescolando abilmente ricordi e realtà in un cocktail di cui non riesci più a distinguere i sapori.
L’attore che incarna magistralmente questa confusione tra la realtà immaginata e quella veramente accaduta non può che essere il David Hemmings di Blow Up, anche qui alle prese con la indecifrabilità del reale (Antonioni docet). La violenza è iperespressa in un delirio estetico che solo un genio visionario può assecondare e incanalare in forma filmica. Argento inquadra in primo piano spartiti di musica, tasti di pianoforte, dischi di vinile, giradischi,registratori, fronti imperlate di sudore, occhi truccati o che spiano da una fessura (Psyco citazione dotta). Piccola chicca per gli amanti dell’arte moderna: dotto omaggio ai “Nottambuli” di Edward Hopper (Argento ne ricostruisce il bar nella piazza in cui Hemmings e Lavia discutono di sogno e realtà) tela dell’Art Institute di Chicago (…)
L’opinione del sito http://www.ilmiovizioèunastanzachiusa.wordpress.com
(…) Unico. Inimitabile. Straordinario. “Profondo rosso” rappresenta senz’altro la summa dell’intero genere giallo/thriller all’italiana, genere cui già aveva dato nuova linfa lo stesso Dario Argento con la sua opera prima “L’uccello dalle piume di cristallo”; qui però vi aggiunge una digressione paranormale e orrorifica che pone le basi per l’ormai prossimo e definitivo tuffo nell’horror e nel fantastico che sarebbe venuto subito dopo con “Suspiria”. Potente e robusto, visivamente affascinante e ricco di immagini inquietanti e malsane, il film mostra un certo gusto per una nuova estetica della violenza e le scene dei delitti, sempre più coreografate con cura e dettagli, sono volutamente disturbanti: mannajate alla schiena, acqua bollente, denti rotti sugli spigoli dei mobili… La cosa è stata spiegata anni fa dal compianto Bernardino Zapponi, co-autore della sceneggiatura: l’idea era proprio quella di creare disagio al pubblico mostrando omicidi efferati e cruenti nei quali però gli spettatori potessero ritrovarsi e in un certo senso identificarsi (tutti noi conosciamo la sensazione di scottarci con l’acqua bollente, ad esempio)… E mentre alcune scene più distensive sembrano concedere una tregua allo spettatore l’ansia e la morbosità fanno di tanto in tanto capolino (biglie luccicanti che rotolano nel buio, disegni infantili che ritraggono feroci delitti, cani che si azzuffano, lucertole infilzate con spilloni) per mantenere costantemente un senso di inquietudine… Merito anche di una regia solidissima, di un montaggio con qualche spunto subliminale e di una colonna sonora semplicemente strepitosa.(…)
L’opinione di undjing dal sito http://www.davinotti.com
Dario Argento firma la regia della sua opera più riuscita, che si distacca dalla triade di gialli precedenti perché presenta un nuovo modo di raccontare la paura, qua contaminato con atmosfere paranormali. Impeccabili sia la sceneggiatura opera di Bernardino Zapponi (e riscritta da Argento stesso), sia la musica di Giorgio Gaslini eseguita dai Goblin. Pur trattandosi di un giallo, Profondo Rosso ha qualcosa di “magnetico” e indefinibile che lo ha reso un vero e proprio capolavoro, mai apparso datato, visto ed apprezzato da diverse generazioni.
L’opinione di ilgobbo dal sito http://www.davinotti.com
Spaventone. Qui si preferisce (di poco) Suspiria, però siamo comunque nell’empireo: la “potenza di fuoco” di questo capolavoro è tale e quale all’epoca. Ottima la scelta di Hemmings (che esplicita il legame con Blow up che caratterizza gran parte del miglior cinema argentiano); il resto del cast (con fior di vedettes del teatro tricolore usate come carne da macello) spiega perchè il cinema italiano degli Anni Sessanta e Settanta è stato quello che è stato, e il cinema italiano odierno è quello che è. Sempre sia lodato
Piazza CLN a Torino
Villa Scott
Il liceo Terenzio Mamiani a Roma
David Hammings
Gabriele Lavia
Daria Nicolodi
Macha Meril
Clara Calamai
Giuliana Calandra
Nicoletta Elmi
Glauco Mauri
Da Wikipedia
La scena iniziale del film, con le prove del gruppo jazz di Marc, è stata girata all’interno del Mausoleo di Santa Costanza a Roma.[3]
La scena del congresso di parapsicologia è stata girata all’interno del famoso Teatro Carignano di Torino, in Piazza Carignano 6[4], attualmente riaperto dopo un accurato restauro. Questo teatro verrà in seguito riutilizzato dal regista 25 anni dopo per alcune scene del suo film Non ho sonno .
La fontana dove ha luogo il colloquio tra Carlo ubriaco e Marc, è la Fontana del Po, in Piazza C.L.N. a Torino[3][5].
Il palazzo dove viene uccisa la sensitiva Helga e dove vive anche Marc è sito a Torino in Piazza C.L.N., di fronte al civico 222 ma le riprese interne sono state fatte nei teatri di posa De Paolis a Roma.[3]
La scena del funerale della medium Helga è stata girata a Perugia, nella sezione ebraica del Cimitero monumentale.[3]
Il locale Blue Bar dove suona Carlo in realtà non è mai esistito. La scenografia fu costruita in Piazza C.L.N. vicino all’abitazione di Marc, ed è un chiaro omaggio al quadro Nighthawks di Edward Hopper.[3]
La scuola media Leonardo da Vinci, dove Marc e Gianna entrano di notte per cercare il disegno, è in realtà il Liceo Classico Terenzio Mamiani che si trova a Roma in Viale delle Milizie 30.[3]
La lugubre Villa del bambino urlante dove Marc rinviene il cadavere ed il disegno sotto l’intonaco, che nella finzione del film si trova nelle campagne intorno a Roma, in realtà è sita nel quartiere Borgo Po di Torino, in Corso Giovanni Lanza 57 ed è nota come Villa Scott; all’epoca in cui fu girato il film era di proprietà dell’ordine delle Suore della Redenzione (che avevano adibito la struttura a collegio femminile, con il nome di Villa Fatima), e per girare le scene la produzione pagò un periodo di villeggiatura a Rimini alle suore ed a tutte le ragazze allora ospitate nel collegio[6]. All’inizio degli anni 2000 la villa è stata ceduta a privati che l’hanno restaurata.
La sperduta casa di campagna di Amanda Righetti si trova a Roma, in via Della Giustiniana 773.[3]
La casa di Rodi e della piccola Olga si trova a Roma, in via Della Camilluccia 364.
Le mani guantate dell’assassino sono in realtà le mani di Dario Argento[7].
Il mangianastri con il quale l’assassino riproduce la famosa nenia infantile è un «Memocord K70»: realizzato fra gli anni ’50 e ’60, sia in Gran Bretagna che in Germania, veniva presentato agli uomini d’affari dell’epoca come una “banca della memoria” della durata complessiva di 90 minuti, ove poter registrare appunti di lavoro, appuntamenti e anche discorsi.