Tulipani-Amore,onore e una bicicletta
Anne, sul letto di morte di sua madre Chiara,è costretta a promettere alla stessa di portare dopo il trapasso le sue ceneri nella natia Puglia.
Qualche tempo dopo ritroviamo la ragazza su una moto con side car, con il sedere per aria ustionato ,accompagnata in ospedale da
Immacolata e Vito.
Qui però vengono raggiunti da un funzionario di polizia, che accusa la ragazza di omicidio; per evitare l’arresto della ragazza Immacolata e Vito
raccontano quello che è accaduto negli ultimi giorni rievocando la storia dei genitori di Anna.
Che non è figlia di Chiara,come ha sempre creduto,ma di una coppia olandese, Gauke e Ria, una ragazza che suo padre ha conosciuto durante un viaggio e della quale si è innamorato, unione dalla quale è nata Anna. Gauke, arrivato in Italia dalla lontana Olanda in bicicletta, era stato accolto amichevolmente dalla gente di un paesino pugliese e sopratutto da Piero e sua moglie Chiara.
Da Piero acquista un casolare, diventando amico dello stesso e aiutandolo quando al giovane viene chiesto il pizzo per tenere aperta la sua attività.
Gauke aveva rimesso su il trullo e coltivato il terreno, creando magicamente dal nulla una coltivazione di tulipani, che avevano riscosso una grande successo.
La felicità di Gauke raggiunge la completezza il giorno in cui arriva in paese Ria con la piccola Anna; da quel momento però hanno inizio una serie di vicissitudini legate
proprio alla presenza di un losco individuo e della sua banda di estorsori, che avrà un epilogo drammatico…
Ovviamente ometto buona parte della trama per non rovinare l’effetto sorpresa di Tulipani,amore onore e bicicletta,deliziosa opera del 2017 firmata dal regista olandese Mike Van Diem,autore di una regia
autorevole e precisa per una pellicola che fa della semplicità un’arma formidabile.
Una trama semplice, senza orpelli inutili viene messa al servizio di un racconto che esalta sia la proverbiale accoglienza della gente del sud sia la vita semplice delle campagne della Puglia, in una vicenda senza tempo
che ha i contorni della favola.
Una favola che però tale non è,vista la presenza di una banda di malfattori che taglieggiando la popolazione locale vive una situazione parassitaria alla quale la gente del luogo non può o semplicemente non vuole opporsi.
E’ proprio Gauke,l’uomo venuto dal nord Europa a insegnare alla gente del paese che la dignità e la libertà sono elementi fondamentali,che opporsi si può e si deve.
Per questo dovrà pagare un alto prezzo ma la lezione che lascerà sia agli abitanti del paese, sia a sua figlia sarà di fondamentale importanza per la crescita di tutte le componenti in gioco.
A raccontare la storia della famiglia di Anna sono due protagonisti che hanno vissuto in prima persona le vicende raccontate; abbellite, un pochino esagerate nella forma, diventate quasi leggenda ma che insegneranno a Anna prima, all’ispettore poi,
a rispettare e sopratutto ricordare un uomo con la u maiuscola, quel Gauke che, sorretto da valori umani e morali assoluti, sarà un esempio da ricordare per la gente del luogo.
Che difatti all’arrivo di Anna, accolta da Immacolata con un affetto enorme, reagisce come se tornasse all’ovile un figlio lontano da troppo tempo, un figlio amato e che rappresenta per la comunità un esempio di continuità con il passato.
E la stessa Anna rimarrà stregata dal posto, dalla sua vita semplice,fatta di cose veramente importanti, lontana anni luce dal gelo e dalla pioggia del Canada, dalla sua vita opaca.
In più imparerà a conoscere finalmente quei genitori che troppo presto ha dovuto abbandonare.
Un film senza fronzoli, raccontato con una semplicità disarmante, un’arma che tanti registi dovrebbero scoprire,copiare.
E’ nella semplicità che alle volte ci si deve rifugiare se davvero si vuol dare messaggi degni di essere ricordati.
Mike Van Diem descrive una storia semplice con un’ironia bonaria, che alle volte muove il sorriso proprio per il suo disarmante candore, quello che nasce dal racconto di un uomo visto come un super eroe dalla gente del luogo.
Che in realtà è solo un uomo proveniente da un mondo diverso.
Con mano felice il regista assembla un cast di attori di eccellente livello, pronti a mettersi al servizio di una storia che aveva comunque delle insidie; l’agro dolce è sapientemente dosato e gli attori e le attrici vi si adeguano ottimamente.
Brava per esempio Ksenia Solo nella parte di Anna, volto acqua e sapone che ben si integra con la semplicità delle vicende raccontate e del paesino assolato che è il fulcro del racconto; molto bene anche Giorgio Pasotti (Piero),Donatella Finocchiaro (Chiara giovane),
Anneke Sluiters (Ria) e sopratutto una validissima Linda Vitale (Immacolata). Menzione d’onore per Giancarlo Giannini, guest star del film alle prese con il ruolo del bonario, bonario ispettore di polizia, chiamato a indagare su una morte che di certo non ha rattristato nessuno.
Molto belle le location con segnalazione del palazzo della Regione Puglia a Bari, sul Lungomare Nazario Sauro, utilizzato come banca nella sequenza nella quale Gauke va a ritirare il denaro ricavato dalla vendita dei suoi terreni in Olanda, sommersi da una disastrosa alluvione
a metà degli anni 50. Vorrei anche aggiungere una menzione d’onore per Gijs Naber (Gauke), espressivo e coinvolgente nella sua interpretazione e per il regista stesso, capace di raccontare una Puglia degli anni 70 le cui condizioni di vita erano davvero come mostrate nel film.
Non il solito luogo comune sul sud Italia,ma la dimostrazione che documentarsi serve sempre; la Puglia era davvero ospitale, sopratutto nell’entroterra, dove ancora vigevano valori pregnanti,come la solidarietà, l’accoglienza e l’amicizia.
Un film da vedere,assolutamente
Amore, Onore e una Bicicletta
Un film di Mike Van Diem. Con Ksenia Solo, Giancarlo Giannini, Gijs Naber, Donatella Finocchiaro, Lidia Vitale,Giorgio Pasotti, Peter Schindelhauer, Michele Venitucci, Anneke Sluiters, Elena Cantarone
Titolo originale Tulipani: Love, Honour and a Bicycle. Commedia, durata 100 min. – Paesi Bassi, Italia, Canada 2017
Ksenia Solo … Anna
Giancarlo Giannini … Catarella
Gijs Naber … Gauke
Donatella Finocchiaro … Chiara
Lidia Vitale … Immacolata
Giorgio Pasotti … Piero
Michele Venitucci … Vito
Totò Onnis … Lo Bianco
Anneke Sluiters … Ria
Regia Mike van Diem
Sceneggiatura Peter van Wijk e Mike van Diem
Musiche Jim McGrath e Ari Posner
Montaggio Jessica de Koning
Fotografia Luc Brefeld e Lennert Hillege
Production Design Harry Ammerlaan
Mazzabubù… Quante corna stanno quaggiù?
Allo stadio un uomo inveisce contro l’arbitro dandogli del cornuto;al suo fianco un uomo vestito di nero,che scopriremo essere una specie di presentatore di una serie di sketch che trattano il tema dell’adulterio,qui frettolosamente chiamato con il gergo popolare corna.gli chiede se la donna accanto a lui sia sua moglie,facendogli notare che lo sta tradendo sotto i suoi occhi.
“Che ci devo fare?Se la lascio a casa me li porta nel letto...” è la risposta dell’uomo.
Cambio di scena.
“Chi voleva ammazzare quello li?“chiede il presentatore.
-“A mojie.E chi sennò?Ha saputo de esser cornuto,ja menato e mo finisce pure a bottega (in carcere ndr.)“-
A rispondere è”Gigetto”,un passante che si diverte all’idea che il suo conoscente abbia pestato la moglie fedifraga.
In realtà il cornuto è lui…
Partono così una serie di scenette più o meno divertenti basate sul tradimento presunto,vero o inesistente.
Il primo episodio rilevante come lunghezza vede protagonisti Ciccio e Franco,due amici con un matrimonio in crisi ma fermi oppositori della legge sul divorzio;li vediamo partecipare ad un convegno (poco frequentato) sul tema della fedeltà coniugale,durante il quale Ciccio sogna donne nude che corrono in un bosco e Franco esporre un cartello “e le catene migliori le trovate da Ciccio e Franco-Tazze,lavandini e bidet”
Ai due viene proposto,per salvare il matrimonio,lo scambio delle coppie.
Ma le due mogli non si dimostreranno affatto comprensive e i due finiranno sui giornali additati al ludibrio pubblico come “Due turpi individui”
Corna,corna,corna.
Il tema è sempre lo stesso,anche nello sketch successivo,nel quale un uomo di una certa età scopre la moglie a letto con un altro;è un suo caro amico e amaramente gli fa notare che si fidava di lui e che lo trattava come un fratello.Indifferenti,i due amanti continuano nella loro opera e al marito cornuto non resta altro da fare che osservare in silenzio la scena.
Un critico d’arte (Luciano Salce) nello studio di un pittore si ostina a vedere la bellissima moglie ritratta in una tela del pittore stesso;nonostante quest’ultimo insista nel dire che la donna non ha posato per lui,il critico obbliga dapprima la moglie a spogliarsi e infine la spinge tra le braccia dell’incredulo pittore.
Breve lo sketch successivo,nel quale un uomo (Pippo Franco),nell’igloo di una esquimese,viene sedotto a viva forza da una bella moglie esquimese;al rientro il marito della donna litiga con la stessa perchè a suo modo di vedere non ha saputo intrattenere sessualmente l’ospite.
Incursioni nella storia antica;Minosse scopre l’infedeltà di sua moglie non appena nasce il Minotauro,chiaro segno dei costumi leggeri della stessa,i soldati del re Menelao,convinti che le mogli in loro assenza ne approfittino per tradirli rifiutano di partire per la guerra con Troia mentre un crociato affida ad un amico la chiave della cintura di castità della moglie;appena partito viene raggiunto dall’amico che lo informa di aver sbagliato chiave.
Questi più altri tre brevi sketch costituiscono l’ossatura di Mazzabubu quante corna stanno quaggiù,antenato dei film ad episodi che a partire dalla metà degli anni settanta avranno alterne fortune nelle sale cinematografiche.
A dirigerlo è Mariano Laurenti,pioniere della commedia sexy che negli anni successivi girerà commedie dai titoli divenuti famosi come Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda o La bella Antonia, prima monica e poi dimonia,L’insegnante va in collegio e La liceale nella classe dei ripetenti.
Qualche buona intuizione,poca volgarità,qualche fugace nudità delle belle attrici protagoniste del film e uno stuolo di attori davvero notevole per una pellicola gradevole che gioca con l’eterno tabù italico dell’infedeltà coniugale.Situazioni surreali e boccacesche si susseguono con ritmo discreto;il divertimento forse non è sempre garantito ma quanto meno siamo lontani dalle becere risate che negli anni successivi circonderanno il tema delle corna,uno di quelli più sfruttati nelle commedie sexy.
Carlo Giufrè e l’inossidabile duo Franchi-Ingrassia,Maurizio Arena e Luciano Salce,Pippo Franco e Lino Banfi,Renzo Montagnani e Giancarlo Giannini sono alcuni dei grandi nomi utilizzati nel film assieme alle bellissime Sylvia Koscina,Nadia Cassini (insolitamente con il sedere coperto),Maria Pia Conte,Rosemarie Dexter con cameo di Silvana Pampanini.
Un cast di grande spessore impegnato in una commedia senza grosse pretese,che ironizza sulla paura delle corna e sui costumi sessuali degli italiani.
Non c’è ovviamente alcuna intenzione di scavare e analizzare l’argomento,ma di coglierne solo l’aspetto grottesco,utilizzando il tema in chiave ironica e dissacratrice.
Il risultato è un film innocuo,che ha qualche felice momento ma che vivacchia fino al termine fidando più sulla bravura del cast che sui contenuti.
Tra gli episodi,poco incisivo quello con Franchi e Ingrassia (abbastanza inutile la presenza della Cannuli,nota presentatrice televisiva dell’epoca),mentre divertente quello con Salce.
Film pesantemente datato,ebbe tuttavia buoni risultati al box office.
Il film è disponibile all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=P9HGeD8QmpI in una discreta qualità digitale.
Mazzabubù… Quante corna stanno quaggiù?
Un film di Mariano Laurenti. Con Isabella Biagini, Mariolina Cannuli, Nadia Cassini, Carlo Giuffrè, Silvana Pampanini, Oreste Lionello, Enzo Turco, Michele Malaspina, Alfredo Rizzo, Riccardo Garrone, Ettore Manni, Giancarlo Giannini, Paolo Villaggio, Franco Giacobini, Daniele Vargas, Umberto D’Orsi, Luciano Salce, Lino Banfi, Sylva Koscina, Fausto Tozzi, Claudie Lange, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Renzo Montagnani, Pippo Franco, Maurizio Bonuglia, Gianna Serra, Guido Mannari, Sergio Leonardi, Rosemarie Dexter, Ugo Adinolfi Commedia, durata 91 min. – Italia 1971
Nadia Cassini: La moglie del tifoso
Carlo Giuffrè: Il presentatore
Guido Mannari: Il baciatore allo stadio
Sylva Koscina: La moglie del presentatore
Maurizio Arena: Maurizio
Franco Franchi: Franco Bello
Ciccio Ingrassia: Ciccio Merendino
Isabella Biagini: La moglie di Franco
Mariolina Cannuli: La moglie di Ciccio
Alfredo Rizzo: Il politico antidivorzista
Enrico Marciani: Ildirettore dell’hotel
Enzo Turco: L’amico di Gennarino
Luciano Salce: Il critico d’arte
Marilù Branco: Carla, moglie del critico d’arte
Lars Bloch: Il pittore
Claudie Lange: La moglie del commendator Bordiga
Umberto D’Orsi: Il commendator Bordiga
Pippo Franco: L’ospite eschimese
Gianna Serra: La moglie eschimese
Fausto Tozzi: Il marito eschimese
Riccardo Garrone: Agilulfo
Rosita Toros: La moglie di Agilulfo
Franco Giacobini: Boemondo
Ugo Adinolfi: Ugo
Lino Banfi: Il pizzicagnolo
Renzo Montagnani: Bepi, il contadino
Ettore Manni: Il medico fecondatore
Maria Pia Conte: La moglie del pizzicagnolo
Sergio Leonardi: Il venditore di enciclopedie
Giancarlo Giannini: Lucio
Rosemarie Dexter: Emma, moglie di Lucio
Silvana Pampanini: La “marchettara”
Maurizio Bonuglia: L’albergatore consolatore di Emma
Regia Mariano Laurenti
Soggetto Sandro Continenza
Sceneggiatura Sandro Continenza e Amedeo Sollazzo
Produttore Gino Mordini per Claudi Cinematografica
Distribuzione (Italia) Euro International Film
Fotografia Tino Santoni
Montaggio Giuliano Attenni
Musiche Roberto Pregadio
Scenografia Antonio Visone
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
B. Legnani
Mostra gli anni. Franco e Ciccio al loro peggio, certo non aiutati dalla Biagini e dalla Cannuli. Le cose migliori: una Koscina fantastica, Giuffrè composto, una Pampanini che fa la mignotta
con un’eleganza che le giovani del cast se la sognano, e tre grandi: Riccardo Garrone (sua moglie è la Torosh, splendida c.s.c.), Luciano Salce e Umberto d’Orsi. Nadia Cassini, forse per l’unica volta, non mostra il popò.
Ultima cosa: Sessomatto di Risi ha preso almeno un paio di idee dal film di Laurenti…
Undying 2
Sorta di proto-esemplare della commedia sexy all’italiana, che esploderà verso la metà degli anni ’70, siglata però da un nome che sarebbe diventato garanzia del genere: Mariano Laurenti.
Pur essendo poco incisivo per via di nudità appena esposte (siamo nel 1971) e per una comicità a volte blanda, rappresenta a suo modo un “unicum” per via di un cast di certo interesse
(e fors’anche preveggente: c’è pure Banfi) e per il motivo musicale (composto da Pregadio, quello della Corrida) che dà l’avvio alla serie di semplici, ma divertenti, episodi.
Il Gobbo
Collezione di sketch sul tema dell’adulterio, esile filo conduttore per un risultato diseguale. Fiato corto per lo più, ma ci sono gli acuti: in primis il grandioso Salce critico d’arte concettoso e vaniloquente,
poi Montagnani e D’Orsi alle prese con la fecondazione artificiale. Incomprensibile il doppiaggio di Tozzi nel più brutto degli episodi, con imitazione di Amedeo Nazzari. Da segnalare la canzoncina di Pregadio.
Homesick
Lo schema sarà adottato da innumerevoli commedie sexy degli anni a venire, ma le storielle su corna e cornuti qui presentate hanno la consistenza di barzellette da osteria, in taluni casi
(l’ospite esquimese, il guerriero crociato) assimilabili al decamerotico. Nella passerella dell’affollatissimo cast lasciano il segno il compìto presentatore Giuffrè, il critico d’arte Salce e il villico Montagnani
– gli unici a strappare qualche sorriso -, la marchettara Pampanini e l’appetitosa sposina Dexter.
Ciavazzaro
Non proprio indimenticabile pellicola, con perlomeno un cast interessante. Molto bravo Giuffrè nel ruolo del professore con la Koscina moglie che si rivelerà infedele (quasi una punizione divina: chi di corna ferisce…),
abbastanza scontato quello con Franchi e Ingrassia, bravissima la Pampanini. Gli episodi brevi invece sono molto scialbi (tra i protagonisti anche Pippo Franco). Nota d’onore per la c.s.c. Rosita Torosh.
Lovejoy
Mediocre progenitore della commedia sexy all’italiana, allora vietato ai minori. Rivisto oggi è decisamente superato. Composto da episodi (tutti peraltro dimenticabili) e diretto svogliatamente da un Laurenti che ha dato e
darà il meglio di sè in altre occasioni. Grande spreco di attori. Da Franchi e Ingrassia, chiaramente a disagio nei rispettivi personaggi, a Giuffrè, Salce e gli immancabili Montagnani, D’Orsi e Banfi. In definitiva, si può evitare tranquillamente.
Rambo90
Tipica commediaccia scollacciata anni ’70, composta da episodi messi insieme dal motivo comune delle corna. L’episodio migliore è quello con Franco e Ciccio, un po’ stupido ma ravvivato dalla bravura della coppia; seguono Giannini che parla un insolito dialetto bolognese
e un Montagnani in gran forma ma penalizzato dalla storia. Per il resto sono tutti mini sketch con vari assi della comicità, stupido ma godibile.
Stefania
Il cornuto inconsapevole, il cornuto contento, il cornuto per scelta, il cornuto per vocazione, il cornuto per destino genetico, persino il cornuto per errore…informatico: nessuna tipologia sfugge all’impeto classificatorio di Giuffrè,
nostro Virgilio in questo girone non proprio infernale, anzi spesso paradisiaco, di consorti adultere. L’umorismo non è mai sottile, talvolta è barzellettiero, ma dimostra una certa arguzia, soprattutto nel mettere alla berlina certe “pose” fintamente disinibite del maschio italiota. Elementare ma esemplare.
Panza
Ibrido malriuscito della futura (siamo nel 1971) commedia erotica all’italiana: in cabina di regia troviamo infatti Mariano Laurenti. Partecipano (quasi come star del film) Franchi e Ingrassia come protagonisti di una datatissimo episodio sullo “scambio” delle mogli (*).
C’è anche Salce nei panni di un critico che verra tradito in modo veramente surreale (*!). Insieme a questi troviamo episodi brevi che ben poco dicono (*). Bella la sigla. Media: *
Le sorelle
Diana lavora come traduttrice;ma il lavoro la stressa, così pianta tutto, sale su un treno e si avvia a incontrare sua sorella Martha che non vede da due anni.
L’incontro con Martha è affettuoso e tenero; la donna sembra felice, vive in una grande casa circondata dalle cose che desidera di più ed è sposata con Alex, che è l’uomo che ogni donna sogna. Pieno di attenzioni, delicato e innamorato di sua moglie, Alex è un coltivatore di fiori rari ed esotici.
Da subito però si capisce che tra Diana e Martha c’è qualcosa di inespresso, di sospeso nel passato: attraverso alcuni flashback intuiamo qualcosa di morboso, di ossessivo che Diana provava per sua sorella.
La sera, un altro indizio mostra che probabilmente la vita di Martha non è così felice come appare: durante un rapporto con Alex, la donna sembra quasi triste e inappagata, mentre l’uomo la guarda tristemente.
Ancora un flashback ci riporta al passato, ad una sera di pioggia in cui Martha, spaventata, si è rifugiata nel letto di Diana, che l’ha abbracciata e poco dopo baciata con sospetta passione.
L’indomani Alex, Diana e Martha vanno sulla spiaggia, lungo le rive della quale Martha scatta alcune foto; in una di esse però Diana sotto gli occhi della sorella bacia appassionatamente Alex, mettendo i coniugi in palese imbarazzo.
Nel frattempo Diana conosce Dario, il giovane cugino di Alex, che sembra molto colpito dalla donna, che invece non sembra affatto interessata alla corte che timidamente e in seguito apertamente, Dario le fa.
Martha intanto conferma che il quadretto idilliaco mostrato alla sorella ha almeno una profonda incrinatura;la donna infatti ha una relazione sessuale con il giardiniere della tenuta in cui vive, cosa della quale probabilmente Alex è a conoscenza.
Diana si sente sempre più attratta da sua sorella, forse agganciata a quel passato dal quale Martha è invece fuggita.
Alex inizia a sospettare che Diana non sia venuta solo per affetto verso sua sorella ed esterna la cosa a Dario, invitandolo a lasciare con lui le due donne da sole, in modo da permettere loro di chiarirsi.
Durante un drammatico colloquio, Martha rimprovera a sua sorella di averla cambiata in modo irreversibile e le confessa di esser scappata da lei per paura di ciò che si era creato fra di loro.
Finale intenso e drammatico.
Film cupo, caratterizzato da scarni dialoghi e lunghe inquadrature in cui a parlare sono i volti dei protagonisti, Le sorelle è un film di ottima fattura, ben recitato e sopratutto splendidamente fotografato.
Un film lento e introspettivo, senza accelerazioni, che trae la sua forza proprio dalla capacità delle due attrici protagoniste, le sorelle del titolo, che si guardano, cercano nei volti sentimenti e cose non dette, espressioni di stati d’animo che la mente alle volte non riesce a controllare.
Le sorelle, di Roberto Malenotti, può essere distinto in due parti ben precise; la prima, che dura per quasi tre quarti di film, che ci mostra attraverso un uso sapiente e non invasivo del flashback il morboso rapporto che Diana ha creato e Martha subito nel passato.
Un passato che le due donne si ritrovano ad affrontare e che Diana capisce essere diventato imbarazzante ed ingombrante nel presente di Martha, che scopriamo avere un rapporto profondo eppure non totale con Alex, uomo buono e gentile che probabilmente sa della relazione della moglie con il giardiniere e che pure tollera per amore.
Relazione che Martha ha probabilmente allacciato solo per trovare quel piacere sessuale che evidentemente non riesce a trovare completamente in e con Alex e che ha le sue radici nel rapporto proibito vissuto nel passato con Diana.
Che viceversa non solo non ha legami,ma che ha conservato in se il ricordo della passione proibita per Martha e dalla quale non può e non vuole scappare.
Il finale, drammatico e assolutamente coerente con quanto narrato porta a galla una verità che peserà fino all’ultima inquadratura del film.
Che ha un suo fascino, nonostante la lentezza e i dialoghi lasciati spesso interrotti, a tutto vantaggio delle espressioni, delle cose che si vorrebbero dire e delle cose non dette.
Le sorelle è il primo dei due lungometraggi diretti da Roberto Malenotti, che in seguito, a distanza di ben 15 anni dirigerà Cenerentola 80, un riadattamento dignitoso in chiave moderna della celebre favola dei fratelli Grimm.
In questo film Malenotti mostra buona mano e indubbia capacità di direzione degli attori, che del resto sono ottimi professionisti, a cominciare dalla fascinosa e enigmatica Nathalie Delon, che interpreta Diana per passare a Susan strasberg, bella e intensa protagonista nel ruolo di Martha.
Molto bene i due “maschietti” del cast, il rodato Massimo Girotti che è la consueta garanzia di recitazione sobria e inappuntabile e un giovane Giancarlo Giannini alle prese con il personaggio di Dario l’unico forse a non essere abbastanza approfondito.
Il film non delude;appaiono davvero ingenerose le critiche che molti hanno rivolto a questo film, che invece mostra molto garbo nel trattare un argomento scabroso come l’incesto suggerito tra le due sorelle senza usare minimamente il morboso, ne nelle scene ne con nudi che sarebbero apparsi una concessione ai guardoni delle’poca,
Ad avercene di film trattati con tale delicatezza, oggi.
Per quanto riguarda la reperibilità, purtroppo non o trovato versioni in italiano sulla rete, ma sul mulo è disponibile una splendida versione in divx con dei colori praticamente perfetti e un audio unico, una delle cose migliori nelle quali sono incappato ultimamente.
Le sorelle
Un film di Roberto Malenotti. Con Giancarlo Giannini, Massimo Girotti, Nathalie Delon, Susan Strasberg,Lars Block, Attilio Dottesio Drammatico, durata 91 min. – Italia 1969
Susan Strasberg: Marta
Nathalie Delon: Diana
Massimo Girotti: Alex
Giancarlo Giannini: Dario
Regia:Roberto Malenotti
Soggetto Renzo Maietto Alex Fallay
Distribuzione:Euro International Film
Sceneggiatura Brunello Rondi Roberto Malenotti
Fotografia Giulio Albonico Sebastiano Celeste (operatore)
Musiche Giorgio Gaslini
Montaggio Antonietta Zita
Scenografia Luciana Marinucci
Arredamento Giorgio Bertolini
Costumi Luciana Marinucci
L’opinione di Il gobbo dal sito http://www.davinotti.com
Spalleggiato da Rondi, Malenotti vorrebbe antonioneggiare, se non addirittura bergmaneggiare. Ma non è roba per lui e rimane in superficie. Una superficie pregevole, però, di ottima resa figurativa e con discrete atmosfere, sebbene di quando in quando rovinate da sciocchezzuole (tipo il rasoio elettrico col filo più lungo della storia del cinema). Molto bella la Delon. Passabile.
L’opinione di Il koreano dal sito http://www.davinotti.com
Se i primi dieci minuti possono definirsi la materializzazione di un colpo di genio, non altrettanto si può dire dei rimanenti novantanove: un fotoromanzo dai colori intensi, in cui la psicologia dei quattro personaggi protagonisti va a farsi benedire per lasciar spazio ad una scadente morbosità da libro erotico. Un punto di partenza per il giovane Giannini e un punto d’interruzione per Malenotti, che rimarrà inattivo per circa quindici anni. Notevole, a tratti, il commento musicale di Gaslini.
L’opinione del sito http://www.imilleocchi.com
Azzardiamo un’attribuzione a Brunello Rondi, per una proiezione che vuole inserirsi nella riscoperta a tappe del regista, anche in occasione dell’uscita di un volume cui abbiamo collaborato. Questo film con la splendida accoppiata di Susan Strasberg e Nathalie Delon è tutto fuorché quel banale pre-soft che a molti apparve. La musica di Giorgio Gaslini ben lo lega alla coeva regia Le tue mani sul mio corpo e indica che Rondi era anche qui più che solo sceneggiatore. Viatico alle successive tappe di una serie “erotica”, esige che l’opera dell’autore si sottragga agli equivoci (compreso quello dei recuperi trash).
La prima notte di quiete
Valerio Zurlini è stato uno dei registi più delicati e poetici della cinematografia italiana.
La morte lo ha colto nel 1982 a soli 56 anni, quando era nel pieno della maturità artistica e stranamente era assente dal cinema da diverso tempo.
La prima notte di quiete, da lui diretto nel 1972, è un film di straordinaria intensità e drammaticità, girato come un noir esistenzialista che sembra andare oltre gli schemi rigidi di un genere abbracciandone diversi e trasformatosi nel corso degli anni a venire in un vero e proprio cult indicativo di un’epoca in cui registi coraggiosi non avevano alcuna paura a mettere in scena temi scomodi o pericolosi dal punto di vista commerciale.
Questo film è un viaggio introspettivo e attento alla ricerca di un uomo che sembra scampato suo malgrado all’affondamento di una nave nella quale era imbarcato come passeggero solitario e assente, quasi un’ombra scampata già in precedenza a qualcosa di indefinito e misterioso che lo ha segnato per sempre.
Alain Delon e Lea Massari
Un viaggio fatto con perizia, attraverso immagini delicate e malinconiche, avvolte in una sottile nebbiolina che sembra simboleggiare un passato sconosciuto e un divenire che seguiamo con interesse mentre osserviamo il professor Daniele Dominici lasciarsi vivere in una Rimini tetra e uggiosa, popolata da un’umanità a tratti insopportabile nei suoi difetti e nelle sue alienazioni.
Chi è Daniele?
E’ un post sessantottino, a giudicare dal look trasandato.
Oppure è un seguace di Beaudelaire e di Rimbaud, visto che gira sempre infagottato in un cappotto, ha la sigaretta tra le labbra dalla quale sembra non aspirare, ha la barba lunga di qualche giorno e l’aspetto triste e malinconico.
Insegna letteratura, e tra i suoi alunni l’unica ad incuriosirlo perchè un po gli assomiglia è l’enigmatica e sfuggente Vanina.
Alida Valli
L’approccio di Daniele con la società riminese è quanto di più superficiale possa esistere: si limita a frequentare un gruppo che divide le sue nottate tra gioco d’azzardo e droga, tra alcool e interminabili sedute al tavolo verde in fumose stanze.
Del gruppo fanno parte l’amante di Vanina, Gerardo Pavani, un piccolo gangster e Giorgio, uomo sensibile e colto che maschera i suoi pregi dietro una patina di superficialità.
Tra Daniele e Vanina poco alla volta sembra nascere qualcosa; i due condividono la passione per l’arte e sentono fortissima l’attrazione reciproca.
Una sera, a casa di Giorgio, per rompere la noia viene proiettato un filmino amatoriale nel quale la protagonista è Vanina.
La ragazza è ripresa nei momenti di una sua vacanza a Venezia; ad un certo punto, nel filmino, compare la ragazza completamente nuda e a questo punto Vanina interrompe la proiezione e scappa via.
Invano Daniele la cerca in classe e fuori. La ragazza sembra svanita nel nulla.
La cerca a casa sua dove incontra la madre, una donna dura come l’acciaio che l’invita perentoriamente a scordarsi sua figlia e contemporaneamente mette in crisi il rapporto che lo lega a Monica, la donna che per dieci anni lo ha seguito ed amato arrivando ad abbandonare la famiglia per lui.
Lea Massari
Daniele è anche un mistero per Giorgio, l’unico che sembra legato a lui da un rapporto d’amicizia;quando Giorgio rinviene casualmente una raccolta di poesie di Daniele dedicate ad una ragazza morta suicida, chiede all’amico il perchè del titolo della raccolta stessa, La prima notte di quiete.
Evasivamente, Daniele risponde che La prima notte di quiete è quella in cui finalmente si dorme sereni, senza sogni.
Alla fine è Vanina a mettersi in contatto con lui.
I due trascorrono una notte d’amore in una casa in riva al mare, dove però giunge Gerardo.
L’uomo per vendicarsi racconta il sordido passato di Vanina: la ragazza veniva venduta da sua madre a clienti facoltosi e fra i suoi amanti c’erano anche le donne del gruppo frequentato da Gerardo e Giorgio.
Daniele scopre di amare quella ragazza sfortunata e progetta la fuga con lei.
Ma è destino che le cose debbano andare in maniera molto differente.
Il finale è ovviamente drammatico, così come drammatico è lo svolgimento della storia e drammatica è la vicenda umana di Vanina, una ragazza dal passato terribile.
Vittima di una madre degenerata e di un gruppo di depravati, Vanina a perso molte delle illusioni e la sua ingenuità in età giovanile, in quell’età in cui si coltivano sogni che purtroppo l’alba dissolverà impietosamente.
La scoperta del passato della ragazza è una delle chiavi di volta del film, anche se non la più importante.
Il personaggio centrale è comunque Daniele, l’uomo dal passato oscuro che serba sorprese all’amico Giorgio in un finale in cui finalmente la sua figura emerge dalla nebbia per restituirci la sua autentica dimensione.
Non voglio parlare proprio del finale, lasciando allo spettatore il compito di seguire fino alla fine il percorso umano di Daniele, che alla fine si staglia su tutto nella sua esatta dimensione umana.
Se la figura di Vanina poco a poco scompare, lasciando spazio proprio alla vicenda umana di Daniele, vediamo apparire sullo sfondo il ritratto di una società provinciale sordida e amorale.
Così la vicenda umana di Daniele incrocia fatalmente la Rimini dei vitelloni nullafacenti, impegnati in serate vuote e vacue come i loro discorsi.
E’ una Rimini viziosa e oziosa, quella della buona società.
Una società in cui valori fondamentali come amicizia e rispetto sono cose senza pregio alcuno, in cui dominano i personali egoismi e le meschinerie, l’appagamento del proprio ego e delle proprie depravazioni.
Daniele attraversa come un fantasma la vita delle due principali istituzioni sociali, ovvero la scuola e le relazioni pubbliche.
Agli studenti insegna senza entusiasmo, quasi disilluso sia dal suo ruolo sia dalla responsabilità di dover trasmettere il sapere a dei giovani che sembrano interessati ad altro mentre nella vita mondana è attorniato da persone che non stima, fatta eccezione per Giorgio.
Ma anche Daniele ha da farsi perdonare e lo scopriamo man mano che la storia segue i binari paralleli del suo quotidiano; il rapporto con Monica, la sua donna, finisce per lacerarsi senza un vero perchè. Forse è monotonia, forse è il nuovo amore per Vanina, fatto sta che anche lui non si esime dall’atto moralmente riprovevole di tradire la sua donna.
La vita di Daniele, quella di Vanina, quella di Giorgio e degli altri: vite vissute all’ombra di una cittadina, Rimini, malinconicamente immersa in un’atmosfera addormentata e molle.
Una Rimini uggiosa e plumbea in perfetta linea con i caratteri dei personaggi.
In perfetta sintonia con la storia raccontata.
Su questo film di Zurlini ci sarebbe da dire ancora tantissimo, tante sono le riflessioni che pone la storia e il percorso umano di Daniele.
Il regista bolognese crea un film indimenticabile costruito abilmente anche nel cast, che vede una maiuscola prestazione attoriale da parte di Alain Delon.
L’attore francese è nel periodo migliore della sua carriera; ha appena interpretato il personaggio di Jean nello splendido noir francese L’evaso e di li a poco avrebbe interpretato film di ottimo livello come L’assassinio di Trotzky, Due contro la città e Toni Arzenta.
Delon dimostra ancora una volta di essere un grande attore, particolarmente a suo agio nei ruoli drammatici, dando vita alla caratterizzazione tutt’altro che semplice di Daniele.
Al suo fianco, la quasi esordiente Sonia Petrova che interpreta Vanina.
L’attrice francese è una piacevole sorpresa, anche se la sua carriera successiva non la valorizzerà quanto avrebbe meritato.
Nel cast troviamo un ottimo Giancarlo Giannini nel ruolo dell’amico Giorgio, una intensa e sempre affascinante Lea Massari nel ruolo di Monica, la solita sicurezza rappresentata da Adalberto Maria Merli nei panni di Gerardo e ancora due grandissimi come Salvo Randone e Alida Valli.
Piccole parti per alcune attrici che avranno una discreta visibilità nel corso degli anni successivi, ovvero Olga Bisera, Patrizia Adiutori, Krista Nell e la brava Nicoletta Rizzi.
Il tema portante del film è la splendida Domani è un altro giorno di Ornella Vanoni, mentre sicuramente affascinanti sono le musiche di Nascimbeni.
La prima notte di quiete è un grandissimo film che trasmette emozioni; in una personalissima classifica tra i primi venti film italiani di sempre lo inserirei senza dubbio alcuno.
La prima notte di quiete
Un film di Valerio Zurlini. Con Giancarlo Giannini, Alain Delon, Lea Massari, Alida Valli, Renato Salvatori, Adalberto Maria Merli, Sonia Petrova, Salvo Randone, Sandro Moretti, Krista Nell, Fabrizio Moroni, Nicoletta Rizzi, Roberto Lande, Patrizia Adiutori, Carla Mancini Drammatico, durata 132 min. – Italia 1972.
Alain Delon: Daniele Dominici
Sonia Petrova: Vanina Abati
Giancarlo Giannini: Dott. Giorgio Mosca, detto “Spider”
Lea Massari: Monica, compagna di Dominici
Adalberto Maria Merli: Gerardo Pavani
Salvo Randone: il preside
Alida Valli: Marcella Abati
Renato Salvatori: Marcello
Nicoletta Rizzi: Elvira
Regia Valerio Zurlini
Soggetto Valerio Zurlini
Sceneggiatura Enrico Medioli, Valerio Zurlini
Produttore esecutivo Averroè Stefani
Casa di produzione Mondial TE.FI., Roma – Adel Films (Alain Delon), Parigi
Distribuzione (Italia) Titanus
Fotografia Dario Di Palma
Montaggio Mario Morra
Musiche Mario Nascimbene
Scenografia Enrico Tovaglieri
Costumi Luca Sabatelli
Trucco Amato Garbini
Il flano del film
La bellissima copertina della soundtrack del film
La locandina della versione spagnola del film
L’innocente
L’innocente, tratto dall’omonimo romanzo di Gabriele D’Annunzio, è l’ultima opera cinematografica di Luchino Visconti.
Diretto nel 1976, il film è una trasposizione abbastanza fedele del romanzo, fatte salve alcune significative differenze tra i personaggi letterari e quelli cinematografici oltre ad una diversa interpretazione del grande maestro milanese che morì prima di vedere il suo film nella stesura definitiva.
Infatti Visconti, colpito da un ictus poco prima del montaggio definitivo non ebbe modo di vedere la sua opera come venne poi presentata al pubblico e per quanto se ne sa non rimase affatto contento di ciò che aveva realizzato.
Sarà la sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico ad approvare la versione che venne poi proiettata al Festival di Cannes del 1976, proprio nell’anno del trionfo di Brutti sporchi e cattivi di Scola.
Un film che quindi Visconti non amò particolarmente.
E che non ebbe nemmeno tanti estimatori tra i critici, che rimproverarono al Maestro l’aver scelto di ignorare parzialmente l’aria di decadentismo che permea il romanzo di D’Annunzio, quella messa in scena della fine della nobiltà e del mondo altero e distaccato di quelli che erano gli ultimi rampolli dell’italica nobiltà, destinati di li a poco a essere spazzati via dalle tragedie che si abbatterono sull’Italia subito dopo la fine della prima guerra mondiale.
L’Innocente è ambientato sul finire del 1800, esattamente nel 1891, sotto il regno di Umberto I° che 9 anni più tardi sarà stato ucciso da Bresci; narra le vicende del nobile Tullio Hermil, un aristocratico arrogante con tutti i difetti della sua casta che ha una relazione con la contessa Teresa Raffo pur essendo sposato con le remissiva e dolce Giuliana.
L’uomo approfitta a mani larghe del carattere docile della moglie sbandierando pubblicamente la sua relazione con l’affascinante Contessa; ma al ritorno da un viaggio Tullio scopre che Giuliana ha una relazione con Filippo D’Arborio, un giovane ed affascinante studioso che ha fatto breccia nel cuore della donna.
Laura Antonelli
Tullio, più per vanità ferita che per amore, tenta di riconquistare la moglie ma scopre che la stessa aspetta un figlio da Filippo; il letterato scompare improvvisamente per una breve e fulminante malattia lasciando Giuliana di fronte ad una scelta difficilissima, tenere o no il frutto della relazione proibita con il giovane.
La donna decide di non abortire e allevare quel figlio frutto di una breve passione, suscitando in Tullio una gelosia morbosa che si rivolge contro il frutto del peccato, il piccolo nascituro.
La sera della vigilia di Natale Tullio da sfogo all’odio represso lasciando il piccolo esposto al vento freddo della notte, causando così la sua morte.
Per Giuliana è un dramma, aggravato dalla consapevolezza della responsabilità del marito nell’accaduto.
Tullio, abbandonato dalla moglie, si consola tra le braccia di Teresa alla quale racconta gli avvenimenti; la donna ascolta impietrita e ……
L’innocente è un film raffinato e patinato, tecnicamente riuscito ma poco coinvolgente.
I personaggi che si muovono nel dramma famigliare e che si stagliano solo marginalmente nell’atmosfera corrotta moralmente dell’aristocrazia lombarda non suscitano emozioni, tanto sono lontani dalla vita dell’uomo comune.
Jennifer O’Neill
E’ un dramma aristocratico che si svolge fra case lussuose e vestiti elegantissimi, tra famiglie abituate a tutti gli agi e alle comodità più totali, quindi non appartengono alla nostra vita.
E non sono nemmeno un modello di riferimento per le ambizioni di nessuno, proprio perchè i personaggi e gli ambienti mancano di qualsiasi scrupolo morale o di qualsiasi valore di riferimento.
Tullio o Giuliana, Teresa o gli aristocratici protagonisti non suscitano alcuna simpatia, fatta eccezione ovviamente per il piccolo innocente protagonista del dramma finale.
Parlavo di dramma finale non a caso; per lunga parte del film, assistiamo alle vicende umane della gente che si muove sullo schermo senza provare alcuna emozione nei loro confronti che non sia quella del disprezzo per gente senza valori pregnanti, impegnata in dialoghi futili o in operazioni del vivere quotidiano improntate al massimo dell’inutilità. Un tema che Visconti (che non dimentichiamo era un nobile) aveva già affrontato in opere come La caduta degli dei o Gruppo di famiglia in un interno, film nei quali il mondo snob e fuori dalla realtà dei nobili viene rappresentato come un’elite avulsa dalla realtà, preda di passioni deleterie come la soddisfazione del proprio ego, l’accumulo spasmodico di ricchezze finalizzate all’aumento del proprio prestigio e potere oppure come un gruppo di persone in cui la morale è poco più di una fastidiosa appendice.
Ma se nei due film citati il discorso di Visconti è più omogeneo e duro, in L’innocente siamo di fronte ad un’operazione più di facciata che di sostanza.
Così come gli unici punti di contatto tra il decadentismo raffinato e indolente di D’Annunzio e quello sociale, morale e di calsse tante volte messo all’indice da Visconti si tramuta solo in una raffigurazione visiva molto elegante ma anche molto fredda.
Per quanto riguarda il cast, le prestazioni dei vari interpreti risentono moltissimo del freddo glaciale che si respira nel film e sopratutto della mancanza di simpatia assoluta che ispirano.
Per quanto tutti facciano il loro dovere con professionalità, è indubbia una certa difficoltà da parte di alcuni di loro nell’esprimere la personalità poco più che abbozzata dei protagonisti del film.
Poco più che sufficiente Giannini, sufficiente la bellissima Antonelli che appare però spaesata, quasi che il personaggio-vittima di Giuliana fosse agli antipodi alle sue corde recitative.
Meglio se la cava Jennifer O’Neill, la sofisticata Contessa che l’attrice di origini irlandesi/ispaniche interpreta con classe; la sua eleganza aristocratica, la sua bellezza altera si prestano perfettamente al personaggio di Tersa Raffo, amante di Tullio che alla fine resterà inorridita dal crimine mostruoso commesso dall’amante stesso.
Discreto Marc Porel nel ruolo di Filippo, bene due grandi artisti come Girotti e la Morelli.
Lodi alla fotografia di Pasqualino De Santis e alle scenografie di Mario Garbuglia, mentre le musiche sono prese da opera di Chopin, Lisz e Mozart e a mio parere sono una delle cose migliori del film.
L’innocente
Un film di Luchino Visconti. Con Giancarlo Giannini, Laura Antonelli, Jennifer O’Neill, Rina Morelli, Massimo Girotti. Didier Haudepin, Marie Dubois, Roberta Paladini, Claude Mann, Marc Porel, Marina Pierro, Christine Pascal, Didier Haudepin, Philippe Hersent, Elvira Cortese, Siria Betti, Enzo Musumeci Greco, Margherita Horowitz, Riccardo Satta, Vittorio Zarfati, Alessandra Vazzoler, Alessandro Consorti, Filippo Perego Drammatico durata 129 min. – Italia 1976
Giancarlo Giannini: Tullio Hermil
Laura Antonelli: Giuliana Hermil
Jennifer O’Neill: Teresa Raffo
Rina Morelli: Madre di Tullio
Massimo Girotti: Conte Stefano Egano
Didier Haudepin: Federico Hermil
Marie Dubois: La Principessa
Roberta Paladini: Miss Elviretta
Claude Mann: Il Principe
Marc Porel: Filippo d’Arborio
Regia Luchino Visconti
Soggetto Gabriele D’Annunzio (romanzo)
Sceneggiatura Suso Cecchi D’Amico, Enrico Medioli, Luchino Visconti
Produttore Giovanni Bertolucci
Casa di produzione Rizzoli Film, Les Films Jacques Leitienne, Paris
Fotografia Pasqualino De Santis
Montaggio Ruggero Mastroianni
Musiche Chopin, Gluck, Liszt, Mannino, Mozart
Scenografia Mario Garbuglia
Andare davanti al giudice e dirgli: «Ho commesso un delitto. Quella povera creatura non sarebbe morta se io non l’avessi uccisa. Io, Tullio Hermil, io stesso l’ho uccisa».
Giancarlo Giannini interpreta il personaggio di Tullio
Giannini, Visconti e la Antonelli in una pausa della lavorazione del film
Jennifer O’Neill interpreta Teresa
Laura Antonelli è Giuliana
Luchino Visconti e la O’Neill
Lobby card del film
I picari
Su una galera che naviga per rotte sconosciute facciamo conoscenza con due personaggi pittoreschi: Lazzarillo de Tormes e Guzman de Alfarache.I due, legati allo stesso remo, si raccontano le vicissitudini che li hanno portati a condividere lo stesso destino. Lazzarillo de Tormes, nato in una famiglia numerosa e poverissima, con una madre costretta a prostituirsi per procacciare cibo ai numerosi figli, è stato ceduto dalla famiglia ad un mendicante cieco e furbissimo.L’uomo ha insegnato a Lazarillo tutti i trucchi per sopravvivere di espedienti e carità, ma alla fine viene beffato dal giovane aiutante, stanco delle sue angherie e della sua avarizia. Guzman de Alfarache non ha conosciuto la miseria, perchè suo padre era un artigiano di valore, un orologiaio molto apprezzato ma con un vizio, quello del gioco.
Esperto giocatore di dadi, l’uomo viene sorpreso a barare e finisce così impiccato.Accolto in una famiglia nobile come “coadiuvante pedagogico”, Guzman scopre a sue spese di essere caduto dalla padella nella brace.Il suo compito infatti consiste nel subire le punizioni in loco del rampollo ignorante e maleducato della nobile famiglia.Stanco dei soprusi, Guzman scappa; così ritroviamo i due avventurieri legati al remo della galera, che li sta trasportando verso un oscuro destino.
Claudio Bisio, il capo degli ammutinati
Ma il caso vuole che l’equipaggio dei galeotti di bordo decida di ammutinarsi e cosi dopo rocamboleschi colpi di scena Lazarillo e Guzman vengono scaraventati fuori dalla nave e approdano miracolosamente su una spiaggia.Dopo un’altra avventura, in cui riescono con l’inganno a farsi liberare da un fabbro dalle catene che li imprigionavano, i due avventurieri inseguiti dalle locali guardie finiscono per dividere le proprie strade.Cosi Guzman va a servizio di un nobile ridotto in miseria, che verrà incarcerato per debiti mentre Lazarillo più fortunato diventa un attore, lavoro grazie al quale può permettersi di girare con un ricco abito utilizzato per le scene.I due amici si reincontrano e grazie all’abito di Lazarillo truffano un gioielliere e con i proventi della truffa acquistano una prostituta con l’intenzione di cederla di volta in volta in cambio di denaro.
Ma Rosario, la prostituta, si concede solo a chi le garba così alla fine diventa motivo di discussione tra i due amici con conseguente lite finale e nuova separazione dei loro destini.Che però sono fatalmente destinati a incrociarsi: Lazarillo diventa assistente del boia e un giorno si trova davanti l’amico Guzman condannato a morte per omicidio.Con un ennesimo colpo di teatro, Lazarillo riesce a far liberare Guzman, facendo impiccare in vece sua un povero ladro, mentre allo stesso Guzman Lazarillo taglia la mano, pena riservata ai ladri.Nel finale, troviamo ancora una volta i due amici impegnati nel furto di latte da un pastore che pascolava il suo gregge di pecore.
A distanza di 21 anni dal capolavoro L’armata Brancaleone, Mario Monicelli riprende l’atmosfera del film medioevale trasportandolo in un’ambientazione spagnoleggiante di ispirazione picaresca, prendendo spunto dal romanzo di autore ignoto Lazarillo De Tormes, ambientato nel 1500. Questa volta i protagonisti non sono gli straccioni dal linguaggio ameno che attraversano un’Italia ignorante e popolata da gente superstiziosa, bensi due avventurieri che si imbarcano in imprese grottesche, quasi tutte condannate a fallire miseramente.I due protagonisti, Lazarillo e Guzman, hanno appreso dalla strada l’arte di arrangiarsi e tentano di mettere a frutto quanto imparato, sempre però con alterne fortune.
Non sono affatto due anime candide, come per esempio era il Brancaleone da Norcia protagonista dell’Armata Brancaleone, quanto piuttosto due simpatici gaglioffi che la vita ha costretto ad un’esistenza da vagabondi.Se per Lazarillo la scuola del vecchio mendicante ha avuto una funzione preminente facendolo diventare furbo e scaltro, per Guzman la morte ingloriosa del padre ha funzionato solo come detonatore di un’improvvisa libertà che il giovane non ha saputo ne potuto sfruttare, finendo per incontrare Lazarillo al remo di una galera che li conduce verso una sorte ignota.
I due compagni finiscono così per attraversare in lungo e in largo la Spagna, sempre inseguiti o dalle guardie o perseguitati da un destino infausto. E si imbattono nel corso della loro vita, in personaggi altrettanto “sfiagti”, come il Marchese Felipe de Aragona incontrato da Guzman che per poter mettere sotto i denti qualcosa è costretto a fare due volte la comunione o come il mendicante cieco che diventa la guida cattiva e cinica di Lazarillo. La galleria dei personaggi incontrati dal duo è ampia e variegata e passa dal precettore che picchia Guzman in loco del pargolo nobile ciuco e maleducato fino al gioielliere che i due truffano prima di venire truffati a loro volta da un vecchio ruffiano che rifila loro la bella Rosario, prostituta che va solo con chi piace a lei.
Vittorio Gassman è il Marchese Felipe de Aragona
L’allestimento artistico del film, ovvero il cast che lavora in questa pellicola è di assoluto prim’ordine; si va da Nino Manfredi, cieco e truccato quasi come nel film di Scola Brutti sporchi e cattivi che da vita ad un personaggio a tratti ributtante, ovvero il mendicante spilorcio e cattivo che però funziona da guida verso la vita dura del picaro per il giovane Lazarillo, passando per Vittorio Gasmann sobrio e dolente nei panni del nobile Felipe de Aragona, che alle guardie incaricate di arrestarlo presenta i suoi averi, una brocca, una ciotola e un pitale.Naturalmente poi ci sono i due veri protagonisti: Enrico Montesano nel ruolo di Lazarillo e Giancarlo Giannini in quello di Guzman.
A sinistra Enrico Montesano, Lazarillo
Entrambi lavorano bene mostrando un affiatamento che nell’economia del film si rivelerà prezioso; nessuno dei due tenta di prevalere sull’altro e lo spettacolo è assicurato. Merito anche del resto del cast, nel quale troviamo attori del calibro di Paolo Hendel, il precettore leggermente sadico del nobile rampollo e Claudio Bisio, il capo degli ammutinati della galera, il grande Bernard Blier nel ruolo del magnaccia e Giuliana De Sio in quella della prostituta Rosario, che mostra abbondantemente le sue grazie il che è davvero un bel vedere. C’è spazio anche per Vittorio Caprioli nel ruolo del bandito Mozzafiato e per Enzo Robutti in quello del comandante della galera che subirà l’ammutinamento.Segnalazione per la particina di Sabrina Ferilli che interpreta la figlia del magnaccia che vende Rosario. Se I Picari non è un capolavoro lo si deve solo ad una certa discontinuità del film, che manca di omogeinità e che sembra più affidato a degli sketch improvvisati dal duo Montesano- Giannini che ad un percorso più organico della pellicola.
Nino Manfredi, il mendicante cieco
Tuttavia il maestro Monicelli sorprende ancora con un opera affascinante e divertente in maniera misurata, alla luce sopratutto del mezzo fiasco di critica e di pubblico rimediato con Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (1984) che farà da preludio a quel gioiello che è Speriamo che sia femmina (1986), che sarà il lavoro precedente a questo film.Monicelli è un maestro, un grande regista, capace di amalgamare alla perfezione i cast pur in presenza di soggetti difficili come il romanzo Lazarillo De Tormes, dal quale il regista si discosta parecchio. Il romanzo infatti, narrato in prima persona dal protagonista, racconta la vita errabonda del giovane Lazzarillo nella Spagna di Carlo V prima di accasarsi felicemente con la serva di un vinaio, che dividerà con il vinaio stesso. Monicelli introduce quindi il personaggio di Guzman, che appare leggermente meno furbo e cinico di quello di Lazarillo, forse perchè di estrazione piccolo borghese la dove l’amico viene dal proletariato più povero e indigente.Questo contrasto lo si avverte nel film, e nel finale sarà proprio Guzman a pagare il prezzo più alto, sfuggendo all’impiccagione ma non al taglio della mano, operato dallo scaltro Lazarillo che però così gli salverà la vita.In definitiva, un buon film che mostra come il cinema italiano degli anni ottanta vivesse purtroppo solo delle performance dei grandi registi come Monicelli, probabilmente il più grande interprete della cinematografia italiana.
I picari, un film di Mario Monicelli. Con Giancarlo Giannini, Enrico Montesano, Giuliana De Sio, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Bernard Blier, Paolo Hendel, Cristina Marsillach, Sabrina Knaflitz, Maria Luisa Armenteros Gonzales, Maria Casanova, Juan Carlos Naya, Claudio Bisio, Sabrina Ferilli, Blanca Marsillach, Vittorio Caprioli, German Cobos, Sal Borgese, Aldo Sambrell, Enzo Robutti, Jesus Guzman, Donatella Ceccarello. Commedia, durata 128 min. – Italia 1987.
Giancarlo Giannini: Guzman de Alfarache
Enrico Montesano: Lazarillo de Tormes
Vittorio Gassman: Marchese Felipe de Aragona
Nino Manfredi: il mendicante cieco
Giuliana De Sio: la prostituta Rosario
Bernard Blier: il magnaccia
Paolo Hendel: il precettore
Vittorio Caprioli: Mozzafiato
Enzo Robutti: Capitano della nave
Blanca Marsillach: Ponzia
Maria Casanova: Donna incinta
Juan Carlos Naya: Venditore di ceramiche
Claudio Bisio: il capo dei rematori ammutinati
Salvatore Borghese: il nostromo
Sabrina Ferilli: giovane prostituta figlia del protettore
Regia Mario Monicelli
Soggetto Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Suso Cecchi d’Amico, Mario Monicelli, dal romanzo spagnolo Lazarillo de Tormes (1554)
Sceneggiatura Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Suso Cecchi d’Amico, Mario Monicelli
Produttore Giovanni Di Clemente
Casa di produzione Clemi Cinematografica, Producciones Cinematograficas Dia
Distribuzione (Italia) Warner Bros. Italia
Fotografia Tonino Nardi
Montaggio Ruggiero Mastroianni
Musiche Lucio Dalla e Mauro Malavasi
Scenografia Enrico Fiorentini
Costumi Lina Nervi Taviani
Trucco Manuel Martín, Mario Scutti
Le recensioni appartengono al sito http://www.davinotti.com
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Film apprezzabile per l’ottima (e verosimile) resa ambientale, scenografica e di costume dell’italia picaresca del ‘500, affidata alla maestria e al grande mestiere di Mario Monicelli in una delle sue ultime grandi produzioni cinematografiche. Il film è meno valido sul versante della sceneggiatura fatta più di spezzoni e singoli episodi e poco organica, difetto tuttavia che si tende a dimenticare a causa delle performances molto buone di gran parte del cast.
Due picari vagano per la Spagna combinandone di tutti i colori. A vent’anni da Brancaleone, Monicelli torna a filmare un’epoca storica reinventata, con immutato gusto della rivisitazione e spirito guittesco. Qui però l’invenzione non va oltre la serie di sketch comici e le storielle da commedia all’italiana trasferita in costume. Insomma, operazione non riuscita in un film troppo lungo e senza nerbo, che ha l’unico pregio di scorci visivi del tardo 500 spagnolo. Il resto è buon mestiere senza anima.
Con tutti questi attori, guidati da un valido regista, ci si poteva aspettare di più. Il film non è male, ma non tutto funziona (la parte con la De Sio, per quanto generosamente svestita, è un po’ troppo tirata); e nonostante l’indiscussa bravura di Giannini e Montesano, la pellicola finisce per trascinarsi un po’, anche se ha i suoi buoni momenti (il mendicante Manfredi, la fregatura dei cannoli e il pappone a gestione familiare). Sicuramente vedibile, ma poteva essere meglio.
Forse l’ultimo grande film di un grande regista. Ottima prova di Montesano e Giannini, ma sarebbe da citare tutto il cast… Monicelli riesce a dare l’idea di un intero periodo, tra miseria, fame e guerra, non dimenticandosi però di far ridere con zampate di quelle che si ricordano. Infatti la difficile miscela tra le parti “serie” e quelle più prettamente da commedia all’italiana è molto ben riuscita. Sicuramente un film da vedere.
Ma Lazzarillo de Lormes non era spagnolo? E allora perché si senton diversi mortacci? Una coppia di attori in buona vena, ma il film è di quelli della senilità di vari autori; cioè, si sente odore di set e si vede che le comparse son comparse. Riciclata la gag delle paste de Il mattatore (qui son cannoli). La De Sio sfodera un derrière da urlo, ma dura poco. Un film stanco, riscattato da qualche guizzo simpatico.
La confezione è notevole con i costumi, le scenografie e l’ambientazione curatissimi. Quando apriamo il pacchetto però ci accorgiamo che dentro non c’è molto oltre alle disavventure seriali dei due protagonisti che, peraltro, tra loro si sposano abbastanza bene. I flashback iniziali servono solo a proporci un Manfredi cieco mendicante e l’Hendel precettore manesco e a conti fatti di tutto il film quello che resta di più è la comparsata di Gassman nobile decaduto. Tanto fumo ma poco arrosto…
L’ottima ricostruzione storico-scenografica ed una trama divertente e non banale fanno di questo film uno degli ultimi grandi film di Monicelli. Buona parte del merito va sicuramente allo splendido cast che, oltre alla coppia di protagonisti, trova nella comparsata di Gassmann uno dei suoi momenti più felici.
Buon film di Mario Monicelli. Ciò in cui rende di più è nella perfetta ricostruzione di costumi, luoghi e atmosfere del 500; per quanto riguarda la sceneggiatura, ci sono alti e bassi, c’è poco d’autore e molto da commedia italiana (specie nelle scene con la prostituta); tra i furtarelli e qualche buona gag i ritmi sono sostenuti e nel complesso si lascia seguire fino alla fine per la bravura dell’ampio e vasto cast (Montesano e Giannini sono splendidi, ma al pari è anche Gassman).
Il film è ottimo per alcuni spunti, ma sopratutto per un cast veramente all’ altezza; la mano di Monicelli è sicura, vigorosa ed esperta, la trama ammiccante ma sincera, senza sbavature. Gassman è ben trattenuto, Giannini giusto, la De Sio splendida prostituta.
Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto
Uno yacht è in navigazione sul Mediterraneo; a bordo c’è un gruppo variegato di ricchi e snob settentrionali, fra i quali spicca Raffaella Pavone Lanzetti , forse la più snob di tutte, piena di pregiudizi verso coloro che considera di classe sociale inferiore, oltre che un tantino razzista. Nei suoi dialoghi con gli amici, Raffaella non smette un attimo di rimarcare le differenze sociali tra loro ( e sopratutto lei) e la classe proletaria, incurante del personale di servizio. Fra i quali c’è Gennarino Carunchio , un meridionale dalle idee chiaramente di sinistra, costretto a tacere di fronte agli insulti che gli snob riservano loro.
Le cose cambiano radicalmente quando Gennarino, costretto ad accompagnare Raffaella in un’escursione, si ritrova in mezzo al mare con il gommone in avaria. Per loro fortuna, dopo una notte di sofferenza, la marea li spinge verso un’isola, dove i due scoprono di essere completamente soli. Gennarino, abituato ad arrangiarsi, riesce immediatamente a procurarsi cibo e fuoco, mentre l’altezzosa Raffaella, dopo un tentativo infruttuoso di usare l’arroganza per costringere Gennarino a cederle del cibo, si ritrova ben presto ad elemosinare il necessario per sopravvivere.
E’ un ribaltamento completo dei ruoli: da quel momento Gennarino si vendica delle umiliazioni subite a bordo: costringe la donna a umiliarsi, a chiamarlo signor Carunchio, fino a quando arriva anche a violentare la donna, sfogando in questo modo la sua frustrazione, ma non solo. In lui è come se agisse una forza proveniente da secoli di umiliazioni, e l’uomo non manca di farlo presente alla donna. Ben presto tra i due solitari naufraghi scoppia una vera e propria passione; la donna ben presto prende ad amare quello strano uomo, ben diverso da quelli che abitualmente frequenta.
Così, quando all’orizzonte compare lo yacht dei suoi amici, che non ha smesso di cercare i due naufraghi, la donna scongiura Gennarino di non farsi notare. Ma l’uomo ha dei dubbi sulla genuinità della loro relazione; così, quando alla fine i due vengono soccorsi e riportati a terra, i due si separano. Troppe le differenze che esistono tra loro, in una società che non è strutturata per privilegiare i sentimenti a scapito del ceto sociale.
Diretto da Lina Wertmuller nel 1974, Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto è principalmente una straordinaria prova di due tra gli attori più bravi del cinema italiano: Mariangela Melato e Giancarlo Giannini.
La Melato incarna perfettamente la donna dai modi raffinati e allo stesso tempo così sgradevoli, quasi rappresentasse tutti i vizi, davvero tanti, e tutte le virtù, quasi inesistenti, della sua classe sociale;
Giannini oppone la sua capacità di rendere perfettamente l’idea di un uomo preda principalmente del rancore, verso il suo ceto sociale, ma anche tutta la rabbia di chi si vede trattato come un essere inferiore mentre ha tutte le capacità per essere solo e soltanto un uomo. Cosa che dimostra in mille modi, riuscendo ad adattarsi benissimo alla vita selvaggia dell’isola. Il film in fondo vive proprio sul dualismo che viene a crearsi tra i due mondi, in conflitto perenne; così tutta la vicenda finisce per essere retta, visivamente, dai due protagonisti. Aldilà delle due interpretazioni, il film si regge sulle splendide immagini dell’isola e sui dialoghi, che ricreano l’ambiente tipico dell’epoca in cui venne girato il film, le lotte definite, all’epoca, di classe. Alcune scene sono davvero indicative, come il gruppo di ricchi oziosi che legge l’Unità, o alcuni dialoghi in cui emerge la conflittualità esistente tra le due classi sociali.
Un film ovviamente non esente da pecche; alcuni dialoghi sono forzati, anche perchè i tempi risultano dilatati, uno dei difetti tipici della Wertmuller. Ma in effetti sono peccati veniali, e il film conserva una invidiabile freschezza.
Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, un film di Lina Wertmüller. Con Giancarlo Giannini, Mariangela Melato, Eros Pagni, Isa Danieli, Riccardo Salvino.Aldo Puglisi, Lorenzo Piani, Vittorio Fanfoni, Anna Melita Commedia, durata 125 min. – Italia 1974.
Giancarlo Giannini: Gennarino Carunchio
Mariangela Melato: Raffaella Pavone Lanzetti
Riccardo Salvino: Signor Pavone Lanzetti
Isa Danieli: Signora Carunchio
Regia Lina Wertmüller
Soggetto Lina Wertmüller
Sceneggiatura Lina Wertmüller
Produttore Romano Cardarelli per Medusa Film
Distribuzione (Italia) Medusa Film
Fotografia Giulio Battiferri, Giuseppe Fornari, Stefano Ricciotti
Montaggio Franco Fraticelli
Musiche Piero Piccioni