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Fatevi vivi, la polizia non interverrà

Fatevi vivi la polizia non interverrà locandina

Luisa Bonsanti, figlia di un ingegnere, viene rapita sotto gli occhi della prostituta Marisa e di alcuni involontari passanti
L’ingegner Bonsanti informa del rapimento il commissario Caprile mentre la banda che ha rapito la piccola Luisa, che risponde agli ordini dell’uomo che è dietro al sequestro chiamato il Maestro discute sull’entità del riscatto da chiedere per la liberazione della stessa Luisa.
La polizia non ha altra pista se non quella di Marisa, l’unica fonte attendibile per capire chi si nasconda dietro il rapimento.

Così, in attesa di una telefonata da parte dei rapitori, la polizia perde tempo inutilmente in quanto la donna sembra essere del tutto all’oscuro non avendo potuto vedere i rapitori, coperti da cappucci.
Il commissario Caprice ha dei sospetti sul più importante mafioso della zona, Don Francesco, che però si dichiara completamente estraneo alla faccenda: l’uomo infatti, pur non potendo escludere la partecipazione di qualche suo uomo all’azione criminale, dichiara con forza di avere un codice morale che gli impedisce di utilizzare donne e bambini come vittime di sequestri o di atti criminosi.
Ed è proprio il mafioso a individuare, dopo una serie di avvenimenti, il luogo dove il misterioso maestro ha posto la sua base operativa; Don Francesco uccide il maestro e dopo aver liberato la piccola Luisa fornisce anche le indicazioni per ritrovare i soldi del riscatto.

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Fatevi vivi la polizia non interverrà è un poliziesco girato nel 1974 da Giovanni Fago, qui al suo primo (ed anche unico) poliziesco dopo aver girato tre western, il più famoso dei quali O Cangaçeiro (1970) interpretato da Thomas Milian aveva ottenuto un buon riscontro al box office.
Il film non ha particolari motivi di interesse, essendo un poliziesco abbastanza tradizionale, uno dei tanti prodotti del genere che affollarono le sale cinematografiche nella parte centrale degli anni settanta.
Ha però dalla sua l’ambizione di radiografare uno dei temi più scottanti della cronaca nera dell’epoca, ovvero la piaga dei sequestri di persona, utilizzando questa volta la novità del sequestro di una bambina.
L’indagine socio politica sulla storia, l’intreccio tra malavita e forze dell’ordine e altri possibili sviluppi della tematica restano però delle pie illusioni, in quanto il film non si scosta mai da una certa banalità di fondo, che si registra sopratutto nei dialoghi evidentemente artefatti e superficiali.

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Però il film ha dalla sua qualche buona iniziativa, ha una buona fotografia e un certo senso del ritmo e sopratutto vede tra i protagonisti un ottimo cast di attori sicuramente espressivi.
Pur non scendendo mai sul terreno della denuncia e non approfondendo mai la tematica del rapimento come espressione del disagio sociale degli anni di piombo, il film ha un suo decoro e quanto meno ha un buon ritmo e sopratutto non scende mai sul terreno della bassa macelleria, uno degli espedienti più usati nel genere poliziesco.
Come dicevo, il film ha un cast di ottimo livello che include il qui legnoso Henry Silva (il commissario Caprice), generalmente utilizzato come cattivo in molte produzioni e questa volta nei panni del commissario intelligente, acuto; Philippe Leroy, sempre moderato ed elegante nei panni del Maestro, deux ex machina organizzatore del rapimento,Gabriele Ferzetti, il mafioso dal rigido codice morale e le due presenze femminili, Lia Tanzi e Rada Rassimov, la prima nei panni della prostituta Marisa e la seconda in quelli di Marta.

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Fago dirige un film tutto sommato godibile, senza grossi scatti ma anche senza vistose cadute di tensione.
Nessuna indicazione, purtroppo, su siti che permettano una visione in streaming del film; unica possibilità, il download del film, rigorosamente in lingua inglese, al link http://k2s.cc/file/2f2b1878fa5dc/Ki74nap.rar
Fatevi vivi, la polizia non interverrà
Un film di Giovanni Fago. Con Henry Silva,Gabriele Ferzetti, Rada Rassimov, Philippe Leroy, Loris Bazzocchi,Pino Ferrara, Renato Pinciroli, Calisto Calisti, Bruno Boschetti, Luciano Bartoli, Rosita Torosh, Gianfranco Barra, Omero Antonutti, Lia Tanzi, Armando Brancia, Fausta Avelli, Franco Diogene Drammatico, durata 90 min. – Italia 1974.

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Fatevi vivi la polizia non interverrà banner protagonisti

Henry Silva: Commissario Caprile
Rada Rassimov: Marta
Philippe Leroy: il professore
Gabriele Ferzetti: Frank Salvatore
Franco Diogene: Nino
Lia Tanzi: Marisa
Calisto Calisti: mafioso
Marco Bonetti: rapitore
Pino Ferrara: Mercuri
Armando Brancia: avvocato
Loris Bazzocchi: mafioso
Paul Muller: Jimmy
Fausta Avelli: Luisa Barsanti
Luciano Bartoli: Pino

Fatevi vivi la polizia non interverrà banner cast

Regia Giovanni Fago
Sceneggiatura Adriano Bolzoni, Giovanni Fago
Musiche: Piero Piccioni
Montaggio:Alberto Gallitti
Fotografia:Roberto Gerardi
Casa di produzione Produzioni Associate Delphos

 Fatevi vivi la polizia non interverrà banner recensioni

L’opinione del sito http://www.pollanetsquad.it

“Nonostante il titolo, il nuovo film di Giovanni Fago non si allinea pedissequamente dietro gli ormai tanti dedicati alla polizia italiana con non sempre chiare moralità politiche. “Fatevi vivi la polizia non interverrà” ha ambizioni sensibilmente maggiori del consueto, se non altro perché cerca di armonizzare due temi: da un lato la radiografia di un kidnapping; dall’altro un’indagine sui rapporti tra legge e mafia. Ciò detto, va anche subito aggiunto che tali ambizioni rimangono campate in aria, più annunciate che realizzate. Ma resta almeno al film un certo sapore di denuncia non velleitaria né qualunquista. E gli argomenti sfiorati hanno pur sempre il pregio di una drammatica attualità. […] Fago ha narrato in modo sufficientemente interessante pur se, tra le molte fila dell’intreccio, non sempre ha scelto e seguito le più significative, preferendo anzi spesso le più facili e spettacolari: col risultato di dover poi colmare certi vuoti psicologici mediante didascaliche battute che alla lunga non salvano i personaggi da una fondamentale banalità. […] “

L’opinione di Undjing dal sito http://www.davinotti.com

Il “maestro” (Philippe Leroy) dispone il sequestro della figlia di un ingegnere, convogliando le indagini della polizia – guidata da un monocorde Henry Silva – sulla banda capeggiata da Frank Salvatore (Gabriele Ferzetti). Confuso poliziesco maldiretto da un cineasta attivo su altri fronti: melodrammi (Il maestro di violino) e spaghetti western di terz’ultima generazione (Per 100.000 dollari t’ammazzo). Il film azzarda un sottotesto tipico dei tardo-polizieschi, ovvero la collaborazione tra le forze dell’ordine e alcune frange della malavita. Cast notevole, ma mal gestito.

L’opinione di Gestarsh99 dal sito http://www.davinotti.com

Gli echi di Milano odia risuonano ai confini svizzeri in più punti: il rapimento della pargola di famiglia abbiente; la gang di cani sciolti invisi alla malavita locale; il barcone-rifugio nascosto in un anfratto lacustre; il “colombesco” Henry Silva, stavolta passivissimo. Fago se la prende molto comoda, con l’azione ben chiusa in un cassetto e nonostante gli eventi di sangue stila un dramma poliziesco dai toni pacati e sereni. Pellicola semplicissima, di innocente linearità: non annoia e scivola via pacifica tra ampi interni lussuosi, eleganti facciate architettoniche e gli splendidi scorci naturali comensi.

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aprile 16, 2014 Posted by | Drammatico | , , , , , , , | Lascia un commento

Milano odia: la polizia non può sparare

Milano odia locandina

Il personaggio di Giulio Sacchi, creato da Umberto Lenzi per il suo Milano odia: la polizia non può sparare è uno dei  più famosi del cinema poliziottesco e più in generale di quella branca particolare del genere stesso che veniva definita noir per i moltissimi punti di collegamento con il genere creato dai francesi.
E’ il personaggio centrale del film opposto al suo alter ego Walter Grandi, uomo rigorosamente di legge che pur alla fine verrà meno ai suoi principi scegliendo di farsi vendetta da se; perchè Giulio è un delinquente irrecuperabile, un sadico e un pervertito, privo di qualsiasi scrupolo morale, come vedremo nella descrizione del plot del film.
Con Milano odia: la polizia non può sparare Lenzi passa definitivamente dal cinema giallo, ormai sfruttato secondo lui fino all’osso e al quale aveva dato un contributo fondamentale attraverso film come Così dolce… così perversa (1969), Orgasmo (1969), Paranoia (1969) e Sette orchidee macchiate di rosso (1972) contribuendo in maniera determinante al successo del genere, passa dicevo al genere poliziottesco che riscuoteva un deciso successo nelle sale grazie anche alla sinistra corrispondenza tra le storie narrate sullo schermo e quanto accadeva nella vita di tutti i giorni.
Lenzi era reduce dal buon successo di Milano rovente, che aveva seguito nelle sale il travolgente successo di Milano calibro 9 di De Leo, forse il miglior poliziottesco girato in Italia; il risultato gli darà ancora una volta ragione, dimostrando che il fiuto cinematografico del regista era senza pari.

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Anita Strindberg e Thomas Milian

Lenzi utilizza una sceneggiatura creata da Ernesto Gastaldi per fare un film violentissimo, cupo e a tratti nichilista sopratutto nella parte finale; siamo nel cuore degli anni di piombo e il regista toscano si mostra attento osservatore della realtà quotidiana, riuscendo a cogliere i fermenti e le paure della società e a trasportarle cinematograficamente con un linguaggio che parla allo stesso modo della società stessa.
Milano odia: la polizia non può sparare parte in maniera violenta, quasi a voler far capire da subito che quello che vuol mostrare altro non è che il riflesso della vita di tutti i giorni, fatta di soprusi e violenze, sia politiche che di criminalità comune.

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Henry Silva

Il tempo di leggere il titolo e assistiamo ad una rapina in cui Giulio Sacchi si macchia le mani di sangue senza un valido motivo, uccidendo cioè un vigile urbano solo perchè voleva multarlo; eppure Sacchi potrebbe vivere bene, visto che ha anche una splendida fidanzata di nome Jole che lo ama.
Lui però sogna di diventare famoso, importante e come tutti i mediocri, non potendo usare i sistemi legali, utilizza il crimine per prendersi una rivincita sulla vita; così il passo successivo è l’organizzazione e il rapimento di Marilù , figlia del commendatore Porrino che è poi il datore di lavoro della bella Jole.
Ma da delinquente istintivo e poco intelligente, commette degli errori madornali, tipo quello di usare per il rapimento la macchina della sua donna e quello di servirsi di due teppistelli come Vittorio e Carmine per eseguire il rapimento.

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Gino Santercole

I tre pedinano e intercettano Marilu e il fidanzato mentre si sono appartati ma di fronte alla reazione del ragazzo perdono la testa e lo uccidono; la ragazza riesce a fuggire e a trovare riparo presso l’abitazione di una ricca famiglia, che però non afferra immediatamente la situazione.
Così i tre, che hanno seguito le tracce della ragazza, irrompono nella villa nella quale c’è Marilu e sottopongono a sevizie inenarrabili gli occupanti della casa.

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Le sevizie inflitte da Giulio alla sventurata famiglia

Alla fine Giulio, ebbro di violenza, alcool e droga stermina la famiglia inclusa una bambina che era all’interno della casa.
Sulle tracce della banda e dello spietato Sacchi si mette il commissario Grandi, che è anche l’unico ad aver identificato Giulio; dopo aver visto i delitti compiuti dall’uomo, si rende conto di aver a che fare con un uomo malato, psicopatico e privo di remore morali.
Ma se Sacchi è indubbiamente uno psicopatico, è anche un uomo astuto e per prima cosa, dopo aver chiesto il riscatto al padre di Marilu si premura di costruirsi un alibi.
Intanto, ormai completamente impazzito, elimina la sua fidanzata Jole subito dopo averle confessato gli omicidi; la donna muore precipitando con la sua Mini da una scogliera.
Poi, in una sequenza con un crescendo infernale, dopo varie vicissitudini uccide i suoi complici e anche l’ostaggio.
La farebbe franca, ma….
Un film caratterizzato da una carica di violenza fortissima, dunque; un crescendo rossiniano nel quale non vengono risparmiate sequenze crude, come quella in cui le due sventurate padroni di casa dove si è rifugiata Marilù vengono torturate ed appese ad un lampadario.
Non c’è tregua, nel film, che è costruito tutto attorno a Giulio Sacchi, un uomo completamente folle nella sua totale paranoia, psicopatico e assassino, bugiardo e ladro, caratterizzato quindi da tutti i peggior difetti riscontrabili in un criminale.
Attorno a lui, personaggi deboli e ammaliati dalla sua personalità psicopatica, come i due delinquenti di mezza tacca Vittorio e Carmine, la fidanzata Jole.

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La confessione a Jole

Il merito principale del film di Lenzi è quello di esasperare volutamente i caratteri negativi dei personaggi; qui i cattivi sono davvero tali, Giulio Sacchi è il prodotto di una società violenta che alla fine riuscirebbe anche a farla franca non fosse per l’ostinazione del commissario Grandi, deciso a vendicare le vittime anche a costo di porsi aldilà della legge.
Che è poi quello che farà.
Caratterizzato da un cast di comprimari di assoluto livello, con le debite eccezioni dei due protagonisti principali,Milano odia: la polizia non può sparare presenta un Thomas Milian in stato di grazia.
Perfido, istrionico, crudele e sociopatico, il personaggio di Giulio è interpretato dall’attore cubano con una capacità espressiva che lascia stupefatti; che Milian fosse uno dei migliori attori in circolazione lo si sapeva già e questo film sarà per lui un trampolino di lancio per i personaggi futuri legati sempre al mondo del poliziottesco.

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Ray Lovelock

La sorpresa è anche costituita da Henry Silva; l’attore statunitense, lasciati i ruoli di “cattivo” o di gangster si ricicla nei panni del commissario Walter Grandi in maniera misurata e oserei dire dolente. Il suo personaggio sembra acquisire spessore proprio grazie all’aria malinconica che lo distingue.
Tutte ineccepibili le protagoniste femminili, dalla splendida Anita Strindberg che interpreta la sortunata fidanzata di Giulio, Jole a Laura Belli, che veste i panni di Marilù Porrino, la ragazza scelta per il rapimento per finire con Rosita Toros, una delle attrici di contorno più affascinanti del cinema italiano, sfruttata però pochissimo per ruoli di primo piano.

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Laura Belli

Sua è l’interpretazione della sventurata Marta, la ragazza seviziata e appesa dal folle Giulio ad un lampadario.
Da segnalare anche le interpretazioni di Ray Lovelock e Gino Santercole nei ruoli rispettivamente di Carmine e Vittorio ovvero i due sciagurati compagni di Giulio.
Le musiche appropriate sono di Ennio Morricone, per un film che con La mala ordina e Milano calibro 9 è da considerarsi come uno dei prodotti migliori del noir italiano del passato.

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Milano odia: la polizia non può sparare
Un film di Umberto Lenzi. Con Henry Silva, Tomas Milian, Mario Piave, Laura Belli, Nello Pazzafini, Guido Alberti, Pippo Starnazza, Lorenzo Piani, Ray Lovelock, Luciano Catenacci, Elsa Boni, Gino Santercole, Rosita Torosh, Anita Strindberg,  Poliziesco, durata 100 min. – Italia 1974.

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La prima vittima della spirale di sangue

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Il corpo dello sventurato fidanzato di Marilu

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Le sevizie continuano

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Il tragico epilogo dell’irruzione in casa della famiglia che ha accolto Marilu

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Un’altra morte inutile

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Un intenso primo piano di Thomas Milian

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Milano odia banner personaggi

Tomas Milian: Giulio Sacchi
Anita Strindberg: Jole Tucci
Laura Belli: Marilù Porrino
Guido Alberti: commendator Porrino
Lorenzo Piani: Gianni
Henry Silva: commissario Walter Grandi
Mario Piave: agente di polizia
Gino Santercole: Vittorio
Ray Lovelock: Carmine
Luciano Catenacci Ugo Maione
Francesco D’Adda: Romano
Rosita Toros: Marta
Annie Carol Edel: sua amica
Pippo Starnazza: papà
Nello Pazzafini: cliente del bar

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Milano odia banner cast

Regia Umberto Lenzi
Sceneggiatura Ernesto Gastaldi
Fotografia Federico Zanni
Montaggio Daniele Alabisio
Effetti speciali Giuseppe Carozza
Musiche Ennio Morricone
Tema musicale Rapimento
Costumi Luciano Sagoni
Trucco Fausto De Lisio

 

 

 

 

 

 

gennaio 13, 2012 Posted by | Drammatico | , , , , , , | 4 commenti

La mala ordina

La mala ordina locandina

Luca Canali è un magnaccia di piccolo cabotaggio, che vive ai margini della malavita organizzata.
Ha una moglie e una figlia, e vive separato dalla moglie che lavora come parrucchiera.
Gli accade di venir individuato, dal potente capo di una cosca mafiosa americana, come l’autore di un audace colpo ai danni della cosca stessa, depredata dei proventi di un traffico di droga per il valore di svariati miliardi di lire.

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Mario Adorf è Luca Canali

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Woody Strode è Frank Webster

L’uomo viene quindi braccato dai killer mandatigli contro dalla cosca, ma con abilità riesce a cavarsela, tanto che la cosca americana si affida ad una cosca locale quella comandata da don Vito Tresoldi per tentare di punire l’uomo.
Così inizia un’altra dura battaglia, senza esclusione di colpi; il mafioso fa uccidere la moglie e la figlia di Luca, che da quel momento giura vendetta.
E la compie, sterminando la gang del mafioso e uccidendo i due killer americani mandati dalla cosca statunitense.
Fernando Di Leo, dopo il capolavoro Milano calibro 9, prova a rinverdire i fasti del primo capitolo della trilogia del milieu, a cui appartiene questo La mala ordina ,

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Femi Benussi  è Nana

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ylva Koscina è Lucia Canali

diretto dal regista pugliese nel 1972, comprendente anche la parte finale, ovvero Il boss e affidando la parte del protagonista a Mario Adorf, già presente nel film precedente.
Lo fa imbastendo un noir ben dosato, in cui azione e ritmo non mancano; memorabile, ad esempio, la lunga sequenza dell’inseguimento di Luca Canali, appeso ad uno sportello di un furgone al guidatore del furgone stesso, chiuso dalla violenta scena in cui Luca sfonda a testate il parabrezza del mezzo.

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Forse, rispetto a Milano calibro 9, in La mala ordina c’è meno tensione, la sceneggiatura non è brillantissima e manca il personaggio di spicco di Ugo Piazza, sostituito questa volta da un malvivente di mezza tacca, Luca Canali, piccolo magnaccia che saprà districarsi dai guai in cui involontariamente finirà per cacciarsi; pur tuttavia il mestiere di Di Leo c’è tutto, e si materializza in scene davvero ben congegnate, come il citato inseguimento e sopratutto la parte finale, in cui Luca ha la sua vendetta in un cimitero di auto demolite, in cui uccide i due sicari americani.

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Luciana Paluzzi è Eva Lalli

Punto debole del film sono le interpretazioni; se da un lato c’è un ottimo Adorf, abilissimo nel tratteggiare la figura un pò guascona di Luca Canali, all’opposto troviamo un Henry Silva, nella parte di uno dei due gangster americani, impegnato a mostrare un quantomai inopportuno sorriso smagliante, assolutamente non indicato in un film che ha una forte vocazione noir.
Più aderente al personaggio invece è Woody Strode, legnoso e rigido ma quantomeno più credibile.
Le parti femminili sono affidate alle bellssime Luciana Paluzzi, Femi Benussi e Sylva Koscina; la prima se la cava dignitosamente nei panni dell’interprete dei due gangster, che troverà la morte nel convulso finale; Femi Benussi, un’autentica sicurezza, è al solito perfetta nel suo ruolo, che questa volta è quello di una prostituta amica e protetta di Luca.

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Adolfo Celi  è  Don Vito Tressoldi

Infine c’è Sylva Koscina, brava ma troppo elegante e fine per interpretare la moglie di Luca, il piccolo pappone che non ha certo una laurea o una cultura; la Koscina pur professionale, sembra davvero un elemento estraneo al film, con quella sua aria aristocratica inadatta al ruolo di parrucchiera e moglie di Luca.
Qualche errore di troppo, quindi, mascherato comunque dalla solita professionalità di Di Leo, un vero marchio di fabbrica.

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Un film comunque tra i migliori, nel suo genere; non a caso Tarantino lo cita spesso, assieme al resto della trilogia, tra i film che lo hanno impressionato e influenzato maggiormente.
Buone le musiche di Armando Trovajoli; tra le curiosità, la presenza di lara wendel nei panni della figlia di Luca Canali e il doppiaggio di Mario Adorf, affidato al compianto Stefano Satta Flores.

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La mala ordina, un film di Fernando Di Leo, con Mario Adorf, Henry Silva, Woody Strode, Adolfo Celi, Luciana Paluzzi, Franco Fabrizi, Femi Benussi, Gianni Macchia, Peter Berling, Francesca Romana Coluzzi, Cyril Cusack, Sylva Koscina, Jessica Dublin, Omero Capanna, Giuseppe Castellano, Giulio Baraghini, Andrea Scotti, Imelde Marani, Gilberto Galimberti, Franca Sciutto, Ulli Lommel, Vittorio Fanfoni, Giuliano Petrelli,  Pietro Ceccarelli, Pasquale Fasciano, Alberto Fogliani, Giovanni Cianfriglia, Guerrino,Lina Franchi,Lara Wendel

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La mala ordina banner personaggi

Mario Adorf     …     Luca Canali
Henry Silva    …     Dave Catania
Woody Strode    …     Frank Webster
Adolfo Celi    …     Don Vito Tressoldi
Luciana Paluzzi    …     Eva Lalli
Franco Fabrizi    …     Enrico Moroni
Femi Benussi    …     Nana
Gianni Macchia    …     Nicolo
Peter Berling    …     Damiano
Francesca Romana Coluzzi    …     Trini
Cyril Cusack    …     Corso
Sylva Koscina    …     Lucia Canali
Jessica Dublin    …     Miss Kenneth
Omero Capanna    …     Vito’s Goon
Giuseppe Castellano    …     Garagaz
Giulio Baraghini     …     Gustovino
Andrea Scotti    …     Garo
Gilberto Galimberti    …     Vito’s Goon
Franca Sciutto    …     Ballerina
Ulli Lommel    …     Ballerina
Vittorio Fanfoni    …     Uomo di don Vito
Giuliano Petrelli    …     Uomo di don Vito
Pietro Ceccarelli    …     Uomo di don Vito
Pasquale Fasciano    …     Uomo di don Vito

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Regia: Fernando Di Leo
Sceneggiatura: Fernando Di Leo, Augusto Finocchi
Prodotto da: Armando Novelli     .
Musiche: Armando Trovajoli
Effetti speciali: Basilio Patriz
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“Adorfiano ed alterno. Adorf supera se stesso di Milano Calibro 9. Il film no, per snodi di trama assai meno logici rispetto a MC9, che si perdonano perché Adorf è fantastico, la fotografia è un gioiello etc. Si trovano temi presenti nell’opera di Di Leo: le cose che altrove funzionano, pure qui lo fanno egregiamente, mentre ciò che altrove non convince, non convince neppure qui (il mondo giovanile poi ripreso in Avere vent’anni). Inoltre la Dublin non strappa manco un sorriso, analogo risultato del tremendo Colpo in canna.

Tra i migliori esempi di film di genere italiano, ed ottimo esempio di noir, è anche una delle opere migliori di Fernando Di Leo. Girato con grande ritmo non appare mai patinato e artefatto, ma sempre efficacemente realista e spietato, con sequenze d’azione che, sebbene a volte siano un po’ “forzate”, appaiono sempre efficacissime. Ottima la prova del cast (specie del bravo Mario Adorf), così come la colonna sonora.

Il modesto macrò Luca Canali (Adorf) viene utilizzato come capro espiatorio dal padrino Don Vito Tressoldi (Adolfo Celi): a lui è attribuita la mancata consegna di un carico di droga pari a 3 miliardi delle vecchie lire. L’americano Corso (Cyril Cusack), che ha subìto il contraccolpo economico, invia due killer con lo scopo di dare una vistosa lezione al protettore, in colpa di defezione. Eccezionale noir, ispirato alla larga da Scerbanenco, ma frutto d’una sceneggiatura puramente ascrivibile al grande Di Leo (Ingo Hermes è imposto dalla co-produzione tedesca). Adorf domina e buca lo schermo.

Molto convincente Mario Adorf, nel ruolo di un pappone milanese un po’ sbruffone, che viene incastrato dal boss locale. Il film si trasforma quasi subito in una caccia all’uomo, soprattutto quando arrivano i due sicari per eliminare Canali (Adorf). Bravo il protagonista a costruire il personaggio, che da omuncolo dalla lingua lunga si trasforma in vendicatore, quando viene attaccato negli affetti più cari. Nessuna morale. Il boss difenderà nome e credibilità a tutti i costi. Da vedere.

Altro potente capitolo del noir italiano, che rispetto a MC9 appare meno cupo e tragico e più essenziale, lineare ed immediato. L’immenso Adorf tratteggia un macrò leale con gli amici, tenero con la sua famiglia, ma spietato con gli avversari, che vengono abbattuti dalla furia delle sue testate vendicatrici. Silva è insolitamente plastico, esuberante e parolaio e cede la sua granitica impassibilità al collega Strode. Scelta ottimale di volti (Cusack. Celi, Paluzzi, Coluzzi, Fabrizi, Berling…) e attori-stuntmen (Capanna, Galimberti).

Storia di un piccolo macrò della mala milanese che si ritrova braccato da due spietati killer americani senza un motivo apparente… Di Leo, autore anche del soggetto, è bravo nel descrivere con cura la disperata deriva di un uomo finito in un ingranaggio più grosso di lui, gira scene d’azione di tutto rispetto e tratteggia con cura anche i personaggi secondari. Se aggiungiamo l’interpretazione di un eccellente Mario Adorf, credo di aver reso l’idea di un grande film, senz’altro tra i migliori del regista pugliese.

Grandissimo film di Di Leo che ci regala uno dei più straordinari noir italiani di sempre. Livido, violento e spietato come pochi altri e per questo degno di autori più quotati come Don Siegl e Melville. Sceneggiatura tesa e vibrante. Musiche di Trovatoli che si fondono efficacemente con le immagini. Maestosa la prova di Adorf che ci regala uno splendido personaggio ed un finale assolutamente memorabile.

Una partita di eroina rubata, un pesce piccolo a cui addossare la colpa, una vendetta cieca e rabbiosa. Tutti elementi noti al genere noir, che Di Leo usa con mestiere confezionando un altro film “scerbanenchiano” dopo Milano Calibro 9  (curiosamente, quello è il titolo del racconto da cui viene l’idea di partenza del film). Meno intenso e più fiammeggiante, mette in prima linea un grande Mario Adorf, pappone con una sua dignità che non accetta compromessi e si fa giustizia da solo. Qualche tributo al gusto pop dell’epoca. Il finale è eccessivo “


 

 

 

 

 

 

giugno 30, 2010 Posted by | Drammatico | , , , , , , , , , , , , | 6 commenti