Quando l’amore è sensualità
Figlia di una contessa e orfana di padre, Erminia Sanfelice è una giovane molto inibita e tormentata dalla madre che vuol darla in sposa per trovare qualcuno che rimetta in sesto le sostanze di famiglia.
Supinamente Erminia accetta di andare in sposa ad Antonio, un ricchissimo industriale della carne che ha fatto fortuna proprio con il commercio della stessa.
Ma per lei i problemi nascono da subito; Erminia è molto pudica, non ha alcuna esperienza in campo sentimentale e sopratutto non ama il rozzo e sanguigno marito.
Così tra i due si crea da subito un muro di incomunicabilità, che porta Erminia a non consumare nemmeno il matrimonio.
Inutilmente la contessa Giulia tenta di accomodare le cose e nemmeno l’intervento del parroco ottiene nulla; Erminia è sempre più riluttante ad accettare il dovere coniugale e il marito.
Così prende una decisione drastica.
Molla tutto e si trasferisce a Piacenza da sua sorella Angela.
Anche qua però Erminia incontra dei problemi; tanto è inibita e timida lei, tanto sua sorella è diametralmente differente come carattere.
Espansiva e vulcanica, Angela vive una vita sentimentale e sessuale decisamente promiscua, tanto che Erminia medita di andarsene.
Tuttavia poichè l’alternativa è quella di tornare a casa, Erminia in qualche modo si lascia coinvolgere dal ritmo frenetico della vita di sua sorella.
Nel frattempo Antonio, privo della moglie, riprende la sua vita di Don Giovanni che culmina in un rapporto semi incestuoso con sua suocera Giulia, che ne diviene l’amante.
La matura contessa,travolta dalla sensualità primitiva di Antonio, si lascia andare; ma è in agguato un colpo di mano del destino, perchè Erminia, che ha deciso di tornare a casa, sorprende i due amanti e….
A sorpresa, Quando l’amore è sensualità, film diretto da Vittorio De Sisti nel 1973 mostra di staccarsi dal novero delle commedie sexy sia per la trama drammatica sia per la sceneggiatura che privilegia il tono serioso della vicenda narrata piuttosto che la sua componente scabrosa.
Se la sceneggiatura sembra forzata e incline a privilegiare l’aspetto pecoreccio del triangolo mamma-figlia-marito di quest’ultima, De Sisti evita di spingere l’acceleratore sul morboso privilegiando la trattazione delle psicologie dei personaggi.
Intendiamoci, nulla di trascendentale ma per una volta la componente erotica e morbosa lascia il passo al dramma che i protagonisti vivono nella vicenda.
Le storie intrecciate di Giulia, donna tormentata dai problemi economici ma anche e sopratutto da una sessualità frenata e nascosta che si rivelerà solo nel rapporto semi incestuoso con suo genero e quella di Erminia, donna altrettanto inibita e frigida che scoprirà in parte un mondo alieno come la sua sessualità quando incanterà suo cognato, si mescolano a quelle di due figure in qualche modo all’opposto esatto della coppia madre e figlia.
Antonio infatti è un tombeur de femmes, un gallo ruspante che vive una sessualità sfrenata e insaziabile un pò come la cognata Angela, che all’opposto di Erminia è donna libera e dai costumi sessualmente aperti.
La solita casualità vuole che proprio Antonio e Angela, che n qualche modo sarebbero fatti l’uno per l’altra non si incontrino, mentre l’uomo finirà per consolare la sua repressa suocera, scatenando però così un dramma famigliare che culminerà nel momento in cui Erminia sorprenderà suo marito e sua madre a letto assieme.
Storia pruriginosa, quindi, ma narrata con un certo stile.
Vittorio De Sisti ha sempre diretto con garbo i film che ha avuto per le mani; non dimentichiamo per esempio uno dei migliori decamerotici, Fiorina la vacca oppure Lezioni privare o La supplente va in città.
Certo, siamo comunque in presenza di un dramma configurabile nell’ambito della commedia sexy, non fosse altro per la presenza di diverse scene di nudo che però una volta tanto sono funzionali alla storia raccontata.
Decisamente ben assortito il cast che vede la presenza di Francoise Prevost nel ruolo della contessa Giulia, interpretato con garbo e misura, di Agostina Belli sempre affascinante nel ruolo della inibita Erminia, di Eva Aulin in quello per lei quasi naturale di Angela, ragazza senza tabù che sa godersi la vita e infine di Gianni Macchia nel ruolo di Antonio, il lussurioso marito di Erminia ed amante di Giulia.
Grazie ad una fotografia molto curata e a dialoghi non banali, Quando l’amore è sensualità si presenta quindi come un film dignitoso, che si avvale anche di una morbida soundtrack firmata dal maestro Morricone.
Un film che andrebbe riscoperto e che dovrebbe aver avuto un edizione digitalizzata.
Femi Benussi
Quando l’amore è sensualità
Un film di Vittorio De Sisti. Con Françoise Prévost, Femi Benussi, Agostina Belli, Gianni Macchia,Umberto Raho, Rina Franchetti, Giovanni Petrucci, Vittorio Fanfoni, Ewa Aulin, Rossella Bergamonti, Giovanni Rosselli, Monica Monet Erotico, durata 93 min. – Italia 1973.
Françoise Prévost
Gianni Macchia
Eva Aulin
Agostina Belli: Erminia Sanfelice
Francoise Prevost: Giulia Sanfelice
Gianni Macchia: Antonio
Eva Aulin: Angela
Umberto Raho: il sacerdote
Regia: Vittorio De Sisti
Sceneggiatura:Vittorio De Sisti, Luigi Russo
Montaggio: Aldo De Robertis
Fotografia: Angelo Curi
Musiche: Ennio Morricone
Emanuelle, perchè violenza alle donne?
Durante uno dei suoi tanti viaggi in giro per il mondo per realizzare servizi fotografici di vario genere, Emanuelle si ferma in un albergo dove viene salvata da un tentativo di violenza sessuale da Malcom, un funzionario di un’agenzia governativa che si occupa di aiuti ai paesi poveri; i due fraternizzano ma devono lasciarsi per i rispettivi impegni.
Nella hall, Emanuelle incontra la sua vecchia amica Cora, anch’essa impegnata in un difficile reportage; la donna infatti sta girando per il mondo allo scopo di documentare la condizione femminile e la violenza esercitata a tutte le latitudini sulle donne.
Laura Gemser, la reporter Emanuelle
Sarà proprio Emanuelle a scoprire come il lavoro di Cora sia attuale e terribilmente pericoloso; mandata in India per un servizio fotografico e documentaristico su una specie di santone che propaganda una strana religione sui rapporti sessuali e sul sistema per renderli infiniti, Emanuelle lo sbugiarda pubblicamente, ma prima di tornare in patria ha modo di consolarsi con una giovane e bella ragazza, Mary.
Emanuelle, notoriamente bisessuale, ha una breve relazione con la ragazza, che le racconta una terribile storia di soprusi e violenze subite.
Riagganciata Cora, decide di accompagnarla nel viaggio che la donna sta facendo per documentare le violenze.
Giunte a Roma, le due amiche hanno modo di mettersi nei guai, mentre indagano su una misteriosa organizzazione che rapisce giovani ragazze per destinarle ai bordelli dell’estremo oriente; Cora ed Emanuelle però vengono rapite e farebbero una brutta fine se non venissero salvate in extremis da Jeff, un amico della reporter.
Brigitte Petronio, la giovane Mary
Ma la banda non ha intenzione di mollare e riesce ad arrivare nuovamente a Cora, che viene seviziata e violentata da alcuni adepti dell’organizzazione.
Nonostante tutto, Cora riparte per l’Oriente sempre accompagnata dall’inseparabile reporter, che vivrà con lei una nuova pericolosa avventura, prima di tornare a casa e scoprire che anche negli States il fenomeno è purtroppo diffusissimo.
Emanuelle perchè violenza alle donne?, distribuito negli Usa con il titolo più appropriato di Emanuelle Around the World, è il quarto film della serie dedicata alla bella reporter di colore Emanuelle ed è il terzo diretto da Aristide Massaccesi che ancora una volta usa il suo nome d’arte Joe D’Amato.
Il successo delle sue due pellicole precedenti, Emanuelle nera – Orient Reportage (1976) e Emanuelle in America (1976) permise a Massaccesi l’utilizzo di un budget più ampio, che il regista romano utilizzò principalmente per rendere ricche le location, trasportando la protagonista, l’affascinante venere nera Laura Gemser attraverso tre continenti ovvero Europa, America e Asia e ben quattro metropoli, come Roma, New York, Hong Kong e Nuova Delhi.
Il meccanismo è lo stesso dei due film precedenti, quindi una miscela di erotismo e violenza nella quale si inserisce il classico “pistolotto” moraleggiante che però suona tanto come espediente per accalappiare gonzi.
Questa volta D’Amato affianca alla Gemser oltre alla Schubert la giovane Brigitte Petronio, l’occasionale amante saffica immancabile nei film della serie Emanuelle nera (ricordiamo la Galleani e la De Selle, per esempio)
Film diretto con una certa cura e attenzione ai particolari, Emanuelle perchè violenza alle donne? ha il grosso demerito di cambiare spesso e caoticamente la storia, rendendola quanto meno improbabile e sopratutto farraginosa e tirata per i capelli.
Ma al solito D’Amato non sembra affatto preoccupato di dare un senso alla sceneggiatura, quanto mostrare visivamente il solito campionario di scelleratezze unite ad un erotismo molto pronunciato, vero trademark del regista.
La violenza la fa da padrona, così come l’eros; al solito, il film ebbe due versioni, una più pulita e l’altra con inserti hard core abbastanza mediocri.
La versione “pulita” ebbe comunque grossi problemi con la censura per la presenza delle famose scene di violenza e delle scene dell’orgia, anche prive degli inserti erotici.
Per quanto riguarda il cast, gli attori fanno con diligenza la loro parte.
Bene come al solito la Gemser, non ancora caratterizzata da quel dimagrimento che in seguito le dette un’aria sofferente e patita; la sua Emanuelle è conturbante e sexy, la sua capacità recitativa resta sufficiente.
Molto bene anche Karin Schubert che interpreta Cora.
La sequenza dello stupro sembra quasi reale, e dispiace pensare che Karin che pure era una buona attrice abbia poi sceso la china così velocemente e in maniera così traumatica.
Spazio anche alla bionda ed efebica Brigitte Petronio, starlette poco valorizzata che nel film interpreta la giovane Mary, che ha subito sul suo corpo la violenza maschile e che ha una breve ed intensa relazione saffica con Emanuelle, così come apprezzabile è Ivan Rassimov una volta tanto non penalizzato dal solito ruolo del duro e cattivo. Così così George Eastman nel ruolo del guru fregnone, bene Gianni Macchia in quello dell’emiro che salva da una brutta fine Emanuelle.
Se il film non è da annoverare tra i film indimenticabili, ha dalla sua tuttavia qualche buon guizzo, a patto di chiudere un occhio sull’abitudine di Massaccesi di voler ad ogni costo strizzare l’occhio al messaggio moralistico del film.
Se si vuol fare un’opera di denuncia,non la si costella di scene erotiche fine a se stesse.
Il solito vizio del regista romano, costretto a ciò anche dalla furbizia dei produttori che, afferrato il filone giusto, non chiedevano altro al regista che usare il suo indubbio talento per agganciare una parte di pubblico poco interessato ai discorsi sociali e molto più ai nudi femminili e alle atmosfere torbide.
Emanuelle: perché violenza alle donne? un film di Joe D’Amato. Con George Eastman, Don Powell, Karin Schubert, Ivan Rassimov, Laura Gemser, Gianni Macchia, Marino Masé, Paola Maiolini, Brigitte Petronio
Erotico, durata 90 min. – Italia 1977.
Laura Gemser: Emanuelle
van Rassimov: Malcolm Robertson
Karin Schubert: Cora Norman
Don Powell: Jeff Davis
George Eastman: il guru
Brigitte Petronio: Mary
Al Thomas: eunuco
Aristide Massaccesi: Caleb
Marina Frajese: partecipante all’orgia
Rick Martino: partecipante all’orgia
Regia Joe D’Amato
Soggetto Maria Pia Fusco
Sceneggiatura Maria Pia Fusco
Produttore Fabrizio De Angelis
Casa di produzione Embassy Productions S.p.A.
Distribuzione (Italia) Fida Cinematografica
Fotografia Aristide Massaccesi
Montaggio Vincenzo Tomassi
Musiche Nico Fidenco
Scenografia Maurizio Dentici
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Terza pellicola del ciclo dedicato alla disinibita reporter, qui in viaggio per il globo terracqueo tra Stati Uniti, Italia e Hong Kong, impegnata a sventare un traffico “internazionale” di schiave bianche, spesso sottoposte a vere e proprie sessioni di tortura. Nel suo peregrinare svergogna, per tramite del proprio corpo, un falso santone indiano, ideatore/propugnatore del coito prolungato. Forse il più maschilista/cinico (e pornografico) dell’intera serie, curiosamente sceneggiato anche da mano femminile.
Buon film del filone esotico/erotico di Emanuelle, la splendida Laura Gemser… La trama è suppergiù sempre quella, con la bella fotoreporter giramondo coinvolta in qualche losco intrigo più grosso di lei. Ovviamente è tutto un pretesto per mostrare scene erotiche, e per i mercati esteri anche hard-core. Un prodotto comunque più che dignitoso, che non annoia ed anzi fa passare i canonici 90 minuti in tutta tranquillità. Certo, con Joe D’Amato alla regia almeno un momento splatter non poteva mancare… e difatti non manca: vedere per credere.
Così così. Le scene erotiche sono ottimamente realizzate e quelle di tortura sono molto efficaci. Peccato che questi due elementi, uniti, finiscano per stonare. La sceneggiatura è mediocre come al solito, ma la buona regia di Massaccesi riesce a salvare il salvabile. Non male il cast: bellissima come sempre la Gemser, stesso discorso per la Schubert, bravo Rassimov e cultissimo George Eastman. Splendida la colonna sonora, la migliore realizzata per la serie insieme a quella di Emanuelle in America.
Le pericolose scorribande erotiche per il mondo di una famosa reporter, implicata in pericolosi giri d’affari fatti sulla pelle delle donne. Costumi, scenografia e fotografia (ovviamente..) di gran classe, sceneggiatura così così.. A volte la confusione si trasforma in noia e il prodotto perde carattere. Scene erotiche ben fatte, moderatamente spinte, con un paio di inserti hardcore marginali e piuttosto inutili (almeno nella versione visionata). La componente violenta scaturisce potente e in alcune occasioni davvero estrema, ma stiamo parlando del D’Amato!
Interessante. Questo personaggio di reporter-detective che indaga sul fenomeno della tratta delle bianche calza a pennello a una donna come Emanuelle, la cui concezione del sesso -ludica e scanzonata- è effettivamente agli antipodi rispetto ad ogni forma di violenza o di mercimonio. Dunque, è una storia che ha una buona coerenza interna. Le locations (Roma, la Thailandia, l’India, New York) sono ben utilizzate: Paese che vai usanza che trovi, soprattutto rispetto agli usi e costumi sessuali! Non monotono, buone musiche e, complessivamente, ottimo look!
IL titolo è chiaro, ma quello inglese (“The degradation of Emanuelle”) lo è ancora di più: sulla falsariga del precedente seguiamo la fotoreporter Emanuelle sulle tracce di un esclusivo mercato nero di sfruttamento delle donne. Autentiche perle del trash massaccesiano, su tutte la scuola di sesso diretta dallo scaricatore di porto Eastman nei panni di un improbabilissimo guru indiano (che predica il ritardo dell’orgasmo ma al dunque non si trattiene manco lui). Sul piano erotico/hard aumenta la vena sgradevole. Interessante e ben realizzato.
Visto nella versione hard del dvd polacco (meno completo, pare, di quello della Severin). Pellicola gradevolissima con la splendida Laura Gemser e una buonissima regia di Joe D’Amato. A dispetto di altri titoli del filone, nonostante la trama sia semplice qui (almeno io) ho trovato un po’ di confusione nel finale e quindi non sono rimasto del tutto soddifatto. Meglio altri capitoli della saga.
In questo episodio la bella Emanuelle, con la scusa dei reportage scandalistici, crea un’alleanza di ferro con la giornalista Cora Norman (una divina Karin Schubert) e riesce a sgominare una banda internazionale di farabutti dedita alla tratta delle bianche, da Roma ad Hong Kong. Nel mezzo una love story con un diplomatico Rassimov, una puntatina in India per toccare con mano le teorie sul coito prolungato di un presunto santone (un mitico Montefiori!) e nel finale uno stupro a New York. Vedibile ma poco coinvolgente rispetto ad altri capitoli.
Il più fresco, colorato e scanzonato della serie di Emanuelle. Memorabile il “guru” interpretato da Luigi Montefiori, ma ci sono anche altri momenti molto divertenti e nel complesso il film non risulta noioso pur essendo privo degli eccessi che fanno storia visti in “in America” e nel successivo “e gli ultimi cannibali”. Il film, co-sceneggiato da Maria Pia Fusco, ha anche un certa dignità sul piano della denuncia sociale, pur diluita nella commercialità e nell’eros venduto al chilo tipico delle opere del buon Massaccesi.
Mala, amore e morte
Un misterioso killer spara ad una donna mentre la stessa ha appena acquistato dei giornali. La defunta era la proprietaria in una pensione, La mimosa, che ora viene ereditata dalla giovane e bella Marisa. Ma per la ragazza è l’inizio di una serie di guai, perchè la defunta zia era la centro di un complicato caso riguardante un piccolo scrigno pieno di diamanti, ai quali sono interessati anche tre malavitosi e un misterioso ospite della pensione.
Dopo una serie di vicende, Marisa e l’ospite, che in realtà è un ispettore di polizia, recupereranno la refurtiva nella tomba di un garibaldino che partecipò alla presa di Porta Pia, e avranno la meglio sui tre gangster da operetta e sulla svampita donna del capobanda. Finale in rosa con Marisa e l’ispettore che si godono finalmente il loro sbocciato amore.
Nonostante il titolo sia assolutamente fuorviante, Mala amore e morte, film targato 1975 per la regia di Tiziano Longo su soggetto di Paolo Barberio e Piero Regnoli contiene qualche elemento giallo unito ad elementi polizieschi, che però virano decisamente verso il comico/farsesco. Dei tre componenti del titolo, l’unico ad essere rappresentato è proprio l’amore, che alla fine trionfa come in ogni classica commedia tra la bella Marisa e il misterioso ospite della pensione Mimosa, che si rivelerà essere un ispettore di polizia alla ricerca della chiave che conduca ad una fortuna in diamanti, che la defunta proprietaria della pensione stessa aveva contribuito ad occultare.
La mala è rappresentata da tre gangster assolutamente scombinati, che parlano con un buffissimo accento e sopratutto sono lontani anni luce dal prototipo dei banditi feroci e senza pietà, incluso il loro capo, che si da arie da uomo raffinato. A loro si aggiunge una svampitissima ragazza, che è l’amante del capo, e che per tutta la durata del film non indossa quasi mai un vestito. La morte invece è davvero la grande assente, perchè a parte la defunta zia, l’unico morto non muore davvero mai, ricomparendo sempre e contribuendo a creare scompiglio nelle idee già di per se confuse di Marisa. Una commedia ironica, quindi, che mescola allegramente elementi del giallo a quelli tipici della commedia sexy; il risultato finale è un film che a sprazzi ha qualche momento di divertimento, pur essendo abbastanza scombinato. La commedia regge anche per merito di una splendida Femi Benussi, che appare davvero confusa dagli avvenimenti, ma anche (sopratutto) divertente nel ruolo di Marisa, che appare travolta dagli avvenimenti. Se la Benussi mostra con generosità le sue grazie, ancor di più fa Gabriella Lepori, praticamente sempre svestita, che interpreta l’amante del capo gangster, una ragazza svampita in maniera patologica e affetta da idiosincrasia verso qualsiasi forma di vestiario.
Nel film il ruolo dell’ispettore è interpretato da Gianni Macchia; l’attore pugliese non si prende sul serio e appare per tutta la durata del film con un sorriso ironico che sembra quasi farsi beffe dello spettatore, anticipando in qualche modo il tono da pochade che la pellicola andrà assumendo nel corso del suo svolgimento.
Brevi parti per Gigi Ballista, troppo presto fuori scena e per la Prevost, ammazzata dopo 5 minuti di film. Se la storia appare abbastanza scontata, tuttavia qualche elemento di divertimento c’è, anche se è poca roba; tuttavia non siamo di fronte alla solita commediaccia scollacciata e triviale, ma ad un prodotto con una qualche dignità.
Mala amore e morte,un film di Tiziano Longo, con Femi Benussi, Gianni Macchia, Gabriella Lepori, Gigi Ballista, Francoise Prevost, Giallo/commedia,Italia 1975
Femi Benussi-Marisa Belli
Gianni Macchia-Marco Ranalli/Carlo Martini
Massimo Mollica-Barone Francesco De Carolis
Gabriella Lepori-Sissi
Françoise Prevost-Adalgisa Belli
Renato Pinciroli-Custode cimitero
Gigi Ballista-Avvocato Giorgi
Danika La Loggia-Entreneuse
Giulio Baraghini-Mimì, guardia del corpo
Franca Scagnetti-Donna delle pulizie
Regia;Tiziano Longo
Sceneggiatura:Paolo Barberio,Piero Regnoli
Produzione:Ermanno Curti
Musiche:Filippo Trecca
Fotografia:Franco Delli Colli
Montaggio:Mario Gargiulo
La mala ordina
Luca Canali è un magnaccia di piccolo cabotaggio, che vive ai margini della malavita organizzata.
Ha una moglie e una figlia, e vive separato dalla moglie che lavora come parrucchiera.
Gli accade di venir individuato, dal potente capo di una cosca mafiosa americana, come l’autore di un audace colpo ai danni della cosca stessa, depredata dei proventi di un traffico di droga per il valore di svariati miliardi di lire.
L’uomo viene quindi braccato dai killer mandatigli contro dalla cosca, ma con abilità riesce a cavarsela, tanto che la cosca americana si affida ad una cosca locale quella comandata da don Vito Tresoldi per tentare di punire l’uomo.
Così inizia un’altra dura battaglia, senza esclusione di colpi; il mafioso fa uccidere la moglie e la figlia di Luca, che da quel momento giura vendetta.
E la compie, sterminando la gang del mafioso e uccidendo i due killer americani mandati dalla cosca statunitense.
Fernando Di Leo, dopo il capolavoro Milano calibro 9, prova a rinverdire i fasti del primo capitolo della trilogia del milieu, a cui appartiene questo La mala ordina ,
diretto dal regista pugliese nel 1972, comprendente anche la parte finale, ovvero Il boss e affidando la parte del protagonista a Mario Adorf, già presente nel film precedente.
Lo fa imbastendo un noir ben dosato, in cui azione e ritmo non mancano; memorabile, ad esempio, la lunga sequenza dell’inseguimento di Luca Canali, appeso ad uno sportello di un furgone al guidatore del furgone stesso, chiuso dalla violenta scena in cui Luca sfonda a testate il parabrezza del mezzo.
Forse, rispetto a Milano calibro 9, in La mala ordina c’è meno tensione, la sceneggiatura non è brillantissima e manca il personaggio di spicco di Ugo Piazza, sostituito questa volta da un malvivente di mezza tacca, Luca Canali, piccolo magnaccia che saprà districarsi dai guai in cui involontariamente finirà per cacciarsi; pur tuttavia il mestiere di Di Leo c’è tutto, e si materializza in scene davvero ben congegnate, come il citato inseguimento e sopratutto la parte finale, in cui Luca ha la sua vendetta in un cimitero di auto demolite, in cui uccide i due sicari americani.
Punto debole del film sono le interpretazioni; se da un lato c’è un ottimo Adorf, abilissimo nel tratteggiare la figura un pò guascona di Luca Canali, all’opposto troviamo un Henry Silva, nella parte di uno dei due gangster americani, impegnato a mostrare un quantomai inopportuno sorriso smagliante, assolutamente non indicato in un film che ha una forte vocazione noir.
Più aderente al personaggio invece è Woody Strode, legnoso e rigido ma quantomeno più credibile.
Le parti femminili sono affidate alle bellssime Luciana Paluzzi, Femi Benussi e Sylva Koscina; la prima se la cava dignitosamente nei panni dell’interprete dei due gangster, che troverà la morte nel convulso finale; Femi Benussi, un’autentica sicurezza, è al solito perfetta nel suo ruolo, che questa volta è quello di una prostituta amica e protetta di Luca.
Adolfo Celi è Don Vito Tressoldi
Infine c’è Sylva Koscina, brava ma troppo elegante e fine per interpretare la moglie di Luca, il piccolo pappone che non ha certo una laurea o una cultura; la Koscina pur professionale, sembra davvero un elemento estraneo al film, con quella sua aria aristocratica inadatta al ruolo di parrucchiera e moglie di Luca.
Qualche errore di troppo, quindi, mascherato comunque dalla solita professionalità di Di Leo, un vero marchio di fabbrica.
Un film comunque tra i migliori, nel suo genere; non a caso Tarantino lo cita spesso, assieme al resto della trilogia, tra i film che lo hanno impressionato e influenzato maggiormente.
Buone le musiche di Armando Trovajoli; tra le curiosità, la presenza di lara wendel nei panni della figlia di Luca Canali e il doppiaggio di Mario Adorf, affidato al compianto Stefano Satta Flores.
La mala ordina, un film di Fernando Di Leo, con Mario Adorf, Henry Silva, Woody Strode, Adolfo Celi, Luciana Paluzzi, Franco Fabrizi, Femi Benussi, Gianni Macchia, Peter Berling, Francesca Romana Coluzzi, Cyril Cusack, Sylva Koscina, Jessica Dublin, Omero Capanna, Giuseppe Castellano, Giulio Baraghini, Andrea Scotti, Imelde Marani, Gilberto Galimberti, Franca Sciutto, Ulli Lommel, Vittorio Fanfoni, Giuliano Petrelli, Pietro Ceccarelli, Pasquale Fasciano, Alberto Fogliani, Giovanni Cianfriglia, Guerrino,Lina Franchi,Lara Wendel
Mario Adorf … Luca Canali
Henry Silva … Dave Catania
Woody Strode … Frank Webster
Adolfo Celi … Don Vito Tressoldi
Luciana Paluzzi … Eva Lalli
Franco Fabrizi … Enrico Moroni
Femi Benussi … Nana
Gianni Macchia … Nicolo
Peter Berling … Damiano
Francesca Romana Coluzzi … Trini
Cyril Cusack … Corso
Sylva Koscina … Lucia Canali
Jessica Dublin … Miss Kenneth
Omero Capanna … Vito’s Goon
Giuseppe Castellano … Garagaz
Giulio Baraghini … Gustovino
Andrea Scotti … Garo
Gilberto Galimberti … Vito’s Goon
Franca Sciutto … Ballerina
Ulli Lommel … Ballerina
Vittorio Fanfoni … Uomo di don Vito
Giuliano Petrelli … Uomo di don Vito
Pietro Ceccarelli … Uomo di don Vito
Pasquale Fasciano … Uomo di don Vito
Regia: Fernando Di Leo
Sceneggiatura: Fernando Di Leo, Augusto Finocchi
Prodotto da: Armando Novelli .
Musiche: Armando Trovajoli
Effetti speciali: Basilio Patrizi
“Adorfiano ed alterno. Adorf supera se stesso di Milano Calibro 9. Il film no, per snodi di trama assai meno logici rispetto a MC9, che si perdonano perché Adorf è fantastico, la fotografia è un gioiello etc. Si trovano temi presenti nell’opera di Di Leo: le cose che altrove funzionano, pure qui lo fanno egregiamente, mentre ciò che altrove non convince, non convince neppure qui (il mondo giovanile poi ripreso in Avere vent’anni). Inoltre la Dublin non strappa manco un sorriso, analogo risultato del tremendo Colpo in canna.
Tra i migliori esempi di film di genere italiano, ed ottimo esempio di noir, è anche una delle opere migliori di Fernando Di Leo. Girato con grande ritmo non appare mai patinato e artefatto, ma sempre efficacemente realista e spietato, con sequenze d’azione che, sebbene a volte siano un po’ “forzate”, appaiono sempre efficacissime. Ottima la prova del cast (specie del bravo Mario Adorf), così come la colonna sonora.
Il modesto macrò Luca Canali (Adorf) viene utilizzato come capro espiatorio dal padrino Don Vito Tressoldi (Adolfo Celi): a lui è attribuita la mancata consegna di un carico di droga pari a 3 miliardi delle vecchie lire. L’americano Corso (Cyril Cusack), che ha subìto il contraccolpo economico, invia due killer con lo scopo di dare una vistosa lezione al protettore, in colpa di defezione. Eccezionale noir, ispirato alla larga da Scerbanenco, ma frutto d’una sceneggiatura puramente ascrivibile al grande Di Leo (Ingo Hermes è imposto dalla co-produzione tedesca). Adorf domina e buca lo schermo.
Molto convincente Mario Adorf, nel ruolo di un pappone milanese un po’ sbruffone, che viene incastrato dal boss locale. Il film si trasforma quasi subito in una caccia all’uomo, soprattutto quando arrivano i due sicari per eliminare Canali (Adorf). Bravo il protagonista a costruire il personaggio, che da omuncolo dalla lingua lunga si trasforma in vendicatore, quando viene attaccato negli affetti più cari. Nessuna morale. Il boss difenderà nome e credibilità a tutti i costi. Da vedere.
Altro potente capitolo del noir italiano, che rispetto a MC9 appare meno cupo e tragico e più essenziale, lineare ed immediato. L’immenso Adorf tratteggia un macrò leale con gli amici, tenero con la sua famiglia, ma spietato con gli avversari, che vengono abbattuti dalla furia delle sue testate vendicatrici. Silva è insolitamente plastico, esuberante e parolaio e cede la sua granitica impassibilità al collega Strode. Scelta ottimale di volti (Cusack. Celi, Paluzzi, Coluzzi, Fabrizi, Berling…) e attori-stuntmen (Capanna, Galimberti).
Storia di un piccolo macrò della mala milanese che si ritrova braccato da due spietati killer americani senza un motivo apparente… Di Leo, autore anche del soggetto, è bravo nel descrivere con cura la disperata deriva di un uomo finito in un ingranaggio più grosso di lui, gira scene d’azione di tutto rispetto e tratteggia con cura anche i personaggi secondari. Se aggiungiamo l’interpretazione di un eccellente Mario Adorf, credo di aver reso l’idea di un grande film, senz’altro tra i migliori del regista pugliese.
Grandissimo film di Di Leo che ci regala uno dei più straordinari noir italiani di sempre. Livido, violento e spietato come pochi altri e per questo degno di autori più quotati come Don Siegl e Melville. Sceneggiatura tesa e vibrante. Musiche di Trovatoli che si fondono efficacemente con le immagini. Maestosa la prova di Adorf che ci regala uno splendido personaggio ed un finale assolutamente memorabile.
Una partita di eroina rubata, un pesce piccolo a cui addossare la colpa, una vendetta cieca e rabbiosa. Tutti elementi noti al genere noir, che Di Leo usa con mestiere confezionando un altro film “scerbanenchiano” dopo Milano Calibro 9 (curiosamente, quello è il titolo del racconto da cui viene l’idea di partenza del film). Meno intenso e più fiammeggiante, mette in prima linea un grande Mario Adorf, pappone con una sua dignità che non accetta compromessi e si fa giustizia da solo. Qualche tributo al gusto pop dell’epoca. Il finale è eccessivo “
Vacanze per un massacro
Joe è un criminale che evade dal carcere in cui è rinchiuso con una sola idea in mente: recuperare il bottino che nascosto in una piccola casa che sorge in un luogo isolato in montagna. In realtà, più che montagna potremmo definirlo un casolare di collina; l’uomo raggiunge agevolmente la zona, e si appresta a recuperare il malloppo, nascosto sotto un camino e ben protetto da una spessa coltre di mattoni. Ma arriva l’imprevisto: il casolare non è affatto disabitato. Infatti arrivano tre persone, Liliana, suo marito Sergio e sua sorella Paola per passare un week end di caccia e riposo. Tra Sergio e Paola, all’insaputa di Liliana, c’è una relazione: lo apprendiamo subito, dal dialogo tra i due.
Joe D’Alessandro
Gianni Macchia e Lorraine De Selle, i due cognati amanti
E mentre Liliana va in paese per acquisti, e Sergio va a caccia, Joe sequestra la giovane Paola; tra i due c’è subito una relazione, subita solo parzialmente dalla amorale Paola, che tenta subito di sedurre il suo carceriere. Forse la ragazza lo fa per poter scappare; infatti, subito dopo un amplesso, scappa via dal casolare completamente nuda, ma viene ovviamente ripresa da Joe. Nel frattempo arriva di ritorno dalla sua battuta di caccia Sergio, e subito dopo Liliana; i tre vengono fatti prigionieri, e Joe, dopo aver raccontato a Liliana della tresca esistente tra i due cognati, li obbliga ad avere un rapporto sessuale davanti a Liliana;
la donna cede a sua volta a Joe, ma mentre i due sono impegnati nelle prime schermaglie amorose, Sergio e Paola si liberano. Joe uccide a colpi di fucile i due amanti e pensa di poter portare con se Liliana nella sua fuga; ma la donna, imbracciato il fucile lasciato imprudentemente da Joe vicino alla porta, lo uccide mentre questi sta per caricare l’auto.
Vacanze per un massacro è un film decisamente minore di Fernando Di Leo; girato in fretta e furia, con pochi soldi e poche idee, si caratterizza per l’assenza di un cast completo,
lasciando ai 4 protagonisti il dominio della scena. L’ambientazione claustrofobica, venti metri globali di stanze, non giova certo all’economia del film, che alla fine si rivela abbastanza raffazzonato e insipido. L’unico motivo di interesse, se vogliamo definirlo così, è rappresentato dalla figura di Paola, la sorella fedifraga di Liliana, interpretata da Lorraine De Selle, molto maliziosa e null’altro. Praticamente nuda per metà delle scene girate, la De Selle è costretta a reggere un personaggio appena abbozzato, così come abbozzati sono i due personaggi di Liliana, interpretata da Patrizia Behn e quello di Sergio,
un anonimo Gianni Macchia. Bene Joe D’Alessandro, che riveste con cattiveria i panni del rapinatore Joe, a cui sarà fatale l’unica debolezza mostrata, quella per Liliana. Nel finale, quando il dramma esplode, ecco le splendide note del Concerto grosso dei New Trolls a fare da colonna onora della violenza che si scatena. Che, alla fine, è la cosa migliore del film. Purtroppo anche i registi capaci come Di Leo hanno dovuto far i conti con budget risicati, con risultati appena passabili come Vacanze per un massacro, film pieno di luoghi comuni, in cui però, qua e là, affiora comunque la mano del grande regista.
In ultimo, segnalazione per la solita, insulsa recensione del famoso sito di critica cinematografica, quello in cui i recensori mostrano sempre di essere impegnati a fare altro mentre guardano ( guardano?) il film:
“Un uomo evade dal carcere e cerca di recuperare il malloppo del suo ultimo colpo. Ma non è facile. Sul terreno dove nascose il grisbì c’è ora una lussuosa villa (lussuosa villa??? ). I proprietari si trovano di fronte il galeotto che non arretra davanti a nulla pur di riprendersi il bottino.”
Vacanze per un massacro,un film di Fernando Di Leo. Con Gianni Macchia, Joe Dallessandro, Lorraine De Selle,Patrizia Behn Drammatico, durata 93 min. – Italia 1980.
Joe Dallesandro: Joe Brezy
Lorraine De Selle: Paula
Patricia Behn: Lillian, sorella di Paula
Gianni Macchia: Marito di Lillian
Regia Fernando Di Leo
Soggetto Mario Gariazzo
Sceneggiatura Fernando Di Leo
Produttore Mida Cinematografica
Fotografia Enrico Lucidi
Montaggio Amedeo Giomini
Musiche Luis Enríquez Bacalov
Scenografia Francesco Cuppini
Costumi Carolina Ferrara
Lo stallone
Cupo, fosco dramma famigliare diretto da Tiziano Longo nel 1975, su un soggetto sceneggiato da Paolo Barberio, Tiziano Longo e Piero Regnoli. Daniela, una bella ragazza unica figlia di una coppia borghese, è morbosamente attaccata al padre Guido.
Gianni Macchia
Lo lega a lui un affetto che sfocia in patologico, una sorta di complesso di Edipo al femminile; quando la ragazza incontra Valerio, un giovane artista senza un soldo, moralmente ambiguo e libertino, architetta un piano per sbatterlo nelle braccia della mamma Francesca, una donna ancora piacente, che ricorda con nostalgia i tempi in cui il marito la desiderava ancora. Francesca assiste anche ad un amplesso tra la figlia e il giovane pittore, restandone fortemente turbata. Si offre al marito, che però è distratto ed immerso nei suoi pensieri. Così quando accetterà la corte interessata del giovane, riscoprirà il piacere dei sensi.
Giorgio Ardisson (Guido) e Dagmar Lassander (Francesca)
Il marito accortosi della relazione, reagisce in maniera contraria ai desideri della figlia Daniela: guarda dapprima con distacco alla cosa, per poi prenderla come un diversivo erotico, che riaccende in qualche modo i suoi sensi sopiti, ridando slancio in questo modo alla relazione con la moglie.Ma le cose sono destinate a precipitare. La relazione tra Francesca e Valerio è ormai ad un punto di non ritorno, e quando Daniela se ne rende conto, prima che i due possano fuggire assieme, come hanno progettato, uccide i due amanti.
Lo stallone è un film giocato sul dramma borghese che coinvolge le vite dei protagonisti, l’attempato Guido, interpretato da Giorgio Ardisson, uomo freddo e distante dal suo ruolo istituzionale di amante e marito di Francesca, Dagmar Lassander, donna borghese ancora piacente, trascurata e quindi vulnerabile alle attenzioni maschili, da quella di Daniela, Annarita Grapputo, bella e morbosa ragazza legata da un affetto non propriamente filiale nei confronti del padre.
E in ultimo dalla figura di Valerio, artista a tempo perso, interpretato dal bel tenebroso Gianni Macchia, autentico perno della storia, inusuale menage a quattro con protagonisti che non suscitano in realtà grandi simpatie, persi come sono dietro meschine lotte per appagare le loro morbosità. Il film, non brutto, cerca in qualche modo di accennare alle psicologie dei personaggi, perdendosi spesso nella descrizione degli incontri erotici dei protagonisti, basandosi più che altro sulle numerose scene di nudo del film stesso, in cui predomina la figura di Francesca, a tratti ambigua, in bilico tra il legame con il marito, che all’inizio la trascura e la respinge per scoprire in seguito un morboso interesse quando la donna si sarà concessa all’amante, arrivando a spiare con un binocolo i loro incontri erotici.
Francesca è interpretata da una Dagmar Lassander magrissima, quasi anoressica, brava comunque a dare credibilità al suo personaggio, esprimendo il tormento di una donna che si vede sfiorire senza alcuna attenzione da parte dell’uomo che ha sposato tanti anni prima. Brava anche Annarita Grapputo, nel ruolo di un personaggio che definire morboso è riduttivo, quella Daniela che si spingerebbe volentieri sui sentieri proibiti dell’incesto.
Nota di merito anche per Ardisson e Macchia, i due amanti della donna, per un film che tutto sommato ha un suo interesse, anche se, come già detto, giocato troppo sull’aspetto sesso e meno su quello psicologico.
Lo stallone, un film di Tiziano Longo del 1975, con Stefano Amato, George Ardisson, Annarita Grapputo, Dagmar Lassander, Gianni Macchia, Domenico Palma. Prodotto in Italia. Durata: 85 minuti.
Annarita Grapputo: Daniela
Gianni Macchia: Valerio
Dagmar Lassander: Francesca
Giorgio Ardisson: Guido
Regia Tiziano Longo
Soggetto Piero Regnoli
Sceneggiatura Tiziano Longo, Piero Regnoli, Paolo Barbario
Produttore Lucio Giuliani
Fotografia Antonio Maccoppi
Montaggio Mario Gargiulo
Musiche Stefano Liberati, Elio Maestosi
Scenografia Franco Bottari
Costumi Liliana Calli
Fiorina la vacca
L’azione si svolge in Veneto,nel 1500,tra contadini,villani mariti cornuti e mogli fedifraghe; la protagonista è Fiorina, una bella vacca bianca pezzata di nero,che finisce in molte mani. In origine Fiorina appartiene a Ruzante,un contadino che non possiede null’altra ricchezza che la vacca; ma un giorno è costretto a venderla, perchè la sua unica possibilità di guadagnare denaro è diventare un mercenario.
La vende a Menego,bifolco senza denaro, che per comprarla usa i soldi di sua moglie; l’uomo,raggirato,perderà ben presto sia la vacca che la moglie. Michelon, l’autore della beffa in combutta con Guglielmina, moglie di Menego, affida Fiorina la vacca a sua moglie.
La donna,incantata da un suonatore ambulante,cede alle lusinghe del sesso e mentre giace soddisfatta nel suo letto,si vede portar via la vacca dall’occasionale amante e dai suoi complici, altri due suonatori ambulanti.
Le peripezie della vacca però non terminano qui; acquistata da Sandron,viene portata in una stalla,dove però viene rubata da tre soldati di ventura che a loro volta la vendono al ricco Beolco. L’uomo ha un’amante, ma si è stancato di essa così incarica un ruffiano di procurargli un’altra amante. E il ruffiano porta da Beolco la moglie di Ruzante,ormai ridotta alla fame.
Ruzante ritorna dalla guerra,stanco,affamato e sfiduciato; va a cercare la moglie, ma scopre che è diventata l’amante, peraltro contenta,di Beolco; allora sfida le guardie di quest’ultimo, ma viene sconfitto,bastonato e umiliato, mentre la moglie lo caccia via.
Commedia pecoreccia con il pregio di muovere qualche risata,e con un cast di ottimi comprimari,oltre che di splendide attrici fra le quali una giovanissima Ornella Muti,Angela Covello,Janet Agren,Eva Aulin,Jenny Tamburi.
Fiorina la vacca,
un film di Vittorio De Sisti. Con Ornella Muti,Janet Agren, Gianni Macchia, Gastone Moschin, Mario Carotenuto, Renzo Montagnani, Piero Vida, Ewa Aulin, Giorgio Dolfin, Graziella Galvani, Sergio Tramonti, Jenny Tamburi, Felice Andreasi, Angela Covello, Salvatore Baccaro. Genere Commedia, colore 103 minuti. – Produzione Italia 1972
Janet Agren: Tazia
Felice Andreasi: Compare Michelon
Eva Aulin: Giacomina
Rodolfo Baldini: amante di Teresa
Mario Carotenuto: padron Beolco
Angela Covello: Fiorina
Attilio Duse: Sandron
Graziella Galvani: Betta
Gianni Macchia: Checco
Renzo Montagnani: Compare Menico
Ornella Muti: Teresa
Jenny Tamburi: Zanetta
Sergio Tramonti: sarto padovano
Piero Vida: Nane il ‘ruffiano’
Gastone Moschin: Ruzante
Luigi Antonio Guerra: Tonino ‘Stropabusi’
Regia Vittorio De Sisti
Soggetto Fabio Pittorru, liberamente tratto dai testi del Ruzante
Sceneggiatura Vittorio De Sisti, Fabio Pittorru
Casa di produzione Juma Film
Fotografia Erico Menczer
Montaggio Gabriella Cristiani
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Sergio Canevari
Costumi Sergio Canevari