Ingrid sulla strada
La giovane e bella Ingrid è diretta a Roma,dopo aver subito violenza da suo padre.
Sul treno che dalla finnica Rovaniemi porta in Italia,la ragazza si lascia sedurre da un uomo accettandone la ricompensa in denaro.
Dopo l’arrivo nella città eterna,Ingrid girovaga per la città,affascinata dalla sua bellezza e incontra casualmente la prostituta Claudia che
la carica su una carrozzella.
Tra le due c’è subito amicizia e complicità;Claudia la introduce nel suo ambiente,facendogli conoscere un pittore con il quale ha una relazione.
Alcune esperienze singolari attendono le due compagne di avventura,come l’incontro con un degenerato,Urbano,che con la complicità della moglie
instaura un improbabile rapporto a 4 a sfondo necrofilo.
Successivamente Ingrid fa la conoscenza del pappone di Claudia,il brutale e psicopatico Renato che,per vendicarsi dell’evidente disprezzo che da subito la ragazza mostra per lui,la fa violentare dai suoi uomini,con Claudia che perde la vita nel tentativo disperato di aiutarla.
Sconvolta,Claudia si uccide.
Brutto senza appello questo Ingrid sulla strada,diretto da Brunello Rondi nel 1973.
Ad un inizio anche lirico,con Ingrid che raggiunge la stazione tra candidi paesaggi innevati,si oppone il sordido e violento mondo romano,descritto dal regista come coacervo di tutti i peggiori vizi.
La parte centrale del film poi rasenta la narcosi profonda,sopratutto nell’episodio che vede le due donne partecipare ad una grottesca orgia con un degenerato e maturo cliente.
Il finale è sin troppo violento,un vero colpo di frusta che nelle intenzioni vorrebbe stigmatizzare l’ipocrita ambiente della capitale,all’apparenza elegante e nella realtà sordida e viziosa.
Invece il tutto appare come un ibrido mal amalgamato,in perenne bilico fra la farsa e la tragedia,con personaggi caricati all’inverosimile di vizi e sopratutto moralmente abietti e disadattati,asociali.
In equilibrio assolutamente precario tra il Pasolini delle borgate e la Roma da cartolina,il film deraglia quasi subito per eccesso di cinismo e per l’irrealtà dei personaggi mostrati.
La Agren, che interpreta la finnica Ingrid,è solo un bel volto gelido e algido mentre la Coluzzi (Claudia) dovrebbe essere un personaggio che ispira simpatia e che nella realtà,invece,appare ancor più censurabile degli altri,fatta eccezione per l’improponibile Citti,descritto come un satanasso senza morale e senza umanità.
Un sadico pervertito che maschera la propria carica di violenza con atteggiamenti da folle nazista nascosto nemmeno bene da intellettuale dei poveri.
Un film senza capo e sopratutto senza coda,un ritratto inverosimile e non credibile di una realtà che forse potrebbe anche appartenere agli anni settanta e alla capitale,ma che viene resa con un linguaggio e con una filmica inverosimili.
Rondi per l’ennesima volta cicca clamorosamente la palla e fa autogoal;accadrà con il pretenzioso I prosseneti scendendo ancora più in basso con Valeria dentro e fuori e sopratutto con Velluto nero.
Un cinema,il suo,molto arrogante e poco concreto.
Non bastano le buone intenzioni e una discreta tecnica per creare opere degne di essere ricordate;Rondi è poco più che un artigiano,peraltro presuntuoso.
Mescolare la poesia espressa dal paesaggio selvaggio con la brutalità dell’urbano richiede una sapiente opera alchemica,ovvero la capacità di passare da una realtà all’altra con discrezione e non ex abrupto.
Film quindi di scarso o nullo valore,nonostante l’esaltazione di qualche critico e di una manciata di adoratori del regista valtellinese,del quale non salverei nemmeno gli attori,fatta eccezione forse per Enrico Maria Salerno,alle prese con un personaggio odioso e ridicolo,che però esprime con la consueta bravura ed eleganza.
Buona la fotografia,innocue e dimenticabili le musiche di Carlo Savina
Il film è presente su Youtube in una splendida versione all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=Gvp-cj3bmIY
Ingrid sulla strada
Un film di Brunello Rondi. Con Janet Agren, Enrico Maria Salerno, Franco Citti, Francesca Romana Coluzzi,Marisa Traversi, Bruno Corazzari, Fred Robsham, Luciano Rossi Drammatico, durata 92 min. – Italia 1974
Janet Agren: Ingrid
Franco Citti: Renato
Francesca Romana Coluzzi: Claudia
Bruno Corazzari: il pittore
Luigi Antonio Guerra: uomo della gang di Renato
Fulvio Mingozzi: padre di Ingrid
Alessandro Perrella: giornalista
Luciano Rossi: il traditore
Enrico Maria Salerno: Urbano
Regia Brunello Rondi
Sceneggiatura Brunello Rondi
Produttore Carlo Maietto
Casa di produzione Thousand Cinematografica
Fotografia Stelvio Massi
Montaggio Marcello Malvestito
Musiche Carlo Savina
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
Luchi78
Dalla Lapponia con furore, alle botticelle con i coatti che fanno battute in tipico stile romanesco. Il salto è troppo ardito e il film perde subito la verve acquisita con
l’ottimo inizio. Non bastano poi le scene di violenza sostenute da un Citti non troppo nella parte, per non parlare di Salerno decisamente fuori luogo. Neanche le due protagoniste,
la Agren e la Coluzzi, riescono ad esprimersi a buoni livelli: la prima troppo trattenuta, la seconda troppo “alla romana”. Insomma, un film non riuscito.
Daidae
Mediocrissimo film che parte in quinta (la sequenza sul treno è favolosa) ma si sfalda appena Ingrid arriva a Roma. Assurdi i personaggi della Coluzzi ma sopratutto di Citti che, nonostante reciti bene,
è poco credibile nel ruolo del capo di una banda di neonazi-papponi-terroristi. In particolar modo la politica sembra una forzatura; “stupenda” la battuta del compagno che indica in papa Giovanni XXIII
il mandante dell’attentato! Totalmente fuori posto anche Enrico Maria Salerno. Film molto mediocre che, forse, ha come unico pregio i primi 5 minuti e gli ultimi 3.
Schramm
Chissà dove ha battuto la testa Rondi prima di mettersi a girare questo non plus ultra dello scultissimo coabitato da un sordido Citti -fisionomicamente beniano, in quest’occasione- che lo risolleva un pochino,
ma cinto d’assedio dalle armate del ridicolo a ogni minuto: bastino per tutti i dialoghi cacciati in bocca a Salerno, naufragante in situazioni che sono un inno all’umorismo involontario.
L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it
Si tratta di un film senz’altro ‘alla Rondi’: intento di denuncia, sguardo rivolto alle problematiche sociali, ma poca fantasia e un’attrazione irrisolvibile verso le morbosità. Già dal titolo si intuisce che quella di Ingrid non sarà una storia felice;
brava la protagonista Agren (che è in realtà svedese e non finlandese), affiancata da un tris di ottimi nomi come Salerno, che ha poco più che un cameo, la Coluzzi e Citti (Franco), doppiato fra l’altro da Oreste Lionello. Soggetto e sceneggiatura di Rondi,
con apice della storia nella scena-shock del taglio della lingua di un ‘infame’. Echi di Pasolini (complice anche la presenza di Citti)? Ma Pasolini aveva una leggerezza nella narrazione che non sfiora neppure l’apparato grottesco e macchinoso di Rondi.
Venga a prendere il caffè da noi
La spartizione è il secondo romanzo scritto da Piero Chiara dopo Il piatto piange; nel 1970 Alberto Lattuada riduce per lo schermo il romanzo dello scrittore di Luino mutando il titolo in Venga a prendere il caffè da noi e mantenendo praticamente intatta l’atmosfera ridanciana e grottesca del romanzo, che è una delle cose migliori di Chiara, autore saccheggiato a buon motivo dai registi cinematografici.
Aiutato dallo stesso Chiara e con l’aiuto importante del critico Tullio Kezich,Lattuada dirige un film amaro e al tempo stesso di stile quasi boccaccesco,ricreando l’ambiente piccolo borghese in cui si muovono i personaggi del film, ambientato nella bella Luino,piccola perla del varesotto che sorge sul lago Maggiore,che fa da cornice alle storie parallele e al tempo stesso incrociate del protagonista maschile,Emerenziano Paronzini e delle tre sorelle Tettamanzi,Camilla Fortunata e Tarsilia.
Lattuada trasla il film dall’epoca fascista ai primi anni sessanta,modificando il finale; non sono scelte da poco che però alla fine non mutano l’economia del film.
Il gusto per il grottesco,per il surreale e al tempo stesso ironico sguardo sulla piccola provincia italiana di Chiara è ripreso in maniera praticamente perfetta da Lattuada, che ha anche l’intuito e la fortuna di scegliere come protagonista nelle vesti di Emerenziano, funzionario integerrimo del Ministero delle Finanze,il grande Ugo Tognazzi, sornione come un gatto che ha avvistato un topo ed aspetta il momento giusto per papparselo.
L’attore cremonese è nel pieno della sua maturità artistica e lo dimostra appieno in questo film godibile, allegro e ironico,nel quale interpreta il ruolo di un allupato dipendente pubblico che stanco della vita da single e sopratutto affetto da un’incontrollabile frenesia sessuale,decide di mettere assieme l’utile e il dilettevole, puntando gli occhi su tre sorelle anche loro single ma con alle spalle un ricco patrimonio lasciato loro dal padre.
Il che a ben vedere è la ciliegina sulla torta,la molla che spingerà l’uomo a corteggiare le tre sorelle.
Lattuada punta molto sull’atmosfera ironica del romanzo e nel film si lascia trasportare sia dalla stessa atmosfera sia dal fascino che emana dalla ridanciana cittadina lombarda;il lago, le belle e linde case di Luino, la simpatia della popolazione locale,istrionica e a tratti furba costituiscono l’ossatura del film, che veleggia dall’inizio alla fine su una leggerezza di fondo che non scade mai nel banale,anzi.
Assistiamo alle imprese di Emerenziano carpendo i suoi pensieri,il suo modus vivendi e il suo modus operandi;sappiamo in anticipo le sue mosse e se non parteggiamo per lui è solo perchè romanticamente ci aspetteremmo motivazioni più profonde alla base dell’operato dell’uomo.
Che invece sceglie coscientemente di sedurre dapprima una delle sorelle e poi infine le altre due,in una atmosfera di quadrilatero di amorosi sensi mai scadente nel volgare o nell’erotico.
A ben guardare è proprio questa una delle peculiarità del film,ovvero lo scansare come la peste le scene di nudità facili e cattura pubblico optando invece per una sana e ironica comicità che non è di grana grossa, tutt’altro.
In una recensione si legge testualmente “Una commedia di gusto grossolano, diretta con mestiere e sorretta da una riuscita caratterizzazione dei personaggi, ma fastidiosa e disgustosa per la volgarità di cui è impregnata” (Segnalazioni Cinematografiche)
Nulla di più lontano dal vero.Non c’è nulla di volgare a livello visivo,nulla nei dialoghi se non l’arguzia tipica della gente di provincia, sempre pronta a trovare un motto o una battuta sagace su quello che accade,sulla vita stessa.
Veniamo alla trama:
Emerenziano Paronzini è quindi alla ricerca di una donna con cui accasarsi.E’ stanco della sua solitaria vita da single,inoltre essendo un reduce di guerra tornato a casa con una fastidiosa menomazione.
Individua tre sorelle , Camilla,Fortunata e Tarsilia Tettamanzi come sue prede e decide di prenderne una in moglie, in modo da assicurarsi non solo una donna che lo serva e lo riverisca, ma un comodo approdo per i suoi pruriti sessuali.
Fantastica la descrizione che da Piero Chiara delle tre sorelle:
“Brutte ciascuna a suo modo di una bruttezza singolare, e consapevoli della ripugnanza che ispiravano agli uomini, avevano tacitamente soppresso l’amore, come se l’avessero seppellito in giardino per nascondere una vergogna. In verità, neppure quando andavano a scuola, e Camilla addirittura all’Università, nessun uomo aveva pensato di farle accorte del loro sesso; né poteva essere diversamente, per quei tre frutti malformati di un matrimonio che era stato di puro interesse, tra il loro padre – una specie di pappagallo con le gambe storte – e la loro madre, mal sortito avanzo di una vecchia famiglia”
Nella realtà del film, le tre sorelle sono interpretate magistralmente da tre attrici non certo brutte,anzi a loro modo con un certo fascino.
Tornando alla pellicola,Emerenziano riesce ad entrare in casa Tettamanzi e dopo un breve corteggiamento seduce Fortunata,individuata dallo scaltro uomo come la preda più facile e abbordabile.
Il matrimonio va in porto e al ritorno dal viaggio di nozze, che è stato un vero e proprio tour de force sessuale per Fortunata (il dottore che la visita la troverà “vaginalmente infiammata“) Emerenziano si stabilisce nella casa delle donne.
Riverito come un sibarita, l’uomo inizia a guardare con un certo appetito sessuale le altre due sorelle e alla fine le seduce entrambe.
Inizia così un rapporto a quattro, con il sultano che a turno giace con una delle concubine.
In seguito il vorace e instancabile appetito dell’uomo si rivolge anche alla domestica Caterina;ma una sera,mentre è intento nella sua opera di seduzione,Emerenziano che ha ecceduto nelle libagioni finisce per avere un colpo apoplettico; da quel momento dovrà vivere su una sedia a rotelle, accudito comunque amorevolmente dalle tre sorelle,che lo portano a spasso come un trofeo di caccia.
Venga a prendere il caffè da noi è uno dei più grandi successi della straordinaria stagione cinematografica del 1970; solo film straordinari come Lo chiamavano Trinità di E.B. Clucher,Per grazia ricevuta di Manfredi (vera star office della stagione),Anonimo veneziano di Enrico Maria Salerno,Il piccolo grande uomo di Arthur Penn,Borsalino di Jacques Deray,Il gatto a 9 code di Dario Argento faranno meglio della pellicola di Lattuada.
Guardando la presenza di questi film non si può non provare nostalgia per quella straordinaria e feconda stagione cinematografica che fu il 1970…
Il film come già detto si avvale della location bellissima e fiabesca di Luino,della presenza di un grande Tognazzi, di dialoghi divertenti e di una sceneggiatura di prim’ordine.
Non dimentichiamo anche le tre bravissime protagoniste femminili, Francesca Romana Coluzzi(Tarsilla Tettamanzi) alla quale perfidamente Lattuada applica una antiestetica peluria sulle labbra,Milena Vukotic (Camilla Tettamanzi) e infine Angela Goodwin (Fortunata Tettamanzi); tre attrici dalla futura lunga e longeva carriera cinematografica,lusinghiera e meritata.
Nel film compare anche lo stesso Piero Chiara nel ruolo di Pozzi.
Un film ancora oggi fresco e divertente,irriverente.
Che potrete vedere in una buona qualità su You tube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=k8VBzpmPr_o
Buona visione con un grande film targato anni settanta…
Venga a prendere il caffè da noi
Un film di Alberto Lattuada. Con Ugo Tognazzi, Angela Goodwin, Milena Vukotic, Francesca Romana Coluzzi, Checco Rissone,Piero Chiara, Alberto Lattuada, Antonio Piovanelli, Carla Mancini Commedia, Ratings: Kids+16, durata 113 min. – Italia 1970.
Francesca Romana Coluzzi: Tarsilla Tettamanzi
Ugo Tognazzi: Emerenziano Paronzini
Milena Vukotic: Camilla Tettamanzi
Angela Goodwin: Fortunata Tettamanzi
Jean Jacques Fourgeaud: Paolino
Valentine: Caterina, la cameriera
Checco Rissone: Mansueto Tettamanzi, il padre delle sorelle
Piero Chiara: Pozzi
Natale Nazzareno: garzone
Carla Mancini: studentessa
Alberto Lattuada: Raggi, il dottore
Antonio Piovanelli: Don Casimiro
Regia Alberto Lattuada
Soggetto Piero Chiara (romanzo)
Sceneggiatura Alberto Lattuada
Adriano Baracco
Tullio Kezich
Piero Chiara
Produttore Maurizio Lodi Fé
Casa di produzione Mars Film Produzione
Distribuzione (Italia) Paramount
Fotografia Lamberto Caimi
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Fred Bongusto
Tema musicale Vivienne eseguita da Fred Bongusto
Scenografia Vincenzo Del Prato
Costumi Dario Cecchi
Trucco Eligio Trani
“Come dice il Mantegazza, alla mia età ho bisogno delle tre c: caldo, coccole e cibo!”
“Dovevamo rompere le reni alla Grecia, Hanno rotto il culo a me!”
“”Però anche voi, che cambiamento: sembrate tre puttane!”
Da dove era venuto con quella faccia severa, con quell’aspetto composto e a prima vista distinto? Da qualche importante città, da una famiglia di rango, da una lunga abitudine alla riservatezza?
Solo dopo qualche mese si seppe che veniva, in seguito a trasferimento d’ufficio, dal capoluogo della provincia; ma. che era di Cantévria, un paesucolo della Valcuvia, a pochi chilometri da Luino.
“Da Cantévria con quel nome?” si domandava la gente. E nessuno credeva possibile che da quel luogo di campagna, abitato da contadini e da famiglie d’emigranti, potesse uscire un funzionario, anche d’infimo grado, dell’Ufficio Bollo e Demanio; e con quel nome, Emerenziano Paronzini, che sembrava il nome di un generale, benché fosse senza mistero per la Valcuvia dove esistevano molti Emerenziani ed Emerenziane e dove il cognome Paronzini si ripete in più posti.
L’opinione di Will Kane dal sito http://www.filmtv.it
Dal romanzo di Piero Chiara(che appare nel piccolo ruolo del commercialista del bottegaio in crisi Jean-Jacques Forgeraud,amante clandestino della sorella Tettamanzi più vistosa,Francesca Romana Coluzzi) intitolato “La spartizione”, l’occasione per un numero dei suoi per Ugo Tognazzi, tra i mostri sacri del pantheon attoriale italico, probabilmente il più duttile:ometto di impostazione rigida, programmatore freddo e calcolatore del proprio futuro, da sistemarsi con un buon partito, individuato in una a scelta di tre sorelle ereditiere di un solido patrimonio, avvicinate con il pretesto di un aiuto a proposito di un nodo gabellare,visto che Eremenziano Paronzini(nome veramente indovinato per un personaggio del genere) è un funzionario dell’ufficio imposte, azzecca quasi ogni mossa,salvo farsi prendere dall’ingordigia degli appetiti sessuali. Lattuada(anche lui presente,nel cameo del dottore di famiglia Tettamanzi) dipinge con sapiente malignità il quadro grigiastro della vita di provincia in riva al lago, la repressione sessuale di una tipica mentalità borghesotta, la vocazione ad un dissolutismo grottesco repressa ivi compresa. Benchè felicemente ambientato,”Venga a prendere il caffè da noi” ha un buon corpo attoriale,ma sembra che Tognazzi presti al personaggio un buon mestiere, e non l’estro di sempre, o comunque non è al massimo delle sue potenzialità d’attore, benchè si tratti di un carattere rigido che rivela tutto insieme le sue aspirazioni da satiro attempato, e il monologo a tavola(“Dovevamo spezzare le reni alla Grecia, e invece hanno rotto il culo a me!” esclama a un certo punto) è un bel crescendo d’interprete, ma sono altri i personaggi, vedi “Amici miei”,”Romanzo popolare”,per citarne due soli, che sono veramente memorabili tra quelli interpretati dal grande attore cremonese. Bravissime anche le tre interpreti, soprattutto la “tanta” Francesca Romana Coluzzi,purtroppo deceduta in questi giorni.
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
B.Legnani
Tutto molto corretto e composto, in linea con la sana (almeno in apparenza) provincia lombarda. Tognazzi disegna bene il protagonista e talora lo fa quasi sotto-recitando. Le tre donne sono molto brave. Fourgeaud è doppiato da Nino Castelnuovo. Ruolo della vita per la Coluzzi.
Galbo
Nella cornice perbenista ed ipocrita della meravigliosamente rappresentata provincia italiana, si muove un poersonaggio che non potrebbe essere più italico di così, il seduttore ragionere benissimo interpretato da Tognazzi in uno dei migliori ruoli della carriera. Buon film di Lattuada che sfrutta la massimo le corde satiriche della sceneggiatura.
Pigro
Il placido lago prealpino nasconde i bollenti spiriti di tre sorelle zitelle, presto appagati dal “gallo” che ha capito come dare una svolta alla propria vita. E così questa piacevole commedia ci diverte non solo con le pennellate satiriche sulla sessuofobia ipocrita, ma anche con deliziose annotazioni psicologiche al limite del caricaturale che Lattuada destina a tutti i protagonisti di questo girotondo erotico-grottesco. Magistrale Tognazzi nella sua maschera da macho calcolatore, impagabili le tre grazie, pudiche e assatanate.
Homesick
L’Italia non è più fascista e l’epilogo meno drastico, ma l’adattamento di Lattuada rispetta la garbata licenziosità del romanzo di Chiara e la sua rappresentazione di una provincia immobile e perbenista. Nel superlativo Tognazzi si ritrovano – ora accennati, ora enfatizzati – gesti, sguardi e manie del trigamo e taciturno Paronzini, così come il terzetto “gambe” Coluzzi-“capelli” Goodwin-“mani” Vukotic è l’ideale ritratto cinematografico delle represse sorelle Tettamanzi. L’ottimo risultato è altresì favorito dalle musiche di Bongusto, che catturano al volo lo spirito della commedia.
Daniela
Emerenziano Paronzini, metodico ragioniere di mezz’età, si sistema sposando una delle tre ricche sorelle Tettamanzi, ma non disdegna il talamo delle altre due… Ritratto satirico della vita di provincia, piatta come le acque del lago su cui si affaccia la cittadina in cui è ambientata la vicenda ma anche altrettanto torbida, dato che le apparenze bigotte nascondono voglie proibite e vizietti inconfessabili. Memorabile la caratterizzazione di Tognazzi, ma non vanno dimenticate Goodwin e Vukotic con la loro vibrante “bruttezza”. Meno credibile nel ruolo la stangona Coluzzi.
Markus
Trasposizione cinematografica del romanzo di Piero Chiara “La spartizione”. L’interprete principale è un istrionico e superbo Ugo Tognazzi, nei panni d’un uomo che, malgrado la bruttezza d’una donna, la sposa perché ricca. Una volta piazzato in casa, coglie l’occasione per deflorare anche le due cognatine fino ad un imprevisto finale. Girato a Luino, il film gode di grande ritmica degli eventi e di una sano cinismo. Lattuada ci mostra per l’ennesima volta una certa tendenza per il feticismo (gambe e piedi femminili). Rallegramenti.
Cangaceiro
Il merito di Lattuada è parlare per quasi 2 ore di pruriti sessuali e istinti carnali (mostrandoci anche qualcosina) senza mai risultare volgare. Il filoconduttore è tutto qui: la ricerca dello “star bene” in tutti i sensi, senza farsi troppi scrupoli morali, il tutto calato nella sana provincia italiana di allora, qui ben fotografata, una sorta di “do ut des” che soddisfa tutti. Domina Tognazzi, bravissimo nell’interpretare con raffinatezza un uomo piccolo ed egoista. Tra le sorelle spicca una Coluzzi quasi irriconoscibile. Tante le scelte registiche azzeccate.
La cugina
Sin da bambini, i cugini Agata e Enzo hanno sentito una forte attrazione reciproca, culminata in sottili giochi al limite dell’erotismo e conditi da una malizia tutta infantile. Crescendo i due cugini hanno continuato a vedersi, mantenendo viva l’attrazione fra loro sempre in bilico tra l’innocenza e la malizia.
Enzo, iscritto all’università, trascura gli studi preferendo dedicarsi alla sua passione primaria,le donne, mentre Agata che è diventata una splendida ragazza è alla ricerca di un marito.
Lo scopo di Agata si concretizza quando conosce un barone ricco di titoli e soldi, che garantiscono all’ambiziosa ragazza di fare la bella vita sognata; quando il matrimonio è consumato, ecco che Agata, che aveva sempre resistito alla corte del cugino, all’improvviso si abbandona e si concede a Enzo….
Christian De Sica
Stefania Casini
Aldo Lado reduce dal grande successo di La corta notte delle bambole di vetro e di Chi l’ha vista morire? e subito dopo il parziale successo di Sepolta viva abbandona il thriller e il feuilleton per girare una commedia a smaccato sfondo erotico, tratta da un romanzo di Ercole Patti.
L’ambiente è quello classico siciliano, ancora una volta visto come territorio di mollezze, di agi e popolato da sfaccendati assatanati di sesso.
Lado non fa eccezione alla triste regola che vede la stragrande maggioranza dei registi usare stereotipi triti e ritriti che ritraggono una Sicilia patriarcale e feudale, in cui as usual nobili e borghesi si dilettano con le sottane salvo poi pretendere la castità e la verginità dalle future spose.
Francesca Romana Coluzzi
Emblematico a tal pro il dialogo tra i neo sposi, il barone e Agata: “Era indispensabile che io fossi vergine?” chiede Agata al marito, ricevendo la tradizionale risposta “E come no?”
E’ uno dei tanti dialoghi che costellano il film e che mostrano come Lado sia rimasto imbrigliato nei luoghi comuni; a sua scusante c’è la necessità di rispettare la sceneggiatura tratta dal libro e a Lado stesso va riconosciuto il merito di non aver calcato la mano sull’aspetto erotico della vicenda, che invece il libro di Ercoli predilige.
La nipote è un film senza infamia e senza lode, giocato quasi tutto sulle vicende parallele del gruppo di scioperati amici di Enzo impegnati a cercare di sedurre donne in quantità e parallelamente sulle vicende di Enzo e Agata che si attraggono, si sfuggono e alla fine si congiungono carnalmente coronando il sogno nascosto che appare evidente fin dalle prime battute del film.
In mezzo una serie di siparietti di vita siciliana, quella naturalmente dei borghesi e dei ricchi fra banchetti, partite a carte e ricevimenti in lussuose ville.
L’unico vero punto di forza del film, abbarbicato su una sceneggiatura che vedrà decine di repliche dello stanco copione del gallo siciliano sfaccendato e puttaniere, è il cast di ottimi attori assemblato per dare vigore ad un film che altrimenti molto difficilmente sarebbe uscito dall’anonimato.
Dayle Haddon
Agata è interpretata dalla bella modella Dayle Haddon, sicuramente sexy e affascinante anche se davvero poco siciliana mentre Enzo è interpretato da Massimo Ranieri che ancora una volta fa il suo egregiamente.
Ma è nel gruppo di caratteristi che ritroviamo alcune perle, come la presenza di Laura Betti nel ruolo di Rosalia Scuderi, madre del barone a cui fa ancora il bagno, Christian De Sica (sovrappeso e flaccido) nel ruolo del futuro becco Barone Scuderi, di Stefania Casini in quello di Lisa Scuderi sorella un tantino sporcacciona del Barone, di Francesca Romana Coluzzi nella parte della moglie di un onorevole che cornifica in continuazione e con piacere, sopratutto con la combriccola degli amici di Enzo.
La cugina è quindi un film senza particolari meriti ma anche senza particolari demeriti; una commedia innocua che però non annoia e riesce a suscitare qualche interesse sopratutto nella parte centrale del film.
Siamo lontani anni luce dal Gattopardo di Visconti che aveva dalla sua anche un grande romanzo, l’omonimo scritto da Tomasi di Lampedusa, che aveva fatto un ritratto al vetriolo della decadente Sicilia di fine secolo e altrettanto lontani dall’ottimo Paolo il caldo di Vicario, anch’esso tratto da un romanzo bellissimo e sottilmente crudele, quello di Brancati.
Lado si arrangia con il soggetto che trova, con l’unica colpa di non aver saputo resistere all’uso di una certa volgarità di linguaggio e se vogliamo di situazioni.
Un film che definirei minore nella filmografia del regista di Fiume, che l’anno successivo però tornerà al cinema che conosce meglio, quello a metà strada tra il thriller e l’horror, sfornando quel piccolo gioiello che sarà L’ultimo treno della notte.
Da segnalare anche le musiche discrete del grande Morricone.
La cugina
Un film di Aldo Lado. Con Christian De Sica, Stefania Casini, Massimo Ranieri, Dayle Haddon,Jole Fierro, Stefano Oppedisano, Laura Betti, Luigi Casellato, Loredana Martinez, José Quaglio, Cristina Airoldi Commedia, durata 95′ min. – Italia 1974.
Massimo Ranieri … Enzo
Dayle Haddon … Agata
Conchita Airoldi … La cameriera
Laura Betti … Rosalia Scuderi
Luigi Casellato … Peppino
Stefania Casini … Lisa Scuderi
Francesca Romana Coluzzi … Moglie dell’onorevole
Christian De Sica … Ninì Scuderi
Loredana Martínez … Giovannella
Stefano Oppedisano … Ugo
José Quaglio … Fragalà
Regia Aldo Lado
Soggetto Ercole Patti dal suo romanzo omonimo
Sceneggiatura Luisa Montagnana, Massimo Franciosa
Produttore Felice Testa Gay
Produttore esecutivo Bruno Frasca
Casa di produzione Testa Gay Cinematografica, Unidis
Fotografia Gábor Pogány
Montaggio Alberto Galletti
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Elio Balletti
Costumi Fabrizio Caracciolo
Citazioni dal romanzo:
“Agata,a cui Ninì continuava a non piacere nemmeno un pochino, mise la mano sulla sua dicendo
anche tu mi piaci,cosciente di mentire solo per il gusto di farlo innamorare”
“…solo Enzo rimase tutta la vita in attesa, come un ragazzo”
Siamo tutti in libertà provvisoria
Durante un incontro amoroso con una misteriosa donna, l’onorevole Virgizio viene colto da infarto e muore. Ai funerali la vedova dell’onorevole, parlando con i figli, si dice convinta che il marito sia morto durante un’orgia.
Confida così i suoi dubbi al giudice Langellone, del quale è amico; il giudice è momentanemente sottoposto a indagini per aver partecipato ad una riunione di magistrati di orientamento politico fascista.
Langellone riesce a convincere il suo superiore della necessità di riaprire le indagini, nonostante quest’ultimo non abbia alcuna intenzione di concedere l’autorizzazione.
Marilù Tolo: Emilia moglie di Langellone
Macha Méril : Gisella moglie di Mario De Rossi
Ma con furbizia Langellone ottiene ciò che vuole e affida le indagini al Commissario Panzacchi, un integerrimo funzionario di polizia che affronta il suo lavoro con entusiasmo, nonostante capisca che la legge non è uguale per tutti.
Avrà modo di veder confermati i suoi peggiori sospetti, man mano che le indagini entrano nel vivo e permettono di far luce sulla vicenda.
Nel frattempo, viene sottoposto a indagini Mario De Rossi, un solerte e incorruttibile funzionario del ministero di giustizia, un uomo anonimo ma tutto di un pezzo, già trasferito due volte per non aver voluto accettare l’uso delle bustarelle nei ministeri in cui aveva prestato servizio.
Per sua sfortuna, il nome di De Rossi viene trovato tra le carte dell’onorevole defunto, e il pover’uomo, non riuscendo a ricordare dove fosse la sera dell’accaduto finisce per essere arrestato.
Riccardo Cucciolla: Mario De Rossi
Panzacchi, con tenacia, ricostruisce intanto la vicenda, grazie anche all’aiuto assolutamente involontario di una sua vecchia conoscenza milanese, Giuseppe Mancini detto ‘Pulcinella’ un ex palo di una banda.
Mancini infatti racconta di come abbia collaborato a trasportare il corpo dell’onorevole Virgizio fuori da un appartamento affittato di volta in volta a coppie illegali e gestito proprio dalla moglie di De Rossi, una donna profondamente innamorata del marito ma anche amante della bella vita.
La donna approfittava dell’ingenuità di Mario De Rossi facendogli credere di vincere frequentemente al lotto, giustificando così le cospicue entrate della gestione della casa d’appuntamento che la donna utilizzava con la collaborazione di un malvivente di mezza tacca.
Proseguendo le indagini, Panzacchi scopre anche il nome della misteriosa donna che era con l’onorevole durante il congresso carnale clandestino;si tratta di Emilia, moglie del giudice Langellone che si concedeva svariati amanti per sfuggire alla routine matrimoniale.
Il commissario naturalmente indirizza con malizia i sospetti del giudice raccontandogli di aver trovato tra le carte del morto poesie d’amore dell’amante a Emilia, in cui sospirava d’amore e desiderio, di voglia di baciarle “quella tua voglia di fragola che hai sulla coscia”
Langellone collega immediatamente la moglie al morto e durante un colloquio notturno costringe la moglie a confessare.
Il giorno dopo presenta un’arringa al suo superiore, unitamente ad una lettera di dimissioni.
Ma il superiore riesce ad insabbiare tutto, promuovendo il giudice ad altro ufficio e soffocando lo scandalo.
L’unico a rimetterci davvero è il povero De Rossi, che finisce in un manicomio completamente fuori di senno, assistito però amorevolmente da sua moglie Gisella.
Francesca Romana Coluzzi: la vedova Virgizio
Film disomogeneo, disorganico, penalizzato da una eccessiva lunghezza e da alcuni “siparietti” davvero monotoni, Siamo tutti in libertà provvisoria esce nelle sale italiane nel 1971 per la regia di Manlio Scarpelli, più conosciuto per aver scritto sceneggiature di fiction televisive (all’epoca chiamate serie Tv) come Il commissario De Vincenzi e la riduzione televisiva del Sandokan.
Creato con dispendio di mezzi e con un cast di primissimo piano, Siamo tutti in libertà provvisoria mostra la corda dopo poco più di venti minuti, arenandosi in una serie di ritratti poco incisivi e superficiali dei protagonisti della vicenda.
Che sicuramente, nelle intenzioni di Manlio Scarpelli e Ruediger von Spiess che curarono la sceneggiatura, prevedeva una sorta di satira sociale sui mali della giustizia e sul perbenismo della buona società, sulla inutilità di essere portatori di valori sani (testimoniata dalla ingiusta reclusione di De Rossi) e viceversa sul delitto che paga, anche se in questo caso siamo davvero di fronte a reati di pochissimo conto che colpiscono più la morale che le leggi che governano la società civile.
Il mondo della magistratura è visto come un’ambiente più simile ad una giungla, dove vige la legge del più forte che un mondo dove il cittadino sa di potersi rivolgere per ricevere giustizia; ma il tutto è raccontato sia in parole che in immagini così sommarie e mal definite da risultare sterile.
Deprimenti sono ad esempio le interruzioni della narrazione intervenute per mostrare gli incubi del povero De Rossi, che non riesce in alcun modo a spiegarsi come la giustizia possa sbagliarsi un modo tanto maldestro, così come assolutamente fuori luogo è la lunga partita a carte tra il commissario Panzacchi e il piccolo furfante Pulcinella.
Philippe Noiret,Il giudice Langellone
L’ultima perla è il duello in aula tra l’avvocato difensore e la pubblica accusa, naturalmente anche questo girato ad alta velocità e con immagini sfumate, quasi a voler simboleggiare il confine tra sogno e realtà.
Il cast, pur di gran livello, non riesce a uscire dalla palude dei luoghi comuni e del deja vu che infestano la sceneggiatura; così troviamo un buon Riccardo Cucciolla che interpreta con garbo e in maniera dolente lo sfortunato e onesto de Rossi accanto a Vittorio De Sica assolutamente svogliato e svagato nel ruolo poco credibile del napoletano Mancini-Pulcinella, bene Ivo Garrani nel ruolo del capo dei magistrati e bene anche Cirino (il commissario Panzacchi), Macha Meril (la moglie di De Rossi), Marilu Tolo (la moglie di Langellone). Malissimo Noiret(Langellone) ,
lento apatico e doppiato in maniera dilettantesca e altrettanto male Lionel Stander, l’avvocato difensore di De Rossi. Piccole parti per Francesca Romana Coluzzi (la moglie dell’onorevole Virgizio) e per la grande Lia Zoppelli, che interpreta la direttrice di un atelier.
Vi segnalo la amena recensione del Morandini, assolutamente sbagliata che mostra ancora una volta l’inattendibilità di parte delle recensioni stesse; fate voi stessi il confronto fra il plot “vero” e quello del Morandini stesso; “Protagonista è un poveraccio afflitto da una moglie che crede di avere il bernoccolo degli affari. La donna si lancia in una serie di speculazioni ai limiti del codice e chi ne fa le spese è il marito che si ritrova da un giorno all’altro indiziato di reato. Durante l’istruttoria lo accusano formalmente di peculato. A suo carico ci sono solo indizi, ma intanto per il poveraccio è una via crucis di cui non s’intravede nemmeno la conclusione.” Sic….
Langellone rinfaccia a Emilia la sua doppia vita
Siamo tutti in libertà provvisoria,un film di Manlio Scarpelli. Con Vittorio De Sica, Riccardo Cucciolla, Lionel Stander, Philippe Noiret, Mario Pisu, Claudio Gora, Vinicio Sofia, Vittorio Sanipoli, Riccardo Garrone, Mimmo Poli, Ivo Garrani, Andrea Bosic, Umberto Raho, Marilù Tolo, Macha Méril, Francesca Romana Coluzzi, Bruno Cirino, Francesco Sineri
Commedia, durata 93 min. – Italia 1971.
Bruno Cirino :Commissario Panzacchi
Vittorio De Sica: Giuseppe Mancini detto ‘Pulcinella’
Riccardo Cucciolla … Mario De Rossi
Philippe Noiret … Giudice Francesco Langellone
Macha Méril … Gisella moglie di Mario De Rossi
Bruno Cirino … Commissario Panzacchi
Lionel Stander … Avvocato Bartoli
Vittorio De Sica … Giuseppe Mancini detto ‘Pulcinella’
Marilù Tolo … Emilia moglie di Langellone
Ivo Garrani …Procuratore generale
Francesca Romana Coluzzi … Moglie dell’onorevole Virgizio
Claudio Gora … Capo del Ministero, superiore di De Rossi
Vittorio Sanipoli … Questore
Lia Zoppelli … Direttrice dell’atelier
Umberto Raho … Di Meo
Regia Manlio Scarpelli
Sceneggiatura Manlio Scarpelli, Ruediger von Spiess
Casa di produzione Zafes Film
Fotografia Marco Scarpelli
Montaggio Carlo Reali
Musiche Augusto Martelli
La compagna di banco
Nel solito liceo della Puglia, ancora una volta quello di Trani, arriva Simona figlia di un industrialotto settentrionale che produce salumi.
L’arrivo della ragazza mette naturalmente in subbuglio la classe, che si divide al solito tra chi le mette subito gli occhi addosso, ovvero l’immancabile playboy Mario e le compagne di classe che invece vedono in lei una pericolosa rivale nella conquista del cuore di Mario.
Le ragazze mettono subito in guardia, in maniera interessata la giovane Simona, descrivendo Mario come un seduttore incallito.
Inizia così il solito gioco della parti, con i due ragazzi impegnati nelle schermaglie dell’amore, mentre altri personaggi si muovono sullo sfondo, come Ilario Cacioppo, professore ambito dalla gigantesca e manesca prof.Marimonti.
Tra un equivoco e l’altro, alla fine si arriverà al tradizionale happy end.
Scialba commedia sexy diretta da Mariano Laurenti, uno specialista del genere autore di La Liceale Nella Classe Dei Ripetenti (1978), L’Insegnante Va In Collegio (1978),La Liceale Seduce i Professori (1979) ecc. La compagna di banco, girato nel 1977 è forse la cosa peggiore diretta dal regista romano, questa volta alle prese con un copione rabberciato e sopratutto con attrici che non hanno il fascino della Fenech, abituale protagonista dei film di Laurenti.
Ci sono, è vero, i soliti protagonisti della commedia sexy, ovvero Lino Banfi, Alvaro Vitali, Gianfranco D’Angelo e l’immancabile Francesca Romana Coluzzi; ma c’è anche, nel ruolo di protagonista, una svogliata e inespressiva Lilli Carati alle prese con un personaggio debolissimo e poco interessante scenicamente.
Francesca Romana Coluzzi è la Professoressa Marimonti
Così la commediola si trascina svogliatamente tra gag viste mille volte e una storia debolissima che finisce per annoiare mortalmente lo spettatore; gli unici momenti divertenti, se tali vogliamo definirli, sono quelli affidati a Banfi, perso dietro le affascinanti forme di Nikki gentile, che interpreta la moglie di un losco e gelosissimo mafiosetto di provincia.
La stessa Carati, esposta generosamente, non appare nella sua migliore forma fisica e alla fine le uniche cose degne di nota sono essenzialmente logistiche.
Splendida la location, vista altre volte ma sempre piena di fascino, la romanica Trani che appare in tutto il suo fascino anche un pò misterioso.
Il resto è noia di prim’ordine, con attori alle prese con ruoli tagliati con l’accetta e con gag che non convincono, inclusa la solita presenza della manesca professoressa e degli altrettanto soliti alluppati compagni di classe della protagonista.
Un film debolissimo e arruffato, da dimenticare in fretta.
La compagna di banco, un film di Mariano Laurenti. Con Lino Banfi, Lilli Carati, Francesca Romana Coluzzi, Gianfranco D’Angelo, Alvaro Vitali, Giacomo Furia, Linda Sini, Rosario Borelli, Gigi Ballista, Paola Maiolini, Stefano Amato, Brigitte Petronio
Commedia, durata 85 min. – Italia 1977.
Lilli Carati – Simona Girardi
Gianfranco D’Angelo – Professor Ilario Cacioppo
Alvaro Vitali – Salvatore
Antonio Melidoni – Mario D’Olivo
Lino Banfi -Teo d’Olivo
Francesca Romana Coluzzi -Professoressa Marimonti
Gigi Ballista -Girardi
Stefano Amato – Martocchia
Ermelinda De Felice – Giuditta
Nikki Gentile -Elena Mancuso
Paola Maiolini -Vera
Brigitte Petronio – Mirella
Susanna Schemmari -Vera
Regia Mariano Laurenti
Soggetto Franco Mercuri, Francesco Milizia
Sceneggiatura Franco Mercuri, Francesco Milizia
Fotografia Pasquale Rachini
Montaggio Alberto Moriani
Musiche Gianni Ferrio
Le recensioni qui sotto appartengono al sito http://www.davinotti.com
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
La Carati, prima di cedere alla depravazione (droga & porno) non solo era dotata di una bellezza incantevole, ma riusciva pure a dare un tocco di grazia alle sue interpretazioni, come si può notare dalle (poche) commedie sexy che ha interpretato. In questo film la sceneggiatura non valorizza il suo personaggio, puntando l’attenzione su Vitali e D’Angelo (gravissimo errore). Risollevano le sorti del film le sequenze incentrate sul personaggio Teo d’Olivo (Banfi) nei panni del sarto perduto dietro alle perfette forme di Elena (Nikki Gentile).
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Piacevole. Una commedia scolastica meno scollacciata della media, nonostante la presenza di nomi di punta del genere come D’Angelo, Vitali, Banfi, Amato. Gags goliardiche ma insolitamente pulite, nudi femminili di gran classe (la Carati, ma anche la Maiolini, la Petronio, la Gentile), un tocco di romanticismo e un inciso fuori tema sul cinema (la figura del regista squattrinato). Azzeccatissimi i ruoli minori: dalla coppia altolocata Ballista-Sini alla ciclopica Coluzzi, passando per il mafioso e gelosissimo Borelli e il frastornato commissario Furia.
Commedia scollacciata-scolastica settantiana che si avvale della presenza cult di Lilli Carati e questo vale il prezzo del biglietto. Tuttavia c’è di più: dei bravi caratteristi ed il sempre efficace Lino Banfi con battute divertenti, anche se contate. Bella la colonna sonora.
Un film da mal di testa non fosse che io sono un veneratore del pube di Liliana Caravati; girato in quel delle Puglie, come sempre, è la solita collezione di frizzi&lazzi&scorregge (vittima designata in particolare D’Angelo, sempre insediato dalla Romana Coluzzi). A far da gentile contorno la bellezza da escort girl dell’indimenticata Nikki Gentile, di Cavvallina memoria. I belli del film (Carati e fidanzato) sono, come sempre, antipatici.
Se si eccettua la storiella d’amore, con momenti patetici a dir poco e se si esclude il bamboccione co-protagonista e si apprezza la bellissima Lilli allora si potrà passare una buona serata, altrimenti… Io non l’ho trovato insostenibile, anzi, mi sono anche fatto un paio di risate. C’è del nudo ma non esagerato. Si può vedere senza dubbio!
Mariano Laurenti tenta la commedia cercando di affidare un ruolo da protagonista a una bella ragazza come Lilli Carati, che si rivela però incapace di suscitare l’interesse del pubblico (colpa del suo personaggio inutile). Il resto infatti è tutto sorretto (ma neanche bene) da squallide e ripetive gag tra Gianfranco D’Angelo e Alvaro Vitali, i quali interpretano rispettivamente un professore e un bidello, riciclando scene già viste nelle commedie ambientate a scuola. Lino Banfi, però, ha un ruolo simpatico, seppur marginale.
Opera che ho un po’ rivalutato in negativo. il motore comico poggia su Vitali e D’Angelo (bah!), che non reggono la scena a dovere a causa di gag davvero poco riuscite. Non eccellono Vitali, la Carati, Melidoni e la Coluzzi, bensì Paone, la De Felice, Furia e Banfi (che hanno indegnamente ridotto a un cameo di un sarto, in verità molto ben caratterizzato come del resto tutti). Grazie agli ultimi tre, infatti, la scena al commissariato è un piccolo saggio di bravura. Trionfano le pubblicità (non solo liquori). Ottimi i momenti con la Gentile. **
L’infermiera di notte
Nicola Pischella è un noto dentista con uno studio in una cittadina del sud della Puglia; esuberante, l’uomo ha un’amante fissa e spesso cerca l’avventura facile con qualche sua cliente particolarmente disponibile.
L’uomo ha anche moglie e figlio; mentre la prima, Lucia, è sempre sul chi vive conoscendo la vivacità del marito, il figlio Carlo sembra non aver ereditato la passione del padre per le gonnelle.
Carlo infatti dedica quasi tutto il suo tempo allo studio.
La routine famigliare viene devastata dall’improvviso arrivo di Saverio Baghetti, zio della moglie di Nicola, che apparentemente sembra essere in fin di vita.
Nicola e Lucia lo accolgono con calore essendo l’uomo ricchissimo e sperando ovviamente in un lascito a loro favore; per vegliare sull’uomo viene anche assunta una giovane e affascinante infermiera, Angela Della Torre, che viene ben presto insidiata dagli uomini di casa.
Sia Nicola, sempre irresistibilmente attratto dalle donne, sia l’anziano e finto moribondo Saverio infatti attentano alle virtù della spigliata ragazza, ma l’unico a goderne i favori alla fine sarà proprio Carlo che farà breccia nel cuore di Angela grazie anche alla sua riservatezza.
Intanto in casa Pischella lo zio Saverio sembra alla ricerca di qualcosa; quel qualcosa è un diamante dal valore immenso che il vero Saverio ha nascosto in un lampadario che ora è in casa dei Pischella.
L’uomo che ha assunto l’identità dello zio Saverio è in effetti un volgare ladro, di nome Alfredo che ha appreso dal vero Saverio dell’esistenza del favoloso diamante.
Dopo varie peripezie, sarà proprio Carlo a beffare tutti e a impadronirsi del diamante, che andrà a godersi con la bella Angela.
L’infermiera di notte, film del 1979 diretto da Mariano Laurenti, autore di diversi “classici” della commedia sexy come Il vizio di famiglia, Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda, La bella Antonia, prima Monica e poi Dimonia, L’insegnante va in collegio ecc. è un film che non si discosta molto dagli altri prodotti seriali girati nel periodo di massimo fulgore del genere, che ebbe un notevole successo negli anni a cavallo tra il 1975 e il 1980.
E’ anche uno dei pochi prodotti di discreto livello della commedia sexy, ormai in fase di stanca e sopratutto in fase di ripetitività infinita.
Se la trama non è particolarmente originale, il film si segnala quanto meno per una certa eleganza formale e per la mancanza dei soliti elementi pecorecci; ci sono i canonici nudi femminili, affidati alle bellissime interpreti del film, ovvero Gloria Guida, Paola Senatore, Annamaria Clementi, ma non sono mai volgari.
Il cast è costituito da molti dei caratteristi che fecero la fortuna del genere; si va da Lino Banfi, il solito impenitente donnaiolo anche un tantino sfigato alla professionale Francesca Romana Coluzzi, passando per Mario Carotenuto, il furfante che si introduce in casa Pischella per rubare il diamante all’immancabile Alvaro Vitali che interpreta l’allupato Peppino,braccio destro di Nicola.
Nel cast c’è anche l’immancabile Jimmy il Fenomeno; la location è sicuramente da apprezzare, una Puglia da cartolina incluso il ristorante Grotta Palazzese di Polignano, celebre per la sua magnifica veduta sulle scogliere della ridente cittadina in provincia di Bari.
L’infermiera di notte, un film di Mariano Laurenti. Con Gloria Guida, Leo Colonna, Alvaro Vitali, Mario Carotenuto, Paola Senatore,Lino Banfi, Francesca Romana Coluzzi, Lucio Montanaro
Commedia sexy, durata 95 min. – Italia 1979.
Lino Banfi … Nicola Pischella
Gloria Guida … Angela Della Torre
Alvaro Vitali … Peppino
Leo Colonna … Carlo Pischella
Mario Carotenuto … Zio Saverio / Alfredo
Annamaria Clementi … Moglie del pugile
Lucio Montanaro … D.J.
Ermelinda De Felice … Regina, la Cameriera
Vittoria Di Silverio … Zia di Angela
Jimmy il Fenomeno … Postino
Francesca Romana Coluzzi … Lucia moglie di Nicola
Paola Senatore … Zaira amante di Nicola
Regia: Mariano Laurenti
Sceneggiatura: Mariano Laurenti, Franco Milizia
Musiche: Gianni Ferrio
Costumi: Silvio Laurenzi
Editing: Alberto Moriani
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La Guida è splendida, il film molto meno. Per arrivare a 90’ Gloria canta e balla. La storia (di Milizia e di Laurenti) è poca cosa. La “vis” del film sta tutta in un grande Lino Banfi, visto che Carotenuto ha meno spazio e meno battute. La Senatore e la Clementi si spogliano e basta. Trionfo di Pejo, J&B, Fernet Branca, Punt e Mes. Come se non bastasse, sugli scudi una discoteca di Ceglie ed un ristorante di Polignano…
Commedia sexy all’italiana di media qualità (a firmarne la regia non è Sergio Martino, ma nemmeno Michele M. Tarantini). Come sempre a tenere dèsta l’attenzione e smuovere qualche spontanea risata è l’inimitabile Banfi prima maniera (qui nei panni di “dentista” sui generìs), mentre l’occhio trae giovamento dalle perfette curve dell’acerba Gloria Guida (memorabile la scena con il termosifone e Banfi nascosto alla finestra). Resta titolo dignitoso, in grado di divertire per 90 minuti, al quale la Guida ha posto (come sugli altri) il vèto assoluto.
Bella prova di commedia erotica italiana: vivacissima, senza inutili volgarità, ideale per una serata divertente e serena. La Guida, la Senatore e la Clementi sono al top della bellezza, affiancate da un impareggiabile terzetto di caratteristi (Banfi, Carotenuto, Vitali), cui si aggiunge la simpatia della Coluzzi.
Riuscita commedia di Laurenti con la Guida a spogliarsi e la coppia Banfi-Vitali che provvede alla parte comica (ma non dimentichiamo il grande Mario Carotenuto). Il meccanismo funziona bene, sono poche le digressioni inutili (giusto le canzoni della bionda protagonista in discoteca), mentre il dentista perennemente “ingriféto” interpretato da Banfi resterà uno dei suoi ruoli memorabili… Lo strano intreccio da giallo che accompagna la storia principale poteva anche essere evitato, a mio avviso.
Non basta piazzare un pur volenteroso e scoppiettante Banfi come baricentro e sperare/aspettare che attorno alle sue prestazioni il film si faccia da sé. Un film è fatto anche di cura registica, di una sceneggiatura, di idee e di un ritmo capace di scandirle e sostenerle; tutte cose che a Laurenti paiono volare parecchi metri sopra la testa quando prova a dirigerne uno. Per chi è di facilissimi contentini.
Commedia sexy esemplare, per tempi comici e tecnica. Mai volgare e tenuta benissimo nonostante la semplicità dello spunto, ha un parco attori in stato di grazia, soprattutto Banfi e Carotenuto, capaci di veri pezzi di bravura, così come il regista Laurenti, che inanella disinvolto sequenze perfette, arrivando addirittura a far fare un campo-controcampo tra Banfi e Leo Colonna che parlano tra loro agli attori stessi, cambiando la loro posizione durante il dialogo. Gloria Guida non si discute, una dea, e in più canta la cultissima “La musica è”.
Commedia scollacciata infermieristica che appartiene all’ultimo periodo in cui la stessa ebbe popolarità. Banfi divertente, ma tutto sommato riprende il suo solito repertorio alla “Totò della Puglia”; in ogni caso tiene in piedi il film. Carotenuto simpatico, ma il suo personaggio appare stucchevole e fine a se stesso. Bellissima ed in doppia versione infermiera-diva della disco Anni Settanta la Guida, qui nelle ultime apparizioni nella commediaccia di serie B prima dell’imminente incontro con Dorelli e relativo avanzamento alla commedia di serie A.
Sicuramente non uno dei nostri migliori film scollacciati. Tutto il film si sorregge sulle spalle di Banfi che, pur in forma, propina i suoi soliti tic e giochi di parole, pur tuttavia senza annoiare. La Guida è meno genuina e simpatica del solito e questo stona. Carotenuto non brilla come altrove così come Vitali. La Senatore in gran forma! I siparietti musicarelli della Guida, ripeto qui spocchiosa oltre modo, suonano molto come un tentativo di allungare la minestra! Vedibile ma nulla più!
Divertente commedia sexy, forse la migliore del periodo. Diretta dall’esperto Laurenti con mano felice, si avvale di un copione leggero ma abile nell’evitare i cliche del genere, con battute e situazioni azzeccate e un cast particolarmente affiatato. Banfi e Vitali sono in grande spolvero, Carotenuto è immenso come sempre, la Coluzzi esilarante, la Guida splendida come non mai. Grande apparizione del mitico Jimmy Il Fenomeno.
Gente che scappa dagli armadi e da sotto ai letti, quindi ancora una inutile storiella d’amore tra la bellissima Guida all’apice del successo (anche se sensualmente vale di piu la sempre nuda Clementi) e il giovane sfigato di turno come contorno a gag spesso efficaci e comunque con meno volgarità del solito; non molti caratteristi minori (si segnalano graziosi Jimmy Fenomeno e Lucio Montanaro) ma ancora è Lino Banfi il motore umoristico, ciò per cui il film vale la pena d’esser visto; Vitali incassa schiaffi da far concorrenza a Bombolo…
Tre lampi: Carotenuto a letto che tenta di sedurre la bellissima Guida, Banfi che anela alla medesima cosa, Origene Soffrano alias Jimmy il fenomeno che fa il postino alquanto ottusetto. Ecco in estrema sintesi la pellicola, condita di erotismo raffinato, beandosi della grazia ed eleganza di una sensuale Gloria Guida e della vis comica di un “zio” Lino sempre in forma (non fisica!) perfetta. Da vedere assolutamente.
Paninazzo iperfarcito:c’è un intrigo truffaldino, un flirt tra ragazzi, una gara di ballo, un’esibizione canora della Guida, un’amante trascurata che cornifica Banfi con Vitali, la moglie del pugile che vuole cornificare il marito col figlio di Banfi… Ma soprattutto c’è Banfi, e le scene cult sono poi solo tre: Banfi e il portalettere, Banfi e il trucchetto della stufa, Banfi che tenta di sedurre Vitali che si è travestito da Guida. Carotenuto è un po’ sacrificato. Molto divertente, nell’insieme.
Esagererò evidentemente, ma lo trovo uno dei più alti esempi di commedia sexy e sicuramente la miglior commedia di Laurenti (o quasi). Pochi i motivi ma importanti: si ride a crepapelle (al contrario delle altre commedie dove più che altro si SORRIDE), Banfi (che tira in ballo Santi e Madonne in ogni occasione) ci dà una delle sue performances più memorabili, l’uso dell’erotismo è sublime e la Guida ci regala una delle sue prove d’attrice migliori. Il resto del cast segue senza brillare (ma Carotenuto è sempre bravo). Donne bellissime. Da vedere!
La mala ordina
Luca Canali è un magnaccia di piccolo cabotaggio, che vive ai margini della malavita organizzata.
Ha una moglie e una figlia, e vive separato dalla moglie che lavora come parrucchiera.
Gli accade di venir individuato, dal potente capo di una cosca mafiosa americana, come l’autore di un audace colpo ai danni della cosca stessa, depredata dei proventi di un traffico di droga per il valore di svariati miliardi di lire.
L’uomo viene quindi braccato dai killer mandatigli contro dalla cosca, ma con abilità riesce a cavarsela, tanto che la cosca americana si affida ad una cosca locale quella comandata da don Vito Tresoldi per tentare di punire l’uomo.
Così inizia un’altra dura battaglia, senza esclusione di colpi; il mafioso fa uccidere la moglie e la figlia di Luca, che da quel momento giura vendetta.
E la compie, sterminando la gang del mafioso e uccidendo i due killer americani mandati dalla cosca statunitense.
Fernando Di Leo, dopo il capolavoro Milano calibro 9, prova a rinverdire i fasti del primo capitolo della trilogia del milieu, a cui appartiene questo La mala ordina ,
diretto dal regista pugliese nel 1972, comprendente anche la parte finale, ovvero Il boss e affidando la parte del protagonista a Mario Adorf, già presente nel film precedente.
Lo fa imbastendo un noir ben dosato, in cui azione e ritmo non mancano; memorabile, ad esempio, la lunga sequenza dell’inseguimento di Luca Canali, appeso ad uno sportello di un furgone al guidatore del furgone stesso, chiuso dalla violenta scena in cui Luca sfonda a testate il parabrezza del mezzo.
Forse, rispetto a Milano calibro 9, in La mala ordina c’è meno tensione, la sceneggiatura non è brillantissima e manca il personaggio di spicco di Ugo Piazza, sostituito questa volta da un malvivente di mezza tacca, Luca Canali, piccolo magnaccia che saprà districarsi dai guai in cui involontariamente finirà per cacciarsi; pur tuttavia il mestiere di Di Leo c’è tutto, e si materializza in scene davvero ben congegnate, come il citato inseguimento e sopratutto la parte finale, in cui Luca ha la sua vendetta in un cimitero di auto demolite, in cui uccide i due sicari americani.
Punto debole del film sono le interpretazioni; se da un lato c’è un ottimo Adorf, abilissimo nel tratteggiare la figura un pò guascona di Luca Canali, all’opposto troviamo un Henry Silva, nella parte di uno dei due gangster americani, impegnato a mostrare un quantomai inopportuno sorriso smagliante, assolutamente non indicato in un film che ha una forte vocazione noir.
Più aderente al personaggio invece è Woody Strode, legnoso e rigido ma quantomeno più credibile.
Le parti femminili sono affidate alle bellssime Luciana Paluzzi, Femi Benussi e Sylva Koscina; la prima se la cava dignitosamente nei panni dell’interprete dei due gangster, che troverà la morte nel convulso finale; Femi Benussi, un’autentica sicurezza, è al solito perfetta nel suo ruolo, che questa volta è quello di una prostituta amica e protetta di Luca.
Adolfo Celi è Don Vito Tressoldi
Infine c’è Sylva Koscina, brava ma troppo elegante e fine per interpretare la moglie di Luca, il piccolo pappone che non ha certo una laurea o una cultura; la Koscina pur professionale, sembra davvero un elemento estraneo al film, con quella sua aria aristocratica inadatta al ruolo di parrucchiera e moglie di Luca.
Qualche errore di troppo, quindi, mascherato comunque dalla solita professionalità di Di Leo, un vero marchio di fabbrica.
Un film comunque tra i migliori, nel suo genere; non a caso Tarantino lo cita spesso, assieme al resto della trilogia, tra i film che lo hanno impressionato e influenzato maggiormente.
Buone le musiche di Armando Trovajoli; tra le curiosità, la presenza di lara wendel nei panni della figlia di Luca Canali e il doppiaggio di Mario Adorf, affidato al compianto Stefano Satta Flores.
La mala ordina, un film di Fernando Di Leo, con Mario Adorf, Henry Silva, Woody Strode, Adolfo Celi, Luciana Paluzzi, Franco Fabrizi, Femi Benussi, Gianni Macchia, Peter Berling, Francesca Romana Coluzzi, Cyril Cusack, Sylva Koscina, Jessica Dublin, Omero Capanna, Giuseppe Castellano, Giulio Baraghini, Andrea Scotti, Imelde Marani, Gilberto Galimberti, Franca Sciutto, Ulli Lommel, Vittorio Fanfoni, Giuliano Petrelli, Pietro Ceccarelli, Pasquale Fasciano, Alberto Fogliani, Giovanni Cianfriglia, Guerrino,Lina Franchi,Lara Wendel
Mario Adorf … Luca Canali
Henry Silva … Dave Catania
Woody Strode … Frank Webster
Adolfo Celi … Don Vito Tressoldi
Luciana Paluzzi … Eva Lalli
Franco Fabrizi … Enrico Moroni
Femi Benussi … Nana
Gianni Macchia … Nicolo
Peter Berling … Damiano
Francesca Romana Coluzzi … Trini
Cyril Cusack … Corso
Sylva Koscina … Lucia Canali
Jessica Dublin … Miss Kenneth
Omero Capanna … Vito’s Goon
Giuseppe Castellano … Garagaz
Giulio Baraghini … Gustovino
Andrea Scotti … Garo
Gilberto Galimberti … Vito’s Goon
Franca Sciutto … Ballerina
Ulli Lommel … Ballerina
Vittorio Fanfoni … Uomo di don Vito
Giuliano Petrelli … Uomo di don Vito
Pietro Ceccarelli … Uomo di don Vito
Pasquale Fasciano … Uomo di don Vito
Regia: Fernando Di Leo
Sceneggiatura: Fernando Di Leo, Augusto Finocchi
Prodotto da: Armando Novelli .
Musiche: Armando Trovajoli
Effetti speciali: Basilio Patrizi
“Adorfiano ed alterno. Adorf supera se stesso di Milano Calibro 9. Il film no, per snodi di trama assai meno logici rispetto a MC9, che si perdonano perché Adorf è fantastico, la fotografia è un gioiello etc. Si trovano temi presenti nell’opera di Di Leo: le cose che altrove funzionano, pure qui lo fanno egregiamente, mentre ciò che altrove non convince, non convince neppure qui (il mondo giovanile poi ripreso in Avere vent’anni). Inoltre la Dublin non strappa manco un sorriso, analogo risultato del tremendo Colpo in canna.
Tra i migliori esempi di film di genere italiano, ed ottimo esempio di noir, è anche una delle opere migliori di Fernando Di Leo. Girato con grande ritmo non appare mai patinato e artefatto, ma sempre efficacemente realista e spietato, con sequenze d’azione che, sebbene a volte siano un po’ “forzate”, appaiono sempre efficacissime. Ottima la prova del cast (specie del bravo Mario Adorf), così come la colonna sonora.
Il modesto macrò Luca Canali (Adorf) viene utilizzato come capro espiatorio dal padrino Don Vito Tressoldi (Adolfo Celi): a lui è attribuita la mancata consegna di un carico di droga pari a 3 miliardi delle vecchie lire. L’americano Corso (Cyril Cusack), che ha subìto il contraccolpo economico, invia due killer con lo scopo di dare una vistosa lezione al protettore, in colpa di defezione. Eccezionale noir, ispirato alla larga da Scerbanenco, ma frutto d’una sceneggiatura puramente ascrivibile al grande Di Leo (Ingo Hermes è imposto dalla co-produzione tedesca). Adorf domina e buca lo schermo.
Molto convincente Mario Adorf, nel ruolo di un pappone milanese un po’ sbruffone, che viene incastrato dal boss locale. Il film si trasforma quasi subito in una caccia all’uomo, soprattutto quando arrivano i due sicari per eliminare Canali (Adorf). Bravo il protagonista a costruire il personaggio, che da omuncolo dalla lingua lunga si trasforma in vendicatore, quando viene attaccato negli affetti più cari. Nessuna morale. Il boss difenderà nome e credibilità a tutti i costi. Da vedere.
Altro potente capitolo del noir italiano, che rispetto a MC9 appare meno cupo e tragico e più essenziale, lineare ed immediato. L’immenso Adorf tratteggia un macrò leale con gli amici, tenero con la sua famiglia, ma spietato con gli avversari, che vengono abbattuti dalla furia delle sue testate vendicatrici. Silva è insolitamente plastico, esuberante e parolaio e cede la sua granitica impassibilità al collega Strode. Scelta ottimale di volti (Cusack. Celi, Paluzzi, Coluzzi, Fabrizi, Berling…) e attori-stuntmen (Capanna, Galimberti).
Storia di un piccolo macrò della mala milanese che si ritrova braccato da due spietati killer americani senza un motivo apparente… Di Leo, autore anche del soggetto, è bravo nel descrivere con cura la disperata deriva di un uomo finito in un ingranaggio più grosso di lui, gira scene d’azione di tutto rispetto e tratteggia con cura anche i personaggi secondari. Se aggiungiamo l’interpretazione di un eccellente Mario Adorf, credo di aver reso l’idea di un grande film, senz’altro tra i migliori del regista pugliese.
Grandissimo film di Di Leo che ci regala uno dei più straordinari noir italiani di sempre. Livido, violento e spietato come pochi altri e per questo degno di autori più quotati come Don Siegl e Melville. Sceneggiatura tesa e vibrante. Musiche di Trovatoli che si fondono efficacemente con le immagini. Maestosa la prova di Adorf che ci regala uno splendido personaggio ed un finale assolutamente memorabile.
Una partita di eroina rubata, un pesce piccolo a cui addossare la colpa, una vendetta cieca e rabbiosa. Tutti elementi noti al genere noir, che Di Leo usa con mestiere confezionando un altro film “scerbanenchiano” dopo Milano Calibro 9 (curiosamente, quello è il titolo del racconto da cui viene l’idea di partenza del film). Meno intenso e più fiammeggiante, mette in prima linea un grande Mario Adorf, pappone con una sua dignità che non accetta compromessi e si fa giustizia da solo. Qualche tributo al gusto pop dell’epoca. Il finale è eccessivo “
Il Cavalier Costante Nicosia demoniaco,ovvero Dracula in Brianza.
Costante Nicosia,siciliano trapiantato in Lombardia, all’apparenza ha tutto; un’azienda florida, che produce la Pasta del colonnello, una bella moglie,una bella casa. E’ un furbacchione, Costante; ha sposato la bella Mariu (Sylva Koscina), e alla morte del suocero è entrato da padrone nell’azienda che produce dentifrici.
Lando Buzzanca e Sylvia Koscina
Ha un difetto, Costante: è molto superstizioso, tanto da tenere sul libro paga un uomo gobbo, per poterlo toccare all’occorrenza. Un giorno, durante un viaggio in Romania, Costante Nicosia viene ospitato nel castello del conte Draculescu; va a letto con due donne spose del conte, che in realtà è un vampiro.
Ciccio Ingrassia
Ritornato in Brianza, Costante Nicosia si accorge che ha qualcosa che non va; si scopre a guardare le natiche dei giocatori di pallacanestro e si convince di aver contratto un virus che porta all’omosessualità. In realtà la sua è solo fame di sangue; sarà una sua dipendente a dargli l’idea per poter sfamare la sua bramosia di sangue,creando una emoteca. Riconciliatosi con la moglie, Costante vedrà nascere un figlio corredato di lunghi e affilati canini…
Un film davvero strano, quello di Fulci, che mescola più generi, anticipando alcune novità economiche degli anni odierni, come la delocalizzazione della manodopera. Il cast è davvero di prim’ordine, con Buzzanca nel ruolo di costante Nicosia, con Sylva Koscina in quello della moglie, e con le partecipazioni di ottimi attori, come Ciccio Ingrassia, Valentina Cortese, John Steiner, Rossano Brazzi, Francesca Romana Coluzzi. Appare anche una giovane e nuda Ilona Staller nel ruolo di una delle mogli del conte Draculescu.
Ilona Staller
Regia di Lucio Fulci
con Lando Buzzanca, Sylva Koscina, John Steiner, Ciccio Ingrassia, Rossano Brazzi, Valentina Cortese, Moira Orfei, Francesca Romana Coluzzi, Ilona Staller, Antonio Allocca, Renato Malavasi
Anno: 1975Genere: commedia (colore)
Lando Buzzanca … Costante Nicosia
Rossano Brazzi … Dr. Paluzzi
Sylva Koscina … Mariù moglie di Costante
Moira Orfei … Bestia Assatanata
Christa Linder … Liù Pederzoli
John Steiner … Conte Dragulescu
Francesca Romana Coluzzi … Wanda Torsello
Grazia Di Marzà … Prostituta
Antonio Allocca … Peppino
Grazia Spadaro … Maria
Franco Nebbia … Meniconi
Michele Cimarosa … Salvatore Cannata
Giampaolo Rossi …
Ciccio Ingrassia … Salvatore, il mago
Valentina Cortese … Olghina Franchetti
Regia Lucio Fulci
Soggetto Lucio Fulci
Sceneggiatura Lucio Fulci, Bruno Corbucci, Pupi Avati, Mario Amendola
Produttore Mario Mariani
Casa di produzione Coralta Cinematografica
Distribuzione (Italia) Titanus
Fotografia Sergio Salvati
Montaggio Ornella Micheli
Musiche Vince Tempera, Fabio Frizzi, Franco Bixio
Disarmonico. Un film con Buzzanca che segue il suo cliché è basato sul grottesco. Difatti quando è lui che catalizza l’attenzione va tutto bene, nel senso che ci dà quello che ci aspettiamo. Molto meno bene le cose vanno, invece, quando il tema viene calcato da altri, cui la sceneggiatura ha fornito cose non in linea. Mi riferisco al mediocre episodio con Ingrassia e al ruolo, abbastanza tremendo, della Cortese. La slava Koscina, la laziale Coluzzi e l’austriaca Linder fanno le brianzole… L’addormentamento pre-coito è preso dal Dottor Danieli.
Che Fulci sia stato un genio del cinema (erroneamente catalogato come serie B) che ogni vero amante di film adora, stanno a dimostrarlo non tanto alcune pietre miliari del genere horror, quanto le divagazioni “sui generis” cui questa raffinata ed esilarante (ma mai leggera) parodia sui vampiri appartiene. Buzzanca offre una delle sue migliori performance (ammantate di satira sociale): i tic, le manie, le idiosincrasie e le superstizioni come metafora di un arrampicatore sociale, che tenta di scrollarsi di dosso (inutilmente) l’umile origine.
La parodia del vampirismo – immediata la connessione con Polanski – abbraccia una satira di costume discontinua e cangiante che alla debolezza degli assunti (tutti risaputi, non ultima l’equazione capitalista=vampiro) oppone un carosello di personaggi mosso da una vis comica ben calibrata e decisa: se Buzzanca dà corpo all’ennesima, saporita variazione dell’”uccello migratore”, ugualmente centrati sono il draculesco e promiscuo Steiner, il contegnoso Brazzi, la dannunziana Cortese e Ingrassia che, a pochi mesi da L’Esorciccio, riveste i panni del fattucchiere ciarlatano e maldestro.
Una bizzarra commedia con una sceneggiatura piuttosto originale e piena di spunti interessanti, ma tutto sommato abbastanza strampalata, con vari episodi disomogenei uniti tra loro senza troppa convinzione. Alcune battute vanno a segno, altre no; la regia comunque è decisamente buona e garantisce alla pellicola un livello più che accettabile. Buzzanca ripeta con poche variazioni il suo solito personaggio. Molto bella la colonna sonora di Frizzi, Bixio e Tempera. Tutt’altro che perfetto, ma curioso e, quindi, da vedere.
Parodia vampiresca, ma non solo. In modo alquanto intelligente vengono trattati aspetti sociali sensibili, quali l’ingiusta paura per le diverse preferenze sessuali e l’indiffrenza per le condizioni di lavoro nelle fabbriche. Temi bollenti, sapientemente inseriti nella baraonda del sangue e del sesso (quest’ultimo, terreno naturale del Lando). Fulci pratica un’ottima regia, la fotografia è buona e ci sono bravi attori, alcuni anche molto noti in contesti diversi. La Brianza, mia terra d’adozione, emerge attraverso il linguaggio e taluni stereotipi.
Ben inizia un film, che è da appprezzare per vari motivi (non ultimo l’avere affrontato con originalità un tema, il vampirismo, tra i più abusati del cinema mondiale). Fulci ci mette la sua mano nelle inquadrature più “strane” (tenendo presente che si tratta di un film comico, anche se il volpone non è la prima volta che si cimenta nel genere). La sceneggiatura a più mani arricchisce il film che non stanca mai, la presenza di una Moira Orfei bellissima e di una Koscina un po’ imbolsita fanno il resto. Brazzi molto simpatico.