La Papessa
Nell’inverno dell’814 nasce Johanna,figlia del prete di Ingelheim ,non desiderata e tanto meno amata dal burbero genitore.
Sin da piccola Johanna mostra doti non comuni e un’intelligenza vivissima che portano il maestro Esculapio ad interessarsi di lei, nonostante l’aperta ostilità del padre.
Nell’ottocento la figura femminile è decisamente subordinata a quella maschile,il ruolo sociale della donna è ridotto esclusivamente alla cura della casa e alla crescita dei figli.
Johanna ha altre ambizioni, vorrebbe studiare e quando il suo maestro va via da Ingelheim sceglie di scappare di casa per evitare una sorte altrimenti segnata, quella di moglie e madre.
Sarà a Dorstadt che la ragazza riceverà buona parte della sua istruzione, una scelta che la conforterà nelle sue idee, espressa in una frase emblematica pronunciata da Johanna: ” Come può la donna essere inferiore all’uomo nella creazione. Lei fu creata da una costola di Adamo, ma Adamo fu creato dall’argilla. Eva ha quindi la medesima origine. In quanto a forza di volontà, la donna può essere considerata superiore all’uomo. Eva mangiò la mela per amore della conoscenza e dell’erudizione. Adamo mangiò la mela soltanto perchè fu Eva a chiederglielo”
Ma ben presto dovrà fare i conti con i sentimenti. Si innamorerà infatti del Conte Gerold, il suo protettore, ma la concomitanza della guerra e della gelosia della moglie dell’uomo li separerà, costringendo Johanna a fare una scelta radicale. Infatti, per poter sfuggire a guerre e e ai pericoli ai quali la sua condizione di donna la espone si trasforma in un monaco con una radicale modifica del corpo.
Nel monastero dei benedettini di Fulda,con il nome di Johannes Anglicus, la ragazza viene accolta e da quel momento studia medicina e contemporaneamente si dedica allo studio di Dio e della religione.
Tuttavia il pericolo di essere scoperta è sempre più grave, per cui la donna si trasferisce a Roma, dove si dedica con successo alla cura dei malati.
La sua abilità la porta a diventare ben presto medico del Papa Sergio II, che lei riuscirà a guarire. Ma non a salvare dalle congiure interne del Vaticano. Dopo alcune peripezie, Johanna riesce a salire sul trono di Pietro,ma l’incontro con il suo primo amore,il Conte Gerold segnerà la sua fine…
Tratto dal romanzo omonimo di Donna Woolfolk Cross, La Papessa, diretto dal regista tedesco Sönke Wortmann nel 2010 è un affresco storico basato sulla leggenda della Papessa Giovanna, una di quelle nate in un periodo storico in cui l’anticlericalismo diventa anche militante e non bada a mezzi per squalificare la reputazione della chiesa.
Una leggenda, quindi, che pur citando personaggi realmente esistiti non ha alcun fondamento di verità; mancano completamente testimonianze o documenti storici che confortino l’origine di quella che alcuni hanno considerato come una verità, adducendo
tesi francamente discutibili come supporto della leggenda stessa.
L’esistenza di due sedie “stercorarie” o “gestatorie”,ovvero dei troni in marmo sui quali si sarebbe dovuto sedere il Papa,subito dopo la scoperta e lo scandalo di una donna divenuta Papa in realtà è da ascriversi ad una motivazione specifica, quella di ricordare che il Papa è un essere umano e come tale ha funzioni corporali umane, espletabili attraverso il foro praticato nella sedia.
E non per saggiarne la virilità, attraverso il tocco dei genitali per accertarsene.
Il film ripercorre la leggenda secondo la versione narrata da Giovanni di Metz quattro secoli dopo i presunti avvenimenti; Wortmann segue fedelmente il romanzo e contemporaneamente mostra la condizione avvilente della donna. Particolarmente riuscita è la prima parte,
nella quale si assiste alla descrizione delle miserevoli condizioni di vita proprio delle donne, costrette ad una condizione di assoluta sottomissione al maschio, che nel film prende corpo nelle scene di violenza alle quali è sottoposta la sventurata madre di Johanna e che provocheranno
nella stessa la voglia di emanciparsi rifiutando un copione già scritto.
Ben riuscita anche la parte ambientata a Roma, fra intrighi di palazzo e meschinerie, fra medici più vicini a stregoni che a scienziati.
La riuscita del film va ascritta in gran parte all’attrice Johanna Wokalek, volto spigoloso e mascolino la cui trasformazione da donna a uomo,complice anche un taglio di capelli tipicamente clericale e un fisico non prorompente, diventa estremamente credibile, rendendola androgina ma al tempo stesso conservandone la femminilità, esaltata dalla scena nella quale Johanna fa il bagno nel fiume nuda,davanti a quello che diventa il suo amante.
Bella anche l’ambientazione del film,con una descrizione degli ultimi secoli dell’evo antico molto efficace.
Una pellicola scorrevole, di interesse che si snoda per 150 minuti attraverso alterne vicende che riescono a tener viva l’attenzione dello spettatore.
Una pellicola della quale consiglio la visione.
La Papessa
un film di Sönke Wortmann. con Johanna Wokalek, David Wenham, John Goodman, Iain Glen, Anatole Taubman, Jördis Triebel. Titolo originale: Die Päpstin. Genere Drammatico – Germania, Gran Bretagna, Italia, Spagna, 2009, durata 149 minuti, distribuito da Medusa
Johanna Wokalek: Giovanna
David Wenham: Gerold
John Goodman: Papa Sergio II
Edward Petherbridge: Esculapio
Anatole Taubman: Anastasio
Jördis Triebel: Gudrun
Alexander Held: Lotario
Tigerlily Hutchinson: Giovanna a 6-9 anni
Lotte Flack: Giovanna a 10-14 anni
Iain Glen: padre di Giovanna
Oliver Cotton: Arsenio
Suzanne Bertish: Arnaldo
Richard van Weyden: Eustasio
Branko Tomovic: Pasquale
Giorgio Lupano: imprenditore romano
Laura Lenghi: Giovanna
Francesco Bulckaen: Gerold
Stefano De Sando: Papa Sergio II
Dario Penne: Esculapio
Alessio Cigliano: Anastasio
Antonella Baldini: Gudrun
Franco Mannella: Lotario
Aurora Manni: Giovanna a 10-14 anni
Roberto Pedicini: padre di Giovanna
Luciano De Ambrosis: Arsenio
Sonia Scotti: Arnaldo
Saverio Moriones: Eustasio
Francesco Sechi: Pasquale
Regia Sönke Wortmann
Soggetto dall’omonimo romanzo di Donna Woolfolk Cross
Sceneggiatura Heinrich Hadding, Sönke Wortmann
Produttore Martin Moszkowicz, Oliver Berben, Christine Rothe
Casa di produzione Constantin Film, ARD Degeto Film, Dune Films
Distribuzione in italiano Medusa Film
Fotografia Tom Fährmann
Montaggio Hans Funck
Musiche Marcel Barsotti
Scenografia Bernd Lepel
Costumi Esther Walz
Medicus-The Physician
Inghilterra,attorno all’anno 1150
La medicina come scienza è ancora in fase embrionale. Le conoscenze scientifiche sono ridottissime e a farla da padrone è una pseudo scienza
che mescola alla rinfusa pratiche empiriche e cure improbabili.
A farne le spese è la madre di Robert Cole, il protagonista della storia, che muore per “il male al fianco”, probabilmente una banale appendicite trasformatasi in peritonite.
Il ragazzo ha anche un dono non desiderato: è in grado di vedere la morte, semplicemente toccandolo,di un qualsiasi ammalato.
Morta la madre, con i 2 fratellini adottati controvoglia da un’altra famiglia, Robert non ha altra scelta che convincere Barber, un burbero cerusico dilettante ad accoglierlo nella piccola baracca ambulante che l’uomo, cavadenti e fornitore di cataplasmi dalla dubbia utilità,conduce in giro per il paese.
Ma Robert, con il passare degli anni sviluppa un grande interesse per la medicina e dopo un’operazione di cataratta subita da Barber, il suo protettore al quale si è unito da parte di cerusici ebrei, sceglie di andare in Oriente,
per seguire gli insegnamenti di Ibn Sina, l’uomo che è a conoscenza di segreti della medicina assolutamente straordinari per l’epoca buia nella quale il giovane vive.
Per farlo è però costretto a cambiare nome e a circoncidersi; Ibn Sina vive in Egitto,dove i cristiani non sono assolutamente ben visti. Così Robert diventa Jesse Ben Benjamin e dopo un viaggio lunghissimo
attraverso l’Europa e dopo aver rischiato la vita nel deserto arriva finalmente a Isfahan.
Durante la drammatica camminata nel deserto ha avuto modo di conoscere la bella Rebecca, una ragazza ebrea che sta andando in città per sposare un ricco ebreo; fra i due nasce immediatamente un’amicizia
che però deve fare i conti con una tempesta di sabbia, dalla quale il solo Robert esce indenne.
A Ishafan dopo alcune peripezie Robert ha modo di conoscere Ibn Sina, che lo prende sotto la sua ala protettrice e subito dopo riesce anche ad ingraziarsi lo Scià Ala ad-Daula, che regna incontrastato sulla città.
Ma un nemico terribile è in arrivo verso la città: sono tribù Sefardite, crudeli e integraliste, che vogliono rovesciare lo Scià e che per raggiungere lo scopo non esitano a scatenare il più mortale dei nemici, la morte nera ovvero la peste.
Sarà proprio Robert a intuire che le pulci dei topi provocano il mortale contagio, guadagnandosi il rispetto di Ibn Sina e la gratitudine di Ala ad-Daula.
Nel frattempo ritrova Rebecca,scampata al deserto e che si è sposata e subito dopo ammalata di peste.
E’ l’inizio di un nuovo dramma…
Dal racconto Der Medicus di Noah Gordon il regista di Monaco di Baviera Philipp Stölzl trae questo Medicus-The Physician (2013),un film davvero bello che ha molti punti di interesse nella sua sceneggiatura e nello svolgimento della pellicola stessa.
La storia ovviamente romanzata delle peripezie di Robert si trasforma in uno spaccato storico su quello che era il mondo pre medioevale, un mondo che viveva sospeso tra magia e religione,tra cure empiriche condizionato dalle religioni,che vietavano
le autopsie e che quindi impedivano il progresso della scienza medica.
Cattolicesimo, ebraismo e islamismo facevano il bello e il cattivo tempo, tenendo in pratica la popolazione nell’ignoranza più totale, facendo quindi sviluppare un mondo parallelo popolato di ciarlatani che ammazzavano più gente di quanta ne curavano.
Il viaggio di Robert, fra pericoli di ogni genere si trasforma anche in una navigazione ne meno di quelle imposte dai cattolici e dagli ebrei.
Proprio la figura di Robert, il giovane che possiede un dono terribile, più una maledizione che un dono a dire il vero, si trasforma
in quella di un uomo alla ricerca della vera essenza della medicina. Sarà lui a sfidare le leggi praticando la prima autopsia segreta, rischiando la vita, così come sarà lui a salvare la città che lo ha accolto da un flagello che per tutti i secoli del medioevo e per buona parte dell’evo successivo
portò milioni di morti in tutto il mondo.
La morte nera era la principale causa di morte in Europa e lo divenne anche in Oriente; nel film è immaginato un ruolo fondamentale svolto da Robert che però,per inciso,è solo un mero espediente narrativo. Ci vollero secoli per capire cosa davvero trasportasse la peste in giro per il mondo.
Ma questo ovviamente ha un’importanza davvero relativa; quello che conta nel film è seguire la storia del giovane,la sua odissea e la sua storia d’amore con Rebecca.
In fondo siamo di fronte ad un romanzo che mescola, con sapienza, storia e fantasia: la figura di Ibn Sina assomiglia molto a quella di Avicenna, medico, filosofo, matematico, logico e fisico persiano le cui opere più famose, Il libro della guarigione e Il canone della medicina
furono le prime basi della medicina del medioevo. Ma essendo vissuto prima dell’anno mille Avicenna l’ho tirato in ballo forse in maniera inopportuna; è allora più probabile che la figura di riferimento sia quella di Averroè, il medico e filosofo che davvero traghettò la medicina verso l’era moderna.
Comunque sia del film mi preme sottolineare i grandi meriti, che vanno da uno stile registico davvero interessante ad un racconto che si snoda senza grosse forzature, trasformandosi in un’opera
che si gusta appieno senza noia per oltre due ore. Ottimi gli attori del cast, fra i quali segnalo il solito grande Ben Kinglsley (Ibn Sina), il giovane ed interessante Tom Payne (Robert) ,la bella e brava Emma Rigby (Rebecca) e la solita sicurezza rappresentata dall’attore svedese Stellan Skarsgård ( il cerusico Barber).
Molto bella l’ambientazione, belli i costumi.
Un film del quale consiglio vivamente la visione
Medicus The Physician
Un film di Philipp Stölzl. Con Ben Kingsley,Tom Payne, Ian T. Dickinson, Emma Rigby, Michael Jibson, Stellan Skarsgård ,Fahri Yardim, Makram Khoury , Olivier Martinez, Hossein Andalibi, Mourad Zaoui, Robert A. Foster, Manuela Biedermann, Adam Thomas Wright, Michael Marcus, Dominique Moore, Elyas M’Barek Avventura – Germania 2013.
Tom Payne: Rob Cole/Jesse Ben Benjamin
Emma Rigby: Rebecca
Stellan Skarsgård: cerusico Barber
Ben Kingsley: Ibn Sina
Olivier Martinez: Scià Ala ad-Daula
Elyas M’Barek: Karim
Fahri Yardım: Davout Hossein
Michael Marcus: Mirdin
Stanley Townsend: Bar Kappara
Adam Thomas-Wright: Rob Cole 10 anni
Makram Khoury: Imam
Lorenzo De Angelis: Rob Cole/Jesse Ben Benjamin
Benedetta Ponticelli: Rebecca
Angelo Nicotra: cerusico Barber
Stefano De Sando: Ibn Sina
Andrea Lavagnino: Scià Ala ad-Daula
Roberto Stocchi: Davout Hossein
Leonardo Della Bianca: Rob Cole 10 anni
Regia Philipp Stölzl
Soggetto Noah Gordon
Produttore Wolf Bauer
Nico Hofmann
Casa di produzione UFA Cinema
Degeto Film
Beta Cinema
Distribuzione in italiano Universal Pictures
Musiche Ingo Ludwig Frenzel
Addio mia regina
Versailles,14 luglio 1789
Sono gli ultimi mesi di vita dell’Ancient Regime e contemporaneamente di molti nobili che vivono nella fastosa reggia voluta dal Re sole,Luigi XIV.
Il mondo aldilà dei cancelli della reggia sta per cambiare,ma per gli abitanti del posto,nobili e lacchè,servitori e principalmente per la regina Maria Antonietta tutto sembra fermo al giorno prima. E a quello precedente e a migliaia di giorni prima ancora.
La vita di corte ruota attorno al Re Luigi XVI e alla sua corte, a sua moglie, la volubile Maria Antonietta d’Austria; che passa i giorni annoiata,presa da frivolezze come abiti e gioielli,dall’attrazione che prova per madame de Polignac,una parvenue che ha saputo sfruttare la benevolenza dell’Austriaca, come la corte e il popolo chiama spregiativamente la regina.
Tra i servitori c’è Sidonie Laborde,una ragazza di umili origini che ama la regina e che le fa da lettrice e che deve districarsi fra pettegolezzi e invidie,tra meschinerie e pochezze che popolano un mondo in disfacimento,incapace di comprendere la reale portata degli avvenimenti che stanno travolgendo la vicina Parigi, culla del movimento rivoluzionario che di li a poco avrebbe spazzato via la nobiltà e un mondo incancrenito.
E’ proprio Sidonie una delle prime ad apprendere la notizia della presa della Bastiglia,notizia che la allarma,quasi un presagio di ciò che accadrà.
A poco a poco anche la corte apprende la notizia e allora si assiste al classico abbandono della nave che affonda; nobili furbi che hanno capito che l’aria sta cambiando,servitori stanchi di anni di soprusi,valletti e scudieri fuggono da quella che vedono ormai come una trappola mortale.
Anche Maria Antonietta inizia a comprendere il pericolo e si preoccupa di si salvare la vita a madame de Polignac,a cui molti popolani hanno giurato di fare la pelle.E per fare questo escogita un piano che coinvolge proprio Sidonie…
Dal romanzo Addio mia regina di Chantal Thomas il regista parigino Benoît Jacquot trae un film descrittivo,totalmente al femminile,nel quale proprio le figure maschili sono lasciate in secondo piano.
Così gli avvenimenti che coinvolgono Parigi e i suoi protagonisti,dal comandante della Bastiglia Delaunay al sindaco di Parigi Bailly al ministro delle finanze Necker sono appena nominati; lo stesso Luigi XVI appare per pochi minuti nel film,solo per parlare con sua moglie e del peso
della corona che non aveva mai amato e che aveva accettato solo perchè faceva parte della sua educazione e del suo destino.
Il film si dipana attraverso le vicende personali di Sidonie,dolce e contemporaneamente abbastanza smaliziata da capire che a corte è bene non fidarsi di nessuno e quelle di Maria Antonietta,la regina odiata dai francesi e vista con il più classico degli stereotipi storici, quello che vuole ancora oggi
la regina come creatura frivola e viziata, egoista e sessualmente ambigua.Tutti clichè che la storia ha rettificato almeno in parte,cercando di guardare oltre la letteratura tipica dell’epoca che la dipinse come un essere spregevole,senza cuore e dedita solo a gozzoviglie e baccanali.
Jacquot non si distacca molto da questa visione discutibile, non aggiungendo quindi assolutamente nulla alla verità storica; il suo sguardo vaga per la corte,con dialoghi a tratti abbastanza noiosi tra i vari servitori (per la massima parte donne).Sorte migliore tocca a Sidonie,che se vogliamo è la vera protagonista del film, una ragazza con i piedi piantati per terra e che nutre ammirazione e sentimenti positivi per la sovrana. Per Sidonie la corte,il re e la regina sono l’ordine costituito,che esiste da sempre e che quindi va servito nel migliore dei modi.Ma è anche l’unica a nutrire questi sentimenti,in mezzo a gente che ha fatto dell’opportunismo una ragione di vita. Il parassitismo tipico della nobiltà appare in tutto il suo squallore proprio quando si diffonde la notizia dell’inizio della rivoluzione;saranno in molti a fuggire,mostrando come fosse solo l’interesse a tenere unito il baraccone che ruotava attorno alla monarchia.
Ed è questo il tema principale del film,assieme alla descrizione ambientale e di frammenti di vita di alcuni dei personaggi che vivevano a corte.
Magnifici costumi e la bellezza della reggia salvano il film dall’appiattimento, dovuto ad una superficialità che percorre tutta la pellicola. La spietata,cruda descrizione di film come La favorita o la Duchessa è ben lungi dall’essere raggiunta e la pellicola giunge alla fine senza suscitare particolari emozioni.
Per fortuna attrici molto brave come Léa Seydoux ( Sidonie Laborde) che ammireremo in Vita di Adele,di Diane Kruger (Maria Antonietta),la Elena di Troy e Virginie Ledoyen (Madame de Polignac) recitano all’altezza; le musiche sono decisamente ridondanti e poco adatte,bella la fotografia.
Un film con pochi lati positivi e con tante ombre,che pure ha ottenuto molte critiche benevole.
Addio mia regina
Regia di Benoît Jacquot. Un film con Léa Seydoux, Diane Kruger, Virginie Ledoyen, Xavier Beauvois, Vladimir Consigny. Titolo originale: Les adieux à la reine. Genere Drammatico – Francia, Spagna, 2012
Diane Kruger: Maria Antonietta
Léa Seydoux: Sidonie Laborde
Virginie Ledoyen: madame de Polignac
Xavier Beauvois: Luigi XVI
Noémie Lvovsky: madame Campan
Grégory Gadebois: Conte di Provenza
Francis Leplay: Conte d’Artois
Regia Benoît Jacquot
Soggetto Addio mia regina di Chantal Thomas
Sceneggiatura Benoît Jacquot
Gilles Taurand
Chantal Thomas
Produttore Jean-Pierre Guérin
Kristina Larsen
Thomas Saignes
Pedro Uriol
Fotografia Romain Winding
Montaggio Luc Barnier
Musiche Bruno Coulais
Scenografia Katia Wyszkop
Gli Argonauti
Nella Tessaglia,una regione della Grecia, Pelia sale sul trono uccidendo il legittimo re Aristo e assassinando le sue figlie; a scampare all’eccidio è l’erede al trono, il figlio maschio Giasone.
Egli è destinato a salire sul trono e compiere così la profezia di un indovino; vent’anni dopo Giasone, diventato nel frattempo un giovane coraggioso, audace ha la possibilità di uccidere Pelia ma non lo fa,salvandogli al contrario la vita.
Costui,per togliersi dai piedi il giovane e impedire il compimento della profezia lo spedisce in capo al mondo alla ricerca del vello d’oro, una pelliccia di montone capace di fare prodigi, custodita però dalla micidiale Idra, una serpe gigantesca con sette teste.
Giasone accetta e costituisce un equipaggio fatto da coraggiosi, che recluta in tutta la Tessaglia e si appresta a partire per quella che sembra un’impresa impossibile.
Ma è grazie agli dei che riceve preziosi aiuti: il giorno che precede la partenza viene convocato da Giunone che gli promette tre aiuti per superare le insidie che lo aspettano.
Tra gli eroi che compongono l’equipaggio, gli Argonauti, c’è anche Ercole, il mitico semidio dalla forza sovrumana.
Il primo aiuto che Giasone riceve da Giunone è l’indicazione del posto dove cercare il vello d’oro,ovvero nella Colchide.ma prima di arrivarci gli Argonauti sono costretti ad affrontare nemici all’apparenza invincibili, come la gigantesca statua di bronzo Talo.
In questa avventura c’è la prima defezione importante, quella di Ercole,che rinuncia a proseguire per andare alla ricerca di un suo amico disperso durante lo scontro con Talo.
Il viaggio continua, affrontando nemici sempre più temibili come le Arpie, tre donne uccello dall’aspetto orrido e dagli artigli letali, poi lo stretto che si richiude quando le navi tentano di attraversarlo, aiutati in questo dal dio Nettuno che sorge dal mare per tenere distanti le rocce e infine
l’Idra, che Giasone uccide dopo un epico combattimento. Ma non è finita,perchè Eeta,il re della Colchide per vendicarsi del furto del vello fa sorgere dai denti dell’Idra un gruppo di scheletri che uccidono i compagni di Giasone, che all’ultimo momento riesce ad allontanarsi sulla nave Argo.
Qui si ricongiunge ai superstiti della spedizione e alla sacerdotessa Medea, che ha salvato da un naufragio durante il passaggio dallo stretto che si richiude su se stesso.
Con la donna (innamorata di lui,ricambiata) e i suoi amici torna a casa,benedetto dagli dei che hanno ammirato il suo coraggio.
Kolossal mitologico diretto da Don Chaffey nel 1962, Gli Argonauti è uno dei film più belli in assoluto nel campo delle pellicole mitologiche; avventure a getto continuo, bellissimi e sorprendenti effetti speciali fanno di questo film un’opera godibile che scorre con agilità verso la fine che lascia sicuramente appagato lo spettatore.
Da Ercole a Talo,dalle Arpie all’Idra agli Dei, tutte le componenti di parte della florida mitologia greca non sono certo risparmiate anche come effetti visivi, curati da Ray Harryhausen,un autentico mago che grazie alla tecnica dello slow motion crea la famosa sequenza finale del combattimento con gli scheletri, che tanto lasciò ammirati gli spettatori dei primi anni sessanta,effetti speciali ancor oggi sorprendenti.
100 minuti di divertimento in cui la noia è bandita;un film ancor oggi sorprendentemente avvincente e divenuto un classico nel campo dei film storico/mitologici.
Bravi tutti gli attori,in particolare Todd Armstrong (Giasone), Nancy Kovack (Medea) e Honor Blackman (Giunone); su Youtube c’è una discreta versione del film all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=xau_Mc6WfsE
Gli argonauti
Un film di Don Chaffey. Con Honor Blackman, Nigel Green, Todd Armstrong, Nancy Kovack, Gary Raymond. Titolo originale Jason and the Argonauts. Avventura, durata 104 min. – Gran Bretagna 1963
Todd Armstrong: Giasone
Nancy Kovack: Medea
Gary Raymond: Acasto
Laurence Naismith: Argo
Niall MacGinnis: Zeus
Honor Blackman: Era
Michael Gwynn: Ermes
John Cairney: Ila
Nigel Green: Ercole
Douglas Wilmer: Pelia
Jack Gwillim: re Eeta
Patrick Troughton: Fineo
Andrew Faulds: Faleo
Pino Locchi: Giasone
Fiorella Betti: Medea
Cesare Barbetti: Acasto
Gualtiero De Angelis: Argo
Giorgio Capecchi: Zeus
Rosetta Calavetta: Era
Gianfranco Bellini: Ermes
Massimo Turci: Ila
Arturo Dominici: Ercole
Emilio Cigoli: Pelia
Renato Turi: re Eeta
Bruno Persa: Fineo
Manlio Busoni: Faleo
Lauro Gazzolo: Oracolo
Regia Don Chaffey
Soggetto Beverley Cross dalle Argonautiche di Apollonio Rodio
Produttore Charles H. Schneer
Fotografia Wilkie Cooper
Effetti speciali Ray Harryhausen
Musiche Bernard Herrmann
il Re dei Re
Nel 1961 Nicholas Ray,grazie ai mezzi messi a disposizione da Samuel Bronson (produttore tra l’altro di kolossal come El Cid e La caduta dell’impero romano) allestisce una personale versione della vita di Gesù Cristo,cercando di essere fedele quanto più possibile alla storia narrata dalla Bibbia prima e dai vangeli dopo.
Lo fa coprendo un arco temporale di quasi un secolo,partendo dal saccheggio di Gerusalemme ad opera delle truppe romane avvenuto nel 63 Ac e arrivando alla fine alla crocefissione di Gesù.
Il film parte con la decisione da parte di Roma di mettere sul trono della Giudea Erode il Grande,per frenare gli innumerevoli moti di ribellione degli ebrei che mal sopportavano la durissima occupazione romana.
Ed è proprio partendo dal regno di Erode che che si sviluppa la storia,con la decisione da parte del re di uccidere tutti i primogeniti delle tribù per timore che si avverasse la profezia della nascita di un Re che avrebbe occupato il trono di Gerusalemme.
Giuseppe e Maria salvano il piccolo Gesù fuggendo in Egitto mentre a Gerusalemme il crudele Erode il grande muore per mano di suo figlio Erode Antipa ( clamoroso falso storico, Erode il grande morì di malattia); la sacra famiglia può tornare a Nazareth,dove vive tranquilla fino
a quando Gesù,ormai adolescente,inizia a far parlare di se.
La storia prosegue con la predicazione di Giovanni Battista,che predice l’avvento del Messia,con l’arrivo del nuovo governatore Ponzio Pilato e con gli avvenimenti successivi,il battesimo di Gesù,le predicazioni dello stesso con il celebre discorso della montagna (magnifica ricostruzione)
e i successivi avvenimenti,la delusione di Barabba che sperava nell’avvento di un liberatore con le armi,la preoccupazione del sinedrio e le trame dello stesso per frenare la crescente popolarità del Nazzareno fino all’arresto,alla decisione di Pilato di far decidere al popolo sulla sorte di Gesù e la sua successiva passione,culminata con la crocefissione sul Golgota.
Una versione,quella del film Il Re dei Re ,uscito nel 1961, che ripercorre la vita di Gesù nelle sue fasi salienti, corredata da splendide scenografie, ottimi costumi e dialoghi sobri e abbastanza fedeli alla narrazione evangelica.
Qualche concessione di troppo al gusto tutto americano per la retorica e la scelta azzardata di Jeffrey Hunter per il ruolo di Gesù sono gli unici appunti da muovere al film.
Sopratutto quest’ultima; un Gesù biondo e con gli occhi azzurri è quanto di più lontano dalla figura terrena del Messia,che per le sue origini era sicuramente diverso fisicamente ma per secoli arte e scritti hanno tramandato la sua figura in questo modo per cui si tratta di un peccato molto veniale.
Bene il cast, con ottime caratterizzazioni,da Rip Torn (Giuda) passando per Robert Ryan (il Battista),Viveca Lindfors (Claudia,la moglie di Pilato) e Frank Thring (Erode Antipa).
Fra le svariate versioni cinematografiche sulla vita del Messia questa va reputata la migliore almeno fino alla più fedele e meglio realizzata,quella del Gesù di Nazareth del compianto Zeffirelli.
Da segnalare nella versione italiana la presenza come voce narrante di Gino Cervi (in quella originale il ruolo è ricoperto da Orson Welles)
Riproposto più volte dalle tv, ha una buona versione in divx (solo in streaming) all’indirizzo https://altadefinizione.cloud/il-re-dei-re/
Il Re dei Re
Un film di Nicholas Ray. Con Viveca Lindfors, Robert Ryan, Harry Guardino, Hurd Hatfield, Jeffrey Hunter, Carmen Sevilla Titolo originale The King of Kings. Storico, durata 168 min. – USA 1961
Jeffrey Hunter: Gesù
Siobhán McKenna: Maria
Robert Ryan: Giovanni Battista
Ron Randell: Lucio Catanio
Hurd Hatfield: Ponzio Pilato
Viveca Lindfors: Claudia
Frank Thring: Erode Antipa
Rita Gam: Erodiade
Royal Dano: Pietro
Rip Torn: Giuda Iscariota
Harry Guardino: Barabba
Carmen Sevilla: Maria Maddalena
Brigid Bazlen: Salomè
Guy Rolfe: Caifa
Grégoire Aslan: Erode il Grande
Luis Prendes: buon ladrone
Barry Keegan: cattivo ladrone
Giuseppe Rinaldi: Gesù
Lydia Simoneschi: Maria
Emilio Cigoli: Giovanni Battista
Manlio Busoni: Lucio
Nando Gazzolo: Ponzio Pilato
Andreina Pagnani: Claudia
Giorgio Capecchi: Erode Antipa
Rosetta Calavetta: Erodiade
Mario Pisu: Pietro
Pino Locchi: Giuda Iscariota
Glauco Onorato: Barabba
Maria Pia Di Meo: Maria Maddalena
Fiorella Betti: Salomè
Olinto Cristina: Caifa
Luigi Pavese: Erode il Grande
Gualtiero De Angelis: buon ladrone
Renato Turi: cattivo ladrone
Gino Cervi: voce narrante
Regia Nicholas Ray
Sceneggiatura Philip Yordan
Produttore Samuel Bronston
Casa di produzione Metro-Goldwyn-Mayer
Distribuzione in italiano Metro-Goldwyn-Mayer
Fotografia Manuel Berenguer, Milton R. Krasner, Franz Planer
Montaggio Harold F. Kress, Renée Lichtig
Effetti speciali Alex Weldon, Lee Le Blanc
Musiche Miklós Rózsa
Scenografia Enrique Alarcòn, Georges Wakhévich
Costumi Georges Wakhévich
Trucco Charles E. Parker, Mario Van Riel
Ben Hur
Palestina,primo secolo dopo Cristo
L’impero romano domina la terra d’Israele con durezza;l’imperatore Tiberio manda in Palestina un nuovo governatore,accompagnato da Messala,capo delle guardie.
A Gerusalemme Messala incontra il vecchio amico Giuda Ben Hur,ricco mercante schierato apertamente con il suo popolo.
Ben presto, al rifiuto di Ben Hur di collaborare alla repressione dei moti di rivolta del popolo ebreo,Messala decide di sbarazzarsi dell’ormai ex amico e approfitta di un banale quanto involontario incidente che accade durante il passaggio del nuovo governatore. Alcuni mattoni si staccano dal tetto della casa di Ben Hur e Messala accusa Ben Hur di aver attentato alla vita del governatore. Imprigionato,Ben Hur viene inviato ai lavori forzati; nei pressi di Nazareth, stremato dalla sete,verrà dissetato da Gesù, un incontro questo che cambierà il suo futuro.
Qualche anno dopo Ben Hur,incatenato ai remi di una galea romana, salva da morte sicura il console romano Quinto Arrio durante una battaglia contro i pirati. Riconoscente,l’uomo lo porta con se a Roma e decide di adottarlo.
Ben Hur torna a Gerusalemme,dove apprende una triste notizia; sua madre e sua sorella sono morte. A comunicargli la cosa è Ester,figlia di un suo vecchio amico e segretamente innamorata di lui da sempre; la donna,per risparmiargli un dolore mente, nascondendo
un’atroce verita:la madre e la sorella di Ben Hur vivono nella valle dei lebbrosi, dopo aver contratto la terribile malattia.
Distrutto, Ben Hur giura vendetta contro Messala, responsabile della tragedia che si è abbattuta sulla sua vita .E avrà un’imprevista vendetta quando, correndo con le bighe in una gara senza regole, Messala verrà travolto dai cavalli, riportando ferite mortali.
Sul letto di morte, Messala rivela a Ben Hur che sua madre e sua sorella sono vive, ma che hanno la lebbra.
Ben Hur riuscirà a vedere le sue congiunte e alla fine,senza preoccuparsi del rischio di contagio,le trascina con se ad assistere al passaggio di Gesù, avviato al Calvario. Le due donne,miracolosamente,guariscono dalla lebbra e il film si chiude con la visione in lontananza
di tre croci che si stagliano nel tramonto.
L’uscita di Ben Hur nel 1959,per la regia del grande William Wyler venne accolta in modo a dir poco entusiasta sia dal pubblico che da buona parte della critica,tanto che nell’edizione degli Oscar tenutasi nel 1960 a Hollywood nel RKO Pantages Theatre la pellicola fece incetta di statuette,ben 11 su 12 nomination , tanto da stabilire un record che è stato soltanto eguagliato da Titanic e dal Signore degli anelli-Il ritorno del re.
A stupire tutti fu la splendida sequenza della corsa delle quadrighe,realizzata con una perizia ragguardevole.Scene mozzafiato,il clou di una pellicola che ha dalla sua una storia accattivante,con il classico happy end che è una volta tanto di una sobrietà sorprendente,con le tre croci
viste nel tramonto che si stagliano quasi come monito o anche come ricordo del passaggio terreno di un uomo eccezionale,quel Gesù che nel film appare di sfuggita,ma la cui presenza cambia irreversibilmente la sorte della famiglia di Giuda Ben Hur.
Che ha il volto (e il fisico scultoreo) di Charlton Heston,reduce da un altro kolossal di successo,I dieci comandamenti.
Curiosamente Ben Hur non aveva un cast di primissimo piano;gli attori protagonisti ( e non) non erano figure di primissimo piano del gotha cinematografico.
Ma ognuno di loro recitò al meglio,tanto che buona parte del successo va ascritto ad interpretazioni asciutte,rigorose.
Un’altra celebre sequenza è quella della battaglia navale,girata con tanta perizia da risultare quasi reale; venne realizzata una grande vasca con modellini delle galee romane fatte in dimensioni simili al vero.
Il film,girato in larga parte negli stabilimenti romani di Cinecittà fece da cassa di risonanza agli stabilimenti stessi,che divennero ancor più ambiti e che successivamente vennero usati come base per una pletora di peplum.
Un film epico,un vero kolossal capace di inchiodare alla poltrona lo spettatore per tutti i 212 minuti di durata della pellicola,che per decenni è stata trasmessa in più occasioni da tv pubbliche e private di tutto il mondo.
Da segnalare la presenza nel cast tecnico di un aiuto regista che di li a poco avrebbe avuto anch’esso fama mondiale: Sergio Leone
Ben Hur
Un film di William Wyler. Con Charlton Heston, Jack Hawkins, Haya Harareet, Stephen Boyd, Hugh Griffith, Giuliano Gemma, Martha Scott, Cathy O’Donnell, Sam Jaffe, Finlay Currie, Frank Thring, Terence Longdon, George Relph, André Morell, Adi Berber, Marina Berti Avventura, durata 212 min. – USA 1959
Charlton Heston: Giuda Ben-Hur
Jack Hawkins: Quinto Arrio
Haya Harareet: Esther
Stephen Boyd: Messala
Hugh Griffith: Sceicco Ilderim
Martha Scott: Miriam
Cathy O’Donnell: Tirzah
Sam Jaffe: Simonide
Claude Heater: Gesù Cristo
Finlay Currie: Baldassarre
Frank Thring: Ponzio Pilato
Terence Longdon: Druso
George Relph: Imperatore Tiberio
André Morell: Sesto
Laurence Payne: Giuseppe
Adi Berber: Malluch
Marina Berti: Flavia
Mino Doro: Valerio Grato
José Greci: Vergine Maria madre di Gesù Cristo
Richard Hale: Gasparre
Lando Buzzanca: Schiavo
Giuliano Gemma : Soldato Romano
Emilio Cigoli: Giuda Ben-Hur
Manlio Busoni: Quinto Arrio
Maria Pia Di Meo: Esther
Glauco Onorato: Messala
Carlo Romano: Sceicco Ilderim
Renata Marini: Miriam
Fiorella Betti: Tirzah
Lauro Gazzolo: Simonide
Luigi Pavese: Baldassarre
Giorgio Capecchi: Ponzio Pilato
Olinto Cristina: Imperatore Tiberio
Bruno Persa: Sesto
Gino Baghetti: Giuseppe
Arturo Dominici: Valerio Grato
Luigi Pavese: voce narrante
Regia William Wyler
Soggetto Lew Wallace (romanzo)
Sceneggiatura Karl Tunberg (accreditato), Christopher Fry, Gore Vidal (non accreditati)
Produttore Sam Zimbalist
Casa di produzione Metro-Goldwyn-Mayer, Cinecittà
Distribuzione in italiano Metro-Goldwyn-Mayer
Fotografia Robert Surtees
Montaggio John D. Dunning, Ralph E. Winters
Effetti speciali A. Arnold Gillespie, Robert MacDonald, Milo B. Lory, Lee LeBlanc, Robert R. Hoag
Musiche Miklós Rózsa
Scenografia Edward Carfagno, William A. Horning, Hugh Hunt, Vittorio Valentini
Costumi Elizabeth Haffenden
Trucco Charles E. Parker
I dieci comandamenti
Egitto,regno di Ramses I
Astrologi e sacerdoti di corte hanno vaticinato l’arrivo di un uomo che porterà l’Egitto alla dissoluzione liberando contemporaneamente il popolo di Israele dalla cattività;il faraone Ramses I ordina la morte di tutti i neonati degli schiavi, ma si salva il figlio di Yochabel che mette il suo piccolo in una cesta avvolto in una tradizionale coperta ebrea e lo affida al Nilo confidando nell’aiuto di Dio.
La cesta cullata dalle acque del fiume arriva fino alla casa di Bithia,figlia del faraone,vedova e senza figli e quando questa scopre che all’interno c’è un bimbo,decide di accoglierlo come suo figlio e gli da il nome di Mosè,tratto dalle acque.
Gli anni passano e Mosè cresce forte e intelligente; è anche un valoroso guerriero, che da lustro e gloria all’Egitto ed è tenuto in grande considerazione dal faraone Seti I che nel frattempo è salito sul trono d’Egitto alla morte di suo padre Ramses I;
Seti ama il presunto nipote,tanto da essere indeciso sul suo successore,arrivando a preferire Mosè al suo naturale figlio Ramses II.
Il quale mal vede il riguardo del padre verso il rivale,gelosia accentuata anche dall’amore che la principessa Nefertari,giovane protetta da Seti,nutre per Mosè.
Il quale,fatta costruire una grande città in onore di Seti, sale ancor più nella considerazione del faraone,tanto che ormai tutto lascia presagire che sarà proprio lui il successore sul trono d’Egitto.
Ma dopo una serie di vicissitudini,Mosè scopre le sue vere origini e decide di schierarsi dalla parte del suo popolo,schiavizzato da tanto tempo e di cercare di liberarlo dal giogo egiziano.
Mosè viene quindi condannato all’esilio da Seti I sotto suggerimento di Ramses II (a sua volta sobillato da Nefertari) e allontanato dal regno,con destinazione il deserto.
Qui Mosè conoscerà la sua futura moglie Sefora e inizierà per lui un periodo di tranquillità,interrotta solo dalla folgorazione della chiamata di Dio,che lo incarica di liberare il popolo di Israele dandogli poteri straordinari con i quali convincere il faraone
a lasciar partire gli ebrei.
Alla corte di Ramses II,nonostante i prodigi compiuti,Mosè non riesce a convincere l’ostinato faraone; sarà solo provocando la morte dei primogeniti egizi, fra i quali il figlio del faraone che Mosè otterrà l’ambita libertà del suo popolo.
Che quindi raccolta la propria roba si incammina verso la valle del Giordano,dove c’è la terra promessa da Dio.
Ma Ramses II (che ha sposato Nefertari) sotto istigazione della donna,raduna un esercito per sterminare gli ebrei finendo per vederlo annientato dalle acque del mar Rosso che travolgono i suoi soldati subito dopo aver fatto passare gli ebrei,che Mosè ha condotto
attraverso le acque del fiume separandole sempre grazie all’aiuto di Dio.
Nel deserto Mosè riceve la chiamata di Dio che sul monte del Sinai gli scolpisce le tavole della legge, i dieci comandamenti che stabiliranno l’unione tra Dio e quello che è il popolo eletto.
Mosè rimane lontano per quaranta giorni dal suo popolo.mentre la gente di Israele si lascia andare a gozzoviglie e nefandezze,suscitando l’ira di Dio sopratutto per la costruzione di un vitello d’oro destinato a diventare il nuovo Dio degli israeliani.
La collera di Dio si abbatte sulla parte di popolo infedele che scompare fra tuoni,fulmini e un terremoto che inghiotte i sacrileghi,risparmiando coloro che non avevano rinnegato la propria fede.
Tuttavia il popolo di Israele,condannato a vagare per 40 anni nel deserto,arriverà nella terra promessa senza Mosè che non potrà entrarci, avendo anch’egli offeso Dio. Sarà Giosuè,fedele compagno dalla fuga dell’Egitto a condurre il popolo eletto,emendato dai suoi peccati nella terra
che li accoglierà.
Diretto dallo specialista in kolossal Cecil De Mille nel 1956, con un remake che riprende l’omonimo film girato negli anni 20, I dieci comandamenti è una mega produzione di Hollywood che racconta le vicende narrate nel libro dell’Esodo della Bibbia attraverso 220 minuti di un cinema fastoso
e colossale,con migliaia di comparse e l’utilizzo di scene ardite zeppe di effetti speciali,tra le quali spicca la divisione delle acque che ancora oggi è un effetto speciale insuperato.
Un budget colossale permette a De Mille di creare un’ambientazione affascinante e l’utilizzo di un cast d’eccezione.
A vestire i panni di Mosè,il liberatore,viene scelto Charlton Heston mentre è Yul Brinner a interpretare Ramses II; ma il cast ha anche attrici del calibro di Anne Baxter (Nefertari),Yvonne De Carlo (Sefora,moglie di Mosè) e Debra Paget (Lilia) oltre ad attori del calibro di Edward G.Robinson e
Vincent Price,i due “malvagi” del film,Dathan e Baka.
Un film avvincente nonostante la storia narrata fosse in quache modo a conoscenza,a grandi lineee,degli spettatori;non privo di inesattezze storiche grossolane,come i nomi dei faraoni che pur essendo esistiti nella realtà (Seti I e Ramses II sono stati fra i più grandi faraoni della storia d’Egitto) probabilmente non hanno nulla a che vedere con la vicenda. La Bibbia,infatti,non accenna mai ai nomi del faraoni,limitandosi a fornire solo la denominazione “faraone”.
Altre inesattezze tuttavia non pregiudicano la bontà del racconto.
Il film avvince,tiene lo spettatore avvinghiato alla poltrona grazie alla equilibrata regia di De Mille,nonostante il tempo smisurato di proiezione,quasi quattro ore che tuttavia vengono ricompensate da grandiose scene allestite con migliaia di comparse,con la narrazione degli intrighi che porteranno alla scoperta della vera identità di Mosis (Mosè),colui che fu “tratto dalle acque”,secondo quando narrato dalla Bibbia.Una storia senza tempo,abbellita da costumi sfarzosi e da una ricostruzione storica di vestiti e oggetti vari non eccessivamente visionaria.
Accolto con entusiasmo dal pubblico,I dieci comandamenti si rivelò un affare enorme anche dal punto di vista commerciale,tanto da essere nel trentennio successivo uno dei film più remunerativi della storia.
Ed anche uno dei più visti e più riproposti sia al cinema che in Tv.
Da segnalare anche la vigorosa colonna sonora di Elmer Bernstein; candidato a sette Oscar,alla fine ne portò a casa solo uno, quello a John Fulton per gli effetti speciali.
Ma va detto che se il pubblico tributò un trionfo al film,la critica restò fredda,giudicando lo stesso poco più che un polpettone,pur riconoscendo la bontà di tutte le componenti della pellicola.
Nonostante tutto,il film continua ad essere riproposto con buona frequenza in Tv,riscuotendo a distanza di oltre sessant’anni un successo non scalfito dal tempo.
I dieci comandamenti
regia di Cecil B. De Mille,con Charlton Heston, Yul Brynner, Anne Baxter, Edward G. Robinson, Yvonne De Carlo, Debra Paget. Titolo originale: The Ten Commandments. Genere Storico – USA, 1956, durata 221 minuti
Charlton Heston: Mosè
Yul Brynner: Ramesse
Anne Baxter: Nefertari
Edward G. Robinson: Dathan
Yvonne De Carlo: Sefora
Debra Paget: Lilia
John Derek: Giosuè
Cedric Hardwicke: Sethi
Nina Foch: Bithia
Martha Scott: Yochabel
Judith Anderson: Memnet
Vincent Price: Baka
John Carradine: Aronne
Olive Deering: Miriam
Douglass Dumbrille: Jannes
Frank De Kova: Abiram
Henry Wilcoxon: Pentauro
Eduard Franz: sceicco Jethro
Donald Curtis: Mered
Lawrence Dobkin: Hur Ben Caleb
H.B. Warner: Amminadab
Julia Faye: Elisheba
Lisa Mitchell: figlia di Jethro
Noelle Williams: figlia di Jethro
Joanna Merlin: figlia di Jethro
Pat Richard: figlia di Jethro
Joyce Vanderveen: figlia di Jethro
Diane Hall: figlia di Jethro
Abbas El Boughdadly: auriga di Ramesse
Fraser Clarke Heston: Mosè appena nato
John Miljan: il cieco
Francis McDonald: Simone
Ian Keith: Ramesse I
Paul De Rolf: Eleazar
Woodrow Strode: re degli Etiopici
Tommy Duran: Gershom
Eugene Mazzola: figlio di Ramesse
Ramsay Hill: Korah
Joan Woodbury: la moglie di Korah
Esther Brown: principessa Tharbis
Cecil B. DeMille: Dio, voce narrante
Henry Brandon: comandante degli eserciti
Emilio Cigoli: Mosè
Nando Gazzolo: Ramesse
Lydia Simoneschi: Nefertari
Giorgio Capecchi: Dathan
Dhia Cristiani: Sefora
Fiorella Betti: Lilia
Pino Locchi: Giosuè
Mario Besesti: Sethi
Rina Morelli: Bithia
Giovanna Scotto: Yochabel
Tina Lattanzi: Memnet
Gualtiero De Angelis: Baka
Renato Turi: Aronne
Miranda Bonansea: Miriam
Giovanni Saccenti: Abiram
Gino Baghetti: Pentauro
Amilcare Pettinelli: sceicco Jethro
Rita Savagnone: figlia di Jehtro
Achille Majeroni: Ramesse I
Tina Lattanzi: principessa Tharbis
Luigi Pavese: Dio
Gino Cervi: voce narrante
Regia Cecil B. DeMille
Soggetto J.H. Ingraham
A.E. Southon
Dorothy Clarke Wilson
Sceneggiatura Aeneas MacKenzie, Jesse L. Lasky Jr., Jack Gariss, Fredric M. Frank
Produttore Cecil B. DeMille
Casa di produzione Paramount Pictures, Motion Picture Associates
Fotografia Loyal Griggs
Montaggio Anne Bauchens
Effetti speciali John P. Fulton
Musiche Elmer Bernstein
Scenografia Albert Nozaki, Hal Pereira, Walter H. Tyler
Costumi Arnold Friberg, Edith Head, Dorothy Jeakins, John Jensen, Ralph Jester
Elizabet,the Golden Age
Inghilterra,1585
Elisabetta I Tudor regna dal 1558;ha dovuto superare grandi problemi,congiure di palazzo,attentati alla sua vita,l’ostilità dei sovrani europei
e infine quella papale.
Ma è riuscita comunque a rendere il suo paese una potenza.
Tuttavia i problemi principali in politica estera sono rappresentati da Filippo II di Spagna con il quale ha un conflitto che sta per sfociare in guerra aperta.
Elisabetta I incoraggia e finanzia sotto banco gli attacchi ai galeoni spagnoli carichi di ricchezze provenienti dal nuovo mondo.
Francis Drake,per esempio, agisce sempre più scopertamente assaltando navi spagnole,mentre la regina finanzia contemporaneamente la guerra nei Paesi bassi,ribelli nei confronti della Spagna.In ultimo la politica apertamente anti cattolica della Regina si scontra con quella fedele a Roma di Flippo II.
Elisabetta ha sempre rifiutato qualsiasi offerta matrimoniale che le sia stata proposta,rendendo così predominante il ruolo di Maria Stuarda, regina di Scozia,principale candidata al trono.
Maria Stuarda viene coinvolta in una congiura ai danni di Elisabetta e questo le costa la condanna a morte;la sfortunata regina di Scozia viene decapitata.
E’ la goccia che fa traboccare il vaso.
Filippo II organizza la più grande spedizione di sempre per invadere l’Inghilterra;la sua Invincibile Armata salpa le ancore per eliminare una volta per tutte l’eretica regina.
Ma grazie allo spirito indomito dei suoi sudditi,a molta fortuna e al caso,Elisabetta vede la sua flotta,nettamente inferiore a quella spagnola,comandata dal suo fido amante Sir Walter Raleigh e dal corsaro Francis Drake annientare quella spagnola.
Ma se le cose a livello politico e militare funzionano,la vita sentimentale della regina si rivela un fallimento.
Walter Raleigh infatti ha avuto una relazione con Bess,dama della regina,l’ha sposata senza il consenso di Elisabetta e ha avuto dalla stessa un figlio.
Elisabetta lo perdonerà,mentre il regno si avvia ad un lungo periodo di prosperità.
Elizabeth: The Golden Age fa seguito al fortunato Elizabeth del 1998 (si veda la recensione su questo sito https://filmscoop.org/2015/11/16/elizabeth/)
La regia è sempre di Shekhar Kapur che ripropone fastosi costumi e una veste grafica di prim’ordine,il cast fa il suo molto bene.
Tuttavia,tanto sfarzo e attenzione ai dettagli ha una grossa lacuna a livello storico;la sceneggiatura,infatti,è più favolistica che aderente alla realtà.
Una delle inesattezze più gravi riguarda l’attentato alla regina mostrato nel film,che nella realtà storica non avvenne mai;l’attentatore infatti enne bloccato in fase di elaborazione dell’ stesso
grazie all’efficiente servizio di spionaggio della regina.
In quanto al rapporto con Raleigh,nulla fa pensare che lui e la regina fossero amanti e tra l’altro Raleigh non partecipò mai alla battaglia contro la Invincibile Armata.
La figura storica di Filippo II è distorta,tra l’altro fisicamente il re spagnolo era molto differente da quello raffigurato.
La stessa Elisabetta viene mostrata quasi indifferente alle posizioni religiose del suo popolo;la regina vergine al contrario cercò in tutti i modi di limitare la libertà di religione,perseguitando con forza
tutti quelli che organizzavano movimenti alternativi a connotazione fortemente religiosa.
Oltre a queste citate,tante sono le inesattezze storiche,il che rende il film una buona opera dal punto di vista meramente visiva ma quasi inattendibile da quello storico.
Un critico ha liquidato il film con un lapidario “sotto il vestito niente“,citando in questo caso il titolo di un film di Vanzina;giudizio ingeneroso,perchè almeno la confezione c’è ed è di lusso e in fondo il film si lascia ben vedere.
Brava Cate Blanchett,da segnalare l’interpretazione di Clive Owen,di prim’ordine la fotografia di Remi Adefarasin.Premio Oscar 2008 a Alessandra Byrne per i migliori costumi e nomination per Cate Blanchett per la sua interpretazione nel ruolo di Elisabetta I.
Elizabeth – The Golden Age
Un film di Shekhar Kapur. Con Cate Blanchett, Geoffrey Rush, Clive Owen, Rhys Ifans, Jordi Mollà, Abbie Cornish, Samantha Morton,
Aimee King, Laurence Fox, John Shrapnel, Susan Lynch, Elise McCave, Penelope McGhie, Eddie Redmayne, Stuart McLoughlin,
David Threlfall Drammatico, durata 114 min. – Gran Bretagna, Francia 2007
Cate Blanchett: Regina Elisabetta I
Geoffrey Rush:
Clive Owen: Sir Walter Raleigh
Steven Robertson: Sir Francis Throckmorton
Abbie Cornish: Elizabeth “Bess” Throckmorton
Samantha Morton: Mary, regina di Scozia
Rhys Ifans: Robert Reston
Jordi Mollà: Re Filippo II di Spagna
Eddie Redmayne: Anthony Babington
Tom Hollander: Sir Amyas Paulet
Susan Lynch: Annette
Kristin Smith: Mary Walsingham
Adam Godley: William Walsingham
David Threlfall: dott. John Dee
Regia Shekhar Kapur
Soggetto William Nicholson e Michael Hirst
Sceneggiatura William Nicholson e Michael Hirst
Fotografia Remi Adefarasin
Montaggio Jill Bilcock e Andrew Haddock
Musiche Craig Armstrong e A.R. Rahman
Scenografia Guy Dyas e Richard Roberts
Costumi Alexandra Byrne
Roberta Pellini: Regina Elisabetta I
Mariano Rigillo: Sir Francis Walsingham
Fabio Boccanera: Sir Walter Raleigh
Francesca Manicone: Elizabeth Throckmorton
Domitilla D’Amico: Mary, regina di Scozia
Fabrizio Temperini: Robert Reston
Marco Guadagno: Sir Amyas Paulet
Graziella Polesinanti: Mary Walsingham
Roberto Stocchi: William Walsingham
Dante Biagioni: dott. John Dee
I volti nella storia
Elisabetta I Tudor
Sir Walter Raleigh
Sir Francis Drake
Re Filippo II di Spagna
Maria Stuart regina di Scozia
Sir Francis Walsingham
Padrona del suo destino
Venezia, 1583.
Veronica Franco, giovane e bellissima figlia della cortigiana Paola ama ricambiata il nobile Marco.
E’ un amore impossibile il loro; la famiglia di lui, aristocratica e altezzosa, non solo guarda con ostilità al legame fra i due giovani, ma ritiene sconveniente sia la posizione sociale della ragazza sia le sue origini.
Del resto per Marco la famiglia ha ben altre mire; un incarico di alto livello e un matrimonio conveniente.
Così Paola decide di instradare la giovane Veronica nel lavoro che lei ha svolto per anni e dopo averla convinta, non senza grandi resistenze da parte di Veronica, parte l’apprendistato di Veronica.
Inizia quindi un periodo di istruzione per Veronica, fatto di insegnamenti nell’arte della seduzione e di studi sulla sottile arte di compiacere l’uomo non solo a letto, ma anche fuori dal talamo.
Tra i due giovani quindi se non è finito l’amore è scemata la possibilità di un futuro assieme; Marco diventa un influente senatore, mentre Veronica si fa fama di cortigiana colta e sensuale.
Veronica nel segreto dell’alcova carpisce segreti importanti agli uomini più influenti della Serenissima e quando Venezia è minacciata dai turchi con conseguente guerra di difesa, a lei si rivolgono le mogli dei notabili, ansiose di conoscere il destino dei propri congiunti.
Quando scoppia la guerra, Venezia è costretta a rivolgersi al re di Francia per avere soccorso marittimo e l’appoggio della potente flotta reale francese; Veronica si offre di colloquiare con il sovrano francese ma l’inquisizione la blocca con l’accusa di stregoneria.
Ad un passo dalla condanna a morte, Veronica verrà salvata dal grande amore della sua giovinezza, Marco.
La sua difesa appassionata convince i numerosi amanti della ragazza a schierarsi dalla sua parte e alla fine la sua relazione con Marco tornerà ad essere di dominio pubblico, accettata a malincuore anche dalla sua famiglia.
Lussuosa e patinata rivisitazione della vera storia di Veronica Franco, che con Imperia fu una delle cortigiane più ammirate della Serenissima, Padrona del suo destino è un affascinante e ben girato film che si avvale di una fotografia stupenda e di una coreografia di costumi assolutamente impeccabile.
Il regista Marshall Herskovitz cerca di mantenersi fedele alla verità storica, aggiungendo un tocco di sentimenti ad una storia che mostra come le capacità di Veronica Franco andassero ben aldilà delle prodezze esercitate nei letti della nobiltà veneziana.
Sensibile, colta e affascinante Veronica è donna dal carattere fiero e volitivo, convinta dei propri mezzi e certa che riuscirà un giorno a riconquistare l’amore del bel Marco, che dal canto suo ama profondamente quella donna indomabile, che riuscirà a salvare proprio quando per lei il destino sembra aver scelto diversamente.
Sicuramente di gran livello è il cast, nel quale spicca la morbida e fiera bellezza di Catherine McCormack, attrice inglese dalle grandi qualità interprete fra l’altro dello splendido Braveheart – Cuore impavido; la sua interpretazione sensuale del eprsonaggio di Veronica è misurata ed elegante, così come misurata ed efficace è l’interpretazione del ruolo di Paola Franco da parte di Jacqueline Bisset.
Molto bene anche Rufus Sewell che interpreta Marco Venier, mentre da segnalare sono le presenze di Joanna Cassidy e Naomi Watts.
Il film ha come sfondo una Venezia in bilico fra la sua eterna e placida bellezza e le vicende drammatiche che ne influenzarono la storia sul finire del cinquecento, quando due grandi avvenimenti ne sconvosero l’equilibrio; la guerra contro i turchi, che minacciavano di estendere l’Islam a tutta l’Europa e la grande peste, il male nero che fece strage di veneziani.
Le vicende dei vari protagonisti non hanno nulla di stucchevole, anzi; molto ben descritta è l’atmosfera di intrighi che ci mostrano uno spaccato della vita veneziana del XVI secolo.
Nella seconda parte di questa recensione troverete una breve biografia di Veronica Franco, un personaggio affascinante come pochi, che seppe come la mitica Frine conquistare non solo il cuore dei suoi amanti, ma, cosa ben più difficile, i loro cervelli.
Un film consigliato per chi vuole immergersi per due ore in un’atmosfera storica seducente e affascinante, come è la Venezia descritta nel film con i suoi nitrighi, le sue passioni e i suoi amori.
Padrona del suo destino
Un film di Marshall Herskovitz. Con Catherine McCormack, Rufus Sewell, Oliver Platt, Fred Ward, Naomi Watts,Moira Kelly, Jacqueline Bisset, Jeroen Krabbe, Joanna Cassidy, Melina Kanakaredes, Daniel Lapaine, Justine Miceli, Jake Weber, Simon Dutton, Grant Russell, Simona Nobili, Luis Molteni Titolo originale Dangerous Beauty. Storico, durata 110 min. – USA 1998
Catherine McCormack … Veronica Franco
Rufus Sewell … Marco Venier
Oliver Platt … Maffio Venier
Fred Ward … Domenico Venier
Naomi Watts … Giulia De Lezze
Moira Kelly … Beatrice Venier
Jacqueline Bisset … Paola Franco
Jeroen Krabbé … Pietro Venier
Joanna Cassidy … Laura Venier
Melina Kanakaredes … Livia
Daniel Lapaine … Serafino Franco
Justine Miceli … Elena Franco
Jake Weber … Re Enrico
Simon Dutton … Ministro Ramberti
Grant Russell … Francesco Martenengo
Regia: Marshall Herskovitz
Soggetto: Margaret Rosenthal (dal libro”The Honest Courtesan”)
Sceneggiatura:Jeannine Dominy
Musiche: George Fenton
Cinematography :Bojan Bazelli
Editing :Arthur Coburn,Steven Rosenblum
Casting :Wendy Kurtzman,Mary Selway
Art Direction:Stefania Cella,Gianni Giovagnoni
Ritratto di Veronica Franco
La Venezia del 1500 contava oltre diecimila cortigiane, sparse per la città; una cifra notevole, rapportata alla popolazione. Il termine cortigiana in realtà è da intendersi molto esteso; rappresentava, difatti, una categoria sociale ben definita, quella a cui appartenevano donne che generalmente si prostituivano per le classi abbienti, lasciando al popolino l’esercito di prostitute a basso prezzo. A differenza di queste ultime, le cortigiane spesso avevano un minimo di istruzione, alle volte erano di nascita borghese, possedevano, in definitiva, doti che non erano soltanto fisiche, ma anche intellettuali. Del resto per le donne la vita era molto dura; sin da piccole erano obbligate a sognare o un matrimonio più o meno soddisfacente, oppure un lavoro, spesso umile. Solo alle donne appartenenti all’aristocrazia era concesso studiare canto o musica, a lavorar di tombolo o impegnarsi nelle lettere. Veronica Franco, il cui nome scomparve per tre secoli dalla storia, prima di riemergere nella prima metà dell’ottocento, rappresenta una figura di cortigiana particolare: bella, colta, intelligente. Tanto da divenire una delle più richieste del suo tempo, sia per l’abilità nel talamo, sia per la capacità di saper ammaliare quelli che potremmo chiamare clienti, non essendo utile usare giri di parole.
Veronica nacque tra il 1545 e il 1546 in una Venezia all’apice del suo splendore; figlia di una cortigiana, venne avviata da subito all’esercizio della professione proprio dalla madre, il termine cortigiana non era un termine dispregiativo, come potremmo immaginare oggi, ma era la sintesi di un lavoro che all’epoca veniva definito “honesto”, quasi a rimarcare il confine netto con chi invece si prostituiva tout court. Pure Bartolomeo Gamba, scrittore e bibliografo veneziano di fine settecento, la descrive in termini equivoci, forse risentendo della moralità dell’epoca, puritana e un tantino ipocrita:
Tra le Veneziane del secolo XVI questa leggiadra donna puossi giudicare l’Aspasia. Nata nel 1553, ( in realtà la data è sbagliata Ndr) crebbe in non ordinaria avvenenza, in ispirito, in cultura, in leggiadria; fregi tutti de’ quali appresso abusò accalappiando gl’incauti, e cantando troppo lubricamente di amori. Era la sua casa aperta alla gioventù più dedita a’ dissipamenti, sì però, che chi volea trovarsi più ricco di sue benigne parole dovesse andare più provveduto non dei doni della fortuna, ma di quelli dello spirito e dello ingegno. Tale dovette essere Marco Veniero patrizio, con cui, soggiornando in Verona, gareggiò la Franco nel comporre quei saporiti versi che ci restano tuttavia. Arrigo III al suo ritorno dalla Polonia per passare in Francia, giunto a Venezia l’anno 1574, avendo voluto visitarla ne restò sì preso, e n’ebbe tale martello al cuore, che non seppe di Venezia partire senza portar seco le sue sembianze effigiate dal Tintoretto. Ma nel più bel fiore de’ suoi dì, e fra le tresche e i convitti, sentissi Veronica d’improvviso inspirata dal cielo a lasciare una vita troppo ravviluppata nel fango mondano, e, dato tosto bando alle dissipazioni, si accinse a segnalarsi in opere di fervor religioso, nel che riuscì esemplarissima. Il pio ricovero del Soccorso, destinato ad accogliere le donne macchiate delle peggiori brutture, fu da lei instituito, e colle sue largizioni sostenuto. Ebbe molti figliuoli. Non si sa l’anno della sua morte, che credesi accaduta verso il finire del secolo.
Dipinto raffigurante Veronica Franco
In effetti Veronica univa a non comuni doti di fascino fisico, un’eleganza di portamento e un parlare affascinante, che portavano i patrizi della città, e non solo, a contendersi i suoi favori. A diciotto anni andò in sposa al dottor Paolo Panizza, ma il matrimonio naufragò subito, e ben presto, per mantenersi, Veronica ritornò al suo precedente lavoro. Contemporaneamente iniziò scrivere pensieri e poesie, che la resero popolare, unitamente alle spiccate doti fisiche. La ragazza, a vent’anni, era già inserita nel Catalogo di tutte le principale et piu honorate cortigiane di Venezia, in cui in pratica c’era il tariffario delle cortigiane, unitamente all’indirizzo al quale reperirle. Ricercata, amata, Veronica fece in breve fortuna, diventando la cortigiana più famosa della città; nel 1575 la sua fama era all’apice, e raccolse due volumi di poesie scritte nel corso degli anni sotto il titolo Rime.
Ecco cosa scriveva la Franco:
“Or, mentre sono al vendicarmi intenta,
entra in steccato, amante empio e rubello,
e qualunque armi vuoi tosto appresenta.
Vuoi per campo il segreto albergo, quello
che de l’amare mie dolcezze tante
mi fu ministro insidioso e fello?
Justine, ovvero le disavventure della virtù
Mentre è rinchiuso in carcere, il marchese Geremy Donatien De Sade (Klaus Kinskj), si dedica alla scrittura di un romanzo, Justine e Juliette.
Le protagoniste sono due sorelle molto diverse tra di loro; mentre Juliette è libertina e dai costumi facili, Justine è una ragazza morigerata e dalle ferme virtù. Un giorno restano orfane, e sono costrette ad andar via dal collegio in cui vivevano.
Mentre Juliette trova immediatamente la sua strada, andando a lavorare in un postribolo, per Justine l’unica strada percorribile è quella della domestica.
Ma nella casa dove va a vivere, il padrone si incapriccia di lei, e poichè non vuol cedere alle sue avance, la ragazza viene ingiustamente accusata di furto, imprigionata e condannata a morte. Grazie alla Debois, una ladra famosissima che la prende in simpatia, evade dal carcere e segue la sua nuova protettrice a casa sua.
Dove ben presto diventa la preda ambita dei compagni di ventura della donna; qui Justine conosce il timido Raymond, un pittore, e si innamora di lui. L’uomo la strappa dai delinquenti e la porta a vivere con se; ma ben presto le guardie reali scoprono il suo nascondiglio, e lei fugge per andare a trovare rifugio da un nobile, il marchese di Bressac.
L’uomo, che ha in mente di uccidere la moglie, la mette al corrente delle sue intenzioni. Dopo aver commesso l’assassinio, Bressac decide di liberarsi di Justine, non prima di averla marchiata con l’infamante M, che distingueva i criminali dalla gente per bene. Ancora una volta Justine fugge, e questa volta trova rifugio in un convento.
Ma il convento è abitato da una masnada di monaci violenti, sadici e dediti ai piaceri della carne. All’interno dello stesso, infatti, altre ragazze sono costrette a soddisfare le voglie oscene dei prelati. Un incendio permette a Justine di fuggire, ma questa volta il nemico è la sua vecchia protettrice, la Dubois, che la costringe ad esibirsi in un circo, nuda. Alla vista dell’infamante M., il pubblico la indica come assassina, e per Justine sarebbe finita se in quel momento non passasse sua sorella Juliette………….
Diretto da Jesus Franco, il film, aldilà delle nudità generose di una giovane Romina Power, si segnala per l’ambientazione, per i costumi e per il cast, di alto livello, nel quale spiccano Terence Stamp, la Koscina, Kinsky, Rosalba Neri e Rosemary Dexter.Le musiche sono di Bruno Nicolai.
Justine, ovvero le disavventure della virtù
Un film di Jesus Franco. Con Klaus Kinski, Akim Tamiroff, Jack Palance, Sylva Koscina, Romina Power, Maria Rohm, Rosalba Neri Titolo originale Marquis de Sade: Justine. Erotico, durata 124′ min. – Italia 1969.
* Romina Power: Justine
* Klaus Kinski: Marchese de Sade
* Maria Rohm: Juliette
* Jack Palance: Fratello Antonello
* Akim Tamiroff: Mr. de Harpin
* Howard Vernon: Fratello Clement
* Horst Frank: Marchese de Bressac
* Harald Leipnitz: Raymond
* Sylva Koscina: Marchesa de Bressac
* Mercedes McCambridge: la Dubois
* Rosalba Neri: Florette
* José Manuel Martín: Victor
* Gérard Tichy: il Conte
* Carmen del Rio: Mme de Buisson
* Rosemary Dexter: Claudine
* Gustavo Re: Mr. Desroches
* Serena Vergano: una prigioniera
* Jesús Franco: un ciarlatano
* Claudia Gravi: Olivia
* Luis Ciges: Rudolf
* Oscar Angel Petit: Jasmin
* Mike Brandel: Pierre
Regia Jesús Franco
Soggetto Justine o le disavventure della virtù del Marchese de Sade
Sceneggiatura Harry Alan Towers
Produttore Towers of London,
Corona Filmproduktion,
Aica Cinematografica
Fotografia Manuel Merino
Montaggio Nicholas Wentworth
Musiche Bruno Nicolai
Scenografia Santiago Ontañón