Ben Hur
Palestina,primo secolo dopo Cristo
L’impero romano domina la terra d’Israele con durezza;l’imperatore Tiberio manda in Palestina un nuovo governatore,accompagnato da Messala,capo delle guardie.
A Gerusalemme Messala incontra il vecchio amico Giuda Ben Hur,ricco mercante schierato apertamente con il suo popolo.
Ben presto, al rifiuto di Ben Hur di collaborare alla repressione dei moti di rivolta del popolo ebreo,Messala decide di sbarazzarsi dell’ormai ex amico e approfitta di un banale quanto involontario incidente che accade durante il passaggio del nuovo governatore. Alcuni mattoni si staccano dal tetto della casa di Ben Hur e Messala accusa Ben Hur di aver attentato alla vita del governatore. Imprigionato,Ben Hur viene inviato ai lavori forzati; nei pressi di Nazareth, stremato dalla sete,verrà dissetato da Gesù, un incontro questo che cambierà il suo futuro.
Qualche anno dopo Ben Hur,incatenato ai remi di una galea romana, salva da morte sicura il console romano Quinto Arrio durante una battaglia contro i pirati. Riconoscente,l’uomo lo porta con se a Roma e decide di adottarlo.
Ben Hur torna a Gerusalemme,dove apprende una triste notizia; sua madre e sua sorella sono morte. A comunicargli la cosa è Ester,figlia di un suo vecchio amico e segretamente innamorata di lui da sempre; la donna,per risparmiargli un dolore mente, nascondendo
un’atroce verita:la madre e la sorella di Ben Hur vivono nella valle dei lebbrosi, dopo aver contratto la terribile malattia.
Distrutto, Ben Hur giura vendetta contro Messala, responsabile della tragedia che si è abbattuta sulla sua vita .E avrà un’imprevista vendetta quando, correndo con le bighe in una gara senza regole, Messala verrà travolto dai cavalli, riportando ferite mortali.
Sul letto di morte, Messala rivela a Ben Hur che sua madre e sua sorella sono vive, ma che hanno la lebbra.
Ben Hur riuscirà a vedere le sue congiunte e alla fine,senza preoccuparsi del rischio di contagio,le trascina con se ad assistere al passaggio di Gesù, avviato al Calvario. Le due donne,miracolosamente,guariscono dalla lebbra e il film si chiude con la visione in lontananza
di tre croci che si stagliano nel tramonto.
L’uscita di Ben Hur nel 1959,per la regia del grande William Wyler venne accolta in modo a dir poco entusiasta sia dal pubblico che da buona parte della critica,tanto che nell’edizione degli Oscar tenutasi nel 1960 a Hollywood nel RKO Pantages Theatre la pellicola fece incetta di statuette,ben 11 su 12 nomination , tanto da stabilire un record che è stato soltanto eguagliato da Titanic e dal Signore degli anelli-Il ritorno del re.
A stupire tutti fu la splendida sequenza della corsa delle quadrighe,realizzata con una perizia ragguardevole.Scene mozzafiato,il clou di una pellicola che ha dalla sua una storia accattivante,con il classico happy end che è una volta tanto di una sobrietà sorprendente,con le tre croci
viste nel tramonto che si stagliano quasi come monito o anche come ricordo del passaggio terreno di un uomo eccezionale,quel Gesù che nel film appare di sfuggita,ma la cui presenza cambia irreversibilmente la sorte della famiglia di Giuda Ben Hur.
Che ha il volto (e il fisico scultoreo) di Charlton Heston,reduce da un altro kolossal di successo,I dieci comandamenti.
Curiosamente Ben Hur non aveva un cast di primissimo piano;gli attori protagonisti ( e non) non erano figure di primissimo piano del gotha cinematografico.
Ma ognuno di loro recitò al meglio,tanto che buona parte del successo va ascritto ad interpretazioni asciutte,rigorose.
Un’altra celebre sequenza è quella della battaglia navale,girata con tanta perizia da risultare quasi reale; venne realizzata una grande vasca con modellini delle galee romane fatte in dimensioni simili al vero.
Il film,girato in larga parte negli stabilimenti romani di Cinecittà fece da cassa di risonanza agli stabilimenti stessi,che divennero ancor più ambiti e che successivamente vennero usati come base per una pletora di peplum.
Un film epico,un vero kolossal capace di inchiodare alla poltrona lo spettatore per tutti i 212 minuti di durata della pellicola,che per decenni è stata trasmessa in più occasioni da tv pubbliche e private di tutto il mondo.
Da segnalare la presenza nel cast tecnico di un aiuto regista che di li a poco avrebbe avuto anch’esso fama mondiale: Sergio Leone
Ben Hur
Un film di William Wyler. Con Charlton Heston, Jack Hawkins, Haya Harareet, Stephen Boyd, Hugh Griffith, Giuliano Gemma, Martha Scott, Cathy O’Donnell, Sam Jaffe, Finlay Currie, Frank Thring, Terence Longdon, George Relph, André Morell, Adi Berber, Marina Berti Avventura, durata 212 min. – USA 1959
Charlton Heston: Giuda Ben-Hur
Jack Hawkins: Quinto Arrio
Haya Harareet: Esther
Stephen Boyd: Messala
Hugh Griffith: Sceicco Ilderim
Martha Scott: Miriam
Cathy O’Donnell: Tirzah
Sam Jaffe: Simonide
Claude Heater: Gesù Cristo
Finlay Currie: Baldassarre
Frank Thring: Ponzio Pilato
Terence Longdon: Druso
George Relph: Imperatore Tiberio
André Morell: Sesto
Laurence Payne: Giuseppe
Adi Berber: Malluch
Marina Berti: Flavia
Mino Doro: Valerio Grato
José Greci: Vergine Maria madre di Gesù Cristo
Richard Hale: Gasparre
Lando Buzzanca: Schiavo
Giuliano Gemma : Soldato Romano
Emilio Cigoli: Giuda Ben-Hur
Manlio Busoni: Quinto Arrio
Maria Pia Di Meo: Esther
Glauco Onorato: Messala
Carlo Romano: Sceicco Ilderim
Renata Marini: Miriam
Fiorella Betti: Tirzah
Lauro Gazzolo: Simonide
Luigi Pavese: Baldassarre
Giorgio Capecchi: Ponzio Pilato
Olinto Cristina: Imperatore Tiberio
Bruno Persa: Sesto
Gino Baghetti: Giuseppe
Arturo Dominici: Valerio Grato
Luigi Pavese: voce narrante
Regia William Wyler
Soggetto Lew Wallace (romanzo)
Sceneggiatura Karl Tunberg (accreditato), Christopher Fry, Gore Vidal (non accreditati)
Produttore Sam Zimbalist
Casa di produzione Metro-Goldwyn-Mayer, Cinecittà
Distribuzione in italiano Metro-Goldwyn-Mayer
Fotografia Robert Surtees
Montaggio John D. Dunning, Ralph E. Winters
Effetti speciali A. Arnold Gillespie, Robert MacDonald, Milo B. Lory, Lee LeBlanc, Robert R. Hoag
Musiche Miklós Rózsa
Scenografia Edward Carfagno, William A. Horning, Hugh Hunt, Vittorio Valentini
Costumi Elizabeth Haffenden
Trucco Charles E. Parker
Giuliano Gemma
Maciste,l’eroe più grande del mondo
Ercole contro i figli del sole
Angelica
Erik il vichingo
La meravigliosa Angelica
Un dollaro bucato
I giorni dell’ira
Arizona Colt
L’arciere di fuoco
Violenza al sole
Vivi o preferibilmente morti
Anche gli angeli mangiano fagioli
Corbari
Il deserto dei tartari
Il prefetto di ferro
Il grande attacco
Sella d’argento
Corleone
L’avvertimento
Tenebre
Quando le donne avevano la coda
Un gruppo di cavernicoli che vive in una zona selvaggia incappa un giorno in uno strano animale, con tanto di coda, caduto in una trappola; Filli, la preda, non è un animale ma una donna molto astuta, che però finirebbe arrosto non fosse per la “cotta” che il selvaggio Ulli prende per lei.
I cavernicoli, non abituati alla presenza di una donna, da quel momento scoprono rivalità e sopratutto iniziano a litigare fra loro, mentre Filli rivendica, con il passare del tempo, il diritto a gestire il proprio corpo.
Su una sceneggiatura esilissima, tesa a privilegiare l’aspetto grottesco e ridanciano della storia raccontata, Pasquale Festa Campanile crea nel 1970 un film che farà da capostipite ad un genere, quello sexy/cavernicolo che avrà altri epigoni, come il mediocre sequel Quando le donne persero la coda e il brutto Quando gli uomini armarono la clava e con le donne fecero din don.
Se il Brancaleone di Monicelli aveva creato un genere cinematografico nuovo, con un linguaggio irresistibile a metà strada tra l’italiano moderno e quello medioevale, Quando le donne avevano la coda fa un’operazione apparentemente simile, anche se i due film ( e i loro sequel) sono completamente diversi fra loro e non solo come ambientazione.
Il film del regista lucano infatti si snoda sui binari di una comicità forse un tantino grezza e triviale, ma di sicuro effetto, tanto da risultare uno dei film più visti della stagione 70, proprio alle spalle di Brancaleone alle crociate di Monicelli.
Un film che mescola un colorito linguaggio preistorico con gag forse volgarotte ma dall’effetto comico garantito;
nei limiti ovvi di un film che non ha alcuna velleità di impegno, Quando le donne avevano la coda è godibile e divertente, grazie anche alla presenza di un cast di attori comici di alto livello, con l’aggiunta di Giuliano Gemma al suo primo vero ruolo comico.
Anche Pasquale Festa Campanile si mostra a suo agio con il genere comico; dopo Adulterio all’italiana e Dove vai tutta nuda, arriva il terzo successo consecutivo nel genere commedia prima del grandissimo successo di Il merlo maschio.
Nel film alcune gag sono esilaranti, a cominciare dalla sequenza in cui Ulli incontra Filli e viene da quest’ultima catechizzato sul ruolo che una donna può rivestire per l’uomo in luogo di fungere da cibo; divertenti anche le sequenze con protagonista Renzo Montagnani, unico gay tra la combriccola di cavernicoli che ovviamente vedrà come fumo negli occhi l’arrivo di Filli.
Oltre a Mulè, Giuffrè e Frank Wolff, nel cast figura il bravissimo Lino Toffolo, che in precedenza era stato anche nel cast del Brancaleone, oltre al solito Lando Buzzanca.
Accolto molto bene dal pubblico il film di Campanile ebbe invece un’accoglienza freddissima dai critici che evidentemente non perdonarono al regista lucano il successo ottenuto; destino che si ripeterà più volte nel corso della sua lunga carriera come con i film Jus primae noctis, La calandria, Conviene far bene l’amore,Come perdere una moglie e trovare un’amante, tutti snobbati dalla maggioranza dei critici mentre in realtà erano tutti film di pregevole fattura.
Qualche parola va spesa necessariamente per la bellissima protagonista femminile del film, l’attrice austriaca Senta Berger, che divenne un’autentica star proprio grazie a questo film.
La Berger è di una bellezza esagerata ed è sexy pur non comparendo mai nuda nel film, ma solo con un ridottissimo slip che accentua le sue splendide forme. Anche lei è una rivelazione in un ruolo comico e da quel momento infatti girerà diversi film della commedia sexy, con buoni risultati.
Cameo anche per Paola Borboni e segnalazione sia per la allegra colonna sonora di Ennio Morricone sia per il soggetto steso nientemeno che da Umberto Eco; sceneggiatura a più mani tra Festa Campanile e la coppia Ottavio Jemma-Lina Wertmüller.
Se è vero che siamo di fronte ad un film pesantemente datato, non dobbiamo dimenticare che questo film segnò davvero un’epoca; per un anno intero rimase sugli schermi sia in prima che in seconda visione, in un periodo in cui di certo non mancava l’offerta. E va ricordato ai saputelli che stroncarono il film che almeno metà delle commedie italiane dell’intero decennio settanta erano di livello ben più grossolano di questo film.
In ultimo ricordo come il film sia di difficile reperibilità in digitale e che quindi le immagini che compaiono a corredo di questo film provengono da riversaggi in VHS.
Quando le donne avevano la coda
Un film di Pasquale Festa Campanile. Con Francesco Mulè, Giuliano Gemma, Aldo Giuffré, Frank Wolff, Paola Borboni, Lando Buzzanca, Senta Berger, Renzo Montagnani, Lino Toffolo, Gabriella Giorgelli Commedia, durata 110′ min. – Italia 1970.
Senta Berger … Filli
Giuliano Gemma … Ulli
Frank Wolff … Grr
Renzo Montagnani … Maluc
Lino Toffolo … Put
Francesco Mulé … Uto
Aldo Giuffrè … Zog
Paola Borboni … Capo della tribu delle donne preistoriche
Lando Buzzanca … Kao
Regia Pasquale Festa Campanile
Soggetto Umberto Eco
Sceneggiatura Marcello Coscia,
Pasquale Festa Campanile,Ottavio Jemma,Lina Wertmüller
Fotografia Franco Di Giacomo
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Ennio Morricone
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Delitto d’amore
Nullo e Carmela sono due giovani dipendenti di una fabbrica dell’hinterland di Milano.
I due sono diversissimi come mentalità, essendo il primo settentrionale mentre Carmela è una donna siciliana di vecchio stampo, con un codice morale rigoroso.
Carmela è emigrata a Milano, dove conduce una vita dimessa, tipica degli operai delle fabbriche come del resto Nullo che paga l’affitto alla sua numerosa famiglia.
I due, pur così diversi, finiscono per innamorarsi.
Ma l’unione tra i due giovani, pur così piena d’amore, finisce per avere dei problemi gravi legati alle differenze culturali dei due gioani.
Mentre Nullo è consapevole della sua esistenza meschina, oppressa da un lavoro senza alcuna soddisfazione e per giunta anche pericoloso, Carmela sembra accettare con rassegnazione il suo destino.
Nullo è un anarchico, un ateo mentre Carmela vive con fermezza la sua fede e difende i valori morali in cui crede.
I due si lasciano ma Nullo è profondamente innamorato della donna e riesce a riconquistarla.
Ma è troppo tardi perchè Carmela, avvelenata dall’ambiente della fabbrica nella quale lavora sta per morire; Nullo la sposa sul letto di morte e subito dopo prende una pistola e uccide il padrone della fabbrica.
Sullo sfondo di una Milano dei sobborghi, grigia e triste, nebbiosa e alienante con i palazzoni tutti uguali costruiti su scenari lunari Luigi Comencini gira un film coraggioso parlando delle morti bianche sul lavoro, uno dei fenomeni più tristi dell’industrializzazione del nostro paese.
Tutto l’ambiente è malsano nel film e a fare da contraltare c’è solo la storia d’amore tra i due giovani, che riescono in qualche modo a colmare il fossato delle loro esperienze, delle loro educazioni e delle loro culture così profondamente diverse attraverso l’unico sentimento capace di unire aldilà delle differenze, ovvero l’amore.
E in effetti questo di Comencini è un film sulle condizioni di vita alienanti e mortali delle fabbriche, ma è anche e sopratutto una visione quasi commossa del piccolo mondo che ruota attorno alle vite di Nullo e Carmela.
Alcuni momenti sono davvero felici, come le titubanze e i pudori di Carmela nel momento in cui decide di concedersi al suo uomo, preda di ataviche paure e di pudori impressi quasi nella genetica oppure le scene in cui Nullo immagina il loro futuro in uno dei palazzoni della periferia milanese, cosi grigi e tutti uguali, con attorno campi desolati in cui l’uomo vede il futuro, con la costruzione di una chiesa, di negozi e un piccolo parco giochi.
Comencini per qualche tratto lascia immaginare il futuro della coppia, nonostante la forzata separazione tra i due che prelude alla riappacificazione prima di sferrare il colpo finale: tra Nullo e Carmela c’è l’amore, è vero, ma c’è anche la loro condizione di operai sfruttati con orari disumani e sopratutto con condizioni illegali di vita all’interno di fabbriche che sembrano l’anticamera di un lager nazista.
E sarà proprio la fabbrica a distruggere le loro vite per sempre perchè Carmela, intossicata dall’aria mortale della fabbrica finirà per spegnersi sul letto della casa di Nullo, circondata dai parenti e vestita di tutto punto per il matrimonio.
Una sequenza straziante e a tratti anche beffarda, perchè i parenti prima fanno gli auguri a Nullo e qualche minuto dopo sono costretti a fargli le condoglianze perchè subito dopo il “lo voglio” Carmela si spegne.
Luigi Comencini è stato uno dei più grandi maestri del cinema e lo dimostra con questo Delitto d’amore, datato 1974,un film amaro, tenero e struggente quanto privo di speranza e disillusioni.
Una splendida Stefania Sandrelli interpreta Carmela
Non a caso il finale resta sospeso nell’aria, con quel colpo di pistola che Nullo spara all’invisibile proprietario della fabbrica, responsabile del degrado della fabbrica stessa a tutto vantaggio del profitto.
Siamo negli anni 70, gli anni di piombo e della denuncia dei sindacati delle proibitive condizioni di vita delle fabbriche stesse e Comencini ci mostra proprio l’ambiente desolato e infernale di uno di questi posti.
C’è una scena in cui Carmela, ingenuamente, si rivolge ad una collega dicendole di non fumare; la donna la guarda con commiserazione e le risponde che con tutti i veleni che respirano forse il fumo è il meno pericoloso.
Ecco, una delle chiavi di lettura del film è proprio questa, ovvero la capacità di Comencini di mescolare l’amarezza che sente e prova con un sentimento di rabbia mista a compassione senza però trasformarla in immagini che possano far deviare il suo film dal binario che si è imposto.
Comencini vuol raccontare una storia d’amore, una storia di culture differenti, una storia di lavoro alienante: lo fa con il suo consueto linguaggio cinematografico fatto di immagini forti ma allo stesso tempo delicate.
Così il film scorre malinconicamente, perchè noi spettatori intuiamo che i due giovani hanno davanti un destino segnato; l’indignazione ci prende ma si trasforma in rassegnazione man mano che la storia evolve come la tela iniziata da un ragno.
I due protagonisti sognano, litigano, vivono esistenze marginali ai bordi della operosa Milano; tra i due la nostra simpatia, forte, va a Carmela, donna dai sani principi e dalla vita cristallina.
Giuliano Gemma, ottimo interprete del personaggio di Nullo
Ma ben presto proviamo simpatia anche per Nullo, che è uomo d’onore e di principi, nonostante sia politicamente un cane sciolto e sia lontanissimo da qualsiasi ideale religioso.
Comencini scommete su un film ad ambientazione proletaria e operaia quindi, intessendolo su una storia d’amore; vince la scommessa due volte, perchè sceglie come protagonisti due attori molto differenti fra loro anche come esperienze passate.
Se Stefania Sandrelli aveva alle spalle il ruolo di Agense Ascalone nello splendido film Sedotta e abbandonata di Pietro Germi, ambientato in Sicilia, Giuliano Gemma si era fatto una solida fama principalmente con film western o avventurosi, con qualche rara incursione nel drammatico come in L’amante dell’orsa maggiore.
La coppia, pur così disuguale, funziona a meraviglia e rende al meglio con drammaticità ed espressività i personaggi di Nullo e Carmela.
Lui mostra decisamente una buona predisposizione al drammatico mentre la Sandrelli commuove con un personaggio semplice e ben delineato, mai forzato verso il pietismo.
Il soggetto di Ugo Pirro è affascinante, così come la fotografia di Luigi Kuveiller; malinconiche le musiche di Carlo Rustichelli e le scenografie di Dante Ferretti.
Un cast tecnico di prim’ordine, quindi, mentre il resto del cast cinematografico fa il suo con sobrietà e moderazione.
Delitto d’amore è un gran bel film che si innesta nel filone di denuncia sul lavoro in fabbrica, che aveva avuto nel 1971 la sua massima espressione nel film di Elio Petri La classe operaia va in paradiso; i due film non sono accostabili perchè molto differenti dal punto di vista stilistico e dei contenuti ma hanno entrambi il dono del coraggio.
Da rivedere e da riscoprire
Delitto d’amore
Un film di Luigi Comencini. Con Giuliano Gemma, Stefania Sandrelli, Brizio Montinaro, Renato Scarpa,Rina Franchetti, Pippo Starnazza, Bruno Cattaneo, Carla Mancini Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 98′ min. – Italia 1974.
Stefania Sandrelli: Carmela Santoro
Giuliano Gemma: Nullo Branzi
Brizio Montinaro: Pasquale
Renato Scarpa: Medico della fabbrica
Cesira Abbiati: Adalgisa
Emilio Bonucci: Fratello di Nullo
Rina Franchetti: Madre di Nullo
Walter Valdi: Il sindaco
Pippo Starnazza: Giardiniere della fabbrica
Regia Luigi Comencini
Soggetto Ugo Pirro
Sceneggiatura Ugo Pirro, Luigi Comencini
Distribuzione (Italia) Titanus
Fotografia Luigi Kuveiller
Montaggio Nino Baragli
Musiche Carlo Rustichelli
Scenografia Dante Ferretti
Costumi Dante Ferretti
Soundtrack del film
Tenebre
La voce narrante: Dario Argento
L’impulso era diventato irresistibile. C’era una sola risposta alla furia che lo torturava. E così commise il suo primo assassinio. Aveva infranto il più profondo tabù e non si sentiva colpevole né provava ansia o paura, ma… libertà! Ogni ostacolo umano, ogni umiliazione che gli sbarrava la strada, poteva essere spazzato via da questo semplice atto di annientamento: l’OMICIDIO.
Veronica Lario è Jane McKerrow
E’ l’inizio di Tenebre, film di Dario Argento del 1982, che rappresenta sotto più punti di vista una svolta nella carriera del regista romano.
Il primo, forse il più importante, è il ritorno al genere thriller classico, quello cioè con il canovaccio assassino/mistero, dopo la parentesi soprannaturale iniziata con Suspiria e proseguita poi con Inferno.
Argento lascia da parte il thriller horror, dimentica le Tre madri dell’inferno, Sospiriorum,Tenebrarum e Lacrimarum e si getta a capofitto su una sceneggiatura della quale è ancora una volta l’unico artefice; sono passati sette anni dal travolgente successo di Profondo rosso, uscito nelle sale nel 1975, e il pubblico attende con ansia il ritorno al thriller puro.
Ania Pieroni è Elsa Manni
Tenebre è il film più splatter di Argento; alla fine si contano dodici morti ammazzati, un record.
Ed è anche un film controverso, accolto in maniera molto difforme sia dalla critica che dal pubblico.
Se da un lato ci sono i soliti elementi innovativi del regista, come l’utilizzo spregiudicato della macchina da presa, dall’altro l’espediente dei flashback, usato durante la narrazione, finisce per spiazzare lo spettatore lasciandolo pieno di dubbi.
Veniamo alla trama.
Giuliano Gemma è il Capitano Germani
Peter, scrittore di gialli di un certo successo, arriva a Roma su invito del suo agente; lo scopo principale del viaggio è la promozione del suo ultimo libro, Tenebre.
Ma già dal suo arrivo le cose si mettono male; lo scrittore viene minacciato telefonicamente, da qualcuno che lo avverte che intende uccidere seguendo le linee guida del suo romanzo.
Ha inizio così una serie terrificante di delitti, che hanno in comune, come preannunciato dalle telefonate, gli elementi base del libro Tenebre.
Eva Robins, la ragazza sulla spiaggia
Da questo momento inizierà una caccia spietata, che vedrà all’opera non uno, bensi due misteriosi assassini.
Ovviamente non mi addentro nella trama, per non togliere la suspence a coloro che non hanno visto il film.
Il film si caratterizza prima di tutto per le scene molto forti, assolutamente realistiche, come quella in cui Jane McKerrow, uno dei personaggi femminili del film, interpretata da Veronica Lario ( la ex signora Berlusconi), si vede tranciare di netto una mano, una delle scene meglio girate del film.
Mirella Banti è Marion
Un’altra caratteristica evidente del film è il contrasto assoluto tra i colori; in molte scene il bianco spicca nitidamente con il rosso del sangue, che, detto per inciso, abbonda in maniera industriale; Argento indugia molto sulle scene più violente, cercando il coup de teatre praticamente ad ogni inquadratura.
Eppure, nel globale, il film non convince appieno.
L’idea di far muovere due distinti assassini, con motivazioni diverse, alla fine risulta forzata, così come ad un certo punto la stessa identità del secondo assassino appare chiara.
Le motivazioni del trauma, poi, appaiono abbastanza forzate.
Così alla parola fine si resta con il dubbio di aver assistito ad un’operazione smaccatamente commerciale, quasi che il regista abbia voluto calcare la mano più sull’effetto che basarsi su una storia credibile.
Il prodotto finale quindi è un film discontinuo, a tratti eccessivo; nonostante la splendida colonna sonora di Simonetti, deus ex machina di Argento, c’è una certa leggerezza nei dialoghi, nel senso che appaiono poco caratterizzati. Una nota di demerito, molto personale, la vedo nell’interpretazione del monocorde Anthony Franciosa, che gira per il film con un’aria di sufficienza e di ironia sicuramente fuori luogo.
Anthony Franciosa è Peter Neal
Curioso come accennato il destino critico del film: c’è chi esalta il ritorno di Argento ad una sceneggiatura accettabile e di conseguenza alla regia di un film considerato all’altezza del periodo anni settanta, c’è chi vede nella stessa sceneggiatura un cumulo di ovvietà.
Il film piace perchè splatter, non piace per lo stesso motivo.
Tra le recensioni dei critici, lette in giro per il web, ne ho trovata una che mi sembra molto oggettiva:
“Chi soffrì di batticuore per Suspiria e per Inferno non speri di provare altrettante paure. Tenebre è un “ giallo ” alla maniera classica, con personaggi, strumenti omicidi, effetti repulsivi, e inverosimiglianze pertinenti alla tradizione. Dario Argento ne parla come del “ più sorprendente e lancinante ” dei suoi film.
Non saremmo così estremisti. Tornando al brivido di repertorio, questo piccolo maestro fa un po’ rimpiangere le sue fantasie orripilanti e surreali, per manieristiche che fossero. Al loro posto c’è un labirinto mentale non facilmente penetrabile, emotivamente efficace quasi soltanto nei luoghi canonici in cui lo schermo s’imbratta di sangue.”
Per quanto riguarda il cast, oltre al citato Franciosa, buone le prove di John Saxon, il Bullmer agente dello scrittore Peter, di Giuliano Gemma, il capitano Germani e del cast femminile, composto da Lara Wendel, da Daria Nicolodi, dalla citata Veronica Lario, da Mirella Banti, Ania Pieroni. C’è una piccola parte anche per Eva Robins, la ragazza della spiaggia.
Tenebre, un film di Dario Argento. Con Giuliano Gemma, Anthony Franciosa, Daria Nicolodi, John Saxon,John Steiner, Fulvio Mingozzi, Mirella D’Angelo, Lara Wendel, Ania Pieroni, Mirella Banti
Thriller, durata 110 min. – Italia 1982
Anthony Franciosa: Peter Neal
Christian Borromeo: Gianni
Mirella D’Angelo: Tilde
Veronica Lario: Jane McKerrow
Ania Pieroni: Elsa Manni
Eva Robins: Ragazza sulla spiaggia
Carola Stagnaro: Ispettrice Altieri
John Steiner: Cristiano Berti
Lara Wendel: Maria Alboreto
John Saxon: Bullmer
Daria Nicolodi: Anne
Giuliano Gemma: Capitano Germani
Isabella Amadeo: Segretaria di Bullmer
Mirella Banti: Marion
Ennio Girolami: Manager del grande magazzino
Monica Maisani:
Marino Masé: John
Fulvio Mingozzi: Alboreto il portiere
Gianpaolo Saccarola: Dottore
Ippolita Santarelli: Prostituta
Francesca Viscardi:
Dario Argento: Narratore
Lamberto Bava: Riparatore
Michele Soavi: Fidanzato di Maria / Uomo che cammina con la ragazza sulla spiaggia
Regia: Dario Argento
Soggetto: Dario Argento
Sceneggiatura: Dario Argento
Produttore: Claudio Argento
Produttore esecutivo: Salvatore Argento
Casa di produzione: Sigma Cinematografica-Roma
Fotografia: Luciano Tovoli
Montaggio: Franco Fraticelli
Effetti speciali: Giovanni Corridori
Musiche: Massimo Morante, Fabio Pignatelli, Claudio Simonetti (Goblin)
Scenografia: Giuseppe Bassan
Costumi: Pierangelo Cicoletti, Carlo Palazzi, Franco Tomei
Trucco: Pierantonio Mecacci, Piero Mecacci
Angelica (Marchesa degli angeli)
Angélique de Sancé il de Monteloup,(da noi semplicemente Angelica) è una splendida ragazza che vive nella Francia del Re Sole,Luigi XIV;libera,intelligente e poco propensa alla disciplina,viene inviata da suo padre in casa del cugino,dove,involontariamente,ascolta una conversazione tra persone che complottano contro la vita di Luigi XIV.La ragazza ruba la fiala del veleno che i congiurati avrebbero dovuto utilizzare,il principe di Condè,uno dei congiurati,fa in modo che la ragazza venga inviata in un convento,per metterla a tacere.
Angelica resta in convento 4 anni,ed esce solo perchè il padre ha deciso di darla in moglie al ricco e nobile Joffrey de Peyrac,dl quale Angelica sa soltanto che è molto più vecchio di lei,che è zoppo e che ha il volto deturpato da una cicatrice;la ragazza,disperata,si concede al suo unico amore,Nicola,ma viene sorpresa dal padre.
Così Angelica arriva a casa di De Peyrac,dove scopre che l’uomo che sta per sposare ha effettivamente i difetti fisici vociferati,ma che è anche una persona dal cuore gentile,pieno di premure per la sua bellissima sposa,e che è un uomo istruito e intelligente.
Un uomo che non esita a dare asilo ad un innocente ricercato dall’inquisizione;Angelica,così,scopre di amare il marito e l’unione tra i due è allietata dalla nascita di un figlio.
Ma il destino è in agguato:il re Luigi XIV,durante la sua visita al castello di Joffrey,si invaghisce di Angelica;da quel momento per suo marito la vita si farà difficile,fino al giorno in cui De Peyrac viene arrestato con l’accusa di essere un eretico ed uno stregone;inutilmente la donna tenta di convincere il re a liberare suo marito.
Che viene invece condannato a morte;Angelica,che ha avuto il secondo figlio,affida i suoi bambini alla sorella,e si rifugia nella Corte dei miracoli,dove incontra il suo vecchio amore,Nicola. L’uomo chiede ad Angelica di stringere un patto;la liberazione del marito in cambio della promessa di andare a vivere tutti e due in America. Angelica accetta,ma Nicola e i suoi arrivano troppo tardi in piazza De Greves;De Peyrac è bruciato sul rogo. Angelica,disperata,decide di rimanere a vivere nella corte dei miracoli,e cambia il suo nome in Marchesa degli Angeli.
Tratte dai romanzi della coppia Anne e Serge Golon,le avventure della meravigliosa Angelica,com’era chiamata in Francia,altro non sono che un feuilleton di discreto livello. Il cinema si impossessò del suo personaggio,e grazie alla bellezza di Michele Mercier ne fece un personaggio conosciuto in tutto il mondo. Lei,la bellissima Mercier,interpretò anche i 4 film successivi,che restarono comunque di buon livello,grazie alla sapiente scelta di costumi e location,davvero ottimi,e sopratutto grazie anche al binomio amore/vendetta,un’accoppiata che al cinema paga sempre.
Un film di Bernard Borderie. Con Philippe Lemaire, Robert Hossein, Giuliano Gemma, Michèlle Mercier, Rosalba Neri, Jean Rochefort, Claude Giraud. Genere Avventura, colore 105 minuti. – Produzione Francia 1964.
De Vardès Philippe Lemaire
Nicolas Merlot Giuliano Gemma
François Desgrez Jean Rochefort
Joffrey de Peyrac Robert Hossein
Angélique Sancé de Monteloup Michèle Mercier
Bernard d’Andijos Bernard Woringer
Maître Bourié Jean Topart
Il principe di condè de Condé François Maistre
Jactance Serge Marquand
Louis XIV Jacques Toja
Philippe de Plessis-Bellières Claude Giraud
L’arcivescovo di Toulouse Jacques Castelot
Carmencita Geneviève Fontanel
La Polak Rosalba Neri
Le chevalier de Lorraine Robert Hoffmann
Procureur Fallot Yves Barsacq
Cul-de-bois Henri Cogan
Barbe Denise Provence
Margot Noëlle Noblecourt
Regia: Bernard Borderie
Soggetto: Anne Golon e Serge Golon
Sceneggiatura: Claude Brulé, Bernard Borderie, Francis Cosne e Daniel Boulanger
Produttore: Francis Cosne e Raymond Borderie
Casa di produzione: Borderie Films
Fotografia: Henri Persin
Montaggio: Christian Gaudin
Musiche: Michel Magne
Scenografia: René Moulaert
Costumi: Rosine Delamare
«Nutrice,» chiese Angelica, «perché Gilles di Retz uccideva tanti fanciulli?»
«Per il demonio, figlia mia. Gilles di Retz, l’orco di Machecoul, voleva essere il più potente signore del suo tempo. Nel suo castello non c’erano che storte, ampolle, pentole piene di rosse brode e di orrendi vapori. Il diavolo voleva che gli fosse offerto in sacrificio il cuore di un bambino. Così cominciarono i delitti. E le madri atterrite s’indicavano il nero torrione di Machecoul circondato di corvi, tanti erano nelle prigioni i cadaveri degli innocenti.»
«Li mangiava tutti?» chiese Angelica con voce tremante Maddalena, la sorellina di Angelica.
«Non tutti, non ce l’avrebbe fatta,» rispose la nutrice.