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Questa specie d’amore

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“-Circa un mese prima di quella notte, mi era accaduto un fatto irragionevole; fu la domenica in cui si cominciò ad andare al mare, con Giovanna euforica perché – dato il caldo eccezionale di quella fine di maggio –
le si annunciava la possibilità d’iniziare i bagni con molto anticipo sugli altri anni. Mia moglie ama il mare, il sole, il caldo; una vera dalmata, da parte di madre nata e vissuta a lungo in coste selvagge,  le dà un sangue eccitabile alle libertà naturali e le fa ritrovare un’allegria dei sensi in tutto ciò che è luminosità e spazio.
Così Giovanna si risveglia dal fisico letargo in cui s’abbandona nei mesi brutti come se la luce, quando non le sta intorno, si affievolisce anche dentro di lei: allora si distende sul letto, senza dormire, con il capo contro la spalliera, le mani infilate dentro le maniche del golf, gli occhi che si fermano lungamente sulla parete, in attesa non già di un’idea o di un fatto, ma proprio della luce, di una complicità del cielo con la sua voglia di rasserenarsi.-“
Quello che avete letto è l’incipit del romanzo Questa specie d’amore,scritto da Alberto Bevilacqua nel 1966,vincitore del premio Campiello nello stesso anno.

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Nel 1972 lo scrittore parmense si rimette dietro la macchina da presa due anni dopo l’ottimo risultato di pubblico e di critica ottenuto con La Califfa,anch’esso ridotto per lo schermo da un suo romanzo del 1964.
E’un’altra storia d’amore,con sullo sfondo questa volta a ruoli invertiti l’amore tra una donna della ricca borghesia e il figlio di un anonimo artigiano antifascista,quindi piccolo proletariato.
Parla d’amore,di sentimenti,quindi,Bevilacqua.
E’ la cosa che gli riesce più facile,conoscendo bene l’animo umano;sopratutto,essendo in grado di descrivere,con linguaggio malinconico tutte le ombreggiature,le oscurità,le difficoltà che fanno parte del più complesso dei sentimenti.
Sostanzialmente film e romanzo non differiscono tanto;la storia è quella di una coppia sposata da poco ma già in profonda crisi.
Forse non per mancanza d’amore,ma per incomunicabilità.
Federico ha sposato Giovanna per amore;ma ha commesso un errore fondamentale quando ha accettato di lavorare per il suocero e
sopratutto quando ha accettato di vivere la sua vita di coppia in una casa non sua,sempre di proprietà del suocero.
Ha quindi legato indissolubilmente le sue fortune personali,ma anche la sua vita personale ad un uomo che è contemporaneamente suocero e datore di lavoro.

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La crisi con la moglie lo spinge a tornare nella natia casa,dove incontra nuovamente quel padre dignitoso,che ha pagato un caro prezzo
alla sua ostinata idea antifascista e che Federico ammira e contemporaneamente dal quale si sente allontanato dalla propria scelta di frequentare un mondo non suo,che in fondo detesta.
Padre e figlio ricostruiscono un rapporto incrinato da Federico.
Giovanna arriva a Parma;attraverso una serie di esperienze,di conoscenze con un mondo genuino,privo di arrivismo,legato ancora a tradizioni forti come la terra,la famiglia,il buon cibo,insomma con le cose e i valori che davvero valgono di più,scopre che il suo mondo non le piace.
E’un lento riavvicinamento a suo marito,che aveva abbandonato tutto un po per amore,un po per arrivismo.
E’ la maturità personale,che i due raggiungono per gradi,a riavvicinarli.
In fondo si amano,le cose che li uniscono come coppia sono molto più profonde delle divisioni.
Questa specie d’amore è un film molto lento,quasi didascalico.
Sostanzialmente meno affascinante del romanzo,che è scritto come una sorta di auto confessione di Federico a sua moglie.
Il film invece punta molto sulla figura nobile del padre,un fiero e indomabile antifascista,che resiste alle botte,agli insulti,alle minacce senza abiurare
alle proprie idee.

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Cosa che invece Federico fa,attratto dalla vita facile e in parte anche dall’amore per la moglie,salvo poi entrare in crisi quando
la coscienza fa capolino e gli mostra la contraddittorietà della sua figura contrapposta a quella del padre.
Poteva venirne fuori un film memorabile,ma Bevilacqua non è essenzialmente un regista cinematografico.
Un ottimo scrittore,questo si,ma poco esperto nei tempi cinematografici.
Troppo prolisso visivamente,quasi isterico in alcuni punti,troppo lento in altri.
Un film poco equilibrato,un passo indietro rispetto allo splendido La Califfa,anch’esso con molti difetti attenuati,mimetizzati
da una storia sicuramente più coinvolgente di questa.
Sorretto quasi esclusivamente da un grandissimo Tognazzi,che si sdoppia in due ruoli,quelli di Federico e di suo padre,
Questa specie d’amore si avvale anche di una colonna sonora di ottimo livello,ancora una volta firmata da Morricone.
Anche in questo caso però il paragone con quella di La Califfa si riduce ad una vittoria schiacciante a favore di quest’ultima.
L’oboe dolcissimo lascia il posto ad una musica bella e malinconica ma non intrigante come quella di La califfa;colpa forse anche di una storia che
non riesce a coinvolgere completamente.

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Jean Seberg è brava,ma molto fredda e non trasmette la necessaria dose di emozioni che invece il personaggio richiederebbe.
In quanto al film le cose migliori le troviamo nella seconda parte,quando Bevilacqua descrive un mondo che conosce bene,quello genuino della pianura padana,la civiltà contadina che descrive in maniera commossa e non retorica.
Una descrizione di ambienti e vita che profuma di vissuto.
Che comunque piacque a buona parte della critica tanto da far vincere al film il David di Donatello,il Nastro d’argento come miglior soggetto e miglior sceneggiatura,il Globo d’oro come miglior film e la Grolla d’oro a Bevilacqua come miglior regista.
Un’opera di discreto livello,completamente dimenticata e riesumata da poco;su You tube è disponibile una buona versione
all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=ZXQeZ5T-PMA

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Questa specie d’amore

Un film di Alberto Bevilacqua. Con Ugo Tognazzi, Evi Maltagliati, Jean Seberg, Angelo Infanti, Ewa Aulin, Giulio Donnini,
Fernando Cerulli, Marisa Belli, Fernando Rey, Anna Orso, Ezio Marano, Pietro Brambilla Drammatico, durata 108 min. – Italia 1972.

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Jean Seberg: Giovanna
Ugo Tognazzi: Federico/Padre di Federico
Ewa Aulin: Isina
Angelo Infanti: Bernardo
Evi Maltagliati: Madre di Federico
Fernando Rey: Padre di Giovanna

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Regia Alberto Bevilacqua
Soggetto Alberto Bevilacqua (romanzo)
Sceneggiatura Alberto Bevilacqua
Produttore Mario Cecchi Gori
Fotografia Roberto Gerardi
Montaggio Alberto Gallitti
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Carlo Leva

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““Ecco, Giovanna, ciò che volevo dirti. Il coraggio di dirtelo non l’ho avuto che a metà, cioè parlando con te attraverso queste pagine; ma possono ugualmente le mie parole farti capire come io ti sono ritornato vicino cercando di non nasconderti nulla della verità e quale amore mi è stato necessario, anche quando posso esserti apparso inutilmente crudele.
Con questa specie d’amore, se la certezza della tua comprensione non sarà un altro dei miei fantasmi, io sono pronto a vivere con te, finché potrà contare la nostra volontà e la vita del nostro matrimonio dipenderà da noi.
In ogni caso, perdonami. E, contro gli altri, possa davvero non importarmi più nulla, qualunque cosa giungano a fare e a dire di me.”

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Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com

Homesick

Tognazzi si sdoppia e si prodiga tra serio e faceto, ma non riesce ad alleviare il peso dell’origine letteraria, reso particolarmente gravoso da flashbacks masochistici – le continue aggressioni dei fascisti – e dialoghi lambiccati che non portano a nulla. Prossime al manierismo, le ricercatezze scenografiche si diradano riconquistando autenticità nel momento di ritrarre i rustici rituali della cucina emiliana, contesto in cui il celebrante non poteva che essere lo stesso Tognazzi. Nel violento prologo le musiche di Morricone rispolverano le campane dei western di Sergio Leone.

Daidae

Non male. Parecchio lento e pesante nella prima parte, lo ho cominciato a gradire da metà film in poi. Tognazzi magistrale come sempre, la Seberg superba, bene il resto del cast (eccetto la Aulin che qui mi sembra alquanto spaesata). Regia solida, belle ambientazioni, film gradevole.

Saintgifts

Film dall’atmosfera generale piuttosto triste. Vero è che ci sono anche momenti conviviali tradizionali del parmense, dove si beve Lambrusco e si assaggia il famoso formaggio grana; o le due sorelle, ex star dell’avanspettacolo, che raccontano dell’infanzia di Tognazzi figlio (Tognazzi interpreta anche la figura del padre idealista), ma la vena di tristezza rimane. E’ un momento dell’Italia dove si gettano le basi per una società “moderna”, una società che cambia anche i rapporti interpersonali, ma le ombre del passato incombono ancora.

Myvincent

Un grande Ugo Tognazzi in un duplice ruolo drammatico di padre e figlio riesce a trasmettere un’ampia gamma di sentimenti e sfumature, in una storia che è in bilico tra due generazioni lontane. Il motore del film è una crisi coniugale che spinge due persone a trovare una dimensione autonoma per riaffermarsi; ritornando (nel caso del protagonista maschile) alle origini. Parrebbe tutto scontato, ma la mano del regista ne fa un racconto attento e accorto.

Lythops

Da vedere per le splendide interpretazioni del grande Ugo, totalmente fuori dai molti ruoli gigionesco-drammatici che gli sono stati assegnati e che qui interpreta contemporaneamente un padre proletario e un figlio arricchito. Dal punto di vista della denuncia sociale il film non è gran che, così come la sceneggiatura non pare all’altezza nell’approfondire il disagio di chi, semplicemente umano, si trova ad avere a che fare col mondo dei ricchi. Poco convincenti e inutili i flasback, ottimi Morricone e la Dell’Orso.

Ronax

Abbandonati i toni enfatici e i facili simbolismi de La califfa, Bevilacqua affronta la sua seconda prova da regista con un film tratto anch’esso da un suo romanzo e realizza la sua opera cinematograficamente più valida. Magistralmente interpretato da un Tognazzi che si fa letteralmente in tre (il protagonista, il padre da giovane e da vecchio), il film scava in modo non banale nei tormenti interiori dei personaggi e, pur fra sbavature e varie cadute retoriche, lascia più volte il segno. Magnifica Jean Seberg, lodevolmente contenuto Morricone.

Kanon

Che dire di fronte ad un Tognazzi che per l’occasione si sdoppia nel ruolo sia di padre che di figlio, dominando e rubando continuamente la scena con tutta la sua immensa bravura nel tracciare gli stati d’animo, pensieri, ricordi e tormenti dei due parenti? Talmente incisivo che poteva bastare lui da solo, relegando la presenza della moglie a poco più di comparsa. Stupendo rapporto tra padre ex partigiano, saggio e stanco idealista che vede nel figlio un uomo “arrivato e sistemato” ed il figlio che invece sente tutto il peso del suo fallimento.

Etico

Due facce d’una medaglia, due porzioni della stessa noce. Tagliato a metà e visto in controluce, ecco il quadro di un’opera intensa e aspra di Bevilacqua. L’apparente attrazione/contraddizione dei sessi non conduce alla luce ma sconfina nel disequilibrio di due anime che mai si congiungono pur appartenendosi, due corpi sull’argine di un Po da cartolina anni ’70. Il romano Morricone intuisce da lontano la poesia delle contraddizioni e ci regala dal suo mondo di tonalità/atonalità una gemma senza tempo: da sentire, sulla pelle e nell’anima. Grazie!

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settembre 13, 2016 Posted by | Drammatico | , , , , , , | 4 commenti

La casa della paura

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Una ragazza scende le scale in penombra di una casa; appena varcato il portone della stessa, mentre sta incamminandosi lungo un marciapiede, viene aggredita e trascinata a bordo di un auto, nella quale viene drogata.
Cambio di scena: Margaret Bradley sta varcando anch’essa una soglia, quella della prigione dov’è stata rinchiusa per qualche tempo sotto l’accusa di aver detenuto droga. Nonostante la ragazza si sia professata innocente, è stata rinchiusa nel carcere dal quale finalmente sta per uscire.
Grazie all’interessamento di Alicia Songbird, assistente sociale che ha preso a cuore la sua odissea, Margaret trova alloggio presso la casa della signora Grant.
Qui Margaret si trova ben presto a fare i conti con l’aria minacciosa che la casa stessa possiede; nella camera nella quale alloggia la ragazza scopre una misteriosa macchia rossa semi nascosta da un tappeto. Ma non è l’unico fatto inquietante che accade, perchè Margaret avverte distintamente dei passi misteriosi che provengono dalla parte esterna della casa.
Uscita per prendere aria e sopratutto per calmarsi, la ragazza viene avvicinata dal figlio della signora Grant, che le propone un sonnifero per prendere sonno.

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Daniela Giordano

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Karin Schubert

Ma durante la notte arriva anche una strana visione a perseguitare Margaret, quella di una minacciosa figura con un cappuccio e un mantello rosso che sembra volerla aggredire; è un incubo o qualcosa di strano sta accadendo nella casa?
Un altro cambio di scena ci porta presso un gruppo di persone, fra cui ci sono la signora Grant e suo figlio intente a sacrificare una ragazza, la stessa che abbiamo visto aggredire all’inizio del film. La ragazza viene uccisa e il suo corpo scaraventato giù per un dirupo.
Cosa accade in quella casa? A scoprirlo saranno proprio Margaret e il fratello della ragazza uccisa, che giungeranno a smascherare il diabolico gruppo e sopratutto il vero capo dello stesso, la misteriosa figura ammantata di rosso.

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La casa della paura (The girl in room 2 A) è un fiacco e inoffensivo thriller-horror diretto nel 1974 da William Rose, regista assolutamente sconosciuto da noi qui alla sua quinta e ultima prova come regista.
E verrebbe da dire per fortuna, vista l’approssimazione grossolana che coinvolge tutte le componenti del film, dalla sceneggiatura alla direzione tecnica, con l’unica nota di merito rappresentata dalla presenza di Daniela Giordano, che fa quello che può pur in presenza di un copione di serie z e delle parimenti belle Rosalba Neri e Karin Schubert che però hanno delle parti limitatissime e che quindi restano in scena davvero poco.
Cosa non funziona nel film?

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Praticamente tutto.
Dopo un promettente inizio, con la ragazza rapita e uccisa, il film va gradatamente ammosciandosi con conseguente trascinamento stanchissimo verso la parte finale, quando qualche scena di sevizie e sopratutto la scoperta del misterioso capo della combriccola riporta la pellicola ad un minimo sindacale di interesse per la stessa.
Il cast, a parte le citate attrici, presenta attori di qualche richiamo che però alla fine si segnalano soltanto per la prova incolore offerta.

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Si parte con Raf Vallone che sembra interessato più a rimpinguare il proprio conto in banca che a mostrare un minimo di decoro recitativo per passare ad Angelo Infanti, anche lui molto al di sotto del suo standard recitativo. Da dimenticare anche Richard Harris, adattissimo ai peplum ma assolutamente privo di espressività il che conferisce ad una sceneggiatura penosa un’aria da film parrocchiale che marchia indelebilmente la pellicola.
Girato don due lire, quasi tutte assorbite dal cachet degli attori, La casa della paura va consegnato agli archivi del cinema ( e possibilmente anche sepolto) come un prodotto povero e brutto.

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Più che un film, sembra una trasposizione del celebre Killing, un fumetto fotoromanzo che ebbe un certo seguito negli anni sessanta; a favore di quest’ultimo gioca la staticità delle immagini, che nel film sono in movimento ma che provocano il mal di mare vista l’assolta imperizia del regista.
Fotogrammi sovra e sotto esposti, ondeggiamenti della macchina da presa e altro costituiscono il biglietto da visita di un film da dimenticare in cui si può salvare solo il finale, con la soluzione e la scoperta del misterioso incappucciato, prevedibile ma non in maniera lampante.
Il film è stato proposto, raramente, nella vecchia versione ricavata dalle VHS con la fatale conseguenza di sembrare ancora più brutto di quello che è in realtà; per gli amanti del genere segnalo la versione digitalizzata, che quantomeno restituisce un minimo di decoro ad una pellicola altrimenti degna di essere sepolta negli archivi.

Il film è ora disponibile in streaming, in un’ottima versione all’indirizzo http://www.nowvideo.sx/video/b21a80e2e5b3e

La casa della paura (The girl in room 2 A),

di William Rose, con Daniela Giordano, Rosalba Neri, Raf Vallone, Karin Schubert, Angelo Infanti, Brad Harris, Frank Latimore, Giovanna Galletti, Nuccia Cardinali, Dada Gallotti, Marian Fulop, Annamaria Liberati, James Saturno, Salvatore Billa, Carla Mancini- Thriller-Horror Italia 1974

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Daniela Giordano … Margaret Bradley
Raf Vallone … Dreese
John Scanlon … Jack Whitman
Angelo Infanti … Frank Grant
Karin Schubert … Maria
Rosalba Neri … Alicia Songbird
Brad Harris … Charlie
Giovanna Galletti … Mrs. Grant
Nuccia Cardinali … La signora Craig
Dada Gallotti … Claire

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Regia: William Rose
Sceneggiatura: William Rose e Gianfranco Baldanello
Produzione: William Rose e Dick Randall
Musiche: Berto Pisano
Fotografia: Mario Mancini
Montaggio:Piera Bruni,Gianfranco Simoncelli

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giugno 25, 2012 Posted by | Horror | , , , , , | 1 commento

Le guerriere dal seno nudo (Le Amazzoni di Terence Young)

Tra la combattiva gente delle Amazzoni è tempo di scegliere la nuova regina; tutte le aspiranti al trono scendono in campo.
Le migliori atlete Amazzoni si sfidano in gare molto dure, e alla fine la vincitrice è la bella e biondissima Antiope, che sconfigge in gara anche sua sorella Oreteia.
Antiope ripristina l’antica regola che vigeva tra le Amazzoni, ovvero un misto di disciplina militare con una castità assoluta.

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Alena Johnston è la regina Antiope

Instaura infatti il divieto di avere rapporti con uomini, salvo una volta all’anno per motivi di procreazione.
Così, per il rituale accoppiamento, vengono scelti dei greci, ai quali viene promesso in cambio del rame, materiale molto prezioso per i greci stessi.
Ma Teseo, re dei greci, decide di tendere una trappola alle Amazzoni, facendole attaccare dagli Sciti, salvo poi attaccare gli stessi Sciti per presentarsi alla guerriere come il loro salvatore.

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Luciana Paluzzi

Antiope, che ha scoperto il trucco, dopo aver sventato anche una congiura di palazzo ai suoi danni ordita dalla sorella Oreteia, decide di uccidere i greci durante l’ultima delle notti d’amore tra greci e Amazzoni.
Dopo una serie di alterne vicende, Antiope accetterà di far convivere pacificamente greci e Amazzoni, rinunciando cosi ai retaggi del passato.

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Sabina Sun è Oreteia

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Rosanna Yanni

Le guerriere dal seno nudo, film del 1974 diretto dal regista Terence Young è un sorprendente prodotto che mescola vari generi, usando come spunto il peplum per diventare, durante lo svolgimento, dapprima una parodia in chiave moderatamente sexy e infine un film quasi drammatico.
La storia è ben congegnata, e mescola elementi tipici di più generi; se la base è essenzialmente peplum,visto che il film narra la vicenda del conflitto tra due antichi popoli, le semi leggendarie amazzoni e i greci guidati da Teseo, si nota nella pellicola una affiorante vis comica che rende alcuni passaggi abbastanza buffi.

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Ma il film resta comunque drammatico, almeno nel suo svolgimento e nel suo finale, con più di un accenno ad un femminismo ante litteram, testimoniato da una società, quella delle Amazzoni, retta e governata esclusivamente al femminile, in cui il ruolo del maschio è decisamente marginale se non addirittura riduttivo, visto che i greci, nel film, sono ridotti al ruolo di stalloni.

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Young strizza anche l’occhio al cinema sexy, spogliando le sue belle interpreti senza però usare una malizia eccessiva; se è vero che nel film ci sono molti nudi, è anche vero che l’erotismo è molto limitato se non addirittura inesistente.
Il regista, infatti, punta molto sull’avvenenza delle protagoniste non inserendole però nel solito contesto godereccio; le scene in cui le Amazzoni sono in tenero colloquio con i greci infatti costituiscono più un supporto alla storia (intrighi, vendette, tentativi di avvelenamento ecc)

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che un mero tentativo di strizzare l’occhio al solito spettatore guardone.
Il cast è ben assortito, includendo attrici davvero avvenenti come Helga Linè, Malisa Longo e Rosanna Yanni oltre alla vera protagonista Alena Johnston che interpreta la regina Antiope e alla splendida Luciana Paluzzi, qui in un ruolo da comprimaria.
Un buon prodotto, insomma, di un regista capace, autore fra l’altro del primo leggendario 007 e di Sole rosso, un western atipico girato negli anni 70 con un gran bel cast.

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Da notare che l’anno dopo venne immesso sul mercato cinematografico Le Amazzoni-Donne d’amore e di guerra di Alfonso Brescia, discreto prodotto ma nulla più.

Le guerriere dal seno nudo – Le amazzoni di Terence Young,un film di Terence Young. Con Luciana Paluzzi, Fausto Tozzi, Angelo Infanti, Alena Johnston, Sabine Sun, Helga Liné, Malisa Longo
Avventura, durata 92 min. – Italia 1974.

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Le guerriere dal seno nudo protagonisti

Alena Johnston     …     Antiope
Sabine Sun    …     Oretheia
Rosanna Yanni    …     Penthesilea
Helga Liné    …     Grande sacerdotessa
Rebecca Potok    …     Melanippe
Malisa Longo    …     Leuthera
Lucy Tiller    …     Alana
Almut Berg    …     Cynara
Luciana Paluzzi    …     Phaedra
Angelo Infanti    …     Theseus
Fausto Tozzi    …     Generale
Ángel del Pozo    …     Capitano
Franco Borelli    …     Perithous
Benito Stefanelli    …     Comandante

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Regia: Terence Young
Sceneggiatura: Richard Aubrey, Massimo De Rita
Prodotto da: Nino Crisma, José García Moreno,Gregorio Sacristán
Musiche: Riz Ortolani
Editing: Roger Dwyre
Production Design: Mario Garbuglia

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settembre 17, 2010 Posted by | Avventura | , , , , , , , | Lascia un commento