Questa specie d’amore
“-Circa un mese prima di quella notte, mi era accaduto un fatto irragionevole; fu la domenica in cui si cominciò ad andare al mare, con Giovanna euforica perché – dato il caldo eccezionale di quella fine di maggio –
le si annunciava la possibilità d’iniziare i bagni con molto anticipo sugli altri anni. Mia moglie ama il mare, il sole, il caldo; una vera dalmata, da parte di madre nata e vissuta a lungo in coste selvagge, le dà un sangue eccitabile alle libertà naturali e le fa ritrovare un’allegria dei sensi in tutto ciò che è luminosità e spazio.
Così Giovanna si risveglia dal fisico letargo in cui s’abbandona nei mesi brutti come se la luce, quando non le sta intorno, si affievolisce anche dentro di lei: allora si distende sul letto, senza dormire, con il capo contro la spalliera, le mani infilate dentro le maniche del golf, gli occhi che si fermano lungamente sulla parete, in attesa non già di un’idea o di un fatto, ma proprio della luce, di una complicità del cielo con la sua voglia di rasserenarsi.-“
Quello che avete letto è l’incipit del romanzo Questa specie d’amore,scritto da Alberto Bevilacqua nel 1966,vincitore del premio Campiello nello stesso anno.
Nel 1972 lo scrittore parmense si rimette dietro la macchina da presa due anni dopo l’ottimo risultato di pubblico e di critica ottenuto con La Califfa,anch’esso ridotto per lo schermo da un suo romanzo del 1964.
E’un’altra storia d’amore,con sullo sfondo questa volta a ruoli invertiti l’amore tra una donna della ricca borghesia e il figlio di un anonimo artigiano antifascista,quindi piccolo proletariato.
Parla d’amore,di sentimenti,quindi,Bevilacqua.
E’ la cosa che gli riesce più facile,conoscendo bene l’animo umano;sopratutto,essendo in grado di descrivere,con linguaggio malinconico tutte le ombreggiature,le oscurità,le difficoltà che fanno parte del più complesso dei sentimenti.
Sostanzialmente film e romanzo non differiscono tanto;la storia è quella di una coppia sposata da poco ma già in profonda crisi.
Forse non per mancanza d’amore,ma per incomunicabilità.
Federico ha sposato Giovanna per amore;ma ha commesso un errore fondamentale quando ha accettato di lavorare per il suocero e
sopratutto quando ha accettato di vivere la sua vita di coppia in una casa non sua,sempre di proprietà del suocero.
Ha quindi legato indissolubilmente le sue fortune personali,ma anche la sua vita personale ad un uomo che è contemporaneamente suocero e datore di lavoro.
La crisi con la moglie lo spinge a tornare nella natia casa,dove incontra nuovamente quel padre dignitoso,che ha pagato un caro prezzo
alla sua ostinata idea antifascista e che Federico ammira e contemporaneamente dal quale si sente allontanato dalla propria scelta di frequentare un mondo non suo,che in fondo detesta.
Padre e figlio ricostruiscono un rapporto incrinato da Federico.
Giovanna arriva a Parma;attraverso una serie di esperienze,di conoscenze con un mondo genuino,privo di arrivismo,legato ancora a tradizioni forti come la terra,la famiglia,il buon cibo,insomma con le cose e i valori che davvero valgono di più,scopre che il suo mondo non le piace.
E’un lento riavvicinamento a suo marito,che aveva abbandonato tutto un po per amore,un po per arrivismo.
E’ la maturità personale,che i due raggiungono per gradi,a riavvicinarli.
In fondo si amano,le cose che li uniscono come coppia sono molto più profonde delle divisioni.
Questa specie d’amore è un film molto lento,quasi didascalico.
Sostanzialmente meno affascinante del romanzo,che è scritto come una sorta di auto confessione di Federico a sua moglie.
Il film invece punta molto sulla figura nobile del padre,un fiero e indomabile antifascista,che resiste alle botte,agli insulti,alle minacce senza abiurare
alle proprie idee.
Cosa che invece Federico fa,attratto dalla vita facile e in parte anche dall’amore per la moglie,salvo poi entrare in crisi quando
la coscienza fa capolino e gli mostra la contraddittorietà della sua figura contrapposta a quella del padre.
Poteva venirne fuori un film memorabile,ma Bevilacqua non è essenzialmente un regista cinematografico.
Un ottimo scrittore,questo si,ma poco esperto nei tempi cinematografici.
Troppo prolisso visivamente,quasi isterico in alcuni punti,troppo lento in altri.
Un film poco equilibrato,un passo indietro rispetto allo splendido La Califfa,anch’esso con molti difetti attenuati,mimetizzati
da una storia sicuramente più coinvolgente di questa.
Sorretto quasi esclusivamente da un grandissimo Tognazzi,che si sdoppia in due ruoli,quelli di Federico e di suo padre,
Questa specie d’amore si avvale anche di una colonna sonora di ottimo livello,ancora una volta firmata da Morricone.
Anche in questo caso però il paragone con quella di La Califfa si riduce ad una vittoria schiacciante a favore di quest’ultima.
L’oboe dolcissimo lascia il posto ad una musica bella e malinconica ma non intrigante come quella di La califfa;colpa forse anche di una storia che
non riesce a coinvolgere completamente.
Jean Seberg è brava,ma molto fredda e non trasmette la necessaria dose di emozioni che invece il personaggio richiederebbe.
In quanto al film le cose migliori le troviamo nella seconda parte,quando Bevilacqua descrive un mondo che conosce bene,quello genuino della pianura padana,la civiltà contadina che descrive in maniera commossa e non retorica.
Una descrizione di ambienti e vita che profuma di vissuto.
Che comunque piacque a buona parte della critica tanto da far vincere al film il David di Donatello,il Nastro d’argento come miglior soggetto e miglior sceneggiatura,il Globo d’oro come miglior film e la Grolla d’oro a Bevilacqua come miglior regista.
Un’opera di discreto livello,completamente dimenticata e riesumata da poco;su You tube è disponibile una buona versione
all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=ZXQeZ5T-PMA
Questa specie d’amore
Un film di Alberto Bevilacqua. Con Ugo Tognazzi, Evi Maltagliati, Jean Seberg, Angelo Infanti, Ewa Aulin, Giulio Donnini,
Fernando Cerulli, Marisa Belli, Fernando Rey, Anna Orso, Ezio Marano, Pietro Brambilla Drammatico, durata 108 min. – Italia 1972.
Jean Seberg: Giovanna
Ugo Tognazzi: Federico/Padre di Federico
Ewa Aulin: Isina
Angelo Infanti: Bernardo
Evi Maltagliati: Madre di Federico
Fernando Rey: Padre di Giovanna
Regia Alberto Bevilacqua
Soggetto Alberto Bevilacqua (romanzo)
Sceneggiatura Alberto Bevilacqua
Produttore Mario Cecchi Gori
Fotografia Roberto Gerardi
Montaggio Alberto Gallitti
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Carlo Leva
““Ecco, Giovanna, ciò che volevo dirti. Il coraggio di dirtelo non l’ho avuto che a metà, cioè parlando con te attraverso queste pagine; ma possono ugualmente le mie parole farti capire come io ti sono ritornato vicino cercando di non nasconderti nulla della verità e quale amore mi è stato necessario, anche quando posso esserti apparso inutilmente crudele.
Con questa specie d’amore, se la certezza della tua comprensione non sarà un altro dei miei fantasmi, io sono pronto a vivere con te, finché potrà contare la nostra volontà e la vita del nostro matrimonio dipenderà da noi.
In ogni caso, perdonami. E, contro gli altri, possa davvero non importarmi più nulla, qualunque cosa giungano a fare e a dire di me.”
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
Homesick
Tognazzi si sdoppia e si prodiga tra serio e faceto, ma non riesce ad alleviare il peso dell’origine letteraria, reso particolarmente gravoso da flashbacks masochistici – le continue aggressioni dei fascisti – e dialoghi lambiccati che non portano a nulla. Prossime al manierismo, le ricercatezze scenografiche si diradano riconquistando autenticità nel momento di ritrarre i rustici rituali della cucina emiliana, contesto in cui il celebrante non poteva che essere lo stesso Tognazzi. Nel violento prologo le musiche di Morricone rispolverano le campane dei western di Sergio Leone.
Daidae
Non male. Parecchio lento e pesante nella prima parte, lo ho cominciato a gradire da metà film in poi. Tognazzi magistrale come sempre, la Seberg superba, bene il resto del cast (eccetto la Aulin che qui mi sembra alquanto spaesata). Regia solida, belle ambientazioni, film gradevole.
Saintgifts
Film dall’atmosfera generale piuttosto triste. Vero è che ci sono anche momenti conviviali tradizionali del parmense, dove si beve Lambrusco e si assaggia il famoso formaggio grana; o le due sorelle, ex star dell’avanspettacolo, che raccontano dell’infanzia di Tognazzi figlio (Tognazzi interpreta anche la figura del padre idealista), ma la vena di tristezza rimane. E’ un momento dell’Italia dove si gettano le basi per una società “moderna”, una società che cambia anche i rapporti interpersonali, ma le ombre del passato incombono ancora.
Myvincent
Un grande Ugo Tognazzi in un duplice ruolo drammatico di padre e figlio riesce a trasmettere un’ampia gamma di sentimenti e sfumature, in una storia che è in bilico tra due generazioni lontane. Il motore del film è una crisi coniugale che spinge due persone a trovare una dimensione autonoma per riaffermarsi; ritornando (nel caso del protagonista maschile) alle origini. Parrebbe tutto scontato, ma la mano del regista ne fa un racconto attento e accorto.
Lythops
Da vedere per le splendide interpretazioni del grande Ugo, totalmente fuori dai molti ruoli gigionesco-drammatici che gli sono stati assegnati e che qui interpreta contemporaneamente un padre proletario e un figlio arricchito. Dal punto di vista della denuncia sociale il film non è gran che, così come la sceneggiatura non pare all’altezza nell’approfondire il disagio di chi, semplicemente umano, si trova ad avere a che fare col mondo dei ricchi. Poco convincenti e inutili i flasback, ottimi Morricone e la Dell’Orso.
Ronax
Abbandonati i toni enfatici e i facili simbolismi de La califfa, Bevilacqua affronta la sua seconda prova da regista con un film tratto anch’esso da un suo romanzo e realizza la sua opera cinematograficamente più valida. Magistralmente interpretato da un Tognazzi che si fa letteralmente in tre (il protagonista, il padre da giovane e da vecchio), il film scava in modo non banale nei tormenti interiori dei personaggi e, pur fra sbavature e varie cadute retoriche, lascia più volte il segno. Magnifica Jean Seberg, lodevolmente contenuto Morricone.
Kanon
Che dire di fronte ad un Tognazzi che per l’occasione si sdoppia nel ruolo sia di padre che di figlio, dominando e rubando continuamente la scena con tutta la sua immensa bravura nel tracciare gli stati d’animo, pensieri, ricordi e tormenti dei due parenti? Talmente incisivo che poteva bastare lui da solo, relegando la presenza della moglie a poco più di comparsa. Stupendo rapporto tra padre ex partigiano, saggio e stanco idealista che vede nel figlio un uomo “arrivato e sistemato” ed il figlio che invece sente tutto il peso del suo fallimento.
Etico
Due facce d’una medaglia, due porzioni della stessa noce. Tagliato a metà e visto in controluce, ecco il quadro di un’opera intensa e aspra di Bevilacqua. L’apparente attrazione/contraddizione dei sessi non conduce alla luce ma sconfina nel disequilibrio di due anime che mai si congiungono pur appartenendosi, due corpi sull’argine di un Po da cartolina anni ’70. Il romano Morricone intuisce da lontano la poesia delle contraddizioni e ci regala dal suo mondo di tonalità/atonalità una gemma senza tempo: da sentire, sulla pelle e nell’anima. Grazie!
Signori e signore buonanotte
Un telegiornale immaginario,il TG3 (che nel 1976 non c’era ancora),un conduttore aggressivo e al tempo stesso
preoccupato di seguire con attenzione le forme della sua valletta,la denuncia della corruzione,dell’invadenza della chiesa,le storture
della televisione della quale già si intravedevano i mali futuri,le forze armate,il capitalismo.
Tanti bersagli per un film ambizioso inquadrabile nel genere satirico probabilmente un po becero e sfilacciato,ma coraggioso e graffiante,
allestito dalla Cooperativa 15 maggio,creata dai registi Age, Benvenuti, Comencini, De Bernardi, Loy, Maccari, Magni, Monicelli, Pirro, Scarpelli e Scola e che includeva quindi il gotha del cinema italiano degli anni 70.
Una cooperativa nata più che altro per caso,come racconta Monicelli: “Eravamo un gruppo di amici e l’avevamo fatta più che altro per stare insieme,si scrivevano le sceneggiature in modo piacevole,poi con l’andar dell’età qualcuno aveva messo su famiglia,qualcun altro faceva la sua strada e non ci incontravamo più al di fuori del lavoro:per mangiare,per divertirci o per andare a fare una scampagnata o per giocare a pallone.
Allora abbiamo trovato quella scusa della Cooperativa e siamo stati assieme più di due anni,abbiamo litigato ma bene o male
è stata una cosa positiva,almeno dal punto di vista psicologico…”
Mettere assieme un gruppo di registi diversissimi tra loro significa assemblare un film per forza di cose discontinuo; Signori e signore buonanotte lo è,anche se il risultato finale resta comunque di alto livello proprio grazie all’ironia,al sarcasmo e all’evidente voglia di graffiare che unisce il gruppo di amici che collabora alla pellicola.
Stili diversi,che affiorano nei vari sketch che costituiscono l’asse portante del film,nel quale a fare da trait d’union c’è un conduttore televisivo
impegnato anche nel ruolo di inviato speciale,ruolo grazie al quale ha la possibilità di avvicinare personaggi stravaganti che però hanno in comune il fatto di essere coloro che gestiscono il vero potere,quello politico ed economico.
Paolo T.Fiume,il conduttore,avvicina per esempio un ministro truffaldino e luciferino,corrotto fino al midollo che con faccia tosta degna di miglior sorte sostiene di essere stato eletto dagli elettori e di avere quindi il diritto di sfruttare il suo potere,anche usando mezzi illeciti per l’arricchimento personale.
In uno degli altri filmati del telegiornale,si vede l’Avvocato (somigliantissimo ad Agnelli) che,rapito,sostiene che la sua liberazione avverrà grazie agli operai delle sue aziende, che verseranno spontaneamente ciascuno qualche giornata di salario per riavere in azienda il loro datore di lavoro.
Mentre Fiume mostra il frutto delle sue interviste o manda in onda filmati surreali,la Tv segue i consueti programmi,che includono Una lingua per tutti,un telefilm ecc.
Qui il surreale prende il sopravvento;il telefilm “La bomba” ,per esempio,mette alla berlina la polizia.
In una stazione di polizia scatta l’allarme attentato quando si rinviene una sveglia dimenticata in una borsa da una distratta signora;scoperta la verita
i dirigenti,pur di non fare brutta figura simulano un vero attentato che però finisce per fare strage di poliziotti.
Tre sketch sono ambientati a Napoli,città da sempre contraddittoria e scenario ideale per fare della denuncia mascherata da satira,che è poi il vero obiettivo del cast di registi; in uno un Vescovo premia un ragazzo costretto a fare da papà e a lavorare come uno schiavo per mantenere la numerosa famiglia.
Il ragazzo,schiacciato dalla vita miserabile che fa,torna a casa e si uccide.
Sempre a Napoli viene girata l’intervista al professor Schmidt,che ha “studiato” un metodo sicuro per eliminare la sovra popolazione della città,ovvero mangiare i bambini eliminando così alla radice il problema.
Fiume partecipa ad una tavola rotonda proprio nella città campana,alla quale partecipano gli amministratori della città.
Il programma prevede l’intervento del pubblico da casa,ma di fronte alla interminabile sequela di insulti che si riversa sui politici,questi ultimi
finiscono per andare su tutte le furie,mangiandosi anche la ricostruzione della città fatta in torrone presente nello studio.Alla fine andranno via non prima di aver rubato l’orologio dell’esterrefatto Fiume.
Il tono degli inserti è questo;il film è una lunga sequenza di graffianti attacchi al mondo politico e delle istituzioni.
Non manca l’attacco al vetriolo fatto nei riguardi della chiesa,un conclave in cui tutti i partecipanti,pur di essere eletti papa,non esitano a far fuori i rivali.
Sarà il più malandato di tutti (almeno all’apparenza) ad avere la meglio,grazie ad un piano assolutamente insospettabile portato avanti con pazienza e che gli permetterà, una volta eletto,di far fuori gli ultimi candidati rimasti.
Corrosivo e irriverente,Signori e signore buonanotte snocciola,uno dietro l’altro,i difetti italici;lo fa con un linguaggio a tratti becero e greve,con trovate spesso irreali al limite del demenziale,ma con forza degna di un uragano.
Non c’è un’istituzione che si salvi dal linguaggio scenico iconoclasta scelto dai registi,ognuno con un suo tocco personale.
Lieve e ironico a volte,pesante come un maglio altre.
La Cooperativa assembla un cast assolutamente straordinario per un film in cui i protagonisti stanno in scena solo per il tempo del loro sketch,ad eccezione di Mastroianni che interpreta Fiume,il conduttore televisivo.
Gassman e Manfredi,Villaggio e Tognazzi,Adolfo Celi e Mario Scaccia dividono la scena con attrici come Andrea Ferreol,Senta Berger e Monica Guerritore,Lucretia Love.
Tanti comprimari di valore che arricchiscono di professionalità un film come già detto molto discontinuo,in cui cose eccellenti si mescolano,senza soluzione di continuità,a cose decisamente meno belle e a tratti anche volgari.
Per una volta però non c’è il consueto campionario di natiche e seni,anzi.
La presenza femminile nel film è ridotta all’osso, il che a ben vedere è un limite in senso profetico del film.
La Tv del futuro,come ben sappiamo,sarà occupata militarmente da scosciate e puttanoni,da donne capaci di ogni bassezza pur di ottenere un posto al sole.
Cosa che accadrà anche nella politica,dove anche se in maniera nettamente inferiore,l’universo femminile mostrerà di aver assimilato la lezione del passato,in una diffusa corruzione di costumi
che non farà invidia a quello maschile.
Fra tutti gli episodi che compongono il film,quello interpretato da Manfredi e diretto da Magni è di gran lunga il più armonico e crudele,accanto a quello del bambino lavoratore;
ma tutto il film alla fine centra i bersagli che erano negli obiettivi e pur non ottenendo ai botteghini quanto era nelle premesse e nei propositi,alla fine è operazione coraggiosa e di sicura qualità.
Si ride amaro,ci si indigna,ci si costerna.
C’è tutta l’Italia dei vizi e della corruzione,una volta tanto vista solo nei suoi aspetti peggiori.
Non c’è un lampo di luce,un raggio di sole.
Un presagio degli anni di fango e della triste realtà attuale.
Il film è disponibile su You tube in una ottima versione all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=Qj3eDlKptB8
Signore e signori, buonanotte
Un film di Luigi Comencini, Mario Monicelli, Nanni Loy, Ettore Scola, Luigi Magni. Con Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Paolo Villaggio, Adolfo Celi, Marcello Mastroianni, Senta Berger, Lucretia Love, Carlo Croccolo, Andrea Bosic, Camillo Milli, Eros Pagni, Franco Angrisano, Gianfranco Barra, Gabriella Farinon, Monica Guerritore, Angelo Pellegrino, Carlo Bagno Commedia, durata 119 min. – Italia 1976
Marcello Mastroianni: Paolo T. Fiume
Nino Manfredi: cardinale Felicetto de li Caprettari
Ugo Tognazzi: generale / pensionato
Paolo Villaggio: prof. Schmidt / presentatore quiz
Vittorio Gassman: agente della CIA / ispettore Tuttunpezzo
Adolfo Celi: Vladimiro Palese
Senta Berger: signora Palese
Monica Guerritore: assistente di Paolo
Felice Andreasi: valletto
Andréa Ferréol: Edvige
Sergio Graziani: cardinale Canareggio
Mario Scaccia: cardinale Piazza-Colonna
Franco Scandurra: cardinale decano
Carlo Croccolo: questore
Eros Pagni: commissario Pertinace
Gianfranco Barra: portiere Nocella
Renzo Marignano: intervistatore a Milano
Angelo Pellegrino: giornalista
Camillo Milli: capitano La Pattuglia
Duccio Faggella : artificiere Tirabocchi
Luca Sportelli: onorevole Lo Bove
Regia Age, Benvenuti, Comencini, De Bernardi, Loy, Maccari, Magni, Monicelli, Pirro, Scarpelli, Scola
Soggetto Agenore Incrocci, Leo Benvenuti, Luigi Comencini, Piero De Bernardi, Nanni Loy, Ruggero Maccari, Luigi Magni, Mario Monicelli, Ugo Pirro, Furio Scarpelli, Ettore Scola
Sceneggiatura Agenore Incrocci, Leo Benvenuti, Luigi Comencini, Piero De Bernardi, Nanni Loy, Ruggero Maccari, Luigi Magni, Mario Monicelli, Ugo Pirro, Furio Scarpelli, Ettore Scola
Casa di produzione Cooperativa 15 maggio
Distribuzione (Italia) Titanus Distribuzione
Fotografia Claudio Ragona
Montaggio Amedeo Salfa
Musiche Lucio Dalla, Antonello Venditti, Giuseppe Mazzucca e Nicola Samale
Scenografia Lucia Mirisola, Lorenzo Baraldi e Luciano Spadoni
Costumi Lucia Mirisola, Lorenzo Baraldi e Luciano Spadoni
Una lingua per tutti
La bomba
Sinite parvulos
L’ispettore Tuttunpezzo
Il personaggio del giorno
Il Disgraziometro
Santo Soglio
La cerimonia delle cariatidi
Paolo T. Fiume: Scusi ma… ma che cacchio sta dicendo?
Ministro: Io sto dicendo che l’elettorato vede in me un prevaricatore. Se invece voleva scegliere un uomo probo, onesto e per bene, ma che dava i voti a me? Addio ragazzo. Andiamo, andiamo.
Paolo T. Fiume: Ma… ma tu guarda che fijo de ‘na mignotta!
Una notizia da Roma: l’assessore generale ha ordinato l’immediata demolizione del rudere di un tempio romano del IV secolo a.c., che sorgeva abusivamente davanti alla villa con piscina
dell’imprenditore edile Marcazzi, deturpando l’armonia della villa stessa.
Onorevole non crede sarebbe opportuno, in attesa di conoscere la verità, di dare la dimissioni dalla sua alta carica…
Giovanotto, dimettermi: mai! Questa sarebbe una mossa sbagliata!
Lei vorrebbe dire che le sue di dimissioni sarebbero un implicito riconoscimento delle accuse…
Ma no, no: io non mi dimetto per combattere la mia battaglia da una posizione di privilegio. Dal mio posto posso agevolmente controllare l’inchiesta, inquinare le prove, corrompere i testimoni: posso, insomma, fuorviare il corso della giustizia.
Onorevole, ma non è irregolare, contro la legge?
Ah no giovanotto, io le leggi le rispetto, e soprattutto la legge del più forte. E siccome in questo momento io sono il più forte intendo approfittarne, è mio dovere precipuo!
Ma dovere verso chi, scusi?
Ma verso l’élettorato che mi ha dato il voto per ottenere da me posti, licenze, permessi, appalti, perché li spalleggi in evasioni fiscali, in amministrazioni di fondi neri, crolli di dighe mal costruite, scandali, ricatti, contrabbando di valuta.
Scusi, ma che cacchio sta dicendo?
Io sto dicendo che l’élettorato vede in me un prevaricatore. Se invece voleva scegliere un uomo probo, onesto e per bene, ma che dava i voti a me? Addio ragazzo…
L’opinione di paochi dal sito http://www.mymovies.it
Bastano 2 ore per innamorarsi di questo gioiello della nostra cinematografia. Minuti in cui un manipolo ben organizzato di registi ed attori già affermati disegna l’Italia di allora (e di oggi) con battute graffianti, immagini evocative e divertimento sempre sostenuto da amore per il proprio paese. “Signore e signori, buonanotte” si muove così all’interno di un TG3 immaginario (allora ancora non esisteva) il cui conduttore/giornalista (un Mastroianni divertito e divertente), accompagnato dalla sua dolce vallettina (una Guerritore tutta miciosa), lancia servizi, propone interviste, legge notizie che portano alla visione dei tanti episodi in cui il film è realizzato. A distanza di tanti anni quasi tutti gli episodi sono di una sconcertante aderenza alla realtà attuale. Politici che restano aggrappati alle loro poltrone “altrimenti come posso fare leggi per me, pagare giudici e colleghi in parlamento se non da una posizione dominante?!” Pensionati che per vivere devono ricorrere agli espedienti più creativi. Trasmissioni di intermezzo che poco hanno da invidiare a quelle inutili che ci propinano ogni giorno Mediaset e Rai (dai reality ai quiz show) Ma soprattutto tanta politica che tocca tutto e tutti: il lavoro minorile, Napoli, la corruzione, il Vaticano, le forze armate. Tutto diventa ancora più godibile grazie all’ottima scrittura dei singoli episodi che al talento sconfinato dei tanti interpreti. Scegliere tra uno degli spezzoni è impossibile. Bisogna guardarli, riguardarli, pensarli realizzati allora ad inizi anni 70 e calati oggi nel 2014. Insomma è un film da venerare, creativo, coraggioso, come l’intervista ad un ministro che nonostante gli scandali clamorosi non si dimette e anzi si crogiola con sfrontatezza nella sua posizione di “più forte”. Amiamolo. E’ uno dei nostri patrimoni.
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
Multimic80
Film godibile che riesce ad alternare momenti in cui prevale la parte comica ad altri in cui prevale la riflessione sociale. Mastroianni straordinario trascinatore, una Guerritore nel fiore della sua bellezza, un irresistibile Villaggio, ottimo Tognazzi, bravissimo Manfredi. Tra i caratteristi buono il cameo di Adolfo Celi, i ruoli di Mario Scaccia e Sergio Graziani, cardinali assetati di potere.
Gigi90
Oggi potrebbe sembrare un po’ lento, ma per l’epoca è stato sicuramente un film d’avanguardia: qui forse per la prima volta si mette alla berlina la televisione italiana. Gli spot parodiati, il finto TG3 (che non esisteva ai tempi) e il quiz “Il disgraziometro” sembrano un Maccio Capatonda ante litteram. Alcuni episodi mi sono sembrati noiosi; si salvano quelli con Paolo Villaggio.
Homesick
Composito ma uniforme sia come parodia del palinsesto televisivo che come satira di mali incurabili dell’Italia (corruzione, prassi clientelare, nepotismo, clericalismo, gerontocrazia, questione meridionale, povertà…). Il linguaggio, spesso goliardico e grossolano, è comunque riscattato dal sommo cast: Mastroianni mezzobusto che preannuncia Max Cipollino di Boldi, Tognazzi pensionato indigente, i duplici Villaggio e Gassman, Manfredi tertius gaudens tra i due litiganti Scaccia e Graziani. La Love ci insegna inglese con l’anatomia.
Venga a prendere il caffè da noi
La spartizione è il secondo romanzo scritto da Piero Chiara dopo Il piatto piange; nel 1970 Alberto Lattuada riduce per lo schermo il romanzo dello scrittore di Luino mutando il titolo in Venga a prendere il caffè da noi e mantenendo praticamente intatta l’atmosfera ridanciana e grottesca del romanzo, che è una delle cose migliori di Chiara, autore saccheggiato a buon motivo dai registi cinematografici.
Aiutato dallo stesso Chiara e con l’aiuto importante del critico Tullio Kezich,Lattuada dirige un film amaro e al tempo stesso di stile quasi boccaccesco,ricreando l’ambiente piccolo borghese in cui si muovono i personaggi del film, ambientato nella bella Luino,piccola perla del varesotto che sorge sul lago Maggiore,che fa da cornice alle storie parallele e al tempo stesso incrociate del protagonista maschile,Emerenziano Paronzini e delle tre sorelle Tettamanzi,Camilla Fortunata e Tarsilia.
Lattuada trasla il film dall’epoca fascista ai primi anni sessanta,modificando il finale; non sono scelte da poco che però alla fine non mutano l’economia del film.
Il gusto per il grottesco,per il surreale e al tempo stesso ironico sguardo sulla piccola provincia italiana di Chiara è ripreso in maniera praticamente perfetta da Lattuada, che ha anche l’intuito e la fortuna di scegliere come protagonista nelle vesti di Emerenziano, funzionario integerrimo del Ministero delle Finanze,il grande Ugo Tognazzi, sornione come un gatto che ha avvistato un topo ed aspetta il momento giusto per papparselo.
L’attore cremonese è nel pieno della sua maturità artistica e lo dimostra appieno in questo film godibile, allegro e ironico,nel quale interpreta il ruolo di un allupato dipendente pubblico che stanco della vita da single e sopratutto affetto da un’incontrollabile frenesia sessuale,decide di mettere assieme l’utile e il dilettevole, puntando gli occhi su tre sorelle anche loro single ma con alle spalle un ricco patrimonio lasciato loro dal padre.
Il che a ben vedere è la ciliegina sulla torta,la molla che spingerà l’uomo a corteggiare le tre sorelle.
Lattuada punta molto sull’atmosfera ironica del romanzo e nel film si lascia trasportare sia dalla stessa atmosfera sia dal fascino che emana dalla ridanciana cittadina lombarda;il lago, le belle e linde case di Luino, la simpatia della popolazione locale,istrionica e a tratti furba costituiscono l’ossatura del film, che veleggia dall’inizio alla fine su una leggerezza di fondo che non scade mai nel banale,anzi.
Assistiamo alle imprese di Emerenziano carpendo i suoi pensieri,il suo modus vivendi e il suo modus operandi;sappiamo in anticipo le sue mosse e se non parteggiamo per lui è solo perchè romanticamente ci aspetteremmo motivazioni più profonde alla base dell’operato dell’uomo.
Che invece sceglie coscientemente di sedurre dapprima una delle sorelle e poi infine le altre due,in una atmosfera di quadrilatero di amorosi sensi mai scadente nel volgare o nell’erotico.
A ben guardare è proprio questa una delle peculiarità del film,ovvero lo scansare come la peste le scene di nudità facili e cattura pubblico optando invece per una sana e ironica comicità che non è di grana grossa, tutt’altro.
In una recensione si legge testualmente “Una commedia di gusto grossolano, diretta con mestiere e sorretta da una riuscita caratterizzazione dei personaggi, ma fastidiosa e disgustosa per la volgarità di cui è impregnata” (Segnalazioni Cinematografiche)
Nulla di più lontano dal vero.Non c’è nulla di volgare a livello visivo,nulla nei dialoghi se non l’arguzia tipica della gente di provincia, sempre pronta a trovare un motto o una battuta sagace su quello che accade,sulla vita stessa.
Veniamo alla trama:
Emerenziano Paronzini è quindi alla ricerca di una donna con cui accasarsi.E’ stanco della sua solitaria vita da single,inoltre essendo un reduce di guerra tornato a casa con una fastidiosa menomazione.
Individua tre sorelle , Camilla,Fortunata e Tarsilia Tettamanzi come sue prede e decide di prenderne una in moglie, in modo da assicurarsi non solo una donna che lo serva e lo riverisca, ma un comodo approdo per i suoi pruriti sessuali.
Fantastica la descrizione che da Piero Chiara delle tre sorelle:
“Brutte ciascuna a suo modo di una bruttezza singolare, e consapevoli della ripugnanza che ispiravano agli uomini, avevano tacitamente soppresso l’amore, come se l’avessero seppellito in giardino per nascondere una vergogna. In verità, neppure quando andavano a scuola, e Camilla addirittura all’Università, nessun uomo aveva pensato di farle accorte del loro sesso; né poteva essere diversamente, per quei tre frutti malformati di un matrimonio che era stato di puro interesse, tra il loro padre – una specie di pappagallo con le gambe storte – e la loro madre, mal sortito avanzo di una vecchia famiglia”
Nella realtà del film, le tre sorelle sono interpretate magistralmente da tre attrici non certo brutte,anzi a loro modo con un certo fascino.
Tornando alla pellicola,Emerenziano riesce ad entrare in casa Tettamanzi e dopo un breve corteggiamento seduce Fortunata,individuata dallo scaltro uomo come la preda più facile e abbordabile.
Il matrimonio va in porto e al ritorno dal viaggio di nozze, che è stato un vero e proprio tour de force sessuale per Fortunata (il dottore che la visita la troverà “vaginalmente infiammata“) Emerenziano si stabilisce nella casa delle donne.
Riverito come un sibarita, l’uomo inizia a guardare con un certo appetito sessuale le altre due sorelle e alla fine le seduce entrambe.
Inizia così un rapporto a quattro, con il sultano che a turno giace con una delle concubine.
In seguito il vorace e instancabile appetito dell’uomo si rivolge anche alla domestica Caterina;ma una sera,mentre è intento nella sua opera di seduzione,Emerenziano che ha ecceduto nelle libagioni finisce per avere un colpo apoplettico; da quel momento dovrà vivere su una sedia a rotelle, accudito comunque amorevolmente dalle tre sorelle,che lo portano a spasso come un trofeo di caccia.
Venga a prendere il caffè da noi è uno dei più grandi successi della straordinaria stagione cinematografica del 1970; solo film straordinari come Lo chiamavano Trinità di E.B. Clucher,Per grazia ricevuta di Manfredi (vera star office della stagione),Anonimo veneziano di Enrico Maria Salerno,Il piccolo grande uomo di Arthur Penn,Borsalino di Jacques Deray,Il gatto a 9 code di Dario Argento faranno meglio della pellicola di Lattuada.
Guardando la presenza di questi film non si può non provare nostalgia per quella straordinaria e feconda stagione cinematografica che fu il 1970…
Il film come già detto si avvale della location bellissima e fiabesca di Luino,della presenza di un grande Tognazzi, di dialoghi divertenti e di una sceneggiatura di prim’ordine.
Non dimentichiamo anche le tre bravissime protagoniste femminili, Francesca Romana Coluzzi(Tarsilla Tettamanzi) alla quale perfidamente Lattuada applica una antiestetica peluria sulle labbra,Milena Vukotic (Camilla Tettamanzi) e infine Angela Goodwin (Fortunata Tettamanzi); tre attrici dalla futura lunga e longeva carriera cinematografica,lusinghiera e meritata.
Nel film compare anche lo stesso Piero Chiara nel ruolo di Pozzi.
Un film ancora oggi fresco e divertente,irriverente.
Che potrete vedere in una buona qualità su You tube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=k8VBzpmPr_o
Buona visione con un grande film targato anni settanta…
Venga a prendere il caffè da noi
Un film di Alberto Lattuada. Con Ugo Tognazzi, Angela Goodwin, Milena Vukotic, Francesca Romana Coluzzi, Checco Rissone,Piero Chiara, Alberto Lattuada, Antonio Piovanelli, Carla Mancini Commedia, Ratings: Kids+16, durata 113 min. – Italia 1970.
Francesca Romana Coluzzi: Tarsilla Tettamanzi
Ugo Tognazzi: Emerenziano Paronzini
Milena Vukotic: Camilla Tettamanzi
Angela Goodwin: Fortunata Tettamanzi
Jean Jacques Fourgeaud: Paolino
Valentine: Caterina, la cameriera
Checco Rissone: Mansueto Tettamanzi, il padre delle sorelle
Piero Chiara: Pozzi
Natale Nazzareno: garzone
Carla Mancini: studentessa
Alberto Lattuada: Raggi, il dottore
Antonio Piovanelli: Don Casimiro
Regia Alberto Lattuada
Soggetto Piero Chiara (romanzo)
Sceneggiatura Alberto Lattuada
Adriano Baracco
Tullio Kezich
Piero Chiara
Produttore Maurizio Lodi Fé
Casa di produzione Mars Film Produzione
Distribuzione (Italia) Paramount
Fotografia Lamberto Caimi
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Fred Bongusto
Tema musicale Vivienne eseguita da Fred Bongusto
Scenografia Vincenzo Del Prato
Costumi Dario Cecchi
Trucco Eligio Trani
“Come dice il Mantegazza, alla mia età ho bisogno delle tre c: caldo, coccole e cibo!”
“Dovevamo rompere le reni alla Grecia, Hanno rotto il culo a me!”
“”Però anche voi, che cambiamento: sembrate tre puttane!”
Da dove era venuto con quella faccia severa, con quell’aspetto composto e a prima vista distinto? Da qualche importante città, da una famiglia di rango, da una lunga abitudine alla riservatezza?
Solo dopo qualche mese si seppe che veniva, in seguito a trasferimento d’ufficio, dal capoluogo della provincia; ma. che era di Cantévria, un paesucolo della Valcuvia, a pochi chilometri da Luino.
“Da Cantévria con quel nome?” si domandava la gente. E nessuno credeva possibile che da quel luogo di campagna, abitato da contadini e da famiglie d’emigranti, potesse uscire un funzionario, anche d’infimo grado, dell’Ufficio Bollo e Demanio; e con quel nome, Emerenziano Paronzini, che sembrava il nome di un generale, benché fosse senza mistero per la Valcuvia dove esistevano molti Emerenziani ed Emerenziane e dove il cognome Paronzini si ripete in più posti.
L’opinione di Will Kane dal sito http://www.filmtv.it
Dal romanzo di Piero Chiara(che appare nel piccolo ruolo del commercialista del bottegaio in crisi Jean-Jacques Forgeraud,amante clandestino della sorella Tettamanzi più vistosa,Francesca Romana Coluzzi) intitolato “La spartizione”, l’occasione per un numero dei suoi per Ugo Tognazzi, tra i mostri sacri del pantheon attoriale italico, probabilmente il più duttile:ometto di impostazione rigida, programmatore freddo e calcolatore del proprio futuro, da sistemarsi con un buon partito, individuato in una a scelta di tre sorelle ereditiere di un solido patrimonio, avvicinate con il pretesto di un aiuto a proposito di un nodo gabellare,visto che Eremenziano Paronzini(nome veramente indovinato per un personaggio del genere) è un funzionario dell’ufficio imposte, azzecca quasi ogni mossa,salvo farsi prendere dall’ingordigia degli appetiti sessuali. Lattuada(anche lui presente,nel cameo del dottore di famiglia Tettamanzi) dipinge con sapiente malignità il quadro grigiastro della vita di provincia in riva al lago, la repressione sessuale di una tipica mentalità borghesotta, la vocazione ad un dissolutismo grottesco repressa ivi compresa. Benchè felicemente ambientato,”Venga a prendere il caffè da noi” ha un buon corpo attoriale,ma sembra che Tognazzi presti al personaggio un buon mestiere, e non l’estro di sempre, o comunque non è al massimo delle sue potenzialità d’attore, benchè si tratti di un carattere rigido che rivela tutto insieme le sue aspirazioni da satiro attempato, e il monologo a tavola(“Dovevamo spezzare le reni alla Grecia, e invece hanno rotto il culo a me!” esclama a un certo punto) è un bel crescendo d’interprete, ma sono altri i personaggi, vedi “Amici miei”,”Romanzo popolare”,per citarne due soli, che sono veramente memorabili tra quelli interpretati dal grande attore cremonese. Bravissime anche le tre interpreti, soprattutto la “tanta” Francesca Romana Coluzzi,purtroppo deceduta in questi giorni.
Opinioni tratte dal sito http://www.davinotti.com
B.Legnani
Tutto molto corretto e composto, in linea con la sana (almeno in apparenza) provincia lombarda. Tognazzi disegna bene il protagonista e talora lo fa quasi sotto-recitando. Le tre donne sono molto brave. Fourgeaud è doppiato da Nino Castelnuovo. Ruolo della vita per la Coluzzi.
Galbo
Nella cornice perbenista ed ipocrita della meravigliosamente rappresentata provincia italiana, si muove un poersonaggio che non potrebbe essere più italico di così, il seduttore ragionere benissimo interpretato da Tognazzi in uno dei migliori ruoli della carriera. Buon film di Lattuada che sfrutta la massimo le corde satiriche della sceneggiatura.
Pigro
Il placido lago prealpino nasconde i bollenti spiriti di tre sorelle zitelle, presto appagati dal “gallo” che ha capito come dare una svolta alla propria vita. E così questa piacevole commedia ci diverte non solo con le pennellate satiriche sulla sessuofobia ipocrita, ma anche con deliziose annotazioni psicologiche al limite del caricaturale che Lattuada destina a tutti i protagonisti di questo girotondo erotico-grottesco. Magistrale Tognazzi nella sua maschera da macho calcolatore, impagabili le tre grazie, pudiche e assatanate.
Homesick
L’Italia non è più fascista e l’epilogo meno drastico, ma l’adattamento di Lattuada rispetta la garbata licenziosità del romanzo di Chiara e la sua rappresentazione di una provincia immobile e perbenista. Nel superlativo Tognazzi si ritrovano – ora accennati, ora enfatizzati – gesti, sguardi e manie del trigamo e taciturno Paronzini, così come il terzetto “gambe” Coluzzi-“capelli” Goodwin-“mani” Vukotic è l’ideale ritratto cinematografico delle represse sorelle Tettamanzi. L’ottimo risultato è altresì favorito dalle musiche di Bongusto, che catturano al volo lo spirito della commedia.
Daniela
Emerenziano Paronzini, metodico ragioniere di mezz’età, si sistema sposando una delle tre ricche sorelle Tettamanzi, ma non disdegna il talamo delle altre due… Ritratto satirico della vita di provincia, piatta come le acque del lago su cui si affaccia la cittadina in cui è ambientata la vicenda ma anche altrettanto torbida, dato che le apparenze bigotte nascondono voglie proibite e vizietti inconfessabili. Memorabile la caratterizzazione di Tognazzi, ma non vanno dimenticate Goodwin e Vukotic con la loro vibrante “bruttezza”. Meno credibile nel ruolo la stangona Coluzzi.
Markus
Trasposizione cinematografica del romanzo di Piero Chiara “La spartizione”. L’interprete principale è un istrionico e superbo Ugo Tognazzi, nei panni d’un uomo che, malgrado la bruttezza d’una donna, la sposa perché ricca. Una volta piazzato in casa, coglie l’occasione per deflorare anche le due cognatine fino ad un imprevisto finale. Girato a Luino, il film gode di grande ritmica degli eventi e di una sano cinismo. Lattuada ci mostra per l’ennesima volta una certa tendenza per il feticismo (gambe e piedi femminili). Rallegramenti.
Cangaceiro
Il merito di Lattuada è parlare per quasi 2 ore di pruriti sessuali e istinti carnali (mostrandoci anche qualcosina) senza mai risultare volgare. Il filoconduttore è tutto qui: la ricerca dello “star bene” in tutti i sensi, senza farsi troppi scrupoli morali, il tutto calato nella sana provincia italiana di allora, qui ben fotografata, una sorta di “do ut des” che soddisfa tutti. Domina Tognazzi, bravissimo nell’interpretare con raffinatezza un uomo piccolo ed egoista. Tra le sorelle spicca una Coluzzi quasi irriconoscibile. Tante le scelte registiche azzeccate.
Telefoni bianchi
Il sogno di Marcella Valmarin,bella ragazza veneta che lavora come cameriera ed è fidanzata con Roberto è quello di diventare un’attrice;siamo nell’epoca mussoliniana ed il cinema è nella fase dei cosiddetti “telefoni bianchi“, quel periodo cinematografico caratterizzato dalla presenza nei film di telefoni bianchi, simbolo di uno status sociale elevato, in netta opposizione ai telefoni neri che erano in possesso della fascia più popolare della società.
Marcella trova nell’impresario Luciani un insperato aiuto; l’uomo la seduce con la promessa di introdurla nel mondo del cinema.
In realtà l’uomo non è affatto un impresario e Marcella lo scopre subito dopo essere arrivata a Roma dove ben presto diventa l’amante di alcuni personaggi che approfittano di lei con la promessa di coronare il suo sogno.
Marcella, che nel viaggio verso Roma ha portato con se Roberto riesce comunque a portare all’altare il suo fidanzato; ma sull’altare Roberto, che ha scoperto di essere stato tradito da Marcella con Bruno,un ufficiale fascista, la pianta in asso sull’altare gridandole parolacce.
Così a Marcella non resta che di diventare l’amante di Bruno, che in pratica la trasforma ben presto in una prostituta; la madre di Bruno infatti gestisce un bordello ed è qui che miseramente finiscono i sogni di gloria di Marcella.
Ma un incontro imprime una svolta alla vita della giovane;casualmente diventa l’amante del Duce che la ricompensa facendola finalmente diventare un’attrice e spedendo il malcapitato Roberto in Spagna, dove infuria la guerra civile.
Con il nome di Alba Doris, Marcella che ha alle spalle l’onnipotente figura di Mussolini diviene ben presto famosa e finisce anche per diventare l’amante dell’attore Franco D’Enza, uno stravagante personaggio cocainomane e vanaglorioso.
Ma la rovina incombe su tutti i personaggi legati al fascismo: l’armistizio provoca la caduta del regime e Marcella rimane senza lavoro e per giunta senza una lira.
Così, messi da parte i sogni di gloria, la ragazza ritorna a casa con un viaggio avventuroso durante il quale, per vivere,è costretta nuovamente a prostituirsi.
A casa trova una brutta sorpresa;i suoi, che la credevano ricca, quando scoprono che in realtà Marcella è nelle stesse condizioni di quando è partita la cacciano malamente di casa.
La guerra è finita e Marcella riesce a trovarsi un marito; ma non ha dimenticato Roberto, che ha finito per combattere tutte le guerre del fascismo prima di approdare in Russia.
Marcella approfitta di un viaggio del marito in quel paese per andare a cercare la tomba del fidanzato ma…
Telefoni bianchi, uscito nelle sale nel 1976 è un affresco creato da Dino Risi per celebrare ironicamente il periodo più in chiaro oscuro del cinema italiano, quello dei telefoni bianchi.
In qualche modo il regista milanese tenta di costruire un film con l’impronta della saga ma tutta una serie di circostanze, inclusa una sceneggiatura a corrente alternata impediscono la perfetta riuscita dell’operazione.
Troppo deboli i personaggi, tropo leggera la ricostruzione storica, tropo leggero il tono usato verso un periodo storico viceversa pieno di contraddizioni che il regista non solo non coglie, ma finisce per marginalizzare creando una storia dal tono leggero stridente con la realtà storica degli avvenimenti.
Nonostante un cast di assoluto livello, che include per esempio Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman, Agostina Belli e Renato Pozzetto, Maurizio Arena, William berger,Cochi Ponzoni e Lino Toffolo il film sbanda, ondeggia e non affonda solo perchè comunque il gran mestiere di Risi mimetizza i mille difetti, alcuni dei quali capitali, del film.
Che parte benissimo, si smorza nella parte centrale e si riprende solo nel finale con la sequenza in cui Marcella non riconosce nel contadino a cui hanno chiesto informazioni; quello che sorprende maggiormente è la disomogeneità e lo scoordinamento dello stesso sopratutto alla luce del lavoro precedente, lo splendido Profumo di donna dell’anno prima e di quello successivo, Anima persa, un gran bel film anomalo.
In tutti e tre i casi il regista utilizza Vittorio Gassman, che guarda caso proprio in questo film rende al minimo, con un personaggio che non gli è congeniale.
Comunque, non siamo di fronte ad un film brutto ma piuttosto ad un film debole e troppo lungo (2 ore) che comunque si lascia seguire.
Purtroppo non ho trovato link in streaming dello stesso, che è presente in versione digitale sui p2p.
Telefoni bianchi
Un film di Dino Risi. Con Vittorio Gassman, William Berger, Agostina Belli, Maurizio Arena, Lino Toffolo,Cochi Ponzoni, Attilio Dottesio, Michele Malaspina, Ugo Tognazzi, Eleonora Morana, Renato Pozzetto, Alvaro Vitali, Laura Trotter, Monica Fiorentini, Franca Stoppi, Paolo Baroni, Carla Terlizzi, Dino Baldazzi, Leonora Morano, Marcello Fusco, Enrico Marciani, Giovanni Brusateri, Edoardo Florio, Monico Fiorentini, Toni Maestri, Renate Schmidt, Giacomo Assandri Commedia, durata 120′ min. – Italia 1976.
Agostina Belli: Marcella Valmarin, alias Alba Doris
Maurizio Arena: Luciani
William Berger: Franz
Vittorio Gassman: Franco D’Enza
Renato Pozzetto: Bruno
Cochi Ponzoni: Roberto Trevisan
Lino Toffolo: Gondrano
Ugo Tognazzi: Adelmo
Paolo Baroni: segretario di Marcella
Eleonora Morana: madre di Marcella
Dino Baldazzi: Benito Mussolini
Regia Dino Risi
Soggetto Dino Risi e Bernardino Zapponi
Sceneggiatura Dino Risi, Ruggero Maccari, Bernardino Zapponi
Produttore Pio Angeletti, Adriano De Micheli
Musiche Armando Trovajoli
Scenografia Luciano Ricceri
Costumi Luciano Ricceri
L’opinione di sasso67 dal sito http://www.filmtv.it
Film poco riuscito, nonostante le buone premesse, di un regista tra i più sopravvalutati e antipatici della commedia all’italiana. Qui utilizza male anche Vittorio Gassman, oltre ad attribuire il ruolo di protagonista in un film di ambizioni quasi storiografiche ad un’attrice che non ne aveva lo spessore come Agostina Belli. Come detto, l’inizio è promettente, ma il prosieguo si perde in una sfilza di macchiette anche poco divertenti, per sbracare completamente nel finale con una scena indegna di Gassman, che suona come un insulto al bel finale della “Grande guerra”.
Si tratta di un’occasione persa, probabilmente per troppa ambizione rispetto ai mezzi a disposizione: il difetto originario sta nella sceneggiatura, ma nemmeno gli interpreti si dimostrano all’altezza; forse il solo Tognazzi si dimostra all’altezza della propria fama interpretativa nella parte di un gobbo malefico che vende ai nazisti una famigliola di ebrei.
L’opinione di B.Legnani dal sito http://www.davinotti.com
Non sgradevole, ma non riuscito. C’è chi buca (Ponzoni), chi si prende uno spazio (Pozzetto), chi iper-gigioneggia (Gassman). Buono Maurizio Arena. Agostina ci prova, ma non regge un film che cala per snodi faciloni, funzionante talora (il matrimonio fascista, le epifanie ducesche, il postribolo), ma non nell’insieme. Da comico-grottesco tira infine al dramma, con intenti “nobili”, ma non in sintonìa col resto. Talora grazioso, mai bello. La Mancini, non accreditata, è la prostituta vestita da marinaretto.
L’opinione di Guggly dal sito http://www.davinotti.com
Curioso film dalla riuscita altalenante: tanti episodi, per lo più grotteschi, uniti dalla storia di questa inqualificabile servetta che riesce comunque, malgrado tutto, nei suoi intenti. Veramente impressionante l’episodio di Tognazzi e gli ebrei. Gassman gigioneggia, ma il personaggio è azzeccato. Pozzetto e Ponzoni sembrano due cartoni animati. La Belli è il “deus ex machina” attraverso cui raccontare un non glorioso passato che ci appartiene.
L’opinione di Thegaunt dal sito http://www.filmscoop.it
Risi offre uno spaccato d’epoca attraverso due protagonisti dall’amore travagliato e irraggiungibile nello stile del cinema d’epoca, quello dei telefoni bianchi, macchina di propaganda per distogliere un paese dai suoi problemi reali. Marcella si immergerà totalmente in questo sogno precluso a Roberto, ancorato nella vita reale, ma persino per lei il sogno finirà con l’incedere della guerra.
La Belli e Ponzoni sono bravi, però scade troppo nel macchiettistico nei personaggi di contorno, anche se bisogna dire, ad onor del vero, che Tognazzi interpreta una carogna difficile da dimenticare.
La bambolona
Giulio Broggini è un avvocato romano;scapolo impenitente e seduttore incallito, l’uomo sembra consumare la propria esistenza tra avventure senza futuro cullandosi pigramente sullo status conquistato.
Un giorno però, fa un incontro destinato a cambiargli la vita;conosce Ivana Scarapecchia, taciturna e ombrosa popolana romana e se ne invaghisce, attratto dal fascino sensuale che la ragazza sembra dispensare a piene mani.
Inizia così un corteggiamento spietato, che però non sembra far breccia nel cuore della donna.
Così da seduttore Giulio si trova a dover vestire i panni del sedotto, ma non solo:la ragazza gli si nega risolutamente e ben presto Giulio decide di puntare anche sul denaro per tentare di espugnare il cuore della ragazza.
Poichè Ivana ha anche due genitori che vegliano su lei come cani su un gregge, decide di presentarsi a loro.
Ivana sembra assolutamente irraggiungibile, per il povero Giulio;eppure la ragazza è lontana dai suoi canoni estetici, non sembra mostrare alcun interesse verso di lui, lo guarda inespressiva quando lui le parla, si comporta insomma come se Giulio non esistesse.
L’uomo forse non è innamorato di lei, ma si sente attratto da quelle forme piene, giunoniche e sopratutto dal fatto che lei gli resista, cosa che probabilmente non ha mai sperimentato.
Così Giulio finisce per elargirle denaro e regali, fra i quali un prezioso anello con brillanti che la ragazza, perfidamente, dirà con noncuranza di aver smarrito
Ormai preso nella rete dalla ragazza, che è molto più astuta di quel che pare, Giulio perde completamente la testa ma finirà per scoprire amaramente che la ragazza non solo non si concederà, ma che arriverà anche a ricattarlo con la minaccia di averle usato violenza.Ivana infatti è incinta ma non certo di Giulio, al quale non si è mai concessa ma di un giovane fruttivendolo.
Così Giulio si trova ad dover pagare e rimarrà scornato a meditare sulla propria ingenuità e riprenderà la vita di un tempo.
Nelle ultime scene del film infatti lo vediamo mentre è su un letto con una donna…
Diretto da Franco Giraldi, La bambolona è una gran bella commedia uscita nei cinema con ottimi risultati in termini incassi e lodevoli in quelli di critica nel 1968.
Tratto dal romanzo omonimo di Alba De Cespdes (scrittrice nata a Roma da padre cubano,ambasciatore in Italia e madre romana),il film descrive in maniera accurata e formalmente ineccepibile le vicende amare di un maturo Don Giovanni che finisce nella rete di una furbissima ragazza del popolo, che trova la maniera per sistemarsi sfruttando le debolezze di Giulio, un avvocato che si crede furbo e irresistibile e che invece finirà per ritrovarsi ad essere un burattino nelle mani di una ragazza giovane ma che ha già capito come farsi spazio nella vita.
Grazie al suo fisico prosperoso, prorompente, Ivana infatti piega alla sua volontà quella del maturo avvocato riuscendo anche nell’impresa di spillargli un mucchio di quattrini senza minimamente concedere all’uomo il frutto del suo desiderio.
Una vendetta che propone il ritratto di una donna consapevole dei propri mezzi, della propria femminilità e che non esita a sfruttarla per motivi forse poco leciti moralmente ma sicuramente corroboranti da quelli finanziari.
Assistiamo quindi ad un ribaltamento dei ruoli rispetto al solito;sparisce il ritratto della popolana sedotta e abbandonata per far spazio a quello di una donna forte sotto la falsa patina della donna apatica.
In realtà Ivana, ad onta della sua età è ben consapevole del fascino che esercita e decide di piegare la volontà dell’avvocato sia per i sui scopi (arricchirsi velocemente) sia per riaffermare in qualche modo, forse in modo oscuro e no del tutto consapevole, il suo ruolo di donna libera padrona del proprio corpo e dei propri sentimenti.
La ragazza infatti prenderà quello che vuole senza concedere nulla in cambio; se per Giulio quella ragazza così lontana dal suo modo, placida e florida rappresenta in qualche modo un amore proibito dalle convenzioni sociali e dalla differenza di ceto sociale, per Ivana Giulio rappresenta solo una miniera alla quale attingere sfruttando quella debolezza tutta maschile verso il sesso “debole”
Che alla fine risulta essere invece il vero sesso forte.
La bambolona è uno dei capolavori di Ugo Tognazzi, che qui fornisce nei panni dell’avvocato Giulio Broggini un ritratto indimenticabile di quella classe medio borghese che aveva assunto le redini della società durante in boom economico e che ora, quando lo stesso stava miseramente spegnendosi, si apprestava a vivere di rendita sulle posizioni acquisite.
Tognazzi è grandissimo nel tratteggiare la figura antipatica a pelle di un Don Giovanni che per la prima volta deve fare i conti con lo spirito indomito di quella classe popolare, nello specifico tutta al femminile, che inizia a rivendicare un ruolo autonomo nella società.
La figura di Giulio è resa dal grande attore cremonese in modo potente grazie alle sfaccettature che il soggetto del film propone; non è un personaggio monolitico, quello di Giulio e Tognazzi lo rende al meglio, incarnando la figura dello stesso con perizia.
Molto brava anche Barbara Rei, un’attrice all’esordio e che purtroppo non avrebbe avuto un seguito cinematografico se non l’anno successivo e per l’ultima volta in Oh dolci baci e languide carezze di Mino Guerrini.
Una carriera composta solo da due film, quindi finita nel nulla senza motivo conosciuto.
Nel cast compare anche la grande Lilla Brignone, nel ruolo della mamma di Ivana, personaggio avido e odioso reso magnificamente dall’attrice.
Sicuramente eccellente la regia di Franco Giraldi qui alla sua prima commedia dopo 4 western; il regista firulano dirgerà qualche altro film del genere commedia per poi specializzarsi, a metà degli anni settanta, in fiction televisive fra le quali vanno ricordate L’avvocato Porta e Pepe Carvalho.
La bambolona passa molto raramente in tv; per fortuna è disonibile in rete in una splendida riduzione streaming all’indirizzo http://www.nowvideo.ch/video/77a3b905bc881
La bambolona
Un film di Franco Giraldi. Con Ugo Tognazzi, Lilla Brignone, Isabella Rei, Filippo Scelzo,Ignazio Leone, Giorgio Arlorio, Susy Andersen, Marisa Bartoli, Margherita Guzzinati, Bruna Beani, Brizio Montinaro Commedia, durata 107′ min. – Italia 1969.
Ugo Tognazzi: Giulio Broggini
Isabella Rey: Ivana, la bambolona
Corrado Sonni: Rosario Scarapecchia, padre di Ivana
Lilla Brignone: la madre di Ivana
Marisa Bartoli: Luisa
Susy Andersen: Silvia
Margherita Guzzinati: Daria
Regia Franco Giraldi
Soggetto Alba De Céspedes
Sceneggiatura Ruggero Maccari e Franco Giraldi
Fotografia Dario Di Palma
Montaggio Ruggero Mastroianni
Musiche Luis Enriquez Bacalov
Scenografia Carlo Egidi
L’opinione di LorCio tratta dal sito http://www.filmtv.it
Un personaggio per niente scontato: un avvocato di grido, con amanti a profusione con fisici da modelle, che si invaghisce di una ragazza pienotta e non esattamente in linea con i suoi canoni di bellezza. Perché? In realtà vorrebbe solo portarsela a letto, ma il signore è più complesso di quanto voglia apparire, e alla fine, da furbo quale si presenta, ci fa la figura del fesso colossale. Nelle mani di Ugo Tognazzi, l’avvocato Giulio Broggini è un mostro in borghese che rivela tutta la falsità del boom economico e del benessere sociale (quindi umano) dell’italiano medio, compromesso dalle conseguenze dei sentimenti ingestibili. Con professionalità e una naturalezza incredibili, Ugo mette a segno un ennesimo capolavoro d’attore che occupa un posto d’onore nel suo personale percorso per singolarità e rarità. Dietro la macchina da presa c’è il dimenticato Franco Giraldi, che trasferisce sul grande schermo un romanzo di Alba De Céspedes, che innesta nel modello della commedia all’italiana (qui soprattutto di costume) elementi inattesi (le proiezioni oniriche di Giulio al cospetto del potentissimo zio della sua amata, alto dirigente del Ministero dell’Interno, con un ambiguissimo rapporto con la nipote) e un tono tutt’altro che banale. La bambolona è una convincente Isabella Rey, qui figlia di due caratteristi infallibili come Lilla Brignone e Corrado Sonni e con una metamorfosi finale da mani nei capelli. Un film poco capito, da recuperare subito.
L’opinione del Morandini
La vita di un avvocato romano scapolo è sconvolta dall’improvvisa passione per una formosa popolana che sotto un’apparente apatia nasconde le unghie di una rapacità perfettamente programmata. Da un romanzo di Alba de Cespedes il sottile e controllato Giraldi ha cavato una commedia di costume che, tra le righe di un intrigo beffardo, cela un’amarezza autentica. La giovane Rei tiene testa a Tognazzi.
L’opinione di Homesick dal sitto http://www.davinotti.com
Commedia di costume tratta dall’omonimo romanzo, pervasa da un’amara ironia sulle brame erotiche e materiali degli italiani. Il superlativo Tognazzi si specializza nel ruolo dell’uomo di mezza età che perde la testa per un’adolescente; l’esordiente Rei in quello della ragazzina abulica e apparentemente ingenua, poi replicato – in una più provocante e grintosa veste hippy – in Oh dolci baci e languide carezze.
L’opinione di Baliverna dal sito http://www.filmtv.it
Sicuramente un bel film, troppo a lungo sottovalutato. Siamo dalle parti de “La voglia matta”, anche se la situazione è molto più elaborata e protratta nel tempo, oltre che negativa per il malcapitato. Come aveva già dato prova nel film di Salce, anche qui Tognazzi ci regala un’ottima interpretazione dell’uomo maturo e con una discreta posizione sociale che si lascia abbindolare e umiliare da una ragazza smorfiosa, che in questo caso lo usa e basta. Da parte di lei non c’è neppure il capriccio, la volubilità, o l’interesse fugace, ma solo l’intenzione di spillargli quattrini. La condiscendenza interessata della ragazza è forse condita solo da una vanità fine a se stessa. Da grande attore qual era, Tognazzi non teme di fare la parte di uno che è divorato dal desiderio – quasi solo sessuale – per una donna, la quale non si concederà mai e lo lascerà a bocca asciutta. Da affermato avvocato a cinico seduttore, lei ne fa il suo pupazzo, il suo zimbello; lo illude, lo usa, lo sfrutta, gli dà uno zuccherino ogni tanto, giusto quanto basta per averlo sempre ai suoi piedi e non farlo scappare. E lui, che smania dal desiderio di averla, ci casca.
Dall’altra parte, Isabella Rei è proprio perfetta per la parte, non so se per natura o per abilità interpretativa. Le sue smorfiette e il suo trattarlo con sufficienza sono ottimi, e sono parte integrante del suo personaggio. La sceneggiatura, poi, le mette in bocca le giuste frasi ambigue e sibilline, di quelle che da una parte concedono dall’altra tolgono. Anche il corpo dell’attrice è molto adatto al suo ruolo. Memorabile, a questo proposito, Tognazzi, il quale, pensando alle sue forme, le suggerisce di mangiare panna, pane e cioccolato… Il poveretto è proprio accecato dalla passione, perché basterebbe che avesse un po’ di buon senso e di dignità per mandarla a quel paese. Quindi è proprio lui che le dà l’opportunità di usarlo come vuole, e non si può certo parlare di una particolare scaltrezza o dissimulazione da parte di lei.
Della regia di Giraldi si può eccepire solo qualche primo piano di troppo. Per il resto è buona e originale. In generale, è un bel film che fa vedere a che abissi di umiliazione e di ridicolo possono portare le passioni storte lasciate a briglia sciolta.
La recensione del sito http://www.filmscoop.it
Giulio Broggini (Ugo Tognazzi), avvocato romano appartenete all’alta borghesia, si invaghisce morbosamente della diciassettenne Ivana (Isabella Rei).Giulio, abituato ad avere sempre tutto e subito, si accorge però che conquistare la ragazza non è poi così semplice…
Tratto dall’omonimo romanzo di Alba De Céspedes del 1967, “La bambolona” è la prima commedia girata da Franco Giraldi. Per la sceneggiatura, il regista triestino si avvale dell’aiuto dell’amico Ruggero Maccari, mentre per le musiche sceglie Luis Bacalov, il quale aveva già collaborato con lui in “Sugar Colt”, e con il quale collaborerà ancora in quasi tutti i film successivi. Il ruolo di protagonista, che inizialmente spettava a Marcello Mastroianni, viene assegnato poi ad un altro grande interprete della commedia all’italiana, Ugo Tognazzi. Isabella Rei, la protagonista femminile, è invece all’esordio assoluto nel cinema.
Siamo alla fine degli anni sessanta, in un periodo in cui la commedia all’italiana attraversa i suoi anni migliori. In particolar modo, ci troviamo in un periodo nel quale i protagonisti delle commedie, nella fattispecie il benestante avvocato Broggini, cercano in tutti i modi di fuggire dal tran-tran del della vita quotidiana cercando sfogo nel sesso. Perfino Giulio, perfettamente a suo agio nei lussi che la sua condizione privilegiata gli consentono (tennis, massaggi, Maserati coupè, feste mondane), si trova al punto di voler inconsciamente qualcosa di diverso, qualcosa di sessualmente diverso. Un uomo abituato ad avere tante donne, tutte bellissime e benestanti, si trova improvvisamente a rincorrere una ragazzina che non ha poi niente di così bello o particolare, ma che ha qualcosa, nell’aspetto fisico abbondante e nel viso a momenti inquietante, che lo attrae morbosamente. Il fatto che la ragazza, poi, si dimostri invero poco disponibile, fa sì che Giulio ne venga attratto ancor di più, ed anzi sia costretto a scendere ad ogni tipo di compromesso per cercare di portarsela a letto. Ivana, che inizialmente avrebbe dovuto essere una semplice preda sessuale, diventa poi una vera e propria fissazione per Giulio, il quale non si accorge, se non alla fine del film, che tra i due la preda è lui.
La tematica del sesso ricorre in tutto il film, e non solo nel rapporto che Giulio ha con Ivana, ma anche nei rapporti che lui ha avuto o ha con altre donne, nonché nell’accenno neanche tanto velato all’omosessualità di Diodeo, il domestico tuttofare del protagonista.
Altra tematica che si riscontra nel film è quella, tipicamente sessantottina, dell’emancipazione femminile. È questo un argomento al quale Giraldi tiene molto e che tratterà poi in molti dei suoi film, primo su tutti “Un anno di scuola”. Non per niente alla fine della storia sarà proprio la donna ad averla vinta, da ogni punto di vista.
Due diversi conflitti si riscontrano tra i protagonisti: uno generazionale ed uno economico-sociale. Giulio vede Ivana come una ragazzina di bassa estrazione sociale ed oggetto di piacere, lei vede lui come un vecchio che le può dare possibilità di riscatto economico. Il riscatto economico, di fatto, si rivelerà poi essere il vero filo conduttore della vicenda.
La conclusione del film, diversamente da quella del libro, vede Giulio tornare alle vecchie abitudini, come se la storia successa con Ivana non gli fosse per niente servita da lezione.
Curiosa l’ultima inquadratura, che si sofferma proprio su Tognazzi il quale, accesosi una sigaretta dopo aver fatto l’amore con una delle solite bionde, guarda in direzione della telecamera attraverso la testiera del letto che ricorda quasi sbarre di una prigione. È probabilmente un modo implicito per spiegare allo spettatore che, in fin dei conti, Giulio non ha per niente cambiato le sue abitudini, anzi, è tornato ad essere prigioniero della stessa vita che faceva prima di incontrare Ivana.
Un elogio particolare va alla scelta delle musiche, a partire dal motivetto che accompagna i titoli di testa e quelli di coda, per giungere al momento più alto del film con l’incedere prepotente de “Il barbiere di Siviglia” nella scena che si svolge a teatro.
Una commedia divertente, mai banale né volgare, a tratti sottilmente astuta, recitata ottimamente da un mostro sacro come Ugo Tognazzi e dalla sorprendente debuttante Isabella Rei.
Giulio non era abituato a trovarsi in strada a quell’ora. Aveva calcolato che la seduta sarebbe finita verso le otto, se andava bene, invece il costruttore aveva accettato la transazione e lui alle sette era già libero, con l’assegno nel portafogli. D’altronde passava tutto il pomeriggio in ufficio e la lampada accesa sul tavolo gli impediva d’avvedersi che a Roma fa buio molto tardi, alla fine di maggio. Pensò di aver sbagliato, congedando la sua segretaria prima del solito per compensarla delle sere in cui la tratteneva oltre l’orario.
”Papà e mamma sono così; né carne né pesce. Io li odio perchè, quando ero piccola, mi dicevano sempre: copriti, copri la vergogna, tutto era vergogna e porcheria, e poi mi sono accorta che non contavano altro che su quella vergogna, su quella porcheria, per risolvere la vita…Noi sappiamo quello che vogliamo, almeno: vogliamo i soldi. Gigino mi diceva: Un’altra occasione così, non ci capita davvero.”
Le donne sono stupide, altrimenti non sarebbero donne…
Romanzo popolare
Molta carne al fuoco, di vario taglio e natura, di quella che quando la hai cotta ottieni un risultato finale superiore alle aspettative tenendo conto che le hai mescolate pur cuocendo a tempi diversi.
Una metafora culinaria per indicare Romanzo popolare, opera di Monicelli datata 1974 che riporta il regista romano ai tempi più cari e sopratutto all’uso di quelli che erano i linguaggi in cui si esprimeva meglio, dopo le alterne fortune di film come La mortadella (1971) e Vogliamo i colonnelli (1973)
Come dicevo, i temi sono quelli preferiti da Monicelli, ovvero i racconti socio culturali che questa volta confluiscono in una storia che mescola argomenti complessi, come il divario culturale nord-sud, il rapporto tra lavoratori e fabbrica nei primi anni settanta, il primo timido femminismo “di massa” seguito alle aperture post 68, il profondo modificarsi della cultura stessa e della morale in un paese che si è evoluto industrialmente in maniera confusa e caotica e che ora deve affrontare le mille tematiche e i conflitti sociali aperti dopo l’autunno caldo del 69.
Monicelli usa tutta la sua umanità, la sua capacità ironica, la sua profonda vena malinconica e nostalgica per raccontare una vicenda semplice solo all’apparenza, perchè in Romanzo popolare confluiscono i temi citati rendendo il film stesso uno spaccato esemplare di un paese che si è trasformato ma che si è evoluto in maniera frettolosa, quasi con troppa fretta dopo anni in cui alla ricostruzione seguita alla sciagurata seconda guerra mondiale è seguito il “rimbocchiamoci le maniche” che portò l’Italia a divenire una potenza mondiale in concomitanza con il boom economico degli anni sessanta.
Un boom a due velocità, in un paese unito geograficamente ma non di certo culturalmente, in cui persistono fortissime diseguaglianze in vari campi.
Il regista romano prende due storie esemplari di due cittadini qualsiasi, le racconta con ironia e molta commozione e alla fine serve un film esemplare, quasi perfetto che è davvero una rappresentazione ideale dei conflitti personali e di coppia con lo sfondo di un paese fortemente contraddittorio sopratutto a livello culturale.
La storia racconta le vite di Giulio Basletti, prototipo dell’operaio lombardo che lavora in fabbrica, è un attivista di sinistra e nel tempo libero segue la sua squadra di calcio, il Milan e Vincenzina Rotunno, classica bellezza meridionale figlia di un collega di Giulio che lo stesso ha tenuto a battesimo.
Nonostante la differenza di età, Giulio chiede ed ottiene in moglie Vincenzina e dopo i canonici tempi della gravidanza i due diventano genitori di Francesco.
Casualmente, la vita dei due coniugi viene completamente stravolta da un piccolo episodio, il ferimento di Giovanni Pizzullo, un poliziotto meridionale, da parte di un amico di Giulio.
E’ proprio Giulio a difendere il poliziotto riuscendo a coinvolgere la gente del quartiere in un movimento di sdegno per il grave episodio; da quel momento lo stesso Giovanni inizierà a frequentare il gruppo degli amici di Giulio ed è in questo momento che nasceranno i guai.
Perchè dovendosi allontanare da Milano, Giulio al rientro troverà una situazione nuova, alla quale non è assolutamente preparato:tra Vincenzina e Giovanni è scoppiata irrefrenabile la passione.
Entrato in conflitto con se stesso, con le sue idee e con la sua cultura Giulio cerca di evitare lo strappo con la giovane moglie, mostrandosi uomo di ampie vedute;ma l’arrivo di una missiva anonima lo costringe ad agire.
Così si reca a casa dei due amanti che nel frattempo hanno preso a vivere assieme;scoprirà che è stato Giovanni a scrivere la lettera anonima e nel diverbio che ne segue la giovane Vincenzina, umiliata dall’essere trattata quasi come un oggetto di proprietà da quei due uomini che ha amato in maniera differente, finirà per prendere il piccolo Francesco e piantare in asso i due uomini.
Anni dopo ritroviamo i tre personaggi alle prese con vite differenti; Vincenzina è diventata è ormai una capo reparto e sindacalista nella fabbrica nella quale lavora,Giovanni si è sposato ed ha un figlio mentre Giulio ormai in pensione si dedica al figlio…
Romanzo popolare è un film che spazia attraverso una vasta gamma di sentimenti, grazie al garbo e alla bravura di uno dei più grandi registi del cinema italiano, un Monicelli ironico e malinconico, satirico e descrittivo, spietato ma tenero.
I tre personaggi da lui descritti hanno pregi e difetti delle culture a cui appartengono;sono personaggi popolari, è vero, ma possono assurgere a campione descrittivo di un’intera società, divisa ancora culturalmente da secoli di appartenenza a storie completamente dissimili.
Qua e la passaggi memorabili, come la splendida scena in cui Giulio e Vincenzina si recano al cinema a vedere un film vietato ai minori di anni diciotto e si vedono respingere all’ingresso da una maschera inflessibile l’indimenticato Beppe Viola) perchè la ragazza è minorenne, nonostante quest’ultima sia visibilmente incinta nonchè sposata.
Ogni tanto Monicelli stiletta, senza però affondare i colpi, restando sempre sui binari del dramma mescolato alla commedia:non è un drammone ma una storia ordinaria, in cui si scontrano culture e modi di vedere e che avranno il loro culmine nella fuga di Vincenzina, ormai cresciuta a tal punto da non accettare più un ruolo subalterno, ne al marito e nemmeno all’amante.
Una storia in cui dramma e commedia si fondono mirabilmente, creando un’alchimia che solo un grande come Monicelli poteva realizzare.
Grande aiuto al maestro romano arriva da Ugo Tognazzi, qui in uno dei ruoli meglio riusciti della sua sfolgorante carriera e da una splendida Ornella Muti, ormai lanciata nell’universo delle star del cinema.Terzo tassello il bravo Michele Placido, che rende credibilissima la maschera del celerino emigrato al nord che però ha conservato tutti i retaggi della cultura d’appartenenza.
Sulle bellissime note di Iannacci, il film si snoda intenerendo e facendo riflettere.
Un esempio di grande cinema, oggi da rimpiangere solamente con i lucciconi agli occhi.
Romanzo popolare
Un film di Mario Monicelli. Con Ugo Tognazzi, Ornella Muti, Michele Placido, Pippo Starnazza, Alvaro Vitali,Vincenzo Crocitti, Pietro Barreca, Franco Mazzieri, Nicolina Gapetti, Alvato De Vita, Gaetano Cuomo, Gennaro Cuomo, Lorenzo Piani, Carla Mancini Commedia, durata 102′ min. – Italia 1974.
Ugo Tognazzi: Giulio Basletti
Ornella Muti: Vincenzina Rotunno
Michele Placido: Giovanni Pizzullo
Pippo Starnazza: Salvatore
Nicolina Papetti: moglie di Salvatore
Regia Mario Monicelli
Soggetto Age, Scarpelli, Mario Monicelli
Sceneggiatura Age, Scarpelli, Mario Monicelli
Produttore Edmondo Amati per Capitolina Produzioni
Fotografia Luigi Kuveiller
Montaggio Ruggero Mastroianni
Musiche Enzo Jannacci
Scenografia Lorenzo Baraldi
Recensione di Il Morandini dal sito http://www.mymovies.it
Metalmeccanico dell’hinterland milanese, cinquantenne e scapolo, sposa una ragazza del Sud, ma arriva “alla canna del gas” per il dolore quando scopre che l’ha tradito con un poliziotto meridionale e la scaccia. Stanca di essere contesa dai due come una proprietà, la donna comincia, sola col figlioletto, una nuova vita indipendente. Scritta con Age & Scarpelli (con i dialoghi in dialetto rivisti da Enzo Jannacci e Beppe Viola), è una commedia ironica e malinconica che inclina verso il melodramma. I temi che tocca (emancipazione femminile; impatto tra Nord e Sud; omologazione nei comportamenti proletari) ne fanno un tipico film nazional-popolare nel senso migliore. È un eccellente U. Tognazzi, rigenerato dai film di Ferreri, che gli dà l’acqua della vita. Musiche di Enzo Jannacci e grande successo di pubblico.
Opinione di stanley kubrick dal sito http://www.filmtv.it
(…)Romanzo Popolare è uno dei migliori film di Mario Monicelli, recentemente scomparso. Il film è forse quello che parla più dell’amore tra le pellicole del grande regista italiano. Il film si pone di diritto tra il filone à la commedia drammatica degli anni 70, pur parodiando questo decennio di rivolte operaie. Il protagonista è interpretato da un Ugo Tognazzi in gran forma e da una giovanissima Ornella Muti nel suo primo ruolo “spogliato”
Giulio Blasetti è un cinquantenne che sposa una ragazza non ancora maggiorenne, già conosciuta durante il battesimo di quest’ultima. Giulio lavora in una fabbrica e, durante una rivolta, un carabiniere viene colpito da un sasso da uno degli amici di Giulio. Così il carabiniere, Giovanni interpretato da un Michele Placido in stato di grazia, piano piano comincia a inserirsi nella banda capitanata da Giulio. Dopo la morte di una prozia di Vincenzina, la ragazza che ha sposato Giulio, suo marito va ai funerali che si terranno lontano da Milano. Intanto Giovanni comincia a corteggiare Vincenzina e, al ritorno a casa di Giulio, succede il finimondo.Il film è una dichiarazione di amore verso il cinema degli anni 70 da parte del regista. Una dichiarazione forte e chiara a cominciare dalla solita frase che Giulio dice in gran parte del film
“Tanto siamo negli anni 70”
Non a caso anche il film è uscito negli anni 70 e fu uno dei maggiori successi in quella stagione. Gli anni 70 sono uno dei periodi più belli che l’Italia ha attraversato per quanto riguarda produzioni cinematografiche e questo film lo dimostra. Quel decennio è stato anche un decennio felice per la popolazione intera italiana. Oramai la guerra era finita da tempo e tutti erano contenti. Si trovava più facilmente lavoro e tutti erano contenti. Aver vissuto in quel decennio lo considero un pregio per quelli che sono nati nei primi anni 60. Al cinema si andava in tanti a vedere anche un film d’essai. Insomma è stato un bel decennio. Peccato che non ho avuto minimamente l’opportunità di viverlo. Cosa che mi sarebbe piaciuta molto.(…)
Opinione di Mulligan 71 dal sito http://www.filmtv.it
Grande commedia “popolana”, come solo Mario sapeva fare. Un Tognazzi guasconazzo ed eccellente, un’incantevole Ornella Muti, dio se era bella, e una “storiaccia” di gelosia di “ringhiera”, con una Milano che non c’è più, e un contorno di personaggi memorabili. Il grande cinema italiano, quando ancora esisteva.
L’opinione di renato dal sito http://www.davinotti.com
Grandissimo film di Monicelli, al quale non riesco davvero a trovare un difetto che sia uno. Ambientazione e dialoghi sono spettacolari (praticamente ogni volta che Tognazzi apre bocca si ride), la struttura è intelligente ed originale, col protagonista che si mette letteralmente “alla moviola” per enfatizzare i momenti più importanti del racconto; ed in sottofondo una vena di sincera malinconia. Tognazzi monumentale a dir poco, ma anche la Muti (ovviamente doppiata) riesce a rendere con grazia una certa sensuale ingenuità di provincia.
“Quando la donna vuol smammare, bisogna essere un po’ brillanti: presentarsi a centrocampo e salutare”.
Le trombate totali: “Colpo più, colpo meno, 3002”.
“Dov’è che hai imparato a sparare, nei sottomarini?”
“Segua quel tram!”.
“Io quello? Solo un volto nella folla”.
In nome del popolo italiano
Un film autenticamente profetico, amarissimo e spietato, un ritratto di un paese, l’Italia, che in oltre 40 anni (il film è del 1971) non ha praticamente mai mutato pelle, trasmettendo come un gene malato i difetti che Dino Risi analizza e descrive con grande maestria.
Un ritratto a tinte fosche, buie, di due personaggi in antitesi per ruoli occupati, per personalità, per modo di vivere, per status quo; un magistrato e un bieco affarista, un palazzinaro arrogante e corruttore, puttaniere e vanaglorioso.
Due mondi che ci riconducono ai giorni odierni, con l’irrisolto problema del conflitto fra la magistratura e il potere economico, che è anche potere politico.
Lui, Mariano Bonifazi, giudice istruttore, è un uomo grigio ma incorruttibile, fortemente politicizzato e sopratutto nauseato da quello che vede intorno a se, ovvero la disonestà nella vita pubblica e nella politica, il malaffare nei rami più importanti del lavoro come l’edilizia, che vedono il massimo epigone in Renzo Santenocito, espressione compiuta di un sottobosco di imprenditori capaci di mettere le mani su tutto, creando disastri a livello ambientale, corrompendo funzionari della pubblica amministrazione e politici, uno che con la sua attività di palazzinaro deturpa in maniera orribile il paesaggio, creando ecomostri costruiti peraltro con materiali scadenti.
Risi racconta le due storie contrapposte di Bonifazi e Santenocito non parteggiando per nessuno dei due: i due personaggi infatti risultano da subito antipatici e supponenti.
Se il magistrato gira in bici e con l’Unità nella tasca della giacca, mangia in trattoria e vive modestamente a lui viene contrapposta la figura meschina e ipocrita dell’imprenditore che gira in Maserati, partecipa a feste in costume ed ha tutta l’arroganza e la supponenza della classe sociale di appartenenza; ma entrambi non ispirano simpatia, estremi come sono di una società che da troppo potere ad entrambi.
Una situazione che, come sappiamo, è ancora oggi drammaticamente presente nella nostra società.
Il film inizia con il confronto a distanza tra i due; Bonifazi è impegnato a indagare sul perchè Silvana Lazzorini, una ragazza squillo d’alto bordo sia morta in modo sospetto; il magistrato scopre da subito che Santenocito potrebbe essere implicato nella morte della ragazza e decide di convocarlo in questura.
Ely Galleani
Simonetta Stefanelli
L’imprenditore viene così portato di peso, reduce da una festa e con addosso ancora il costume da legionario romano davanti al magistrato, al quale fornisce un alibi all’apparenza inattaccabile.
La sera della morte della ragazza era impegnato in una partita a carte con l’anziano padre.
Non è vero, ma Santenocito dà per scontato che suo padre avallerà l’alibi.
Da questo momento le indagini di Bonifazi subiscono una brusca accelerazione.
Scopre infatti che la ragazza presenta delle ecchimosi sul corpo, che ha nel sangue tracce di Ruhenol,un farmaco ipnotico e che quindi potrebbe essere stata uccisa.
Una serie di coincidenze porterà quindi Santenocito in galera; nonostante l’uomo protesti la sua innocenza, Bonifazi, convinto al contrario della sua colpevolezza scoprirà grazie ad un diario appartenuto a Silvana che la ragazza è morta suicida per amore.
Vittorio Gassman
Nella parte finale del film troviamo il magistrato impegnato a leggere il diario mentre per le strade impazza la folla in festa per la vittoria della nazionale italiana su quella inglese; una vittoria festeggiata con atti di puro vandalismo, da una folla che appare, agli occhi del magistrato, non meno spregevole dell’imprenditore.
In un finale cinico, vediamo Bonifazi, che ha le prove dell’innocenza di Santenocito, bruciare il diario di Silvana su un auto preda delle fiamme, un auto davanti alla quale c’è ancora la proprietaria del veicolo, intenta a inveire contro i teppisti autori dell’atto.
Il magistrato decide di fare giustizia da se, assumendosi arbitrariamente il ruolo di carnefice;così Santenocito paga per l’unica colpa non commessa, paga le sue malefatte nel campo dell’imprenditoria, paga il suo essere un corruttore, un uomo senza morale e un fascista.
Quella del fascista è l’immagine più forte costruita da Risi nel finale; Bonifazi attribuisce a lui il corpo e il viso di un paracadutista che con i suoi commilitoni sfila cantando un inno fascista, così come raffigura Santenocito in altre maschere tragiche che popolano le strade della città con la gente in festa per la vittoria della nazionale.
Così Bonifazi è costretto a guardare il peggio dei vizi italici, di quella gente pronta a sfilare per una partita di calcio ma non per cose ben più importanti; e la raffigurazione visiva di Santenocito, caricaturale e oscena, finisce per essere l’emblema di un popolo in cui le virtù sono oscurate dalle troppe debolezze.
In nome del popolo italiano è un film politico e sociale, un film in cui la denuncia dello strapotere della magistratura si mescola alla denuncia dell’affarismo senza scrupoli.
Ma tutti escono con le ossa rotte dal film e non sembra esserci nemmeno un barlume di speranza per il futuro dello sciagurato popolo che abita lo stivale; il futuro dimostrerà che purtroppo Risi ci aveva visto giusto.
Ugo Tognazzi
Grazie alla presenza di due grandissimi attori come Ugo Tognazzi (Bonifazi) e Vittorio Gassman (Santenocito), Dino Risi costruisce un film di grandissimo livello, degno prosecutore della tradizione della commedia all’italiana, quella però vestita di impegno sociale e politico, quella per intenderci creata da grandissimi registi come Petri, Rosi, Damiani ecc..
I due grandi protagonisti si esibiscono in una gara di bravura senza vincitori, perchè tale è il livello della loro recitazione da rendere persino ingiusto un tentativo di attribuire la palma del migliore a due attori che hann fatto la storia del cinema italiano.
Il resto del cast non sfigura di certo, grazie alle presenze professionali di Ely Galleani, che sta in scena per poco ma con grande bravura, di Yvonne Furneaux (la moglie di Santenocito), di Simonetta Stefanelli (la figlia), di Enrico Ragusa, grande nel ruolo del padre dell’imprenditore.
In nome del popolo italiano è un film che passa regolarmente in tv per cui è di facilissima reperibilità sia in riduzioni tv rip che in vari formati digitali.
Un film da non perdere, uno dei capolavori del cinema italiano del passato.
In nome del popolo italiano
Un film di Dino Risi. Con Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Yvonne Furneaux, Renato Baldini, Ely Galleani,Michele Cimarosa, Checco Durante, Pietro Tordi, Pietro Ceccarelli, Franco Angrisano, Simonetta Stefanelli, Paolo Paoloni, Mario Maranzana Commedia, durata 103′ min. – Italia 1971.
Ugo Tognazzi: Giudice Mariano Bonifazi
Vittorio Gassman: Lorenzo Santenocito
Ely Galleani: Silvana Lazzorini
Yvonne Furneaux: Lavinia Santenocito
Pietro Tordi: Prof. Rivaroli
Simonetta Stefanelli: Giugi Santenocito
Franco Angrisano: Colombo
Renato Baldini: Ragioniere Cerioni
Pietro Nuti: Avvocato di Santenocito
Checco Durante: Pironti, l’archivista
Maria Teresa Albani: Signora Lazzorini
Gianfilippo Carcano: Signor Lazzorini
Edda Ferronao: Cameriera di Santenocito
Franca Scagnetti: La portinaia
Michele Cimarosa: Maresciallo Casciatelli
Enrico Ragusa: Riziero Santenocito, il padre
Pietro Ceccarelli: Inserviente al Palazzo di Giustizia
Franco Magno: Industriale
Marcello Di Falco: Segretario di Santenocito
Paolo Paoloni: Primario della clinica psichiatrica
Giò Stajano: Floriano Roncherini
Franca Ridolfi: Doris, l’attrice
Francesco D’Adda: Lipparini, cancelliere
Vanni Castellani: Sirio
Claudio Trionfi: Giornalista TV
Regia Dino Risi
Soggetto Age & Scarpelli
Sceneggiatura Age & Scarpelli
Produttore Edmondo Amati
Casa di produzione International Apollo Films
Distribuzione (Italia) Fida Cinematografica
Fotografia Sandro D’Eva
Montaggio Alberto Gallitti
Musiche Carlo Rustichelli, eseguite da Il Punto
Scenografia Luigi Scaccianoce
Costumi Enrico Sabbatini
Corrado Gaipa: Enrico Ragusa
Donatella Gambini: Simonetta Stefanelli
Ludovica Modugno: Ely Galleani
Stefano Satta Flores: Pietro Nuti
Mario Frera: Michele Cimarosa
L’opinione dell’utente zombi tratta da http://www.filmtv.it
Ebbene si un gran bel film. e una gran bella conferma a distanza di tanto tempo dall’ultima volta che lo vidi. tutto ciò che si possa desiderare da un film e pure troppo. risi con la complicità degli sceneggiatori e dei suoi attori(dai protagonisti ai caratteristi)dipinge finemente un racconto morale su un paese che di morale non ne ha mai avuta. il magistrato tognazzi integerrimo, si rende colpevole di distruzioni di prove che scagionano l’industriale e intrallazzatore polivalente gassman solo per poterlo sbattere in galera. con la falsa illusione naturalmente di distruggerlo pubblicamente. vana perchè la storia ci insegna che in italia coloro che si macchiano di colpe ai danni dello stato italiano, spesso siedono su un bel seggiolone in parlamento a legiferare in nome di un popolo che non si merita un cazzo, a detto del costruttore cementificatore e inquinatore gassman. ed è forse anche alla luce di ciò che tognazzi compie quel passo di illegalità. nessuno si salva in quel paese dove la gente è unita solo ed in occasione di una partita di calcio. il calcio il cuore puro del tipico italico abitatore dello stivale… con una naturalezza e semplicità che è dei grandi (risi, age e scarpelli, tognazzi e gassman mica tizio caio e sempronio tanto per dire)ci introducono in una rappresentazione grottesca dell’italia di quegli anni(?!)in cui grande industria, politica e malaffare andavano a braccetto in un balletto mostruoso dove gli affari si gestivano meglio intorno ad un tavolo e possibilmente con il corredo di fantomatiche attrici, modelle e pourquoi pas!!, di giovani figlie di… che accondiscendevano per un dopo cena in camera da letto. un giro di giovani che si “esplicavano” per mantenere un madre pensionata e un padre poeta senza lavoro e poca arte, da far impallidire anche il più scafato dei magistrati. i mostri di risi, age e scarpelli sarebbe bello facessero parte della galleria dei nostri capolavori cinematografici e sembra strano che nessuno all’epoca gridasse indignato che “i panni sporchi non si lavano in pubblica piazza”, anche se forse era meglio divertire gli italiani con puttane per politici e prelati, per distoglierli da ben altre gattacce da pelare. immenso lavoro di squadra dei due “mostri” tognazzi-gassman, tanto in sottrazione il primo quanto istrionesco il secondo. i dubbi finali di tognazzi erano anche i miei ma è valso la pena buttare al vento la propria rettitudine per una sacrosanta merda che dopo qualche anno finiva magari al parlamento?… onore e merito naturalmente all’arte dei caratteristi e quindi renato baldini compagno dell’ex moglie del magistrato in cerca di soldi, il maresciallo di michele cimarosa, pietro tordi professore che fa le autopsie e pietro ceccarelli inserviente di palazzo di giustizia dispensatore di aforismi.
L’opinione dell’utente Legnani tratta dal sito http://www.davinotti.com
Enormi Gassman (indimenticabile quand’appare in costume: ostenta potere e sicurezza come solo lui, al tempo, riusciva a fare) e Tognazzi, così mostruosamente bravi che alla prima vista non fanno vedere le altre facce. Rivedere il film, invece, permette di notare che il contorno è degnissimo. Al tempo il finale mi lasciò perplesso, invece si ricollega perfettamente alle frasi iniziali di Tordi, ha un piacevole sapore felliniano ed è perfetta conclusione in pieno stile cinico-risiano. Attuale, ahimè. Lo stabilimento marino “Rustichelli” è strizzata d’occhio all’autore della colonna sonora.
L’opinione del sito http://www.ilfuturodellamemoria.it
L’integerrimo magistrato Bonifazi (Ugo Tognazzi) sospetta lo speculatore edilizio Santenocito (Vittorio Gassman) di essere colpevole della morte di una studentessa. Fra i due si scatena un duello serrato, e quando Bonifazi avrà la prova dell’innocenza del suo “nemico”, la distruggerà: Santenocito, che l’aveva sempre fatta franca per le sue malefatte, per una volta pagherà con gli interessi. Sceneggiato con acre moralismo da Age & Scarpelli e diretto da Risi con graffiante immediatezza, In nome del popolo italiano è una delle più pungenti commedie italiane degli anni ’70, un film sanamente “cattivo”, con divagazioni nel grottesco e un notevole coraggio politico. Formidabile il duetto dei due mattatori Tognazzi e Gassman.
L’opinione del Morandini
Giudice integerrimo e moralista sospetta industriale fascistoide brillante e senza scrupoli della morte di una tossicomane. Un diario gli rivela l’innocenza dell’incriminato. Distrugge la prova. Sceneggiato con acre moralismo da Age & Scarpelli e diretto da Risi con graffiante immediatezza, è una delle più pungenti commedie italiane dei ’70. Formidabile duetto di due mattatori: Tognazzi in sordina, Gassman grottesco.
Satyricon
Per parlare del Satyricon di Gian Luigi Polidoro, uscito nelle sale italiane nell’aprile del 1969 occorre scomodare Federico Fellini, il grande regista riminese che in qualche modo e in maniera assolutamente involontaria fu il padre putativo di questa riduzione cinematografica dell’opera di Petronio Arbitro.
Fellini stava lavorando alla sua versione cinematografica del Satyricon quando il produttore Alfredo Bini ( che pare fosse irritato con Fellini stesso che aveva deciso di accettare di lavorare con il produttore Alberto Grimaldi) improvvisamente affidò a Gian Luigi Polidoro il compito di realizzare una trasposizione dell’opera di Petronio Arbitro sceneggiata da Rodolfo Sonego.
Don Backy
Francesco Pau
Battendo sul tempo Fellini, Polidoro realizzò il suo Satyricon e approfittando del clima di grande attesa che si era creato attorno al prodotto felliniano in poco tempo varò la sua versione.
Che venne quasi maciullata dalla critica mentre nei primi giorni di proiezione ottenne un successo straordinario che però si ritorse contro il regista; a pochi giorni dalle prime proiezioni infatti il film venne sequestrato e mandato sotto processo con l’accusa abbastanza ridicola di oscenità.
A causare l’ira del censore (il magistrato Vittorio Occorsio, ucciso da Ordine nuovo a Roma il 10 luglio 1976) fu la presenza nel ruolo di Gitone di Francesco Pau, che come narrano le cronache, nell’epoca in cui venne girato il film era minorenne.
Al film venne anche contestata l’accusa di oscenità, forse per la presenza di alcune scene di nudo ma molto più probabilmente per la famosa orgia durante il banchetto di Trimalcione.
Uso il termine probabilmente perchè le versioni successive del film, trasmesse in tv o ridotte in versione home, appaiono mutile di almeno una quindicina di minuti di pellicola; da alcune foto di scena dell’epoca che troverete come appendice a questo articolo appare evidente come le forbici censorie abbiano mutilato il film stesso.
La decisione del magistrato provocò una levata di scudi da parte di gente del cinema e della cultura in generale; intellettuali , grandi registi come Antonioni si schierarono contro la censura invocando la libertà d’espressione.
Tutto inutilmente, il film venne mutilato e in pratica sparì dalle sale mentre contemporaneamente usciva il Satyricon felliniano che per inciso sconcertò i critici e maggiormente il pubblico.
Il film di Polidoro riprende solo in parte l’opera di Petronio Arbitro, giunta ai tempi nostri in forma molto rimaneggiata; è presente, nel film, lo spirito irriverente e fustigatorio di Petronio, anche se in maniera un pò rozza e propendente alla satira scollacciata.
Tuttavia il film non è affatto quella bruttura descritta dai critici dell’epoca, ha una sua dignità e in fondo ha anche una linearità che nell’opera di Fellini manca.
Difatti la versione di Fellini, che uscirà con il titolo Fellini Satyricon, proprio per distinguerla dal film di Polidoro appare come opera disomogenea e disorganica,in cui l’unica parte coerente e completa è la famosa cena di Trimalcione; ma è un discorso che non interessa questa trattazione per cui torniamo al Satyricon di Polidoro.
I protagonisti del film sono Escolpio, uno studente svogliato e indolente, lo schiavo Gitone, che Escolpio non sa essere uomo e del quale in qualche modo si infatuerà e infine Eumolpio, poeta di scarso valore che per un pò seguirà Escolpio nel suo vagabondaggio in una terra romana che vive l’epoca storica dell’impero di Nerone.
Mario Carotenuto
Nel suo vagabondaggio, Escolpio si imbatte in personaggi che sono un pò la rappresentazione di tutti i vizi della Roma neroniana;dopo aver scoperto che è diventato erede dei beni di suo zio Anneo Mela, che ha rinvenuto morto accanto alla moglie nella sua villa, suicida per ordine di Nerone, Escolpio finisce per incontrare il celebre Trimalcione durante una delle sue opulente feste.
E’ la parte centrale del film, quella meglio riuscita in cui il nobile romano emerge prepotentemente come uomo volgare e dedito ai bagordi, capace di catechizzare i suoi commensali con dotte citazioni ma al tempo stesso volgare e scurrile, intento ad espletare le sue funzioni intestinali come supremo disprezzo verso i commensali.
Ugo Tognazzi
Più in là Escolpio incontrerà anche la maga Circe, non prima di esser stato tradito dal suo ex amico Eumolpio, incapperà in una furiosa tempesta alla quale scamperà per miracolo, svegliandosi sulla riva del mare sulla quale un anziano ha creato una pira con il corpo di un ragazzo che viene dato alle fiamme.
Il Satyricon di Polidoro è sensibilmente diverso dall’opera di Arbitro e presenta alcune caratteristiche particolari che ne fanno opera discutibile, rozza ma non priva di qualche felice intuizione.
La parte meno riuscita riguarda in primis l’eccesso di volgarità presente nella pellicola, che appaiono pretestuose e sopratutto slegate dall’originale di Petronio; l’altro neo del film è rappresentato da un cast poco omogeneo, in cui l’anello debole è rappresentato dal cantante attore Don Backy, svagato e corpo estraneo della pellicola.
Tina Aumont
Franco Fabrizi
Don Backy ha doti discrete di recitazione, come del resto dimostrerà nel bellissimo Cani arrabbiati, ma in questo film sembra svogliato e sopratutto alle prese con un personaggio che richiedeva maggior personalità ed espressività; meglio Franco Fabrizi nel ruolo dell’infido Ascilto e bene anche Mario Carotenuto in quello di Eumolpo. Il solito grande Tognazzi invece caratterizza da par suo il personaggio centrale del film, il ricco e volgare Trimalcione.
Si racconta che Tognazzi abbia accettato questo ruolo per vendicarsi in qualche modo di Fellini che non lo scritturò per la sua versione del Satyricon; se è andata così, ad averci perso è stato sicuramente il regista riminese, perchè Tognazzi era attore di razza, come del resto dimostrato in questo film e in tante altre produzioni in cui ha recitato.
A conti fatti il film di Polidoro non va considerato un fallimento, quanto piuttosto un’operazione non riuscita; a nuocere pesantemente è il paragone con l’opera di Fellini a cui il film viene ingiustamente accostato.
Ingiustamente perchè le due opere sono assolutamente differenti tra loro, con ambizioni diverse e sopratutto rivolte a pubblici differenti.
Il Satyricon di Polidoro è oggi un’opera pesantemente datata a cui va riconosciuta qualche attenuante, come quella della grossa operazione di censura apportata alla pellicola, che rende difficilmente giudicabile il film nella sua complessità.
Questo film è difficilmente reperibile, passa molto raramente in tv ma è disponibile in versione censurata su You tube.
Satyricon
Un film di Gian Maria Polidoro. Con Don Backy, Ugo Tognazzi, Franco Fabrizi, Graziella Granata,Tina Aumont, Mario Carotenuto, Francesco Pau, Leopoldo Valentini, Alfredo Rizzo, Corrado Olmi, Piero Gerlini, Ennio Antonelli, Clara Colosimo, Franco Leo Commedia, durata 110′ min. – Italia 1969.
Ugo Tognazzi: Trimalcione
Mario Carotenuto: Eumolpo
Don Backy: Encolpio
Franco Fabrizi: Ascilto
Tina Aumont: Circe
Francesco Pau: Gitone
Graziella Granata: Antonia
Tito LeDuc: Presentatore da Trimalcione
Regia Gian Luigi Polidoro
Soggetto Petronio Arbitro (dal omonimo romanzo)
Sceneggiatura Rodolfo Sonego
Produttore Alfredo Bini
Fotografia Benito Frattari
Montaggio Giancarlo Cappelli
Musiche Carlo Rustichelli
Scenografia Flavio Mogherini
Si ringrazia il sito: http://www.dbcult.com
Cattivi pensieri
Un banale contrattempo costringe l’avvocato milanese Mario Marani a rientrare a casa; sull’aeroporto nel quale attende il suo volo si è addensata una fittissima nebbia e come conseguenza il volo sul quale Mario doveva imbarcarsi viene cancellato.
Rientrato in casa, trova sua moglie, la bellissima Francesca, che dorme il sonno del giusto.
Mario si dirige verso uno stanzino e al suo interno ha la disgrazia di vedere un paio di piedi nudi.
Convinto che nel piccolo ripostiglio si nasconda l’amante di sua moglie, Mario porta con se Francesca in un lungo giro di lavoro durante il quale spera di scoprire chi sia in realtà la figura da lui vista nello stanzino.
I vari indiziati sono, di volta in volta, le persone della cerchia frequentate dalla coppia, ma la verità è che nello stanzino era rimasto chiuso il figlio del portinaio che si era nascosto nella casa per ammirare i fucili da caccia di Mario.
Quest’ultimo ha un’amante, ma nonostante tutto rimarrà con il dubbio che anche Francesca gli restituisca la pariglia.
Ugo Tognazzi è stato indiscutibilmente un grande attore; molto differente invece il discorso sulla sua capacità di mettersi dietro la macchina da presa.
E Cattivi pensieri, il penultimo film da lui diretto prima della eccellente prova offerta con I viaggiatori della notte, mostra proprio queste sue vistose lacune, ovvero mancanza di ritmo e mancanza del guizzo che distingue il purosangue dal cavallo normale.
Siamo nel 1976, Ugo Tognazzi è ormai considerato uno dei quattro grandi del cinema italiano ed è contemporaneamente impegnato nella direzione di questo film come regista mentre come attore compare in Al piacere di rivederla, in Telefoni bianchi, in Signore e signori, buonanotte e infine come attore anche in Cattivi pensieri.
La storia è abbastanza banale, una storia di corna come tante altre ne abbiamo visto sullo schermo; l’unica variazione di rilievo al clichè classico del marito geloso che alla fine sembra ossessionato dal fatto di essere becco (mentre a lui è concesso avere un’amante, come da italico copione) è l’introduzione di sequenze abbastanza osè anche per un’attrice come la Fenech, generalmente ben disposta nel mostrare abbondantemente il suo magnifico corpo.
Ma a Tognazzi non riesce nessuna delle intenzioni iniziali; il film non solo si dimostra lentissimo e banale, ma alla fine riesce nella difficile impresa di trasformarsi in un letale sonnifero e contemporaneamente in una palude melmosa dalla quale si riemerge con l’impressione di aver sprecato davvero male il proprio tempo.
Imbarazzante anche la recitazione dei protagonisti, quasi fossero consapevoli di partecipare ad un film di bassa lega.
Il che se vogliamo è il naturale sbocco di cento e passa minuti di tedio assoluto, infarcito di inutili volgarità e sopratutto con la spocchiosa pretesa di girare un film con non nascoste velleità di satira di costume.
La realtà è diversa in maniera desolante.
La storia è un deja vu continuo; lo stereotipo dell’italiano infedele ma intransigente quando si tratta di corna personali e sopratutto dialoghi rozzi e tagliati con l’accetta sono un calcestruzzo impossibile da digerire.
Un peccato per Tognazzi, che qualche cosa di buono (come regista, of course) riuscì a mostrarla nel film successivo, quel già citato I viaggiatori della sera che rimane opera di gran valore ampiamente sottovalutata.
Il che, alla luce dell’opacissima prestazione fornita con Cattivi pensieri, rimane dilemma amletico da sciogliere, ovvero: Tognazzi avrebbe potuto fare di meglio perchè aveva finalmente imparato a stare dietro la MDP oppure il tutto fu casuale, un po come il concerto perfetto che riesce una volta sola?
Poichè l’Ugo nazionale non girò più nulla, questo è davvero un dilemma insolubile.
Va detto che se il film è davvero poca, pochissima roba, lo si può ricordare per alcune chicche rappresentate dal curioso cast; la presenza per esempio della cosidetta signora della tv Mara Venier, della top model Veruschka, del bravo e sfortunato giornalista sportivo Beppe Viola (che aveva lavorato già con Tognazzi in Romanzo popolare) e dal nudo di Luc Merenda (bissato poi in Action di Tinto Brass) oltre che dalle eleganti presenze di Massimo Serato e Orazio Orlando.
Cattivi pensieri,un film di Ugo Tognazzi. Con Ugo Tognazzi, Massimo Serato, Luc Merenda, Orazio Orlando,Edwige Fenech, Veruschka, Mario Bernardi, Piero Mazzarella, Paolo Bonacelli, Mara Venier, Mircha Carven, Yanti Somer, Pietro Brambilla, Angelo Pellegrino
Commedia, durata 105 min. – Italia 1976
Ugo Tognazzi: Mario Marani
Edwige Fenech: Francesca Marani
Paolo Bonacelli: Antonio Marani
Piero Mazzarella: Concierge
Yanti Somer: Paola
Mara Venier: signora Bocconi
Laura Bonaparte: signora Retrosi
Mircha Carven: Lorenzo Macchi
Pietro Brambilla: Duccio
Veruschka: amante di Mario
Orazio Orlando: Avvocato Borderò, socio di Mario
Massimo Serato: Carlo Bocconi
Luc Merenda: Jean-Luc Retrosi
Guido Nicheli: ospite
Beppe Viola: commissario di polizia
Angelo Pellegrino: assistente di Confindustria
Riccardo Tognazzi: Gino
Regia Ugo Tognazzi
Soggetto Ugo Tognazzi, Antonio Leonviola
Sceneggiatura Ugo Tognazzi, Antonio Leonviola, Enzo Jannacci, Beppe Viola
Produttore Edmondo Amati
Fotografia Alfio Contini
Montaggio Nino Baragli
Musiche Armando Trovajoli