Amori letti e tradimenti
In un articolo risalente al 2010 ho parlato dell’editore,scrittore e recensore cinematografico Gordiano Lupi. Quell’articolo,che era in hosting su Flickr,sito con il quale ho avuto tristemente note disavventure,è in gran parte perduto.Ho recuperato una copia cache,che ripropongo in calce a questa recensione dello scrittore toscano;l’articolo che segue è tratto dal sito www,lacinetecadicaino.blogspot.com,che vi consiglio vivamente di visitare.E’ l’inizio di una collaborazione che spero proficua,con un autore che stimo moltissimo.
Buona lettura
Una notte insonne mi porta a rivedere Amori, letti e tradimenti (1976), film non certo epocale, farsa erotico – campagnola, molto burina, girata da Alfonso Brescia, uno che nel cinema di genere ha fatto di tutto e con poche lire.Benemerita (per noi appassionati del vecchio trash) Ab Channel, che in qualche modo ha preso il posto di Happy Channel. Vediamo la trama.
Un industriale lombardo di nome Mordacchia (Bologna) vuol comprare un terreno agricolo, ma il contadino Baldo (Don Backy) non vuole assolutamente venderlo. Mordacchia prova con ogni mezzo, persino spedendo al casolare alcune prostitute, che sconvolgono sia Baldo che l’amico Bastiano (Caporale), ma non lo convincono a cedere la terra. Prende in mano la situazione Greta (Mell), la procace moglie di Mordacchia,
che invita in villa il contadino per sedurlo. Non ci riescono, né lei (Baldo si addormenta durante un suo strip), né la figliastra Paola (Viviani), nonostante una sexy danza del ventre. Baldo s’innamora della cameriera Carla (Longo), che soltanto nel finale mostra un seno rigoglioso. Non solo, vince un sacco di soldi e diverse proprietà al commendatore, grazie a una lunga partita a scopa. Il risultato è che Baldo diventa socio d’affari di Mordacchia, dividendo con lui tutto, persino le grazie della disponibile segretaria (Maiolini).
Alfonso Brescia gira un soggetto del produttore Mauro Righi (pure sceneggiatore) in due luoghi storici del cinema italiano: il casolare di via delle Pietrische, a Manziana, e la villa di Casale Lumbroso, a Roma, numero 167. Due location molto gettonate che hanno visto produzioni di pellicole più o meno importanti e che si prestano come set di una tarda commediaccia in salsa burina. Qualcuno ha visto nel film una parodia de La stangata (1973) di George Roy Hill – con Robert Redford e Paul Newman – in salsa erotica. Forse la partita a scopa avrebbe tale ambizione, ma tutto il film è soprattutto una farsa scollacciata con mattatore un Don Backy pastore ciociaro e un Ugo Bologna insolito coprotagonista.
Commedia sexy che gode di un esaltante cast femminile: Marisa Mell improvvisa uno spogliarello e si lascia frugare tra i seni da Don Backy che cerca di uno stecchino da denti; Sonia Viviani mette in scena una perversa danza del ventre; Malisa Longo in una rapida sequenza mostra un seno prosperoso; Paola Maiolini è una segretaria molto sporcacciona.
In definitiva il film è più casto di quel che si potrebbe pensare, fa intuire molto ma mostra davvero poco, anche se la tensione erotica è palpabile. La trama è basata sul detto “contadino, scarpe grosse e cervello fino”, con la borghesia imprenditoriale rappresentata da Ugo Bologna, uno specialista nei panni del cummenda milanese.
Brescia e Righi non si fanno mancare una blanda critica verso i figli dei ricchi che recitano un ruolo comodo da comunisti contestatori, ma viaggiano in Ferrari e con le tasche piene. Paola (Viviani) e lo sciocco fidanzato recitano due patetici dialoghi pensati per dare una giustificazione politica – di cui non si sentiva il bisogno – alla pellicola. Il film vale ancora la visione per le numerose gag comiche,
per un Don Backy travolgente e per la bellezza del cast femminile.
Mereghetti e Morandini nemmeno citano l’esistenza della pellicola; Farinotti – di solito il più largo di maniche – assegna una sola stella; Giusti lo definisce un film di scarso culto interessante solo per un Don Backy versione pastore ciociaro alla Celentano e interpretato da un cast femminile ultratrash.
Approfittiamo per ripassare la figura di Alfonso Brescia (Roma 1930 – 2001), con l’aiuto dell’indispensabile manuale di Roberto Poppi. Figlio d’arte, il padre è il produttore Edoardo, lavora con Amendola e Caiano, debutta con Il magnifico gladiatore (1964) e si specializza nel puro cinema commerciale. Se c’è una cosa che Brescia non possiede è la vocazione autoriale, gira prodotti di ogni genere, a basso costo: western, peplum, bellico,
avventuroso, giallo, erotico. Alcuni lavori portano la firma di Al Bradley, pseudonimo anglofono usato per seguire una moda del tempo. Il suo tratto distintivo va ricercato nella fantascienza (cinque film in contemporanea) e nelle
sceneggiate di successo interpretate da Mario Merola. La sua carriera declina dopo il 1985, si stempera blandamente assecondando la fine del cinema di genere. Ultimo film: Club vacanze (1996), ancora inedito. Roberto Poppi dice di Brescia:
“Regista tra i più prolifici del nostro cinema, la sua produzione si contraddistingue per un certo decoro formale e un grande mestiere, spesso sviliti da soggetti mediocri e budget inadeguati”.
Amori, letti e tradimenti
Un film di Alfonso Brescia. Con Don Backy, Sonia Viviani, Marisa Mell, Ugo Bologna, Malisa Longo,Paola Maiolini, Enzo Spitaleri Commedia, durata 90 min
Don Backy: Baldo
Marisa Mell: Greta
Ugo Bologna: Commendator Mordacchia
Malisa Longo: Carla
Riccardo Parisio Perrotti: l’impiegato del commendatore
Enzo Spitaleri: Giulietto
Sonia Viviani: Paola
Paola Maiolini: la segretaria del commendatore
Aristide Caporale: Bastiano
Paola D’Egidio: una prostituta
Regia Alfonso Brescia
Soggetto Mauro Righi
Sceneggiatura Mauro Righi
Produttore Mauro Righi
Casa di produzione Alexandra Cinematografica Internazionale
Fotografia Giuseppe Aquari
Montaggio Vincenzo Vanni
Musiche Sante Maria Romitelli
Scenografia Elena De Cupis
Gordiano Lupi
Per una volta tralascio le recensioni cinematografiche e le biografie dei personaggi del cinema per parlare di un autore che, come me, è appassionato di cinema, in particolare di cinema di genere.
Gordiano Lupi, toscano di cinquant’anni, è uno dei personaggi più importanti e più competenti nell’ambito della ricerca, della biografia e della storia del cinema di genere italiano.
Personaggio poliedrico, attratto da molteplici interessi, Lupi è contemporaneamente Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio, (http://www.ilfoglioletterario.it), scrittore di cinema, di letteratura, appassionato di quella terra bellissima e misteriosa che è Cuba, della quale ha scoperto talenti letterari praticamente sconosciuti al pubblico italiano.
Non è solo questo, Gordiano Lupi; è anche uno scrittore, con uno stile molto personale.
L’ultima sua fatica editoriale è Una terribile eredità, libro edito nel 2009 per la editrice Perdisa, nel quale racconta una vicenda terribile ambientata in Angola.
Una molteplicità di interessi che ne fa persona assolutamente affascinante, sia per la passione che esprime nei suoi scritti, sia per la competenza e l’eleganza che contraddistinguono il personaggio.
Personalmente ho conosciuto Gordiano Lupi grazie ad uno dei suoi libri dedicati al cinema di genere, nello specifico Le Dive Nude, una vera e propria Bibbia per conoscere i segreti del cinema di due dive degli anni settanta, Edwige Fenech e Gloria Guida, viste attraverso le loro partecipazioni ai film della commedia sexy all’italiana.
Un’autentica miniera di informazioni, annotazioni, mini recensioni assolutamente indispensabili per chi si occupa di cinema di genere; così come altrettanto importanti sono Fernando Di Leo e il suo cinema nero e perverso,
un atto d’amore verso il regista pugliese morto nel 2003 e autore di affascinanti film come Milano calibro 9, Avere 20 anni e La mala ordina.
Ma il mondo del cinema, visto da Lupi, abbraccia anche altri generi; importanti sono Dracula e i Vampiri,scritto in collaborazione con Maurizio Maggioni ed edito da Profondo rosso nel 2008, Cannibal. Il cinema selvaggio di Ruggero Deodato, esaustiva descrizione dei cannibal movie del controverso regista autore di Cannibal holocaust, o ancora Orrore erotismo e pornografia secondo Joe D’Amato, dedicato ad Aristide Massaccesi, il regista romano morto nel 1999, prolifico autore di film che spaziano dall’horror al sexy e che virò la sua produzione, a fine anni settanta, verso il porno d’autore, Filmare la morte. Il cinema di Lucio Fulci, un altro tributo ad uno dei maestri del thriller all’italiana, Il cittadino si ribella. Il cinema di Enzo G. Castellari, dedicato al settantaduenne regista romano autore di La polizia incrimina, la legge assolve, Il cittadino si ribella ecc.
La passione di Lupi per il cinema è evidente nei suoi scritti; a ciò unisce l’abitudine di aggiungere piccoli aneddoti che diventano importanti sopratutto nel caso di biografie di personaggi poco conosciuti, o comunque passati nel dimenticatoio, come Simonetta Stefanelli, Ely Galleani ecc.
In particolare si nota, leggendo i suoi scritti, l’amore per un cinema del quale siamo tutti innamorati, quello che traghettò l’Italia bacchettona e moralista di metà anni sessanta attraverso la rivoluzione culturale degli anni settanta, indiscutibilmente i più fertili dal punto di vista creativo della storia del cinema italiano. Un amore che oggi sembra condiviso anche da molti giovani, che viaggiano alla riscoperta di un cinema fatto spesso con pochi soldi, con pochi mezzi ma con tanta creatività, quella che Lupi esalta praticamente ad ogni passo dei suoi libri.
Impressionante, e sopratutto invidiabile, la capacità di Lupi di spaziare attraverso vari generi letterari; passa con disinvoltura dal giallo al thriller, al racconto letterario, nel quale usa uno stile immediato e diretto, che facilita la lettura anche al lettore meno avvezzo alla parola stampata.
Molti autori per esempio utilizzano l’estro letterario con parole forbite e concetti aulici, quasi che la forma possa alla fine mascherare in qualche modo l’assenza di profondità del testo; Lupi è uno scrittore anche emozionale, come dimostrano i suoi libri sul cinema, che ho citato, nei quali i vari soggetti finiscono per assumere una veste umana spesso dimenticata da altri autori
Chiunque voglia cimentarsi con la letteratura di Lupi non ha altro da fare che consultare la sua voluminosa e affascinante produzione.
Tra i gialli segnalo “Nero Tropicale”, “Orrori Tropicali”, “Avana Killing”, mentre per tutto il resto della sua opera vi rimando al blog dello scrittore, raggiungibile all’indirizzo http://www.infol.it/lupi; vi troverete praticamente tutto,
con l’elenco delle sue opere, con la sezione ebook dalla quale è possibile scaricare gratuitamente opere come Cuba, Paolo Montanez, Sangue tropicale e Il vero volto di Cuba.
Lettere da lontano – Tracce Edizioni, Piombino 1998
Il gabbiano solitario – Olfa Ferrara, 2000
Sangue tropicale – Ghost Edizioni, Collegno 2000 – 1a ed.
Poesie per un amore – Ed.Il Foglio, Piombino 2000
Sangue tropicale – Ed. Il Foglio, Piombino 2000 – 2a ed.
Il mistero di Incrucijada – Prospettiva Editrice, Civitavecchia, 2000
Sangue tropicale – Ed Il Foglio, Piombino 2001 – 3a ed (contiene il racconto inedito La vecchia ceiba)
Ultima notte di sangue – Effedue Edizioni, Piacenza 2001
L’età d’oro racconti per ragazzi – Ed. Il Foglio, Piombino 2001
Fame (la trilogia cannibale) – con Luigi Boccia e Nicola Lombardi) Ed Il Foglio, Piombino 2001
Il giustiziere del Malecón – Prospettiva Editrice, Civitavecchia 2002
Le ultime lettere di Pilvio Tarasconi – Ed. Il Foglio, Piombino 2002
Per conoscere Aldo Zelli – Ed. Il Foglio, Piombino 2002
Il palazzo – Ed. Il Foglio, Piombino 2002
Machi di carta – Stampa Alternativa, Viterbo 2003
(traduzione del romanzo di Alejandro Torreguitart Ruiz)
Nero tropicale – Terzo Millennio, Caltanissetta 2003
(Sangue tropicale, La vecchia ceiba, Parto di sangue, Il sapore della carne e l ‘inedito Nella coda del caimano)
Cuba Magica – conversazioni con un santéro – Mursia, Milano 2003
Dottor Banner e Mister Hulk
(traduzione del saggio di Daniel Ciberio con appendice sull’Uomo Ragno – Il Foglio, Piombino 2003)
La marina del mio passato – Nonsoloparole , Napoli 2003
(traduzione del racconto lungo di Alejandro Torreguitart Ruiz)
Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura – Stampa Alternativa, Viterbo 2004
Sangue tropicale – versione a fumetti (sceneggiatura) – Il Foglio, Piombino 2004
Un’isola a passo di son – viaggio nella musica cubana – Bastogi, 2004
Piombino tra storia e leggenda – Il Foglio 2004 (opera collettiva con F. Micheletti e E. Migliorini)
Serial killer italiani – cento anni di casi agghiaccianti da Vincenzo Verzeni a Donato Bilancia – Editoriale Olimpia, Firenze 2005
Nemici miei – Stampa Alternativa, Viterbo 2005
Vita da jinetera – Edizioni Il Foglio – Piombino, 2005
(traduzione del romanzo di Alejandro Torreguitrat Ruiz)
Almeno il pane, Fidel – Stampa Alternativa, Viterbo 2006
Orrori tropicali – storie di vudú, santeria e palo mayombe – Il Foglio, Piombino 2006
Cuba particular – Sesso all’Avana – Stampa Alternativa, Viterbo 2007
traduzione dal romanzo di Alejandro Torreguitrat Ruiz
Coppie diaboliche (con Sabina Marchesi) – Olimpia – Firenze, 2008
Adios Fidel – A.Car, Milano, 2008 – traduzione da Alejandro Torreguitart
Avana killing – Sered – Roma, 2008
Mi Cuba – Mediane – Milano, 2008
Il mo nome è Che Guevara – A.Car, Milano, 2008 – traduzione da Alejandro Torreguitart
Delitti in cerca d’autore (I.D.I., 2008 – in edicola)
Cattive storie di provincia – A.Car, Milano 2009
Cuba Libre -Scrivere e vivere all’Avana, di Yoani Sanchez. Traduzione a cura di Gordiano Lupi – Rizzoli, 2009
Sangue habanero – Eumeswil, 2009
Una terribile eredità – Perdisa – Bologna, 2009
Cannibal – il cinema selvaggio di Ruggero Deodato – Profondo Rosso, Roma 2003
Tomas Milian, il trucido e lo sbirro – Profondo Rosso, Roma 2004
Erotismo, orrore e pornografia secondo Joe D’Amato – Profondo Rosso, Roma 2004
Le dive nude Il cinema di Gloria Guida e Edwige Fenech – Profondo Rosso, Roma 2006
Il cittadino si ribella: il cinema di Enzo G. Castellari – (in collaborazione con Fabio Zanello) – Profondo Rosso, Roma 2006
Filmare la morte – Il cinema horror e thriller di Lucio Fulci – (in collaborazione con As Chianese) – Edizioni Il Foglio – Piombino, 2006
Dracula e i vampiri – (in collaborazione con Maurizio Maggioni) – Profondo Rosso, Roma 2007
Commedia Sexy all’italiana – Mediane – Milano, 2007
Sexy made in Italy – Profondo Rosso – Roma, 2007
Il cinema nero e perverso di Fernando di Leo – Profondo Rosso, Roma 2009
Federico Fellini – A cinema greatmaster – Mediane, 2009
La ragazza di nome Giulio
Un film controverso, La ragazza di nome Giulio. Tratto dall’omonimo romanzo di Milena Milani , uscito nel 1964 e subito sequestrato per oltraggio al pudore, costò alla sua autrice un processo che in prima battuta la vide condannata a sei mesi di reclusione mentre il libro finì per essere ritirato dal commercio, salvo poi l’anno successivo vedere ribaltata la sentenza perchè vennero riconosciuti, al romanzo stesso meriti artistici.
Il perchè del furore iconoclasta della censura sta tutto nella storia che racconta la Milani ovvero quella di Giulio, ragazza di ottima famiglia che viene iniziata al sesso dalla sua governante, scoprendo in seguito non solo di non essere capace di provare piacere, ma di non sapere amare.
Una tematica forte, per un’Italia ancora bacchettona, quella che copriva le gambe delle gemelle Kessler e di Abbe Lane, un’ Italia in pieno boom economico ma dalla morale ristretta, pesantemente condizionata da valori etici trasmessi in primis dalla chiesa.
Silvia Dionisio
Quando il regista Tonino Valerii prese in mano il soggetto e decise di ridurlo cinematograficamente i tempi erano cambiati; l’Italia era diventata adulta dopo il 68 che aveva pesantemente modificato il concetto di morale e dopo il punto di svolta coinciso con l’autunno caldo, le lotte operaie e sopratutto la strage di Piazza Fontana che traghettò il paese negli anni di piombo.
Valerii, regista capace e intelligente, scelse di non modificare sostanzialmente l’assetto del libro, riproponendo la storia di Giulio e adattandola sulle caratteristiche di Silvia Dionisio, la giovane protagonista del film.
La storia narra le vicende di una giovane che, in memoria di suo padre, ha scelto di chiamarsi Giulio.
Un nome maschile, che sembra già presagire una difficoltà di contatti con il mondo femminile; cosa che puntualmente si avvererà quando Giulio verrà iniziata (un po volontariamente, un po no) ai piaceri saffici da Lia, la governante di casa. Giulio non è protetta abbastanza nella fase più delicata della sua vita, nel passaggio cruciale dall’adolescenza alla maturità.
Sua madre Laura è una donna sempre indaffarata e dal carattere frivolo, così Giulio si ritrova in balia della governante, che la seduce.
Ma l’influenza di Lia non è solo sessuale; la donna plagia Giulio mettendola in guardia dal pericolo rappresentato dagli uomini, descritti come esseri brutali interessati solo al sesso e incapaci di sentimenti.
Il celebre soprano Anna Moffo
Il tempo passa e Giulio si lega controvoglia a Lorenzo, un giovane timido e riservato.
Ma la ragazza vuol provare a costruire un rapporto con gli uomini, così un giorno, seguendo la sua nuova cameriera la spia mentre ha un rapporto carnale in riva al mare.
Dopo di che corteggia il giovane fidanzato di quest’ultima, Amerigo, per sedurlo e scoprire così l’amore eterosessuale.
Ma l’esperienza con il giovane meccanico, così differente da lei per cultura e ceto sociale si dimostra fallimentare; lungi dal provare piacere Giulio si convince di non essere capace nemmeno di amare.
L’incontro con un prete lascia i problemi inalterati e Giulio sceglie di concedersi ad altri uomini per pura scommessa con se stessa; nemmeno l’incontro con Franco, un giovane pittore che le presenta la sua ex amante e governante Lia risolve i problemi psicologici di Giulio che alla fine compirà un gesto estremo.
Ucciderà colpendolo nelle parti intime un occasionale amante con il quale, inutilmente, ha tentato di avere un rapporto.
Valerii cerca di descrivere le ansie e le pulsioni di Giulio attraverso un’opera d’ambientazione, in cui il morboso (rappresentato da Lia), l’amore (il giovane Lorenzo), la sessualità pura (Amerigo) vengono descritti in maniera altalenante.
La bellissima e giovane Silvia Dionisio, algida e fredda come il marmo, sembra incarnare perfettamente lo spirito confuso di Giulio, alla ricerca di una difficile identità sia sessuale che psicologica.
Ma se il personaggio di Giulio è ben caratterizzato dalla bellissima e capace attrice romana, il film in se mostra preoccupanti sbandamenti e strappi nella sceneggiatura; i turbamenti di Giulio, così ben descritti nel libro finiscono per essere accantonati a tutto vantaggio della storia, che ci mostra il percorso di vita della ragazza attraverso tutti i fallimentari incontri e le altrettanto fallimentari esperienze che collezionerà prima del finale drammatico, in cui la sua incapacità di relazionarsi sentimentalmente e sessualmente esploderà in un omicidio che ha del rituale, con quelle coltellate studiate a tavolino (Giulio ha un coltello negli stivali, quindi medita l’omicidio) inferte all’incolpevole vittima proprio nelle parti intime, quasi a suggellare il rapporto di odio della ragazza.
Che appare affetta da un’autentica fobia per il fallo maschile, originata in parte dall’educazione sentimentale di Lia, la governante che non si fa scrupoli di sedurla e iniziarla all’omosessualità.
Il rapporto saffico tra Giulio e Lia
Il film pertanto ondeggia, si barcamena, rischia di affondare e alla fine si salva perchè Valerii è un professionista, perchè nel cast ci sono fior di caratteristi e perchè la trama sostanzialmente ha un fascino che vira dal morboso al drammatico.
Purtroppo alcune sequenze del film sono davvero noiose; l’ossessiva ricerca della propria sessualità porta Giulio attraverso situazioni descritte con una lentezza spesso esasperante, così come poco convincente appare l’alternarsi tra il dramma esistenziale di Giulio e il modo in cui l’affronta.
C’è da dire però che in qualche modo Valerii riesce ad esprimere ciò che circonda la ragazza attraverso immagini a tratti equilibrate; il complesso rapporto con la madre praticamente assente e troppo presa da se stessa, con il fidanzato troppo serio, con un mondo rigidamente costruito sul mito di se stesso come quello della buona borghesia sono descritti in maniera diseguale ma non priva di fascino.
Anna Moffo
Ma si ferma tutto qui; nel film come già detto manca profondità al personaggio di Giulio, che paradossalmente è ottimamente recitato dalla Dionisio che però alla fine trasmette solo gelo.
Ben diversa la prestazione attoriale della grande soprano Anna Moffo, attrice molto espressiva e donna dal fascino sottilmente morboso e sensuale.
Nei panni di Lia, la Moffo da corpo ad un personaggio credibile e ben tratteggiato, riuscendo alla fine vincitrice da un ipotetico confronto con Silvia Dionisio.
Bene anche Esmeralda Ruspoli, che interpreta la madre di Giulio, donna troppo presa dal suo ruolo sociale e dal suo egoismo per interessarsi alle vicende personali di quella sua strana figlia mentre nel cast troviamo anche ottimi attori come Malisa Longo
Malisa Longo
(la splendida cameriera a cui Giulio ruba temporaneamente il fidanzato), Gianni Macchia che veste i panni di Franco il giovane pittore che inutilmente proverà a costruire un rapporto con Giulio mentre in parti marginali compaiono Riccardo Garrone, che interpreta il ginecologo che Giulio interpella per scoprire eventuali problemi fisici e Umberto Raho, il prete che lungi dal risolvere i problemi della ragazza le creerà ancor più confusione e che la destabilizzerà ulteriormente.
Piccolo spazio per John Steiner, che interpreta Luciano e che compare verso la fine, giusto in tempo per pagare incolpevolmente il fio di essere uomo; Giulio lo ucciderà simbolicamente e fisicamente, incapace com’è di trovare un equilibrio impossibile.
In sostanza il film di Valerii vale una visione, sopratutto perchè ci mostra un tentativo coraggioso di uscire dagli schemi e raccontare una storia di omosessualità e frigidità in un periodo storico in cui questi argomenti erano tabù. Bella la fotografia e la location, una Venezia discreta e inquadrata lo stretto necessario; per una volta la meravigliosa città veneta non assurge al ruolo di protagonista assoluta ma resta in disparte, quasi sonnacchiosa a fare da semplice sfondo al dramma esistenziale di Giulio.
La ragazza di nome Giulio è disponibile in divx su You tube al link http://www.youtube.com/watch?v=47RpJxCl2Ag
La ragazza di nome Giulio
Un film di Tonino Valerii. Con Malisa Longo, Gianni Macchia, Silvia Dionisio, Anna Moffo, Esmeralda Ruspoli, Riccardo Garrone, Ivano Staccioli, Umberto Raho, Roberto Chevalier, John Steiner, Raul Martinez, Livio Barbo Drammatico, durata 103′ min. – Italia 1970.
Silvia Dionisio … Giulio
Anna Moffo ….Lia, la governante
Gianni Macchia … Franco
Esmeralda Ruspoli … Laura, madre di Giulio
Maurizio Degli Esposti … Lorenzo
John Steiner … Luciano
Livio Barbo … Amerigo
Roberto Chevalier … Camillo
Malisa Longo …. La cameriera
Riccardo Garrone….Il ginecologo
Umberto Raho …Il prete
Ivano Staccioli … Il professore
Regia Tonino Valerii
Romanzo Milena Milani
Sceneggiatura Marcello Coscia,Bruno Di Geronimo,Mauro Di Nardo,Francesco Mazzei
Produzione: Francesco Mazzei
Musiche: Riz Ortolani
Montaggio: Stelvio Massi
Editing: Franco Fraticelli
“Da molto tempo io avevo deciso questa cosa.
L’avevo decisa, ma non lo sapevo; come del resto non sapevo nemmeno che razza di cosa era. Io continuavo a fare quello che fanno tutti, come mangiare, dormire, vestirmi, passeggiare e parlare e anche innamorarmi.
Il venticinque agosto di quest’anno è successo che io ho capito questa cosa. Racconterò tutto di questo venticinque agosto. È una giornata che è stata lunga, piena di avvenimenti. Può darsi che questo racconto sul venticinque agosto di quest’anno mi occupi molto tempo.
Io concepisco le cose brevi, che si risolvono con facilità. Le conclusioni ritardate mi hanno sempre fatto rabbrividire.”
Il domestico
Durante la seconda guerra mondiale Rosario Cavadoni, conosciuto da tutti come Sasa, lavora in mensa come cameriere fino al giorno in cui viene chiamato al servizio del maresciallo Badoglio.
La proclamazione dell’armistizio vede la fuga del maresciallo stesso da Roma mentre il povero Sasa si salva grazie alle sue doti di adattamento ai lavori di casa finendo al servizio di un ufficiale tedesco e in seguito all’occupazione militare americana in Germania ai servizi di un comandante statunitense.
La fine della guerra vede Sasa alla ricerca di un’occupazione in pianta stabile; finisce così per entrare al servizio di Salvatore Sperato, un produttore cinematografico che decide di farlo lavorare nel cinema accanto a sua moglie Lola Mandragali, una popolana sguaiata e becera.
Fallito miseramente il tentativo di diventare attore, Sasa entra a servizio di una famiglia nobile romana, impelagata con il fascismo. Qui Sasa ha modo di rendersi utile al vecchio patriarca portandolo in giro per i bordelli, dove l’uomo alla fine viene colto da malore, proprio mentre Sasa è a colloquio intimo con la simpatica prostituta Rita.
La famiglia del nobile mette a tacere lo scandalo, anche perchè ormai l’epoca dei bordelli si avvia malinconicamente alla conclusione per l’avvento della legge Merlin che stabilì la chiusura della case chiuse.
L’odissea di Sasa continua: l’uomo finisce alle dipendenze di una coppia dalla morale sessuale molto aperta e discutibile e alla fine approda in casa di Ambrogio Perigatti, un ricco petroliere dalle molte ombre.
Qui Sasa ritrova una vecchia conoscenza, la prostituta Rita diventata nel frattempo moglie dell’uomo d’affari.
Sasa avrà modo di rendersi utile guarendo la figlia della coppia da una forma di strabismo: durante lo sbarco dell’uomo sulla luna, infatti, avrà un rapporto intimo con Linda (figlia di Amrogio e Rita) provocando la scomparsa del fastidioso disturbo che Sasa furbescamente attribuirà all’emozione provata dalla ragazza davanti alla tv durante l’allunaggio.
Ma è destino che il domestico non debba trovare tregua: Ambrogio Perigatti coinvolgerà come prestanome il povero domestico in una speculazione,che avrà come risultato la condanna di Sasa alla detenzione.
In carcere finalmente l’uomo potrà dedicarsi al suo lavoro di domestico….
Il domestico, diretto da Luigi Filippo D’Amico su una sceneggiatura di Sandro Continenza e Raimondo Vianello è una gradevole commedia del 1974 appartenente al florido filone della commedia all’italiana e non alla commedia sexy come erroneamente scritto da alcuni recensori della domenica.
L’impianto narrativo infatti è di stampo classico e della commedia sexy non riprende alcuna tematica: le scene sexy infatti sono limitate a qualche topless fugace delle belle protagoniste ed il film vive tutto sulla verve di Lando Buzzanca, chiamato per una volta a interpretare un ruolo brillante defilato dai ruoli sexy a cui l’attore siciliano aveva abituato il pubblico.
Il film percorre 30 anni della storia italiana, con Sasa che si imbatte via via in personaggi arricchiti e volgari, parvenue della borghesia emergente o vecchie glorie della nobiltà, nostalgiche di un passato ormai irrimediabilmente scomparso.
Se nel film manca la profondità, per ovvi motivi trattandosi di una commedia brillante, ci si consola con alcune gag gustose tra le quali spiccano la visita di Sasa con il vecchio nobile in un bordello pochi giorni prima della loro soppressione e la scena dell’allunaggio con la seduzione da parte della giovane Linda del maturo domestico Sasa, che la ragazza provoca in tutti i modi.
Finale agro dolce, o meglio, amaro con Sasa che finisce per fare il suo lavoro dietro le sbarre, condannato da un destino avverso che lo ha visto entrare e uscire da diverse famiglie ognuna delle quali con vizi nascosti, tipici della borghesia rampante dell’Italia post bellica.
Luigi Filippo D’Amico dirige con mano sicura un cast di caratteristi tutti all’altezza, con alcune tra le più belle star del cinema italiano anni settanta: si passa da Femi Benussi (l’attrice Lola Mandragali che odia il caviale e lo rifila al suo cane! ) a Martine Brochard, perfettamente a suo agio nel ruolo della prostituta Rita che sogna di fuggire dal bordello in cui lavora e che vedrà coronato il suo sogno visto che sposerà nientemeno che un petroliere fino a Eleonora Fani, bravissima come suo solito nel ruolo dell’adolescente pruriginosa che guarirà dallo strabismo da cui è affetta grazie alla performance erotica di Sasa.
Ancora, in ruoli di contorno troviamo Erika Blanc, la Silvana commessa in un negozio che si rifiuta di fare la scomoda testimone delle infedeltà della coppia presso la quale lavora Sasa ricordando che guadagna 120.000 lire al mese per lavorare 12 ore al giorno mentre i viziosi padroni di casa se la spassano avendo denaro e tempo libero; troviamo una splendida Malisa Longo in una parte lampo (quella della prostituta del bordello), Ivana Monti nel ruolo della moglie infedele che Sasa cercherà disperatamente di coprire
e accanto a loro attori come Arnoldo Foà (Ambrogio Perigatti), Enzo Cannavale (il produttore Salvatore Sperato),Antonino Faa Di Bruno (il nobile puttaniere) e infine Gordon Mitchell (il Generale Von Werner), tutti a loro agio nei ruoli attribuiti.
Il domestico è un film senza grandi pretese ma riuscito: va detto che alcune scene sono prolisse e che alcune situazioni sono davvero tirate per i capelli, ma nel complesso il film regge e si guarda con piacere.
Come al solito rivolgo l’invito a non fidarsi di alcune recensioni dei critici di alcuni siti, troppo snob per riconoscere un valore minimo ad una pellicola che non sarà un capolavoro ma che è sicuramente meglio di tanti prodotti osannati dai critici stessi.
Questa recensione in particolare, “soldato semplice nella seconda guerra mondiale, “Zazà” viene mandato addirittura a fare l’attendente di Badoglio. Finisce poi al servizio di un ufficiale nazista e, infine, di uno americano. Tipico veicolo per Buzzanca. Comicità facile e scollacciata con velleità satiriche.” mostra un’acredine davvero spiazzante; il film non è affatto scollacciato, ma come ormai sappiamo bene il vero problema è la puzza sotto al naso di parte dei soloni cinematografici.
Il domestico,un film di Luigi Filippo D’Amico. Con Femi Benussi, Luciano Salce, Silvia Monti, Lando Buzzanca, Paolo Carlini, Martine Brochard, Arnoldo Foà, Nanda Primavera, Camillo Milli, Renzo Marignano, Enzo Cannavale, Erika Blanc, Gordon Mitchell, Silvia Monelli, Malisa Longo, Carla Mancini, Mico Cundari, Empedocle Buzzanca
Commedia, durata 105 min. – Italia 1974.
Lando Buzzanca … Rosario Cabaduni, soprannominato ‘Sasa’
Martine Brochard … Rita
Arnoldo Foà … Ambrogio Perigatti
Femi Benussi … Lola Mandragali
Leonora Fani Linda Perigatti
Paolo Carlini … Andrea Donati
Enzo Cannavale … Salvatore Sperato
Antonino Faa Di Bruno…. il nobile
Erika Blanc … Silvana
Luciano Salce … Il regista
Gordon Mitchell … General Von Werner
Erika Blanc…. Silvana
Malisa Longo…Una prostituta
Regia: Luigi Filippo D’Amico
Sceneggiatura: Sandro Continenza e Raimondo Vianello
Musiche : Piero Umiliani
Editing: Renato Cinquini
Produttore: Medusa
Fotografia : Sandro D’Eva
Montaggio : Renato Cinquini
Distribuzione: Medusa
Scenografia : Ennio Michettoni, Franco Velchi
Costumi : Luciana Fortini
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Divertente, ma sbilanciato. Molto buona la prima ora, però cala con la parte popolata da Foà e la Fani, nonostante la bravura degli interpreti, perché è troppo prolissa. Esilarante la parte con la Monti, Marignano, la Blanc (presunta monarchica…). Buzzanca, in ogni caso, è semplicemente eccezionale. E poi ci sono Salce, il grande Faà di Bruno, Cannavale, una sfolgorante Benussi.
Interessante parabola sull’esistenza di un “servo” che viene analizzata (in vérve comica) a partire dall’inizio della carriera (a ridosso della fine della 2a guerra mondiale) sino ad un finale (corrispondende al 1969 e relativo sbarco sulla Luna) che avanza teorie “politiche” esterne al genere: Luigi Filippo D’Amico riesce a mettere insieme momenti esilaranti (basterà ricordare Luciano Salce nella parodia di se stesso), senza scordarsi una sana polemica sulla corruzione politica e sociale, già all’epoca, ai vertici dei ministeri…
Valida commedia sulla lealtà dei servi e i vizi dei padroni, costruita su Buzzanca – al solito siculo e mandrillo – e su una variopinta galleria di attori e starlets: la Fani strabica e lolitesca, la statuaria Monti, la delicata Tanzilli, la Blanc che ghigna come la Facchetti, Foà distributore di bustarelle, Mitchell nazista…Trova spazio pure una parodia di Riso amaro (e del mondo del cinema in generale), con Salce regista e Buzzanca e la Benussi nei ruoli che furono di Gassman e della Mangano.
L’italico servilismo, ma anche il camaleontismo e l’ipocrisia: in questo anomalo Buzzanca-movie, dove il nostro è leccapiedi per vocazione (ma pur sempre mandrillo siculo), i vizi atavici dell’italiano vengono passati in rassegna in una svelta successione di episodi piuttosto ben sceneggiati, dove il migliore è quello con Salce neorealista a dirigere Lando domestico del produttore. Buona scelta dei comprimari, buon assortimento di fanciulle: la dolce e maliziosa Fani (semiesordiente) si fa notare nel ruolo della lolita strabica.
Notevole commedia, probabilmete il miglior film di Buzzanca. I toni sono più seri e impegnati del solito, ma il film è comunque veloce e divertente. Bravissimo Buzzanca, ottimo il resto del cast, pieno di nomi noti. Forse il finale non è troppo convincente, ma il film riesce a volare inaspettatamente in alto. Bellissima la colonna sonora.
Azzardo a definirlo il miglior Buzzanca-movie di tutti i tempi. La qualità della pellicola si manifesta in molti aspetti: innanzitutto il ruolo affibbiato a Buzzanca gli è congeniale e lo si vede convinto (dunque convincente). Bella l’idea di raccontare ad episodi la storia di questo domestico dall’Italia della Seconda Guerra Mondiale fino al 1974, con aspetti anche storiografici. Molto bella la colonna sonora di Piero Umiliani.
Solita commediola con protagonista Lando Buzzanca. Non dissimile da mille altre che l’attore ha interpretato nel corso del suo periodo d’oro. Ha un buon ritmo e due o tre gag apprezzabili, ma in fondo la si dimentica in fretta. Cast non particolarmente in palla, a partire dal protagonista.
Il domestico è un ruolo che si addice alla maestria comica del grande Buzzanca, libero di impersonare le varie caratteristiche di questo lavoratore in tutte le sue accezioni. Si ride anche se non ci si spancia, v’è da dirsi, ma neanche si affonda nel mare magnum triviale cui spesso la commedia italiana di quel periodo ci aveva abituato. La Fani che seduce il bravo Lando posizionando il suo dolce piedino proprio lì (riacquistando al contempo la perfetta simmetria oculistica) vale tutto il film, grazie anche all’espressione di lui…
La calda bestia di Spielberg
Un paese immaginario, retto da una dittatura feroce; un castello simile ad una fortezza perso nella foresta.
In quel castello viene mandata come direttrice Helga, una bellissima quanto feroce e sadica donna che da quel momento dirigerà quella che è a tutti gli effetti una prigione con pugno di ferro.
Ad accompagnarla c’è l’amante Hugo, e i due hanno immediatamente modo di mettersi crudelmente in mostra.
Nella fortezza arriva infatti Elizabeth Vogel, figlia di un capo della resistenza ed Helga, che è anche lesbica oltre che sadica decide di farne la sua amante.
Ma la ragazza le tiene testa, solo che ad un certo punto viene in pratica costretta a cedere alle turpi voglie dell’aguzzina da John, amico di suo padre; in questo modo la ragazza può godere di una relativa libertà e mettere in piedi un piano di fuga accompagnata dall’amica di prigionia Jenny.
La fuga riesce ma ad approfittarne sarà solo Elizabeth, perchè Jenny verrà ripresa e morirà sotto atroci torture.
Tuttavia lo Stilberg, la fortezza e la sua crudele direttrice hanno le ore contate: la resistenza ha la meglio e l’aguzzina paga il fio delle sue colpe.
La calda bestia di Spilberg, conosciuto all’estero come Helga la louve de Stilberg è un film sulla falsariga dei tanti nazi explotaition che imperversavano dopo il 1975 sugli schermi italiani.
A dirigere la pellicola c’è il regista francese Patrice Rondard, alias Patrice Rhomm, alias Alain Garnier, alias Alian Payet: una confusione di nomi che, unita alle varie traduzioni del titolo ingenererà una confusione indescrivibile.
Il regista, autore anche di Helsa fraulein SS (questo si un nazisploitation), in pratica gira due film utilizzando come attrici principali Malisa Longo e Patrizia Gori.
Due film che hanno in comune una certa cura, che generalmente manca a molti altri prodotti “eros svastica” ma che ovviamente vanno presi per quello che sono.
In particolare La calda bestia di Spilberg (perchè Spilberg se in francese è Stilberg?) non presenta alcun elemento particolarmente interessante se non gli stereotipi classici del genere.
C’è la perfida direttrice (una bravissima e bellissima Malisa Longo), il solito amante bamboccione, la solita patriota e la solita amica della patriota che muore torturata.
Da questo si capisce che il film, se si escludono le performance erotiche delle due belle protagoniste, ovvero Patrizia Gori e Malisa Longo, altro non è che un mero pretesto per mostrare le due eroine impegnate in atti saffici o di nulla vestite, come la mamma ha fatto.
A cambiare per una volta (ma la cosa non ha invero alcuna importanza) è la sceneggiatura che sostituisce ai soliti nazisti ingrifati e sadici una dittatura di un posto immaginario.
In effetti è tutto qua.
Il film segue un andamento visto tante volte con il solito finale alla delitto e castigo; la cattivona Helsa finisce ammazzata, la brava ragazza Elizabeth, patriota e quindi degna della massima considerazione dopo essersi sacrificata per la “patria”, cedendo alle turpi voglie della direttrice, troverà l’agognata libertà mentre i patrioti abbattono il regime dittatoriale.
Da vedere solo ed esclusivamente per la presenza della Longo
La Calda Bestia Di Spilberg (Helga La Louve De Spilberg), un film di Patrice Rhomm (Alain Garnier), con Patrizia Gori, Malisa Longo, Dominique Aveline, Jean Cheruan, Claude Janna, Jacques Marbeuf, Olivier Mathot, C. Noe’, Carmelo Petix, Pamela Stanford. Erotico, Francia 1977
Patrizia Gori … Elisabeth Vogel
Malisa Longo … Helga
Richard Lemieuvre … John
Dominique Aveline … Hugo Lombardi
Alban Ceray … Sergente
Jacques Marbeuf … Dottore
Jean Cherlian … Un consigliere
Claude Janna … Prigioniero
Olivier Mathot … Generale Gomez
Diretto da Patrice Rhomm
Prodotto da Daniel e Marius Lesoeur
Musiche di Daniel White
Editing Claude Gros
Giochi erotici di una famiglia perbene
Titolo idiota per un film che di erotico non ha praticamente nulla e che andrebbe inquadrato nel filone dei gialli/thriller, non fosse per alcuni particolari, come una sceneggiatura da brividi (in senso negativo) e l’interpretazione da prima recita in un asilo infantile del protagonista Donald O’Brien che pure nel corso della sua carriera qualcosa di buono l’ha fatta.
Purtroppo quando si è costretti a recitare con un soggetto sceneggiato in maniera molto approssimativa e sopratutto quando si è diretti da un regista come Francesco Degli Espinosa che nel corso della sua carriera ha diretto (per fortuna) solo due film( l’altro dei quali è C’era una volta questo pazzo pazzo west) si corre questo rischio.
A completare il fosco quadro ci pensa Renato Polselli, autore sia della sceneggiatura sia in buona parte dell’allestimento della pellicola.
La trama, ridotta all’osso, anche perchè c’è ben poco da spiegare, racconta delle vicende del professor Rossi, stimato e irreprensibile difensore della moralità (tanto da essere anche un alto esponente della lega che vuole eliminare il divorzio dall’ordinamento sociale) che, rientrando in casa, scopre di essere becco.
La moglie ha infatti una relazione adulterina con quello che il miope professore crede essere un uomo, mentre in realtà è una donna, la bellissima Eva che è truccata con parrucca e baffi per ingannarlo.
Infatti Eva ed Elisa (la moglie di Rossi), sono in combutta; ma questo Rossi non lo sa ed avvelena la moglie per poi portarla in stato di semi incoscienza in riva ad un lago, dove la getta convinto di essersi liberato della moglie fedifraga.
In realtà Elisa non è affatto morta e ha simulato il tutto proprio con l’aiuto di Eva, che in seguito aggancia Rossi e ne diviene l’amante.
A complicare la situazione ci si mette anche la bella e un tantino sporcacciona nipote di Rossi, Barbara, che allaccia con l’uomo una relazione incestuosa.
Nel frattempo Elisa prende a tormentare Rossi fingendosi un fantasma, portando l’uomo quasi sulla soglia della pazzia.
Ma con il classico colpo di scena Riccardo Rossi scopre che la moglie è viva e che se la intende proprio con Eva e le uccide entrambe, questa volta con una pistola.
Ma l’uomo ha fatto i conti senza l’oste, la bella e perversa Barbara, che uccide lo zio e dopo aver caricato i corpi dei tre in un auto fa esplodere la stessa facendola precipitare giù per un dirupo.
Ma il castigo è in agguato…
Elisa e Eva le due complici/amanti
Come già detto Giochi erotici di una famiglia perbene già in partenza ha tutto per scoraggiare la visione del film stesso: una brutta sceneggiatura, improbabile e comunque scontata con in aggiunta la presenza in fase recitativa del rozzo e inespressivo Donald O’Brien, adattissimo a ruoli di duro nei western e inadattissimo a ruoli drammatici.
In aggiunta c’è la difficoltà di reggere il film con lo scarso cast a disposizione, che presuppone dietro la macchina da presa la presenza di un regista del calibro di Argento, Fulci o Bava.
Poichè Francesco Degli Espinosa non è nessuno dei tre, ecco il fallimento totale della pellicola in agguato, non fosse per la presenza delle due bellissime e valide protagoniste del film, Erika Blanc e Malisa Longo.
Inespressiva, nonostante la caratterizzazione da porcellina del personaggio di Barbara la recitazione di Maria D’Incoronato.
Film barboso e palloso oltre il limite di guardia, quindi; non fosse per i fugaci nudi della Blanc e della Longo che appagano almeno a livello visivo il voyeur che è in ognuno di noi, di questo film non ci sarebbe nemmeno da fare menzione.
Giochi erotici di una famiglia perbene, un film di Francesco Degli Espinosa, con Erika Blanc, Malisa Longo, Maria D’Incoronato, Donald O’ Brien Giallo Italia 1975
Donald O’Brien … Professor Riccardo Rossi
Erika Blanc … Eva
Malisa Longo … Elisa Rossi
Maria D’Incoronato … Barbara
Regia : Francesco Degli Espinosa
Sceneggiatura: Renato Polselli
Soggetto: Renato Polselli
Musiche: Felice Di Stefano,Gianfranco Di Stefano
Editing: Roberto Colangeli
L’adolescente (di Alfonso Brescia)
Vito e Grazia, due siciliani, hanno in comune un obiettivo, sposarsi.
L’uomo perchè mira a trovare una donna possibilmente facoltosa, la donna perchè costretta dal padre a lavorare nella farmacia di famiglia senza possibilità di vivere la propria vita.
Così fatalmente Vito rivolge le sue attenzioni proprio sulla donna, che naturalmente accetta la corte dell’uomo, anche perchè legata ad un uomo sposato; Grazia spera così di essere libera di poter frequentare il suo amante.
Una splendida Daniela Giordano è Grazia
Dopo un incontro compromettente in un albergo,organizzato furbescamente dalla donna e conclusosi con uno scandalo (la donna esce completamente nuda per i corridoi dell’albergo) Vito è “costretto” a sposare Grazia , dopo che Don Salvatore,il padre, muore per un attacco cardiaco quando la donna racconta la sua avventura.
I novelli sposi così prendono a vivere insieme, ma lo sventurato Vito scopre ben presto che la moglie non ha alcuna intenzione di consumare il matrimonio, adducendo la scusa del trauma subito alla morte del padre.
Tuttavia i due riescono a trovare un modus vivendi accettabile; mentre Vito si consola con la bella segretaria del suocero, Grazia riprende la sua relazione con l’amante.
Un giorno,a casa dei due coniugi, arriva la nipote di Grazia, la bella Serenella.
Vito si ritrova così in casa un’autentica lolita che con molta malizia lo provoca in continuazione; la ragazza ha però un obiettivo ben preciso, ovvero scatenare uno scandalo in cui vengano coinvolti i due coniugi, in modo da poter ereditare i beni del defunto Don Salvatore.
Con delle manovre furbissime, la ragazza riesce a coinvolgere in uno scandalo i due coniugi, in un finale in cui tutti i protagonisti si ritrovano faccia a faccia, per la resa dei conti.
Al povero Vito non resta altro da fare che lasciare con le pive nel sacco la moglie e la casa in cui viveva.
L’adolescente, per la regia di Alfonso Brescia, è una commedia sexy del 1976, inquadrabile nel filone “parentale”, quello per intenderci a cui appartengono film come Peccati in famiglia, La nipote, Grazie nonna ecc.Un film senza nessuna dote particolare eccezion fatta per il cast di buon livello che vi partecipa; si va dalla splendida Daniela Giordano, che interpreta Grazia alla nipotina Sonia Viviani, volto d’angelo su corpo da peccatrice, che dà corpo al personaggio di Serenella, l’adolescente furba come una volpe; ancora, in un ruolo marginale, Dagmar Lassander, la segretaria del vecchio farmacista, Tuccio Musumeci, che interpreta lo scalognato Vito e infine Aldo Giuffrè, il maresciallo dei carabinieri del paese “dove non succede mai niente”e infine Malisa Longo, quasi irriconoscibile, nel ruolo della dottoressa femminista e lesbica Frau Marlene.
Basato su una trama scontatissima,L’adolescente gioca tutte le sue carte sulla presenza scenica delle belle protagoniste, nude quanto basta per dare un tocco di erotismo ad una vicenda senza alcun mordente o interesse.
Brescia, nelle cui corde sicuramente non c’era la commedia brillante, fatica non poco a dare interesse al film, che scivola malinconicamente tra battute scontate e situazioni già viste molte volte.
In sostanza, una commedia quasi indistinguibile dalla marea di altri prodotti che popolarono gli schermi negli anni settanta.
L’adolescente, un film di Alfonso Brescia. Con Tuccio Musumeci, Daniela Giordano , Sonia Viviani, Dagmar Lassander,Aldo Giuffré, Giacomo Furia, Malisa Longo, Maria Bosco
Commedia, durata 92 min. – Italia 1976.
Tuccio Musumeci -Vito Gnaula
Daniela Giordano- Grazia Serritella
Sonia Viviani-Serenella
Marcello Martana -Appuntato Bragadin
Giacomo Furia-Il notaio
Raffaele Sparanero -Antonio
Franca Scagnetti -Carmeluzza
Malisa Longo-Frau Marlene
Dagmar Lassander-Katia Solvj
Aldo Giuffrè-Maresciallo dei carabinieri
Regia: Alfonso Brescia
Sceneggiatura:Alfonso Brescia, Aldo Crudo,Aldo Crudo,Piero Regnoli
Musiche:Alessandro Alessandroni
Fotografia:Silvio Fraschetti
Montaggio:Liliana Serra
Art Direction:Mimmo Scavia
Curiosa commediaccia Anni Settanta, che alterna cose basse a cose non disprezzabili. Notevoli Musumeci e la stupenda Daniela Giordano (mai vista così brava), leziosa la Viviani, diabolicamente angelica. Ruolo cospicuo per la Scagnetti e apparizione per Giacomo Furia! Finché il film ha una sua originalità (i primi 30’) pare pure fresco, poi cala molto, perdendosi in ampie parentesi che paiono destinate solo al metraggio (nel duetto Giuffrè-Musumeci si notano la bravura dei due e la sostanziale inutilità del siparietto) e in deus ex machina assai improbabili. Guardabile.
È inutile girarci intorno: il soggetto viene dal celebre libro di Nabokov (forse più che dal film diretto da Kubrick), ma la sceneggiatura è firmata da Piero Regnoli e la regia da Alfonso Brescia con conseguenze non trascurabili sul piano dei contenuti, privati di ogni stimolo riflessivo. Per fortuna c’è Sonia Viviani (all’epoca appena maggiorenne), Serenella di nome e di fatto, attorniata da caratteristi di classe e da altre due notevoli bellezze (Malisa Longo e Dagmar Lassander). A patto di scollegare il cervello, ci si diverte parecchio.
Film curioso che punta tutto sulla bellissima Sonia Viviani (sfruttata poco dal nostro cinema a mio parere), allora diciottenne. Trama particolare, non è certamente un capolavoro ma non mi sento di stroncarlo. Contando poi la qualità delle commedie sexy di quegli anni… diciamo che una sufficienza piena ci sta.
I frati rossi
Siamo sul finire degli anni ottanta.
Il nuovo proprietario di un bella villa in stile piccolo castello và in visita alla sua proprietà.
Nello splendido parco che circonda la costruzione incontra una misteriosa ragazza che suona il violino, che gli rivolge poche e misteriose parole.
Una presenza misteriosa nella villa…
L’uomo entra in casa e vede una splendida donna nuda che lo invita a seguirlo. Incuriosito, l’uomo la segue nei sotterranei della costruzione ma mal gliene incombe perchè finisce decapitato.
La storia ci porta poi indietro nel tempo, approssimativamente negli anni trenta.
Un nobile, Roberto Gherghi, che ha acquistato la villa, incontra nel parco della stessa una bella ragazza che si è rifugiata su di un albero per sfuggire al cane del nobile; l’uomo la aiuta a scendere e intavola con lei un’amichevole conversazione.
Tra i due nasce l’amore e li vediamo sposati poco dopo.
Lei, Ramona, è una giovane artista e segue ovviamente il marito nella villa, dove fa conoscenza con Prisicilla, una strana figura a metà strada tra l’istitutrice e la cameriera. La donna è palesemente ostile nei confronti di Ramona, che dal giorno stesso del matrimonio si trova a convivere con un marito che dopo pochi giorni si assenta da casa adducendo misteriosi impegni di lavoro, che non la tocca lasciandola inspiegabilmente vergine e infine con Priscilla sempre più ostile e con una casa che sembra nascondere oscuri segreti.
Ben presto i motivi del misterioso comportamento di Roberto diventano chiari, così come l’atteggiamento di Priscilla; il nobile subisce l’influsso di una misteriosa organizzazione di uomini incappucciati, simili ai templari nelle vesti, che vogliono che Roberto conservi pura la donna per un atto sacrificale che dovrà svolgersi in un giorno prestabilito, in cui deve avvenire un fenomeno astrale ben preciso.
Lo stesso Roberto ha una relazione intima con Priscilla e Ramona lo scoprirà nel peggiore dei modi, sorprendendo i due amanti a letto.
Lara Wendel
L’unica consolazione per Ramona è la presenza di Lucylle, una giovane cameriera che il marito ha assunto per aiutare Ramona nelle faccende domestiche; ma la ragazza finirà decapitata e la sua testa, infilata in un cestino da picnic, sarà rinvenuta, con sommo orrore, proprio da Ramona.
Ma la storia è destinata a complicarsi, quando dal passato compare la figura di un nobile che aveva violentato una bella zingara, che ha le stesse sembianze di Ramona; l’uomo poi aveva sposato la donna, perchè aveva finito con l’innamorarsene, e quando sopratutto Ramona scopre il ritratto di un’antenata del primo proprietario della villa, il nobile violentatore, in tutto e per tutto assomigliante a lei.
Sarà proprio questa combinazione a……
I frati rossi di Gianni Martucci, datato 1988 tenta di riportare in auge il gotico italiano con risultati assolutamente deludenti.
Il film risente innanzi tutto del basso budget, cosa che costringe l’autore ad arrangiarsi con pochissimi attori e sopratutto a lesinare sui mezzi tecnici e sugli effetti visivi.
Non sorretto da una sceneggiatura chiara, anzi, penalizzato da paurosi buchi oltre che da incongruenze inspiegabili (si veda la scena iniziale, con la misteriosa bionda che decapita il neo proprietario della villa), il film si barcamena tra il tentativo di essere credibile quando tenta di creare un’atmosfera adeguata durante le visite che Ramona fà nei sotterranei, dapprima con Lucylle e poi da sola e la necessità di giustificare la presenza dei Frati rossi, le cui azioni con relative motivazioni restano davvero nebulose.
L’antenata di Ramona prima dello stupro
Ad aggravare il tutto arriva la solita leggenda che si trasforma in realtà, ovvero il nobile che si innamora della zingara che ha violentato e che la consacra alle forze del male con il classico rituale a metà strada tra il pagano e il demoniaco.
La storia quindi arriva ad u finale quanto meno singolare, che non svelo per ovvi motivi; un finale però davvero poco in linea con quanto visto durante il film e che aggrava la sensazione di confusione che regna nella trama.
Il cast è però all’altezza ed eleva dall’assoluta mediocrità il film; bene le due protagoniste, Lara Wendel che interpreta Ramona e Malisa Longo che interpreta Priscilla.
Gerardo Amato è sufficiente nella parte del nobile Roberto Garlini, discreta è la fotografia e la location.
Purtroppo il livello del cinema di genere horror/thriller, negli anni 80, risentì di una generale crisi di idee; il meglio era stato già prodotto negli anni sessanta e per buona parte degli anni settanta.
L’ influenza di Bava su quest’opera è appena percettibile in alcune sequenze, ben lontane però dalle atmosfere del maestro, così come l’espediente di citare Fulci nei titoli quasi il regista avesse a che fare con questa pellicola risulta più un boomerang che altro.
Film davvero modesto, che è anche il penultimo della carriera della Wendel, che si chiuderà con un altro film mediocre, La villa del venerdi di Mauro Bolognini e che è anche l’ultima opera degna di un minimo di rilievo di Malisa Longo, che in futuro lavorerà solo con Brass in Miranda e Snack Bar Budapest e in un terrificante Pierino.
Da segnalare, infine, che la versione internazionale contiene alcune sequenze non presenti nella versione italiana; il trailer del film non inganni, perchè è di gran lunga più interessante del film stesso.
I frati rossi, un film di Gianni Martucci. Con Gerardo Amato, Lara Wendel, Chuck Valenti, Malisa Longo,Ronald Russo
Titolo originale The Red Monks. Horror, durata 91 min. – Italia 1988.
Gerardo Amato è Roberto Garlini
Lara Wendel è Ramona Curtis
Malisa Longo è Priscilla
Regia: Gianni Martucci
Sceneggiatura: Pino Buricchi, Gianni Martucci
Soggetto : Luciana Anna Spacca, Pino Buricchi
Produzione: Pino Buricchi, Lucio Fulci
Musiche: Paolo Rustichelli
Editing: Vanio Amici
Costumi:Silvio Laurenzi
Il cast è interessante e, tutto sommato, anche la storia: che si inserisce nel filone del gotico italiano. Ma lo fa fuori tempo massimo e la vicenda del castello e degli influssi astrologici cui la confraternita dei Frati Rossi vuole dedicare un sacrificio umano (Lara Wendel), appare debolmente portata sullo schermo, causa assenza di gore e nudità – magari – più insistite. Celebre per la controversia con Fulci (citato in locandina) non è poi film da disprezzare del tutto. Martucci ha firmato un paio di sexy commedie interessanti (La collegiale).
L’aria è proprio quella che si respira nella serie “Lucio Fulci presenta” e negli horror Reteitalia, tipici per il loro very-low budget; eppure qui la qualità è superiore, grazie ad una storia piuttosto avvincente, che privilegia l’atmosfera – valorizzata dalla fotografia dei sotterranei della villa – piuttosto che lo splatter, praticamente assente. Amato lavora con professionalità, la Wendel ha un aspetto più adulto rispetto al passato, ma è sempre prodiga di nudi integrali; la Longo pare rifarsi alla Iris di Buio Omega.
Chi sono mai questi frati rossi e cosa vogliono? Difficile capirlo anche a visione terminata. Colpa di una sceneggiatura poco chiara e con alcuni momenti davvero risibili e deliranti, che contribuisce notevolmente ad affondare un film per nulla coinvolgente. Suspence e splatter banditi in modo ingiustificato. Poco da salvare anche se c’è di peggio.
Indicibile boiata italica ottantiana, colpevolmente pubblicizzata con una presunta partecipazione di Fulci; ovvio che il Maestro con questo obbrobrio non abbia nulla a che fare. Basti dire che la cosa migliore sono i titoli di testa, con la grafica che riprende quella della locandina; per il resto tabula rasa, a parte qualche discreto movimento di mdp. Attori spaesati, sceneggiatura incomprensibile, tensione pari a zero, spfx pressoché inesistenti, location sciatte. In genere sostengo i B-movie, specialmente nostrani, ma qui non c’è speranza.
Bruttissimo e spentissimo film dell’orrore, dalla trama nemmeno poi così ridicola, ma che viene rovinato sia dal cast non eccezionale, sia dalla mancanza di nudi e scene puramente dell’orrore. Famoso per la controversia con Fulci che pare non ebbe colpe per questo disastro. Scadente.
È grazie a pasticci del genere che non amo il gotico. Noiosissimo, sembra un film della serie “Maestri del thriller” sia per la pochezza della messinscena che per la qualità. Ma qui non c’è il buffo tocco trash dei film di quel ciclo e non lo si può guardare nemmeno per farsi una risata. La confezione è ottima (cito la fotografia), ma la regia non ha classe né spigliatezza. Il tentativo di rilanciare il gotico (per quanto me ne possa importare…) lo apprezzo, ma la visione è tempo sprecato. Bellissima però la locandina (in stile minimalista).
Sembra un horror Mediaset ma non lo è. Sembra uno dei film della serie “I maestri del thriller” ma non lo è. Eppure il budget inesistente è evidentissimo. La fotografia è mediocre, la scenografia è scarna, gli effetti speciali inesistenti (forse esiste una versione uncut, chi lo sa) che a detta di alcuni vennero supervisionati da Fulci in persona (anche produttore). Scialba sceneggiatura, che altrimenti poteva trasformare il film in un piccolo cult: invece… Per lo meno c’è Gerardo Placido e qualche scena di nudo della Wendel. Mediocre.
Le guerriere dal seno nudo (Le Amazzoni di Terence Young)
Tra la combattiva gente delle Amazzoni è tempo di scegliere la nuova regina; tutte le aspiranti al trono scendono in campo.
Le migliori atlete Amazzoni si sfidano in gare molto dure, e alla fine la vincitrice è la bella e biondissima Antiope, che sconfigge in gara anche sua sorella Oreteia.
Antiope ripristina l’antica regola che vigeva tra le Amazzoni, ovvero un misto di disciplina militare con una castità assoluta.
Alena Johnston è la regina Antiope
Instaura infatti il divieto di avere rapporti con uomini, salvo una volta all’anno per motivi di procreazione.
Così, per il rituale accoppiamento, vengono scelti dei greci, ai quali viene promesso in cambio del rame, materiale molto prezioso per i greci stessi.
Ma Teseo, re dei greci, decide di tendere una trappola alle Amazzoni, facendole attaccare dagli Sciti, salvo poi attaccare gli stessi Sciti per presentarsi alla guerriere come il loro salvatore.
Luciana Paluzzi
Antiope, che ha scoperto il trucco, dopo aver sventato anche una congiura di palazzo ai suoi danni ordita dalla sorella Oreteia, decide di uccidere i greci durante l’ultima delle notti d’amore tra greci e Amazzoni.
Dopo una serie di alterne vicende, Antiope accetterà di far convivere pacificamente greci e Amazzoni, rinunciando cosi ai retaggi del passato.
Rosanna Yanni
Le guerriere dal seno nudo, film del 1974 diretto dal regista Terence Young è un sorprendente prodotto che mescola vari generi, usando come spunto il peplum per diventare, durante lo svolgimento, dapprima una parodia in chiave moderatamente sexy e infine un film quasi drammatico.
La storia è ben congegnata, e mescola elementi tipici di più generi; se la base è essenzialmente peplum,visto che il film narra la vicenda del conflitto tra due antichi popoli, le semi leggendarie amazzoni e i greci guidati da Teseo, si nota nella pellicola una affiorante vis comica che rende alcuni passaggi abbastanza buffi.
Ma il film resta comunque drammatico, almeno nel suo svolgimento e nel suo finale, con più di un accenno ad un femminismo ante litteram, testimoniato da una società, quella delle Amazzoni, retta e governata esclusivamente al femminile, in cui il ruolo del maschio è decisamente marginale se non addirittura riduttivo, visto che i greci, nel film, sono ridotti al ruolo di stalloni.
Young strizza anche l’occhio al cinema sexy, spogliando le sue belle interpreti senza però usare una malizia eccessiva; se è vero che nel film ci sono molti nudi, è anche vero che l’erotismo è molto limitato se non addirittura inesistente.
Il regista, infatti, punta molto sull’avvenenza delle protagoniste non inserendole però nel solito contesto godereccio; le scene in cui le Amazzoni sono in tenero colloquio con i greci infatti costituiscono più un supporto alla storia (intrighi, vendette, tentativi di avvelenamento ecc)
che un mero tentativo di strizzare l’occhio al solito spettatore guardone.
Il cast è ben assortito, includendo attrici davvero avvenenti come Helga Linè, Malisa Longo e Rosanna Yanni oltre alla vera protagonista Alena Johnston che interpreta la regina Antiope e alla splendida Luciana Paluzzi, qui in un ruolo da comprimaria.
Un buon prodotto, insomma, di un regista capace, autore fra l’altro del primo leggendario 007 e di Sole rosso, un western atipico girato negli anni 70 con un gran bel cast.
Da notare che l’anno dopo venne immesso sul mercato cinematografico Le Amazzoni-Donne d’amore e di guerra di Alfonso Brescia, discreto prodotto ma nulla più.
Le guerriere dal seno nudo – Le amazzoni di Terence Young,un film di Terence Young. Con Luciana Paluzzi, Fausto Tozzi, Angelo Infanti, Alena Johnston, Sabine Sun, Helga Liné, Malisa Longo
Avventura, durata 92 min. – Italia 1974.
Alena Johnston … Antiope
Sabine Sun … Oretheia
Rosanna Yanni … Penthesilea
Helga Liné … Grande sacerdotessa
Rebecca Potok … Melanippe
Malisa Longo … Leuthera
Lucy Tiller … Alana
Almut Berg … Cynara
Luciana Paluzzi … Phaedra
Angelo Infanti … Theseus
Fausto Tozzi … Generale
Ángel del Pozo … Capitano
Franco Borelli … Perithous
Benito Stefanelli … Comandante
Regia: Terence Young
Sceneggiatura: Richard Aubrey, Massimo De Rita
Prodotto da: Nino Crisma, José García Moreno,Gregorio Sacristán
Musiche: Riz Ortolani
Editing: Roger Dwyre
Production Design: Mario Garbuglia
Decameron proibitissimo-Boccaccio mio statte zitto
Mentre a Firenze infuria la peste, un gruppo di persone, giovani e ragazze, si rifugia in una villa, dove il solito cantastorie, per rallegrare l’ambiente, racconta alcune novelle con protagonisti mariti cornuti, frati gaudenti e mogli furbe.
Nella prima novella raccontata, donna Piccarda, una splendida contadina (con spiccato accento napoletano), decide di beffare frate Pasquale, il solito frate puttaniere che la insidia da tempo.
La donna, aiutata dai fratelli, riesce a farsi sostituire da una sua sguattera brutta come un debito; Piccarda, mandato a chiamare il vescovo, fà sorprendere l’ignaro Pasquale fra le braccia della cameriera, con ovvie risate sotto i baffi degli autori della beffa.
La seconda novella racconta di come Guidobaldo venga beffato da uno spasimante della moglie; l’uomo manda una zingara a vaticinare a Guidobaldo la morte se solo si avvicina carnalmente alla moglie.
Guidobaldo così fa giacere lo spasimante con la moglie; l’uomo finge di essere morto, e viene quindi trasportato nel bosco.
Li viene raggiunto dalla zingara che incassa il premio pattuito.
Nella successiva, un povero fraticello conosce una bella campagnola e per poter giacere con lei, la introduce nel convento vestita da frate.
Ma il priore scopre il tutto, e fingendo di indignarsi, costringe il fraticello alla penitenza mentre lui si gode le grazie della ragazza.
La quarta novella vede protagonista madonna Brunetta.
La donna è afflitta dalla gelosia del marito, ma trova il modo di farlo cornuto; scoperta una parete di mattoni che divide la sua camera da quella di un pittore, finge di volersi confessare e racconta al marito, che si spaccia per un frate, di essere visitata ogni notte proprio da un altro frate.
Il marito monta la guardia davanti casa, mentre si scatena il diluvio: madonna Brunetta invece si gode la sua notte d’amore con il pittore.
La penultima novella vede un giovane nobile rapinato di tutto, incluso i vestiti, dai briganti; l’uomo viene accolto dalla bella moglie di un contadino e naturalmente se la gode.
Il marito, scoperto l’inganno, viene denudato dalla moglie e arrestato dai soldati.
L’ultima novella racconta della beffa ordita da un servitore ai danni del barone Agilulfo, che ovviamente ha una bellissima moglie.
Il servitore riesce a introdursi nel letto della moglie del barone, ma quest’ultimo per identificare colui che gli ha insidiato la moglie, gli taglia un ciuffo di capelli.
Il giorno dopo tutto è pronto per l’esecuzione del furbo servitore, il quale però, nella notte, ha fatto tagliare i capelli ai suoi colleghi.
Decameron proibitissimo-Boccaccio mio statti zitto appartiene alla florida serie dei decamerotici, ai quali non aggiunge nulla; siamo di fronte alle solite beffe che con Boccaccio nulla hanno a che vedere.
Il pretesto è il solito, ovvero mostrare quanta più epidermide possibile delle attricette che costellano il film.
Il regista,Franco Martinelli, porta sullo schermo un soggetto di Bruno Corbucci, creando una serie di novelle che quanto meno sono sgangherate in maniera inferiore rispetto a tanti titoli similari.
Nel cast figurano Malisa Longo, la moglie di Agilulfo, Riccardo Garrone, il conte Guidobaldo, Letizia Lehir, la moglie di quest’ultimo, Franco Agostini, che interpreta Rufolo, il racconta storie, Gianni Musy, che interpreta Agilulfo. Piccola parte per la immancabile Carla Mancini, in una delle sue innumerevoli interpretazioni di una cameriera.
Donna Piccarda, la protagonista della prima novella, ciuramente la più riuscita è la bella Krista Nell; piccolo cameo per Maurizio Merli, Pupo De Luca è Fra Pasquale, che passerà un’ora di passione con Adriana Facchetti, imbruttita più del solito.
Null’altro da aggiungere su un film senza infamia e senza lode.
Decamerone proibitissimo – Boccaccio mio statte zitto, un film di Franco Martinelli. Con Franco Agostini, Enzo Andronico, Alberto Atenari, Bruna Beani, Adriana Facchetti, Riccardo Garrone, Krista Nell, Sergio Serafini, Galliano Sbarra, Maurizio Merli, Malisa Longo, Carla Mancini, Leonora Vivaldi
Erotico, durata 92 min. – Italia 1972.
Franco Agostini … Rufolo da Chioggia
Enzo Andronico … Gervasio
Bruna Beani … Brunetta
Antonio Cantafora … Fra’ Domenico
Fortunato Cecilia … Giannozzo
Marzia Damon … Martina
Adriana Facchetti … Ciuda la serva
Riccardo Garrone … Guidobaldo
Ennio Girolami … Rinaldo
Letizia Lehir … Contessa Floriana
Carla Mancini … La cameriera della Baroness Elena
Maurizio Merli … Cecco amico di Rinaldo
Gianni Musy … Barone Agilulfo
Krista Nell … Donna Piccarda
Memè Perlini … Guido
Sergio Serafini … Rainero
Mauro Vestri … Amico di Rainero
Eleonora Vivaldi … Marcolfa
Malisa Longo … Baronessa Elena
Salvatore Baccaro … Brigante
Pupo De Luca … Fra’ Pasquale
Jess Hahn … Priore
Regia Franco Martinelli
Soggetto Mario Amendola dalle novelle del Decameron di Giovanni Boccaccio
Sceneggiatura Bruno Corbucci
Casa di produzione Claudia Cinematografica
Distribuzione (Italia) Fida Cinematografica
Fotografia Remo Grisanti
Montaggio Carlo Reali
Musiche Roberto Pregadio
Scenografia Antonio Visone