Blow up
Una macchina fotografica e una pellicola, l’ingrandimento di un fotogramma (il cosiddetto Blow up) possono diventare una rappresentazione della realtà, di quanto visto oppure possono diventare manipolabili? E’ attendibile una sequenza di foto? Oppure comunque tutto dipende dall’osservazione? E poi, la realtà cos’è e in cosa consiste? Guardando Blow up di Michelangelo Antonioni ci si pone queste e molte altre domande; del resto si tratta di uno dei film più analizzati e commentati della storia del cinema, che offre molte interpretazioni e molti spunti di riflessione.
Il grande regista italiano utilizza un racconto di Julio Cortazar,La bava del diavolo che fa parte di un gruppo di 5 racconti inseriti in un libro uscito in libreria con il titolo Las armas segretas modificandolo a modo suo per creare un film assolutamente unico, di difficile interpretazione univoca.I temi affrontati ( e affrontabili dallo spettatore) passano indifferentemente dal tenue confine tra sogno e realtà, mescolato all’incomunicabilità e all’isolamento dell’individuo nello specifico nella opulenta e contraddittoria società inglese. Affrontare quindi la trama del film è impresa improba,proprio per la difficoltà di distinguere le reali azioni del protagonista,uno straordinario David Hemmings, da quell’immaginario che lui vede o crede di vedere. Un rapporto con il reale che il protagonista media con la sua macchina fotografica, occhio meccanico che coadiuva,sostituisce integra quello umano,creando di fatto una vita parallela con quella quotidiana.
David Hemmings,uno tra i volti più anglosassoni immaginabili per la parte (come del resto Caine o Moore) si muove in uno scenario quasi onirico,sospeso tra un mondo che appare reale solo a tratti;è uno stimato ed apprezzato fotografo,forse un po frivolo ma in realtà il mondo nel quale si muove,la swinging london lo è altrettanto.Un mondo fatuo, in cui i rapporti umani contano poco.Disumano e disumanizzato,alienato per certi versi.
Thomas (questo il suo nome) è diventato anche lui un elemento inerte di quel mondo; eppure ha sentimenti,è un fotografo molto attento a ciò che avviene sotto i suoi occhi.Ma è anestetizzato, è figlio parzialmente incolpevole e inconsapevole della società inglese della metà degli anni sessanta;sta per realizzare un investimento,l’acquisto di una bottega antiquaria.Tuttavia non è affatto contento di se stesso e della sua vita; pur non avendo problemi con il lavoro e con le donne è inquieto e sfoga questa sua inquietudine girando ossessivamente alla ricerca di uno scatto,di qualcosa che lo ispiri davvero.
Durante una passeggiata davanti ad un parco Thomas nota due persone intente a scambiarsi effusioni;preso da un’istintiva curiosità,scatta alcune foto cercando di non farsi notare.
Ma una donna si accorge della sua presenza e lo insegue;Thomas si allontana e si rifugia nel suo studio dove viene raggiunto dalla misteriosa Jane,la donna del parco che gli chiede insistentemente il rullino. Con una mossa a sorpresa, Thomas consegna a Jane un rullino non sviluppato e una volta che la stessa si è allontanata decide di esaminare gli scatti fatti.La sorpresa e lo sconcerto sono evidenti:nella foto a Thomas sembra di vedere qualcuno che ha commesso un omicidio.Così il fotografo decide di investigare personalmente; recatosi al parco trova il corpo inanimato dell’amante di Jane.
Tornato in studio, scopre che tutto il materiale riguardante Jane,il parco e il presunto omicidio è stato portato via.Una corsa al parco,dopo una notte a base di droga,rivela a Thomas una verità sconcertante:non c’è alcuna traccia del corpo dell’uomo…
Blow up si conclude quindi in modo enigmatico,lasciando molte più domande e poche risposte rispetto all’assunto iniziale.A cosa abbiamo davvero assistito?Spazio all’immaginazione.
Dopo aver letto la trama,dopo aver visto il film, ci si interroga.Fatalmente,inevitabilmente.Ad una prima visione ed analisi alcune cose sembrano oscure,con una seconda visione appare qualche sprazzo di luce.Ma non è abbastanza.Tuttavia si può azzardare qualche ipotesi semplicemente analizzando l’opera del grande maestro.Il 1966 è un anno del tutto particolare;Londra è la capitale della cultura europea con Parigi,sembra esplodere con tutti i suoi fermenti,con la musica rock e pop che impazzano tra i giovani,con gli echi della contestazione giovanile,con le mode dei giovani che sembrano fare a brandelli un mondo che era immobile da tanto troppo tempo.
Antonioni si muove in silenzio su questo sfondo,cercando di mediare il personale del protagonista con il reale della vita londinese.Thomas sembra non capire bene il mondo in cui si muove.Un mondo moderno ma anche alienante;tutta la sua arte sembra perdersi nell’estraneante vita che lo circonda.E’ un fotografo,ma quello che vede sembra non conciliarsi con quello che la fotografia,mezzo meccanico infallibile e che non ha problemi di percezioni diverse da quello che impressiona in effetti gli produce.La realtà dei dormitori sulla quale inizialmente Thomas punta l’obiettivo è una delle facce della swinging london;una realtà pesante,oggettivamente.
Poi per Thomas arriva il momento fatidico,quello in cui deve confrontarsi inevitabilmente con quello che la sua macchina vede e quello che vede lui.Una realtà che non gli piace,ma anche una realtà che ha dei limiti:dove inizia e dove finisce quello che lui vede o crede di vedere?
E allora eccolo studiare un fotogramma,con il blow up,la tecnica che permette di ingrandire un particolare,per cercare una spiegazione reale (perchè tale è un fotogramma) a quello che lui ha visto o che forse crede di aver visto.Nel fotogramma Thomas “crede” di scorgere un omicidio,ma è realmente così? Quanto la sua mente sta sostituendo la realtà del fotogramma con l’immaginazione?Siamo già di fronte ad un bivio.
Nulla può essere reale,neanche quello che sembrerebbe per leggi naturali doverlo essere per forza;come può una pellicola ingannare?Eppure…A questo punto ci si perde:se nulla è reale,cosa è irreale?Domande su domande.
Antonioni arriva a Blow up dopo L’avventura, La notte,L’eclisse e Deserto rosso e poco prima (quattro anni) di Zabriskie Point.
Il suo percorso sull’umano arriva ad un punto fermo,determinante.Il viaggio sembra compiuto,ma non ci sono risposte,solo altre domande.E come Diogene che cercava l’uomo con la lanterna senza riuscirci,Antonioni vaga alla ricerca dell’impossibile spiegazione del reale.
Blow up è un film criptico in alcuni momenti,chiaro come un’alba in altri.
In mezzo c’è un viaggio lunghissimo,affascinante.Una storia che storia non è,quanto piuttosto un assieme di fotogrammi con una logica ferrea eppure a tratti sfuggente.Un viaggio senza fine,come testimoniano le sequenze finali,con la partita di tennis immaginaria giocata senza palline,con quei mimi che guardano statuari e con Thomas che guarda smarrito l’immenso campo verde ripreso dall’alto,sconsolato.Bello,affascinante,difficile.
Alcune delle qualità (per alcuni critici difetti) di un film che contrariamente a quanto pensato dal solito solone che lo definisce datato è invece uno straordinario viaggio senza meta e senza fine sull’uomo.Ottimo il cast,belle le musiche,bella la fotografia,affascinante la location londinese.Splendide e bravissime Sarah Miles, Vanessa Redgrave, Jane Birkin e la modella Veruschka
Un film impeccabile.Blow up è una delle cose più belle del cinema italiano, e ben se ne accorsero i francesi che l’anno successivo lo premiarono con la Palma d’oro,riconoscimento venuto dall’estero perchè i critici nostrani,si sa, hanno sempre amato i film afgani e coreani,mozambicani o di Timbuctu.
Irresistibile leggerezza dell’essere,quella dei critici.
Il film è in versione malauguratamente (scelleratamente) priva del finale su You tube,per cui non vale la pena segnalarla.Chi vuole però può visionare il film stesso in streaming all’indirizzo http://www.nowvideo.li/video/442e2ec849d6d
Blow-up
Un film di Michelangelo Antonioni. Con David Hemmings, Sarah Miles, Vanessa Redgrave, Jane Birkin, Peter Bowles, John Castle, Gillian Hills, Tsai Chin, Veruschka von Lehndorff, Julian Chagrin, Claude Chagrin, Jeff Beck, Susan Broderick, Chris Dreja, Melanie Hampshire, Harry Hutchinson, Jill Kennington, Mary Khal, Chas Lawther, Jim McCarthy, Peggy Moffitt, Jimmy Page, Ronan O’Casey, Rosaleen Murray, Ann Norman, Keith Relf, Janet Street-Porter, Reg Wilkins Commedia, durata 108 min. – Gran Bretagna, Italia 1966.
David Hemmings: Thomas
Vanessa Redgrave: Jane
Sarah Miles: Patricia
John Castle: Bill, il pittore
Jane Birkin: una ragazza bionda
Gillian Hills: una ragazza bionda
Peter Bowles: Ron
Veruschka: modella
Julian Chagrin: mimo
Claude Chagrin: mimo
Regia Michelangelo Antonioni
Soggetto Michelangelo Antonioni, Julio Cortázar
Sceneggiatura Michelangelo Antonioni, Edward Bond, Tonino Guerra
Produttore Carlo Ponti, Pierre Rouve
Casa di produzione Bridge Films
Fotografia Carlo Di Palma
Montaggio Frank Clarke
Musiche Herbie Hancock
Scenografia Assheton Gorton
Costumi Jocelyn Rickards
Trucco Stephanie Kaye, Paul Rabiger
Le bave del diavolo
Non si saprà mai come raccontarlo, se in prima persona o in seconda, usando la terza del plurale o inventando continuamente forme che non serviranno a niente. Se si potesse dire: io videro salire la luna, oppure: ci mi duole il fondo degli occhi, e soprattutto così: tu la donna boinda erano le nubi che continuano a correre davanti ai miei tuoi suoi nostri vostri visi. Che diavolo.
Una volta cominciato a raccontare se fosse possibile andare a prendere una birra da qualche parte e che la macchina andasse avanti da sola (perchè scrivo a macchina), sarebbe la perfezione. E non è un modo di dire. La perfezione, si, perchè qui il buco che si deve raccontare è anch’esso una macchina (d’altro genere, una Contax I.I.2), e potrebbe darsi che una macchina ne sappia a proposito di un’altra macchina più di me, di te, di lei-la donna bionda- e delle nuvole. Ma dello scemo ho soltanto la fortuna, e so che se me ne vado questa Remington resterà pietrificata sopra il tavolo con quell’aspetto di doppiamente immobili che hanno le cose che si muovono quando non si muovono. Allora devo scrivere. Uno di noi tutti deve scrivere, se tutto ciò deve essere raccontato. Meglio che lo faccia io che sono morto, che sono meno compromesso del resto; io che non vedo altro che le nubi e posso pensare senza distrarmi, scrivere senza distrarmi (ecco, ne passa un’altra con un orlo grigio), e ricordarmi senza distrarmi, io che sono morto (e vivo, non si tratta di ingannare nessuno, lo si vedrà quando verrà il momento opportuno, perchè in qualche modo devo pur procedere e ho cominciato da questa punta, quella posteriore, quella dell’inizio, che dopotutto è la migliore delle punte, quando si vuole raccontare qualcosa).
All’improvviso mi domando perchè mai devo raccontrlo, ma se uno cominciasse a domandarsi perchè fa tutto quello che fa, (…) Che io sappia, nessuno ha spiegato il perchè di questo, sicchè la cosa migliore è piantarla con i pudori e mettersi a raccontare, perchè dopotutto nessuno si vergogna di respirare o di mettersi le scarpe; sono cose che si fanno, e quando succede qualcosa di strano, quando dentro la scarpa troviamo un ragno o al respirare si sente come un vetro rotto, allora bisogna raccontare quello che succede, raccontarlo ai ragazzi dell’ufficio oppure al medico. Ahi, dottore, ogni volta che respiro…Raccontarlo sempre, sempre togliersi quel noioso stuzzichio allo stomaco. E già che stiamo per raccontarlo, mettiamo le cose un pò in ordine, scendiamo le scale di questa casa fino alla domenica 7 di novembre, giusto un mese fa. Si scendono cinque piani e ci si ritrova nella domenica, con un sole inaspettato, per un novembre a Parigi, con moltissima voglia di andarsene un pò in giro, a vedere cose, a fare fotografie (perchè eravamo fotografi, siamo fotografo). So bene che la cosa più difficfile sarà trovare il modo di raccontarlo, e non ho timore di ripetermi. (…..)
“La mia vita privata è già un tale pasticcio: sarebbe un disastro se…
E allora? Un disastro è quello che ci vuole, per vedere chiaro nelle cose.”
“Non ne posso più di Londra questa settimana
-Perché?
Perché non fa nulla per me…”
“Non è colpa mia se non c’è pace. C’è chi fa il torero, il deputato. Io faccio il fotografo…”
L’opinione di Fabio 1979 dal sito http://www.filmtv.it
(…) Blow-up costituisce una delle opere più celebri del regista ferrarese, fonte d’ispirazione dichiarata, nelle sue metafisiche ed enigmatiche speculazioni sulla percezione della realtà, sulle possibilità del cinema di coglierne ogni sfumatura, sulla sconfitta dello sguardo e il trionfo dell’illusione e dell’immaginazione, di opere come La conversazione di Coppola o Blow out di De Palma: la realtà è inconoscibile, conclude Antonioni, profetico nel sancire il dominio assoluto dell’immagine nella cultura del tempo, perchè a forza di scomporla, frammentarla e sezionarla l’occhio umano ne smarrisce la comprensione, perdendo di vista l’oggetto della sua indagine e illudendosi di riuscire ad interpretarla. Pur con alcune forzature eccessivamente compiaciute, la controversa materia è governata da Antonioni con ambiziosa e brillante ispirazione, sorretta dalla raffinatezza delle scelte stilistiche ed immersa nelle suggestive locations londinesi dei mid-Sixties, spumeggiante cornice ambientale di un thriller metafisico risolto, per assurdo, proprio nella desolante consapevolezza dell’impossibilità di un’investigazione. Fotografia, magnifica, di Carlo Di Palma, colonna sonora, strepitosa, di Herbie Hancock e Palma d’Oro al festival di Cannes.
L’opinione di Alessandro dal sito www.mymovies.com
C’è una frase di Proust che recita “Il vero viaggio, il vero bagno di giovinezza sarebbe poter guardare il mondo con gli occhi di un altro”. Credo che in questa frase si possa racchiudere il senso di questo film di Antonioni. Hemmings alla fine si arrende. Lui abituato a fotografare, a rubare immagini, volti, sentimenti si rende conto che nè lui nè il suo strumento sono necessari per guardare e capire la realtà. La realtà è ciò che vedo? Ciò che registra la mia macchina fotografica? La fotografia di ciò che ho fotografato? No la realtà è altro, e saper guardare oltre, è imparare a veder l’invisibile, ad ascoltare l’inudibile. Ecco quindi l’altro, il mimo, e la scelta di Hemmings che raccoglie la palla da tennis. Non vedo ma credo ugualmente a questa realtà, accetto il tuo gioco, consapevole della mia finitezza e della mia transitorietà. Assuefatti ad una società strabordante di immagini dovremmo riflettere su questa lezione e fermarci. Forse semplicemente per ascoltare il vento
L’opinione di Albert dal sito www.mymovies.com
Blow-up è uno dei migliori – se non il migliore – film di Antonioni, poichè il tema che sviluppa, cioè il rapporto tra la realtà e l’apparenza e il ruolo preponderante dell’immagine nella nostra epoca, è attualissimo e di straordinaria importanza nella nostra civiltà telematica e della comunicazione “virtuale”. Per questo motivo, a differenza di quanto ha scritto un altro critico (Mereghetti), il film non è affatto “datato”, ma è attualissimo. Rispetto al 1967, noi ora sappiamo quanto la manipolazione televisiva, il ruolo della pubblicità, il potere subdolo dei media nell’orientare l’opinione pubblica e le sue preferenze politiche e nelle scelte di consumatore, siano determinanti e pervasivi oggi. Nel film si parla di un delitto occulto, avvenuto sotto gli occhi del fotografo protagonista (Thomas), ma ricostruito solo attraverso le tecnologie e gli ingrandimenti fotografici, e della sfiducia di Thomas di poter arrivare alla verità, una volta che le foto sono state rubate, e il cadavere è stato fatto sparire. Come non pensare, ad esempio, al “delitto del secolo”, all’assassinio di John Kennedy, qualche anno prima del film, che ha drammaticamente dimostrato come, perfino in un omicidio avvenuto in pubblico, filmato e fotografato da più persone, dopo oltre 40 anni ci si chieda ancora come siano andati i fatti, e se gli omicidi siano stati più di uno, contro la verità “ufficiale” e manipolata del governo e della commissione Warren, dell'”assassino solitario”. Il tema “filosofico” della realtà e dell’apparenza, e delle manipolazioni tecnologiche della verità, rendono quindi questo film ancor più bello e attuale, dopo 40 anni. Significativo il fatto che Thomas, nel suo spirito anarcoide e nella sua sfiducia nelle istituzioni, esiti a rivolgersi alla polizia, ma cerchi una soluzione personale, emblema del problema endemico del distacco tra cittadini e istituzioni, e dello scetticismo nella possibilità di arrivare alla verità e ottenere giustizia rivolgendosi al potere. L’unico appunto che si può muovere al film, riguarda la tipica “antonioniana” lunghezza e lentezza delle inquadrature, la mancanza di dialoghi, ma in considerazione del tema proposto, questa scelta espressiva tutto sommato accentua la tensione psicologica e il dramma personale del protagonista. Sarebbe invece sbagliato criticare la relativa “lentezza” del film inquadrandolo nella categoria dei “gialli”. Blow-up non è un thriller, è una riflessione filosofica ed esistenziale sull’isolamento dell’individuo nella società di oggi, e sulla sua impotenza di fronte alla manipolazione della realtà da parte della tecnologia e del potere.
Opinioni dal sito www.davinotti.com
L’opinione di Galbo
Profonda riflessione sul potere dell’immagine in uno dei film più riusciti del complesso percorso artistico di Michelangelo Antonioni. Il film vale anche come testimonianza del periodo in cui si svolge (1968) e soprattutto dell’ambiente (Londra) splendidamente e realisticamente fotografato, tanto che l’estetica delle immagini supera il potere concettuale dell’opera. Il film si segnala anche per la colonna sonora, assolutamente funzionale alle riprese.
Undying
Un pezzo, un brandello, uno spaccato di realtà, visto attraverso l’obiettivo d’una macchina fotografica. Londra è immersa nel clima del ’68, con giovani praticanti nuove ritualità (dalla droga ai nuovi temi musicali, senza trascurare la moda sinonimo d’eccentricità e modernismo). Tocca a Thomas (David Hemmings), cercare di decifrare – partento da piccoli dettagli, via via di enorme singolarità grazie all’uso dell’ingrandimento – indizi nascosti (e al tempo stesso raccolti) dall’occhio indiscreto di un macchina fotosensibile. Antonioni punta alla fallibilità dell’immagine e del suo replicarsi.
Il Gobbo
Feticcio del Gobbo, che confessa quindi subito la sua assoluta parzialità, e che a Londra è andato a scovare (all’estrema, squallidissima periferia, sbagliando treno e beccandosi una fraccata di pioggia) il Maryon Park, dove sono state girate le scene clou, e che è ancora identico a com’era nel film! Film capitale e fondativo di un’estetica, riuscita riflessione teorica ma – quel che più conta al cinema – catalogo di immagini indimenticabili, con uno dei più grandi finali di sempre. Prima colonna sonora di Herbie Hancock, eccellente. Altare
Pigro
Analizzando i suoi scatti un fotografo crede di scoprire un delitto. Nella ruggente ambientazione inglese dei favolosi Anni Sessanta, Antonioni costruisce una favola allucinata, onirica, sensuale e pop, che ci risucchia nel gorgo delle illusioni della società moderna. Bella l’atmosfera, sottile la storia raccontata, saccente l’intellettualismo. Un film ambivalente, insomma, che attrae e respinge. Un classico che rischia, oggi, di essere visto più perché entrato nei libri di storia del cinema che non per la sua reale capacità di convinzione.
Homesick
Titolo epocale, sia in quanto emblema cinematografico della Swinging London – gli artisti che coabitano in periferie degradate, i giovani contestatori, i complessi beat, le modelle – sia come sintesi dell’universo cinematografico di Antonioni: le tesi sull’incomunicabilità sono condotte agli eccessi con la scissione tra realtà oggettiva e percezione illusoria e la solitudine dell’uomo che ne è corollario, mentre l’erotismo è aggraziato e gentilmente penetrante come sempre sarà. Hemmings scorrazza frenetico, tirannico e stordito in armonia con una sceneggiatura eccentrica e a tratti surreale.
77 Pottery Lane, Notting Hill, Londra, Inghilterra, Regno Unito
Clevely Close, Greenwich, Londra, Inghilterra, Regno Unito
Consort Road, Peckham, Londra, Inghilterra, Regno Unito
Economist Plaza – 25 St James’s Street, Londra, Inghilterra, Regno Unito
El Blason Restaurant – 8-9 Blacklands Terrace, Chelsea, Londra, Inghilterra, Regno Unito
MGM British Studios, Borehamwood, Hertfordshire, Inghilterra, Regno Unito
Maryon Park, Woolwich Road, Charlton, Londra, Inghilterra, Regno Unito
Notting Hill, Londra, Inghilterra, Regno Unito
Regent Street, Londra, Inghilterra, Regno Unito
Stockwell, Londra, Inghilterra, Regno Unito
La piscina
« La piscina è un film che oggi non riesco più a guardare. Mi fa male»
Sono le parole di Alain Delon, protagonista del film.
Parole che si riferiscono alla relazione con la bellissima Romy Schneider, l’altra star di La piscina,film di Jacques Deray del 1968,dove complice proprio l’attore francese la coppia si ritrovò cinque anni dopo la fine del loro amore.
Un amore che aveva fatto epoca,sin dal primo incontro nel 1958 sul set di L’amante pura e che si concluse proprio nel 1963.
Una storia d’amore, la loro, che prosegui fino al giorno della tragica morte di Romy,che per tutta la vita rimase legata a Delon,tanto da farle dire,in una delle sue ultime interviste che «L’uomo più importante della mia vita resta Delon. Quando ho bisogno di lui è sempre pronto a tendermi la mano. Ancora oggi è l’unica persona sui cui posso davvero contare»
Due attori giovani e bellissimi, tra i più amati del cinema,un film noir ben diretto da Deray, la presenza di una poco più che ventenne e conturbante Jane Birkin per una storia drammatica che,come suggerisce il titolo, ha come sfondo una piscina che sarà muta testimone delle vicende drammatiche di un triangolo amoroso con sullo sfondo proprio la Birkin,detonatore della storia che sfocerà in tragedia.
Una villa,una coppia Jean-Paul e Marianne.
La casa è di proprietà di un amico dei due;Jean Paul è uno scrittore che ha tentato la via del successo ma ha visto naufragare miseramente il primo tentativo di pubblicare un libro ed è costretto a fare il pubblicitario abbandonando per il momento i sogni di gloria mentre lei è un’articolista presso un giornale.
La serenità (apparente) della coppia muta drasticamente in seguito ad una telefonata;Harry,amico di entrambi annuncia la sua visita e la sua permanenza per qualche giorno in villa con sua figlia Penelope.
L’arrivo di padre e figlia altera la situazione.
Jean Paul sospetta,osservando attentamente Harry e Marianne, che tra i due in passato ci sia stata una relazione mentre la giovanissima Penelope,che ha fatto le stesse considerazioni,sembra rinchiudersi in se stessa.
Una sera Harry organizza una gran festa con amici;è proprio Penelope a capire che tra Marianne e suo padre c’è stato qualcosa e che c’è del fuoco che cova sotto la cenere.Durante la festa infatti osserva attentamente Harry e Marianne ballare in modo molto intimo e indispettita o forse ingelosita dalla scena scappa in piscina dove viene seguita da Jean Paul,anche lui ormai certo del passato amoroso tra l’amico e la sua donna.
I due diventano confidenti parlano ed è in questo modo che finalmente Penelope sembra abbandonare l’atteggiamento di chiusura verso tutti che aveva tenuto fino a questo momento.
Sarà durante un lungo colloquio tra Penelope e Jean Paul che inizierà a maturare il dramma,un giorno nel quale proprio Jean Paul rifiuta di accompagnare nella vicina Saint Tropez Marianne,che piccata sceglie di andarci con Harry.
Penelope racconta a Jean Paul come l’uomo lo disprezzi,considerandolo uno scrittore fallito e come desideri Marianne più per soddisfazione personale che per vera attrazione verso la donna stessa.
La sera Harry,ubriaco,affronta Jean Paul davanti alla piscina.
All’uomo rimprovera quella che ritiene una relazione sbagliata tra sua figlia e lui; folle di gelosia si avventa contro Jean Paul ma appannato nei riflessi dal troppo alcool bevuto finisce in piscina.
Jean Paul potrebbe tendergli la mano e soccorrerlo.
Viceversa,gli tiene la testa sott’acqua causandone la morte.
Sul luogo dell’incidente arriva l’ispettore Levecque,che da subito si rende conto che la scena contiene incongruenze;Harry ha al polso un costosissimo orologio che non avrebbe mai indossato per un bagno di sera e i vestiti a bordo piscina sono lindi e pinti, segno che la vittima non li ha mai indossati.
L’ispettore parla con Marianne,dicendosi convinto che Jean Paul ha in qualche modo provocato la morte di Harry ma di non avere prove a sufficienza per arrestarlo.Marianne va in camera di Harry e scopre che i vestiti non sono quelli indossati da Harry la sera prima…
Davvero un bel film,La piscina.
Per quanto lento e descrittivo, il film analizza con la dovuta profondità le caratteristiche psicologiche dei personaggi,le loro manie,i loro problemi e i loro comportamenti.
E’ un quadro ben dipinto, in tutti i suoi particolari.
Deray incontra Delon per la prima volta sul set di questo film;segue il consiglio dell’attore di scritturare per la parte di Marianne la bellissima Romy Schneider e ha un colpo di fortuna perchè la coppia da vita ad una interpretazione memorabile.
Nel film la misteriosa,magica alchimia tra i due attori è ben visibile e contribuisce a dare credibilità alla storia.
Altrettanto fortunata è la scelta di Jane Birkin, assolutamente irresistibile nei panni di Penelope e quella di Maurice Ronet nel ruolo di Harry;il che dimostra il vecchio assioma che quando si sceglie bene il cast si è a metà dell’opera.
Il film non brilla certo per originalità della sceneggiatura.
Molte volte in passato e mille volte in seguito verrà riproposto il tema del triangolo di amorosi sensi con aggiunta del quarto incomodo ma in questo caso la storia assume un che di torbido, d malsano che aggiunge valore alla pellicola.
Tuttavia Deray è abile a creare l’atmosfera e a delineare i personaggi;l’inquieto Jean Paul,la dubitante e incerta Marianne,la fragile e inesperta Penelope,l’egoista e ipocrita Harry sono personaggi che hanno spessore nei ritratti psicologici che fanno da sfondo alla storia.
Il film quindi regge bene,nonostante la tendenza a privilegiare i dialoghi e i sottintesi.
In fondo è quello che Deray vuol trasmettere.
Un film datato,indubbiamente,ma che resta sicuramente opera valida e godibile a quasi 50 anni dalla sua prima uscita.
La piscina
Un film di Jacques Deray. Con Alain Delon, Paul Crauchet, Romy Schneider, Jane Birkin, Maurice Ronet, Steve Eckhardt, Maddly Bamy, Suzie Jaspard, Thierry Chabert, Stéphanie Fugain Titolo originale La piscine. Drammatico, durata 113 min. – Francia 1968.
Alain Delon: Jean-Paul
Romy Schneider: Marianne
Maurice Ronet: Harry
Jane Birkin: Penelope
Paul Crauchet: Ispettore Leveque
Suzie Jaspard: Emilie
Maddly Bamy: un’amica al party
Stéphanie Fugain: amica di Harry
Cesare Barbetti: Alain Delon
Maria Pia Di Meo: Romy Schneider
Giuseppe Rinaldi: Maurice Ronet
Renata Marini: Suzie Jaspard
direttore del doppiaggio: Mario Maldesi
Regia Jacques Deray
Soggetto Jean-Emmanuel Conil
Sceneggiatura Jean-Claude Carrière, Jacques Deray
Produttore René Pignères, Gérard Beytout
Produttore esecutivo Gérard Beytout
Casa di produzione Société Nouvelle De Cinématographie, Tritone Film
Fotografia Jean-Jacques Tarbes
Montaggio Paul Cayatte
Musiche Michel Legrand
Scenografia Paul Laffargue
Costumi André Courrèges
“Aspetterò che tu ti accorga di amarmi per tutta la vita”
“E’ strano abbiamo tutti delle preferenze , magari per cose che non valgono niente .”
“Il mio dramma è che quando una ragazza si interessa a me, io me ne innamoro subito! È questo che mi blocca. Forse perché non ho avuto abbastanza esperienze. Sono rimasto vergine fino a venticinque anni, fino al mio secondo matrimonio. Capisce? È per questo”
“Ma è vero quello che dice?”
“Eh no, purtroppo non è vero…!”
L’opinione di Luca Scial dal sito http://www.mymovies.it
Jean-Paul è uno scrittore di scarso successo, ospite nella villa lussuosa della bella e ricca Marianne a Saint Tropez. I due vivono nella passione, lontani dal mondo, finquando non arriva Harry, cantante playboy ex fiamma di Marianne, con sua figlia: la bella diciottenne Penelope. Il loro arrivo romperà gli equilibri tra i due, facendo riemergere vecchi amori e gelosie.
Passioni, gelosie e pensieri proibiti ruotano intorno a una piscina, nella lussuriosa Saint Tropez. Attori belli e bravi inscenano un ben fatto dramma della passione.
L’opinione di Will Kane dal sito http://www.filmtv.it
Personaggi alla deriva,anche se fissi in un’unita’di luogo,in un thriller a discreta gradazione erotica,con una tensione sorda che cresce impercettibilmente ai bordi della piscina del titolo.Film molto francese,con i tempi appunto tipici della cinematografia transalpina dell’epoca,ma emanante un suo fascino un po’perverso:del resto,i bellissimi Alain Delon e Romy Schneider che dopo l’amore si fustigano lievemente con un ramoscello sono sadomaso soft,ma molto audaci per un film “normale”.Inoltre,uno dei delitti piu’lenti e verosimili del cinema giallo.
L’opinione di atticus dal sito http://www.filmscoop.it
Il film dovrebbe essere un noir ma è passato alla storia soprattutto per la componente sensuale che credo non abbia pari nel cinema dell’epoca. La storia di un quadrilatero bollente consumato sui bordi di una piscina nella calura estiva della periferia parigina, tra scene di seduzione e sguardi languidi, fino al colpo di scena che complica il menage.
Grande atmosfera di ricercato ed elegante erotismo, una svolta gialla piuttosto blanda, un bravo regista di genere ed un quartetto di interpreti assolutamente memorabile per un film che fece scandalo, tanto intrigante quanto inconsistente. Le effusioni tra gli splendidi Delon e Schneider però sono di quelle che non si dimenticano.
L’opinione del sito http://www.ilballodelcervello.com
Senza dubbio ci troviamo di fronte ad una pellicola che trasuda una ricercata raffinatezza, in cui l’erotismo si sposa con un’estetica di tinte tenui e desaturate; una storia di corpi sui quali si può leggere di sesso, d’amore e di morbosità, corpi che celati da un abito ben confezionato sanno tenere nascosti i segreti più intimi e inconfessabili. Jane Birkin, certamente il simbolo più evidente di questo fine erotismo, interpreta magistralmente una lolita dal fascino esotico e ingenuo, che muove il proprio corpo in modo quasi convulso e infantile, come a volerne scoprire le potenzialità.
La piscina è il perno intorno al quale si muovono gli sguardi dei quattro protagonisti, che lentamente, come naufraghi ai suoi bordi, si spogliano delle proprie ipocrisie in un’intensa spirale di tensione; l’acqua stagnante risplende di glamour e trattiene in profondità un torbido microcosmo i cui dettagli sono resi ottimamente da una sceneggiatura in cui centrale è lo studio meticoloso della psicologia dei personaggi. Gli occhi indagatori sono la chiave di lettura più profonda e inquietante di questa storia, occhi che scrutano, si accorgono e sanno, prima che l’indicibile sia detto o perfino pensato. La fotografia di Jean-Jacques Tarbes restituisce i quadri vividi di uno spaccato di vita che sfiora il perverso.
Jane Birkin è Penelope
Romy Schneider è Marianne
Maurice Ronet è Harry
Alain Delon è Jean Paul
La bella scontrosa (La belle noiseuse)
Un pittore, Edouard Frenhofer, un ritratto incompiuto, quello della moglie Liz, una modella, Marianne, il suo fidanzato Nicolas e un mercante d’arte, Balthazar Porbus.
Cinque personaggi coinvolti in una storia in cui tempo, spazio e arte sembrano galleggiare sospesi, come le vite dei due protagonisti principali;Edouard, il pittore, è da tempo in crisi artistica, tanto da aver lasciato incompiuto dieci anni prima il ritratto di sua moglie Liz.
Anche il rapporto con quella donna che ha amato si è affievolito con il tempo e nonostante a Edouard non manchi nulla, visto che vive in una splendida dimora nelle campagne francesi, quella crisi artistica, che è diventata anche un punto fermo, fondamentale della sua vita, pesa enormemente.
Un giorno Edouard, sempre tentato nell’intimo di portare a compimento l’opera inespressa, approfittando dell’invito rivoltogli dal suo mercante d’arte Balthazar (che un tempo è stato anche amante della moglie), accoglie nel suo studio la bella Marianne,
accompagnata dal suo fidanzato Nicolas che ha un’autentica venerazione per il maestro.
Balthazar non ha mai visto l’opera, e sarebbe disposto anche a comprarla a scatola chiusa, mentre Edouard è tentato dal portarla a compimento, spinto in questo anche dal desiderio di penetrare nella psiche, nel mondo di quella ragazza tanto bella quanto enigmatica. Anche Nicolas vorrebbe vedere la sua ragazza alle prese con quel maestro che ammira tanto, e tenta quindi di convincere la riottosa ragazza ad accettare di fare da modella.
Bene o male, Marianna accetta e diventa così il soggetto del quadro di Edouard, che prende a lavorare con nuova energia al ritratto di Liz; le reazioni dei vari personaggi sono però contrastanti.
Mentre Liz è contenta che suo marito abbia in qualche modo ritrovato l’ispirazione, Marianna sembra sempre più stanca delle interminabili sedute di posa, mentre Balthazar coltiva in se il piacere di vedere finalmente compiuta l’opera.
Questi atteggiamenti cambiano però in breve tempo:Liz inizia ad avvertire la gelosia, come del resto Nicolas, nel vedere il rapporto che si instaura tra i due. Marianna infatti nelle sedute di posa è sempre completamente nuda e ben presto stabilisce un feeling ricambiato con il maturo pittore.
Il rapporto tra i due però non muta, nel senso che non devia mai verso l’affetto o la passione.
Marianne stimola il pittore, che alla fine riesce nel suo intento, cioè esorcizzare la figura della moglie, che ora ha i bei lineamenti di Marianne.
Edouard ha ottenuto quello che voleva, portare a compimento il suo lavoro.
Tutto torna in un certo senso al punto di partenza, perchè Liz si libera della bella e seducente Marianne, Balthazar acquista un nudo di Marianne mentre Edouard, che ha esorcizzato i suoi fantasmi e creato quello che voleva, mura il suo capolavoro.
Gli sconfitti però ci sono.
Marianne abbandona il suo fidanzato, va via.
In lei c’è il dubbio, fortissimo, di essere stata parte di un gioco crudele.
La bella scontrosa (La belle noiseuse), diretto da Jacques Rivette nel 1991 è un film estremamente complesso, affascinante.
Tratto in parte da un romanzo, Le chef-d’œuvre inconnu (1832) di Honoré de Balzac, in origine era stato girato con un’edizione estesa di quattro ore, ridotte poi a due per la versione adattata per il grande pubblico.
La versione che la stragrande maggioranza degli spettatori ha visto risulta quindi più armonica, veloce; tenendo conto che il film è fatto di dialoghi tra cinque personaggi, di pause, di esplicazioni delle varie personalità dei protagonisti, sicuramente è stato un bene.
Opera complessa sull’arte, sul rapporto tra un artista e la sua opera; due ore in cui assistiamo all’evoluzione del rapporto tra Marianne e Edouard, in cui il pittore usa a suo piacimento il corpo della ragazza, naturalmente solo per ragioni artistiche, senza coinvolgimenti erotici o carnali, piegandola quasi alle necessità della sua arte.
E che non renderà onore alla sua modella, perchè nessuno potrà vedere il suo capolavoro, nemmeno lo spettatore, ne tanto meno la modella, che alla fine sarà l’unica vera sconfitta della storia.
Che gloria c’è nell’essersi sottoposta a sedute sfibranti, durante le quali ha dovuto mostrare il suo corpo nudo all’artista,ha dovuto accettare di conoscersi, farsi plasmare senza ricevere alla fine alcun tributo?
Ne risentirà anche il rapporto con Nicolas, che verrà interrotto. Non è forse anche colpa sua se Marianne ha accettato una sfida che alla fine l’avrà cambiata senza regalarle nulla?
Un film sull’arte, sull’egoismo della stessa, sul complesso rapporto che si stabilisce tra il pittore e la sua opera, sopratutto con il soggetto della sua opera, che viene trasfigurato dal pennello sulla tela per poi cessare di avere un valore, essendo stato eternato per sempre, fissato in maniera definitiva proprio nel quadro.
Rivette sceglie l’atmosfera, il dialogo, i lunghi silenzi per illustrare il complesso rapporto che finisce per stabilirsi tra i vari protagonisti del film; così troviamo un ottimo Michel Piccoli tratteggiare perfettamente la figura dell’artista Edouard, insoddisfatto e perfezionista artista alla ricerca dell’ispirazione perduta, del punto di equilibrio tra arte, artista e soggetto.
Molto bella, brava e espressiva Emmanuelle Beart, una Marianne che uscirà quasi distrutta dall’incontro con il pittore, a cui dedicherà lunghissime ore di sedute, la sua nudità continua, che la priva di pudore, ricavandone in cambio solo il fallimento del rapporto con il suo ragazzo.
E brava anche Jane Birkin, l’altra vincente, che ritroverà dentro se l’affetto per quel suo uomo troppo distante per tanti anni, anestetizzato dalla vita in campagna e dalla sua compagnia diventata quasi invisibile.
Bene anche David Bursztein,nella parte di Nicolas e Gilles Arbona in quella di Balthazar.
La bella scontrosa, un film di Jacques Rivette. Con Michel Piccoli, Jane Birkin, Emmanuelle Béart, Marianne Denicourt Titolo originale La Belle Noiseuse. Commedia, durata 240 (125) min. – Francia 1991.
Michel Piccoli … Edouard Frenhofer
Jane Birkin … Liz
Emmanuelle Béart … Marianne
Marianne Denicourt … Julienne
David Bursztein … Nicolas
Gilles Arbona … Porbus
Marie Belluc … Magali
Marie-Claude Roger … Françoise
Leïla Remili … La domestica
Daphne Goodfellow Una turista
Susan Robertson Una turista
Regia di Jacques Rivette
Sceneggiatura Pascal Bonitzer e Christine Laurent
Dailoghi Pascal Bonitzer ,Christine Laurent
Prodotto Martine Marignac, Maurice Tinchant
Editing Nicole Lubtchansky
Costumi Laurence Struz
Il montone infuriato
L’irresistibile ascesa di Nicola, un anonimo impiegato di banca, dallo sportello alla ricchezza e al potere.
L’uomo lavora in una banca, e vive in maniera grigia la sua vita; l’unica sua distrazione è l’incontro in un bistrot con l’amico Claude Fabre, scrittore di scarsa fama, con un handicap fisico. A lui racconta il primo gesto anticonvenzionale che fa all’improvviso; agganciare una giovane, Marie Paule, che si rivelerà essere una prostituta.
Jane Birkin interpreta Marie Paule
Incitato da Claude, che vede in lui un fascino particolare, al quale a suo giudizio le donne non possono resistere, Nicola aggancia una splendida signora dell’alta società, Francesca. La donna, sposata con un professionista abbastanza grezzo, cede al fascino di Nicola e allaccia con lui una relazione. Contemporaneamente, sempre seguendo i suggerimenti dell’amico scrittore, si esercita seducendo dapprima una semplice commessa di un grande magazzino, e poi la furba ed esperta Flora, mentre allaccia una relazione amichevole con Madame Hermès, una ricchissima signora anziana che tra le altre cose è proprietaria di un settimanale, il Temoin.
Romy Schneider è Roberte
L’ascesa di Nicola è irresistibile, anche se stressante e faticosa: l’uomo si divide tra Marie Paule, a cui è legato da una relazione sessualmente appagante ma anche da simpatia e affetto, tra Roberte, che in qualche modo lo ama e la intrigante Flora, che gli spalanca il mondo dell’alta società. Ben presto Nicola entra nelle grazie di Julien, un ricco finanziere che ha rilevato da Madame Hermes il settimanale Le temoin, e viene assunto nello stesso, dove si mette in luce, tanto da portare la tiratura dello stesso dapprima a 300.000 copie fino alla soglia del milione. Le cose quindi sembrano andare a gonfie vele.
Jean Louis Trintignant è Nicola
Ma il castello costruito da Nicola, sempre aiutato e consigliato da Claude, inzia a sgretolarsi all’improvviso; dapprima muore la sua amica e protettrice Madame Hermes, che comunque lascia all’uomo in eredità la bellissima villa in cui viveva, poi scoppia la tragedia. Un giorno il marito di Roberte segue la moglie, e proprio mentre è a colloquio con Nicola, le spara uccidendola sul colpo e subito dopo si toglie la vita. Scosso dalla morte di Roberte, Nicola inizia a porsi dei dubbi sul suo comportamento. Claude , proseguendo il suo instancabile percorso di iniziazione dell’amico, gli chiede di sedurre una nota attrice, Shirley Douglas, che Claude ama sin dai tempi dell’adolescenza, quando la donna era una semplice figlia di un farmacista.
Nicola segue al solito i consigli di Claude, ma questa volta non confessa all’amico, sapendo del suo debole per la donna, di essere riuscita a sedurla non tanto con il suo fascino, quanto piuttosto con quattro colonne in prima pagina sul settimanale Temoin e con una costosa collana. Ma Claude intuisce la verità, e deluso, entra in una cabina telefonica e si suicida sparandosi un colpo di pistola in testa. Nicola decide di averne abbastanza: dedica all’amico scomparso la prima pagina del giornale, e si reca da Maire Paule, chiedendole di sposarlo. La donna accetta.
Florinda Bolkan è Flora
Tratto dall’omonimo romanzo di Roger Blondel, Il montone infuriato è un gradevole film di Michel Delville, autore, nel futuro (il film in oggetto è del 1974) di due deliziosi prodotti come Il dolce viaggio e La lettrice.
Un’opera che passa alternativamente dalla commedia alla tragedia, per finire nuovamente in commedia, abbastanza agilmente, grazie anche alle capacità indubbie del bel cast riunito da Delville.
Bravissima e sicuramente sexy è Jane Birkin, che nel film interpreta Marie Paule; misurata, affascinante e al solito splendida è Romy Schneider, che interpreta Roberte. La bisessuale e intrigante Flora è interpretata da un’altra bellezza, Florinda Bolkan. Il personaggio di Nicola è affidato a Jean Louis Trintignant, che appare leggermente imbarazzato; forse, tra gli attori del cast, è quello che appare più a disagio.
Il film, comunque, riesce a restare interessante anche nei lunghi colloqui nel bistrot tra Claude e Nicola, o nei dialoghi tra Francesca e lo stesso Nicola.
Alla fine il discorso portato avanti da Deville, sul denaro, l’ambizione e i guasti che possono prodursi, si può dire riuscito anche se con qualche riserva: troppi personaggi vengono inseriti nel racconto, che a volte sembra diventare confuso. L’arrivismo di Nicola, spronato impetuosamente da Claude, sembra subito più che partecipe: almeno questa è l’impressione che si ricava dal film.
Ma sono peccati veniali in un’opera tutto sommato ben riuscita.
Il montone infuriato, un film di Michel Deville. Con Florinda Bolkan, Jean-Louis Trintignant, Romy Schneider, Jane Birkin, Jean-Pierre Cassel, Estella Blain
Titolo originale Le mouton enragé. Commedia, durata 105 min. – Francia 1973.
Jean-Louis Trintignant … Nicolas Mallet
Jean-Pierre Cassel … Claude Fabre
Romy Schneider … Roberte Groult
Jane Birkin … Marie-Paule
Henri Garcin … Berthoud
Georges Beller … Amico di Marie-Paule
Georges Wilson … Lourceuil
Estella Blain … Shirley Douglas
Florinda Bolkan … Flora Danieli
Dominique Constanza … Sabine
Jean-François Balmer … Vischenko
Michel Vitold … Georges Groult
Bruciati da cocente passione
Storia di due coppie proletarie della Milano anni 70; due coppie assortite male, una formata da Casimiro e Milena, l’altra da Michele e Virginia.
Casimiro, ingenuo e romantico, ha per moglie la vulcanica Milena, mentre Michele, tipico popolano esuberante ma assolutamente privo di buone maniere, è sposato con la copia carbone di Casimiro, ovvero Virginia, anche lei sognatrice e timida. Le storie dei quattro si incrociano perchè il destino decide di metterci lo zempino:
Michele e Milena iniziano una relazione tumultuosa, fatta di incontri per entrambi molto soddisfacenti dal punto di visita fisico, mentre Casimiro deve limitarsi a guardare da lontano la donna che gli piace, quella Virginia che è la sua copia speculare. I due si guardano e si parlano come due fidanzatini, scambiandosi promesse, mezze frasi e speranze in un futuro migliore. La situazione degenera quando un ricattatore, Leonida fa saltare il tutto, costringendo i quattro a mettere in piazza la loro situazione.
Così di comune accordo, le coppie si dividono le rispettive consorti, o se vogliamo i rispettivi consorti. Casimiro va a vivere con Virginia e Milena con Michele. Il problema principale è rappresentato dalla coppia di figli che i coniugi hanno dai rispettivi matrimoni. Dopo vari tentativi, ognuna delle due coppie, all’insaputa dell’altra, tenterà di far fuori la coppia rivale; il tutto finirà per fortuna bene, almeno per loro, perchè durante un tentativo di far saltare la baracca della coppia Virginia-Casimiro, Leonida e Milena provocheranno un’inondazione.
Qualche mese dopo i quattro si reincontrano in una trattoria: il tempo è passato ed evidentemente i legami di coppia che esistevano prima erano più forti di quello che i protagonisti pensavano, tant’è vero che riemerge negli sguardi dei protagonisti, il rimpianto per l’antico legame, quello canonico. Così assistiamo allo scambio di occhiate di desiderio di Casimiro per la sua ex moglie, mentre questa si china sui suoi bambini, sguardo ricambiato dalla donna, in cui c’è evidentemente rimpianto, sguardi che fanno il paio con quelli scambiati tra Leonida e Virginia, colmi di tenerezza e rimpianto.
Film diretto da Giorgio Capitani, Travolti da cocente passione è una commedia tutto sommato ben congegnata, con un finale agro dolce, in cui le due coppie riscoprono i valori che avevano portato al loro formarsi. La trasgressione dal tran tran quotidiano, l’elemento di novità portato dal tradimento, la sottile ebbrezza e il fascino del proibito lasciano alla fine il posto al rimpianto di un passato tranquillo, vissuto nella solidità di rapporti evidentemente sottovalutati.
Bravi senza dubbio i quattro protagonisti, Cochi Ponzoni che interpreta il timido e sognatore Casimiro, Catherine Spaak che interpreta sua moglie, la vitalissima Milena, Aldo Maccione nei panni del popolano rustico Michele e Jane Birkin, in un inedito ruolo simil comico, nel ruolo della timida e poetica Virginia.
Bruciati da cocente passione, un film di Giorgio Capitani, con Cochi Ponzoni,Catherine Spaak,Aldo Maccione,Jane Birkin,Daniele Formica, Mario Maranzana
Cochi Ponzoni: Casimiro Banotti
Catherine Spaak: Milena Banotti
Aldo Maccione: Michele Vismara
Jane Birkin: Virginia Vismara
Mario Maranzana: La Carrubba
Daniele Formica: il ricattatore
Enrico Beruschi: un collega di Casimiro
Annibale Papetti: Ambrogio, l’oste
Franca Scagnetti: la chiromante
Guido Spadea: il parroco
Renato Mori: il funzionario del PCI
Maria Tedeschi: donna sulla sedia a rotelle
Fernando Cerulli: l’avvocato
Regia Giorgio Capitani
Soggetto Luciano Vincenzoni, Nicola Badalucco
Sceneggiatura Nicola Badalucco
Casa di produzione Rizzoli Film
Distribuzione (Italia) Cineriz-Domovideo
Fotografia Roberto Gerardi
Montaggio Renato Cinquini
Musiche Piero Umiliani
Scenografia Ezio Altieri
Je t’aime moi non plus
Je t’aime moi non plus, titolo ricavato dall’omonima canzone scandalo interpretata dalla coppia Serge Gainsbourg-Jane Birkin, venne diretto nel 1975 dall’attore e poeta francese, proprio sull’onda dello scandalo ottenuto dalla canzone, tutta gemiti e sospiri, ricavata da quello che sembrava un autentico rapporto sessuale. L’intenzione di Gainsbourg era quella di ravvivare lo scandalo, raccontando una storia assolutamente anticonvenzionale tra due camionisti gay e una ragazza androgina, storia evolutasi poi in un complesso, impossibile rapporto a tre.
Joe D’Alessandro
Jane Birkin
Un qualcosa assolutamente inaccettabile, per la morale dei tempi: la metà degli anni settanta, anche se cinematograficamente si era avviata verso la libertà di costume, restava comunque ancorata alle convenzioni sociali, tra le quali c’era un rifiuto pressochè totale dell’omosessualità. Gainsbourg, con molta furbizia, scelse di trasportare il titolo della canzone nella versione cinematografica, che naturalmente nulla aveva a che vedere con la canzone.Il risultato fu un film molto noioso, scombinato e inconcludente, giocato tutto sulle abbondanti nudità di Jane Birkin, la Johnny del film.
Il film narra la storia di due camionisti, Kras e Patrice, legati affettivamente, anche sul lavoro. Hanno un camion che trasporta rifiuti alle discariche, e nei loro giri finiscono, un giorno, in un infimo motel,gestito da un tipo losco che organizza spettacoli di spogliarello di bassa lega per camionisti; nel motel lavora una ragazza, soprannominata Johnny, per la sua mancanza assoluta di femminilità.
La donna infatti, senza quasi seno, nascosta da abiti maschili e con i capelli cortissimi, ha un aspetto decisamente androgino. Kras se ne invaghisce proprio per queste sue caratteristiche, ma ovviamente la sua omosessualità impedisce di poter consumare un rapporto normale con la donna. Così Johnny, che prova comunque interesse per l’uomo, sceglie di farsi sodomizzare, pur di soddisfare Kras. Quando Patrice scopre la storia tra i due, inizia un impossibile rapporto a trois; Johnny, che trova delicato e gentile Kras, deve guardarsi dalla gelosia di Patrice, non disposto a cedere il compagno della vita.
Ma Johnny ormai ama Kras, con il quale ha frequenti rapporti sodomitici; ama il giovane e sopporta questa stranezza pur di non perderlo. Ma un giorno arriva la resa dei conti:Patrice riesce a trovare sola la ragazza, e tenta di ucciderla. E’ proprio Kras a salvarla, ma lo stesso, di fronte alla ragazza che chiede di punire duramente l’amico e compagno, sceglie di seguire Patrice, lasciando Johnny alla sua miserabile vita.
Film monocorde, giocato sulla fisicità sia di Joe D’Alessandro, che nel film interpreta Kras, sia della Birkin, assolutamente perfetta nel ruolo dell’androgina Johnny. Sono le uniche note positive di un film debole, che dimentica la denuncia dell’emarginazione per raccontare, in maniera abbastanza scontata, una storia d’amore improbabile, con un finale che per lo meno è in linea con la logica. Sarebbe stato davvero troppo vedere Kras convertirsi ad una sana e borghese “sessualità normale”
Il tema sonoro Je t’aime moi non plus è presente solo in una parte della pellicola, peraltro accennato in maniera strumentale
Je t’aime moi non plus un film di Serge Gainsbourg. Con Jane Birkin, Gérard Depardieu, Reinhard Kolldehoff, Joe Dallessandro, Boris Vian, Hugues Quester Titolo originale Je t’aime moi non plus. Drammatico, durata 80 min. – Francia 1976.
Jane Birkin: Johnny
Joe Dallesandro: Krassky
Hugues Quester: Padovan
Reinhard Kolldehoff: Boris
Gérard Depardieu: uomo a cavallo
Michel Blanc: un operaio
Ramon Pipin: il chitarrista
Regia Serge Gainsbourg
Soggetto Serge Gainsbourg
Sceneggiatura Serge Gainsbourg
Fotografia Willy Kurant
Montaggio Kenout Peltier
Musiche Serge Gainsbourg