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Ragionier Arturo De Fanti bancario precario

A 5 anni esatti dall’uscita di Fantozzi e a 4 da quella di Il secondo tragico Fantozzi Luciano Salce chiama ancora a se Paolo Villaggio per girare Ragionier Arturo De Fanti bancario precario, puntando anche su parte della allegra banda che aveva caratterizzato i due film dedicati al travet imbranato Ugo Fantozzi.
Ma la magia è presso che svanita,Salce non ha più la verve che lo aveva caratterizzato con opere Basta guardarla o L’anatra all’arancia,senza andare troppo a ritroso nel tempo e citare La voglia matta ecc.
Un film con tante ombre e poche luci, non tanto per la regia,in fondo attenta quanto per l’incapacità di portare il protagonista Villaggio fuori dal clichè fantozziano,che inutilmente l’attore genovese cerca di reprimere;ad una prima
parte tutto sommato godibile,ecco che Fantozzi sbuca fuori all’improvviso,rovinando quel poco di buono,quelle poche gag autenticamente divertenti che dovevano essere l’ossatura del film.


A guardarlo oggi,Ragionier De Fanti lascia più rimpianti per la scomparsa di molti validi comprimari del cinema italiano che per la sostanza della pellicola;sono scomparsi Vincenzo Crocitti e Gigi Reder,lo stesso Villaggio oltre a Salce,Ugo Bologna,Carlo Giuffrè e quest’anno anche Paolo Paoloni…

Il film è del 1980,anno che in teoria dovrebbe appartenere al decennio ottanta,ma che in pratica vive cinematograficamente degli ultimi fasti del decennio precedente,ormai consegnato alla storia con la sua aurea produzione,forse la più cospicua eredità cinematografica con quella del primo dopo guerra e del decennio sessanta.
E’ l’epoca del carovita,degli affitti impossibili,di una società che vuole sbarazzarsi degli anni di piombo ma ne ha ancora la pesante eredità e che si affaccia ancora timidamente al periodo della Milano da bere.
La storia raccontata ha uno schema semplicissimo:

i coniugi Arturo e Elena De Fanti,alle prese con la crisi economica,vivacchiano in attesa di un futuro migliore,assistiti dalla domestica Esmeralda che non lascia la casa un pò perchè avanza molte mensilità arretrate,molto perchè in fondo è affezionata
alla coppia,svolgendo un ruolo da chioccia assolutamente fondamentale.
I due coniugi hanno rispettivamente due amanti; lui ha una relazione con la bella Vanna,lei con il gestore di una palestra,Willy.
La soluzione che i due escogitano per risolvere parte delle grane economiche è geniale (forse):portare a casa i due e dividere spese di affitto e vitto.La soluzione si rivelerà fonte di una serie di equivoci e complicazioni,resa impossibile da gestire con l’arrivo dei rispettivi coniugi degli amanti.Alla fine tutto si sistemerà,con tanto di happy end riservato alla cameriera Esmeralda che,incinta,troverà due “nonni” disposti a tenerla con loro adottando anche il nascituro.

Trama labile e inconsistente quindi,giocata sulle gag e sugli equivoci.Che funzionano per metà film,il tempo esatto di capire l’andazzo e sopratutto per iniziare a provare un sottile malessere per un film senza un vero capo e con una coda da pochade di secondo ordine.
Non fosse per la presenza dei citati comprimari,ai quali vanno aggiunti la solita Mazzamauro (una volta tanto lontana dalla signorina Silvani),una statuaria,bella e altrettanto inespressiva Annamaria Rizzoli e una bellissima Catherine Spaak,forse la più brava di tutti che si produce in un nudo
all’epoca molto apprezzato,tenuto conto dei 35 anni che l’attrice aveva allora.Citazione anche per una bravissima Enrica Bonaccorti.
Il resto è davvero poca cosa;si sorride a tratti è vero,ma il film non lascia alcuna traccia.
Il film è disponibile su Dailymotion agli indirizzi https://www.dailymotion.com/video/x5el2xg e https://www.dailymotion.com/video/x5elwu3 in una versione però poco più che mediocre.

Rag. Arturo De Fanti, bancario precario

Un film di Luciano Salce. Con Paolo Villaggio, Catherine Spaak, Anna Maria Rizzoli, Anna Mazzamauro,Carlo Giuffrè, Enrica Bonaccorti, Gigi Reder, Ugo Bologna,Vincenzo Crocitti, Paolo Paoloni, Angelo Pellegrino Commedia, durata 92 min. – Italia 1980.

Paolo Villaggio: Rag. Arturo De Fanti
Catherine Spaak: Elena
Annamaria Rizzoli: Vanna
Enrica Bonaccorti: Smeralda
Gigi Reder: Willy
Anna Mazzamauro: Selvaggia
Carlo Giuffré: Libero Catena
Ugo Bologna: Morpurgo, il direttore di banca
Vincenzo Crocitti: Ciuffini, collega di Arturo
Paolo Paoloni: il contino, amante di Selvaggia
Angelo Pellegrino: un prete

Regia Luciano Salce
Soggetto Luciano Salce
Sceneggiatura Luciano Salce, Augusto Caminito, Ottavio Alessi
Casa di produzione Produzioni Atlas Consorziate
Distribuzione (Italia) P.A.C. Dif – Lineafilm
Fotografia Sergio Rubini
Montaggio Antonio Siciliano
Musiche Piero Piccioni

febbraio 6, 2019 Posted by | Commedia | , , , , , , , , , | 2 commenti

Con quale amore, con quanto amore

Con quale amore, con quanto amore locandina

Andrea e Francesca sono una coppia sposata da anni; molto diversi fra loro, attraversano una crisi originata principalmente dalla scarsa stima che Andrea, architetto di una certa fama ha verso sua moglie.
Francesca infatti vorrebbe più attenzioni e ritiene di essere trattata dal marito come una bambina.
Così la donna alla fine si fa un amante.
L’uomo prescelto è Ernesto, che tra l’altro è un dipendente del marito.
Con sorpresa Andrea scopre la relazione, ma da uomo di mondo non fa scenate.
All’apparenza sembra intenzionato a favorire la relazione tra i due; difatti continua a far lavorare l’amante di sua moglie nello proprio studio.

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Claude Rich e Erika Blanc

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Catherine Spaak

Ma Andrea è ancora innamorato di sua moglie e parte al contrattacco.
Approfittando di un’assenza di Ernesto, inizia una corte serrata nei confronti di Francesca e alla fine sembra che la tattica funzioni…
Lui, lei. l’altro.
Una situazione certo non nuova in una sceneggiatura cinematografica.
Pasquale Festa Campanile e Ottavio Jemma creano un plot visto mille volte, con il classico gioco delle parti in un triangolo amoroso che per una volta non sfocia in tragedia.
Siamo, come ambientazione, nel mondo medio borghese e a quanto pare certe storie vanno affrontate con dignità, senza scandali e senza rumore.

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Un mondo ipocrita in cui anche i sentimenti devono restare inespressi; così Andrea fa buon viso a cattivo gioco, accettando il tradimento della moglie ma mettendo in atto uno stratagemma che si rivelerà vincente alla fine.
Nessuna scenata di gelosia, ma il riconoscimento delle proprie colpe e di conseguenza il tentativo di riconquistare una donna, Francesca, probabilmente un pò bambina ma bisognosa di affetto e attenzioni.
Con quale amore, con quanto amore è una commedia sentimentale appena velata di critica sociale.
Non era nelle intenzioni del regista lucano fare rumore o attaccare il dorato e ipocrita mondo della borghesia; c’era invece l’intenzione di muovere garbate critiche alla stessa, attraverso la costruzione di una commedia leggera che mostrasse le regole che fissano i comportamenti dei suoi appartenenti.

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Un gioco non necessariamente difficile, e difatti Pasquale Festa Campanile porta a compimento una commedia leggermente amarognola senza grossi sforzi, anche se va detto, dai ritmi troppo blandi e parecchio verbosa.
Reduce dagli ottimi risultati al botteghino di commedie di costume come Adulterio all’italiana e la La matriarca (1968) nelle quali aveva proposto Catherine Spaak come protagonista principale, Festa Campanile affida il personaggio della volubile Francesca all’attrice francese che in pratica ripropone i personaggi dei due film precedenti condensandoli in quello della viziata e sentimentaloide moglie dell’architetto.
Poichè il mondo borghese sembra afflitto principalmente dalla noia più che dai problemi esistenziali, il personaggio di Francesca appare leggermente stereotipato, ingabbiato in un modello riproposto più volte in varie pellicole girate fra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta.

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In questo film tale tendenza è però mimetizzata; il regista lucano bada più a mostrare l’aspetto sentimentale della storia, basata sul tentativo di riconquista di Andrea nei confronti di sua moglie che appare un pò come la raffigurazione del gioco sottratto al bambino.
Andrea però, contrariamente alle previsioni,sceglie la via migliore per riconquistare la donna che in fondo ama; passa cioè attraverso un percorso di crescita personale, evita la classica esposizione dell’orgoglio ferito e alla fine viene premiato dalla riconquista della sua donna.
Il succo del film è tutto qui, un gioco delle parti garbato anche se leggermente anonimo.
Festa Campanile descrive, con discrezione, l’atmosfera oziosa del mondo borghese senza però essere graffiante; il suo è un gradevole excursus giocato tra i sentimenti contrapposti che agitano i due protagonisti in un gioco delle parti che alla fine ha una sua ragione d’essere.

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Il cast è molto ben assortito e mostra una sempre bellissima e affascinante Catherine Spaak nel ruolo della moglie insoddisfatta,un Claude Rich sobrio ed elegante nel ruolo di Andrea, uno spento Lou Castel nel ruolo del terzo incomodo.
Spazio anche per una splendida Erika Blanc, molto defilata in un ruolo comprimario.
Gradevoli le musiche e poichè la storia propone come protagonista un architetto, ecco un trionfo di vintage nell’arredamento e nei costumi, una full immersion nella feconda epoca pre settantiana che vide la
In quanto al regista, Festa Campanile conferma ancora una volta la sua abilità nel costruire storie all’apparenza molto semplici ma ben strutturate, mai banali.
La commedia all’italiana o quella leggera sono nelle sue corse e lo dimostrerà, se ce ne fosse bisogno, nei due anni successivi, quando diverrà anche protagonista del botteghino con i clamorosi successi di Quando le donne avevano la coda e Il merlo maschio.

Con quale amore, con quanto amore
Un film di Pasquale Festa Campanile. Con Claude Rich, Catherine Spaak, Erika Blanc, Lou Castel, Aldo Giuffré.  Marisa Traversi, Michel Bardinet Commedia, durata 107′ min. – Italia 1970.

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Catherine Spaak: Francesca
Claude Rich: Andrea
Lou Castel: Ernesto
Erika Blanc: Sandra
Marisa Traversi: Nora
Michel Bardinet: Renè
Aldo Giuffré: Giovanni

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Regia Pasquale Festa Campanile
Soggetto Ottavio Jemma
Sceneggiatura Pasquale Festa Campanile
Ottavio Jemma
Produttore Clesi Cinematografica
Distribuzione (Italia) Euro International Film
Fotografia Franco Di Giacomo
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Riz Ortolani

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L’opinione dell’utente mm40 tratta dal sito http://www.filmtv.it
Il pregio principale di questa commedia lentuccia e poco fantasiosa sta nell’analisi psicologica del rapporto sentimentale che è alle fondamenta della storia. Niente di eccezionale, sia ben chiaro; ma almeno, nella sua scarsità di mezzi, c’è una discreta coerenza: nessuna pretesa, è soltanto una commedia sentimentale. Noiosetta, ad ogni modo.

L’opinione dell’utente ilgobbo tratta dal sito http://www.davinotti.com
Rondò erotico-psicologico di Campanile, sotto-genere di gran voga all’epoca (siamo in zona Metti, una sera a cena). Sì, è vero, non manca qualche tocco implausibile, qualche compiacimento, qualche scivolata nella letterarietà dei dialoghi, ma chissenefrega, verso i film di questo periodo (e soprattutto verso il loro look complessivo, dal design all’oggettistica ai vestiti: ah, il loft di Lou Castel…) nutriamo un inscalfibile pregiudizio favorevole. Buon cast (e ottimi doppiatori), tranne un Giuffrè fuori contesto, ottima e abbondante la Blanc.

L’opinione dell’utente fauno tratta dal sito http://www.davinotti.com
Quasi paradisiaco per la scorrevolezza e la disinvoltura, specialmente del protagonista. Riconquistare la moglie dopo averla quasi spinta ad abbandonarti è una mission impossibile, ma se si riconoscono gli errori e se si sa che ne vale la pena è giusto tentare. La Blanc fa da sostanzioso contorno come amica disinibita e abituata a storie piccanti. Bardinet, sei grandioso: hai saputo soffrire senza fare l’ipocrita, hai parlato poco, a modo e sapendo cogliere il momento giusto per tutto. Complimenti.

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marzo 28, 2013 Posted by | Commedia | , | Lascia un commento

Una ragazza piuttosto complicata

Alberto è un giovane bohemien, seduttore ma anche voyeur; un giorno intercetta casualmente una telefonata bollente tra due amanti lesbiche e decide di conoscere personalmente Claudia,una delle  protagoniste della telefonata.
Claudia è una ragazza che fa la pittrice a tempo perso; è una borghese enigmatica e sessualmente disinibita, fidanzata con Pietro che però frequenta poco.
Tra i due nasce una relazione; Alberto sembra stregato dalla strana ed enigmatica personalità di Claudia, che sembra riuscire a convivere senza problemi dividendosi tra Pietro e il suo nuovo amante.
Casualmente un giorno Alberto scopre che la donna porta con se una pistola; chieste spiegazioni in merito riceve da Claudia una risposta ambigua.

Florinda Bolkan

La donna racconta di aver dovuto subire le attenzioni particolari di Greta, la seconda moglie di suo padre e che la pistola le serve perchè ha intenzione di usarla su di se, perchè è arrivata al punto di disprezzarsi e odiarsi.
Alberto conosce Greta e poco tempo dopo matura il desiderio di liberare Claudia dal suo personale tormento; così un giorno incontratola per strada mentre è alla guida di una bicicletta la investe e la uccide.
Ma Claudia sembra più sconvolta che rallegrata dalla notizia dell’omicidio e tronca la relazione con Alberto.
Quando costui tenterà di rivederla……


Classico melodramma intriso di motivazioni filosofiche-sociali,Una ragazza piuttosto complicata è la riduzione cinematografica di un romanzo di Alberto Moravia; lo scrittore, che nel 1959 aveva scritto La marcia indietro, il romanzo da cui il film è tratto, è stato utilizzato spesso per edizioni cinematografiche, quasi sempre con risultati discutibili se non pessimi.
In questo caso, anche se non siamo di fronte ad una riduzione malvagia, assistiamo al solito esercizio di stile in classica metafora anti borghese con intenti moralizzatori e di denuncia inerenti il dorato mondo medio borghese italiano della fine degli anni sessanta.
Diretto da Damiano Damiani nel 1969, che l’anno precedente aveva viceversa trasposto con grande bravura il classico di Sciascia Il giorno della civetta, Una ragazza piuttosto complicata è un film a corrente alternata, in cui convivono alcune parti felici (la descrizione del mondo pop in cui vive la pittrice Claudia) e altre decisamente meno (dialoghi spesso astrusi e improbabili), con un finale abbastanza sorprendente ma allo stesso tempo irrisolto e enigmatico.


Probabilmente il regista friulano nelle intenzioni voleva riproporre Moravia in una nuova veste, dopo aver presentato nel 1963 La noia, sempre tratto da un romanzo dello scrittore romano; non a caso sceglie per il ruolo di Claudia Catherine Spaak che nel 1963 aveva interpretato Cecilia.
Ma questa volta l’alchimia non c’è e non per colpa della bella attrice francese; a non funzionare è la storia in se, ricca di pause e di dialoghi spesso artificiosi quando non pretestuosi.
In più nel ruolo di Alberto viene scelto Jean Sorel, che misteriosamente appare impacciato e goffo; il ruolo a metà strada tra l’intellettuale e il frivolo che sono l’ossatura del personaggio di Alberto sono resi in maniera dilettantesca dall’attore francese.

Catherine Spaak e Jean Sorel

Un altro errore della sceneggiatura del film consiste nell’aver sacrificato il personaggio di Greta, che poteva essere reso ricco di sfumature abbandonandolo al suo destino; non viene spiegata infatti la natura del rapporto tra Claudia e Greta così come relegato in un angolo è il personaggio di Pietro, il fidanzato di Claudia interpretato da un Proietti in palese disagio.

Molto meglio la Bolkan nel ruolo di Greta, ma come già detto, il suo personaggio manca di spessore, profondità.
Bene invece la parte visiva che riguardano la descrizione dell’avanguardia body art (c’è una ricercatezza di inquadrature davvero encomiabile); il film quindi mantiene un equilibrio davvero precario fra scene e dialoghi a tratti narcotizzanti e una storia dei personaggi che la popolano mai eviscerata e viceversa piuttosto sacrificata.
Prodotto che avrebbe potuto avere un’altra resa se solo si fosse osato arricchire la psicologia dei personaggi sacrificando dialoghi verbosi e pretenziosità delle solite tirate anti borghesi.
Damiani ha fatto di meglio nel corso della sua carriera, ma va anche detto che non siamo di fronte ad un prodotto invedibile quanto piuttosto pesantemente datato. Non certo un b-movies, che può valere una visione.

A tal riguardo segnalo il link per la visione in streaming del film, in una buona qualità:http://www.nowvideo.sx/video/e39470fb4d429

Una ragazza piuttosto complicata
Un film di Damiano Damiani. Con Florinda Bolkan, Catherine Spaak, Jean Sorel, Luigi Proietti,Gabriella Grimaldi, Gaetano Imbrò, Gino Lavagetto, Franco Giornelli, Luigi Casellato, Luciano Catenacci, Franco Leo, Sergio Graziani Drammatico, durata 112′ min. – Italia 1969

Jean Sorel: Alberto
Catherine Spaak: Claudia
Florinda Bolkan: Greta
Gigi Proietti: Pietro

Regia Damiano Damiani
Sceneggiatura Damiano Damiani, Alberto Silvestri, Franco Verucci
Casa di produzione Filmena, Fono Roma
Distribuzione (Italia) La Florida Cinematografica
Fotografia Roberto Gerardi
Montaggio Antonietta Zita
Musiche Fabio Fabor

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giugno 12, 2012 Posted by | Drammatico | , , , , | Lascia un commento

La schiava io ce l’ho e tu no

La schiava io ce l'ho e tu no locandina

Playboy e scapolo impenitente, Demetrio Cultrera ha tutto ciò che desidera; è ricco, ha fascino e le donne certamente non gli mancano.
Tuttavia anche per lui arriva il momento di accasarsi e la scelta ricade su Rosalba, anche lei ovviamente ricchissima in quanto figlia di un industriale che ha fatto fortuna con la pesca del tonno.
Siamo in Sicilia ovviamente, e Demetrio detto Dedè ha una concezione arcaica sia del matrimonio sia della moglie, per cui subito dopo le nozze si trova a fare i conti con Rosalba che è donna moderna, assolutamente non incline ad accettare un ruolo subalterno al marito.
Come se non bastasse, la donna vuole che sia proprio Dedè ad adeguarsi alla sua vita mondana, coinvolgendolo in feste e costringendolo in pratica a frequentare l’alta società e il consueto corredo di feste e festicciole.
Se all’inizio Dedè sembra accettare la situazione suo malgrado, ben presto diventa insofferente al mondo che frequenta e così ripiega su Elena, una matura donna che lo appaga sessualmente la dove la moglie Rosalba rivendica anche nella vita sessuale la sua indipendenza.

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Lungi dal migliorare, la vita di Dedè si trasforma in un incubo stretto com’è tra la spocchiosa personalità della moglie, i suoi insopportabili amici e l’ossessiva passionalità dell’amante Elena.
Drasticamente, Dedè decide di tagliare i ponti e si separa da sua moglie; per poter vivere una vita tranquilla senza l’ossessione di una moglie, ha la bella pensata di procurarsene una priva di una volontà propria.
E quale miglior soluzione esiste per avere una donna che sia obbediente, che non abbia un carattere proprio e che si lasci dominare dal maschio padrone se non quella di procurarsi come nell’antichità una schiava?
Così Dedè parte per l’Amazzonia con una borsa piena di denaro, deciso ad ogni costo a comprarsi una vera e propria schiava e con l’aiuto di Von Thirac, un vero e proprio ufficiale nazista la individua in Manua.
La donna è una splendida brasiliana che non parla una sola parola di italiano, ma che in compenso è conscia del suo ruolo subalterno a quello dell’uomo come del resto accadeva nella sua tribù.

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Gli inizi della convivenza sono idilliaci, perchè Manua asseconda tutti i desideri dell’uomo, arrivando anche a fargli da “cavallo” e trascinando Dedè su un risciò per le strade.
Contemporaneamente Dedè si vede ammirato sconfinatamente dagli amici e detestato cordialmente dalla ex moglie e dal suo entourage, mentre si ritrova a dover combattere anche con la furia della ex amante Elena.
Così iniziano i suoi guai, anche perchè qualcuno inizia a fargli notare che lo schiavismo è moralmente inaccettabile e vietato dalla legge e da quel momento iniziano davvero i guai perchè la sua ex moglie…
La schiava io ce l’ho e tu no è una commedia divisa nettamente in due parti; nella prima c’è spazio per una garbata satira che in qualche punto è anche divertente pur partendo da spunti ormai triti e ritriti come il machismo siculo, il rapporto dominante del maschio in famiglia e via dicendo mentre nella seconda  scivola inesorabilmente nel grottesco prima e nella farsaccia di terz’ordine poi.

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Lando Buzzanca è Dedè

Giorgio Capitani, regista del film, basandosi su una sceneggiatura di Sandro Continenza, Giulio Scarnicci, Raimondo Vianello tenta inutilmente l’impossibile mix tra la commedia satirica intelligente e la più scontata commedia sexy partendo sin dal principio con le polveri bagnate.
Ormai troppe pellicole avevano ( e avranno) un peccato originale consistente nell’abuso di luoghi comuni; i siciliani sono tristemente sempre i soliti, arcaicamente legati alle tradizioni, maschilisti e se vogliamo anche un tantino donnaioli per appagare un non meglio identificato gallismo che se è (secondo alcuni registi) un denominatore comune del maschio italico, assume ancor più concretezza quando si scende nel sud Italia.
Una visione quindi abbastanza grossolana della realtà familiare del sud, che aveva si qualche effettiva inclinazione ai rapporti subalterni in famiglia tra uomo e donna ma non in misura così rilevante come descritto purtroppo in tante pellicole.
Questo film non si discosta dalla media, pur partendo da un’idea base che avrebbe potuto essere svolta meglio.
Ma Capitani sceglie la via più facile, con un occhio al botteghino e l’altro al produttore.

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Veronica Merin è Manua

Così ingaggia il re della commedia farsesca Lando Buzzanca che replica per l’ennesima volta il ruolo del galletto allupato che, questa volta, non va ad insidiare le donne degli altri ma cerca di procurarsi una compagna fedele e ubbidiente in tutto e per tutto reclutandola in pratica come schiava.
Idea già di per se aberrante, anche se mimetizzata dietro la facciata della commedia farsesca.
Ad un primo tempo in cui assistiamo alle difficoltà di ambientazione del buon Dedè nella società spocchiosa ed arrogante dei ricchi fancazzisti siciliani e osserviamo il suo impossibile rapporto con una moglie che stravolge i ruoli ordinari per tentare di plasmare il marito secondo i suoi gusti intellettuali segue purtroppo un secondo tempo in cui a tratti ci si vergogna anche di assistere ad una commedia che in fondo è cosa talmente leggera da non potersi prendere sul serio.

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Quello che da veramente fastidio è veicolare l’idea della schiava, mortificata dal suo padrone in ogni situazione; Dedè, per esempio, a tavola con gli amici costringe la povera Manua a mangiare un cosciotto quasi fosse un cane, la costringe a declamare un’assurdo decalogo in cui tutto si conclude con l’aberrante “la donna non deve rompere i co*****i”, che di per se è già un motivo per abbandonare la visione del film.

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Catherine Spaak è Rosalba

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Adriana Asti è Elena

Una commedia farsesca, certo, ma che bisogno c’è, se non si vuole fare denuncia, di veicolare messaggi cosi tristi e squallidi come quello che vuole la donna utilizzabile solo come oggetto eminentemente riproduttivo e casalingo?
Capitani, che in seguito si specializzerà in commedie all’italiana (Pane, burro e marmellata, Bruciati da cocente passione, Aragosta a colazione, Bollenti spiriti ecc.) confeziona un film quindi moralmente molto discutibile e cinematograficamente poco interessante.
Il film funziona solo a sprazzi per merito del solito Lando Buzzanca che ispira simpatia solo con la sua presenza (una quarantina i film interpretati nel florido filone della commedia sexy nei soli anni 70) e che fa la sua parte, così come una bella Catherine Spaak e una sacrificata Adriana Asti (Elena l’amante di Dedè) fanno la loro.
La schiava Manua è interpretata dalla sconosciuta Veronica Merin, alla sua prima e ultima comparizione cinematografica; l’attrice si segnala solo per il suo petto ben fatto e null’altro, mostrando per tutto il film un’aria svagata come quella di una ragazzetta a cui hanno concesso una vacanza premio in una località esotica.
Nel cast c’è anche Gordon Mitchell (il folle nazista) e la solita schiera di comprimari.
Null’altro da segnalare se non la rarità con cui questo film è stato trasmesso fino ad oggi, che a ben vedere è più cosa buona che cattiva.

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La schiava io ce l’ho e tu no
Un film di Giorgio Capitani. Con Adriana Asti, Catherine Spaak, Lando Buzzanca, Veronica Merin, Paolo Carlini,Nanda Primavera, Gianni Bonagura, Renzo Marignano, Corrado Olmi, Gordon Mitchell, Sergio Ferrero, Mauro Vestri
Commedia, durata 93 min. – Italia 1972.

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    Lando Buzzanca: Dedé
    Catherine Spaak: Rosalba
    Adriana Asti: Elena
    Veronica Merin: Manua
    Gianni Bonagura: Commissario Balzarini
    Paolo Carlini: Manlio
    Renzo Marignano: Corrado
    Gordon Mitchel: Von Thirac

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Regia     Giorgio Capitani
Soggetto     Nino Longobardi
Sceneggiatura     Sandro Continenza, Giulio Scarnicci, Raimondo Vianello
Casa di produzione     Medusa
Distribuzione (Italia)     Medusa
Fotografia     Sandro D’Eva
Montaggio     Renato Cinquini
Musiche     Piero Umiliani

settembre 28, 2011 Posted by | Commedia | , , , | Lascia un commento

Io e Caterina

Io e Caterina locandina

Enrico Menotti, uomo d’affari italiano, ha una vita famigliare abbastanza problematica.
Ha una moglie, Marisa, con la quale vive un menage di coppia basato sul completo disinteresse, mentre ha come amante la bella segretaria Claudia.
Se Marisa lo tormenta da un lato con la sua presenza ossessionante, Claudia gli rimprovera le scarse attenzione che le dedica.
Così, durante un viaggio negli Usa, Enrico si confida con l’amico Arturo, rivelandogli tutti i problemi che ha con le donne che frequenta.
Arturo gli fa conoscere Catherine, un robot che svolge tutti i lavori in casa dell’uomo; l’automa non solo governa la casa senza discutere, è obbediente e silenziosa, una specie di donna-schiava sotto forma elettronica.

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Edwige Fenech è Elisabeth

Enrico decide così di acquistare un esemplare di robot domestico, che battezza Caterina; i primi tempi di coabitazione tra l’uomo e l’automa sono addirittura idilliaci, tanto che Enrico si sbarazza in rapida successione prima della moglie, poi della cameriera e infine dopo una lite originata da uno scambio di regali, anche dell’asfissiante amante.
Ma le cose iniziano lentamente a cambiare; il robot Caterina all’inizio si mostra impeccabile, poi inizia ad assumere comportamenti quasi umani.

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Alberto Sordi è Enrico

Si lamenta di essere sola e chiede ad Enrico di poter stare in sua compagnia mentre l’uomo la sera assiste ai programmi televisivi.
Il tanto agognato sogno di indipendenza di Enrico va in frantumi quando l’uomo incontra Elisabeth, una ex dipendente di sua moglie.
Da vero viveur, Enrico corteggia la splendida donna e alla fine riesce a convincerla a seguirlo a casa.
Ma l’ostilità di Caterina diventa immediatamente lampante; il robot assume caratteristiche quasi umane, mostrando gelosia e ostilità.
Così la sera quando il robot si accorge che Elisabeth intende passare la notte nel letto di Enrico, devasta la casa provocando la fuga della donna.

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Enrico si rende conto di aver sostituito le “sue” donne con un essere meccanico che lo tratta da padrone riverendolo e servendolo in ogni cosa, ma anche rendendolo prigioniero di una situazione non dissimile da un matrimonio umano.
Alberto Sordi regista valeva sicuramente molto meno del Sordi attore, e lo dimostra compiutamente con questo film del 1980, che segue la mediocre partecipazione alla regia nel film Dove vai in vacanza?, nel quale aveva diretto il segmento Le vacanze intelligenti.
Io e Caterina, pur avendo una trama di qualche interesse, sicuramente inusuale nel descrivere il rapporto tra uomo e donna sotto forma di robot, ma in questo caso talmente umanizzata da averne praticamente tutti i difetti tipici (o almeno imputati) della donna, finisce per diventare una fiera paesana non solo di luoghi comuni ma anche sonnolenta e sciatta.
Sordi tira fuori un film debolissimo, con una tematica di fondo che definire detestabile è davvero riduttivo; un maschilismo bieco e assolutamente non condivisibile permea ogni singola scena del film.

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Il robot Caterina

Le donne che vi vengono descritte sono gelose e possessive, grette e anche poco intelligenti, a cominciare dalla moglie, descritta come un essere avido e senza sentimenti passando per l’amante e finendo con Elisabeth, donna senza cervello ma dalle forme sinuose, tipico esempio di oca buona per una notte sola.
Ed è questo a irritare principalmente nel film, questo atteggiamento maschilista davvero inqualificabile, portato all’esasperazione nella simbologia robot donna/donna umana, quasi che il fatto di essere femmina implichi necessariamente una predisposizione “genetica” ad alcuni difetti.

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A parte il maschilismo imperante, il film è lento, non ha ritmo ed è assolutamente privo anche di humour, a meno che non si voglia considerare umorismo il rapporto di schiavitù che viene a crearsi tra i due universi, l’uomo e il robot e lo svolgimento dello stesso, con la fase penosa della distruzione della casa da parte di Caterina ormai diventata un totem, un feticcio femminile che  incarna tutti gli pseudo vizi che vengono spesso imputati alle donne.

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La tradizionale doccia di Edwige Fenech

Il tutto diventa così un mortificante esempio di cinema visto con un’ottica assolutamente fuorviante, quella di un Sordi misogino e antifemminista davvero sorprendente in un uomo che amava l’universo femminle e che ne vantava le qualità.
Un film quindi non solo povero di idee e discutibile nella tematica di base ma anche irritante come i suoi personaggi.
Non si salva davvero nessuno, a partire da Arturo, il primo dei maschilisti interpretato da un Rossano Brazzi poco convincente per passare a Catherine Spaak, che riesce però a rendere davvero odioso il personaggio di Claudia amante di Enrico.
Sordi è piatto e monotono, mentre la Fenech quanto meno è in smagliante forma fisica e lo dimostra nelle scene di nudo sotto la doccia, spiata dall’enigmatica Caterina che non ha ancora mostrato la sua ostilità verso la “rivale”.
Un film in cui davvero non si salva nulla, da evitare in tutti i modi.

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Io e Caterina,un film di Alberto Sordi. Con Alberto Sordi, Rossano Brazzi, Catherine Spaak, Edwige Fenech, Valeria Valeri, Elisa Mainardi, Victoria Zinny, Ugo Bologna, Sandra Mantegna, Andy Miller, Fiorella Buffa, Danuta Chwalek, Andrea Gracco, Susan Scheerer, Daniela Caroli
Commedia, durata 105 min. – Italia, Francia 1980.

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Alberto Sordi    …     Enrico Menotti
Edwige Fenech    …     Elisabeth
Catherine Spaak    …     Claudia Parise
Valeria Valeri    …     Marisa Menotti
Rossano Brazzi    …     Arturo
Ugo Bologna    …     Passeggero dell’aeroplano
Elisa Mainardi    …     Teresa
Victoria Zinny    …     Susan
Fiorella Buffa    …     Femminista
Susan Scheerer    …     Pamela

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Regia di Alberto Sordi
Scritto da Rodolfo Sonego e Alberto Sordi
Prodotto da Raimondo Castelli , Gianni Hecht Lucari e Alberto Sordi
Musiche originali di Piero Piccioni
Fotografia di Sergio D’Offizi
Montaggio di Tatiana Casini Morigi
Scenografie di Lorenzo Baraldi
Arredatore Osvaldo Desideri
Costumi di Bruna Parmesan
Effetti speciali di Giovanni Corridori e Germano Natali

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Le recensioni qui sotto appartengono al sito http://www.davinotti.com

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Una delle prove più opache del Sordi attore e regista, del quale inizia a vedersi un accenno di parabola discendente. La storia del robot che sostituisce in un colpo tutte le figure femminili della vita è buona, ma la sceneggiatura non la sfrutta adeguatamente, facendone derivare così una sorta di parabola maschilista, dalla facile quanto scontata morale. Sordi e simpatico, ma ciò non basta a salvare il film dal naufragio.

Il robot io ce l’ho e tu no. Parafrasando un altro film con la Spaak, la storiella è tutta qui. Il solito maschio italiano sordiano, che come noto ce lo meritiamo, alle prese con le donne che lo scocciano. Allora si compra un robot-domestica che si umanizza e diventa gelosa. Ritmo zero, gag invecchiatissime, il Sordi declinante e trombonesco delle peggiori occasioni, che recita dal suo piedistallo. Era scarso allora, rivisto oggi è francamente terribile.

Gli Anni Ottanta di Alberto Sordi si aprono con un film che definisco “conservatore” ed ovviamente maschilista (ma è una costante per Albertone…). L’idea della donna robot che sostituisce quella in carne ossa è geniale, anche se messa in scena in quel periodo sembrava quasi una risposta arrogante al pensiero femminista del decennio precedente; forse Sordi arriva un po’ tardi sull’argomento, visto che eravamo già ampiamente in periodo “riflusso”. Il film lo amo, perché amo Sordi e mi riconosco in molti suoi pensieri e movenze. Ottima, come sempre, la musica di Piero Piccioni.

Nonostante una brillante idea, la donna robot, che verrà più volte ripresa in futuro e nonostante l’Albertone nazionale, la Fenech ed una splendida Spaak, il film ha ben poco da dire. Cosa se ne ricorda? Un po’ di gigioneggiamenti del nostro, due bellissime donne, battute e situazioni mal sfruttate ed una colonna sonora orecchiabile, per quanto scioccherella. Perderselo non sarebbe un peccato!

Un vero peccato che Sordi si sia fatto prendere dalla megalomania, perché anche in questo film (tutt’altro che memorabile) vederlo recitare è sempre piacevole (benché sia sempre lo stesso Sordi, in fondo). Il problema è che alla fine il film si riduce a questo: una macchina da presa che segue Sordi per novanta minuti, scadendo forse nel puro autocompiacimento. La morale sordiana, poi, non è certo un mistero e, considerando che si parla del 1980, la sua posizione sulle donne pare “leggermente” anacronistica.

L’idea era buona, ma la realizzazione è scaduta in maniera farsesca e carente. Una robottina che sostituisce la donna nelle faccende domestiche senza avere pretese di sorta, ma il robot mostra gelosia ed impedisce al suo padrone avventure galanti con scontati risultati. Sordi aveva da tempo perso la vena creativa e lo ribadisce in questa pellicola, in cui vorebbe scavare nella psicologia femminile ma scade nel qualunquismo più assoluto.

Certo: la satira qui è banalotta e il ruolo della donna (siamo nel 1980) in anni immediatamente post-femministi viene dileggiato in modo superficiale. Tuttavia Sordi è abilissimo nel reggere praticamente da solo il peso di tutto il film, con la vicenda che si svolge quasi interamente nella lussuosa casa tra lui e la donna-robot. A sprazzi il protagonista, che si atteggia a maturo dongiovanni e uomo di mondo, lascia trasparire la malinconia del vivere da solo e senza veri affetti. Tardosordiano.

Caterina, una donna robot e dunque oggetto, è il sogno del Dottor Menotti che con una sola manovra si disfa di tutte le donne della sua vita che gli chiedono troppo. La sceneggiatura di Sonego sembra restare buona solo in potenza, Sordi regista non ne eleva il soggetto e il film arriva ad occupare una posizione mediocre nella sua  filmografia, sia per uno stile un po’ anonimo sia per la facile lezioncina sul maschilismo e la donna oggetto.

febbraio 12, 2011 Posted by | Commedia | , , , | Lascia un commento

Miele di donna

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Una giovane donna attraversa la città assolata, sale sulla sua Golf cabriolet e si ferma davanti ad una villa elegante; l’insegna sulla porta ci informa che si tratta della Chirone editrice.
La donna suona e ad aprire arriva un signore elegante, l’editore Chirone. La donna estrae una pistola e obbliga l’uomo ad entrare in casa; poi, dopo aver chiuso ermeticamente tutte le finestre,costringe l’uomo a sedersi e gli porge un manoscritto, costringendo Chirone a leggerlo a voce alta.

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Catherine Spaak

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Fernando Rey

Il manoscritto racconta le vicende di Anny, una giovane all’apparenza candida, che giunge nella pensione Desiderio proveniente da un posto non citato.
All’interno della pensione è accolta dalla procace proprietaria, che la mette a suo agio.
Poco alla volta Anny fa conoscenza con le strane, sopratutto stravaganti persone che sono pensionate nella struttura; si parte da Ines, una giovane governante maltrattata dalla proprietaria (scopriremo poi che è sua sorella), per passare ad uno strano e elegante maestro di ballo, passando per un affascinante sconosciuto che abita una stanza perennemente immersa nel buio nella quale non fa altro che esercitarsi nel coltivare la migliore forma fisica, per finire con una strana donna vestita come una dark lady che in seguito si rivelerà essere una donna dominante con velleità sadiche.

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Clio Goldsmith

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Donatella Damiani

La ragazza, alla fine, scoprirà la sessualità grazie al misterioso culturista.
Di colpo tutto si interrompe, e si scopre che quello di Anny era solo un sogno.
Non solo; la scrittrice con la pistola non ha minacciato l’editore casualmente.
Lei è la compagna (o forse la moglie, il film non lo spiega) dell’editore; i due in pratica hanno creato un nuovo gioco delle parti per rivitalizzare il loro rapporto.

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Letta così, la sceneggiatura sembra semplice e lineare, anche se un pochino sempliciotta.
In pratica le cose stanno diversamente, perchè dopo abbondanti 15 minuti, passati tra le schermaglie che intercorrono tra l’editore e la scrittrice, ci troviamo proiettati in un film quasi incomprensibile nelle sue vere motivazioni.
Il percorso di Anny, che sembrerebbe un percorso iniziatico, propedeutico a qualcosa di indefinito, si trasforma in un incomprensibile vagabondare tra le stanze della pensione Desiderio, in cui vive gente che si muove come in sogno, senza motivazioni e senza passato. Chi è la proprietaria della pensione, cosa fa effettivamente nella stessa? Perchè maltratta sua sorella, che relazioni ci sono tra i vari avventori? Ma la domanda principale resta una: chi è Anny, da dove viene, qual’è il suo passato?

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Domande che potrebbero non avere un senso qualora l’intento del regista, Gianfranco Angelucci sia stato quello di raccontare con l’ausilio di una storia blandamente erotica, che ricorda alla lontana l’iniziazione erotica di O, la protagonista di Histoire d’O, un percorso similare fatto dalla ingenua Anny all’interno della pensione Desiderio.
In questo caso il film non centra nessuno dei suoi obiettivi, trasformandosi in una noiosissima storia senza capo ne coda usata come pretesto per giustificare la storia esistente tra i due veri protagonisti, l’editore e la scrittrice, che forse usano la stessa per tenere sveglio il loro legame.

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Qualunque sia l’intento di Gianfranco Angelucci, il film, nonostante un gran cast, si rivela soporifero oltre ogni limite consentito; i personaggi, che sembrano muoversi senza alcuna motivazione di fondo, finiscono per perdere di interesse con conseguente trasformazione in tedio da parte dello spettatore.
Eppure il cast è di prim’ordine; a partire da Fernando Rey, l’editore, per proseguire poi con Catherine Spaak, la scrittrice, con Clio Goldsmith, la bella Anny, con Donatella Damiani, dalle forme sovrabbondanti eppure esposte con insolita sobrietà, da Adriana Russo, che è Ines per finire con la solita bella e affascinante

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Adriana Russo

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Susan Scott (Nieves Navarro)

Susan Scott o Nieves Navarro che si voglia e con Luc Merenda, il misterioso pensionante con la fissa del fisico perfetto.
Un cast assolutamente sprecato, quindi, in un film totalmente inespresso in qualsiasi ottica lo si voglia vedere, fatte salve le belle immagini della Goldsmith nature, che da sole valgono la metà del prezzo del biglietto.
Ma solo la metà, però.

Miele di donna, un film di Gianfranco Angelucci. Con Catherine Spaak, Fernando Rey, Clio Goldsmith, Luc Merenda, Adriana Russo, Lino Troisi, Donatella Damiani
Drammatico, durata 91 min. – Italia 1981.

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Clio Goldsmith: Annie
Catherine Spaak: scrittrice
Donatella Damiani: padrona della pensione
Fernando Rey: editore
Luc Merenda: uomo della stanza
Adriana Russo: Ines
Lino Troisi: pensionato

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Regia Gianfranco Angelucci
Soggetto Gianfranco Angelucci, Liliana Betti
Sceneggiatura Gianfranco Angelucci, Liliana Betti, Eligio Herrera
Casa di produzione Vogue Film
Fotografia Jaime Deu Casas
Montaggio Roberto Perpignani
Musiche Riz Ortolani

dicembre 29, 2009 Posted by | Erotico | , , , , , , , | 3 commenti

Bruciati da cocente passione

Bruciati da cocente passione locandina

Storia di due coppie proletarie della Milano anni 70; due coppie assortite male, una formata da Casimiro e Milena, l’altra da Michele e Virginia.
Casimiro, ingenuo e romantico, ha per moglie la vulcanica Milena, mentre Michele, tipico popolano esuberante ma assolutamente privo di buone maniere, è sposato con la copia carbone di Casimiro, ovvero Virginia, anche lei sognatrice e timida. Le storie dei quattro si incrociano perchè il destino decide di metterci lo zempino:

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Catherine Spaak è Milena

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Jane Birkin è Virginia

Michele e Milena iniziano una relazione tumultuosa, fatta di incontri per entrambi molto soddisfacenti dal punto di visita fisico, mentre Casimiro deve limitarsi a guardare da lontano la donna che gli piace, quella Virginia che è la sua copia speculare. I due si guardano e si parlano come due fidanzatini, scambiandosi promesse, mezze frasi e speranze in un futuro migliore. La situazione degenera quando un ricattatore, Leonida fa saltare il tutto, costringendo i quattro a mettere in piazza la loro situazione.

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Cochi Ponzoni è Casimiro

Bruciati da cocente passione 15Aldo Maccione è Michele

Così di comune accordo, le coppie si dividono le rispettive consorti, o se vogliamo i rispettivi consorti. Casimiro va a vivere con Virginia e Milena con Michele. Il problema principale è rappresentato dalla coppia di figli che i coniugi hanno dai rispettivi matrimoni. Dopo vari tentativi, ognuna delle due coppie, all’insaputa dell’altra, tenterà di far fuori la coppia rivale; il tutto finirà per fortuna bene, almeno per loro, perchè durante un tentativo di far saltare la baracca della coppia Virginia-Casimiro, Leonida e Milena provocheranno un’inondazione.

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Qualche mese dopo i quattro si reincontrano in una trattoria: il tempo è passato ed evidentemente i legami di coppia che esistevano prima erano più forti di quello che i protagonisti pensavano, tant’è vero che riemerge negli sguardi dei protagonisti, il rimpianto per l’antico legame, quello canonico. Così assistiamo allo scambio di occhiate di desiderio di Casimiro per la sua ex moglie, mentre questa si china sui suoi bambini, sguardo ricambiato dalla donna, in cui c’è evidentemente rimpianto, sguardi che fanno il paio con quelli scambiati tra Leonida e Virginia, colmi di tenerezza e rimpianto.

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Film diretto da Giorgio Capitani, Travolti da cocente passione è una commedia tutto sommato ben congegnata, con un finale agro dolce, in cui le due coppie riscoprono i valori che avevano portato al loro formarsi. La trasgressione dal tran tran quotidiano, l’elemento di novità portato dal tradimento, la sottile ebbrezza e il fascino del proibito lasciano alla fine il posto al rimpianto di un passato tranquillo, vissuto nella solidità di rapporti evidentemente sottovalutati.

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Bravi senza dubbio i quattro protagonisti, Cochi Ponzoni che interpreta il timido e sognatore Casimiro, Catherine Spaak che interpreta sua moglie, la vitalissima Milena, Aldo Maccione nei panni del popolano rustico Michele e Jane Birkin, in un inedito ruolo simil comico, nel ruolo della timida e poetica Virginia.

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Bruciati da cocente passione, un film di Giorgio Capitani, con Cochi Ponzoni,Catherine Spaak,Aldo Maccione,Jane Birkin,Daniele Formica, Mario Maranzana

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Cochi Ponzoni: Casimiro Banotti
Catherine Spaak: Milena Banotti
Aldo Maccione: Michele Vismara
Jane Birkin: Virginia Vismara
Mario Maranzana: La Carrubba
Daniele Formica: il ricattatore
Enrico Beruschi: un collega di Casimiro
Annibale Papetti: Ambrogio, l’oste
Franca Scagnetti: la chiromante
Guido Spadea: il parroco
Renato Mori: il funzionario del PCI
Maria Tedeschi: donna sulla sedia a rotelle
Fernando Cerulli: l’avvocato

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Regia Giorgio Capitani
Soggetto Luciano Vincenzoni, Nicola Badalucco
Sceneggiatura Nicola Badalucco
Casa di produzione Rizzoli Film
Distribuzione (Italia) Cineriz-Domovideo
Fotografia Roberto Gerardi
Montaggio Renato Cinquini
Musiche Piero Umiliani
Scenografia Ezio Altieri

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ottobre 20, 2009 Posted by | Commedia | , , , , | Lascia un commento

La matriarca

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Margherita, chiamata da amici e parenti Mimi, è una giovane e bella donna, che all’improvviso si ritrova vedova, senza per’altro molta sofferenza da parte sua, visto che in un monologo inizale dice testualmente di non aver trovato motivi per piangere. Dopo il funerale la giovane, mentre è nell’azienda del marito, apprende dall’avvocato della stessa dell’esistenza di un appartamento intestato al marito, ma misteriosamente non compreso tra i suoi beni.

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Catherine Spaak è Mimi

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Incuriosita, Mimi si reca nell’apartamento, e scopre che suo marito in realtà aveva una vita parallela a quella di bravo marito e industriale: nell’appartamento, arredato come una garconniere, con tanto di specchi, bar fornitissimo e altre comodità, l’uomo riceveva le sue numerose amanti, con le quali praticava sesso anche sadomasochistico. All’interno dell’appartamento, infatti, c’era un registratore ed una cinepresa, con la quale l’uomo filmava i suoi incontri erotici.

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Mimi, sconvolta da quanto ha appreso, si interroga sul perchè suo marito fosse così disinibito all’esterno, mentre era così riservato con lei; acquista quindi un libro sul sesso, e subito dopo, un pò per per curiosità, un pò per desiderio postumo di vendetta, inizia a portare nella garconniere uomini di ogni genere. Il primo è l’avvocato dell’azienda, nonchè amico del marito, e subito dopo tocca ad altri.

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La madre di Mimi, preoccupata dalle condizioni della ragazza, riesce a farla ricoverare per analisi nella clinica del suo compagno: qui la donna incontra il dottor De Marchi, e dopo breve tempo ne diventa l’amante. Sembra un’avventura come le altre, ma l’uomo è innamorato della ragazza, e dopo una terapia d’urto, e con molta dolcezza, riuscirà a convincerla di sposarlo.

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Diretto da Pasquale Festa Campanile nel 1968, La matriarca è una gradevole commedia, senza particolare impegno e senza grosse ambizioni, ad onta di un cast di ottimo livello, che vede protagonisti Catherine Spaak nel ruolo di Mimi, la giovane e confusa vedova, Jean Louis Trintignant in quello del dottor De Marchi, e uno stuolo di attori di ottimo livello in parti secondarie, a partire da Paolo Stoppa, che ricopre il ruolo del compagno della madre di Mimi, Luigi Pistilli,

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Philippe Leroy, Vittorio Caprioli, un simpatico e stravagante Gigi Proietti nel ruolo dell’avvocato che tenterà invano di farsi sposare da Mimi, Nora Ricci, nei panni della madre della ragazza e infine Venantino Venantini , Gabriele Tinti e Renzo Montagnani, assolutamente irriconoscibile dietro strane lenti e capelli riccioluti, nei panni di un pervertito sadomasochista. Un film ben congegnato, a tratti anche gradevole, proprio per la leggerezza del tema trattato. da segnalare le numerose, anche se castigatissime, scene di nudo della Spaak, al massimo della sua bellezza.

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La matriarca, un film di Pasquale Festa Campanile. Con Paolo Stoppa, Luigi Pistilli, Jean-Louis Trintignant, Philippe Leroy, Catherine Spaak, Vittorio Caprioli, Renzo Montagnani, Luigi Proietti, Nora Ricci, Gabriele Tinti, Venantino Venantini, Frank Wolff
Commedia, durata 92 min. – Italia 1968.

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Gigi Proietti: Sandro Maldini
Catherine Spaak: Margherita, detta Mimmi
Jean-Louis Trintignant: dottor Carlo De Marchi
Luigi Pistilli: Otto Frank, detto Mr. X
Renzo Montagnani: Fabrizio
Fabienne Dalì: Claudia
Nora Ricci: madre di Mimmi
Edda Ferronao: Maria
Vittorio Caprioli: il libraio
Gabriele Tinti: uomo nella macchina
Venantino Venantini: Aurelio
Frank Wolff: dottor Giulio, il dentista
Paolo Stoppa: professor Zauri
Philippe Leroy: istruttore di tennis
Mario Erpichini: Franco, marito di Mimmi

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Regia Pasquale Festa Campanile
Soggetto Nicolò Ferrari
Sceneggiatura Nicolò Ferrari, Ottavio Jemma
Produttore Silvio Clementelli
Casa di produzione Clesi Cinematografica, Finanziaria San Marco
Distribuzione (Italia) Euro International Film
Fotografia Alfio Contini
Montaggio Sergio Montanari
Musiche Armando Trovajoli
Tema musicale L’amore dice ciao di Guardabassi e Trovajoli, cantato da Andee Silver
Scenografia Flavio Mogherini
Costumi Gaia Rossetti Romanini
Trucco Franco Freda

Doppiatori italiani
Maria Pia Di Meo: Margherita, detta Mimmi
Cesare Barbetti: dottor Carlo De Marchi
Rita Savagnone: Claudia
Pino Colizzi: uomo nella macchina
Aldo Giuffré: dottor Giulio, il dentista
Sergio Graziani: istruttore di tennis
Luciano De Ambrosis: Franco, marito di Mimmi

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agosto 10, 2009 Posted by | Commedia | , , , , , , , , , , | Lascia un commento

L’armata Brancaleone

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Un film nato quasi per gioco,e che viceversa si trasformò in un autentico evento di costume,che rivoluzionò il modo di presentare il medioevo,che non è più popolato di nobili cavalieri e donzelle,di duelli e di certami cavallereschi,ma pieno di gente comune,i perdenti e gli sconfitti,quelli che Monicelli tanto prediligeva mostrare sullo schermo.

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Una rivoluzione copernicana,a cominciare dai dialoghi,in un italiano delle origini buffo e irresistibile,infarcito di locuzioni dialettali,con dialoghi alle volte surreali,ma assolutamente innovativi;in mezzo una banda di straccioni,quelli che Pasolini avrebbe definito sottoproletari senza arte ne parte,vero fulcro della vita sociale del medioevo. Il soggetto della coppia magica Age e Scarpelli,la regia di Monicelli e un cast di attori assolutamente straordinario completano il quadro di un’opera che segnò una svolta non solo nel costume,ma anche nella maniera di presentare,da allora in poi,un’epoca che era stata eccessivamente mitizzata o al contrario eccessivamente denigrata.

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Brancaleone da Norcia,rampollo di una nobiltà di provincia,ricca di blasone ma povera economicamente,parte per il feudo di Aurocastro per rivendicarne il possesso,secondo quanto affermato da una pergamena che il piccolo manipolo di straccioni gli ha presentato,senza però dire che quella pergamena è stata sottratta ad un nobile aggredito e che al momento del furto sembrava morto.

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Il gruppo,l’armata Brancaleone,scompaginato assieme di varia umanità,gira in lungo e in largo per la penisola,coinvolto in avventure grottesche,al limite e ben oltre il ridicolo;entra in un paese per saccheggiarlo e scopre che è affetto dalla peste,si unisce ad un gruppo diretto in Terrasanta,capeggiato dal monaco Zenone,salvo poi abbandonare anche questo quando il monaco precipita da un ponte.

Sempre più coinvolta in imprese grottesche,l’armata libera una donzella,promessa sposa di un nobile,salvo poi scoprire che la giovane donna non era affatto un giglio,giunge infine in un paesino per conquistarlo,e lo conquistano davvero,perchè gli abitanti,avvertiti dell’arrivo dei saraceni,consegnano le chiavi della città e fuggono.

Fatti prigionieri dai mori,vengono liberati da un misterioso cavaliere,che altri non è che il legittimo signore di Aurocastro,che a sua volta li vorrebbe mettere a morte;ma l’arrivo provvidenziale del monaco Zenone,salvatosi miracolosamente,li salva dalla morte;il nostro gruppo di simpatici e imbranati avventurieri ha ora una nuova meta,partecipare alla liberazione del Santo Sepolcro.

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Un film che diverte in maniera irresistibile,per tutta una serie di motivi;le avventure surreali del gruppo,che parla un linguaggio a metà strada tra il latino e il volgare,arricchito di neologismi assolutamente irresitibili si uniscono alla simpatia che suscitano,spontaneamente,proprio perchè sono dei perdenti.

Tutto è messo in burla,anche la morte;che appare una compagna di cammino fastidiosa,ma con la quale si può anche celiare;i paesaggi sono scarni,danno l’impressione reale di un Medioevo in cui la concentrazione degli abitanti è limitata ai piccoli centri urbani,in cui ognuno si fa furbo per sopravvivere,in un’epoca popolata da briganti e malfattori.

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Lui,Brancaleone da Norcia,è un loquace e spaccone avventuriero,al quale non manca la nobiltà d’animo;un pò guascone,un pò Don Chisciotte,Brancaleone ha comunque un senso morale e non manca di senso della giustizia.E’ un cialtrone,ma di quelli simpatici,a cui si perdona tutto.E Gasmann dipinge il suo personaggio in maniera perfetta,dando spessore,anima e umanità proprio al condottiero senza macchia e senza paura,almeno all’apparenza.

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Tutti bravi gli attori,a loro perfetto agio e sicuramente anche loro divertiti da quella strana sceneggiatura,da quello strano parlare e da quelle mirabolanti avventure su è giù per una penisola abitata da tanti straccioni,furbi,spietati e a volte anche umani. Chissà,forse il Medioevo era davvero questo,un’umanità un pò gaudente,un pò triste,in cui il destino di ognuno era legato a fattori imprevedibili,come la peste,le malattie i briganti e….le armate Brancaleone.

L’armata Brancaleone, un film di Mario Monicelli. Con Vittorio Gassman, Catherine Spaak,Gian Maria Volonté, Enrico Maria Salerno, Maria Grazia Buccella,Barbara Steele, Carlo Pisacane, Folco Lulli, Fulvia Franco, Luis Induni, Pippo Starnazza, Ugo Fangareggi, Gianluigi Crescenzi, Luigi Sangiorgi, Joaquín Díaz, Tito García
Commedia, Ratings: Kids+16, durata 120 min. – Italia, Francia, Spagna 1966.

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Vittorio Gassman: Brancaleone da Norcia
Gian Maria Volontè: Teofilatto dei Leonzi
Catherine Spaak: Matelda
Folco Lulli: Pecoro
Maria Grazia Buccella: La vedova
Barbara Steele: Teodora
* Enrico Maria Salerno: Zenone
Carlo Pisacane: Abacuc
Ugo Fangareggi: Mangold
Gianluigi Crescenzi Taccone
Pippo Starnazza: Piccioni
Luigi Sangiorgi: Manuc
Fulvia Franco: Luisa
Tito García: Filuccio
Joaquín Díaz: Guccione
Luis Induni Luigi di Sangi
Carlos Ronda: Enrico di Andrea
Juan C. Carlos: Aldo di Scaraffone
Alfio Caltabiano: Arnolfo Mano-di-ferro
Philippa de la Barre de Nanteuil: Isadora

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Doppiatori italiani:

Enzo Liberti: Pecoro
Benita Martini: La Vedova
Luisella Visconti: Teodora
Franco Latini: Abacuc
Marcello Turilli: Mangold
Antonio Guidi: Arnolfo Mano-di-ferro

Fotografia: Carlo Di Palma
Montaggio: Ruggero Mastroianni
Effetti speciali: Armando Grilli
Musiche: Carlo Rustichelli
Scenografia: Lorenzo Baraldi

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Non mi ha fatto impazzire. Ha cose meravigliose: innanzitutto il lessico delizioso (“fromboliere”, “folgore”, “proietto”…), poi i costumi, le superbe località agresti dell’Italia Centrale e Meridionale, la grande interpretazione di Gassman, la piacevolissima parte di Volontè, ma quello che manca è la tipica vivacità della commedia all’italiana, della quale questo film è ritenuto uno dei vertici. La vicenda è però lenta, non appassionante, fatta di avvenimenti prevedibili, con parentesi di troppo. Forse sono io che non ho capito bene il film.

Interessante “operazione cinematografica” diretta, come il sequel, da Mario Monicelli che combinò gli umori della commedia all’italiana di stampo classico (ovvero rassegna di caratteri per realizzare una riflessione sulla società) con i toni della farsa e del film in costume. Il risultato è un film molto divertente (ma che offre parecchi spunti di riflessione grazie all’arguta sceneggiatura) anche grazie all’introduzione di un simpatico linguaggio misto tra latino ed italiano arcaio/volgare. Grande Gassman,particolarmente istrionico.

Cavaliere di mezza tacca guida un gruppo di sfigati tra paesi, duelli e battaglie. Monicelli (con Age e Scarpelli) è un Cervantes grottesco che crea un Medioevo trucido e cialtrone caratterizzato da un italiano maccheronico e burino: ne viene fuori uno squinternato e spassoso romanzo cavalleresco, che ha in Gassman un eccellente interprete e nei paesaggi dell’Italia centrale il sapore di una storia che si può irridere, ma anche usare come metafora grottesca della nostra realtà fatta di fanfaroni e litigi sotto l’ala incombente della morte.

Spesso considerato (a torto) una delle tante e semplici commediole italiane dell’epoca, è in realtà un film ben più complesso, ricco di riferimenti (alti) cinematografici, musicali e letterari. Notevolissime le invenzioni linguistiche, così come pure la fotografia di Carlo De Palma, i personaggi (alcuni dei quali irresistibili), le interpretazioni degli attori, i titoli di testa e di coda, i costumi, le musiche e chi più ne ha più ne metta. Un capolavoro ricco di idee, inventiva e fantasia. Da vedere e rivedere ed assolutamente da non perdere.

Insignissima opera de lo bravo Monicelli e de li sceneggiatori sua, qui ponet a loro agium magna actora quali lo Gassman e lo Volontè (graditam sorpresa in rolo non solito) et una serie bravorum caratteristi (intra quali lo Pisacane fora rolo est). La pelicula denunziat nu poco de ripetitivitas temorum et lentezzam di fondum sed le multa felix trovatam, lo cantum e lo idioma latino vulgaris mirabili sunt. Tanto che puro lo criticum contagiatus est.

Fantasia coloratissima, sgargiante e tanto, tanto divertente imitatissimo sino al pessimo Attila  con Abatantuono. Questo neologismo costante, questo carnevale goduto e godurioso è ricco di trovate (la corte bizantina, il paese degli appestati, la doppia esecuzione, la consegna della “vergine”), vero e proprio compendio in chiave comica di storia della seconda liceo. Monicelli memore dei Soliti Ignoti  (quasi un remake questo film, a tratti) inventa una compagnia di pezzenti guidati da un Gassmann in excelsis, pezzente e valoroso, sfigato e idealista.

Penso che questo sia il genere di film che Monicelli preferiva dirigere, visti anche i simil-autoplagi futuri. Un manipolo di sfigati fieramente capeggiato da Brancaleone scorrazza per lo Stivale combinando divertenti disatri a ripetizione. Belli i costumi e la ricostruzione medievale. Domina su tutti un Gassman teatrale fin sopra i capelli, che sfoggia imperiosamente un linguaggio aulico che è musica per le orecchie. Volontè invece si accontenta del ruolo di spalla occasionale. La colonna sonora ormai precede la fama dell’opera stessa.

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“Cedete lo passo tu!”

“Transitate lo cavalcone in fila longobarda”

“No, no.. ite anco voi sanza meta, ma de un’altra parte…”.

“Sarai mondo se monderai lo mondo!”

“Aquilante della malasorte!”

“Lo patre mio, barone di Norcia, morette quando io era in età di anni 9. Mia madre riandette a nozze con uno malvagio, lo quale avido dei beni miei mi consegnò ad uno sgherro, omo di facile pugnale, acché mi uccidesse. Ma non lo facette: preso di rimorsi mi abbandonò in uno bosco, ov’io sopravvissi, solo, e crebbi libero e forte come una lonza. Arrivato all’età degli anni 20 mi appresentai allo castello per reclamare il mio, ma infrattanto matre et patrigno si erano morti dopo aversi scialaquato cose ed ogni bene. Tanto che quando io dissi: “Brancaleone sono, unico legittimo erede di ogni cosa che avvi”, lo capitan de’ birri gridò: “Bene, e tu pagherai li debiti! Afferratelo!!”. Al che io brandii l’arma, ferii due guardie e fuggii… da allora vado errando e pugnando…”

“All’erta, miei prodi! Vi siete finora coperti di merda! Copritevi oggi di gloria! “

“Facemo 1.000 petecchioni, e contenti li sapienti e li minchioni! “

“Oh, gioveni! Quando vi dico sequitemi miei pugnaci, dovete sequire et pugnare! Poche conte! Se no qui stemo a prenderci per le natiche.”

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giugno 10, 2008 Posted by | Commedia | , , , , , , | Lascia un commento

Il gatto a nove code

Franco, un appassionato di enigmistica, sta passeggiando con la nipotina davanti ad un istituto nel quale si svolgono ricerche avanzate sulla genetica; casualmente capta una strana conversazione tra due uomini.

Nel frattempo,qualcuno si introduce nell’istituto, e ruba alcune ricerche molto importanti. Uno dei collaboratori dell’istituto finisce ucciso sotto un treno; è l’inizio di una serie di delitti, sul quale indagano Franco (che è cieco) e un giornalista a caccia di servizi sensazionali, che fiuta il colpo grosso.

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Karl Malden è Franco Arno

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I due arrivano ad una conclusione comune: i delitti sono in qualche modo legati al direttore dell’istituto di ricerca e a sua figlia,una ragazza strana ,Anna, che avrà una breve relazione con il giornalista, rischiando anch’essa la morte.

La soluzione è legata ad un medaglione,che la donna della prima vittima porta al collo; il giornalista arriverà così appena in tempo a scoprire la verità.

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Il gatto a nove code arriva dopo il successo del primo thriller di Dario Argento, L’uccello dalle piume di cristallo; è un thriller assolutamente canonico, con un assassino, insospettabile, una serie di omicidi apparentemente senza legami, e un’indagine risolta proprio dai due dilettanti, l’enigmista cieco e il giornalista a caccia di scoop.

Nel film compaiono Catherine Spaak, brava nel ruolo di Anna, Cinzia De Carolis, la nipotina di Franco, un ottimo Karl Malden nel ruolo di Franco, il cieco, James Franciscus che interpreta Carlo, il giornalista e il grande Tino Carraro, nel ruolo del padre di Anna, direttore dell’istituto di ricerca.

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Nel cast ci sono anche Aldo Reggiani e Pier Paolo Capponi.

Alcune scene di Il gatto a nove code sono oggi considerate dei classici; prima fra tutte quella al cimitero, con un’ambientazione sapiente, tesa, in cui tutti attendono, da un momento all’altro, un gesto cruento; il tutto condito molto bene dalla colonna sonora del solito grande Ennio Morricone.

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Il gatto a nove code, un film di Dario Argento. Con Rada Rassimov, Tino Carraro, James Franciscus, Catherine Spaak, Karl Malden, Emilio Marchesini, Umberto Raho, Stefano Oppedisano, Horst Frank, Vittorio Congia, Corrado Olmi, Ugo Fangareggi, Martial Boschero, Jacques Stany, Fulvio Mingozzi, Werner Pochat, Aldo Reggiani, Pier Paolo Capponi, Carlo Alighiero, Tom Felleghy, Pino Patti, Ada Pometti, Walter Pinelli, Sacha Helwin, Maria Luise Zetha, Cinzia De Carolis, Werner Pochath. Genere Giallo, colore 112 minuti. – Produzione Italia, Francia, Germania 1971.

Il gatto a nove code banner personaggi

James Franciscus    Karl Malden    …
Franco Arno …     Carlo Giordani
Catherine Spaak    …     Anna Terzi
Pier Paolo Capponi    …     Ispettore
Horst Frank    …     Dr. Braun
Rada Rassimov    …     Bianca Merusi
Aldo Reggiani    …     Dr. Casoni
Carlo Alighiero    …     Dr. Calabresi
Vittorio Congia    …     Righetto (cameraman)
Ugo Fangareggi    …     Gigi
Tom Felleghy    …     Dr. Esson
Emilio Marchesini    …     Dr. Mombelli
Fulvio Mingozzi    …
Corrado Olmi    …     Morsella
Pino Patti    …     Barbiere

Il gatto a nove code banner cast

Regia : Dario Argento
Prodotto da Salvatore Argento
Musiche: Ennio Morricone
Editing: Franco Fraticelli
Production Design :Carlo Leva
Costumi: Carlo Levi Luca Sabatelli
Titoli: Luciano Vittori
Casa di produzione: Seda Spettacoli, Terra Filmkunst, Labrador Film
Fotografia:     Erico Menczer

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Maggio 28, 2008 Posted by | Thriller | , , , , , | Lascia un commento