Mission
Il 13 gennaio 1750, Ferdinando VI di Spagna e Giovanni V di Portogallo firmano un documento per stabilire un confine tra le colonie in America meridionale. Si tratta del Trattato di Madrid, basato su uno dei principi fondamentali del diritto romano: chi possiede di fatto, possiede di diritto. Applicato nel contesto del Trattato, esso riconosce l’espansione e colonizzazione portoghese verso il bacino dell’Amazzonia a scapito dell’Impero spagnolo.
In questa cornice storica, alcuni membri della Compagnia di Gesù, armati di fede incrollabile e forza di volontà, si recano sul confine tra Argentina, Brasile e Paraguay, nella vasta foresta pluviale che circonda le cascate dell’Iguazú. Il film sviluppa la sua storia attraverso una corrispondenza che racconta gli accadimenti all’insediamento della missione. L’autore della corrispondenza è il cardinale Altamirano (Ray McAnally) cui voce narrante nella versione italiana è Renzo Palmer.
La missione dei gesuiti è quella di evangelizzare le tribù dei Guaranì e proteggerle dallo sfruttamento da parte degli spagnoli e portoghesi che si sono spartiti i territori dell’America meridionale. I gesuiti edificano le cosiddette “riduzioni”, centri in cui gli indios apprendono mestieri e arti proprie della cultura europea. I frutti del loro lavoro vengono distribuiti tra tutti i partecipanti secondo criteri di equità e collaborazione.
Padre Gabriel (Jeremy Irons) è un membro della Compagnia di Gesù che raggiunge in solitudine una tribù di Guaranì, scalando le cascate dell’Iguazú. Riesce a farsi accettare dagli indios grazie alla dolce musica dell’oboe che suona. Il gesuita ormai adottato dai Guaranì crea con il loro aiuto una missione, un’oasi di tranquillità ove gli indios vivono protetti dall’avidità dei mercanti di schiavi.
In questa missione impegnativa padre Gabriel è aiutato da Rodrigo Mendoza (Robert De Niro), ex mercenario e mercante di schiavi. Mendoza, in un momento di ira, uccide suo fratello Felipe (Aidan Quinn) e, in preda ai rimorsi, decide di lasciarsi morire. Ma il gesuita lo persuade a non troncare la sua vita a mezzo del suicidio. Gli suggerisce di percorrere la via della redenzione per perseguire un fine onesto, importante. Rodrigo decide quindi di mettersi al servizio dei gesuiti e degli indios, scegliendo di prendere i voti per diventare un missionario gesuita.
Le “riduzioni” sono mal viste sia dagli spagnoli sia dai portoghesi che le considerano un ostacolo nelle fruttuose attività di compravendita di schiavi. I poteri forti chiedono la mediazione del Papa per allontanare i gesuiti ed eliminare di conseguenza le missioni costruite sui territori ormai portoghesi. I coloni accolgono il cardinale Altamirano (Ray McAnally) il quale,
pur essendo impressionato dalla bontà e bellezza delle missioni, ordina ai gesuiti e agli indios di abbandonare le loro terre in favore dei latifondisti portoghesi. I rappresentanti dei re di Spagna e Portogallo, Don Cabeza (Chuck Low) e Don Hontar (Ronald Pickup), nei loro colloqui con il cardinale minacciano apertamente l’esistenza stessa della Compagnia di Gesù all’interno della Chiesa. Gli indios rifiutano l’ordine di lasciare le loro terre. Decidono di combattere per difenderle, guidati da padre Rodrigo che riprende in mano le armi e organizza la difesa. I gesuiti rimangono con gli indios che li hanno accolti e adottati. Una spedizione militare è inviata contro “i ribelli”. Padre Gabriel respinge la violenza; durante i combattimenti celebra la messa nella missione con la partecipazione delle donne, dei bambini e degli anziani Guaranì. I missionari Fielding (Liam Neeson) e Ralph (Rolf Gray) muoiono combattendo accanto ai Guaranì.
Padre Rodrigo muore deriso dai soldati portoghesi durante il tentativo fallito di far esplodere il ponte di collegamento della missione. Disteso a terra, il suo sguardo contempla padre Gabriel in processione mentre avanza tra gli spari e viene colpito a morte.
La missione è distrutta, i Guaranì sopravvissuti sono condotti in schiavitù. Un gruppo ristretto di bambini si salva dal massacro e si allontana silenziosamente con una canoa.
Ad una prima visione la figura centrale sembra essere Rodrigo Mendoza, commerciante di schiavi e fratricida, che ottiene la redenzione attraverso i missionari che gli assegnano la penitenza di curarsi di coloro che un tempo erano oggetto dei suoi affari: i Guaranì. Grazie alla bravura di De Niro il personaggio Mendoza suscita nello spettatore un maggiore interesse in quanto la sua trasformazione si svolge in maniera quasi spettacolare. Tuttavia, è mia opinione che Padre Gabriel, egregiamente interpretato da Jeremy Irons, ben sostiene il confronto. Perché se è vero che un cambiamento del male in bene è l’aspirazione degli umanisti convinti, è altrettanto vero che un bene che non si lascia corrompere dal male è l’ideale dei cristiani. Padre Gabriel, devoto, schietto, sensibile e leale, dichiara fino all’ultimo che “Dio è amore”. Continua a combattere il male con il bene rifiutandosi di ricorrere ad atti di violenza. Lui che ha conquistato l’affetto degli indios con il dolce suono dell’oboe, continua a vivere nella memoria dei sopravvissuti grazie alla bontà delle sue azioni.
Personalmente, avrei apprezzato una migliore rappresentazione dei personaggi Guaranì, un approfondimento della loro filosofia di vita, dei loro valori, ecc. In questo senso ho pensato di portare un modesto contributo per coloro che leggendo questo scritto e visionando il film potrebbero gradire una descrizione di questo popolo: “Gli esseri che sono privi dell’ipocrisia delle persone civili, reagiscono naturalmente, al momento che percepiscono le cose. È nell’immediato che sono contenti o scontenti, allegri o tristi, interessati o indifferenti. Notevole è la superiorità di indios puri come questi guajiros. Ci superano in tutto perché, se adottano qualcuno, tutto ciò che essi hanno è suo e, a loro volta, quando da questa persona ricevono la più piccola attenzione sono commossi profondamente, nel loro essere ipersensibile.” (da”Papillon”, di Henri Carrière)
Tornando alla pellicola, nella parte finale, regna la confusione. Le scene dei combattimenti sono mal orchestrate. Un vero peccato per un trama che si sviluppa in luoghi spettacolari. In particolare, la cascata che nell’apertura del film inghiottisce un missionario crocifisso. La misteriosa atmosfera della foresta pluviale conferisce alla pellicola una patina mistica.
“The Mission” è stato prodotto da David Puttnam e diretto da Roland Joffé, che hanno realizzato il premiato “The Killing Fields” (1984). Pur essendo un buon prodotto, non raggiunge i livelli di sceneggiatura e regia di “Urla del silenzio”.
Una menzione particolare va alla colonna sonora. Il maestro Morricone azzecca in pieno con l’utilizzo di uno strumento musicale dal suono vellutato: l’oboe. Il suo contributo viene riconosciuto e premiato con un Golden Globe e un Premio Bafta.
Agli Oscar la pellicola viene nominata in numerose categorie ma si aggiudica unicamente il premio per la migliore fotografia che va a Chris Menges.
“The Mission” è un film difficile, a tratti sconnesso. Tuttavia, tratta una storia coinvolgente, trasmette sentimenti intensi e trasporta lo spettatore in una natura selvaggia, forte, al riparo della quale vive un popolo fragile.
Mission
Un film di Roland Joffé. Con Robert De Niro, Jeremy Irons, Ronald Pickup, Liam Neeson, Aidan Quinn.Drammatico, durata 125 min. – Gran Bretagna 1986
Robert De Niro: Rodrigo Mendoza
Jeremy Irons: Padre Gabriel
Ray McAnally: Cardinale Altamirano
Liam Neeson: Fielding
Aidan Quinn: Felipe Mendoza
Cherie Lunghi: Carlotta
Ronald Pickup: Don Hontar
Chuck Low: Don Cabeza
Rolf Gray: Padre Ralph
Bercelio Moya: ragazzo indio
Stefano De Sando: Rodrigo Mendoza
Gino La Monica: Padre Gabriel
Renzo Palmer: Cardinale Altamirano/Voce narrante
Massimo Venturiello: Fielding
Roberto Pedicini: Felipe Mendoza
Mino Caprio: Hontar
Glauco Onorato: Cabeza
Regia Roland Joffé
Soggetto Robert Bolt
Sceneggiatura Robert Bolt
Produttore Fernando Ghia, David Puttnam
Casa di produzione Warner Bros.
Distribuzione in italiano Warner Brothers Entertainment
Fotografia Chris Menges
Montaggio Jim Clark
Effetti speciali Peter Hutchinson
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Stuart Craig
Costumi Enrico Sabbatini
Angel heart ascensore per l’inferno
New York, 1955
L’investigatore privato Harry Angel riceve la telefonata di un avvocato, che vuol affidargli l’incarico di rintracciare una persona per conto di un suo cliente.
Pur titubante, Harry si reca all’indirizzo fornitogli dall’avvocato, dove, all’interno di una chiesa di uno dei tanti santoni americani, trova il suo nuovo cliente Louis Cyphre.
Quest’ultimo gli affida l’incarico di trovare per suo conto una persona scomparsa 12 anni addietro, un cantante di una certa fama di nome Johnny Favorite, con il quale a suo dire ha un conto in sospeso.
Mickey Rourke è l’investigatore privato Angel
L’ultimo indizio sulla vita di Favorite, scomparso misteriosamente nel nulla, risale a 12 anni prima, quando l’uomo era stato ricoverato in una clinica specializzata, dopo essere ritornato dalla guerra sfigurato e in preda ad una totale amnesia.
Attirato dai 5000 dollari promessi da Cyphre come ricompensa in caso di soluzione fruttuosa, Angel parte alla ricerca del misterioso Johnny Favorite, partendo proprio dalla clinica in cui era degente prima di scomparire nel nulla.
Qui scopre che Johnny è stato dimesso dal dottor Albert Fowler, uno dei medici della clinica che ne ha favorito la scomparsa alterando la cartella clinica su ordine di un uomo e una donna che gli hanno pagato 25.000 dollari in cambio del silenzio.
L’uomo, schiavo della morfina, viene cosi costretto da Angel a raccontare tutti i particolari di sua conoscenza, ma quando l’investigatore ritorna da lui dopo essersi assentato per poco tempo per comprare da mangiare lo trova riverso sul letto con un occhio squarciato da un colpo di pistola.
Un evidente suicidio, a prima vista.
Angel decide di seguire le scarse informazioni in suo possesso e dopo una breve puntata a Coney Island dove apprende dell’esistenza di alcuni amici di Johnny che vivono nel sud degli States, parte per la Louisiana.
Qui rintraccia Toots Sweet, chitarrista amico di Johnny che suona in un locale di New Orleans e che appartiene ad una setta voodoo che pratica sacrifici animali e riti orgiastici ; ma Angel non fa in tempo ad apprendere molto di più perchè l’uomo viene ucciso ferocemente e mutilato dei suoi genitali che gli vengono ficcati in gola.
Sempre seguito dall’ombra della morte, ma ormai invischiato nella ricerca drammatica di Favorite che appare sempre più come un ombra inafferrabile e sinistra, Angel si reca nello studio di una chiromante/maga, Margaret Krusemark che sembra avere qualche legame con Johnny.
Ma anche la donna viene trovata uccisa poco dopo il colloquio con Johnny; l’investigatore la ritrova con il petto squarciato e con il cuore asportato, riversa sul pavimento della casa in cui abitava.
Sempre più inquieto, Angel riesce a parlare con la giovanissima Epiphany Proudfoot, figlia di una donna che Johnny aveva amato e apprende così da lei che è la figlia naturale dell’uomo e che sua madre è morta.
Ormai Angel ha in mano diversi elementi che diventano più chiari dopo un drammatico colloquio con Ethan Krusemark, padre della defunta Margaret: da lui apprende che Favorite, dodici anni prima, aveva fatto un patto con il diavolo per avere successo, sacrificando la vita di un giovane soldato. Ma dopo il primo lusinghiero successo, l’uomo era partito per la guerra ed era tornato in condizioni orribili, sfigurato e senza memoria.
Era stato proprio Ethan a presentare Johnny a Margaret;Favorite era molto potente ed era in grado di evocare i demoni, in particolare il principe di essi, Lucifero.
Con Satana Johnny aveva fatto un patto, il successo in cambio dell’anima, ma al momento di rispettare i patti l’uomo si era rifiutato e aiutandosi con un antico libro che descriveva come impadronirsi di un’anima era riuscito a scambiare i propri ricordi e la propria vita con quella del giovane soldato offerto in olocausto al principe delle tenebre.
Il piano del cantante era di appropriarsi dell’identità del soldato, ma accadde che venne arruolato e spedito in guerra dalla quale tornò senza memoria e devastato nel volto.
Erano stati quindi Ethan e sua figlia Margaret a corrompere il dottor Fowler e a portare via Johnny.
Le scoperte di Angel sono quelle che Louis Cyphre attendeva: durante un drammatico colloquio con lui, Harry Angel apprende la terribile e sconvolgente verità….
Angel heart, ascensore per l’inferno (titolo originale Angel heart) è un film del 1987 diretto dal regista inglese Alan Parker rielaborato dal romanzo Falling angel di William Hjortsberg del 1978.
Parker, autore di grandi successi e di ottimi film come Fuga di mezzanotte (1978),Saranno famosi (Fame, 1980),Pink Floyd The Wall (1982) e nel futuro di Mississippi Burning – Le radici dell’odio (1988) e di The Commitments (1991) crea qui il suo film più affascinante e riuscito, mescolando con grande sapienza visiva gli elementi thriller e horror contenuti nel romanzo di Hjortsberg.
Un film in cui la storia si mescola alle immagini in maniera così perfetta da creare un amalgama raramente tanto ben riuscito nella storia del cinema di genere.
L’aria del film, la sua atmosfera è quanto di più malato e malsano si possa immaginare; lasciando da parte la storia, già di per se abbastanza lugubre con morti ammazzati, demonio e spiritismo, voodoo e bassi istinti umani come l’ambizione e il tradimento, ci si immerge in un’atmosfera umida e appicicaticcia come l’onnipresente pioggia della Luoisiana, come l’aria restituita dagli onnipresenti ventilatori che costellano il film e che sembrano rimandarci contro un pò di quell’aria umida e soffocante che Harry Angel respira ad ogni passo che compie verso l’atroce verità finale.
E’ l’aria opprimente del profondo sud degli Usa, in cui l’affascinante e malinconico suono delle chitarre si mescola ad arcani e primordiali riti voodoo e in cui seguiamo con crescente senso di oppressione i progressi che Angel fa nella sua ricerca dell’inafferrabile e misterioso Johnny Favorite, un uomo amato e odiato in egual misura.
Amato dalla mamma di Epiphany, a cui ha lasciato come unica eredità quella stupenda figlia che poi durante un rito voodoo avrà un figlio nientemeno che dal principe delle tenebre e in egual misura idolatrato da Margaret, la sensitiva occultista che, come racconta il padre, “da piccola ha imparato prima a leggere i tarocchi e poi a scrivere“.
Detestato in egual misura dai suoi vecchi compagni di band, temuto e allo stesso tempo disprezzato.
Questo è quello che vediamo scorrere sullo schermo, mentre l’indagine di Harry ci trasporta in un mondo opprimente in cui tutti sembrano voler sfuggire ad un segreto che ritengono aver riposto in un angolo del passato.
Ma Louis Cyphre, ovvero Lucifero, il principe dei demoni, non lascia mai una sua preda e quando il mistero su quello che ha realmente fatto Favorite appare chiaro, al detective privato Harry si presenterà la sconvolgente verità, annunciata dal demone stesso che appare imperturbabile, senza come dice lui “zampa caprina e puzza di zolfo”
Angel heart è anche principalmente una gigantesca gara tra due attori splendidi: Mickey Rourke e Robert De Niro.
Il primo crea un personaggio per il quale inspiegabilmente lo spettatore parteggia prima di apprendere la sua reale identità e questo va ascritto alla bravura dell’attore americano che sembra anch’egli respirare a fatica l’atmosfera insalubre della Louisiana, quel misto di musica e sudore, di pioggia e di tanto odiate galline, di voodoo e morte che lo segue come un’ombra.
Charlotte Rampling
Il secondo si sacrifica in un ruolo più defilato, ma sicuramente di uno spessore inarrivabile: chi più di De Niro può far scorrere sotto le mani un uovo e disquisire su di esso e sulla religione mantenendo un’aria tra il sarcastico e il diabolico?
Due grandi attori complementari, quindi.
A cui vanno aggiunti Charlotte Rampling /Margaret, Lisa Bonet/Epiphany Proudfoot ovvero le due donne protagoniste del film, misurate e affascinanti.
Bene anche il resto del cast, così come particolarmente opprimenti e riuscite sono le musiche di Trevor Jones mentre da oscar è la fotografia di Michael Seresin.
Un film di straordinario valore, quindi, in cui paradossalmente è più interessante il contorno ovvero la descrizione ambientale fatta da Parker di quanto lo sia la trama che tutto sommato, se escludiamo ovviamente il finale, appare abbastanza prevedibile.
Da inserire nell’elenco degli horror/thriller a sfondo parapsicologico e demoniaco meglio riusciti di sempre.
Angel Heart – Ascensore per l’inferno
Un film di Alan Parker. Con Mickey Rourke, Charlotte Rampling, Robert De Niro, Pruitt Taylor Vince, Lisa Bonet,Stocker Fontelieu, Brownie McGhee, Michael Higgins, Elizabeth Whitcraft, Eliott Keener, Charles Gordone, Dann Florek, Kathleen Wilhoite, Judith Drake, George Buck, Gerald Orange
Titolo originale Angel Heart. Drammatico, durata 113 min. – USA 1987
Mickey Rourke … Harry Angel
Robert De Niro … Louis Cyphre
Lisa Bonet … Epiphany Proudfoot
Charlotte Rampling … Margaret Krusemark
Stocker Fontelieu … Ethan Krusemark
Brownie McGhee … Toots Sweet
Michael Higgins … Dr. Albert Fowler
Elizabeth Whitcraft … Connie
Eliott Keener … Detective Sterne
Charles Gordone … Spider Simpson
Dann Florek … Herman Winesap
Kathleen Wilhoite … Nurse
George Buck … Izzy
Judith Drake … La moglie di Izzy
Gerald Orange … Il pastore John
Regia Alan Parker
Soggetto William Hjortsberg
Sceneggiatura Alan Parker
Produttore Alan Marshall, Elliott Kastner
Fotografia Michael Seresin
Montaggio Gerry Hambling
Musiche Trevor Jones
“Secondo alcune religioni, l’uovo è il simbolo dell’anima, lo sapeva?” (Louis Cyphre)
“C’è morte dovunque, di questi tempi” (Louis Cyphre)
“Io lo so chi sono” (Angel)
“La carne è debole, solo l’anima è immortale” (Louis Cyphre)
“Ahimè, com’è terribile la verità quando la si apprende troppo tardi “(Louis Cyphre)
“Solo gli sbirri e le cattive notizie non bussano!” (Angel)
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Storia malsana, ben condotta in ambienti suggestivi, con svolgimenti ambigui, popolata da personaggi ben tagliati, (nel senso che si fa in modo che di loro qualcosa si veda ma, contemporanemente, si fa percepire che qualcosa resta nell’oscurità). Rourke ce la mette tutta ma sparisce, quasi inevitabilmente, accanto a De Niro e agli occhi taglienti della Rampling.
Strana commistione tra thriller e horror realizzata dal regista britannico Alan Parker. Più che la trama in questo film sono primari la caratterizzazione dei personaggi, in particolare lo scalcinato e dimesso ma affascinante Harold Angel, oltre che il personaggio (luciferino in senso letterale) reso da Robert De Niro e le atmosfere noir che si esprimono attraverso le belle inquadrature e la fotografia torbida delle location adottate (specie New Orleans).
Alan Parker è regista cui il genere sta stretto, e quindi solo marginalmente affronta la tematica horror. Meglio: la storia dell’investigatore privato (un bravissimo Mickey Rourke) attraversa una serie di momenti strettamente di genere (il rituale voodoo, ad esempio), ma questi sono marginali rispetto al viaggio “spirituale” che conduce il protagonista in luoghi decadenti (per inciso: ottima la fotografia) e violentati da pioggie dove l’acqua è sostituita dal sangue. Un percorso in discesa, che precipita in un caotico (ma affascinante) finale.
Discreto thriller horrorifico, con qualche decisa puntata nell’erotismo, girato da Parker con grande eleganza e che si rivela abbastanza (ma non del tutto) avvincente, a causa di una sceneggiatura un po’ farraginosa e con qualche lungaggine che, a tratti, rischia di diluire la tensione che ci si aspetterebbe da una pellicola del genere. Bello il colpo di scena finale, anche se non del tutto imprevedibile. Ottime le ambientazioni. Piacevole, ma non certo essenziale.
Forse la miglior interpretazione di Mickey Rourke che rimane comunque offuscata da quella di Robert De Niro. Parker dirige un buon noir che presenta una trama interessante e che si sviluppa in modo del tutto originale. Molto bella anche la fotografia volutamente “sporca”. Consigliato.
Buon thriller a sfondo satanico che mescola sapientemente una trama quasi da hard boiled con numerosi spunti onirici ed orrorifici. La regia è curatissima, la fotografia opprimente quanto basta e la trama molto intrigante (nonostante qualche passaggio possa lasciare momentaneamenti perplessi). Grandi interpretazioni di Rourke e De Niro. Gustosissimo il colpo di scena finale. Godibile e ben realizzato e quindi da vedere.
Non indegno anzi, ci son buoni momenti e Rourke è al top della forma. Ma oleografico nell’illustrazione della Louisiana (Parker commette tutti i peccati che si possono commettere nel nome del “cartolinesco”) e fumettistico nel soggetto. Sappiamo già tutto dopo 20 minuti. Però, in mezzo, seguendo il girovagare dell’ennesimo private eye bollito capita di imbattersi in belle situazioni e il film, se lo si prende come giocattolone costoso si fa seguire. Tra il piacevole e il ridicolo.
Incursione di Parker nel giallo/horror, con esiti superlativi. La storia, tratta dal bel romanzo di William Hjortsberg “Fallen Angel”, si mantiene abbastanza fedele al libro e anzi ne migliora alcune parti (ad esempio ambienta il finale in una piovosa e sempre suggestiva New Orleans). Mickey Rourke dà una delle sue migliori interpretazioni di sempre e De Niro si mantiene su toni sobri riuscendo comunque a risultare inquietante nel ruolo demoniaco. Il finale giunge inaspettato e trascina il film verso una soluzione surreale ma d’impatto.
Bel film di Alan Parker, con Mickey Rourke nei panni dell’investigatore privato assoldato da mister Louis Cypher per ricercare tale Johnny Favorite. La verità sarà agghiacciante. De Niro si cala in modo ammirevole nei panni di Cypher, diciamo in modo… luciferino. Il gran pregio del film è nella recitazione, nella fotografia “sporca” e in uno script avvincente e inquietante che porta dove non si immaginava di arrivare. Parentesi voodoo. Bene.
Il miglior lavoro di Alan Parker, regista discreto che con gli anni si è perso un po’. Partendo da un buon romanzo di William Hjortsberg, apparso a puntate su Playboy, il regista britannico trae dalla fonte romanzesca il meglio, lo depura del superfluo (o del poco funzionale) e trasmette nel racconto tutta la sua visionarietà. Il risultato è un tripudio di nero e sangue, di vudù e credenze popolari, simbolismi e morti. Ottimi gli attori anche se Rourke è una spanna sopra tutti, superbe le ambientazioni e le musiche.
Thriller d’alta classe dai risvolti paranormali. Buona intepretazione degli attori principali (Mickey Rourke e Robert de Niro), ma anche di Charlotte Rampling, un’attrice troppo presto dimenticata dagli spettatori. Quanto a Lisa Bonet, la Denise de I Robinson, qui è veramente in forma splendida, come Rourke che allora era un sex-symbol. Ritmo serrato, colpi di scena a getto continuo e ambientazioni a New Orleans. Insomma, è una pellicola che t’inchioda alla poltrona fino all’ultimo fotogramma.
Bel thriller ben diretto dall’ottimo Parker e interpretato in maniera magistrale da un Rourke mai più a questi livelli e, soprattutto, da un De Niro inquietante come poche volte è accaduto. Gran ritmo, un paio di scene da ricordare e in particolare quella tra Rourke e la Bonet a letto, violenta e erotica allo stesso tempo. Colonna sonora da mandare a memoria. Da riscoprire.
Lungometraggio di qualità sopraffina diretto con maestria da un ispiratissimo Alan Parker ed interpretato con convinzione da un cast decisamente in parte. Punti di forza del film sono le opprimenti atmosfere da noir che si fondono magnificamente con una trama da thriller e con situazioni da puro horror. Rourke è perfetto nella parte di uno sfatto detective privato invischiato in una situazione dai risvolti macabri, De Niro è quanto di più diabolico si sia mai visto sullo schermo fino ad ora. Inutile l’appellativo di cult in quanto troppo riduttivo.
Ottimo giallo con venature horror e splendida e cupa ambientazione anni ’50. L’asso nella manica del film sta nelle scene con Louis Cypher (De Niro) e soprattutto nel finale insospettabile e inquietante. Rourke dà il meglio di sè e resta una delle sue interpretazioni migliori, ma anche Robert De Niro (con sole 4 scene a disposizione) riesce ad essere incisivo e memorabile. Imperdibile.
Tenebrosa sciarada, sinistro indovinello, ottimo mix di generi (detective story, noir, thriller, horror). Angel regge proprio l’anima con i denti, si vede, e la sua ricerca del fantomatico cantante Johnny, dalle nebbie di New York alle paludi di New Orleans, è uno slalom tra simboli di decadenza, di perdizione, di morte. Parker si appropria dei luoghi comuni dell’ horror soprannaturale – demoniaco e li stilizza in maniera estrema, inserendoli in una storia originale, dolorosa, diabolicamente beffarda! Rourke è al suo meglio, De Niro è sottile..
Alla fine il conto del diavolo si paga sempre. Un dismesso investigatore deve ritrovare un individuo per conto di un inquietante figuro. Una lucida discesa nei meandri della paura e della disperazione. Ambientata nelle atmosfere infide della Lousiana, la pellicola si avvale di un valido cast e di una narrazione elettrizzante, anche se lievemente contorta.
Alan Parker si dimostra, come sempre, bravo e versatile, affrontando una tematica per lui inedita come l’horror. Lo fa in modo personale, naturalmente, puntando su una trama di indubbio fascino, complessa al punto giusto senza essere artificiosa. Rourke si cala bene nell’ambiguità del personaggio assegnatogli, e De Niro istrioneggia da par suo. Non manca qualche sequenza di macabro impatto visionario, come pure un finale di grande efficacia.
Al diavolo bastava aspettare la morte di Johnny Favorite per incassarne l’anima, ma ha voluto che il cantante “furbo” se ne rendesse conto; da qui la nascita del romanzo di William Hjortsberg e di questo intrigante ed avvincente film. Poche cose non convincono in questo lavoro, anzi forse una sola, il finale; non per la “quasi sorpresa”, quella ci sta tutta (anzi, è come detto sopra il film stesso), ma per la frettolosità dell’esecuzione rispetto ai tempi della storia e per gli inutili occhi colorati del “nipotino”. Rourke e De Niro perfetti.
Amo alla follia questo superlativo Southern Gothic – ispirato al romanzo “Fallen Angel” di William Hjortsberg – secondo me uno dei migliori film degli anni ’80 e il più bello in assoluto di Alan Parker. Regia curatissima, atmosfere perfette e attori in stato di grazia. Splendida la scena del passionale amplesso fra Mickey e la Bonet, sottolineato musicalmente dal brano “Soul on Fire” di LaVerne Baker (1929-1997): canzone e sequenza divenute per me cult assoluti, come ovviamente l’intero film.
Delirante quanto deliziosa pellicola made in USA: due grandissimi attori (Rourke e DeNiro) sono al servizio di un Alan Parker visionario, crudo, spirituale. Scene che rimarranno scolpite nella memoria dello spettatore per molto tempo. C’è tutto in questo film: gli appassionati di horror-thriller-mystery sono avvertiti.
Chi cerca l’horror rimarrà, come si suol dire, a bocca asciutta. Nonostante il risvolto esoterico (abbastanza evidente fin dall’inizio), ci troviamo davanti ad vero e proprio giallo, bello ma complessivamente non troppo avvincente. Parker si dimostra un maestro nel valorizzare ogni dettaglio dei suoi scenari: come la Dublino di The Commitments, qui New York e la Louisiana degli anni 50 diventano un vero valore aggiunto. Bravo Rourke, De Niro elegantemente magnetico, sebbene il suo “diabolico” personaggio sia destinato a poche e brevi sequenze.
Ottima pellicola, piena di suspence. Un thriller che non annoia. Intriganti i riferimenti al voodoo, affascinante un Robert De Niro forse lasciato un po’ in disparte; un finale di quelli che difficilmente si riuscirebbe ad ipotizzare. Sicuramente da vedere.
Novecento
Un gigantesco affresco, che copre quasi 50 anni della storia italiana, dal 1900 alla fine della seconda guerra mondiale, con la liberazione dal fascismo.
Questo è Novecento, uno dei capolavori assoluti della storia del cinema italiano, uno dei primi cinque, senza dubbio.Un’opera corale, che racconta attraverso le vite di Alfredo Berlinghieri, figlio di Giovanni e nipote di Alfredo, grande proprietario terriero dell’Emilia e Olmo Dalcò, figlio di Rosina e di nessun padre, o di cento, racconta dicevo le loro vite ma sopratutto racconta la miseria e le difficoltà di vita dei contadini agli inizi del secolo, le sperequazioni, le prime lotte operaie e le prime rivendicazioni sindacali, insomma tutto il contesto storico politico dell’Italia pre fascista.
Burt Lancaster è il Nonno Alfredo Berlinghieri, il proprietario terriero
Una storia che inizia appunto con l’amicizia impossibile tra il ricco Alfredo e il contadino Olmo, i loro sogni e le loro vite parallele ma inevitabilmente e indissolubilmente legate , i loro amori, le loro delusioni.
In mezzo, tante vite parallele e contingenti: quella di Alfredo Berlinghieri , l’uomo che da il via alla saga, duro ma giusto, ricco ma rispettoso dei sacrifici dei suoi contadini. Quella di Giovanni, figlio minore di Alfredo , bramoso di ricchezza, assolutamente contrario a qualsiasi concessione ai contadini di una parvenza di dignità, quella di Attila Melanchini, il fattore crudele, bieco, come l’ideologia che finirà per rappresentare.
Romolo Valli: Giovanni, figlio minore di Alfredo
Roberto Maccari è Olmo da ragazzo
Sono solo alcuni dei personaggi che si muovono nel film, i più rappresentativi, ma che si collegano ad altri ugualmente importanti in una storia che li coinvolge tutti, comparse o protagonisti di primo piano di una tragedia, che allo stesso tempo è semplicemente la semplice vita di gente che si è trovata a vivere un’epoca di grandi cambiamenti storico politici.
Così prendono vita personaggi sullo sfondo di uno scenario grandioso, come Ada Fiastri Paulhan, moglie di Alfredo, giovane idealista innamorata del marito, che però lascerà incolpandolo di essere indifferente di fronte alla brutalità del fascismo, o come quello di Anita Furlan, moglie di Olmo donna istruita, una rarità per la civiltà contadina dell’epoca, che dedica il suo tempo all’istruzione dei piccoli, ma anche dei grandi, che cerca di spiegare ai contadini, che accettare supinamente il volere dei padroni significa consegnarsi allo sfruttamento e all’ignoranza.
Stefania Sandrelli è Anita, Gerard Depardieu è Olmo
Al centro, Robert De Niro è Alfredo
Ci sono poi i personaggi negativi, cattivi in assoluto, incapaci del minimo senso di umanità, vere e proprie Erinni, come Regina, figlia di Amelia , sorella di Eleonora moglie di Giovanni, il padre di Alfredo e quindi sua cugina, vittima ma anche complice dello spietato e abietto Attila, del quale diverrà complice nei più odiosi delitti.
Tanti personaggi, legati l’un l’altro da vincoli di parentela, di amicizia , di semplice conoscenza, che si muovono in quel mondo rurale primitivo, che vive a contatto della natura, che segue l’evolversi delle stagioni, retto da un’ordine quasi feudale, con il ricco destinato ad una vita facile e il povero costretto secolarmente a vivere solo di quel poco che la terra da lui lavorata produce.
Stefania Casini è Neve, la lavandaia
Bertolucci intreccia tutte queste vite, creando, attraverso 320 minuti di gran cinema, una storia potente come poche, magnificamente illustrata da una fotografia che sembra seguire l’alternanza delle stagioni; ma l’indubbio talento, il saper dirigere con mano svelta, l’aiuto di una sceneggiatura di prim’ordine, a cui collaborarono lo stesso Bernardo, suo fratello Giuseppe e Franco Arcalli, da soli non sarebbero bastati se lo stesso regista non avesse scelto un cast assolutamente straordinario per mettere in scena una rappresentazione credibile.
Dominique Sanda è Ada Fiastri Paulhan, moglie di Alfredo
Così sceglie con acume e affida il compito più difficile, quello di interpretare Alfredo e Olmo, a un giovane Robert De Niro e a Gerard Depardieu. I due lavorano talmente bene che ben presto i personaggi che interpretano divenatno, per lo spettatore, quasi dei volti amici. Si parteggia per loro e si arriva ad odiare i perfidi Attila e Regina, due splendidi attori come Donald Sutherland e Laura Betti.
Laura Betti è Regina, figlia di Amelia
Donald Sutherland è Attila Melanchini, il fattore
Accanto a loro Burt Lancaster e Sterlin Hayden, credibilissimo nel ruolo del contadino dei Berlinghieri, Leo Dalcò, il bravissimo Romolo Valli nel ruolo di Giovanni e Alida Valli Stefania Sandrelli, la maestrina che sposerà Olmo e la bellissima, seducente Dominique Sanda, Ada, la moglie di Alfredo. Un cast strepitoso,; così come di grandissimo livello è la fotografia di Storaro.Alla fine, dopo oltre 5 ore di film, si resta con il rimpianto che tutto sia finito con quella scena finale dei due amici che, ormai anziani, continuano a litigare come quando erano bambini.
Novecento, un film di Bernardo Bertolucci. Con Gérard Depardieu, Robert De Niro, Burt Lancaster, Sterling Hayden, José Quaglio, Stefania Sandrelli, Dominique Sanda, Donald Sutherland, Romolo Valli, Alida Valli, Stefania Casini, Francesca Bertini, Paul Branco, Anna Maria Gherardi, Paolo Pavesi, Tiziana Senatore, Liu Biosizio, Roberto Maccanti, Allen Midgette, Laura Betti, Ellen Schwiers, Maria Monti, Antonio Piovanelli, Anna Henkel, Werner Bruhns, Giacomo Rizzo Drammatico, durata 315 min. – Italia 1976.
Robert De Niro: Alfredo Berlinghieri, figlio di Giovanni e Eleonora
Gérard Depardieu: Olmo Dalcò, figlio di Rosina
Burt Lancaster: Nonno Alfredo Berlinghieri, il proprietario terriero
Donald Sutherland: Attila Melanchini, il fattore
Dominique Sanda: Ada Fiastri Paulhan, moglie di Alfredo
Alida Valli: Ida Cantarelli Pioppi
Sterling Hayden: Leo Dalcò, contadino dei Berlinghieri
Stefania Sandrelli: Anita Furlan, moglie di Olmo
Werner Bruhns: Ottavio, figlio maggiore di Alfredo
Laura Betti: Regina, figlia di Amelia
Ellen Schwiers: Amelia, sorella di Eleonora
Anna Henkel: Anita, figlia di Olmo
Romolo Valli: Giovanni, figlio minore di Alfredo
Stefania Casini: Neve, la lavandaia
Francesca Bertini: Suor Desolata, sorella di Alfredo
Anna Maria Gherardi: Eleonora, moglie di Giovanni
Paolo Pavesi: Alfredo da ragazzo
Tiziana Senatore: Regina da bambina
Paulo Branco: Orso, figlio maggiore di Leo
Giacomo Rizzo: Rigoletto, il servo gobbo
Antonio Piovanelli: Turo Dalcò
Liù Bosisio: Nella Dalcò
Maria Monti: Rosina Dalcò, nuora di Leo
Roberto Maccari: Olmo da ragazzo
José Quaglio: Aranzini, un proprietario
Pippo Campanini: Don Tarcisio
Patrizia De Clara: Stella
Fabio Garriba: Contadino all’esecuzione di Attila
Sergio Serafini: Un giovane fascista
Carlotta Barilli: Una contadina
Allen Midgette: Vagabondo che scagiona Olmo
Odoardo Dall’Aglio: Oreste Dalcò
Salvatore Mureddu: Capo delle guardie rege
Catherine Kosac: Tondine
Mimmo Poli: Fascista alla riunione in chiesa
Clara Colosimo: La donna che accusa Olmo
Angelo Pellegrino: Il sarto
Pietro Longari Ponzoni: Pioppi
Regia Bernardo Bertolucci
Soggetto Franco Arcalli, Bernardo Bertolucci, Giuseppe Bertolucci
Sceneggiatura Franco Arcalli, Bernardo Bertolucci, Giuseppe Bertolucci
Produttore Alberto Grimaldi
Casa di produzione Produzioni Europee Associati, Les Productions Artistes Associees, Artemis Film
Distribuzione (Italia) 20th Century Fox
Fotografia Vittorio Storaro
Montaggio Franco Arcalli
Effetti speciali Bruno Battistelli, Luciano Byrd
Musiche Ennio Morricone
Scenografia Maria Paola Maino, Gianni Quaranta, Ezio Frigerio
Costumi Gitt Magrini
Trucco Paolo Borselli, Iole Cecchini, Giannetto De Rossi, Fabrizio Sforza, Maurizio Trani
Olmo Dalcò, il figlio di Rosina (Gérard Depardieu)
I fascisti non sono mica come i funghi, che nascono così, in una notte. No. I fascisti sono stati i padroni a seminarli: li hanno voluti, li hanno pagati. E coi fascisti i padroni hanno guadagnato sempre di più, al punto che non sapevano più dove metterli, i soldi. Così hanno inventato la guerra , ci hanno mandato in Africa, in Russia, in Grecia, in Albania, in Spagna…ma chi paga siamo sempre noi.
Alfredo Berlinghieri, il figlio di Giovanni e Eleonora (Robert De Niro)
Dei contadini ce n’è bisogno, se no la terra va in malora. Ma il padrone? A cosa serve il padrone?
Ada Fiastri Paulhan, la moglie di Alfredo (Dominique Sanda) e Alfredo Berlinghieri, il figlio di Giovanni e Eleonora (Robert De Niro)
Mio padre ha disegnato la testa del re sui biglietti da dieci: così abbiamo sempre vissuto tra i soldi senza mai averne. Sono orfana. Tre anni fa i miei ebbero la bella idea di organizzare una spedizione alpinistica per milionari e sono scomparsi in un crepaccio sul Monte Bianco. Morti com’erano vissuti: al di sopra dei loro mezzi
Anita Foschi (Stefania Sandrelli)
Donne, l’avete sentito il padrone? La colpa è dei nostri uomini perché sono andati in guerra a farsi accoppare. La colpa è dei braccianti perché non solo lavorano, ma vogliono anche farsi pagare. La colpa è tutta nostra, che abbiamo fame, e ci viene il gozzo e la pellagra. Ed è ancora colpa nostra se ci muoiono due figli su tre. Al padrone gli va ancora bene se prendiamo un po’ del nostro grano e gli lasciamo il resto, per il momento.
Leo Dalcò, il contadino dei Berlinghieri (Sterling Hayden) e Olmo Dalcò, il figlio di Rosina (Gérard Depardieu)
Dalcò Olmo! Olmo, adesso che sei grande..vieni avanti! Ricordati questo: imparerai a leggere e a scrivere, ma resterai sempre Dalcò Olmo, figlio di paesani, andrai a fare il soldato, girerai il mondo, e dovrai anche imparare ad ubbidire, prenderai moglie, eh? ..E faticherai per tirare su i figli… Ma cosa resterai sempre?
Dalcò Olmo!
Dalcò Olmo, paesano! Avete sentito? Niente preti in questa casa.
Alfredo Berlinghieri, il proprietario terriero (Burt Lancaster)
Quando la festa sta per finire, di’ che sono morto. Digli che sono morto, ma che continuino a ballare.
Leo Dalcò, il contadino dei Berlinghieri (Sterling Hayden) e Alfredo Berlinghieri, il proprietario terriero (Burt Lancaster)
Forse la verità è che quando un uomo non fa niente per tutta la vita, ha troppo tempo per pensare.
Atto I: in una fattoria dell’Emilia crescono insieme Olmo, figlio di contadini, e Alfredo, erede del padrone, nati nello stesso giorno del 1900. Dopo i primi scioperi nei campi e la guerra 1915-18, il fascismo agrario dà una mano ai padroni. I due giovani si sposano. Atto II: negli anni ’30 le strade di Olmo e Alfredo si separano. Il primo, vedovo, fa il norcino e continua la lotta; il secondo si rinchiude nel privato. Il 25 aprile 1945 si processano i padroni, e i due si ricongiungono. Fondato sulla dialettica dei contrari: è un film sulla lotta di classe in chiave antipadronale finanziato con dollari americani; cerca di fondere il cinema classico americano con il realismo socialista sovietico (più un risvolto finale da film-balletto cinese); è un melodramma politico in bilico tra Marx e Freud che attinge a Verdi, al romanzo dell’Ottocento, al mélo hollywoodiano degli anni ’50. Senza evitare i rischi della ridondanza, Bertolucci gioca le sue carte sui due versanti del racconto.
L’opinione di Tony Montana dal sito http://www.mymovies.com
Al ritiro del premio Oscar al miglior attore non protagonista, per la sua interpretazione del boss mafioso Don Vito Corleone, Robert De Niro, non è presente. Corre l’anno 1974, e il giovane attore italoamericano, fra la lavorazione del secondo episodio de Il padrino e quella di un altro capolavoro del cinema, Taxi Driver si pone un film più impegnativo, serio e difficile, ovvero 1900, del regista Bernardo Bertolucci, appena uscito dallo scandalo di Ultimo tango a Parigi con un magistrale Marlon Brando nei panni di un uomo di mezza età sessualmente frustrato. Le riprese di Novecento avvennero in Emilia Romagna, nello stesso periodo in cui Pier Paolo Pasolini stava girando Salò e le 120 giornate di Sodoma. L’impresa di Bertolucci era colossale, difficilissima, a tratti umanamente impossibile, centrata sul tentativo di raccontare cinquant’anni di storia italiana vista con gli occhi di due uomini, uno, Alfredo ( De Niro ), figlio di ricchi proprietari terrieri, e l’altro, Olmo ( Depardieu ), umile contadino, partigiano e infine liberatore comunista dei contadini. Il film, originariamente pensato per la televisione, raggiunse infine una durata eccessiva di oltre cinque ore e venti, proiettato in America in versione ridotta a tre ore e mezza e non ben accolto, e in Italia diviso di due puntate da due ore e quaranta ciascuna, con enormi consensi da parte di critica e pubblico. Il cast rende ancora più ambizioso il film, a parte Depardieu e De Niro si contano Stefania Sandrelli, Alida Valli, Donald Sutherland, Dominique Sanda e altri. I vari contrasti con il regista e la troupe, portarono De Niro ad una recitazione media, che gli impedì di mostrare le sue doti attoriali al massimo livello. Caso diverso per Depardieu che si dimostra un’autentica rivelazione e firma così una delle migliori performance della sua carriera. Il film, in tutta la sua complessiva lunghezza, riesce tuttavia ad essere di grande e incisivo impatto. La trama, come già detto, ripercorre i primi cinquant’anni italiani del Novecento, raccontando le lotte proletarie, la Grande Guerra, il ventennio e la violenza fascista, la Seconda Guerra Mondiale, la Resistenza e la Liberazione. A questa trama complessa si intrecciano anche le storie personali dei personaggi a cui si legano anche le loro storie d’amore tra Olmo e Anita, Alfredo e la bellissima Ada, la perversa passione fra la cugina di Alfredo, Regina e il diabolico squadrista Attila, oltre che l’amore-odio fra i due protagonisti. Oltre che la lunghezza – però non si poteva raccontare una storia come questa senza sfiorare la durata da kolossal -, il film è ricordato per picchi di regia di altissimo livello, e le scene da antologia, come il ballo di Dominique Sanda che si finge cieca, il lavoro dei contadini, oppure il lunghissimo processo finale ( 15 minuti di pellicola! ), passando per scene emotivamente più cruente che fecero scattare l’occhio vigile della censura come quella in cui il fascista Attila, dopo aver violentato un bambino, lo scaraventa contro un muro spezzandogli la testa, la scena in cui il medesimo personaggio fa strage dei comunisti sotto una pioggia fangosa, passando per la scena quasi pasoliniana, in cui Depardieu e De Niro vengono masturbati da una prostituta epilettica, senza alcuna censura visiva oltre ad altre scene di violenza. Tutto il film è un affresco grandioso. Straordinario uso delle stagioni che accompagnano gli eventi storici in parallelo alle stagioni della vita: inverno, pioggia e gelo nel periodo del fascismo più torbido e ostile con i protagonisti in balìa dei problemi della vita adulta e una primavera solare e rigogliosa nel giorno della sospirata liberazione così come per la loro infanzia, e la colonna sonora di Ennio Morricone che con tratti da melodramma verdiano sottolinea i passaggi più drammatici della sceneggiatura, permette a Bertolucci di tratteggiare un film unico e per certi versi straordinario. Si rivela con forza espressiva il gusto del regista per l’immagine filmata su modello di opere pittoriche. Il fascismo per Bertolucci è la violenza al servizio dei padroni, una bestia feroce al guinzaglio della borghesia o -meglio ancora usando le parole con cui Regina presenta Attila -: “il cane da guardia” del padronato. Uno degli ultimi fuochi del cinema italiano che conta, troverà pochi anni dopo il suo doppio speculare nell’Albero degli zoccoli di Olmi. Lunghissimo (ma non poteva essere altrimenti), vale soprattutto per i momenti in cui racconta la storia attraverso la collettività; nei momenti intimi tende più al Bertolucci decadente, forse morboso, certamente borghesissimo. Oltre che grande rievocazione storica, comunque, è anche un ottimo esempio di come il cinema possa descrivere il suo tempo: nelle cornici iniziali e finali, se guardate con attenzione, si trovano tutti gli anni Settanta, e forse il finale conciliatorio è spiaciuto per questo. Al di là del discorso ideologico, c’è il miracoloso equilibrio tra la ricchezza spettacolare e quella ideologica, con buona pace di quelli che credono invano di capire qualcosa di cinema e poi si liquefanno per Fulci.
L’opinione di bradipo68 dal sito http://www.filmtv.it
Il film venne diviso in due parti per esigenze commerciali ma è innegabile che tra prima e seconda parte ci siano delle differenze ben tangibili.A mio parere mentre per la prima parte possiamo tranquillamente parlare di capolavoro qui la situazione è diversa perchè pur avendo iniziato nel sentiero tracciato dalla prima parte poi in questa seconda parte il lirismo che prima attenuava le istanze politiche viene irrimediabilmente meno in favore della drammatizzazione.L’ideologia diventa protagonista di un processo al padrone che diventa un vero e proprio gioco al massacro,una lotta senza quartiere il cui esito sarà una sconfitta per tutti.Ma qui proprio per affannarsi a spiegare le ragioni delle parti in causa il film arriva a essere didascalico.Nella seconda parte accanto a De Niro e Depardieu assumono importanza fondamentale i personaggi di Attila e Regina(Sutherland e Betti) autori di azioni diaboliche e che incarnano con feroce parossismo due figure di malvagi assoluti lontani da qualsiasi tipo(e volontà) di redenzione.Dopo l’ideologia nel finale si apre al sogno,al canto popolare, alle sequenze di massa che sembrano prese dal cinema russo degli anni d’oro del muto.Comunque sia l’atto secondo è una chiusura degnissima di una saga familiare raccontata con grande partecipazione perchè se Bertolucci non riesce a ripetere quel miracolo narrativo della prima parte è per eccesso di zelo filologico, è per generosità illustrativa,è per rendere perfettamente comprensibile tutto quello che gli si è agitato dentro per decenni.L’Emilia riportata da Bertolucci è parente stretta con quella reale pur non sentendo Bertolucci il bisogno insopprimibile di verosimiglianza.Bertolucci esplora vari generi dal racconto corale contadino fino al melodramma lacerante.E comunque ci regala una delle prove autoriali italiane più impressionanti.
“Metafora d’un mezzo secolo, con cui Bertolucci esercita il diritto di trasfigurare in visione l’idea che a torto o a ragione se ne è fatta, non importa molto se ‘Novecento’ è meno fedele alla storia di quanto si potrebbe pretendere da un documentario. Preme invece che abbia una sua tenuta fantastica, una sua magnificenza di romanzo fiume per immagini, una potenza di chiaroscuro che esprime la drammaticità degli eventi, e sia pure melodrammaticità, vista la destinazione popolare dell’opera.” (Giovanni Grazzini – Cinema ’76).”Gratificato di un budget favoloso (10 miliardi, si dice), questo film-fiume si presenta con l’appariscenza di risultati tecnici proporzionali all’accolta di interpreti e di specialisti dei vari rami: la fotografia, l’interpretazione, l’ambientazione, la musica, e così via, sono perciò di notevole livello. Ciò nonostante, prescindendo dalle carenze tematiche, si ha l’impressione che la colossale impresa ecceda di molte ore le sue possibilità di presa. Infatti, se efficaci risultano alcune pagine di pittura villereccia o di spaccato borghese, la reiterazione delle stessa sa di pleonasmo, di didatticismo ad oltranza, di sproloquio comiziale e persino di furbizia commerciale. Assai più deludente, poi, è l’esame contenutistico dell’opera che, in definitiva, riteniamo mancare a qualsiasi ipotetico obiettivo per totale mancanza di equilibrio. Se vuol essere soltanto la descrizione del mondo contadino della Bassa Emilia, lo coglie nelle deteriori manifestazioni di un folklore rude e sboccato; ma lo trascura nelle ricchezze di genuinità, genorosità, spessore umano e pudore. (Segnalazioni Cinematografiche, vol. 82, 1977)”Un film di rilievo, ma non riuscito. Un film dove ci sono delle pagine molto belle, di un lirismo e di un’umanità singolari ma dove, nel contempo, non si sente l’empito della sinfonia nibelungica, l’assieme armonico di un tessuto narrativo corale, senza sbavature”.
Santuario delle Grazie di Curtatone
Cimitero vecchio di Poggio Rusco
Azienda agricola Corte delle Piacentine