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Il potere di Satana

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La giovane Lori,sposata con Frank,viene dimessa da un’ospedale;vi è stata ricoverata per qualche tempo in seguito al profondo trauma subito per aver dato alla luce un bambino morto.
In accordo con Frank,Lori decide di allontanarsi dalla città per riprendere le forze e assieme si recano nel villaggio di Lilith.
Su Lilith aleggia una sinistra leggenda, che racconta di una strega che appare casualmente minacciando i bambini,una strega che ha il nome dato al villaggio.
E’ proprio durante il viaggio che Frank e Lori si trovano ad essere testimoni della tragica morte di una ragazza, inseguita dalla strega Lilith e subito dopo ad un rito arcano presieduto da un uomo di grossa mole, un rito nel quale è evocato il principe delle tenebre ed altri demoni.

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Lilith appare come un villaggio pervaso da un’atmosfera ambigua e sinistra;Frank conosce il suo nuovo datore di lavoro,Cato e Lori, che lo conosce subito dopo, inizia a guardare con diffidenza l’uomo.
La donna infatti è certa che il misterioso individuo che stava officiando il rito satanico altro non sia che Cato.
Oltretutto la donna percepisce nettamente l’atmosfera insana che aleggia sul villaggio,diffida della strana gente che lo abita e poco dopo il suo arrivo scopre anche che Cato ha perso un figlio e che il rito che l’uomo stava compiendo ad altro non serviva che a riportarlo in vita.
Cato ha bisogno di Lori perchè la donna, sin dalla nascita, possiede arcani e misteriosi poteri soprannaturali e conta sul suo aiuto per riportare in vita il figlio; ma ecco che Lori….
Il potere di Satana,produzione americana del 1972 diretto dal regista Bert Gordon, distribuito con vari titoli oltre all’originale The Witching o anche Necromancy o Le streghe della luna nera o ancora Magia nera è un horror sciapo e abbastanza monotono che propone per l’ennesima volta la trama trita del villaggio che nasconde il tradizionale segreto mescolato all’espediente delle messe nere celebrate dallo stregone demoniaco.

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Lo stregone, il grande Orson Welles e la brava Pamela Franklin che interpreta Lori sono in realtà l’unica nota positiva del film, che scorre senza grossi sussulti verso l’unico colpo di scena, peraltro più volte utilizzato, del finale che lascia aperta ogni possibilità.
Finale che non solo non riscatta un film debole e soporifero, ma che confonde ancor più le acque dimostrando una volta in più che non basta la presenza di un grandissimo del cinema come Welles a riscattare o quantomeno rendere interessante una pellicola.
L’attore americano infatti appare per pochi minuti e comunque probabilmente solo per ragioni alimentari, ovvero per l’assegno staccato dal produttore per assicurarsi la sua presenza, vista l’irrilevanza del soggetto e della sceneggiatura del film.

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Poco altro da salvare, forse le musiche incalzanti; ma la recitazione del cast è ai livelli minimi, mentre la Franklin per l meno fa il suo dovere.
Film tranquillamente trascurabile, anche perchè di difficilissima reperibilità nella versione italiana.

Il potere di Satana
di Bert I. Gordon, con Orson Welles,Pamela Franklin,Lee Purcell,Michael Ontkean,Harvey Jason,Lisa James,Sue Bernard.Horror,Usa 1972 Titolo originale The Witching

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Orson Welles: Mr. Cato
Pamela Franklin: Lorie Brandon
Lee Purcell: Priscilla
Michael Ontkean: Frank Brandon
Harvey Jason: Dr. Jay
Lisa James: Georgette
Sue Bernard: Nancy

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Regia: Bert I. Gordon
Sceneggiatura Bert I. Gordon, Gail March
Produttore Sidney L. Caplan, Jeffrey M. Sneller, Bert I. Gordon, Gail March, Robert J. Stone
Fotografia Winton C. Hoch
Montaggio John B. Woelz
Musiche Fred Karger, Robert J. Walsh
Scenografia Frank Paul Sylos

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L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com

Intruglio occultistico che emana l’aria malsana del villaggio immobile e omertoso, raggrumandosi in videoclips di orge e messe nere e improvvisi lampi di visionarietà al suono delle musiche elettroniche di Rob Walsh. Dai tempi di Suspense Pamela Franklin è cresciuta parecchio ma continua a vedere fantasmi, mentre l’illustre richiamo di Orson Welles si riduce a qualche fugace apparizione e alla sua imponente voce che risuona durante il prologo, purché visto in lingua originale.

L’opinione di Olotiv dal sito http://www.davinotti.com

Un insipido polpettone che si colloca nel filone dell’horror satanico. L’inizio lascerebbe ben sperare, ma la storia – una coppia di giovani sposi, lei possiede poteri speciali, si trasferisce nel villaggio di Lilith, dove il dottor Cato è un personaggio molto influente dedito alla stregoneria – prosegue senza troppi sussulti, colpa anche di una recitazione poco convinta. Si salvano le musiche. Che c’azzecca Orson Welles? Visto in una versione (tagliata?) di 76 minuti.

L’opinione di paulesway dal sito http://www.filmtv.it

Horror satanico con poche novità malgrado una discreta atmosfera: la trama è confusa, la tensione latita assai e gli interpreti raramente sono stati così sprecati, difficile trovare una sola sequenza apprezzabile.

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giugno 11, 2014 Pubblicato da: | Horror | , , | Lascia un commento

Gli occhi azzurri della bambola rotta

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Un ex detenuto sta facendo autostop per recarsi in un piccolo paese di montagna in Francia.
E’ Gilles,che ha deciso di rifarsi una vita e ricominciare da zero la sua esistenza.
Il villaggio in cui approda Gilles è, come tutti i piccoli centri, arroccato dietro la difesa dei piccoli privilegi personali e nessuno sembra essere disposto ad offrire un’opportunità all’uomo,sopratutto alla luce del suo burrascoso passato.
Tutti tranne Claude.
La donna, invalida ad una mano, decide di assumerlo come uomo tuttofare ed impiegarlo nella sua villa dove vive con le sue due sorelle;Nicole, la prima, è una donna con problemi legati ad una ninfomania irrefrenabile mentre la seconda, Yvette, vive su una carrozzella assistita dal medico condotto del paese e da una infermiera.
L’arrivo di Gilles è accolto di cattiva grazia da Renè, l’uomo che precedentemente si occupava della villa, mentre in paese accade qualcosa di grave.
I cadaveri di tre donne vengono recuperati, tutti con lo stesso tratto identificativo, ovvero la mancanza degli occhi; le tre donne avevano in comune il fatto di essere bionde e di avere gli occhi azzurri.

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I sospetti ovviamente convergono su Gilles,l’ultimo arrivato e con la fedina penale sporca,il quale ha avuto problemi con Renè al punto di aver tentato di ucciderlo.
L’ispettore Pierre è convinto che il misterioso assassino altri non sia che Gilles,il quale dal canto suo ha allacciato una relazione con Claude, seguita con attenzione da Nicole, che dal’alto della sua malattia vorrebbe aggiungere Gilles alla sua vasta collezione di amanti.
Tra Claude e Nicole nasce così una rivalità accesa, troncata dall’improvvisa morte di Nicole, che viene rinvenuta cadavere;sembrerebbe un altro assassinio imputabile al misterioso killer, ma in questo caso alla donna non sono stati tolti gli occhi.
Gilles, braccato dalla polizia, completamente innocente dei delitti che gli vengono imputati viene ucciso a colpi di pistola,proprio sotto gli occhi di Claude, la sua amante.
Ma nel frattempo accade qualcosa che dimostrerà l’innocenza di Gilles.

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La giovane Caroline, l’infermiera addetta alle cure di Yvette, al terza sorella, viene aggredita dal misterioso assassino e riesce a rifugiarsi, benchè ferita, nell’ambulatorio del dottor Philippe.
Il misterioso killer rivela così la sua identità:si tratta proprio di Yvette, che in realtà non è affatto affetta da paralisi;al culmine di una lotta senza tregua, Yvette uccide Caroline, prima di soccombere ad un colpo letale di coltello inferto da un’altra figura misteriosa….
Ovviamente non vado oltre nell’analisi della trama per non rivelare quello che sarà l’ultimo colpo di scena di Gli occhi azzurri della bambola rotta,film oscillante tra il thriller e l’horror diretto nel 1973 da Carlos Aured,che porta sullo schermo una sceneggiatura di Paul Naschy, uno degli interpreti del film.
Un giallo o thriller o horror che dir si voglia povero allo stesso tempo di idee e di qualità registiche, visto l’andamento ondivago della trama, lacunosa in molti punti e che ha l’unico merito di rendere così molto difficile la comprensione dell’identità del killer.
I colpi di scena finali arrivano a conclusione di un film che fino a quel momento si è distinto principalmente per la grossolanità degli effetti usati, oltre che per una certa sciatteria generale dovuta alla mancanza probabilmente di soldi per costruire un impianto più solido e meno artefatto.
Lo stile di Aured mostra evidenti tributi al giallo di casa nostra, con la differenza non da poco di ricalcare le trame argentiane tanto in voga nel nostro paese con scarsa mano e ancor più scarsa abilità.
Il film è rozzo, va a scatti, mostra più di un tributo a Gatti rossi in un labirinto di vetro, sopratutto nell’idea di rendere protagonisti del film dei cadaveri privi di occhi, estirpati al solito da un pazzo assassino.
A ben vedere gli assassini sono due e questo dovrebbe creare suspence ma in realtà, alla luce del finale assolutamente incoerente e mal girato si può parlare di classica ciliegina sulla torta che rovina però una torta dal retrogusto amaro.

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Los ojos azules de la muñeca rota, tradotto letteralmente dai nostri distributori in Gli occhi azzurri della bambola rotta non ha alcun pregio e una volta tanto vede anche un buon attore come Paul Naschy, che interpreta Gilles barcollare per tutto il film in una interpretazione assolutamente incolore.
Molto meglio Dyana Loris, Eva Leon e Ines Morales, le interpreti femminili del film mentre un punto a favore è la location montanara del film; brutte le musiche per un film decisamente in tono minore e tranquillamente evitabile.
Non ho trovato traccia in rete di una versione italiana del film, per cui per vederlo occorrerà una ricerca sui p2p.

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Gli occhi azzurri della bambola rotta
regia di Carlos Aured, con Paul Naschy, Dyana Loris, Eva Leon, Antonio Pica, Ines Morales, Pilar Bardem, Thriller/Horror Spagna 1973

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Paul Naschy: Gilles
Diana Lorys: Claude
Maria Perschy: Yvette
Antonio Pica: ispettore Pierre
Eduardo Calvo: dottor Philippe
Eva Leon: Nicole
Pilar Bardem: Caroline
Luis Ciges: Renè
Ines Morales: Michelle
Sandra Mozarowsky: turista

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Regia Carlos Aured
Soggetto Paul Naschy, Carlos Aured
Sceneggiatura Francisco Sànchez
Produttore esecutivo Josè Antonio Pérez Giner
Montaggio Francisco Sànchez
Effetti speciali Manuel Gòmez
Musiche Juan Carlos Calderòn
Scenografia Andrés Gumersindo
Costumi Humberto Cornejo
Trucco Miguel Sesé

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L’opinione del sito http://www.exxagon.it

Giallone-thrillerone iberico con titolaccio pazzesco che promette benissimo. Ma non mantiene. Sotto l’egida del killer di nero guantato, che è di argentiana memoria, Carlos Aured prova a dire la sua a riguardo e, ad essere clementi (cosa facile per un appassionato del genere) in parte ci riesce, tranne che per un macroscopico difetto: una colonna sonora così scarsa da demoralizzare anche un audioleso. Vengono utilizzate sostanzialmente due brani musicali: uno e un motivetto tipicamente settanta per nulla sinistro che viene insensatamente sovrapposto alle scene più tese, tagliando le gambe all’effetto delle scene stesse. L’altro pezzo musicale è un arrangiamento di “Fra Martino” che viene utilizzato per dare una misura della degenerazione mentale del killer (Argento docet). Un pezzo musicale peggio dell’altro. Aured comunque s’impegna per cercare di replicare la lezione italiana, fra traumi psicologici, sessualità maniaca, spiegone finale e un’atmosfera quasi accettabile, resa però indigesta da scivoloni in melò. Il film, tra l’altro, non permette di scoprire chi sia il vero colpevole perché omette dei particolari necessari a intuirne l’identità, semplicemente crea una serie di false piste, compreso ovviamente il protagonista Gilles con il suo passato burrascoso. E qui si apre il capitolo Paul Naschy, al secolo Jacinto Molina, la vera mente pensante dietro Gli Azzurri Occhi della Bambola Rotta. Naschy non solo scrive la sceneggiatura (insieme al regista) ma si ritagli anche il ruolo principale del macho circondato da donne, in realtà un tarchiato latin lover dall’interpretazione discretamente abborracciata. Lui però si sente bello e le donne sotto contratto devono stare al gioco. Non manca un po’ di splatter (globi oculari per coerenza col titolo), così come di fatto l’inutilmente crudele ripresa della macellazione di un maiale. Rocambolesco finalone multiplo la cui soluzione rammenta il classico Occhi senza Volto (1960). Film per appassionati del genere, o per chi voglia farsi qualche risata, perché Gli Occhi Azzurri della Bambola Rotta di materiale che mette allegria ne ha.

L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com

Rustica imitazione spagnola dei thriller italiani coevi, erra catatonica fra donne menomate e ambigue, assassinii trash con fiotti di sangue e pupille enucleate dalle orbite, flashbacks amatoriali e un po’ di sesso, per ridestarsi tardivamente in un finale tributario di Occhi senza volto. Buchi di sceneggiatura, attori scarsi (pessimo Naschy) e musiche insulse, dall’allegro Leitmotiv al metallico “Fra Martino” che scatena la follia omicida. Deprecabile e del tutto fuori luogo lo sventramento del maiale.

L’opinione di Deepred89 dal sito http://www.davinotti.com

Mediocre gialletto spagnolo. La regia e la fotografia non sono nemmeno cattivissime ma la storia è lentissima ed accumula vari finali uno meno convincente dell’altro. Il protagonista Paul Naschy poi è imbronciatissimo e il resto del cast, pur non essendo completamente indegno, non fa nulla per farsi ricordare. Inoltre l’erotismo latita (nessuna scena di nudo) e anche il sangue è piuttosto limitato. Tremenda colonna sonora, con musichette in stile Gameboy e un delirante remix di “Fra Martino” (!) durante gli omicidi. Solo per appassionati.

L’opinione di Stefania dal sito http://www.davinotti.com

Il difetto è proprio la confezione, veramente sciatta e opaca, perché la storia non sarebbe male, e un certo indizio subliminale sull’identità dell’assassino è suggerito con una certa grazia. Inoltre il potenziale morboso-orrorifico delle tre sorelle (la monca, la paralitica e la ninfomane) c’è, purtroppo la sceneggiatura non valorizza i personaggi. Banalissime le sequenze degli omicidi. Gli interpreti? Beh, Naschy aveva già dato pessima prova di sé ne Il mostro dell’obitorio:qui, nel ruolo del maschio concupito, fa peggio. Povero ma brutto!

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Maggio 23, 2014 Pubblicato da: | Horror, Thriller | , , | Lascia un commento

Il sesso della strega

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Agghiacciante.
Non illudetevi, è un aggettivo che non serve a qualificare questo film come un film dell’orrore o come un thriller di caratura che tiene avvinti alla poltrona.
Siamo di fronte infatti ad uno dei film più scombinati, peggio realizzati e mal interpretati della storia del cinema italiano, un prodotto all’altezza di z movie ormai diventati leggenda come Incontri molto ravvicinati del quarto tipo,La bestia in calore o Un lupo mannaro contro la camorra, girato in tempi relativamente più recenti.
Il sesso della strega, distribuito all’estero con il titolo Sex of the witch, girato nel 1973 è opera dell’ineffabile Angelo Pannacciò, responsabile tra l’altro di aver diretto altre due brutture indescrivibili come Un urlo dalle tenebre (del quale ho già parlato) e Holocaust parte seconda: i ricordi, i deliri, la vendetta, altra bruttura inenarrabile.
Scoordinato,con una sceneggiatura scritta in pochi minuti e raffazzonata come poche, mal recitato e penalizzato ulteriormente da evidentissimi limiti di budget Il sesso della strega è la quintessenza di tutto quello che andrebbe evitato quando si dirige un film.

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La storia è di una banalità imbarazzante e inizia attorno al capezzale di Sir Hilton, che sentendosi in prossimità della morte ha radunato i suoi discendenti, che in un lungo e tediosissimo monologo racconta spezzoni della sua vita e in ultimo confida di voler portare nella tomba il terribile segreto di famiglia.
L’uomo finalmente muore, con gran sollievo degli spettatori e subito dopo viene letto il testamento.
Tutti i beni di Hilton dovranno essere divisi tra i legittimi eredi fatta salva la parte destinata alla sorella Evelyn, che è la pecora nera della famiglia, in quanto odiava tutta la discendenza di Hilton.
Gli eredi credono di aver ereditato una fortuna ma in realtà hanno anche ereditato una vendetta;una mano misteriosa infatti semina la morte tra di loro.
Pannacciò, amante del gotico e delle storie a sfondo “magico” torna a rielaborare una sceneggiatura sullo stile del peraltro pessimo Un urlo dalle tenebre;lo fa nel modo peggiore, dimostrando che i maestri a cui si ispira, da Bava a Freda, non solo non gli hanno insegnato niente ma hanno avuto su di lui un influsso nefasto.
Non si contano infatti gli errori elementari nelle inquadrature, nella direzione del cast già di per se di un livello molto basso e sopratutto la mancanza assoluta della capacità di creare il colpo ad effetto, quel quid che innalzi almeno a tratti il livello del film.

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Per di più, Pannacciò abbonda con l’erotismo, creando un effetto domino che trascina ancor più verso il basso il tutto; non avendo il senso della misura,il regista inserisce scene di nudo o di erotismo nei momenti topici della pellicola, con conseguenze a tratti anche esilaranti.
Basti vedere una delle sequenze iniziali, quella in cui il maggiordomo e una servetta si dedicano ad un amplesso nella cappella della villa, con primo piano del maggiordomo a cui la servetta pratica (evidentemente) una fellatio e in cui lo stesso sembra più in preda a spasmi intestinali che al piacere provocato dall’atto.
E si potrebbe proseguire a lungo con l’elenco delle nefandezze proposte:si guardi l’entrata in scena surreale dell’ispettore, una sorta di tenente Colombo con tanto di impeccabile impermeabile e sorriso idiota stampato sul volto, roba da far invidia a Jeff Blinn in Giallo a Venezia.

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Insomma, per farla breve,un campionario difficilmente ripetibile di bestialità e orrori cinematografici.
Il cast è quanto di peggio si possa assemblare e include il solito Gianni Dei,dall’espressione ancor più sperduta del solito,Jessica Dublin ormai over 50 e Camille Keaton, nipotina del grande Buster in un piccolo ruolo che fortunatamente le impedisce di partecipare allo scempio.
Se qualcuno dovesse butrire dei dubbi su quanto esposto su, consiglio la visione del film all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=2JJGKL1fkLY La versione è decisamente bruttina ma è quanto di meglio circoli in rete.
Il sesso della strega
Un film di Elio Pannacciò. Con Susanna Levi, Assunta Liemezza, Jessica Dullin, Sergio Ferrero, Ferruccio Viotti, Gianni Dei, Jessica Dublin, Lorenza Guerrieri, Marzia Damon, Camille Keaton Thriller/Horror, durata 91 min. – Italia 1973.

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Susanna Levi … Susan
Jessica Dublin … Evelyn Hilton
Sergio Ferrero … L’uomo di Ingrid
Camille Keaton … Ann
Franco Garofalo … Tony
Donald O’Brien …L’ispettore
Gianni Dei … Simon Boskin
Augusto Nobile … Edward
Maurizio Tanfani … Nath
Marzia Damon … Gloria
Irio Fantini … Assistent Inspettore
Ferruccio Viotti … Notaio
Giovanni Petrucci Johnny
Annamaria Tornello … Ingrid

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Regia:Angelo Pannacciò
Sceneggiatura:Angelo Pannacciò
Musiche:Daniele Patucchi
Fotografia:Maurizio Centini,Girolamo La Rosa
Montaggio:Marcello Malvestito
Art Direction:Egidio Spugnini
Costume Design :Osanna Guardini

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L’incipit l’ho trovato interessante: questo moribondo circondato dai parenti e ripreso con un grandangolo che deforma l’immagine e la sua voce che pontifica sulla vita, la morte e i “morti-viventi”, con le parole scritte dallo sceneggiatore Franco Brocani (quello di Necropolis, 1970, e si capiscono tante cose…). Anche il tema musicale di Patucchi non mi è parso malaccio. Quindi, sempre nel bel mezzo di quel diluvio di parole, una bara, e due che scopano vicino ad essa. Niente male. Poi il film inizia davvero e sono guai. Il Sesso della Strega è un film di Pannacciò (è non ci si può sbagliare perché ce lo stampa a tutto schermo in titoli da fumetto), lo stesso dietro ad ineffabili lavori quali Porno erotico western (1979) e Un urlo nelle tenebre (1975). L’idea sarebbe quella di mescolare giallo ad horror soprannaturale e spolverare tutto con diverse scene di sesso che non guastano mai, ma il risultato ottenuto da Pannacciò è sotto il livello della decenza soprattutto per la noia abissale che sprigiona da questo whodunnit pecoreccio con grandi primi piani sugli occhi abborracciati dei protagonisti. E’ la noia che proprio non si può perdonare perché con brutture, sciatterie e illogicità ci si potrebbe anche divertire ma con la noia no. Gianni Dei, al secolo Gianni Carpanelli, nei panni del segretario amante del defunto non ci fa una bella figura (non che altrove…) e così il Donald O’Brien nei panni di un ispettore decisamente incompetente. Curiosa la partecipazione di Camille Keaton che cinque anni dopo diventerà famosa (più o meno) come protagonista dello shock exploitation Non Violentate Jennifer. Il finale del film proprone una soluzione dell’enigma quantomeno assurda però si sà, il paranormale… Invece riguardo il sesso così così, anche perché Pannacciò non è un maestro dell’eros, ma non escludo che possano esserci stati dei tagli. In più, grande delusione perché sul dizionario di Giusti si dice: “L’ultima scena del film si chiude sul sesso della strega esibito in primo piano, ben divaricato”. Giusti sì che è un maestro dell’eros perché solo a leggere mi ero galvanizzato e invece salta fuori che si tratta di una con delle orribili mutande blu. Vatti a fidare. Sconsigliato. Fidatevi.
L’opinione del sito http://www.horrormovie.it

(…) Per la serie “al brutto non c’è mai limite” eccoci di fronte a “Il sesso della strega”, titolo ad effetto per uno dei più scombinati e brutti thriller a tinte paranormali che la cinematografia italiana abbia prodotto negli anni ’70.
Il nostro cinema di genere tra gli anni ’60 e ’70 ha raggiunto vette altissime aggiungendo ottimi film su ottimi film. Registi del calibro di Mario Bava, Dario Argento, Lucio Fulci, Riccardo Freda e Antonio Margheriti, solo per fare i nomi dei più celebri, hanno donato all’immaginario collettivo cinematografico veri gioielli mai più eguagliati dalle produzioni nostrane. Ma c’era anche un sottobosco di registi che si barcamenavano tra l’horror, l’erotico e chissà cos’altro che rappresentavano il lato oscuro di questa armoniosa combriccola di “Grandi nomi”, artigiani con non troppo talento che coglievano al balzo il filone in voga del momento e davano vita a discutibili Il Sesso della Stregalungometraggi che oggi vengono venerati come autentici “scult”. Tra i tanti sicuramente Angelo (in arte Elo) Pannacciò è uno dei più rappresentativi, soprattutto per questo “Il sesso della strega”, un thriller di rara bruttezza che fonde insieme il gotico italiano, il giallo-thriller (in quel periodo al suo massimo grado di diffusione) e l’erotico.
Pannacciò, autore anche della sceneggiatura insieme a Franco Brocani, aveva uno spunto interessante e soprattutto originale su cui lavorare: la magia (mista alla scienza) utilizzata per il cambiamento di sesso di un individuo. Purtroppo questo spunto non viene affatto approfondito e l’intera sceneggiatura appare troppo sconclusionata, composta da pochi eventi che si inseriscono nella narrazione spesso senza un vero nesso logico. Inoltre lo stesso autore non sembra avere le idee troppo chiare su quale genere ripiegare, se sul thriller-horror o sull’erotico. Se infatti la struttura è quella tipica del thriller, con tanto di omicidi all’arma bianca e killer misterioso da smascherare, non viene mai enfatizzata la suspense e gli stessi omicidi sono coreografati in modo Il Sesso della Stregagoffo e sicuramente poco “spaventoso”. Invece il film abbonda di scene erotiche, focosi amplessi e frequenti nudi, spesso inseriti in modo molto gratuito, solo che, ahinoi, anche in questo caso Pannacciò fallisce e le sue scene non riescono a infondere un reale erotismo, dal momento che anche in questo caso abbiamo scenette impacciate, mal girate e spesso ridicole (praticamente ogni volta che entra in scena il maggiordomo erotomane).(…)
L’opinione di B.Legnani dal sito http://www.davinotti.com

Viene la tentazione, davanti a film indescrivibili come questo, di fare la lista delle cose involontariamente esilaranti. Mi limito all’ispettore, che indossa l’impermeabile “da ispettore” anche al momento della prima colazione, e all’ambulanza che, arrivando a sirene spiegate, viene a lungo impallata da un muretto. Il resto è in linea, compreso il pazzesco finale. Nomi britannici, ma targhe automobilistiche italianissime e ambientazione nell’Appennino Laziale. Il c.s.c. Irio Fantini ha vari primi piani: un po’ poco per salvare il film..

L’opinione di Ilgobbo dal sito http://www.davinotti.com

Scompiscevole guazzabuglio di Pannacciò con vago plot occultistico sulla scia di chissà quali turpitudini di famiglia nobile, mentre per lo più nipoti lubrichi si limitano a trombare tutti con tutti (nè è da meno la servitù, dove spicca un grande Franco Garofalo in versione Igor de’ noantri), su musiche da porno-soft di Patucchi. O’Brien, che al confronto nei western pare Henry Fonda, contende al Jeff Blynn di Giallo a Venezia la palma di poliziotto più ciula, spaventosissime le mises di Gianni Dei. Irredimibile

L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com

Sul lato tecnico non c’è nulla da fare, viste la regia esangue e la totale incuria di ritmo, montaggio, continuità e locations spudoratamente nostrane spacciate per anglosassoni. Il film di Pannacciò si guadagna la fama di cult per un soggetto all’insegna di un cinema bizzarro oggi estinto: una classica trama giallo-gotica a sfondo ereditario che si contamina con l’occultismo e la fantascienza delle mutazioni genetiche, nonché con frequenti intermezzi sexploitation e musiche stranianti. Argentiano l’omicidio con la mazza. Gli attori? «Fantasmi grigi e smunti, persone di oggi e senza spessore».

L’opinione di Max92 dal sito http://www.davinotti.com

Chi si inerpica nella visione di questa pellicola da Olimpo del trash non nutre grandi aspettative. Ma Pannacciò è riuscito a superare se stesso, sciorinando allo spettatore un film di una bruttezza inusitata. Riprese amatoriali, interpreti allo sbaraglio più completo (Buster Keaton si starà rivoltando nella tomba nel vedere dove si era infognata la nipotina Camille) e scene di sesso di uno squallore indicibile (vedere la sfatta Dublin nuda, che comunque rimane recitativamente la migliore, è un’esperienza che lascia il segno). Titolo finissimo.

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Maggio 20, 2014 Pubblicato da: | Horror, Thriller | , , , | Lascia un commento

Sensoria

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Secondo film dell’attore, musicista, sceneggiatore e regista viennese Peter Patzak, diviso in tre episodi riguardanti l’inquietante mondo della parapsicologia uscito nelle sale nel 1975
Episodio 1:
La reincarnazione
E’ il giorno del trentacinquesimo compleanno per Henry.
Sua moglie e sua figlia lo stanno attendendo per festeggiare il suo compleanno, ma Henry ha un altro programma, anche se coscientemente non lo sa.Guardando una vecchia foto è attratto infatti irresistibilmente da un castello, che decide di raggiungere.

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Qui incontra Greta, una donna bellissima e affascinante con la quale ha una notte d’amore; la misteriosa donna gli confessa che molti anni addietro ha ucciso un uomo. Confuso, Henry chiede aiuto ad un amico poliziotto e grazie a delle vecchie foto scopre che esattamente trentacinque anni prima l’uomo che Greta ha detto di aver ucciso era scomparso esattamente il giorno in cui Henry era venuto alla luce.Lui è l’esatta replica dell’uomo morto…

Episodio 2:
La metempsicosi
Una relazione assolutamente proibita, quella tra il dottor William e la sua alunna Macha.
Che è però conosciuta dalla moglie del dottore, che perisce tragicamente in un incidente stradale mentre sua figlia Debbie si salva a prezzo di sconvolgimenti psicologici.

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Debbie scopre di trovarsi in contatto telepatico con Macha e la cosa avrà funeste conseguenze, perchè quando Macha verrà lasciata dal suo maturo amante, la ragazza deciderà di suicidarsi,coinvolgendo nella sua morte anche Debbie…

Episodio 3:

La telepatia

E’ il giorno del matrimonio per Barbara.

La ragazza, figlia di un importante banchiere sta per coronare il suo sogno ma un incontro inaspettato sconvolge i suoi piani.
Uno strano e misterioso pittore, Mario, riesce con la sua mente a distrarla dall’evento, tanto che la ragazza si reca da lui.
E’ l’intervento provvidenziale della madre di Mario a liberare Barbara dal malefico influsso dell’uomo, tanto che la ragazza può ritornare alla sua vita normale.

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Ma è solo una vittoria di Pirro.
Mentre è in viaggio di nozze infatti, i poteri mentali del giovane si fanno nuovamente sentire…

Diretto da Peter Patzak, regista austriaco poco conosciuto da noi, Sensoria è un film del 1975 oscuro, minaccioso e ben diretto su un tema inconsueto come quello dei poteri parapsicologici e su sovrannaturale.
Reincarnazione, metempsicosi e telepatia sono i tre argomenti sui quali Patzak costruisce un film decisamente dark, diviso in altrettanti episodi destinati a finire tragicamente.
Tre uomini e quattro donne, legati a filo doppio da legami invisibili e che finiranno per essere coinvolti in tre storie mortali, legate ai poteri oscuri della mente, a quella parte del cervello così poco conosciuta che origina i fenomeni che vedranno protagonisti i vari personaggi della storia.
Tre episodi ben calibrati, angosciosi, tutti di buon livello anche se il secondo e il terzo hanno una marcia in più.
Sopratutto quest’ultimo, caratterizzato dalla presenza inquietante e quasi demoniaca di un personaggio, il pittore Mario, che è al tempo stesso impotente ma bramoso di possedere l’anima e la personalità di Barbara.
L’uomo diventa quindi un vampiro mentale, che soggioga fino alle estreme conseguenze la giovane sposa, in un crescendo buio e quasi horror che è la cosa più riuscita del film.

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Sensoria è quindi un film decisamente inquietante, giocato sull’inquietudine che i fenomeni non controllabili e quindi non spiegabili hanno come potere attrattivo per un nutrito numero di spettatori che sono affascinati dall’argomento.
Poichè siamo negli anni settanta, ovvero in un periodo storico in cui questi argomenti erano tra i più dibattuti, lo spettatore troverà pane in abbondanza in questo film.
Che mescola anche all’elemento giallo e horror parecchio erotismo, anche se in questo caso siamo decisamente fuori dal morboso, viste le storie in cui compaiono le scene sexy.
C’è ben poco da eccitarsi, tra cadaveri e incidenti, fra un’autopsia probabilmente vera e storie oscure come quelle che vengono narrate.
Per quanto riguarda il cast,nulla da eccepire; da Marisa Mell, bella ed elegante come sempre a William Berger, da Masha Gonska a Mathieu Carrere tutti svolgono egregiamente il loro compito
Menzione d’onore per la giovane figlia di William,Debra, una vera rivelazione.
Questo è un film praticamente introvabile, nonostante sia da tempo presente in Dvd; purtroppo non ho trovato in rete nessuna versione disponibile.E’ presente sul p2p ma senza fonti.

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Sensoria
Un film di Peter Patzak. Con William Berger, Marisa Mell, Peter Neusser, Wolfgang Gasser, Debbie Berger,Mathieu Carrere Titolo originale Parapsycho – Spektrum der Angst. Drammatico, durata 93 min. – Germania 1975.

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Mathieu Carrere: Mario
William Berger: Dottor William
Debra Berger: Debbie
Marisa Mell:Greta
Masha Gonska:Masha

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Regia Peter Patzak
Sceneggiatura Peter Patzak, Georg M. Reuther, Géza von Radványi
Fotografia Atze Glanert
Musica Manuel Rigoni, Richard Schönherz
Produzione TIT Filmproduktion GmbH, Viktoria Film

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L’opinione di Lucius dal sito http://www.davinotti.com

Un’opera che sembra girata da Lars Von Trier. Tre episodi collegati fra loro, uno più inquietante dell’altro: nel primo, musicato da Beethoeven e con la presenza di bambole inquietanti, il protagonista incontra una figura femminile morta anni addietro, nel secondo la protagonista che ha il potere della telepatia muore in strane circostanze, il terzo vede una donna provare un’attrazione perversa per un uomo che la spinge al suicidio. Il filo conduttore è la parapsicologia per un film caratterizzato da una regia sobria ed inquietante.

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aprile 15, 2014 Pubblicato da: | Horror | , , , , , , | Lascia un commento

I turbamenti sessuali di Maddalena

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E’ il mercoledi delle ceneri.
In una chiesa di Monaco di Baviera viene fatta una scoperta terribile:fuori dalla chiesa, appeso alla porta, c’è un uomo anziano crocefisso ai battenti.
Nel frattempo in un collegio per orfanelle la giovane Magdalene avverte dei sintomi strani ed inizia a comportarsi in modo anomalo.il tutto è originato da una mosca che è volata dal cadavere dell’uomo appeso fuori dalla chiesa che in realtà altri non è che il nonno della ragazza.
Magdalene si trova nell’istituto dopo la morte dei genitori per un incidente;la sua vita non è facile, perchè la ragazza subisce gli scherni delle compagne, che la trovano troppo ingenua.
Magdalena, che fino a quel momento ha tenuto un comportamento esemplare, mostra dei segni che testimoniano la presenza in lei di poteri telecinetici.

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La ragazza cambia improvvisamente manifestando la presenza di una doppia personalità, che alla fine si fonde per diventare un’entità sfrenata sessualmente la dove Magdalene fino a quel momento aveva tenuto un comportamento esemplare.
Ne fanno le spese ovviamente le altre ragazze del college che devono assistere all’escalation di violenza e a gesti sessualmente disinibiti della ragazza, che in un caso vomita dalla bocca un serpente.
La direzione del collegio chiama i dottori Falk e Stone per accertare il male di Magdalene, ma dopo che la ragazza ha tentato di sedurre uno dei due e dopo che ogni diagnosi fallisce, al dottor Falk non resta che chiamare un sacerdote.
Sarà padre Conrad, con un espediente, a capire che la ragazza è posseduta da un’entità diabolica e …
Ennesimo clone dell’esorcista di Friedkin, I turbamenti sessuali di Maddalena (intitolato molto più realisticamente nella versione inglese Magdalena, Possessed by the Devil e Magdalena, vom Teufel besessen nella versione originale tedesca) è un exploitation a connotazione demoniaca nella scia dei numerosi film che spuntarono nelle sale all’indomani del successo planetario del film di Friedkin, fra i quali possiamo citare i nostrani L’Anticristo, Chi sei, La casa dell’esorcismo e L’ossessa.

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Diretto nel 1974 dal regista tedesco Walter Boos (che si firma Michael Walter) specializzato in b movie a sfondo erotico come Il comportamento sessuale delle studentesse,Le svedesi lo vogliono così o sesso in corsia, questa pellicola ha dalla sua un’ambientazione malata e malsana, sorprendentemente abbinata ad una sceneggiatura scorrevole che si accompagna ad una buona dose di suspence.
Certo, siamo negli angusti limiti del cinema sexploitation, perchè Boos calca la mano sull’aspetto erotico della storia, usando la giovane attrice Dagmar Hedrich in versione “mamma come l’ha fatta” ad ogni occasione buona.
Tuttavia, nonostante l’evidente limite di budget della produzione, riscontrabile nell’estrema povertà degli effetti speciali e nei nomi sconosciuti ingaggiati per il cast, il film come puro prodotto di intrattenimento funziona.
Vera sorpresa è Dagmar Hedrich, all’esordio in quella che sarà stranamente la sua prima e ultima avventura cinematografica;l’attrice è bravissima nel mostrare i due lati della personalità della posseduta, con rapidi cambiamenti di espressione e intensa partecipazione.
Inspiegabilmente dopo questo ottimo esordio l’attrice non continuò la sua carriera.
Il film è estremamente raro sulla rete, nonostante da tempo sia stato digitalizzato e distribuito in dvd, ragion per cui bisognerà attendere che qualcuno lo carichi sui p2p.

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Un film di Michael Walter. Con Werner Bruhns, Dagmar Hedrich, Rudolf Schundler Titolo originale Magdalena – Von Teufel besessen. Drammatico, durata 91 min. – Germania 1974

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Dagmar Hedrich … Magdalena Winter
Werner Bruhns … Prof. Falk
Michael Hinz … Dr. Stone
Peter Martin Urtel … Il Satanista / Nonno di Magdalena
Rudolf Schündler … Padre Conrad
Karl Walter Diess … Commissario
Günter Clemens … Ispettore
Elisabeth Volkmann … Madame Stolz
Eva Kinsky … Hilde Preis
Petra Peters … Infermiera
Ursula Reit …Il testimone accidentale

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Regia:Walter Boos
Sceneggiatura: August Rieger
Fotografia:Ernst W. Kalinke
Montaggio:Karl Aulitzky

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L’opinione di Trivex dal sito http://www.davinotti.com

La dimensione della possessione diabolica, esplicitata prevalentemente dal comportamento morboso e diabolicamente seducente dell’ossessa. Evidentemente realizzato con pochissimi mezzi, segue un percorso un po’ confuso e necessariamente avaro, finendo al risparmio anche nella parte che dovrebbe risultare fondamentale (l’esorcismo e la possibile liberazione dal serpente). Comunque, risulta pervaso da una oscura ed a tratti inquietante atmosfera, malauguratamente svilita da evitabili effetti speciali di serie Z (gli oggetti che volano e svaniscono).

L’opinione di Gestarsh99 dal sito http://www.davinotti.com

Oscura e dimenticatissima variante teutonica de L’esorcista, opera di uno tra i più proliferi maniscalchi del crauti-(soft)porn settantiano. Gli sviluppi risaputi si elettrizzano bruscamente in fulminanti scosse di violenza e shock, in una pellicola segnata da atipica tensione, follia deviata e da una spinta erotica virata all’eccesso. Il visino d’angelo della Hedrich riesce a conferire naturale schizofrenia al personaggio dell’ossessa, passando in brevi istanti dalla più luminosa e ridente serenità ad uno stato di convulse e bestiali escandescenze pazzoidi. Ruvido e squassante.

L’opinione di Jurgen77 dal sito http://www.davinotti.com

Al pari del suo collega più blasonato ovvero L’esorcista, questa oscura pellicola teutonica rappresenta in modo violento e inquietante il tema della possessione diabolica. Logicamente, a causa del budget ridicolo, non c’è da aspettarsi gli effetti del film di Friedkin. Tuttavia la pellicola è realmente cupa e spaventosa.

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aprile 13, 2014 Pubblicato da: | Horror | | 2 commenti

Un caldo corpo di femmina (Female vampire)

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Female vampire o Un caldo corpo di femmina nell’esplicito titolo italiano è uno dei film più famosi di Jesus Franco,il settimo in appena due anni girato con protagonista quella che sarà la sua musa, la sua attrice preferita nonchè sua moglie, Rosa María Almirall Martínez conosciuta come Lina Romay.
Un film, va detto subito, diventato un cult per la presenza proprio dell’affascinante attrice catalana che interpreta il personaggio di Irina von Karlstein, il vampiro che si aggira muta nel film seducendo e uccidendo chiunque abbia la sventura di giacere con lei.
Un film senza una sceneggiatura lineare, anzi, piuttosto caotico, con pochi dialoghi spesso anche incomprensibili e una trama ridotta all’osso.
Quale allora il motivo del successo della pellicola?
Probabilmente o meglio, quasi sicuramente la presenza di Lina Romay nel film, che compare in una scena iniziale completamente nuda in un bosco nebbioso, coperta solo da un mantello scuro.

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Una scena rimasta memorabile che va aggiunta ad un film che è essenzialmente in linea con la stragrande maggioranza della produzione del regista spagnolo, quindi permeata da un erotismo molto esplicito che in alcuni tratti sconfina nel hard.
La trama è raccontabile in due parole: la contessa Irina von Karlstein, ultima discendente di un’antica stirpe di vampiri vaga nell’isola di Madera alla ricerca continua di di esseri umani, che siano uomini o donne con cui soddisfare il proprio piacere.
Dopo aver giaciuto con le persone che soggioga, Irina le uccide creando quindi l’allarme nella plizia dell’isola.
E’ il dottor Roberts a capire che dietro i misteriosi omicidi c’è la mano di un vampiro,mentre Irina conosce il Barone von Rathony, un giovane e affascinante romanziere del quale, per la prima volta, prova un sentimento di amore vero.
Il rapporto tra i due è di natura telepatica, essendo la contessa muta, ma tra i due nasce un sentimento molto forte;tuttavia neanche lui può sfuggire alla maledizione di Irina, che da quel momento inizia a pensare di abbandonare il mondo reale…

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A parte la bellezza davvero notevole e la sensualità esasperata di Lina Romay, il film di Franco non è davvero memorabile, come del resto gran parte della produzione del cineasta spagnolo.
Tuttavia a tratti alcune scene oniriche, il surrealismo delle situazioni e una certa ambientazione brumosa, tipica dei film gotici o di quelli espressamente dedicata ai vampiri possono valere la visione del film stesso.
Film quindi di qualche interesse, presente in un mucchio di versioni e con svariati titoli che vanno da Erotikiller a Female Vampire, da La comtesse noire (che è poi il titolo originale) a La comtesse aux seins nus.

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Un caldo corpo di femmina

Un film di Jesus Franco. Con Jack Taylor, Alice Arno, Lina Romay, Gilda Arancio Titolo originale La comtesse aux seins nus. Erotico, durata 89 min. – Francia, Belgio 1975.

 

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Lina Romay: contessa Irina von Karlstein
Jack Taylor: barone von Rathony
Jesús Franco: dr. Roberts
Jean-Pierre Bouyxou: dr. Orlof
Luis Barboo: maggiordomo della Contessa
Alice Arno: Maria
Monica Swinn: principessa di Rochefort
Anna Watican: Anna, la giornalista
Roger Germanes: il ragazzo dei boschi
Ramón Ardid: massaggiatore
Bigotini: ispettore della sezione stupefacenti
Pierre Querut: ispettore
Gilda Arancio: vittima della principessa di Rochefort

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Regia Jesús Franco
Soggetto Jesús Franco
Sceneggiatura Jesús Franco
Produttore Marius Lesoeur (Eurociné, Parigi)
Pierre Querut (Général Films, Belgio)
Fotografia Jesús Franco
Montaggio Jesús Franco
Musiche Daniel J. White
Trucco Elisenda Villanueva

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L’opinione di giurista81 dal sito http://www.filmtv.it

Soggetto assai interessante e affascinante (Contessa vampira che si aggira, vestita con un solo mantello marrone, per nutrirsi del sangue delle vittime) non sviluppato da una sceneggiatura adeguata. Franco abbonda troppo con l’erotico, sconfinando più di una volta nel porno soft. Peccato… Fotografia molto più curata del solito, così come le scenografie (favolose quelle immerse nella nebbia). Ottima la colonna sonora. Sufficienti le interpretazioni. Montaggio medicore, regia perfezionabile. Assente lo splatter. Un’ultima considerazione sul titolo italano con i distributori che hanno optato per uno davvero brutto non mutuando il più adeguato “La Contessa Nera”. Nel complesso una pellicola non pienamente riuscita a metà strada tra l’erotico e l’horror.

L’opinione del sito http://www.filmhorror.com

Lento e insulso “horror” erotico privo di situazioni stimolanti, realizzato anche in versione con inserti hard, il cui unico scopo sembrerebbe quello di aggiungere noiosi minuti alla già eterna durata di questa soporifera produzione Eurociné.
Peccato, perché le idee Jesús Franco le avrebbe anche, disegnando le scene come se fossero tavole di uno di quei fumetti erotici tipo Jacula” o Vampirella, ma non riesce a dare ritmo a una vicenda che, come succede spesso nei suoi film, non ha alcun senso logico.
Lina Romay, la protagonista assoluta della pellicola, se la cava alla meno peggio, manca però della giusta finezza per riuscire a creare un’atmosfera realmente erotica attorno al suo personaggio. In altre parole, non regge il confronto con la torrida Soledad Miranda, deceduta tragicamente pochissimo tempo prima.

L’opinione del sito it.darkveins.com

Poverissima e squallida produzione dei primi anni ’70 di J. Franco, con protagonista Lina Romay (storica compagna dello stesso Jess) nei panni di Irina, voluttuosa vampira affamata (di sesso) …
V’è una scena che è l’apoteosi del trash: Lina Romay che sbatte il mento contro l’obiettivo mentre cammina frontalmente verso la telecamera: la scena non è stata tagliata in fase di montaggio!
Non è eccezionale, ma lo consiglio ai “Franchisti” incalliti.

L’opinione di Cotola dal sito http://www.davinotti.com

Film vampiresco al femminile caratterizzato da un ritmo piuttosto dilatato, a tratti direi catatonico e dalle copiose scene erotiche in cui notevoli bellezze muliebri mostrano più e più volte le loro “doti”. Per il resto non c’è molto altro se non le musiche datate (ma buone) ed una fotografia decente. Le voci off sono spesso gratuite, deliranti ed inconcludenti. Sceneggiatura al minimo storico. In ogni caso non un disastro completo. Jess Franco, infatti, ha fatto molto ma molto peggio.

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aprile 5, 2014 Pubblicato da: | Horror | , , | Lascia un commento

Le tombe dei resuscitati ciechi

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Durante un viaggio su un treno, una ragazza litiga con i suoi due amici. Ad originare il diverbio, l’incontro che Virginia,la ragazza, ha con una sua vecchia amica ed amante, Betty. Quest’ultima sembra troppo interessata al fidanzato di Virginia, motivo per il quale la ragazza
scende dal treno e si incammina solitaria per raggiungere il villaggio che sorge poco distante. Sulla strada incontra un antico monastero e vi si accampa; la sera però dal cimitero del monastero terribili figure emergono dalle tombe.
Sono cavalieri templari, incappucciati e armati, che inseguono la ragazza oltre le mura del moastero stesso, la raggiungono e la uccidono.
Alcuni conoscenti della ragazza,alla ricerca della stessa, arriveranno nel paesino, ma incontreranno anche loro la stessa,terribile sorte.

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Questa la trama ridotta all’osso di Le tombe dei resuscitati ciechi, film iberico del 1972 diretto da Amando de Ossorio,sceneggiatore e regista spagnolo con alle spalle, al momento della realizzazione di questo film, alcuni western e un primo assaggio di horror,il più che discreto Malenka, la nipote del vampiro diretto nel 1969.
Le tombe dei resuscitati ciechi è il primo dei 4 capitoli che il regista galiziano dedicherà,con alterne fortune, alla saga dei templari resuscitati, una specie di zombie mutuati dal celebre La notte dei morti viventi di Romero.
Un film di discreta fattura, giocato su un buon ritmo e una sceneggiatura sicuramente ingenua ma efficace allo stesso tempo.

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Merito dei tempi dettati dal regista al film, che riesce a creare un’atmosfera lugubre e di attesa sfruttando con sapienza i fortissimi contrasti che la location permetteva:al paesaggio assolato e tranquillo della campagna in cui si svolgono i fatti si sostituisce,la sera, un paesaggio spettrale e lugubre, con il cimitero del monastero in cui riposano i templari che prende vita sinistramente, restituendo al buio della notte le sagome orribili dei cavalieri incappucciati, scheletrici sotto le tuniche che li avvolgono.
Pur disponendo di un modesto budget, De Ossorio riesce a far miracoli grazie alla sua capacità di mantenere alto il livello di suspense del film; il contrasto tra la placida natura nella quale si immergono i protagonisti del film e le gesta dei cavalieri prima e delle loro vittime poi sono sicuramente la cosa migliore del film, che verranno in seguito replicate nei tre capitoli successivi della serie,La cavalcata dei resuscitati ciechi (1973),La nave maledetta (1974) e La notte dei resuscitati ciechi (1975)
Va detto che questo primo capitolo della serie è decisamente il migliore, sia per la qualità del film,che include una ottima fotografia e tempi di svolgimento dello stesso puntuali e precisi sia per la novità del soggetto.
Anche se il cinema con protagonista gli zombie aveva già avuto degli epigoni di spessore, come il citato capostipite di Romero,De Ossorio regala una pellicola intrisa di inquietante mistero con protagonisti.
I templari del film sono un gruppo di cavalieri tornati dalla terra santa in possesso di segreti sulla vita eterna; avendo rinnegato la fede e sposato il satanismo vennero catturati dal re e giustiziati.In questo modo vennero condannati ad errare in eterno e a rendere degli zombie le loro malcapitate vittime.
Su questo tema, probabilmente ingenuo ma al tempo stesso in grado di sviluppare storie future,De Ossorio costruisce una sceneggiatura abbastanza credibile, anche se non mancano momenti in cui la sceneggiatura stessa cede per colpa del budget, che non permette di ampliare la parte dedicata alla storia del gruppo di templari che diverranno poi l’incubo del paese di Berzano.
A parte qualche difetto riscontrabile sopratutto nella mediocrità della recitazione fornita da alcuni degli attori del film, praticamente tutti sconosciuti, il film si lascia guardare con piacere.
Del film esistono versioni digitali, ma inaspettatamente non sono disponibili su Youtube;l’unica versione completa è in spagnolo ed è reperibile all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=QwO45pxw_oA, mentre la versione divisa in due parti presente sullo stesso canale è incompleta.

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Le tombe dei resuscitati ciechi
di Amando de Ossorio,con César Burner,María Elena Arpón,José Thelman,Lone Fleming,Verónica Llimera Horror,Spagna 1972,titolo originale La noche del terror ciego durata 141 minuti

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Regia Amando de Ossorio
Sceneggiatura Amando de Ossorio, Jesús Navarro Carrión
Produttore José Antonio Pérez Giner, Salvatore Romero
Fotografia Pablo Ripoll
Montaggio José Antonio Rojo
Effetti speciali José Gómez Soria
Musiche Antón García Abril

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 César Burner: Roger Whelan

María Elena Arpón: Virginia White
José Thelman: Pedro Candal
Lone Fleming: Betty Turner
Rufino Inglés: Ispettore Oliveira
Verónica Llimera: Nina
Simón Arriaga: guardiano dell’obitorio
Francisco Sanz: Professor Candal
Juan Cortés: Coroner

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L’opinione del sito http://www.exxagon.it
(…)Il regista spagnolo Amando De Ossorio si presentò all’attenzione del pubblico nei primi anni ’60 con una serie di western e fece la sua prima incursione nell’horror con Malenka, la nipote del vampiro (1968). E’ tuttavia con i templari de Le Tombe dei Resuscitati Ciechi, e seguiti, che Ossorio si fa un nome fra i fans del genere. Il punto di riferimento primario è naturalmente La Notte dei Morti Viventi (1968) di Romero, ma il regista spagnolo fa un lavoro tutto suo in modo che in effetti ciò che ne risulti abbia una sua distinta parsonalità. La trama del film, o meglio la scusa con la quale si fa arrivare Virginia alle rovine di Berzano, è un po’ debole, ma l’atmosfera che si viene a creare non è per nulla male: i morti che escono dalle loro tombe accompagnati da uno score musicale d’effetto, le mani dei morti che escono dalle porte e dai muri, il lento incedere dei cavalieri zombies, le cavalcate al rallentatore dei templari a cavallo. Insomma, lo zombie-movie appena nato incontra (o re-incontra) il gotico, con questo manipolo di adoratori del demonio che per ottenere l’immortalità deve bere sangue ogni tot. (…)

L’opinione del sito http://www.mouthofhorror.altervista.org
(…)Il finale “nero” è sicuramente interessante e anticipa quelli degli altri capitoli della saga, sempre più o meno tragici.
Dal punto di vista tecnico non c’è moltissimo da dire, la recitazione è quel che è, come già accennato non mancano momenti sopra le righe, espressioni che strappano un sorriso e situazioni al limite del demenziale, come quando nel finale, le due donne si mettono a lottare tra loro perchè una vorrebbe far entrare l’amico inseguito dai templari e l’altra si rifiuta perchè il suo è già stato ucciso!
De Ossorio si dimostra un regista solido, ma tutto sommato modesto, se dovessi cercare un paragone qui in Italia, lo farei con il Lenzi del periodo giallo-thriller: regia compatta ma nessun virtuosismo o scena da antologia.
Sicuramente è il miglior film della saga, conclusasi 4 anni dopo col fiacco e sconclusionato “La nave maldetta”, una visione la merita, a patto che vi poniate senza grandi pretese.(…)

L’opinone di Homesick dal sito http://www.davinotti.com
È indubbio che il gotico spagnolo respiri grazie ai polmoni di De Ossorio, l’uomo che ha individuato una terza via tra gli zombi e i vampiri: i resuscitati ciechi. La sceneggiatura, discontinua e stitica, si appoggia più che altro su massicci contrafforti estetici (la fotografia post-baviana e il suggestivo impatto dell’abbazia diroccata con cimitero templare annesso) e sonori (minacciosi canti liturgici e rumori di fondo), riscaldandosi con qualche divagazione erotica ed effetto truculento. Mediocre, ma con un peso specifico non trascurabile nella storiografia dell’horror iberico.
L’opinione del sito http://www.alexvisani.com
Uno dei migliori film spagnoli degli anni settanta. Dotato di una tensione sempre crescente che lo spettatore avverte scena per scena,soprattutto quando gli amici della prima vittima cercano di giungere alla verità. Ma i protagonisti assoluti della suddetta pellicola sono i templari: ordine religioso risalente all’undicesimo secolo, costituito da monaci cavalieri che portavano un mantello bianco con croce rossa. Furono perseguitati (accecati ed arsi vivi) per via della loro potenza e ricchezza che si andava pericolosamente espandendo,e perché ritenuti seguaci del demonio. L’inizio è coinvolgente con le musiche da ecatombe di Anton Garcia Abril (riutilizzate nel seguito “La cavalcata dei resuscitati ciechi”),e con la MDP che esplora le rovine di un monastero ove si officiavano i sacrifici di giovani donne da parte dei templari. Infine una mano scheletrica che sbuca d’improvviso ci avverte dell’incombente minaccia. Parecchio audace per l’epoca soprattutto nelle scene di sesso e violenza. I trucchi sono mediocri ma impressionanti allo stesso tempo,grazie alla mano sicura del regista, che impronta il film verso il pessimismo.I resuscitati ciechi si stringono intorno alle loro vittime e le mordono bevendone il sangue. Una breve scena causò a De Ossorio problemi con la censura, quella del volto di una bambina che viene macchiato dal sangue della madre uccisa da un resuscitato cieco. Finale inquietante..

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dicembre 20, 2013 Pubblicato da: | Horror | | Lascia un commento

La figlia di Frankenstein (Lady Frankenstein)

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Il sogno del barone Frankenstein è quello di creare una creatura vivente utilizzando parti di corpi di persone defunte.Con l’aiuto del fedele assistente dottor Charles Marshall,Frankenstein conduce una serie di esperimenti su animali e alla fine, confortato dai risultati raggiunti, prova il grande passo.
Utilizzando il cuore e il cervello di un uomo impiccato, Frankenstein ottiene così una creatura mostruosa che è viva si, ma che è anche assolutamente ingestibile.
La creatura si ribella a qualsiasi forma di controllo e alla fine uccide il barone; non contento, il mostro semina terrore e morte fra i civili accanendosi in particolar modo su coloro che avevano aiutato il barone nel suo progetto, fornendo la materia prima per i suoi esperimenti.
Poichè il mostro è assolutamente invincibile e sfugge alla cattura della polizia, Tania, figlia del barone, a sua volta ricercatrice e laureata in medicina decide di creare un’altra creatura dalla mostruosa forza fisica in grado di combattere la creatura originaria.

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Ottenendo l’aiuto del dottor Marshall che è anche suo amante, lady Frankenstein costruisce un altro mostro utilizzando il corpo di un servitore con problemi mentali ma dalla grandissima forza fisica.
Per fare ciò, convince il dottore della necessità di trapiantare cuore e cervello nella nuova creatura;ma a giocare a fare il padreterno evidentemente si rischia troppo, così Tania riesce a uccidere il mostro ma viene a sua volta uccisa dall’amante ormai trasformato anch’esso in una creatura senza controllo
Ispirato al romanzo di Mary Shelley,scritto dalla stessa fra il 1816 e il 1817, quando aveva soltanto 19 anni,La figlia di Frankenstein, distribuito anche come Lady Frankenstein  è un horror debole e sfilacciato diretto nel 1971 dai registi Ernst R. von Theumer (che si firma Mel Welles) e da Aureliano Luppi.

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Welles,molto più noto come attore che come regista (nove titoli nella sua filmografia, assolutamente irrilevanti) e Luppi,alla sua unica regia costruiscono un film senza grosso interesse,un horror a cui mancano i fondamentali per creare le premesse di un film originale.
A parte il soggetto tra i più usati della storia del cinema, al film manca qualsiasi profondità psicologica sulle motivazioni del barone e sopratutto sulla tragica figura del mostro, pieno di complessità psicologiche che erano presenti nel romanzo della Shelley.
Ne vien fuori un pastrocchio debole e senza ritmo, a cui va aggiunta anche la mancanza di effetti speciali che diano credibilità alla pellicola stessa; l’atmosfera gotica del romanzo è praticamente assente, nonostante la tenebrosa location che al solito è ambientata nel castello di Balsorano.
La protagonista femminile, Rosalba Neri, è bellissima e seducente ma non basta a dare dignità ad una pellicola senza verve e senza smalto.
Il finale affrettato poi distrugge anche quel poco di buono che si era visto nella pellicola; poichè il film è stato trasmesso più volte in tv, è stato anche pesantemente mondato dalle scene in cui compare la Neri in abiti succinti con il prevedibile risultato di rendere ancor più confuso il racconto.

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Basti pensare che l’edizione originale, che dura 1ora e 33 minuti si riduce nella versione italiana ad 1 e 23 minuti, con ovvie conseguenze sulla leggibilità della pellicola.
Una pellicola da dimenticare, quindi; non fosse per la presenza della Neri e di Joseph Cotten saremmo di fronte ad una pellicola da annoverare a tutti gli effetti tra gli z movie.

Lady Frankenstein
Un film di Mel Welles (Ernest Von Theumer). Con Joseph Cotten, Rosalba Neri, Paul Müller, Herbert Fux, Mickey Hargitay, Paul Whiteman Horror, durata 84 min. – Italia 1971.

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Joseph Cotten … Barone Frankenstein
Rosalba Neri … Tania Frankenstein
Paul Muller … Dr. Charles Marshall
Peter Whiteman … La Creatura
Herbert Fux … Tom Lynch
Renate Kasché … Julia Stack
Mickey Hargitay Capitano Harris
Lorenzo Terzon … Assistente di Harris
Ada Pometti …Moglie del contadino
Andrea Aureli … Jim Turner
Joshua Sinclair … John
Richard Beardley … Simon Burke
Petar Martinovitch … Jack Morgan
Adam Welles …Bambino

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Regia: Mel Welles, Aureliano Luppi
Sceneggiatura:Dick Randall,Edward Di Lorenzo
Romanzo originale:Mary Shelley
Musiche:Alessandro Alessandroni
Fotografia:Riccardo Pallottini
Montaggio:Cleofe Conversi
Production Design:Francis Mellon
Design Costumi :Maurice Nichols

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L’opinione di Undying dal sito http://www.davinotti.com
Il tema è horror puro, e ricalca, in maniera piuttosto contorta, il solito dottore intento ad armeggiare parti di corpo umano, onde dare corso alla sua “creatura”. C’è la mitica Rosalba Neri, ma l’atmosfera gotica, mal gestita per via d’un reparto trucco davvero mediocre, svilisce anche a causa di un finale fatto con “l’accetta”. Figura, in una parte, anche Paul Muller, attore già visto nel miglior Amanti d’Oltretomba ed in seguito ingaggiato come presenza fissa nel terrificante ciclo TV Lucio Fulci presenta. Passato CUT su Rete 4…

L’opinione di Ciavazzaro dal sito http://www.davinotti.com
Horror italiano abbastanza confuso, fuori tempo. A fare la parte della mattatrice c’è la Neri e vi è la partecipazione di Cotten (che purtroppo è molto breve). Nota d’onore anche per il caratterista Paul Muller. Assurdo il finale, mentre il make-up della creatura è abbastanza ridicolo.

L’opinione del sito http://www.filmtv.it
Defunto lo “scienziato pazzo”, la figlia ne segue le orme.
Il barone Frankenstein e il suo aiutante dottor Marshall portano finalmente a termine il loro folle esperimento: ma la “creatura” si rivela fin da subito malvagia e incontrollabile, seminando morte e terrore ovunque e scegliendo come prima vittima il proprio demiurgo. A questo punto Tania, la figlia del barone, persuade Marshall – da sempre invaghito di lei – a ripetere il trapianto usando se stesso come “donatore” e il corpo del forzuto ma demente garzone Thomas come “ospitante”: l’idea, però, si rivela tutt’altro che felice…
Partecipazione limitata e “alimentare” del glorioso Cotten a un sexy-horror di bassissimo profilo.

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ottobre 26, 2013 Pubblicato da: | Horror | , | Lascia un commento

Black cat-Gatto nero

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In un paesino della campagna inglese avvengono una serie di morti inspiegabili.
Un giovane automobilista muore in un incidente d’auto,arso vivo dopo aver sfondato con la testa il parabrezza dell’auto sulla quale stava viaggiando,due ragazzi nel capanno di una darsena nel quale si erano rinchiusi per amoreggiare,un ubriacone cadendo dalle travi sospese di un vecchio palazzo e infilzandosi su una cancellata e infine la madre della ragazza della darsena arsa viva nell’incendio della sua casa.
In ognuna delle morti, apparentemente slegate fra loro, ha fatto la comparsa, minacciosa e inquietante, la figura di un gatto nero; il felino appartiene al professor Robert Miles,un tipo solitario ed eccentrico che vive isolato passando il suo tempo accanto ad un registratore, con il quale imprime sonoramente le voci dei defunti.
Sulle morti inspiegabili indaga Scotland Yard, rappresentata dall’ispettore Gorley, che è sicuro che dietro le strane morti ci sia qualcosa di misterioso; della stessa idea è la giovane e bella fotografa Jill Travers, che si è trovata sulle scene dei decessi e che ha notato sul corpo dell’ubriacone delle tracce inspiegabili di unghiate di gatto e sulle altre orme dello stesso felino.

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Gorley e Jill si ritrovano ad indagare insieme ma sarà proprio Jill a scoprire il bandolo della matassa, collegando la presenza del misterioso gatto nero alla figura inquietante di Miles, lo strano legame parapsicologico che lo stesso ha con il gatto; ma Jill rischia di pagare con la vita il suo interesse verso la figura del professore.
L’uomo,infatti, riesce ad attirare in trappola la bella fotografa, murandola viva con il gatto, ma…
Black cat-Gatto nero è un film di Lucio Fulci tratto ancora una volta da un romanzo di Edgar Allan Poe.
Il saccheggiatissimo scrittore britannico scrive il racconto breve Gatto nero nel 1843, raccontando la vicenda di un condannato a morte che ricorda il perchè del suo stato attuale, ovvero aver ucciso la moglie dopo esser diventato folle in seguito ad un atto di crudeltà commesso nei confronti del gatto nero della moglie.

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Il romanzo di Poe è davvero breve e la storia, in se, non poteva reggere una sceneggiatura cinematografica; così Fulci amplia la storia allontanandosene quasi definitivamente.
Il film che ne segue è disorganico,pur mostrando ancora una volta il talento del regista romano;l’aria misteriosa e parapsicologica del romanzo di Poe scompare per lasciar posto ad un horror nel quale sembrano contare più gli effetti visivi che la storia in se.

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Il film è confuso, anche se conserva un certo fascino legato all’ambientazione e alla ricerca ossessiva di Jill del vero perchè delle misteriose morti che funestano il paese nel quale i fatti si svolgono.
L’ambientazione è quasi gotica, con l’ormai tradizionale villa immersa in un’inquietante panorama fatto di cieli grigi in netto contrasto con il verde intenso della natura inglese.Ancora più netto appare lo stagliarsi della natura stessa in opposizione con il buio tetro e sinistro nel quale si muove il professor Miles, con sullo sfondo l’inafferrabile figura del gatto, sempre li a squadrare con i suoi occhi verdi le varie situazioni che si susseguono.
E’ questa la cosa migliore del film, che per il resto ha un andamento altalenante, che non riesce a creare suspence come in altri lavori del maestro.
Troppo discontinuo il ritmo, poco affascinante la storia; Fulci, reduce dall’horror Paura nella città dei morti viventi e dal genere crimi a cui appartiene Luca il contrabbandiere girati nel 1980 appare incerto sulla rotta da seguire,barcamenandosi così sulla rotta da seguire indeciso se fare un horror puro o un film a sfondo parapsicologico.
L’ibrido che ne esce non è carne ne pesce, anche se non va stroncato tout court.

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Per fortuna il cast utilizzato è di ottimo livello e sopperisce alle mancanze della storia con la professionalità; brava e bella Mimsy Farmer, ormai presenza fissa dei prodotti thriller ed horror di quel periodo così come discreta e misurata è la presenza di David Warbeck nel ruolo dell’ispettore Gorley; sacrificato Al Clver in una parte secondaria, quella del sergente Wilson, molto bene Patrick Magee, dallo sguardo spiritato, allucinato e quindi un po folle del professor Robert Miles.
Completano il cast principale Daniela Doria e Dagmar Lassander, rispettivamente nei ruoli di Maureen e Lillian Grayson, le due donne che moriranno brutalmente vittime della follia di Miles.
Discreta la fotografia e l’ambientazione, per un’opera che può essere guardata se appassionati di horror.
Black cat-Gatto nero è un film passato diverse volte in tv ed è anche disponibile su You tube in versione completa ed in italiano (una volta tanto) all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=4qj8tzfRzPI

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Black Cat (Gatto nero)

Un film di Lucio Fulci. Con David Warbeck, Mimsy Farmer, Dagmar Lassander, Daniela Doria,Patrick Magee, Bruno Corazzari Titolo originale Il gatto nero. Horror, durata 98′ min. – Italia 1981.

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Patrick Magee: Robert Miles
Mimsy Farmer: Jill Travers
David Warbeck: ispettore Gorley
Al Cliver: sergente Wilson
Dagmar Lassander: Lillian Grayson
Bruno Corazzari: Ferguson
Geoffrey Copleston: ispettore Flynn
Daniela Doria: Maureen Grayson

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Sergio Fiorentini: Robert Miles
Vittoria Febbi: Jill Travers
Luigi La Monica: ispettore Gorley
Manlio De Angelis: sergente Wilson
Germana Dominici: Lillian Grayson
Arturo Dominici: ispettore Flynn
Isabella Pasanisi: Maureen Grayson

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Regia Lucio Fulci
Soggetto Biagio Proietti, dal racconto Il gatto nero di Edgar Allan Poe
Sceneggiatura Biagio Proietti, Lucio Fulci
Produttore Giulio Sbarigia
Casa di produzione Selenia Cinematografica
Fotografia Sergio Salvati
Montaggio Vincenzo Tomassi
Effetti speciali Paolo Ricci
Musiche Pino Donaggio
Scenografia Francesco Calabrese
Costumi Massimo Lentini
Trucco Franco Di Girolamo, Rosario Prestopino (assistente)

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L’opinione del sito http://www.filmhorror.com

Tra i non numerosissimi estimatori di IL GATTO NERO c’è chi si chiede ancora perché questo film non abbia mai riscosso i favori della critica e del grande pubblico. Eppure c’è quasi tutto: una buona storia, la tensione, l’atmosfera e persino una discreta prova degli attori.
C’è poco splatter è vero, ma che importa? IL GATTO NERO è, insieme a Le Porte Del Silenzio, l’horror più onirico che Fulci abbia mai diretto, e si sa le storie oniriche non vanno certo incontro ai gusti di tutti.
In una cittadina inglese, il bizzarro professor Miles cerca di stabilire un contatto con i morti provando a registrarne le voci con un microfono adagiato sulle lapidi. Nel frattempo, in paese, strani e inspiegabili decessi funestano la tranquilla vita degli abitanti, tanto che si è costretti a chiamare un ispettore di Scotland Yard per cercare di dipanare la matassa.
E’ il 1980 quando Fulci decide di girare questo omaggio ad Edgar Allan Poe rispolverando tra l’altro un precedente tributo, sempre dedicato allo scrittore di Boston, che il Nostro aveva inserito in Sette Note In Nero. Anche questa volta in effetti, con il racconto di Poe, la storia di Fulci sceneggiata da Biagio Proietti non ha poi così tanto a che vedere (nessun accenno alla cecità del gatto o all’omicidio della moglie. tanto per capirsi) ma l’atmosfera che si respira è ossessiva al punto giusto.
E’ interessante tra l’altro notare come tutto il film si sviluppi all’interno di una dimensione quasi eterea, dove i gatti assumono le sembianze di malvagi psicopompi, in grado di aprire le porte, appiccare incendi e soprattutto uccidere.

L’opinione di Joker1926 dal sito http://www.filmscoop.it
Il tema che attanaglia la filmografia dell’italiano Fulci ricade nel concetto di discontinuità.
E forse in Italia, fra i registi che hanno trattato il genere thriller ed Horror, Lucio Fulci si candida, seriamente, ad essere il più altalenante di sempre. Spulciando nella lista delle sue produzioni emergono film di grande qualità ed altri, bensì, di bassissimo profilo.
E ancora una volta, ahimè, ci tocca fare questa dolorosa iniziazione di concetto per dire che “Il gatto nero” o “Black cat”, fate voi, è una sciagura totale.
Partorito nel 1981 il film di Fulci prende spunti dal famoso romanzo in cui, logicamente, è un gatto a innescare la morte nei personaggi in scena.
Il soggetto di Fulci, preso da Edgar Allan Poe, a dire il vero, in chiave prettamente cinematografica, un po’ già stona. Insomma è improbabile portare, attraverso le immagini di una macchina da presa, le “gesta” fatali di un povero gatto ignaro della sua “maledizione”.
Quindi già l’effetto visivo, la finalizzazione degli omicidi, appare abbastanza grottesca e forzata.
Ne risente, a questo punto, tutta la narrazione che barcolla in modo irrimediabile dall’inizio alla fine. Il tutto è scoordinato e sgangherato. La sceneggiatura è disimpegnata e i personaggi si intersecano entro essa sono privi di carisma ed empatia. Le poche incursioni, specie nel finale, nell’introspezione psicologica di determinati personaggi risulta essere un’altra (fatale) bordata di superficialità.
Anche la confezione tecnica è un’altra caduta nel vuoto. Il ritmo è straziante ad esempio. La fotografia è di serie B, gli attori, invece, recitano in modo non ottimale, però, dopotutto, è quell’immondo copione a penalizzare il cast. Qui, con “Il gatto nero”, non convince proprio niente, nessuna sequenza si salva.
Prodotto da scartare che certifica, per l’ennesima volta, la lunaticità di Fulci.

L’opinione del sito http://www.alexvisani.com
Uno dei film più sottovalutati del maestro romano. La storia narra di un professore paranoico dedito all’ascolto delle voci dei morti (che crede di catturare con un particolare registratore) e che viene tormentato da un tenebroso gatto nero. Il finale del film ricalca quello del racconto da cui è liberamente (moolto liberamente) tratto ovvero: “Il gatto nero” di Edgar Allan Poe. Ambientato in Inghilterra e con la carismatica partecipazione del grande Patrick Magee, “Black Cat” è un film che appartiene comunque al periodo d’oro di Fulci nonostante non sia al livello di “Zombi 2″,”Paura nella città dei morti viventi”, “L’Aldilà” o “Quella villa accanto al cimitero”. C’è un’inquietante atmosfera in quest’opera ed alcune inquadrature sono davvero molto belle. Il talento visionario di Lucio si fa vedere a tratti anche se i cali di tono ed inspirazione sono evidenti. Brava anche Mimsy Farmer coadiuvata dal sempre fascinoso David Warbeck. Ci sono anche un paio di delitti che fanno il loro effetto, specialmente quello in cui un disgraziato precipita da un cantiere in costruzione e finisce con l’infilzarsi su delle sbarre di ferro che fuoriescono da una colonna di cemento armato..

L’opinione del sito http://www.horrormovie.it

“The Black Cat”, non è certamente fedele al famoso racconto di Edgar Allan Poe. Fulci, nella sceneggiatura scritta assieme a Biagio Proietti, modifica totalmente l′assunto di partenza del racconto di Poe, realizzando un soggetto molto differente dalla novella originale.
Le atmosfere che si respirano, grazie anche alla bella fotografia di Sergio Salvati (operatore che, in questo periodo, costantemente segue il regista), sono cupe e la tensione viene mantenuta per l′intera durata del film. Tensione che, va detto, non è troppo incisiva ed è molto lontana da quella delle altre pellicole realizzate nel medesimo periodo .
Le musiche, a cura di Pino Donaggio, donano la giusta atmosfera ed aiutano lo spettatore a seguire piacevolmente il film che ha un ritmo, tutto sommato, piuttosto lento.
Non è sicuramente la miglior produzione di Fulci, in quanto alcuni dialoghi appaiono poco curati, alcune scene a volte sono inutili, e complessivamente alcuni momenti del film smorzano le potenzialità della sceneggiatura.
Di questo film è azzeccata la presenza del gatto (come istigatore dell′ assassino), all′apparenza dolce, ma causa di omicidi spietati e angosciosi, tutti accompagnati dal suo elegante passo felpato.
La visione è consigliata a chi ama il giallo anni ′80, abbastanza violento, ma che non tocca vertici estremi di splatter.

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Il gatto nero


Mi sposai giovane, e fui felice di trovare in mia moglie una indole congeniale
alla mia. Osservando la mia predilezione per gli animali domestici, non perdeva
occasione di procurarmi quelli delle specie più piacevoli. Avevamo uccelli, pesci
dorati, un bellissimo cane, conigli, una scimmietta e un gatto.
Quest’ultimo era un animale eccezionalmente forte e bello, tutto nero, e
straordinariamente sagace. Quando parlava della sua intelligenza, mia moglie, che
in cuor suo era non poco imbevuta di superstizione, alludeva spesso all’antica
credenza popolare che considerava tutti i gatti neri streghe travestite. Non che ne
parlasse seriamente: se accenno alla cosa, è solo perché proprio ora mi è capitato di
rammentarmene.
Pluto ‐ era questo il nome del gatto ‐ era il mio beniamino, il mio compagno di
giochi. Io solo gli davo da mangiare, e in casa lui mi seguiva dovunque andassi, Anzi,
a fatica riuscivo a impedirgli di accompagnarmi per la strada.
La nostra amicizia durò a questo modo per parecchi anni, durante i quali il
mio temperamento, il mio carattere (arrossisco a confessarlo) avevano subìto, ad
opera del demone dell’Intemperanza, un radicale peggioramento. Giorno dopo
giorno divenni più lunatico, più irritabile, più indifferente ai sentimenti altrui. Mi
lasciai andare al punto di usare con mia moglie un linguaggio brutale. Alla fine,
arrivai anche a picchiarla. I miei animali, naturalmente, risentirono di questo
mutamento d’umore. Non solo li trascurai, ma li maltrattai. Per Pluto, tuttavia,
conservavo ancora quel tanto di riguardo che bastava a impedirmi di malmenarlo
come, senza scrupolo alcuno, malmenavo i conigli, la scimmia o anche il cane,
quando per caso o per affetto mi venivano tra i piedi. Ma la mia malattia mi
divorava sempre più (e quale malattia è paragonabile all’alcool?), e alla fine anche
Pluto, che si faceva vecchio e di conseguenza un po’ fastidioso anche Pluto cominciò
a provare gli effetti del mio malumore.
Una notte, tornando a casa, ubriaco fradicio, da uno dei ritrovi che
frequentavo in città, ebbi l’impressione che il gatto evitasse la mia presenza. Lo
afferrai; e allora, impaurito dalla mia violenza, coi denti mi ferì lievemente alla
mano. Subito la furia di un demone si impadronì di me. Non mi conoscevo più.
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Sembrava che di colpo la mia anima originaria fosse fuggita via dal mio corpo; e
una malignità più che diabolica, alimentata dal gin, eccitava ogni fibra del mio
essere. Trassi dal taschino del panciotto un temperino, lo aprii, afferrai la povera
bestia per la gola, e deliberatamente con la lama le cavai un occhio dall’orbita!
Arrossisco, brucio, rabbrividisco nello scrivere di quest’infame atrocità.
Quando, al mattino, ritornò la ragione ‐svaporati nel sonno i fumi dell’orgia
notturna ‐ provai un sentimento in parte d’orrore, in parte di rimorso per il delitto
di cui m’ero reso colpevole; ma era tutt’al più un sentimento debole ed equivoco, e
l’anima non ne fu toccata. Di nuovo mi diedi agli stravizi, e ben presto affogai nel
vino ogni ricordo del mio atto.
Nel frattempo, il gatto lentamente guarì. L’orbita dell’occhio perduto era, è
vero, spaventosa a vedersi, ma pareva che non ne soffrisse più. Girava per la casa
come al solito ma, come ben mi potevo aspettare, fuggiva in preda al terrore
ogniqualvolta mi avvicinavo. Tanto m’era rimasto ancora del mio vecchio cuore,
che dapprincipio mi afflisse quell’evidente ripugnanza da parte di una creatura che
una volta mi aveva tanto amato. Ma a questo sentimento subentrò ben presto
l’irritazione. E poi, a mia definitiva e irrevocabile rovina, sopraggiunse lo spirito
della PERVERSITÀ. Di tale spirito la filosofia non tiene conto. E tuttavia, così come
sono certo che la mia anima vive, sono certo che la perversità è uno degli impulsi
primitivi del cuore umano, una delle indivisibili facoltà primarie, o sentimenti, che
danno un indirizzo al carattere dell’Uomo. Chi non si è sorpreso cento volte
nell’atto di commettere un’azione spregevole o stolta per la sola ragione che sapeva
di non doverla commettere? Non abbiamo forse, a dispetto del nostro miglior
consiglio, una perpetua inclinazione a violare ciò che è Legge, solo perché la
riconosciamo come tale? A mia definitiva rovina, ripeto, sopraggiunse questo
spirito di perversità. Fu questa insondabile brama dell’anima di tormentare se
stessa, di far violenza alla propria natura, di fare il male per puro amore del male,
che mi spinse a continuare e infine a consumare l’offesa che avevo inflitto
all’inoffensiva bestiola. Una mattina, a sangue freddo, le infilai un cappio al collo e
la appesi al ramo d’un albero; l’impiccai con gli occhi colmi di lacrime e col più
amaro rimorso nel cuore; l’impiccai perché sapevo che mi aveva amato, e perché
sentivo che non mi aveva dato ragione alcuna per farle del male; l’impiccai perché
sapevo che così facendo commettevo un peccato, un peccato mortale che avrebbe
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compromesso la mia anima immortale al punto da porla ‐ se ciò fosse possibile ‐ al
di là della misericordia senza fine di un Dio infinitamente pietoso e terribile.
La notte che seguì il giorno in cui fu commesso quell’atto crudele, mi destò
dal sonno il grido «Al fuoco!». Le cortine del mio letto erano in fiamme. Tutta la
casa ardeva. Con grande difficoltà sfuggimmo all’incendio: mia moglie, un
domestico, e io. La distruzione fu completa. Tutte le mie ricchezze terrene vennero
divorate dal fuoco, e da allora mi abbandonai alla disperazione.
Non cerco di stabilire un rapporto di causa ed effetto tra il sinistro e l’atrocità:
sono superiore a queste debolezze. Ma ora sto descrivendo una catena di eventi, e
non voglio che nessun anello risulti imperfetto. All’indomani dell’incendio,
ispezionai le rovine. Con una sola eccezione, i muri erano crollati. L’eccezione
riguardava un muro divisorio, non molto spesso, che stava, più o meno, nel mezzo
della casa, e contro il quale prima poggiava la testata del mio letto. Qui l’intonaco
aveva resistito in gran parte all’azione del fuoco, giacché ‐ a questo attribuii il fatto
‐ era stato steso di recente. Intorno a questo muro si era raccolta una fitta folla, e
molte persone sembravano esaminare una certa parte con minuziosa e viva
attenzione. Le parole «strano!» «singolare!» e altre espressioni analoghe destarono
la mia curiosità. Mi avvicinai e vidi, come scolpita a bassorilievo sulla superficie
bianca, la figura di un gigantesco gatto. L’immagine era resa con stupefacente
esattezza. Intorno al collo dell’animale, c’era una corda.
Dapprima, al vedere questa apparizione ‐ poiché non potevo considerarla che
tale ‐ estremo fu il mio stupore, e il mio terrore. Ma infine mi soccorse la riflessione.
Il gatto, ricordavo, era stato impiccato in un giardino adiacente alla casa.
All’allarme dell’incendio, il giardino era stato subito invaso dalla folla, e qualcuno
doveva aver staccato l’animale dall’albero per gettarlo, attraverso una finestra
aperta, in camera mia. Ciò, probabilmente, allo scopo di destarmi dal sonno. Il
crollo degli altri muri aveva compresso la vittima della mia crudeltà dentro la
sostanza dell’intonaco fresco; poi la calce e l’azione combinata delle fiamme e
dell’ammoniaca della carogna avevano creato l’immagine così come ora la vedevo.
Sebbene in tal modo tranquillizzassi prontamente la mia ragione, se non
proprio la mia coscienza, a proposito del fatto strabiliante testé descritto, esso non
mancò di fare un’impressione profonda sulla mia fantasia. Per mesi e mesi non
potei liberarmi dal fantasma del gatto; e in questo periodo si insinuò nuovamente
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nel mio spirito un vago sentimento che sembrava, ma non era, rimorso. Giunsi a
rimpiangere la perdita dell’animale e a guardarmi intorno, nelle miserabili bettole
che ora abitualmente frequentavo, in cerca di un altro gatto della medesima razza
da tenere al posto dell’altro.
Una notte, mentre sedevo semistordito in un covo peggio che infame, la mia
attenzione fu improvvisamente attratta da qualcosa di nero che stava in cima a una
delle gigantesche botti di gin, o rum che fosse, che costituivano il principale
arredamento del locale. Da qualche minuto fissavo il coperchio della botte, e ciò che
ora mi sorprese fu di non aver notato prima quel qualcosa che vi stava sopra. Mi
avvicinai e lo sfiorai con la mano. Era un gatto nero, un bel gatto grosso: grosso
quasi come Pluto, e a lui somigliantissimo, tranne per un particolare. Su tutto il
corpo, Pluto non aveva un solo pelo bianco; questo gatto, invece, aveva una larga,
sebbene indefinita, chiazza bianca che gli copriva il petto quasi per intero.
Non appena lo toccai, si alzò, prese a farmi le fusa, mi si strofinò contro la
mano, e parve tutto contento della mia attenzione. Era proprio questa, dunque, la
creatura che andavo cercando. Subito proposi al padrone del locale di acquistarlo;
ma costui non ne rivendicò la proprietà non ne sapeva nulla ‐ non l’aveva mai visto
prima di allora.
Continuavo ad accarezzarlo, e quando mi accinsi a rincasare, l’animale si
mostrò desideroso di accompagnarmi. Acconsentii, e per la strada di tanto in tanto
mi chinavo a fargli una carezza. Una volta a casa, si ambientò immediatamente, e
subito divenne il beniamino di mia moglie.
Per parte mia, ben presto sentii nascere dentro di me una viva antipatia nei
suoi confronti. Era proprio il contrario di quel che avevo previsto; ma ‐ non so
come e perché avvenisse ‐ il suo evidente affetto per me non faceva che
disturbarmi e irritarmi. A poco a poco questi sentimenti, disgusto e fastidio,
crebbero fino a mutarsi nell’asprezza e nell’odio. Evitavo quell’animale; tuttavia un
certo senso di vergogna e il ricordo del mio precedente atto di crudeltà mi
impedivano di fargli del male. Per qualche settimana, non lo colpii né gli arrecai in
altro modo violenza; ma gradualmente, insensibilmente, presi a guardarlo con
inesprimibile ribrezzo e a rifuggirne in silenzio l’odiosa presenza, come un fiato di
peste.
Ciò che senza dubbio contribuì ad accrescere la mia avversione per l’animale
fu la scoperta, la mattina dopo che l’ebbi portato a casa, che, come a Pluto, anche a
lui era stato cavato un occhio. Tale circostanza, tuttavia, non fece che renderlo più
caro a mia moglie, la quale, come ho già detto, possedeva in alto grado quell’
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umanità di sentimenti che era stata un tempo il mio tratto caratteristico e la fonte
dei miei piaceri più semplici e puri.
Ma come cresceva la mia avversione per questo gatto, sembrava aumentare
la sua predilezione per me. Seguiva i miei passi con un’insistenza che mi sarebbe
difficile far comprendere al lettore. Ogniqualvolta mi sedevo, si accoccolava sotto
alla mia seggiola o mi saltava sulle ginocchia, coprendomi delle sue repulsive
carezze. Se mi alzavo per camminare, mi si metteva tra i piedi, e quasi mi faceva
cadere; oppure, afferrandosi ai miei vestiti con le unghie lunghe e aguzze, mi si
arrampicava in questo modo fino al petto. In questi momenti, sebbene avessi voglia
di finirlo con un sol colpo, mi trattenevo dal farlo, in parte per il ricordo di quel mio
primo delitto, ma soprattutto ‐ voglio confessarlo, subito ‐ per il mio assoluto
terrore della bestia.
Non era proprio terrore del male fisico: e tuttavia non saprei come definirlo
altrimenti. Quasi mi vergogno di ammettere ‐ sì, anche in questa cella di criminale ‐
che il terrore e l’orrore suscitati in me dall’animale erano stati esasperati da una
delle più assurde chimere che sia dato immaginare. Più di una volta mia moglie
aveva richiamato la mia attenzione sull’aspetto della chiazza di peli bianchi di cui
ho parlato, e che costituiva l’unica differenza visibile tra la strana bestia e l’altra
che avevo ucciso. Il lettore ricorderà che questa chiazza, sebbene larga, era
all’inizio del tutto indefinita. Ma lentamente, così lentamente che per lungo tempo
la mia ragione lottò contro quella che sembrava pura fantasia, aveva finito per
assumere una rigorosa nitidezza di contorni. Era adesso l’immagine di un oggetto
che rabbrividisco a nominare ‐ e per questo soprattutto provavo ripugnanza e
terrore, e avrei voluto sbarazzarmi di quel mostro se avessi osato era
adesso, dico,
l’immagine di una cosa orrida, di una cosa sinistra: la FORCA! Oh, luttuosa e
terribile macchina dell’orrore e del delitto, dell’agonia e della morte!
E adesso ero davvero disperato, al di là d’ogni possibile disperazione umana.
E che un animale, un bruto, il cui simile avevo disprezzato e ucciso ‐ che un animale,
un bruto, infliggesse a me ‐ a me, uomo fatto a immagine di Dio, così grande e
intollerabile miseria! Ahimè! né di giorno né di notte conobbi più la benedizione del
riposo! Durante il giorno, l’animale non mi lasciava solo un istante; e durante la
notte mi destavo di soprassalto, ogni ora, da sogni di indicibile paura, per trovare
sulla mia faccia il fiato caldo della cosa e il suo peso immane ‐ incubo incarnato che
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non avevo la forza di scuotermi di dosso, e sempre, sempre gravava sul mio cuore!
Sotto l’oppressione continua di tormenti come questi, l’esiguo residuo di
bene che era in me finì col soccombere. Pensieri malvagi ‐ i pensieri più tenebrosi e
malvagi ‐ divennero i miei soli, assidui compagni. Il mio abituale umor tetro si
accentuò fino a mutarsi in odio di tutto e di tutta l’umanità; mentre dei subiti,
frequenti e incontrollabili accessi di una furia alla quale ora ciecamente mi
abbandonavo, mia moglie, che mai si lamentava, era, ahimè, la vittima più consueta
e paziente.
Un giorno mi accompagnò, per qualche faccenda domestica, nella cantina del
vecchio edificio che la povertà ci costringeva ad abitare. Il gatto mi seguì per i ripidi
gradini e, avendomi quasi fatto cadere a testa ingiù, mi esasperò alla follia.
Brandendo un’ascia, e dimenticando nella mia furia il puerile timore che fino a quel
momento aveva frenato la mia mano, vibrai all’animale un colpo che, se fosse calato
come volevo, gli sarebbe certo riuscito fatale. Ma il colpo fu arrestato dalla mano di
mia moglie. Questo suo intervento scatenò in me una rabbia più che demoniaca:
liberai il braccio dalla sua presa e le affondai l’ascia nel cervello. Cadde morta
all’istante, senza un gemito.
Compiuto questo orrendo assassinio, subito, e in piena lucidità, mi disposi a
occultare il cadavere. Sapevo di non poterlo trasportare fuori della casa, né di
giorno né di notte, senza correre il rischio di essere osservato dai vicini. Presi in
considerazione molti piani. A un certo punto, pensai di tagliare il cadavere in
minuti frammenti e di distruggerli col fuoco. Poi decisi di scavargli una fossa nel
pavimento della cantina. Poi, ancora, esaminai la possibilità di imballarlo in una
cassa come fosse una merce qualsiasi, con le solite formalità, e di farlo portar via da
un facchino. Infine, trovai un espediente che mi parve migliore di questi. Decisi di
murarlo nella cantina, come si tramanda che nel medioevo i monaci murassero le
loro vittime.
A tale scopo la cantina era quanto mai adatta. I muri erano poco compatti, e
di recente erano stati ricoperti per intero di un ruvido intonaco che a causa
dell’umidità dell’atmosfera non aveva potuto indurirsi. Inoltre, in uno dei muri
c’era una sporgenza, dovuta a un falso camino o focolare, che era stata riempita
così da non presentare differenze rispetto al resto della cantina. Non avevo dubbi
di potere agevolmente rimuovere i mattoni in quel punto per poi introdurvi il
cadavere e murare tutto come prima così che nessun occhio scoprisse alcunché di
sospetto.
E in questo mio calcolo non mi sbagliai. Con una grossa leva di ferro spostai i
mattoni con tutta facilità e, collocato con cura il corpo contro la parete interna, lo
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puntellai in quella posizione; poi, con poca fatica, rifeci l’ammattonato così come
era prima. Mi procurai calcina, sabbia e setole e, usando ogni possibile precauzione,
preparai un intonaco che non era possibile distinguere dal vecchio e lo stesi
accuratamente sul muro nuovo. Quando ebbi finito, constatai soddisfatto che tutto
era a posto. Non v’era segno nel muro che esso fosse stato manomesso. Con la
massima cura rimossi da terra i calcinacci. Mi guardai attorno trionfante, e mi dissi:
«Qui, almeno, non ho lavorato invano».
Il passo successivo fu di cercare la bestia che era stata la causa di tanta
sciagura: poiché infine ero fermamente deciso a metterla a morte. Se mi fosse
riuscito di trovarla allora, sul suo destino non avrebbero potuto esservi dubbi; ma,
a quel che pareva, lo scaltro animale, allarmato dalla violenza della mia collera
recente, si guardava bene dal mostrarmisinell’umore in cui mi trovavo. È
impossibile descrivere, o immaginare, la profonda, beata sensazione di sollievo che
l’assenza dell’aborrito animale fece nascere in me. Non comparve durante la notte,
e così, per una notte almeno da che m’era entrato in casa, dormii d’un sonno
profondo e tranquillo; sì, dormii, pur col peso dell’assassinio sull’anima!
Passò il secondo giorno, il terzo, e ancora il mio tormentatore non si vedeva.
Di nuovo respirai come un uomo libero. Il mostro, atterrito, era fuggito per sempre
dalla mia casa! Non l’avrei veduto mai più! Ero al colmo della felicità! Ben poco mi
turbava la colpa della mia azione delittuosa. V’erano state indagini, ma le mie
pronte risposte le avevano sviate. Si era proceduto anche a una perquisizione, ma
non si era scoperto nulla, naturalmente. Guardavo alla mia felicità futura come a
una certezza assoluta.
Il quarto giorno dopo l’assassinio, del tutto inaspettatamente, si
presentarono in casa mia alcuni agenti di polizia e procedettero a un nuovo,
minuzioso esame dell’edificio. Ma, sicuro com’ero dell’irreperibilità del mio
nascondiglio, non provai il minimo imbarazzo. Gli agenti mi ordinarono di
accompagnarli nella perquisizione. Non lasciarono inesplorato nessun angolo,
nessun recesso. Alla fine, per la terza o quarta volta, scesero in cantina. Non mi
tremava un muscolo. Il cuore mi batteva calmo come quello di chi dorma un sonno
innocente. Percorsi la cantina da un capo all’altro. Camminai avanti e indietro con
fare disinvolto, le braccia conserte. Quelli della polizia erano pienamente
soddisfatti e si disponevano ad andarsene. L’esultanza del mio cuore era troppo
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forte perché potessi frenarla. Smaniavo dalla voglia di dire una parola, una sola, in
segno di trionfo, e rendere doppiamente certa la loro certezza della mia innocenza.
«Signori», dissi alla fine, mentre il gruppo risaliva le scale, «sono lieto di aver
placato i vostri sospetti. Auguro a tutti voi buona salute, e un po’ più di cortesia. Tra
parentesi, signori miei, questa è una casa molto ben costruita» (nella smania di
parlare con disinvoltura, quasi non sapevo quel che mi usciva di bocca), «potrei
anzi dire costruita in modo eccellente. Questi muri ‐ ve ne andate, signori? ‐ questi
muri sono solidamente fabbricati»; e qui, da nient’altro spinto che dal desiderio
frenetico di fare una bravata, picchiai forte con un bastone che tenevo in mano
proprio su quella parte dell’ammattonato dietro al quale stava il cadavere della mia
diletta sposa.
Ma possa Dio proteggermi e salvarmi dalle zanne del Grande Nemico! Non
appena l’eco dei miei colpi si smorzò nel silenzio, mi rispose una voce dall’interno
della tomba! Un lamento, dapprima soffocato e rotto come un singhiozzo di un
bimbo, e che in breve salì di tono, divenne un grido lungo, altissimo, ininterrotto,
assolutamente innaturale, disumano: un ululato, uno strido lamentoso, metà
d’orrore e metà di trionfo, quale avrebbe potuto levarsi solo dall’inferno, dalle gole
dei dannati nelle loro torture, e insieme dalle gole dei demoni che esultano nella
dannazione.
Dei miei pensieri è follia parlare. Mi sentii mancare, barcollai verso il muro opposto.
Per un istante, gli uomini sulle scale restarono immobili: attoniti, atterriti. Un
istante dopo, una dozzina di solide braccia lavoravano al muro. Cadde di schianto. Il
cadavere, già putrefatto in gran parte e imbrattato di grumi di sangue, apparve,
ritto in piedi, agli occhi degli spettatori. Sulla sua testa, la bocca rossa spalancata e
l’unico occhio di fiamma, stava appollaiata la bestia orrenda, le cui arti mi avevano
sedotto all’assassinio, e la cui voce accusatrice mi consegnava al boia. Avevo
murato il mostro dentro la tomba!
Da: Edgar Allan Poe, I racconti del terrore

Black cat-Gatto nero locandina 4

Black cat-Gatto nero locandina 3

Black cat-Gatto nero locandina 2

Black cat-Gatto nero flano

ottobre 13, 2013 Pubblicato da: | Horror | , , , | Lascia un commento

Le vergini cavalcano la morte

Le vergini cavalcano la morte locandina 4

Una macabra cerimonia si sta svolgendo in un paesino situato in un posto imprecisato tra l’Austria e l’Ungheria:la luce delle torce illumina un gruppo di abitanti di un villaggio che riesumano la salma di un avvocato sospettato di essere un vampiro.
Con il tradizionale paletto di frassino,viene perforato il petto del cadavere, sotto gli sguardi carichi di disprezzo dell’aristocratico del luogo,il Conte Karl Ziemmer; l’uomo è convinto che si tratti solo di superstizioni locali.
Karl Ziemmer passa il suo tempo cacciando con i suoi falconi, trascurando così la bella ed annoiata moglie Erzebeth Bathory.
La Bathory è ossessionata dal tempo che passa;vede la sua pelle sfiorire e comparire sul volto gli inevitabili segni dell’età.
Un incidente fortuito, alcune gocce di sangue che le cadono su una mano, le fanno scoprire che il sangue stesso ha potere ringiovanente.

 

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Così, con l’aiuto di Nodriza, la sua perfida governante, decide di procurarsi giovani ragazze alle quali togliere sangue per continuare a ringiovanire; una pozione preparata da Nodriza permette alla contessa di soggiogare il marito,che diventa così un predatore in cerca di vittime.
Ma quando nel villaggio iniziano a sparire troppe ragazze, gli abitanti iniziano a nutrire sospetti proprio sul Conte e sulla Contessa…
Jorge Grau,regista di Le vergini cavalcano la morte, astruso titolo con il quale venne distribuito il film in Italia, in luogo del Ceremonia sangriente originale, riprende la storia vera della contessa Elizabeth Bathory ,mostrando in maniera edulcorata la verità storica, di ben altra portata rispetto a quanto mostrato nel film.

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La Bathory, le cui gesta sono collocabili storicamente tra il 1580 e il 1614 (anno della sua morte) fu responsabile della morte di centinaia di ragazze quasi tutte giovanissime; un numero mai quantificato realmente ma che potrebbe aggirarsi tra le 400-500 vittime della follia di una donna convinta del potere rigenerativo del sangue.
Grau sostituisce il nano perverso Ficzkò, vera anima dannata della Contessa con Nodriza, la governante che crea il filtro che soggioga il Conte; così la storia drammatica della folle Contessa si trasforma nel racconto di una donna ossessionata dalla bellezza, che non uccide personalmente le ragazze sventurate che forniranno il sangue per i suoi esperimenti, cosa che nella realtà storica era ben diversa.

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Senza addentrarmi nello specifico, vi invito a leggere l’articolo sul mio blog storico a questo indirizzo http://paultemplar.wordpress.com/2008/03/27/elizabeth-bathoryuna-storia-orrenda/.
Grau, dicevo, confeziona un horror classico in stile Hammer;accurata la location, la fotografia e il montaggio.
Lo stampo del film è quindi quello dell’horror classico, con scene non particolarmente cruente e con una spruzzatina di erotismo a condire il tutto.
Decisamente affascinante la scena in cui Lucia Bosè, che interpreta molto bene la Contessa sanguinaria si bagna con il sangue in una tinozza, scena ripresa pari pari da Borowczyk nel suo I racconti immorali nel quale Paloma Picasso (che interpreta la Bathory) si ricopre del sangue delle sue vittime.

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Il cast del film è di ottimo livello:alla Bosè vanno aggiunti Silvano Tranquilli curiosa la sua partecipazione ad un horror), la bella Eva Aulin, che sta in scena il tempo giusto per essere ammazzata dal Conte,Espartaco Santoni che tratteggia molto bene la figura del Conte Ziemmer.
Il ritmo del film non è eccelso, ma alla fine il prodotto regge grazie alla qualità della confezione.
Non mi risultano passaggi frequenti del film in tv, che risulta anche abbastanza raro nella rete; c’è una versione in streaming disponibile su un noto sito (basta cercare con Google) ma la qualità è davvero scadente.

Le vergini cavalcano la morte
Un film di Jorge Grau. Con Espartaco Santoni, Silvano Tranquilli, Lucia Bosè, Ewa Aulin, Lola Gaos Horror, durata 92 min. – Spagna 1973.

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Le vergini cavalcano la morte banner interpreti

Lucia Bosé … Erzebeth Bathory
Espartaco Santoni … Karl Ziemmer
Ewa Aulin … Marina
Ana Farra … Nodriza
Silvano Tranquilli … Medico
Lola Gaos … Carmilla
Enrique Vivó … Sindaco
María Vico … Maria Plojovitz
Ángel Menéndez … Magistrato
Adolfo Thous … Juez
Ismael García Romen … Capitano
Raquel Ortuño … Irina
Loreta Tovar … Sandra
Franca Grey … Nadja
Ghika … Inge

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Regia: Jorge Grau
Sceneggiatura:Jorge Grau,Juan Tébar,Sandro Continenza
Produzione:José María González Sinde
Musiche:Carlo Savina
Montaggio:Pedro del Rey
Fotografia:Fernando Arribas,Oberdan Troiani

 

La recensione del sito http://www.splattercontainer.com
(…)Bizzarra opera in costume a metà tra il gotico ed il sexy-horror, Le Vergini cavalcano la Morte è un film che mostra tutte le potenzialità del suo regista, l’ex giornalista Jorge Grau, che nel 1974 diresse il seminale horror ecologista Non si deve profanare il Sonno dei Morti. Dopo questi due film dell’orrore Grau abbandona il genere per dedicarsi principalmente a quello drammatico con scarsi risultati. Un vero peccato per tutti gli amanti della paura su pellicola.
Il lungometraggio in oggetto, di produzione italo-spagnola, pur non basandosi su un tema particolarmente originale (l’hammeriano “Countess Dracula” del 1971 diretto da Peter Sasdy affronta quasi la stessa storia) ha diversi punti d’interesse. La storia ambientata nel 1807 (editata dallo stesso Grau, John Tébar e da Sandro Continenza) mostra con modalità assolutamente realistiche e precise le credenze popolari che all’epoca atterrivano le popolazioni di alcune zone del vecchio continente. A riguardo è davvero molto interessante la maniera in cui ci viene esposto il processo contro i vampiri o presunti tali. Rappresentando questa particolare situazione senza relegare la telecamera all’interno del solito lugubre castello, anche se le rare scene raccapriccianti si svolgono proprio nel castello, dove il marchese spia la moglie da un foro praticato sul solaio. Mostrando così l’anima gotica della pellicola.(…)

L’opinione di Undying dal sito http://www.davinotti.com
Non è che fosse così originale l’idea della contessa sanguinaria in vena di cogliere sangue di giovani fanciulle ònde fermare l’inesorabile effetto prodotto – tempus fugit – sul suo piacevole corpo (è quello della splendida Lucia Bosè, madre di Miguel Bosè) dal sopravanzare degli anni. A parte l’ispirazione, drammaticamente attestata dagli annali di storia, profusa dalla squallida personalità di Elizabeth Báthory, già Peter Sasdy ebbe da dire (assai meglio) la sua (La Morte va a Braccetto con le Vergini è del 1971). Ciò nonostante, il buon cast e la bella messa in scena rendono dignità al film.

L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com
Le turpi vicende della contessa Bàthory e le sue abluzioni nel sangue di giovani vittime si incrociano con quelle della Spagna dell’Inquisizione e delle credenze popolari nel vampirismo. Benché di tanto in tanto facciano capolino scenografie e velluti cormaniani e la ricostruzione del villaggio sperduto e retrogrado risulti assai credibile, nel complesso regna la svogliatezza e la carenza di originalità. Ci sono ruoli per Tranquilli, medico illuminista, e per la polselliana Gray, verginale fanciulla che, manco a dirlo, finisce tutta nuda.

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ottobre 4, 2013 Pubblicato da: | Horror | , , , , | Lascia un commento