Eva nera
Due storie parallele.
Sono quella di Judas Carmichael e quella di Eva; sono altresì padre figlia, ma ignorano l’esistenza l’uno dell’altra.
Lui, Judas, è un ricchissimo commerciante di diamanti di Hong Kong, che vive solo da anni, da quando cioè la sua affascinante moglie asiatica lo ha abbandonato dopo averlo reso padre di una bambina.
Eva è appunto la figlia di Judas, che ignora l’esistenza del padre.
E’ una stupenda ragazza che vive facendo la ballerina, portando in scena un inseparabile serpente che è parte integrante dello spettacolo.
Judas decide di rintracciare sua figlia e spedisce suo fratello Jules sulle tracce della ragazza;Jules rintraccia Eva e la riporta da suo padre, senza però dire alla ragazza la realtà delle cose.
Così Eva viene ospitata da Judas, ignorando che l’uomo che la ricopre di magnifici regali e che la fa vivere nel lusso è suo padre.
Eva è una donna sessualmente disponibile, abituata anche ad avventure saffiche; la ragazza allaccia amicizie particolari con due donne,Kandy e con la dottoressa Jerry.
Le due ambigue relazioni suscitano però un forte sentimento di gelosia in Judas, che decide di far uccidere da Jules le due donne.
Cosa che Jules fa, utilizzando per gli omici i mortali serpenti che Judas alleva in casa.
Eva non ci mette molto a capire cosa realmente è successo e decide di vendicarsi; attirato Jules su un’isoletta lo uccide con l’aiuto di due nativi, inserendogli nel retto un serpente.
Poi torna a casa, sapendo adesso che Judas è suo padre…
Discreto soft core esotico, questo Eva nera diretto da Aristide Massaccesi con il tradizionale pseudonimo di Joe D’Amato.
Ancora una volta il regista romano sceglie come sua musa la stupenda Laura Gemser, che per una volta si trova ad interpretare un personaggio in linea con le sue origini; la Eva del film, infatti, è figlia di un europeo e di un’asiatica.
L’attrice indonesiana gira quindi il terzo film del 1976, dopo Emanuelle nera: Orient reportage e prima di Voto di castità con Massaccesi, cosa che si ripeterà in futuro molte altre volte, dando il via ad una collaborazione artistica fra i due molto proficua.
Il film presenta la solita, accurata regia di Massaccesi anche se la trama barcolla a tratti;colpa principalmente delle bizze fatte da Jack Palance, che volle ad ogni costo interpretare il ruolo di Judas Carmichael, che in origine era stato scritto e pensato per Gabriele Tinti.
Alla fine Massaccesi cedette e riscrisse la sceneggiatura, che risente appunto di questa nuova disposizione di ruoli.
Un film che comunque è di pregevole fattura,quanto meno nella parte fotografica e delle location, con il solito marchio di garanzia rappresentato da Laura Gemser; l’attrice indonesiana, come sempre bellissima e disinibita, se la cava egregiamente in un ruolo decisamente osè, malizioso. Memorabili le sequenze con il serpente…
Bene anche Jack Palance e Gabriele Tinti.
Per quanto riguarda la reperibilità, al momento non posso indicare link in italiano mentre è estremamente improbabile un passaggio del film su qualche rete tv.
Eva nera
Un film di Joe D’Amato. Con Gabriele Tinti, Jack Palance, Laura Gemser, Guido Mariotti,Ziggy Zanger, Michele Strarck Erotico, durata 84′ min. – Italia 1976
Laura Gemser: Eva
Jack Palance: Judas Carmichael
Gabriele Tinti: Jules Carmihael
Michele Starck: Jerry
Ely Galleani: Candie
Regia Joe D’Amato
Soggetto Joe D’Amato
Sceneggiatura Joe D’Amato
Produttore Alexander Hacohen
Casa di produzione Matra Cinematografica, Andromeda Films, Othello Film
Fotografia Joe D’Amato
Montaggio Bruno Mattei
Musiche Piero Umiliani
Scenografia Franco Gaudenzi
L’opinione di baskettaro dal sito http://www.filmscoop.it
Appena sufficiente film diretto da D’Amato ed interpretato dalla Gemser.
Dal punto di vista della trama l’ho trovato meglio rispetto ad altre pellicole del regista.
Molto permissivo dal punto di vista delle nudità, che come in ogni “Massaccesata”che si rispetti è un elemento abbondantemente presente.
L’opinione di will kane dal sito http://www.filmtv.it
Di serpente si vive,si seduce,ci si nutre e si schiatta in questo simil-thriller dell’infaticabile Joe D’Amato:l’ammaliante Laura Gemser è ,ovviamente al centro della vicenda,ma non ci si aspetti un adattamento in chiave pruriginosa della Genesi(va beh che con questi ci si immergeva nel torbido,ma non esageriamo,via!),piuttosto viene messa in risalto l’importanza degli ofidi(sì,quelli verdi o marroni che strisciano,stritolano o mordono)all’interno di una trama che vorrebbe anche rivelarsi con i colpi di scena che,puntualmente,vengono disattesi dalla loro prevedibilità.Un bel pò di nudi femminili,anche se curiosamente le sequenze più spinte vengono lasciate fuori scena,un racconto che va avanti esclusivamente facendo leva sulle aspettative dello spettatore sul quando la splendida Laura si sfilerà le vesti,e un interrogativo che effettivamente non si dilegua:va bene che ha fatto di tutto,ma come faceva un attore come Jack Palance a trovarsi a proprio agio in un film così inutile?
L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it
Il trio formato da Laura Gemser-Jack Palance-Gabriele Tinti rappresenta il punto di forza di questo squinternato filmetto erotico scritto e diretto da un Joe D’amato (che cura come al solito anche la fotografia) a un passo dall’ingresso nel mondo della pornografia. Qui le scene sexy non si contano, ma non vanno d’altronde neppure oltre ai consueti standard di decenza; la Gemser era appena salita alla notorietà mondiale come protagonista della serie di Emanuelle e questo spiega il motivo per cui Eva nera viene distribuito negli Usa come Emanuelle goes japanese. Che può essere un brutto titolo, ma pure quello originale italiano non scherza. L’elemento esotico dell’ambientazione (Hong Kong) è rafforzato dalla presenza dei serpenti; eppure lo stile della regia è tanto insulso, l’erotismo sempre contenuto e la narrazione procede in maniera così singhiozzante che Eva nera difficilmente potrebbe essere visto con interesse sia da un amante del trash/cinema di serie Z che da un pubblico dagli intenti dichiaratamente onanisti. L’unica vera sorpresa positiva è costituita dalla colonna sonora, davvero bella, firmata dal grande Piero Umiliani
L’opinione di Undjing dal sito http://www.davinotti.com
Insolito erotico massaccesiano che tradisce le buone premesse di partenza, avanzate da un cast che vanta, tra i nomi, quello del celebre Jack Palance. Gli elementi “esotici” ci sono tutti, ma il risultato finale è offuscato da contenuti malsani (il drammatico e sconsolante finale) e da eccentricità poco erotiche (il rapporto tra Eva-Gemser ed i serpenti). Co-produce Franco Gaudenzi, mentre all’editing troviamo Bruno Mattei. Da segnalare, inoltre, le notevoli musiche del bravo Piero Umiliani. Una visione la merita…
L’opinione di Herrkinski dal sito http://www.davinotti.com
Questo softcore di D’Amato cerca di proporre una versione “alternativa” del personaggio di Emanuelle della Gemser, che in realtà a conti fatti si differenzia di non molto dal prototipo; la storia, tutto sommato interessante sulla carta, alla resa dei conti non regge e viene sviluppata senza brio, con molti tempi morti e un ritmo alquanto blando. Le scene erotiche sono moderate e non offrono guizzi di alcun genere; Palance e Tinti fan quel che possono ma non bastano a tenere in piedi il film. In definitiva un’occasione mancata; per completisti.
Caligola, la storia mai raccontata
Ennesima variante della storia di Gaio Giulio Cesare Germanico , l’imperatore romano passato alla storia con il nome di Caligola (piccola caliga, la calzatura dei legionari romani).
Una versione in puro stile Massaccesi, che per l’occasione si firma David Hills e che ebbe disavventure a non finire con la censura, un po come il predecessore Caligola diretto da Tinto Brass.
Il film parte mostrando l’attentato alla vita dell’imperatore da parte del poeta Domizio, attentato fallito e che costerà al poeta stesso una terribile punizione; all’uomo vengono tagliate la lingua e tutti i tendini, di modo che finisce per diventare un osceno burattino che Caligola fa vivere dietro una tenda.
A Roma sono in molti ad essere stanchi degli eccessi e della follia di Caligola; alcuni senatori congiurano per assassinarlo mentre Caligola se ne va tranquillamente in spiaggia, dove incontra la bella vergine Livia, fidanzata ad Ezio che è il figlio del console Marco Tullio Gallo.
Il crudele imperatore violenta la ragazza che in preda alla vergogna si suicida.
Dopo di che, rientrato a Roma, sparge la voce che la ragazza è stata assassinata da un gruppo di cristiani; ma a non credere alla versione di Caligola sono un po tutti, a partire dalla più cara amica di Lidia, Miriam, una ragazza egiziana che da quel momento giura vendetta.
In un impeto di follia, l’imperatore decide di costruire un grande tempio e per finanziarlo organizza un’ orgia alla quale viene invitata la nobiltà romana costretta a pagare un pesante dazio e costretta anche ad assistere ad uno spettacolo in cui l’imperatore passa da una crudeltà all’altra facendo combattere in una grande sala uomini fino alla morte, facendo accoppiare una donna con un cavallo e facendola così morire oppure sacrificando un gran numero di ragazze vergini ingaggiate proprio per la festa.
Durante il baccanale, Miriam decide di sedurre l’imperatore e ucciderlo, spinta in questo dal senatore Cornelio. Così, dopo essersi deflorata e aver dedicato la sua perduta verginità al dio Anubis, Miriam si apparta con Caligola. Ma al momento di ucciderlo, la donna ha un ripensamento e colpisce il senatore Cornelio.
La vendetta di Caligola per il mancato attentato è ferocissima; alcuni senatori vengono sodomizzati con ferri roventi e muoiono dissanguati, altri si vedono uccidere i familiari e ad uno di essi viene ordinato di uccidere sia la moglie che i figli.
Nel frattempo Miriam sembra essere diventata succube dell’imperatore.
Probabilmente ne è innamorata e accetta la proposta di Caligola di sposarla, ma prima delle nozze vede al collo dell’imperatore una medaglietta che portava Lidia.
Miriam decide di drogare con dei filtri magici Caligola in modo da farsi rivelare la verità, ma l’uomo viceversa precipita in una serie di incubi durante i quali rivede tutte le vittime della sua follia. Al risveglio, ancora ottenebrato dalle droghe, colpisce Miriam con la sua spada.
Nel frattempo i senatori romani sono riusciti a convincere Ulmar, il fido pretoriano di Caligola, a partecipare ad un attentato che questa volta riesce.
Mentre è sulla spiaggia, l’imperatore che nel frattempo ha preso coscienza delle sue malefatte e vorrebbe convincere i senatori di voler cambiare vita, viene ucciso dalle frecce scagliate da Ulmar.
Caligola, la storia mai raccontata è un film del 1982, diretto con larghezza di mezzi da Aristide Massaccesi/Joe D’Amato ed è tutto tranne che un film con un minimo di obiettività storica.
La leggendaria crudeltà dell’imperatore romano, molto probabilmente esagerata dai suoi numerosi detrattori appare qui esasperata ancor più che nel Caligola di Brass; l’imperatore da sfoggio di una crudeltà da psicopatico, a partire dalla crudele punizione inflitta a Domizio passando per lo stupro della bella Livia per finire con la scena del massacro dei senatori durante l’orgia.
Il Caligola di Massaccesi è un film eccessivo, violento e sanguinolento, come nello stile del regista romano; un film assolutamente inaffidabile dal punto di vista storico, basti pensare al finale in cui Caligola finisce trafitto dal suo pretoriano mentre nella realtà venne ucciso dai tribuni Cassio Cherea e Cornelio Sabino e da alcuni pretoriani assieme a sua moglie Milonia Cesonia e la loro figlia bambina, Giulia Drusilla quando aveva appena ventinove anni.
La pellicola ha più pregi come slasher ( e per gli amanti dell’hard come pellicola erotica) che come film con una sceneggiatura accettabile; la mano del regista di talento c’è, ma è anche al servizio degli stinti più bassi dello spettatore.
Tuttavia c’è una certa cura, nella pellicola e per una volta il cast sembra davvero all’altezza della situazione.
C’è una splendida Laura Gemser, all’epoca del film trentaduenne e al massimo del fulgore fisico, che da vita al personaggio di Miriam, la schiava che vorrebbe vendicare l’amica Lidia e che finisce viceversa per innamorarsi dell’imperatore, salvo ricredersi quando scoprirà la verità sulla morte di Lidia.
E c’è anche David Brandon a interpretare Caligola con sufficienza, anche se va detto che nella realtà storica l’imperatore era un pezzo d’uomo che superava un metro e novanta di statura.
Ancora una volta Massaccesi quindi si rivolge alla sua musa cinematografica, Laura Gemser e ancora una volta ritaglia un ruolo per suo marito Gabriele Tinti; alla fine il prodotto ha una sua dignità anche se come tutti i film di Massaccesi occorre districarsi tra le varie versioni.
Quella originale infatti durava 125 minuti ma venne sforbiciata dalla censura in modo tale che alla fine il film durava 86 minuti; distribuito come Caligola, la storia mai raccontata ebbe anche una versione parallela intitolata Caligola… l’altra storia.
Oggi sono disponibili dvd in versione integrale che però non aggiungono praticamente nulla alla storia se non alcune sequenze particolarmente forti come quella in cui una donna masturba un cavallo e molte scene tipiche del cinema hard core, che vennero utilizzate in seguito dal regista romano per il film Caligola, follie del potere che apparteneva al filone hard.
Caligola… La storia mai raccontata
Un film di Joe D”Amato. Con Laura Gemser,David Brandon,Oliver Finch, Charles Borromel,Larry Dolgin, Fabiola Toledo, Alex Freyberger
Drammatico/Erotico, durata 90 min. – Italia 1982.
David Brandon: Caligola
Laura Gemser: Miriam
Oliver Finch: Messala
Cristiano Borromeo: Petreio
Fabiola Toledo: Livia
Sasha D’Arc: Ulmar
Alex Freyberger: Ezio
Larry Dolgin: Cornelio Varrone
Gabriele Tinti: Marcello Agrippa
John Alin: Marco Tullio Gallo
Ulla Luna: Cinzia
Michele Soavi: Domizio
Mark Shanon: Mario
Regia David Hills
Soggetto David Hills, Richard Franks
Sceneggiatura David Hills, Richard Franks, Victoria J. Newton
Produttore Alexander Sussman
Casa di produzione Metaxa Corporation, Cinema 80
Fotografia Federico Slonisco
Montaggio George Morley
Musiche Carlo Maria Cordio
Scenografia Lucius Pearl, Michael Loss
Costumi Helen Zinnerman
Le recensioni qui sotto sono prese dal sito http://www.davinotti.com
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Film molto spinto, al limite del visibile, dove l’erotismo cede il posto al disgusto nella scena dell’impalamento realizzato durante un’incontenibile orgia o in quella del forzato accoppiamento con cavallo. David Brandon nei panni del “deviatissimo” Caligola è bravissimo, la regia di Joe D’Amato è garanzia di riuscita ed il cast è composto da nomi di certo interesse come ad esempio l’allora sconosciuto Michele Soavi, cui tocca la parte di vittima sacrificale. Il registro erotico risente della spinta violenta, che ben si coniuga con il tema trattato.
Le fonti filosenatoriali su Caligola ci hanno tramandato la figura di un imperatore pazzo, depravato, empio, sacrilego, megalomane e crudele: D’Amato resta fedele a questa tradizione e la rimpolpa negli aspetti sessuali e horror, con abbondante ricorso ad uno splatter talvolta insostenibile. Perfetti l’ambiguo Brandon e il vecchio mentore inascoltato Borromel (efficacemente doppiato da Michelotti); la Toledo riluce di bellezza in una tunica candida e sottile. Suggestiva e visionaria la fotografia.
Le nefandezze dell’imperatore, pervertito e psicopatico, epilettico e malato mentale, disinteressato al bene di Roma e completamente alienato da ogni tipo di valore, si fermano di fronte al corpo della Gemser; e scoppia l’amore! Il miglior Joe D’Amato dopo Buio Omega, si scatena nell’estremo: violenza, sesso, orge (purtroppo con inserti hardcore, anche se discretamente integrati), duelli all’ultimo sangue con il sangue che schizza sugli spettatori mentre mangiano e tanto altro. Ancora una bella storia d’amore che trasuda sangue: 4 pallini al sangue!
Ovvio tentativo di bissare il successo di Io Caligola con un film che ha a come pro una buona ricostruzione d’epoca e un discreto cast e, come contro (nonostante riconosca l’abile messa in scena dell’orgia), alcune scene disgustose che fanno storcere il naso inficiando un po’ il risultato (come la scena della cacca in Salò e le 120 giornate di Sodoma, per intenderci). Bravo Brandon e perfetto per il ruolo in un film perverso e pornografico.
Emanuelle, perchè violenza alle donne?
Durante uno dei suoi tanti viaggi in giro per il mondo per realizzare servizi fotografici di vario genere, Emanuelle si ferma in un albergo dove viene salvata da un tentativo di violenza sessuale da Malcom, un funzionario di un’agenzia governativa che si occupa di aiuti ai paesi poveri; i due fraternizzano ma devono lasciarsi per i rispettivi impegni.
Nella hall, Emanuelle incontra la sua vecchia amica Cora, anch’essa impegnata in un difficile reportage; la donna infatti sta girando per il mondo allo scopo di documentare la condizione femminile e la violenza esercitata a tutte le latitudini sulle donne.
Laura Gemser, la reporter Emanuelle
Sarà proprio Emanuelle a scoprire come il lavoro di Cora sia attuale e terribilmente pericoloso; mandata in India per un servizio fotografico e documentaristico su una specie di santone che propaganda una strana religione sui rapporti sessuali e sul sistema per renderli infiniti, Emanuelle lo sbugiarda pubblicamente, ma prima di tornare in patria ha modo di consolarsi con una giovane e bella ragazza, Mary.
Emanuelle, notoriamente bisessuale, ha una breve relazione con la ragazza, che le racconta una terribile storia di soprusi e violenze subite.
Riagganciata Cora, decide di accompagnarla nel viaggio che la donna sta facendo per documentare le violenze.
Giunte a Roma, le due amiche hanno modo di mettersi nei guai, mentre indagano su una misteriosa organizzazione che rapisce giovani ragazze per destinarle ai bordelli dell’estremo oriente; Cora ed Emanuelle però vengono rapite e farebbero una brutta fine se non venissero salvate in extremis da Jeff, un amico della reporter.
Brigitte Petronio, la giovane Mary
Ma la banda non ha intenzione di mollare e riesce ad arrivare nuovamente a Cora, che viene seviziata e violentata da alcuni adepti dell’organizzazione.
Nonostante tutto, Cora riparte per l’Oriente sempre accompagnata dall’inseparabile reporter, che vivrà con lei una nuova pericolosa avventura, prima di tornare a casa e scoprire che anche negli States il fenomeno è purtroppo diffusissimo.
Emanuelle perchè violenza alle donne?, distribuito negli Usa con il titolo più appropriato di Emanuelle Around the World, è il quarto film della serie dedicata alla bella reporter di colore Emanuelle ed è il terzo diretto da Aristide Massaccesi che ancora una volta usa il suo nome d’arte Joe D’Amato.
Il successo delle sue due pellicole precedenti, Emanuelle nera – Orient Reportage (1976) e Emanuelle in America (1976) permise a Massaccesi l’utilizzo di un budget più ampio, che il regista romano utilizzò principalmente per rendere ricche le location, trasportando la protagonista, l’affascinante venere nera Laura Gemser attraverso tre continenti ovvero Europa, America e Asia e ben quattro metropoli, come Roma, New York, Hong Kong e Nuova Delhi.
Il meccanismo è lo stesso dei due film precedenti, quindi una miscela di erotismo e violenza nella quale si inserisce il classico “pistolotto” moraleggiante che però suona tanto come espediente per accalappiare gonzi.
Questa volta D’Amato affianca alla Gemser oltre alla Schubert la giovane Brigitte Petronio, l’occasionale amante saffica immancabile nei film della serie Emanuelle nera (ricordiamo la Galleani e la De Selle, per esempio)
Film diretto con una certa cura e attenzione ai particolari, Emanuelle perchè violenza alle donne? ha il grosso demerito di cambiare spesso e caoticamente la storia, rendendola quanto meno improbabile e sopratutto farraginosa e tirata per i capelli.
Ma al solito D’Amato non sembra affatto preoccupato di dare un senso alla sceneggiatura, quanto mostrare visivamente il solito campionario di scelleratezze unite ad un erotismo molto pronunciato, vero trademark del regista.
La violenza la fa da padrona, così come l’eros; al solito, il film ebbe due versioni, una più pulita e l’altra con inserti hard core abbastanza mediocri.
La versione “pulita” ebbe comunque grossi problemi con la censura per la presenza delle famose scene di violenza e delle scene dell’orgia, anche prive degli inserti erotici.
Per quanto riguarda il cast, gli attori fanno con diligenza la loro parte.
Bene come al solito la Gemser, non ancora caratterizzata da quel dimagrimento che in seguito le dette un’aria sofferente e patita; la sua Emanuelle è conturbante e sexy, la sua capacità recitativa resta sufficiente.
Molto bene anche Karin Schubert che interpreta Cora.
La sequenza dello stupro sembra quasi reale, e dispiace pensare che Karin che pure era una buona attrice abbia poi sceso la china così velocemente e in maniera così traumatica.
Spazio anche alla bionda ed efebica Brigitte Petronio, starlette poco valorizzata che nel film interpreta la giovane Mary, che ha subito sul suo corpo la violenza maschile e che ha una breve ed intensa relazione saffica con Emanuelle, così come apprezzabile è Ivan Rassimov una volta tanto non penalizzato dal solito ruolo del duro e cattivo. Così così George Eastman nel ruolo del guru fregnone, bene Gianni Macchia in quello dell’emiro che salva da una brutta fine Emanuelle.
Se il film non è da annoverare tra i film indimenticabili, ha dalla sua tuttavia qualche buon guizzo, a patto di chiudere un occhio sull’abitudine di Massaccesi di voler ad ogni costo strizzare l’occhio al messaggio moralistico del film.
Se si vuol fare un’opera di denuncia,non la si costella di scene erotiche fine a se stesse.
Il solito vizio del regista romano, costretto a ciò anche dalla furbizia dei produttori che, afferrato il filone giusto, non chiedevano altro al regista che usare il suo indubbio talento per agganciare una parte di pubblico poco interessato ai discorsi sociali e molto più ai nudi femminili e alle atmosfere torbide.
Emanuelle: perché violenza alle donne? un film di Joe D’Amato. Con George Eastman, Don Powell, Karin Schubert, Ivan Rassimov, Laura Gemser, Gianni Macchia, Marino Masé, Paola Maiolini, Brigitte Petronio
Erotico, durata 90 min. – Italia 1977.
Laura Gemser: Emanuelle
van Rassimov: Malcolm Robertson
Karin Schubert: Cora Norman
Don Powell: Jeff Davis
George Eastman: il guru
Brigitte Petronio: Mary
Al Thomas: eunuco
Aristide Massaccesi: Caleb
Marina Frajese: partecipante all’orgia
Rick Martino: partecipante all’orgia
Regia Joe D’Amato
Soggetto Maria Pia Fusco
Sceneggiatura Maria Pia Fusco
Produttore Fabrizio De Angelis
Casa di produzione Embassy Productions S.p.A.
Distribuzione (Italia) Fida Cinematografica
Fotografia Aristide Massaccesi
Montaggio Vincenzo Tomassi
Musiche Nico Fidenco
Scenografia Maurizio Dentici
Le recensioni qui sotto appartengono al sito http://www.davinotti.com
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Terza pellicola del ciclo dedicato alla disinibita reporter, qui in viaggio per il globo terracqueo tra Stati Uniti, Italia e Hong Kong, impegnata a sventare un traffico “internazionale” di schiave bianche, spesso sottoposte a vere e proprie sessioni di tortura. Nel suo peregrinare svergogna, per tramite del proprio corpo, un falso santone indiano, ideatore/propugnatore del coito prolungato. Forse il più maschilista/cinico (e pornografico) dell’intera serie, curiosamente sceneggiato anche da mano femminile.
Buon film del filone esotico/erotico di Emanuelle, la splendida Laura Gemser… La trama è suppergiù sempre quella, con la bella fotoreporter giramondo coinvolta in qualche losco intrigo più grosso di lei. Ovviamente è tutto un pretesto per mostrare scene erotiche, e per i mercati esteri anche hard-core. Un prodotto comunque più che dignitoso, che non annoia ed anzi fa passare i canonici 90 minuti in tutta tranquillità. Certo, con Joe D’Amato alla regia almeno un momento splatter non poteva mancare… e difatti non manca: vedere per credere.
Così così. Le scene erotiche sono ottimamente realizzate e quelle di tortura sono molto efficaci. Peccato che questi due elementi, uniti, finiscano per stonare. La sceneggiatura è mediocre come al solito, ma la buona regia di Massaccesi riesce a salvare il salvabile. Non male il cast: bellissima come sempre la Gemser, stesso discorso per la Schubert, bravo Rassimov e cultissimo George Eastman. Splendida la colonna sonora, la migliore realizzata per la serie insieme a quella di Emanuelle in America.
Le pericolose scorribande erotiche per il mondo di una famosa reporter, implicata in pericolosi giri d’affari fatti sulla pelle delle donne. Costumi, scenografia e fotografia (ovviamente..) di gran classe, sceneggiatura così così.. A volte la confusione si trasforma in noia e il prodotto perde carattere. Scene erotiche ben fatte, moderatamente spinte, con un paio di inserti hardcore marginali e piuttosto inutili (almeno nella versione visionata). La componente violenta scaturisce potente e in alcune occasioni davvero estrema, ma stiamo parlando del D’Amato!
Interessante. Questo personaggio di reporter-detective che indaga sul fenomeno della tratta delle bianche calza a pennello a una donna come Emanuelle, la cui concezione del sesso -ludica e scanzonata- è effettivamente agli antipodi rispetto ad ogni forma di violenza o di mercimonio. Dunque, è una storia che ha una buona coerenza interna. Le locations (Roma, la Thailandia, l’India, New York) sono ben utilizzate: Paese che vai usanza che trovi, soprattutto rispetto agli usi e costumi sessuali! Non monotono, buone musiche e, complessivamente, ottimo look!
IL titolo è chiaro, ma quello inglese (“The degradation of Emanuelle”) lo è ancora di più: sulla falsariga del precedente seguiamo la fotoreporter Emanuelle sulle tracce di un esclusivo mercato nero di sfruttamento delle donne. Autentiche perle del trash massaccesiano, su tutte la scuola di sesso diretta dallo scaricatore di porto Eastman nei panni di un improbabilissimo guru indiano (che predica il ritardo dell’orgasmo ma al dunque non si trattiene manco lui). Sul piano erotico/hard aumenta la vena sgradevole. Interessante e ben realizzato.
Visto nella versione hard del dvd polacco (meno completo, pare, di quello della Severin). Pellicola gradevolissima con la splendida Laura Gemser e una buonissima regia di Joe D’Amato. A dispetto di altri titoli del filone, nonostante la trama sia semplice qui (almeno io) ho trovato un po’ di confusione nel finale e quindi non sono rimasto del tutto soddifatto. Meglio altri capitoli della saga.
In questo episodio la bella Emanuelle, con la scusa dei reportage scandalistici, crea un’alleanza di ferro con la giornalista Cora Norman (una divina Karin Schubert) e riesce a sgominare una banda internazionale di farabutti dedita alla tratta delle bianche, da Roma ad Hong Kong. Nel mezzo una love story con un diplomatico Rassimov, una puntatina in India per toccare con mano le teorie sul coito prolungato di un presunto santone (un mitico Montefiori!) e nel finale uno stupro a New York. Vedibile ma poco coinvolgente rispetto ad altri capitoli.
Il più fresco, colorato e scanzonato della serie di Emanuelle. Memorabile il “guru” interpretato da Luigi Montefiori, ma ci sono anche altri momenti molto divertenti e nel complesso il film non risulta noioso pur essendo privo degli eccessi che fanno storia visti in “in America” e nel successivo “e gli ultimi cannibali”. Il film, co-sceneggiato da Maria Pia Fusco, ha anche un certa dignità sul piano della denuncia sociale, pur diluita nella commercialità e nell’eros venduto al chilo tipico delle opere del buon Massaccesi.
Riflessi di luce
Federico Brandi, un compositore di buon livello, vive in una splendida villa crogiolandosi nei ricordi fra i quali ha prevalenza quello del drammatico incidente in cui ha perso l’uso delle gambe, rimanendo confinato su una sedie a rotelle.
L’altro motivo per cui Federico prova un astio senza fine verso gli altri è il ricordo della splendida moglie Chiara morta annegata abbastanza banalmente mentre si bagnava in un lago.
Le lunghe ore solitarie, i sospetti che prova verso la sua nuova compagna Marta lo spingono a scrivere una specie di lettera confidenziale a Lorenzo, un suo vecchio amico, nella quale esterna il suo dolore e la sua rabbia per la vita a metà che è costretto a portare avanti.
Nella villa ci sono anche l’affascinante figlio ventenne Marcello e la sua segretaria Giorgia; l’ostilità dell’uomo verso l’esterno aumenterà esponenzialmente quando si renderà conto che la moglie Marta ha intrecciato una relazione incestuosa con il figlio, oltre che sollazzarsi in giochi saffici con la segretaria.
Nel frattempo Marcello allaccia casualmente una relazione con la bella Gaia, durante una delle prove che fa per diventare un fantino.
Tutto si dipana lentamente verso il finale, durante il quale Marta apprende dalla lettera che ha scritto quest’ultimo dell’infinito amore che il compositore prova ancora per la moglie defunta e….
Pasticciaccio erotico di bassa lega,infarcito di dialoghi piatti come un elettroencefalogramma fatto ad una gallina con la meningite, Riflessi di luce è uno di quei filmacci a metà strada tra il soft core e il porno che abbondarono nella produzione cinematografica di fine anni 80.
Periodo nel quale è drammaticamente evidente la crisi del cinema, acuita anche dalla mancanza di soggetti validi oltre che di materia prima, ovvero spettatori paganti nelle sale.
Diretto da Mario Bianchi, Riflessi di luce esce nelle sale nel 1988 e propone un cast raccattato alla bene e meglio, nel quale l’unico a mantenere un livello appena sufficiente è Gabriele Tinti, che tre anni più tardi, nel 1991 sarebbe scomparso prematuramente all’età di 59 anni.
L’attore riesce in qualche modo a dare credibilità al personaggio tormentato di Federico, l’unico ad essere dotato di un qualche spessore; e vista l’unione sentimentale con Laura Gemser, sua compagna di vita nella realtà e nel film moglie del protagonista, ecco che le uniche scene credibili si rivelano proprio quelle che vedono protagonisti i due coniugi separati da un destino crudele.
Il resto del cast mostra un pressapochismo, una mancanza dei fondamentali recitativi a dir poco penosa.
Si passa da una scialba Pamela Prati, totalmente inespressiva tranne quando appare senza veli fino a Loredana Romito, altra attrice di scarsissime qualità fino a Jessica Moore, carina ma anch’essa scarsamente dotata (dal punto recitativo).
Proprio nel punto esplicitato tra parentesi sta il succo del film: siamo di fronte ad una robusta esposizione di parti intime,natiche e seni conditi da diverse sequenze lesbiche e poco più.
Si fa davvero fatica a sopportare i dialoghi insulsi con cui il regista cerca di dare un’aura di credibilità al film.
Che resta quello che è, ovvero un melodramma erotico che avrebbe avuto qualche ragione d’essere negli anni settanta, periodo in cui si solleticavano gli istinti più bassi della platea, non di certo alla fine degli anni 80.
Detto questo, non resta altro da fare che sconsigliare la visione del film, molto caldamente.
Per una volta, concordo pienamente con il lapidario giudizio del Morandini, di solito poco affidabile in molte recensioni.
“Vietato ai minori di 18 anni, sconsigliabile ai maggiori.”
Una pietra tombale decisamente condivisibile.
Riflessi di luce, un film di Mario Bianchi. Con Loredana Romito, Laura Gemser, Pamela Prati, Gabriele Tinti, Gabriele Gori Drammatico, durata 90 min. – Italia 1988.
Pamela Prati … Marta
Gabriele Tinti … Federico Brandi
Loredana Romito … Giorgia
Gabriele Gori … Marcello Brandi
Laura Gemser … Chiara
Jessica Moore … Gaia
Regia: Mario Bianchi
Sceneggiatura: Francesco Valitutti
Musiche: Gianni Sposito
Editing: Cesare Bianchini
Costumi: Maurizio Fiorelli
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Capisco che la Pamela sia una splendida donna ma questo film è una vaccata inguardabile. Eppure sono arrivata alla fine… nonostante gli allenamenti a cavallo e i “virtuosismi” shakespeariani del giovine Michele. Ho capito l’indefinibile ruolo della Romito (a parte mostrarsi ignuda) solo a visione ultimata, il finale è patetico ed è un complimento. Solo per coraggiosi o fan motivati della Pamela Prati.
Lentissimo filmetto adriatico, di sconcertante povertà, ad esclusione di qualche maschera di Gabriele Tinti che, a confronto degli altri, pare Marlon Brando. Soggetto di tre righe, sceneggiatura cui deve dar manforte il tirare in lungo ogni situazione per fare metraggio. La povertà di mezzi si vede sin dalla “folle” caduta della motociclista. E che dire dell’allenamento per il Gran Premio d’ippica? Fra le donne la più brava è la Moore, la più sensuale la Romito, la più banale la Prati, primo nome dei crediti. Dialoghi sconcertanti. Insalvabile.
Mario Bianchi tra un porno doc (“Belve del Sesso”, 1987) ed un porno choc (“Giochi bestiali in famiglia”, 1990), ricorda la discendenza nobile (Roberto Bianchi Montero è il padre) per cui rientra in carreggiata, ma ha perso il senso del ritmo e, soprattutto, ha sbagliato “corsia”. Con una 500 infila l’autostrada. Questo è un film drammatico, lievemente erotico (in particolare grazie alla sola presenza fisica di Pamela Prati e Loredana Romito), pesantemente malfatto. Si inizia dalle scarse locations, per proseguire con una regia disattenta ed un plot striminzito, ricco di stereotipi…
Terribile drammone a tinte erotiche realizzato maldestramente e con una povertà di budget impressionante. Bianchi sperava forse di rientrare nel cinema non-hard, ma non credo sia riuscito a raccogliere nella sale più di qualche spicciolo. Il povero Tinti sprofonda in questo ignobile abisso chiudendo malamente la sua carriera, stessa cosa per Laura Gemser che si limita ad apparire in sogno. In carne ed ossa si vede invece Pamela Prati che insieme a Loredana Romito e alla sedicente Jessica Moore regala rari momenti di innocuo eros pseudpatinato.
Dramma erotico borghese come tanti altri ne erano stati fatti negli anni precedenti: un vedovo in crisi e ossessionato dal ricordo della moglie morta, un figlio degenere, una segretaria lesbica… Motivo d’interesse la presenza dell’ottimo Tinti – sempre serio professionista – la bellezza della Prati, della Romito e della Moore; la Gemser compare in flashback. Finale riconciliante.
Alquanto mediocre film erotico-drammatico che si distingue per la scarsezza degli attori (salvo solo il buon Gabriele Tinti) e per l’assurdità di alcune scene (l’allenamento a cavallo). Nel finale il film vira bruscamente verso il sentimentale, sembra di assistere quindi a un misto di generi, peccato il risultato sia un po’ indigesto. Belli comunque alcuni paesaggi.
Mi avvicinai a questa pellicola con la speranza di poter vedere un thrillerino di quelli tipici “de noantri”, con qualche piccata erotica e un retrogusto delinquenziale di thanatos. Invece, se il primo aspetto, pur non eccellendo, non lascia nemmeno a bocca asciutta (la Prati e la Moore valgono ogni visione, a prescindere in my opinion), il secondo manca del tutto, in quanto vi è sì un sottotesto serioso ma al massimo di natura drammatica. Pertanto, lo si guardi solamente se interessati alla prima delle due partes…
Emanuelle in America
Sempre alla ricerca di scoop fotografici, Emanuelle questa volta si imbarca in una serie di avventure molto pericolose tra trafficanti di armi e orge veneziane, tra snuff movie e anche un principe africano che la vorrebbe in sposa e che non fa i conti con la bella reporter, troppo indipendente per accettare un legame fisso.
Emanuelle in America, terza opera dedicata alla reporter interpretata da Laura Gemser è il secondo diretto da Aristide Massaccesi con il suo abituale pseudonimo Joe D’amato.
Laura Gemser
Segue il lusinghiero successo di Emanuelle nera Orient reportage girato nel 1975, mentre questo film è dell’anno successivo.
Joe D’Amato sceglie di mescolare più generi, creando un vero trademark che sarà la caratteristica peculiare di tutti i prodotti successivi; il cinema horror si mescola al thriller, al sexy fino al porno quasi estremo, rappresentato dalla famosa scena censurata in Italia della masturbazione di un cavallo, che verrà replicata in Caligola la storia mai raccontata, anche questo interpretato dalla Gemser.
Discontinuo e disomogeneo, Emanuelle in America è un film molto forte a livello visivo, caratterizzato principalmente dall’inserzione, nella pellicola, di quello che sembra essere un vero e proprio snuff-movie, rappresentante scene di violenza eseguite da militari ai danni di alcune ragazze.
Scene ferocissime con sangue che scorre a fiumi, mutilazioni impressionanti, falli artificiali in metallo e ganci che straziano i corpi delle prigioniere.
Scene rese quasi reali dall’abilità di D’Amato, che utilizzò una handy cam e che ebbe poi l’accortezza di rovinare la pellicola, dando alla stessa un senso di impressionante realtà.
La versione italiana uscì mutilata volontariamente dallo stesso regista, che sapeva perfettamente che non avrebbe mai superato la barriera censorea, mentre per il mercato estero vennero girate appositamente scene hard per un tempo di circa 10-12 minuti.
Scene che nulla aggiungono ovviamente all’economia del film, che appare caotico e sopratutto poco credibile.
Ma l’intento di D’Amato viene raggiunto a livello visivo, con un helzapoppin di immagini truculente mescolate ad una storia che se ha dalla sua l’assoluta incredibilità finisce per ammaliare lo spettatore, tutto preso anche dalla generosa esposizione delle forme delle belle protagoniste, ovvero Laura Gemser, Lorraine De Selle e Paola Senatore, entrambe alle prese con ardite sequenze saffiche recitate a turno con la affascinante Gemser.
Quanto mai fascinose le location, tra le quali spiccano l’ambientazione veneziana, teatro dell’orgia in cui Emanuelle si trova ad accoppiarsi assieme a quasi tutti gli intervenuti fino al villaggio caraibico Chez Fabion nel quale molte mature signore si concedono svaghi (ovviamente sessuali) che danno loro l’illusione di restare giovani e desiderate.
Emanuelle in America non è un brutto film, ma sicuramente va inquadrato nell’ottica di Massaccesi tesa da un lato a glorificare il sesso e la trasgressione e dall’altro furbescamente a strizzare l’occhio verso lo spettatore ansioso di vedere valicato il confine tra l’erotico e il porno, che mai come in questa occasione diventa labile.
Inutile parlare di recitazione dei vari protagonisti; tutto è corporeo, fisico.
La Gemser replica ancora una volta il personaggio che l’ha resa celebre, a cui è chiesto solo di essere se stessa, ovvero una seducente e affascinante creatura che pur non essendo una vamp emana un fluido erotico che ha poche rispondenze in altre attrici.
Emanuelle in America, un film di Joe D’Amato. Con Gabriele Tinti, Paola Senatore, Roger Browne, Laura Gemser, Riccardo Salvino,Lorraine De Selle,Marina Frajese Erotico, durata 95 min. – Italia 1976.
Paola Senatore
Lorraine de Selle
Laura Gemser: Emanuelle
Paola Senatore: Laura Elvize
Gabriele Tinti: Alfredo Elvize, duca di Mont’Elba
Roger Brown: senatore
Riccardo Salvino: Bill
Lars Bloch: Eric Van Darren
Maria Pia Regoli: Diana Smith
Giulio Bianchi: Tony
Efrem Appel: Joe
Stefania Nocini: Janet
Lorraine De Selle: Gemini
Marina Frajese: donna sulla spiaggia
Rick Martino: gigolò
Vittorio Ripamonti: un Onorevole al Party di Venezia
Regia Joe D’Amato
Soggetto Ottavio Alessi, Piero Vivarelli
Sceneggiatura Piero Vivarelli, Maria Pia Fusco, Ottavio Alessi
Produttore Fabrizio De Angelis
Casa di produzione New Film Production, Krystal Film
Distribuzione (Italia) Fida Cinematografica
Fotografia Aristide Massaccesi
Montaggio Vincenzo Tomassi
Effetti speciali Giannetto De Rossi
Musiche Nico Fidenco
Scenografia Marco Dentici, Enrico Luzzi
Costumi Luciana Marinucci
Trucco Maurizio Trani
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Noto per aver portato l’azione nel mondo degli “snuff-movie”, il film è forse fra i peggiori della serie. In questo caso, curiosamente, Emanuelle assume con pedante regolarità un atteggiamento antipatico nei confronti dei suoi interlocutori, il che la rende sgradevole allo stesso spettatore.
Molto superficiale nella sua ipocrita denuncia su certo traffico (femminile) umano, che si favoleggia qui raggiungere punte estreme quali il leggendario snuff. Massaccesi inanella tutta una serie di avventure intersecantesi tra loro, atte a mostrare (e demolire) i tabù dell’epoca, tipo l’incredibile scena di zoofilia tagliata nella versione soft. La Gemser, nei panni della cinica giornalista che dà il nome alla serie di pellicole, si muove con fare distaccato. Per fortuna il regista è qui al suo massimo ed infonde un ritmo notevole al girato.
Nuova avventura cosmopolita per la Gemser che, in missione giornalistica tra una seduzione e un amplesso, giunge ad aprire per un attimo la porta proibita dello snuff: D’Amato si arresta al versante erotico, ma – a differenza del precedente capitolo – avverte già l’esigenza di contaminarlo con altri generi. Tra le starlets non accreditate, nella villa con piscina di Bloch sfilano la Verlier, la Lay e la De Salle; in quella della coppia Tinti-Senatore è ospite la Gobert.
Uno dei migliori della serie apocrifa, se non il migliore. Le vicende della bella fotoreporter Emanuelle in giro per il mondo sono il pretesto per vedere scene erotiche dirette e montate con gusto dallo specialista del genere Joe D’Amato. Lo stesso non si può dire delle scene presenti nella versione hard, girate alla bell’e meglio ed incollate al resto del materiale con bruschi stacchi… Comunque nella versione soft il film ha anche più ritmo e rimane una visione consigliabile. Ottime le musiche di Nico Fidenco.
La Gemser buca lo schermo, il film trafora le sacrosante. Non bastano i fiacchi inserti hard per impedire alle mandibole di slogarsi in ripetuti sbadigli. Ammetto di essermelo sciroppato solo per l’elemento snuff e mi tolgo il cappello davanti a De Rossi e Trani. Buttare alla discarica il resto.
Tra i migliori della serie apocrifa. La storia e i dialoghi naturalmente sono quello che sono (anche se l’elemento snuff è curioso) ma la regia di Massaccesi rende il film godibilissimo. Sul versante erotico le scene soft sono ottime (tra le migliori mai viste in un erotico italiano) mentre quelle hard spesso sono parecchio squallide (specie per alcuni attori in evidente imbarazzo). Ottimi gli effetti speciali all’interno dello snuff e bellissima la colonna sonora di Fidenco.
Emanuelle (una M per copyright) è mischione del personaggio di Jaeckin, 007 e Blow Up; cose che andavano di moda all’epoca. La Gemser, bellissima di Giava (no comment), si districa tra letti e location diverse e risolve varie situazioni, tra cui un traffico di gigolò. L’ipocrisia del tutto è così conclamata che il film è suo malgrado divertente per la faccia tosta di ciò che si dichiara e ciò che invece si vede. Grandioso il tavolino a forma di Marlboro, capolavoro di pubblicità occulta. Spazzatura professionale.
Il tentativo, coraggioso, di Aristide Massaccesi di dare istituto al crossover tra sesso e violenza è ben estremizzato, mentre la storia forse è un pretesto o forse è lo spunto migliore per mostrare il resto. La versione estesa è hardcore, seppure con poche scene girate anche male, ma non è questo il punto. Di erotismo d’autore non se ne parla, ma quello proposto è senza dubbio meno noioso e più intrigante. La parte forte è quella del filmato snuff: super rivoltante e disturbante, quindi fatto benissimo. La sintesi di tutto: è un film di Joe D’Amato!
Essendo un film erotico si può affermare che sia indubbiamente piuttosto piacevole e accompagnato da belle musiche, poi l’inserimento della storia degli snuff movie aggiunge ancora qualcosa in più a questa pellicola ben diretta dal grande Joe D’amato. Indubbiamente uno dei migliori della serie.
Primo film a innestare nella serie, accanto agli ingredienti già consolidati, anche quegli elementi thrilling e violenti che caratterizzano più peculiarmente lo stile del regista (celebri le sequenze dei finti snuff-movie all’interno del film). Ma è anche(e forse è soprattutto per questo che passa alla storia) il primo a contenere scene hard (a dire il vero un po’ acerbe e non troppo disinvolte) destinate alle versioni estere (e oggi abbondantemente recuperate in home video). Mezzo pallino in più per il valore storico e documentario.
Terzo episodio della saga di Emanuelle Nera, uno dei migliori. Joe D’Amato imprime la svolta decisiva alla serie e introduce elementi orrorici (il celeberrimo finto snuff) che si alternano alla commedia, all’erotico e alla pornografia. Scene hard esplicite vedono protagoniste Marina Lotar, Cristina Minutelli e Maria Renata Franco (che si lancia addirittura in una scena di zooerastia). Il tripudio di starlettes a contorno (tra cui giova ricordare Paola Senatore e Lorraine De Selle) e le ottime musiche di Fidenco completano il quadro. Da vedere.
Probabilmente il più famoso dei capitoli della saga, grazie allo “snuff” che in effetti per realismo e crudezza rappresenta un momento fra i più significativi del nostro cinema di genere. Per il resto è il film in cui il personaggio di Emanuelle prende definitivamente forma, con il Massaccesi-style che giunge a compimento in situazioni che poi saranno più o meno replicate nei capitoli successivi e non risultano particolarmente noiose pur nella inconsistenza complessiva della trama.
L’alcova
Elio de Silveris, ufficiale dell’esercito italiano, ritorna nella sua villa in un luogo imprecisato.
Ad attenderlo c’è sua moglie, Alessandra, che nel frattempo. vista la lontananza del marito, si è consolata con la sua segretaria e factotum Wilma.
L’arrivo di Elio ridesta i sensi sopiti di Alessandra, che inevitabilmente trascura Wilma, che altrettanto inevitabilmente soffre lo stato delle cose.
Ma ad aggravare la situazione, ecco un colpo di scena; l’ufficiale reca con se una splendida donna abissina, Zerbal, che presenta come una sua preda di guerra.
La donna è vista da subito come fumo negli occhi sopratutto dalla legittima consorte, che però ben presto scopre di essere attratta dalla nuova arrivata.
Annie Belle (Wilma) e Lilli Carati (Alessandra)
Laura Gemser
Così tra le due nasce una intensa relazione saffica, ben vista dal marito, mentre Wilma, ormai messa completamente da parte, ripiega su un giovane ufficiale.
L’atmosfera nella villa diventa sempre più viziosa; ai giochi lesbici delle due donne, si aggiunge Elio, che proietta filmini porno, eccitando ancor di più i sensi delle protagoniste.
Ma l’eccesso di erotismo gioca uno scherzo fatale.
Alessandra e Zerbal, ormai indissolubilmente legate, per gioco legano Wilma ad un letto, facendola violentare dal guardiano della villa.
La cosa sconvolge la ragazza, che confessa tutto al giovane ufficiale.
Così, una sera, mentre Elio, Alessandra e Zerbal sono seduti a tavola in giardino, fra torce che illuminano la villa, Wilma e il suo compagno arrivano non attesi.
Zerbal si avvicina alla ragazza, ma il giovane ufficiale lancia in segno spregiativo un oggetto verso lei; cadendo, l’oggetto rovescia una candela, che appicca il fuoco al sottile vestito di Zerbal.
Un attimo e la donna è preda delle fiamme.
Morirà bruciata viva, senza che i presenti possano ( o vogliano) fare qualcosa per salvarla.
Film scopertamente erotico di Joe D’Amato, diretto nel 1984, L’alcova tuttavia si discosta dai film a luce rossa che imperversavano in quel periodo, pur se le tematiche e molte scene del film sono ai limiti labili del confine con il cinema hard.
Il film ha una sua sceneggiatura, sorprendentemente ben fatta, e si avvale anche di una splendida fotografia, che immerge il film in un’atmosfera quasi d’annunziana, come del resto recita il titolo del film.
L’aria che si respira è morbosa, decadente; i personaggi agiscono per istinto, un istinto animalesco, che li porta ben oltre la morale comune.
I rapporti lesbici si sprecano, e sono la costante del film.
Ma la storia è ben diretta, ha una sua logica, pur nei limiti di un’operazione di marketing cinematografico.
Non a caso come protagoniste del film D’Amato sceglie due star del cinema erotico, Laura Gemser e Lilli Carati, affiancati da una sfiorita Annie Belle.
Delle tre la più conturbante è proprio l’attrice orientale, che in qualche modo tiene a galla il suo personaggio, rivestendolo di un’aura di esotismo e mistero.
Lilli Carati appare spaesata, forse perchè già da tempo alle prese con i suoi gravi problemi di dipendenza dalla droga.
Appare appesantita, stralunata, pur mantenendo uno standard recitativo sufficiente.
Annie Belle appare ancor più estranea; sfiorita, appesantita, con i capelli castani, appare quasi irriconoscibile, dall’efebica ragazza che a metà anni settanta aveva interpretato film come La fine dell’innocenza.
Al Cliver fa la sua parte, dignitosamente.
Alla fine, paradossalmente, proprio i difetti decritti fanno si che il prodotto risultante sia accettabile.
Gli attori ci mettono buona volontà, assecondando un D’Amato che sembra aver ritrovato l’antica mano, l’abilità nel creare storie torbide condendole con un pizzico d’erotismo (forse molto più di un pizzico), creando atmosfere lussuriose, malsane e intriganti, in cui il sesso, le sue derivanti sono la struttura stessa del racconto.
Del resto reggere un film con otto attori non è da tutti.
D’Amato ci riesce.
Qualche nota sulle attrici; per Annie Belle questo è uno degli ultimi film interpretati.
Dopo questo, arriverà La venexiana, in cui ha una breve parte e il terrificante La croce dalle sette pietre, uno dei film più scombinati mai girati in Italia; anche Lilli carati è ormai al tramonto, visto che dopo L’alcova girerà Voglia di guardare e Lussuria, prima di prendere la strada senza ritorno del film hard.
Laura Gemser invece continuerà la sua onesta carriera, grazie anche alla sua bellezza sottile, che manterrà presso chè intatta.
L’alcova, un film di Joe D’Amato. Con Al Cliver, Lilli Carati, Annie Belle, Nello Pazzafini, Laura Gemser Commedia, durata 86 min. – Italia
Emmanuelle 2 l’antivergine
La bella Emmanuelle langue d’amore per suo marito, costretto alla lontananza dalla sua appassionata moglie dal lavoro che svolge nel lontano oriente, ad Hong Kong; così la donna, senza avvisarlo, si imbarca per raggiungerlo.
Naturalmente durante il viaggio si concede il solito trastullo lesbico con una archeologa, poi raggiunge suo marito, con il quale ha un patto di massima libertà; entrambi vivono infatti una vita sessuale indipendente e scevra dalla gelosia.
Così mentre Emmanuelle si concede avventure di vario genere, come quella con un giovane e muscoloso uomo di colore, un tatuato su tutto il corpo, lui fa altrettanto, naturalmente accoppiandosi con la legittima consorte durante le pause. Alla fine i due rivolgono le loro attenzioni sulla giovanissima Anne Marie, che iniziano, con tanta soddisfazione di tutti, alle esperienze erotiche.
Il successo del primo Emmanuelle, diretto da Just Jaeckin su soggetto della scrittrice Emmanuelle Arsan spinge il regista Francis Giacobetti nel 1975 a girare il seguito ideale intitolato Emmanuelle 2 l’antivergine, con esiti assolutamente nefasti.
Lungi da rappresentare un film con un qualsivoglia motivo di interesse, Emmanuelle 2 è un soporifero, noioso ensemble di scontate esibizioni erotiche delle protagoniste, in qualche caso portate fino all’estremo del possibile senza sconfinare nell’hard e di conseguenza sfuggire alle forbici della censura.
Dialoghi imbarazzanti, recitazioni da avanspettacolo di terza lega, noia mortale si assemblano alla perfezione, riuscendo nell’epica impresa di ritrovarsi in un amalgama di totale non sense, che costringe il povero spettatore a star sveglio solo per osservare le grazie delle protagoniste.
Che sicuramente sono l’unica ragione per sopportare la visione di questo film; la Kristel molto bella e sexy, pur non dotata di particolare talento, esprime se stessa nel ruolo che l’ha resa celebre, girando con disinvoltura e sospetta partecipazione le scene erotiche che la vedono protagonista, sia che appartengono alla sfera saffica che a quella etero sessuale.
Il suo compagno di vita, ovviamente nel film, è un imbarazzatissimo e anche lui imbarazzante Umberto Orsini, attore di talento qui costretto a mostrare prodezze amatorie, glutei e un fisico apprezzabile, quanto meno dalle donne che hanno assistito alla proiezione del film.
Il resto è noia mortale, fatta salva la breve comparsa di un’altra Emmanuelle, anzi Emanuelle, ovvero Laura Gemser, che diede corpo (in tutti i sensi) alla figura della reporter di colore dai costumi altrettanto disinibiti dell’eroina della Arsan.
Erotismo nemmeno patinato, quello del film, che finisce per muovere lo sbadiglio piuttosto che l’interesse; la sciagura aumenta quando ci si prende la briga di provare a seguire i surreali dialoghi che costellano il film, volti a dimostrare il teorema che in amore le corna sono una salvezza, una panacea per il rapporto di coppia.
Aldila della strampalata teoria, usata per motivi abiettamente e prettamente commerciali, Emmanuelle 2 l’antivergine andrebbe scansato come la peste; nei film con protagonista la Gemser spesso si assiste ad una sfilata di località esotiche e di paesaggi da fiaba, qui si vede solo una Hong Kong degna di un girone dell’inferno, con gente per strada ammassata come le formiche.
Emmanuelle 2 l’antivergine, un film di Francis Giacobetti. Con Sylvia Kristel, Umberto Orsini, Frédéric Lagache, Laura Gemser, Catherine Rivet, Claire Richard-Erotico 1975
Sylvia Kristel … Emmanuelle
Umberto Orsini … Jean
Frédéric Lagache … Christopher
Catherine Rivet … Anna-Maria
Henry Czarniak … Igor
Tom Clark … Peter
Marion Womble
Florence L. Afuma … Laura
Claire Richard … Wong
Laura Gemser … Massaggiatrice
Jacqueline May Line
Eva Hamel … Massaggiatrice
Christiane Gibeline Massaggiatrice
Murder obsession-Follia omicida
Mike con la sua donna, Debora, si reca a casa della madre, che abita in una villa.
L’uomo è un attore e dopo qualche giorno viene raggiunto da alcuni suoi colleghi, l’aiuto regista, un suo amico e l’attrice Beverly.
Ben resto la casa della madre di Mike diventa teatro di un’orgia di sangue; ad uno ad uno tutti i presenti nella villa muoiono assassinati.
L’autore dei crimini sembra essere Mike, che da piccolo, secondo la versione di sua madre, ha ucciso il padre per difenderla.
Ma è così?
Ultimo film di Riccardo Freda, girato nel 1980, Murder obsession-Follia omicida è un thriller fuori tempo massimo.
Il genere era ormai completamente abbandonato da tutti, anche per la concomitante crisi del cinema.
E Murder obsession, per stessa ammissione di Freda “Era una merda, girato senza soldi e con attori scarsi“; aldilà della pittoresca valutazione del regista, autore in passato di altri thriller, come Estratto dagli archivi segreti della polizia di una capitale europea, L’iguana dalla lingua di fuoco e di A doppia faccia, e con alle spalle una più che dignitosa carriera iniziata nel lontano 1942 con Don Cesare di Bazan, il film non presenta meriti particolari per svariati motivi.
Il primo dei quali, fondamentale, è legato alla sceneggiatura di basso livello imbastita da Antonio Cesare Corti, riportata sullo schermo con fiacchezza dal regista, che pure aveva un notevole cast a disposizione.
Ma proprio la trama scadente, la mancanza di effetti speciali di livello perlomeno decenti portano il film a franare clamorosamente sin dall’inizio.
In bilico tra thriller gotico, film psicanalitico e horror con connotazioni soprannaturali, Murder obsession scivola più volte anche per la scarsa volontà degli attori, quasi increduli di dover recitare in una pellicola così mal composta.
Pure i presupposti per una buona riuscita c’erano tutti; il cast infatti presentava attrici dall’ottimo passato, come Silvia Dionisio, Laura Gemser, Anita Strindberg e Martine Brochard.
Il problema alla fine si rivela proprio questo; poco supportate dalla trama, le pur volenterose attrici mostrano tutti i limiti derivanti dalle situazioni particolari di ognuna di loro.
La Strindberg, palesemente invecchiata, con i tratti del volto scavati e marcati, non riesce a trasmettere nulla dell’ambiguo personaggio di Glenda, la madre del protagonista Mike; Martine Brochard, che aveva all’attivo solo il thriller di mediocre fattura Gatti rossi in un labirinto di vetro sembra spaesata, così come sembra spaesata, in misura maggiore, la bellissima Silvia Dionisio, protagonista di una scena rimasta famosa, la corsa disperata di notte fra rovi e cespugli, a seno nudo, in una sequenza che sembra sospesa tra incubo e realtà.
La Dionisio, che interpreta la donna di Mike, Deborah, è anch’essa alla sua ultima apparizione cinematografica.
Appare apatica, svogliata, quasi avesse accettato la parte per obbligo; Laura Gemser, che nel film è Beverly (Beryl) fa quello che sa fare, ovvero pochino, risultando però alla fine forse la più credibile del mazzo.
Assolutamente fuori ruolo Stefano Patrizi nel ruolo di Mike Stanford, che avrebbe richiesto ben altro spessore e pathos recitativo.
Il risultato è quindi un ‘opera incolore, una partitura completamente scordata e stonata, in cui tutti sembrano dover assolvere in fretta al loro compito.
Così si comprende la delusione di Freda, che ebbe davvero il suo daffare per assemblare un prodotto che potesse uscire sugli schermi, senza rischiare una solenne stroncatura.
Cosa che purtroppo avvenne e a giusta ragione.
Tutto quello che rimane del progetto di contaminazione tra gotico e thriller psicanalitico è un nulla desolante; a parte la Gemser, che in pratica è nuda in tutte le sequenze che la vedono coinvolta, il resto del film si segnala solo proprio per le scene scabrose, invero limitate solo a parziali nudità delle citate Dionisio, Brochard e Strindberg, quest’ultima ripresa con luci molto soffuse, vista l’impietosa decadenza del suo corpo.
Film relegato in un angolino, prova finale di un regista molto amato ma che chiuse la sua carriera in maniera davvero poco gloriosa.
Murder obsession Follia omicida, un film di Riccardo Freda, con Stefano Patrizi, Martine Brochard, Silvia Dionisio, Henri Garcin, Laura Gemser, John Richardson, Anita Strindberg, Fabrizio Moroni Thriller Italia 1980
Stefano Patrizi … Michael Stanford
Martine Brochard … Shirley
Henri Garcin … Hans Schwartz
Laura Gemser … Beryl
John Richardson … Oliver
Anita Strindberg … Glenda
Silvia Dionisio … Deborah
Regia Riccardo Freda
Soggetto Antonio Cesare Corti, Fabio Piccioni
Sceneggiatura Antonio Cesare Corti, Riccardo Freda, Fabio Piccioni
Produttore Enzo Boetani, Giuseppe Collura, Simon Mizrahi
Casa di produzione Dionysio Cinematografica, Société Nouvelle Cinévog
Fotografia Cristiano Pogany
Montaggio Riccardo Freda
Effetti speciali Angelo Mattei
Musiche Franco Mannino
Scenografia Giorgio Desideri
Costumi Giorgio Desideri
Trucco Sergio Angeloni, Lamberto Marini
Suor Emanuelle
La giovane figlia di un borghese viene sorpresa in atteggiamenti saffici con la matrigna. Monica, questo il nome della ragazza, è di costumi liberi e facili, così suo padre prudentemente decide di mandare la scapestrata figliola in convento, per ricevere un’educazione migliore, convinto anche che dietro le mura del convento stesso la ragazza metterà un freno ai suoi istinti.
La spedisce così in una località dell’Italia centrale, dove la ragazza viene presa in custodia da due suore, una delle quali, Emanuelle, ha un passato da dimenticare,pieno zeppo di avventure sessuali oltre i limiti del consentito.
Emanuelle, suora di colore, ben presto si trova a disagio con quella creatura amorale che le è stata affidata; Monica le ricorda un passato che lei ha cercato di dimenticare chiudendosi dietro le mura rassicuranti del convento.
La donna inizia così a fantasticare sulle avventure della ragazza, e finirà per dimenticare i buoni propositi e lascerà il convento.
Diretto da Joseph Warren (pseudonimo di Giuseppe Vari) nel 1977, Suor Emanuelle appartiene anche se solo per il titolo alla fortunata serie legata indissolubilmente alla presenza scenica di Laura Gemser, che per una volta lascia il nume D’Amato , ma non suo marito Gabriele Tinti, per girare un film senza nessuna dote, appartenente al florido filone del cinema erotico tout court.
Molte scene saffiche, molti nudi, e la Gemser relegata quasi in un ruolo secondario, oscurata dalla figura di Monica Zanchi, vera starlette del film; quest’ultima, reduce dalla buona prova nel film Spell, dolce mattatoio di Avallone, ha qui la possibilità di avere un ruolo da protagonista.
Ma il film è davvero debole, costruito com’è attorno a visioni erotiche senza una trama di supporto, per cui la Zanchi, oltre a mostrare generosamente il suo corpo, non va oltre una piatta recitazione come del resto richiesto dal copione.
Giuseppe Vari, regista con alle spalle una trentina circa di pellicole, nessuna delle quali memorabili, affida alla presenza scenica essenzialmente corporea di Laura Gemser, di Monica Zanchi e di Dirce Funari le chance di successo della pellicola, che ebbe un discreto riscontro di pubblico, sopratutto all’estero grazie al solito espediente dell’inserimento di scene hard all’interno della pellicola.
Il che rimane l’unico vero motivo per vedere un film essenzialmente noioso, privo di sorprese e sopratutto abbastanza scontato, se si eccettua un finale almeno un po più vivace, con un colpo di scena che solleva la pellicola dall’algida mediocrità che la contraddistingue.
La Gemser, al solito molto bella e misteriosa, è un tantino a disagio; probabilmente la mancanza dietro la macchina da presa di D’Amato le toglie spontaneità; un breve cenno sulla bella e affascinante Dirce Funari, una vera meteora del cinema, che svolge diligentemente il ruolo della matrigna di Monica.
Suor Emanuelle ,un film di Joesph Warren (Giuseppe Vari), con Laura Gemser,Giuseppe Tinti, Monica Zanchi, Dirce Funari, Patrizia Sacchi,Vinja Locatelli. Erotico, Italia 1977. Durata 92 minuti
Laura Gemser: Suor Emanuelle
Gabriele Tinti: Renè
Monica Zanchi: Monica Cazzabriga
Dirce Funari: matrigna di Monica
Patrizia Sacchi: Anna
Vinja Locatelli: suor Nanà
Rick Battaglia: commendatore Cazzabriga
Regia: Joseph Warren
Soggetto: Mario Gariazzo, Ambrogio Molteni, Gerolamo Collogno
Sceneggiatura: Marino Onorati
Fotografia: Guglielmo Mancori
Montaggio: Giuseppe Vari
Musiche: Stelvio Cipriani
Scenografia: Roberta Tomassetti
Produttore: Mario Mariani
Emanuelle e gli ultimi cannibali
Ennesima variazione delle avventure dell’affascinante Emanuelle, la reporter di colore con l’hobby della fotografia; questa volta l’eroina interpretata da Laura Gemser si reca in un istituto per malattie mentali,per scoprire in che modo i pazienti vengano trattati da dottori e infermiere.
Durante il suo soggiorno nella clinica, Emanuelle assiste ad una scena agghiacciante: una paziente strappa a morsi il seno ad una infermiera. Emanuelle indaga sui perchè dello strano comportamento della donna,e grazie ad un tatuaggio sul corpo della ragazza, risale fino al
professor Lester, che dapprima la erudisce sul fenomeno del cannibalismo, e poi, divenuto l’ennesimo amante della donna, decide di accompagnarla alla ricerca della verità sul conto della ragazza.
La coppia giunge in Amazzonia, e incontra alcuni personaggi ambigui:Donald e Maggie McKenzie,che fanno credere di essere una coppia di cacciatori, Suor Angela e Isabelle .
Tra i vari personaggi si stabiliranno relazioni equivoche, puramente erotiche.In realtà i Mc Kenzie sono sulle tracce di un tesoro; ma quella caccia sarà loro fatale, perchè saranno i primi a cadere preda dei cannibali che vivono nella regione.
Donald viene fatto a pezzi, la moglie, dopo essere stata stuprata a turno,finisce per fare da pranzo alla tribù. Isabelle, catturata, viene stuprata a sua volta dagli indigeni, viene salvata provvidenzialmente da Emanuelle con uno stratagemma: la donna sorge dalle acque, nuda come Venere, mentre alle sue spalle esplodono alcuni fuochi artificiali.
Mentre i superstiziosi indigeni restano ammutoliti, la donna prende per mano l’amica e si allontana nell’acqua.
Aristide Massaccesi, firmandosi Joe D’Amato, dirige Emanuelle e gli ultimi cannibali nel 1977, nello stesso anno in cui esce il controverso Ultimo mondo cannibale;ma, a differenza del film di Deodato, Massaccesi spinge l’acceleratore sull’erotismo,
riempiendo il film di scene ad alta tensione erotica: a parte i coniugi Tinti, Gabriele e Laura Gemser, il regista romano chiama nel cast la bella Susan Scott,facendole interpretare il ruolo di
Maggie, e rendendola protagonista di una delle scene più calde del film, l’atto auto erotico in cui la bellissima attrice spagnola sembra girare senza l’ausilio di controfigure; chiama nel film la svizzera Monica Zanchi, nel ruolo di Isabelle,
e infine seleziona due attrici decisamente belle, Dirce Funari e Annamaria Clementi, affidando loro rispettivamente i ruoli della ragazza della clinica e di suor Angela.
Il film tutto sommato non è nemmeno malaccio, anche se D’Amato gioca, come al solito, tutte le sue carte sull’erotismo.
Ma un minimo di trama c’è, così come l’indubbio mestiere del regista romano.
Emanuelle e gli ultimi cannibali, un film di Joe D’Amato, con Laura Gemser, Gabriele Tinti, Susan Scott, Donald O’Brien, Monica Zanchi, Percy Hogan, Dirce Funari, Annamaria Clementi 1977
Laura Gemser: Emanuelle
Gabriele Tinti: professor Mark Lester
Monica Zanchi: Isabelle Wilkes
Nieves Navarro: Maggie McKenzie
Donald O’Brien: Donald McKenzie
Percy Hogan: Salvatore
Annamaria Clementi: Suor Angela
Dirce Funari: ragazza all’istituto mentale
Geoffrey Copleston: Wilkes
Germana Dominici: Emanuelle
Michele Gammino: professor Mark Lester
Serena Verdirosi: Isabelle Wilkes
Paila Pavese: Maggie McKenzie
Sergio Fiorentini: Donald McKenzie
Antonio Guidi: Wilkes
Regia Joe D’Amato
Soggetto Joe D’Amato
Sceneggiatura Aristide Massaccesi, Romano Scandariato
Produttore Fabrizio De Angelis
Fotografia Aristide Massaccesi
Montaggio Amedeo Moriani
Musiche Nico Fidenco
Scenografia Carlo Ferri
Costumi Carlo Ferri